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biomeccanica

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11 Fisiologia

La mobilità non è un valore assoluto ma va

considerata rispetto ai rapporti delle diver-

se componenti dell’apparato locomotore.

Spesso è influenzata dalla conformazione

delle articolazioni: si pensi per esempio alla

“instabilità” fisiologica dell’articolazione della

spalla. Talvolta sono determinanti i legamen-

ti, che a livello del ginocchio impediscono

movimenti indesiderati di lateralità. Infine può

essere condizionata dalla postura e le abitu-

dini di vita, come a livello del tratto cervicale

della colonna in realzione a lavori sedentari.

Lo stretching non è solo un “aumentatore”

di mobilità ma soprattutto un modulatore

di mobilità. Lo stretching può aumentare la

mobilità là dove occorre, ma deve rispettare

i limiti funzionali perché un aumento inde-

siderato di mobilità provocherebbe solo una

dannosa instabilità.

cingolo scapolare

articolazione scapolo-omerale

spazio sub-acromiale

piano frontale

piano scapolare

colonna vertebrale

curve fisiologiche

della colonna

dischi interverebrali

arti inferiori

muscolo ileop-soas

retto femorale

muscoli adduttori

ginocchio

caviglia

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fisiologia

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STRETCHINGSTRETCHINGARTICOLAZIONI

MUSCOLICAPSULE

ARTICOLARI

LEGAMENTI

UN NUOVO CONCETTO DI STRETCHINGUno dei più brutti errori nella cultura sportiva italiana riguarda proprio lo stretching. Infatti quando si pose il problema di tradurre dall’americano il concetto di stretching, chi si è occupato di questo per primo, se la cavò con un pessimo “allungamento muscolare” e a seguire, in tutte le altre pubblicazioni ci si è sempre riferiti allo stretching come allungamento muscolare.Non si tratta di un semplice errore di parole, ma di un concetto totalmente sbagliato che impedisce poi di capire la reale importanza positiva dello stretching.Quando un soggetto fà dello stretching non agisce solo sul muscolo, ma su tutte le componenti dell’apparato locomotore, influenzandole in maniera diversa a seconda delle diverse risposte biomeccaniche che i diversi tessuti biologici forniscono alla trazione.Pertanto tradurre stretching come “allungamento dei muscoli” significa perdere di vista gli effetti, positivi e negativi che le trazioni dello stretching realizzano sulle altre

componenti dell’apparato locomotore.Per tradurre in italiano correttamente il concetto di stretching si potrebbe proporre: tecnica di condizionamento finalizzata al miglioramento della mobilità dell’apparato locomotore. Vista la complessità, possiamo lasciar perdere di avere una parola in italiano che sintetizzi questo concetto; accontentiamoci di stretching, ma soprattutto non pensiamo più all’allungamento del muscolo.Lo stretching migliora la capacità di risposta elastica delle parti molli: muscoli, tendini, capsule articolari e legamenti. Si oppone alla retrazione fibrotica favorita dal non uso, dall’uso sedentario e dall’invecchiamento fisiologico dell’apparato locomotore. Si oppone alla riduzione delle superfici utili delle cartilagini articolari delle articolazioni, là dove lo stretching permette lo scorrimento reciproco delle cartilagini nei punti prossimi ai fine corsa articolari e che quindi difficilmente vengono “allenati” al movimento nei comuni movimenti della vita di relazione.

TENDINI

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L’APPARATO LOCOMOTORE E’ UN INSIEME FUNZIONALEL’anatomia descrittiva che definisce in modo autoptico le differenze dei tessuti, delle inserzioni, dei capi muscolari, ha condizionato per troppo tempo lo studio della biomeccanica. Ne è risultata troppo a lungo una visione separata, a compartimenti stagni, totalmente avulsa dalla realtà delle cose e dai reciproci condizionamenti e influssi delle diverse componenti dell’apparato locomotore.Solo da pochi anni lo studio della biomeccanica del movimento e la medicina dello sport hanno contribuito a ricreare una visione unitaria dell’apparato locomotore. Nasce così un’anatomia funzionale dove gli organi e gli apparati non sono delle pure realtà anatomiche separate da rigidi confini teorici. I pezzi anatomici fanno parte di un tutto organico unificato da un comune denominatore: la locomozione e il mantenimento dell’integrità dell’apparato.Solo con un approccio globale che tenga conto dell’anatomia delle inserzioni, della biomeccanica, della fisica, della fisiologia si realizza quella comprensione unitaria dell’apparato che permette di comprendere il significato profondo di certe metodiche come lo stretching.L’apparato locomotore è un insieme funzionale costituito da:

ossa - funzione: sostegno;

articolazioni - funzione: possibilità di movimento;capsule articolari e legamenti - funzione: stabilizzazione passiva delle articolazioni;

muscoli e tendini - funzione motoria e stabilizzazione attiva delle articolazioni.

Tutte queste funzioni sono in correlazione tra di loro, perché ovviamente queste strutture anatomiche sono strettamente legate tra di loro sia anatomicamente che funzionalmente.

ELASTICITA’ - PLASTICITA’ VISCOSITA’Sono proprietà comuni a tutti i materiali, compresi i materiali biologici che costituiscono l’apparato locomotore.Quando su un materiale viene applicata una forza, questa forza tende a deformare il materiale stesso. I tessuti biologici, come tutti i materiali, rispondono alle forze che si applicano su di loro con deformazioni che possono essere elastiche, plastiche e viscose.Nel caso della deformazione elastica, il materiale si deforma per il tempo in cui la forza viene applicata; quando poi la forza cessa di agire, il materiale ritorna alle dimensioni iniziali. L’esempio è quello dell’elastico che quando viene stirato si lascia allungare, per poi ritornare alla lunghezza iniziale quando viene interrotta la trazione.La deformazione elastica è una deformazione fisiologica dei tessuti biologici perché dopo l’applicazione di una forza quel tendine, o quel muscolo, ritorna alla dimensione iniziale ed è pronto a lasciarsi deformare da un nuovo stimolo.Nel caso della deformazione plastica la forza applicata realizza una deformazione permanente su quel materiale che permane oltre il tempo di applicazione dello stimolo. La deformazione plastica racchiude in sé un significato patologico per i tessuti biologici, perché alla fine dell’applicazione dello stimolo i tessuti rimangono deformati permanentemente. Ad esempio: un legamento può rimanere stirato, allungato, con conseguente perdita di stabilità

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che quel legamento realizzava.Del concetto di viscosità fanno parte due elementi che sono le forze di attrito e la velocità con cui un tessuto si lascia deformare. Un materiale troppo viscoso è troppo lento per lasciarsi deformare con la velocità sufficiente; questo espone più facilmente a dei traumi, che per definizione sono cambiamenti improvvisi di velocità di un materiale.-Ogni materiale biologico ha un suo coefficiente di deformazione elastica, plastica e viscosa. Tutti gli individui sono accomunati da alcuni processi universali. Ad esempio: l’invecchiamento di un organismo è caratterizzato da una progressiva disidratazione. La perdita di acqua determina un cambiamento di queste proprietà di deformazione.I tessuti disidratati degli anziani sono meno elastici e più viscosi, sono quindi più esposti alle deformazioni plastiche, cioè a deformazioni permanenti e quindi patologiche.

CONCETTO MEDICO DI TRAUMA Per cominciare dobbiamo descrivere che cos’è un trauma: in traumatologia un trauma è un evento accidentale che comporta un danno ad un organo. A seconda dell’intensità del trauma aumenta l’effetto dannoso sull’organo, che può subire una modesta infiammazione, fino ad un’alterazione totale della sua anatomia. Ad esempio, nel caso di un osso, si può passare da una contusione fino ad una infrazione, il livello successivo è quello di una frattura composta, aumentando di gravità si realizza la frattura scomposta, nella quale i monconi di frattura si allontanano tra di loro. Infine, si parla di esplosioni o addirittura polverizzazioni dell’osso quando il trauma determina una frammentazione in molti pezzetti.Ciò che determina l’aumento della gravità degli

effetti del trauma è la violenza del trauma stesso.

CONCETTO FISICO DI TRAUMA In fisica cosa corrisponde al concetto medico di trauma?La parola chiave è accelerazione decelerazione.In pratica, si tratta di una variazione della velocità di un determinato organo nell’unità di tempo. Tanto più brusca e intensa è la variazione della velocità, tanto più difficile è per quella struttura mantenere la sua integrità.L’apparato locomotore per definizione è un materiale biologico in movimento; il suo problema per mantenersi integro è di subire delle accelerazioni e/o delle decelerazioni che siano al di sotto della soglia del danno meccanico, in altre parole che queste accelerazioni non determinino una deformazione plastica (permanente), ma solo una deformazione elastica (reversibile).Fatto è che l’ambiente esterno al corpo spesso entra in conflitto con l’apparato locomotore. In tutti i casi in cui si verifica un trauma, il corpo umano va a sbattere contro un altro corpo che è fermo o che si sta spostando in un’altra direzione: è importante avere uno spazio sufficiente di frenata e un tempo sufficiente per variare la velocità. Si tratta quindi di realizzare questi cambiamenti di velocità in modo sufficientemente graduale.

DECELERAZIONI ESTERNE E INTERNEL’apparato locomotore ha due possibilità per ridurre la differenza di velocità tra sé e l’altro corpo con il quale sta per impattare. La prima è in qualche modo esterna all’apparato locomotore e consiste nel ridurre il più possibile le differenti velocità prima dell’impatto. Nel linguaggio comune viene descritta come una frenata, un rallentamento.

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La seconda è una specie di “ultima spiaggia”: è una possibilità interna all’apparato locomotore e consiste nella capacità di lasciarsi deformare in modo elastico senza subire danno.Ciò può avvenire essenzialmente in due modi: utilizzando le catene articolari e utilizzando le proprietà di deformazione fisiologica dei tessuti.Ad esempio, quando si salta a terra da un gradino, si utilizza un tipico movimento di piegamento degli arti inferiori per frenare la caduta del tronco. In altre parole, la flessione combinata di caviglia, ginocchio e anca avvicina gradualmente al suolo il tronco. Se il soggetto non flette questa catena osteo-muscolare, appena il tallone tocca il suolo l’impatto si trasferisce immediatamente con un brusca decelerazione a livello del tratto lombare della colonna. Nel linguaggio corrente questo fatto viene descritto come un’insaccatura, come una concussione, come un colpo alla schiena. Al contrario, il piegamento degli arti inferiori distribuisce su uno spazio e un tempo maggiore la decelerazione del tronco rispetto al suolo. Il fine è quello di ridurre gradualmente la velocità tra il tronco e il suolo. Nel linguaggio normale questo è un movimento coordinato, un movimento corretto.Qual è la parola di biomeccanica che risponde a questo concetto di gradualità? Il concetto in questione è l’ammortizzazione. La variante dell’ammortizzazione applicata a gesti atletici complessi si chiama coordinazione motoria.

AMMORTIZZAZIONEPer l’apparato locomotore essere in grado di ammortizzare significa ridurre l’effetto traumatico delle lesioni, distribuendo su uno spazio più grande e su un tempo maggiore le accelerazioni. Saper ammortizzare significa preservare l’integrità dell’apparato locomotore.

MOBILITA’

Il concetto di mobilità è forse il più facile da descrivere perché si tratta della capacità al movimento che è l’essenza stessa di un apparato che si chiama locomotore. In che modo si può migliorare l’ammortizzazione? Si può ammortizzare se si allunga lo spazio di frenata. Per l’apparato locomotore questo significa migliorare la mobilità reciproca tra i vari costituenti dell’apparato stesso. Il risultato è quello di un maggiore spazio per subire delle deformazioni senza danno e quindi anche di un aumento del tempo di decelerazione necessario a utilizzare questo maggiore spazio.L’aumento della mobilità dell’apparato locomotore è il primo obiettivo di prevenzione ed è quindi il vero fine dello stretching. Lo stretching aumenta la mobilità dell’apparato locomotore in modo strettamente finalizzato alla prevenzione dell’integrità dell’apparato locomotore stesso.Nei gesti atletici complessi questo permette un’esecuzione compatibile anche in condizioni estreme e quindi lo stretching, aumentando la coordinazione motoria, permette di migliorare anche il livello della prestazione atletica.

RAPPORTO FRA MOBILITA’ E STABILITA’Nell’apparato locomotore convivono all’equilibrio due necessità opposte. Si tratta della mobilità da un lato e della stabilità dall’altro. ll concetto di mobilità è già stato definito nel paragrafo precedente. La stabilità invece è un concetto un pó più complesso. Si tratta di impedire che i punti di minor resistenza, come ad esempio le articolazioni, perdano funzionalità per un eccesso di

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mobilità. Ad esempio: se l’articolazione del ginocchio si potesse estendere molto al di sotto dei 180°, in realtà sarebbe quasi impossibile correre e saltare in avanti, perché ad ogni flesso-estensione il ginocchio potrebbe muoversi in un senso o nell’altro.Piccoli traumi potrebbero vincere la stabilizzazione delle capsule e dei legamenti con delle vere e proprie lussazioni. Non è un caso che si lussi più spesso l’articolazione della spalla (molto mobile e poco stabile) rispetto a quella dell’anca (meno mobile e più stabile). In altre parole la mobilità non è un valore assoluto, ma sta in equilibrio con il suo opposto, la stabilità, in ogni articolazione dell’apparato locomotore.Questo significa che lo stretching deve migliorare la mobilità ma anche rispettare i limiti della stabilità passiva di un’articolazione dettati dalla forma dei capi articolari, dalle capsule articolari e dai legamenti. In questo senso, anche lo stretching, se eseguito male, forzando eccessivamente i protocolli può favorire una risposta plastica che crea un eccesso di mobilità, non più funzionale ma patologica. Con questa impostazione è molto più semplice inquadrare l’obiettivo dello stretching che non è la mobilità fine a se stessa, quasi come se fosse una filosofia precontorsionistica.L’obiettivo dello stretching è migliorare la mobilità in quelle direzioni del movimento dove si può migliorare l’ammortizzazione dell’apparato locomotore, senza perdere stabilità passiva e attiva, anch’esse altrettanto preziose per il movimento.La traduzione più semplice di stretching è quindi mobilità, una mobilità mirata che significa in biomeccanica ammortizzazione e coordinazione.E’ questo quindi il superamento di

impostazioni a nostro avviso non sufficientemente razionali dello stretching. La mobilità come valore in sé e non compensato dall’altro valore simmetrico e speculare: la stabilità. Ci riferiamo ad esempio a certe esasperazioni filosofiche come quelle di Bob Anderson cui, se non altro, va attribuito il grande merito di aver promosso e divulgato questa disciplina tra i primi. Nella letteratura a seguire molti hanno copiato selvaggiamente senza avere il merito dei veri esploratori, cui si può invece perdonare qualche approssimazione. E’ difficile trovare dei passi avanti e anche esempi recenti risentono di un’impostazione meccanicistica fondata esclusivamente sul concetto di allungamento muscolare e di descrizioni degli esercizi secondo un criterio di anatomia descrittiva. Insomma lo stretching è correttore di squilibri posturali.

LE BASI NEUROFISIOLOGICHE DELLO STRETCHING

Recettori muscolari

I muscoli e le articolazioni contengono vari recettori. Tra questi i fusi neuromuscolari e gli organi tendinei del Golgi esercitano importanti e specifiche azioni suimotoneuroni. In generale, essi rappresentano la parte terminale dei neuroni ed hanno il compito di ricevere gli stimoli che danno inizio alla conduzione. In particolare, entrambi i recettori scaricano quando il muscolo viene stirato e un accenno alla loro anatomia ed alle loro caratteristiche è necessario per comprendere meglio gli effetti dello stretching.

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I fusi neuromuscolari

I fusi neuromuscolari sono degli organelli presenti all’interno dei muscoli scheletrici. Essi sono costituiti da un fascio di piccole fibre muscolari (denominate intrafusali) che ricevono un’innervazione sensitiva e motoria. Il recettore è situato in parallelo con le fibre muscolari ordinarie (extrafusali). Il fascio di fibre intrafusali è costituito da 4-12 fibre muscolari striate che non superano i 10 mm di lunghezza. Il fascio di fibre è avvolto da una capsula ed assottigliato a ciascuna estremità. Il fuso è espanso al centro (regione equatoriale) per la presenza di liquido all’interno della capsula stessa. La regione equatoriale è quasi priva di elementi contrattili.Le fibre intrafusali possono essere distinte in base alla disposizione dei nuclei nella regione equatoriale in a) fibre a sacco di nuclei (che presentano i nuclei raggruppati in gruppi di due o tre) e b) fibre a catena di nuclei (nelle quali i nuclei sono disposti in

fila). Questi due tipi di fibre sono innervati a livello della regione equatoriale da terminazioni afferenti primarie e secondarie.Le terminazioni primarie (in passato chiamate “anulospirali”) innervano entrambe i tipi di fibre; mentre le terminazioni secondarie (in passato chiamate “fiorami”) si distribuiscono quasi esclusivamente alle fibre a catena di nuclei. Le fibre muscolari intrafusali sono inoltre innervate a livello delle regioni polari da piccole cellule motorie chiamate motoneuroni gamma.Organi tendinei del Golgi

E’ disposto in serie con le fibre muscolari ed è costituito da una capsula nella quale penetrano, attraverso uno stretto anello a forma di imbuto, 15-20 fibre muscolari scheletriche. Le fibre muscolari terminano in giunzioni muscolo-tendinee e danno origine a fasci di fibre collagene che si intrecciano e attraversano tutta la capsula. L’organello è innervato da una fibra afferente

Fuso neuromuscolare

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che penetra nella capsula nella sua parte mediana e, dopo essersi ramificata, va ad intrecciarsi con i fasci di fibre di collagene. La contrazione muscolare stira i fasci di fibre di collagene che a loro volta comprimono la terminazione nervosa provocandone la scarica.

Fisiologia dei recettori muscolari e tendinei

Quando si stira un muscolo, sia la fibra afferente dell’organo muscolo-tendineo che quella del fuso aumentano la loro frequenza di scarica. Se si fa contrarre attivamente il muscolo, la frequenza di scarica dell’organo tendineo aumenta ulteriormente, mentre quella del fuso diminuisce o cessa del tutto. Queste differenti risposte dipendono dalla disposizione anatomica dei due tipi di recettori. Infatti gli organi fusali sono disposti in parallelo rispetto alle fibre extrafusali del muscolo, mentre gli organi tendinei del Golgi sono disposti in serie.Lo stiramento passivo del muscolo attiva entrambi i recettori; la contrazione muscolare attiva fa aumentare la scarica degli organi muscolo tendinei e contemporaneamente

detende le fibre intrafusali che cessano di scaricare.Gli organi tendinei per la loro disposizione in serie con le fibre extrafusali, sono sensibili alla tensione del muscolo, mentre i fusi, che sono in parallelo con le fibre extrafusali, sono sensibili alla lunghezza del muscolo.Le afferenze primarie e secondarie dei fusi rispondono con modalità diverse allo stiramento dei muscoli. Entrambi i tipi di fibre rispondono allo stiramento statico, mentre rispondono in maniera differente nella fase dinamica dello stiramento, quando cioè il muscolo sta cambiando lunghezza.In particolare, le terminazioni primarie sono sensibili sia alla lunghezza del muscolo che alla velocità di cambiamento della sua lunghezza, quelle secondarie sono principalmente sensibili alla lunghezza. I motoneuroni gamma innervano le fibre intrafusali nelle loro regioni polari. L’attivazione del motoneurone gamma provoca la contrazione delle fibre intrafusali e lo stiramento della regione equatoriale. Vi sono due tipi di motoneuroni gamma: i motoneuroni gamma dinamici, che innervano le fibre a sacco di nuclei, e i motoneuroni gamma statici che innervano le fibre a catena di nuclei.

Innervazione fusale

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Tali tipi di motoneuroni gamma regolano la sensibilità delle afferenze fusali rispettivamente nella fase dinamica ed in quella statica dello stiramento.La funzione dei motoneuroni gamma è permettere al fuso di mantenere un’elevata sensibilità nell’ambito delle diverse lunghezze che il muscolo può assumere durante la contrazione volontaria o riflessa. Infatti, è stato dimostrato che la contrazione muscolare avviene in seguito ad una coattivazione dei motoneuroni alfa e gamma. La contrazione muscolare provoca un accorciamento dei fusi neuromuscolari che cesserebbero di scaricare se non venissero prontamente rimessi in tensione dalla contrazione delle fibre intrafusali, per opera dei motoneuroni gamma.

Fisiologia dei reccettori

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