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Bollettino dei Filignanesi residenti e sparsi in tutto il mondo La storia che mi accingo a raccontare potrà apparire inverosimile e incredibile ai giovani di oggi che abituati a convivere con i mezzi di comunicazione di oggi, come Facebook, Twitter e via cliccando, non hanno neanche il tempo per fermarsi ad ascoltare. Nei tempi antichi, anche se parliamo di meno di ottanta anni fa, le serate erano scandite da giornate lunghissime illuminate dal sole e serate altrettanto lunghe illuminate dal solo chiarore della luna, quando c’era. Col buio si viveva con la luce incerta del fuoco del camino acceso e da qualche flebile lumino a olio; solo alcuni, che potevano permetterselo, utilizzavano con parsimonia le candele di cera o le lampade ad acetilene. Dopo la frugale e inevitabilmente brevissima cena, si poneva il problema di come trascorrere un breve periodo prima di andare a dormire, chi nelle stanze e chi nelle stalle. In particolare i giovani e giovanissimi si ritrovavano tra di loro alla ricerca di una casa, dove erano raccontate le storie tramandate nel tempo da una generazione all’altra. Ovviamente i racconti più interessanti erano quelli più recenti, in cui gli adulti cercavano di esporsi eccessivamente per non toccare aspetti troppo delicati per le orecchie apparentemente ingenue degli adolescenti, che invece erano prontissimi a cogliere anche le minime sfumature; era il pettegolezzo “gossip” ingenuo e all’acqua di rose di una volta. Una storia che ho sentito raccontare esclusivamente nel nostro ristretto ambito e quindi da non raccontare in giro era quella del rinomatissimo Mago di Longano, che riguardava la nostra famiglia. Nel 1937 la famiglia dei miei nonni materni era stata pesantemente provata per l’immatura scomparsa a soli 16 anni del secondo figlio Pasquale, a causa di una peritonite perforante. Subito dopo il matrimonio di mia madre Stella Capaldi di Selvone, non ancora diciottenne, con mio padre Umberto di Cerreto, avvenne un fatto molto grave per quei tempi. La sorella di mia madre era mia zia Anna, bellissima giovane nello splendore dei suoi 21 anni; era ovviamente corteggiata da tantissimi giovani provenienti dai vari villaggi della zona. A pochi metri di distanza dalla nostra casa di Selvone viveva un bel giovanotto che aveva visto sbocciare mia zia che da bimba era diventata ragazza e poi un’avvenente signorina, era costretto a subire i tormenti di quella visione quotidiana. Un giorno prese la spavalda decisione di organizzare il rapimento di mia zia; spalleggiato da due amici che procurarono un’auto per la bisogna, la costrinsero a salire in auto e la portarono fino a Villa Latina, nella Valle di Comino. Ovviamente ci furono le solite scene di panico e di rabbia sia nella famiglia di mia madre sia in tutto il paese; era un gesto incredibile e inammissibile, che avrebbe portato un’onta gravissima, con conseguenze potevano diventare anche veramente gravi. Dopo due giorni i rapitori riportarono mia zia Anna a Selvone e il giovane in questione si fece precedere dai suoi emissari dicendo che non era stato torto un capello a mia zia, ma che era pronto a riparare il torto che aveva provocato e chiedendo di poter sposarla immediatamente. Mia nonna Concetta era modesta di statura, ma molto bella da giovane e aveva sposato a 19 anni il più affascinante giovanotto del Comune di Filignano (soprannominato il bel giovane, in dialetto glje bièglië gionë poi abbreviato più semplicemente in gljë gionë); mio nonno Michele Capaldi era in effetti non solo dotato di un bel fisico, ma anche molto intelligente e intraprendente (anche troppo); la sua storia verrà raccontata in futuro, anche perché meriterebbe un libro intero. Mia nonna ovviamente aveva dovuto temprare il suo carattere accettando con rassegnazione le “marachelle” di mio nonno; per cui, dopo avere assorbito il primo momento di rabbia feroce, anche perché sperava per quella meravigliosa figliola un partito più adeguato alle sue speranze, decise di prendere un breve momento di riflessione e meditazione. Considerando l’epoca e non avendo alcun tipo di Social Network, senza corrente elettrica, senza telefono e senza alcun tipo di diavoleria con cui potersi confrontare, decise che la soluzione migliore era di affidarsi al consiglio di un qualche mago. A quei tempi ce n’era uno tenuto di altissima considerazione e considerato il meglio in assoluto: il Mago di Longano, paese a circa 50 km da Filignano, vicino Isernia. Senza perdere altro tempo, mia nonna partì a cavallo di un asinello per recarsi a Longano; il viaggio durò circa due giorni per andare, con ricoveri occasionali per la notte. Ovviamente non poteva preannunciare la propria visita, per cui doveva solo sperare nella buona sorte, per azzeccare il momento giusto per essere ricevuta e ascoltata. Giunta finalmente all’abitazione dell’oracolo e dopo prolungata attesa, poté finalmente avvicinarsi con adeguata sottomissione e timoroso rispetto davanti alla persona che rappresentava la quintessenza della saggezza in terra. Mia nonna raccontò le sue traversie familiari, esprimendo anche tutta la sua rabbia che aveva in corpo per l’umiliazione che riteneva di aver subito; dopodiché tacque e attese son sacrale rispetto il giudizio che sarebbe giunto a momenti. Il Mago, dopo un lungo e soppesato mutismo fornì la sua illuminata sentenza esprimendosi nel dialetto Longanese. Cuncè, io ti dico che tu devi lasciare che tua figlia sposi quel giovanotto anche perché succederanno delle cose gravissime e lei Foto del 1915 di Pietro e Concetta Castrataro fatta a Venafro prima che lui partisse per il fronte nella 1° Guerra Mondiale; lei aveva 17 anni.

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Bollettino dei Filignanesi residenti e sparsi in tutto il mondo La storia che mi accingo a raccontare potrà apparire inverosimile e incredibile ai giovani di oggi che abituati a convivere con i mezzi di comunicazione di oggi, come Facebook, Twitter e via cliccando, non hanno neanche il tempo per fermarsi ad ascoltare. Nei tempi antichi, anche se parliamo di meno di ottanta anni fa, le serate erano scandite da giornate lunghissime illuminate dal sole e serate altrettanto lunghe illuminate dal solo chiarore della luna, quando c’era. Col buio si viveva con la luce incerta del fuoco del camino acceso e da qualche flebile lumino a olio; solo alcuni, che potevano permetterselo, utilizzavano con parsimonia le candele di cera o le lampade ad acetilene. Dopo la frugale e inevitabilmente brevissima cena, si poneva il problema di come trascorrere un breve periodo prima di andare a dormire, chi nelle stanze e chi nelle stalle. In particolare i giovani e giovanissimi si ritrovavano tra di loro alla ricerca di una casa, dove erano raccontate le storie tramandate nel tempo da una generazione all’altra. Ovviamente i racconti più interessanti erano quelli più recenti, in cui gli adulti cercavano di esporsi eccessivamente per non toccare aspetti troppo delicati per le orecchie apparentemente ingenue degli adolescenti, che invece erano prontissimi a cogliere anche le minime sfumature; era il pettegolezzo “gossip” ingenuo e all’acqua di rose di una volta. Una storia che ho sentito raccontare esclusivamente nel nostro ristretto ambito e quindi da non raccontare in giro era quella del rinomatissimo Mago di Longano, che riguardava la nostra famiglia. Nel 1937 la famiglia dei miei nonni materni era stata pesantemente provata per l’immatura scomparsa a soli 16 anni del secondo figlio Pasquale, a causa di una peritonite perforante. Subito dopo il matrimonio di mia madre Stella Capaldi di Selvone, non ancora diciottenne, con mio padre Umberto di Cerreto, avvenne un fatto molto grave per quei tempi. La sorella di mia madre era mia zia Anna, bellissima giovane nello splendore dei suoi 21 anni; era ovviamente corteggiata da tantissimi giovani provenienti dai vari villaggi della zona. A pochi metri di distanza dalla nostra casa di Selvone viveva un bel giovanotto che aveva visto sbocciare mia zia che da bimba era diventata ragazza e poi un’avvenente signorina, era costretto a subire i tormenti di quella visione quotidiana. Un giorno prese la spavalda decisione di organizzare il rapimento di mia zia; spalleggiato da due amici che procurarono un’auto per la bisogna, la costrinsero a salire in auto e la portarono fino a Villa Latina, nella Valle di Comino. Ovviamente ci furono le solite scene di panico e di rabbia sia nella famiglia di mia madre sia in tutto il paese; era un gesto incredibile e

inammissibile, che avrebbe portato un’onta gravissima, con conseguenze potevano diventare anche veramente gravi. Dopo due giorni i rapitori riportarono mia zia Anna a Selvone e il giovane in questione si fece precedere dai suoi emissari dicendo che non era stato torto un capello a mia zia, ma che era pronto a riparare il torto che aveva provocato e chiedendo di poter sposarla

immediatamente. Mia nonna Concetta era modesta di statura, ma molto bella da giovane e aveva sposato a 19 anni il più affascinante giovanotto del Comune di Filignano (soprannominato il bel giovane, in dialetto glje bièglië gionë poi abbreviato più semplicemente in gljë gionë); mio nonno Michele Capaldi era in effetti non solo dotato di un bel fisico, ma anche molto intelligente e intraprendente (anche troppo); la sua storia verrà raccontata in futuro, anche perché meriterebbe un libro intero. Mia nonna ovviamente aveva dovuto temprare il suo carattere accettando con rassegnazione le “marachelle” di mio nonno; per cui, dopo avere assorbito il primo momento di rabbia feroce, anche perché sperava per quella meravigliosa figliola un partito più adeguato alle sue speranze, decise di prendere un breve momento di riflessione e meditazione.

Considerando l’epoca e non avendo alcun tipo di Social Network, senza corrente elettrica, senza telefono e senza alcun tipo di diavoleria con cui potersi confrontare, decise che la soluzione

migliore era di affidarsi al consiglio di un qualche mago. A quei tempi ce n’era uno tenuto di altissima considerazione e considerato il meglio in assoluto: il Mago di Longano, paese a circa 50 km da Filignano, vicino Isernia. Senza perdere altro tempo, mia nonna partì a cavallo di un asinello per recarsi a Longano; il viaggio durò circa due giorni per andare, con ricoveri occasionali per la notte. Ovviamente non poteva preannunciare la propria visita, per cui doveva solo sperare nella buona sorte, per azzeccare il momento giusto per essere ricevuta e ascoltata. Giunta finalmente all’abitazione dell’oracolo e dopo prolungata attesa, poté finalmente avvicinarsi con adeguata sottomissione e timoroso rispetto davanti alla persona che rappresentava la quintessenza della saggezza in terra. Mia nonna raccontò le sue traversie familiari, esprimendo anche tutta la sua rabbia che aveva in corpo per l’umiliazione che riteneva di aver subito; dopodiché tacque e attese son sacrale rispetto il giudizio che sarebbe giunto a momenti. Il Mago, dopo un lungo e soppesato mutismo fornì la sua illuminata sentenza esprimendosi nel dialetto Longanese. Cuncè, io ti dico che tu devi lasciare che tua figlia sposi quel giovanotto anche perché succederanno delle cose gravissime e lei

Foto del 1915 di Pietro e Concetta Castrataro fatta a Venafro prima che lui partisse per il fronte nella 1° Guerra Mondiale; lei aveva 17 anni.

Bollettino dei Filignanesi residenti e sparsi in tutto il mondo resterà vedova molto presto, anche se la tua famiglia riuscirà a superarle. A quelle parole mia nonna sobbalzò replicando subito che riteneva insensato farla sposare sapendo già quello che sarebbe avvenuto poco tempo dopo; gli spiegò che lei aveva una figlia, Stella, appena sposata con un giovane di buona famiglia e che non riteneva giusto accettare che questa figlia dovesse subire tutte queste traversie. Al ché il Mago replicò: Cuncè, io ti dico che il destino vuole che poco dopo tua figlia si sposerà nuovamente e avrà un’incredibile fortuna, al punto che quella di sua figlia Stella sarà poca cosa rispetto quella che attende la figlia Anna;. Concluse quindi in colloquio dicendo: Cuncè, vai con Dio e lascia fare al destino, perché tutto andrà bene. Mia nonna, dopo aver pagato la parcella dovuta per il consulto (solitamente costituito da: uova, galline, salsicce, formaggi, ecc.), si riavviò mestamente per il lungo viaggio di ritorno; era convinta di essere stata turlupinata, ma non poteva mettersi contro la predizione del Mago e il Destino che aveva stabilito altrimenti. Giunta a casa, permise alla figlia di maritarsi con il giovane, Antonio Capaldi, che abitava a circa 5 metri di distanza. Subito dopo quel sospirato matrimonio, il novello sposo, a causa della guerra, fu obbligato ad andare al lavorare nei Servizi Ausiliari che erano a supporto dell’Acciaieria di Terni e mia zia lo seguì; dopo pochi mesi, considerando del rischio dei continui bombardamenti aerei su Terni (dove si costruivano armamenti bellici), lei decise di tornare a Selvone, anche perché era incinta e riteneva di essere più sicura e meglio assistita. Mia zia si ritrovò quindi sola, vedova e con un figlio in arrivo; nel frattempo anche mia madre aspettava un figlio, con un leggero anticipo rispetto a mia zia. Io nacqui a Cerreto il 30 aprile 1943, mentre mio padre era impegnato nel fronte Greco/Albanese dove rimase ferito nello stesso giorno in cui nacqui io. Dopo circa tre mesi, nacque il 10 luglio 1943 la mia cuginetta Albina Capaldi (il nome era in ricordo della madre di mia nonna Albina Rongione di Cerasuolo).In quel momento, nonostante le fosche previsioni, sembrava che la famiglia avesse un momento di felicità e tranquillità, nonostante che mio padre fosse impegnata nel fronte di combattimento e lo zio Antonio fosse in posto ad alto rischio; purtroppo quel momento di serenità familiare durò molto poco.

Subito dopo la fine di Settembre 1943 arrivò l’ordine di evacuazione da parte dell’Esercito Tedesco che inviò un consistente numero di veicoli per trasportare gli sfollati fuori da quella che, secondo i loro

piani, sarebbe dovuto diventare un’inespugnabile fronte di combattimento per bloccare l’avanzata delle truppe Alleate ormai prossime: la cosiddetta Linea Gustav. Moltissimi abitanti delle varie frazioni di Filignano, cui si erano aggiunte persone che arrivavano dalla valle di Venafro e addirittura da Napoli, ritennero che sarebbe stata una mossa molto intelligente di nascondersi per sottrarsi ai rastrellamenti; solo i più anziani e i meno intraprendenti si rassegnarono mestamente a farsi caricare sugli autocarri dei Tedeschi; erano rassegnati a un triste destino, anche se a posteriori furono i più fortunati. Gli altri ritennero che la frazione di Mastrogiovanni potesse essere un rifugio nascosto e inaccessibile; a quei tempi non esisteva la strada e ci si arrivava solo tramite delle

strette mulattiere; il gruppo di case non era visibile dalla vallata. Mai previsione fu così

incredibilmente errata; subito dopo arrivarono le truppe di combattimento per preparare le fortificazioni in attesa degli inevitabili scontri con le truppe nemiche. I soldati trovarono la sorpresa di avere attorno un numero incredibile di civili, tra cui moltissime

donne, bambini e qualche vecchio; tra questi c’erano i miei nonni materni, mia madre con mia zia e noi bimbi di pochi mesi; c’era anche il mio bisnonno Domenico Castrataro, che, nonostante non fosse in grado di camminare, fu portato da Selvone fino sopra quel gruppo di case; tutta quell’incredibile moltitudine di persone, civili e militari erano accatastati alla meglio nelle poche stanze e stalle disponibili. Pochi giorni dopo cominciarono i combattimenti, preceduti da

pesanti cannoneggiamenti che si accanirono proprio su Mastrogiovanni; i poveri soldati Tedeschi combattevano avendo a fianco quei civili che convivevano restando vicini a loro acquattati e passando il tempo pregando; i bambini erano soggetti ovviamente a tutte le possibili malattie, anche a causa di un’igiene inesistente e cibo inadeguato; i medici Tedeschi facevano il loro meglio per assisterli, ma anche loro non erano in condizioni migliori. Fortunatamente un anziano medico molto coraggioso di Cerreto,

Dicembre 1942 a Selvone; Anna e Stella Capaldi con la madre Concetta Castrataro; entrambe in attesa; Anna di 2 e Stella di 5 mesi circa.

Bollettino dei Filignanesi residenti e sparsi in tutto il mondo Vincenzo Izzi (1863-1946), aveva deciso di restare con loro per poterli assisterli; anche lui rimase ferito per lo scoppio di una bomba. Fece anche un intervento al seno di mia zia Anna, che aveva un problema con il latte che stava creando un’infezione interna; intervenne operando, senza anestesia, aprendo il seno con un bisturi. Nel frattempo mio nonno Michele, sentendo la responsabilità di fornire un minimo di cibo per le persone della famiglia e degli altri, passava continuamente le linee tra Mastrogiovanni e Filignano centro; un giorno ebbe un violento diverbio con l’allora Sindaco Supplente, Pasqualino Mancini, per farsi dare non uno, ma un blocchetto di lasciapassare, per evitare di essere fucilato come

ipotetica spia da entrambi i contendenti. Dopo due mesi di furibondi attacchi e contrattacchi i Tedeschi obbligarono i civili a spostarsi in direzione di Cerasuolo; alcuni soldati li accompagnarono fino a un certo punto e poi li lasciarono andare. Dopo un lento e faticoso cammino riuscirono ad arrivare a Cerasuolo che trovarono ancora in discrete condizioni; si sistemarono alla meglio, felici di trovare le case vuote e senza i soldati; i Tedeschi si erano già ritirati verso Cardito e gli Alleati erano ancora a Selvone.

Uno o due giorni dopo arrivarono le truppe Alleate che distribuirono cibo e qualche assistenza; sembrava un incredibile miracolo. Purtroppo arrivò un altro ordine che obbligava tutti i civili a evacuare tutte le case e a spostarsi fuori del paese. Iniziò quindi un “finto”

combattimento delle truppe Alleate che partivano all’assalto del paese con colpi di mortaio, carri armati e assalti; tutto questo era stato organizzato per realizzare un filmato da inviare in America per mostrare come i loro sodati combattevano affrontando la morte per scacciare i nemici asserragliati nelle case per ostacolare la loro eroica avanzata. In conclusione il martoriato paese di Cerasuolo fu totalmente distrutto (raso al suolo); questa è una delle tante tragiche realtà della guerra. Era Natale del 1943. I miei nonni, mia madre con noi due bimbi e il mio bisnonno invalido, riuscirono con molta fatica e sofferenze, ad arrivare a Selvone, ma la casa era ormai inagibile; saputo che quella di Cerreto era ancora in piedi, continuarono il cammino fino ad arrivare a destinazione. Incredibilmente la casa era intatta e tutte le riserve alimentari che avevano abbandonato (molte erano state nascoste) erano ancora disponibili. Era il ritorno alla civiltà. Purtroppo pochissimo dopo arrivò la drammatica notizia a mia zia Anna, che il suo povero giovane marito Antonio aveva perso la vita a Terni il 6 novembre 1943 sotto un bombardamento aereo degli Alleati. La prima parte della predizione del Mago di Longano si era avverata. Per qualche mese tutta la famiglia visse abbastanza comodamente nella casa di Cerreto; il bisnonno Domenico, anche se invalido, stava sempre seduto affacciato al balcone ordinando e controllando attentamente le sue due bellissime nipoti; troppi giovani soldati americani, con la scusa di portare il cioccolato ai due bimbi, tentavano di avvicinarsi! Quel momento di relativa serenità svanì di lì a poco; infatti, la mia cara cuginetta Albina si ammalò di Difterite, malattia gravissima per quei tempi, e morì il 10 maggio 1944, mentre a pochi chilometri di distanza infuriava la battaglia decisiva di Montecassino tra gli Alleati e i Tedeschi; tra l’altro mia madre non aveva avuto più notizie circa la sorte di mio padre. Fortunatamente mio padre si presentò a casa alla fine del mese di Giugno del 1945, dopo un viaggio con mezzi di fortuna prima da Tarvisio a Milano, dove riuscì a ritrovare delle persone originarie di Filignano che gli comunicarono che il paese era totalmente distrutto e che le persone erano tutte morte.

Con l’animo in subbuglio proseguì alla meglio verso Bologna e poi a Roma, dove trovò altre persone di Filignano che gli dissero che eravamo fortunatamente ancora vivi.

Un bel giorno si presentò a casa e mi trovò che avevo ormai compiuto due anni.

Dopo tante devastazioni la vita riprese tra lutti e macerie; anche i miei bisnonni rientrarono da Alatri/Fiuggi, dove avevano atteso con enormi sofferenze fisiche e psicologiche che la tormenta terminasse.

Nel 1948, due anni dopo la nascita di mia sorella Bruna, un giovanotto, Gabriele Izzi nato a Bruxelles, ma originario di Cerasuolo, venne apposta per conoscere

Soldati francesi; Messa di Natale 1943 sul sagrato della chiesa di Cerasuolo, distrutta dai bombardamenti

Mastrogiovanni, inizio Dicembre 1943; cannoneggiamento; le case erano gremite di civili inermi; tra loro c’erano anche i miei nonni, mia madre e io, che avevo solo sette mesi

Bollettino dei Filignanesi residenti e sparsi in tutto il mondo mia zia Anna; nonostante la mia totale contrarietà di bambino di 5 anni, si sposarono e, ancora peggio per me che ero molto legato a mia zia e lei a me per ovvi motivi, decisero di andare a Bruxelles; mi ricordo perfettamente di un tristissimo pomeriggio di fine 1948, quando andai a piedi da Selvone a Cerasuolo con mia nonna per salutare mia zia; fu un momento straziante.

Fortunatamente circa un anno dopo nacque a Etterbeek-Bruxelles la mia nuova cuginetta Mirella e un mese dopo a Cerreto la mia nuova sorellina Alba. La vita ricominciava con migliori auspici.

Qui inizia finalmente la parte incredibile che conferma la totale esattezza dei presagi del Mago di Longano.

Mio zio Gabriele, con i suoi familiari e di tanti altri compaesani, svolgeva l’attività di produzione e vendita di gelati; in modo artigianale la notte preparavano il gelato che andavano a vendere il mattino successivo nelle vie della città utilizzando inizialmente dei carrettini trainati da cavalli o con dei tricicli, poi evoluti in camionette attrezzate.

Alla fine di Agosto del 1952, di ritorno da un viaggio a Glasgow con mia madre, che aveva 29 anni, e col mio fratellino Vincenzo (Enzo) di 18 mesi, fummo accolti nel porto di Ostenda, provenienti via nave dal porto Dover, dove ci aveva accompagnati mio nonno Daniele, da mia zia Anna e da zio Gabriele che in treno ci condussero fino alla loro casa a Bruxelles, dove ci trattenemmo per diversi giorni in famiglia nella loro casa di Etterbeek.

Subito dopo la nostra partenza, mia zia ritenne che quella sistemazione in tale contesto abitativo e lavorativo non fosse adeguata ai suoi desideri: Decise quindi di mettersi alla ricerca di un’abitazione dove poter continuare l’attività dei gelati senza alcun tipo di condizionamento.

Vincendo le forti resistenze degli altri membri della famiglia di mio zio, che però appoggiava senza alcuna resistenza tutte le decisioni

di mia zia, si trasferirono nel posto che lei aveva finalmente individuato. Si trovava in un quartiere non centrale, ma sicuramente più elegante e la via era collocata in posizione abbastanza strategica per quei tempi: Rue de la Mutualité 57°, Uccle di Bruxelles.

Iniziarono l’attività da soli; fatto il gelato, lo zio partiva per il giro nel quartiere, mentre mia zia attendeva il suo ritorno dopo alcune ore. Per non restare inutilmente inattiva decise di aprire una finestra e iniziare a vendere i gelati direttamente ai passanti. Incredibilmente e inaspettatamente ebbe un successo sorprendente, al punto di avere i clienti in coda e in paziente attesa; anche il nome che lei le diede fu perfetto, Gelateria ZIZI (anagramma id IZZI) che ancora resiste dopo oltre 50 anni.

Per far fronte alla forte richiesta di produzione di gelati, mia zia chiese l’aiuto di un nostro compaesano, amico e parente: Armando Pacitti di Selvone, che avevano inizialmente solo ospitato. Cominciò dando una mano a fare il gelato al suo ritorno dal lavoro giornaliero ma, visto l’impegno crescente, decisero che diventava indispensabile la sua presenza a tempo pieno. Neanche questo fondamentale aiuto si rivelò adeguato all’ulteriore aiuto; mia zia si vide costretta in modo progressivamente frenetico a chiamare altre ragazze dal Comune di Filignano per fornire l’aiuto necessario.

Nel giro di poco tempo si decise a realizzare una saletta interna per il consumo del gelato, in aggiunta alla vendita ai passanti all’esterno; le code aumentavano incessantemente.

Per farla breve, era diventata un’attività molto importante e notevolmente redditizia. Mia zia mi raccontava che un gravoso lavoro giornaliero (sette giorni su sette) era di contare il cassone di piccole monete che si accumulava; dovevano suddividerle, contarle e impacchettarle per portarle in banca.

Persino il lattaio, che inizialmente forniva solo alcuni bidoncini di latte nell’ambito del suo giro alle abitazioni, si vide costretto ad attrezzarsi di conseguenza per lo spaventoso consumo cui doveva far fronte.

La gelateria era diventata come una vera “slot machine” da cui usciva continuamente un flusso ininterrotto di monete. La vera ragione di tanto apparentemente miracoloso successo era tutto dovuta alle capacità di mia zia e alla sua connaturata capacità di saperle esprimere con estrema naturalezza.

- Bella e accattivante presenza

- Sorriso dolce e attraente

- Cortesia nei modi

- Semplice ed elegante allo stesso tempo

Dicembre 1948; matrimonio di Gabriele Izzi e Anna Capaldi

Selvone 1977; Gabriele e Anna; lui morì l’anno successivo.

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- Qualità senza compromessi nel prodotto

- Estrema pulizia in tutto

- Disponibilità a servire i clienti sempre e comunque

- Continua innovazione per adeguarsi ai gusti dei clienti

Questo insieme di fattori combinati tra loro furono la vera ragione del successo; prima che del prodotto, i clienti si fidavano di mia zia e lei era innamorata dei suoi clienti; riteneva che ogni sforzo speso per

soddisfarli era giustificato non dalle vendite, ma del fatto che loro erano contenti e affascinati da lei. Ovviamente fu anche in grado di trasmettere questo spirito a tutto il numero incredibile di persone che si avvicendarono negli anni per sostenere la crescita continua.

Molte giovani ragazze arrivano dall’area di Filignano che erano delle belle contadinelle e nel giro di poco tempo diventavano delle signorine corteggiatissime e che rapidamente si sposavano, avvicendandosi con altre ragazze.

A quel punto mia nonna si rese conto che tutto quello che era stato predetto dal Mago di Longano con 15 anni di anticipo si era avverato in pieno; solo allora mia nonna si decise a raccontare la storia che fino ad allora aveva gelosamente tenuta nel suo cuore.

Nel lungo percorso Cerreto > Selvone > Longano > Selvone > Mastrogiovanni > Cerreto > Selvone > Cerasuolo e infine Bruxelles il presagio era giunto a compimento.

Ancora pochissimi anni fa, durante i nostri frequentissimi colloqui a due e parlando di questi avvenimenti, mia zia mi diceva che avrebbe volentieri rinunciato a tutta la fortuna del mondo pur di avere ancora solo un po’ di salute da godere insieme ai suoi affetti più cari; continuava a dirmi: lascia tutto e torna al paese perché vale più di tutto l’oro del mondo.

Aveva tanta ragione e non ci voleva l’aiuto di alcun mago per giungere a questa conclusione, che abbiamo tutti davanti agli occhi, ma non siamo in grado di vedere e apprezzare.

Daniele Salvatore

Gelateria ZIZI Bruxelles

Foto stupenda del 1900 per il matrimonio a Bruxelles di

Antonia Tedeschi e Vincenzo Izzi, entrambi originari di

Cerasuolo, genitori di Gabriele

Uccle, Bruxelles @ 1957; Gelateria ZIZI: il 1° a sinistra è Armando Pacitti; ultimi a destra Gabriele e Anna; al centro la figlia Mirella.

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