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Bollettino dell’Ordine Martinista n. 80 Equinozio di Primavera 2021 La presente pubblicazione non è in vendita ed è riservata ai soli membri dell’Ordine Martinista Stampato in proprio

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Bollettino dell’Ordine Martinista n. 80 Equinozio di Primavera 2021

La presente pubblicazione non è in vendita ed è riservata ai soli membri dell’Ordine Martinista

Stampato in proprio

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ORDINE MARTINISTAORDINE MARTINISTA

2Redazione

Direttore Responsabile: Renato Salvadeo - via Bacchiglione 20 - 48100 Ravenna

SOMMARIOSOMMARIO

ARTURUS - S:::I:::I::: S:::G:::M::: - CURIOSITÀ GNOSTICHE E CENNI SUL PROGRAMMA DI MEDITAZIONE NEL PERCORSO MARTINISTA - pag.3

MENKAURA - S:::I:::I::: - UNA SCOPERTA IMPORTANTE - pag.9

MOSÈ - S:::I:::I::: - ALCUNI UTILI RIFERIMENTI CONCETTUALI - pag.21

PREMA - S:::I:::I::: - EBBENE SÌ - pag.25

ATHANASIUS - S:::I::: - PICCOLE RIFLESSIONI SULL’INTERIORIZZAZIONE - pag.28

BETH - S:::I::: - L' ULIVO E LE ORIGINI - pag.29

DIANA - S:::I::: - SENSI E CONTROLLO DELLA MENTE - pag.31

MIRIAM - S:::I::: - L’IMPORTANZA DEL NOME NELLA TRADIZIONE - pag.35

MORGON - S:::I::: - CONCENTRAZIONE SENZA SFORZO - pag.39

OBEN - S:::I::: - LA BABELE - pag.40

SHINTO - S:::I::: - MEDITAZIONE, PREGHIERA ED ESOTERISMO - pag.42

RAZIEL - I:::I::: - TRADIZIONE E SOCIETÀ SEGRETE, LEGGENDE, STORIA E DEGENERESCENZA - pag.48

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Curiosità gnostiche

e cenni sul programma

di meditazione

nel percorso Martinista

ARTURUS S:::I:::I:::S:::G:::M:::

Tra i nostri riferimenti di studio, suggeriti subito ai

neofiti, è prevista: l’ascesi gnostica con particolare

riguardo alla teoria ellenica dell’eterno ritorno.

Come è noto, per “ascesi” s’intende di solito un atteg-giamento spirituale e dottrinale mirante al raggiungi-mento di una purificazione spirituale, supportataanche da metodi rituali, miranti alla conquista dellaperfezione della personale “essenza”.In merito allo gnosticismo, si potrebbe ricordare cheè stato un movimento filosofico, religioso ed esoteri-co; quindi, anche a carattere iniziatico, affatto univo-co ma molto articolato e complesso. Di solito, se neindividua la presenza originaria, soprattutto nell’am-bito ellenistico, greco-romano, con una massima dif-fusione tra il II e il IV secolo d.C. Il termine gnosticismo deriva dalla parola greca gnó-sis (γνῶσις), cioè «conoscenza», che era l'obiettivoche esso si poneva. Tale termine fu però immaginato da Henry More nel1669, con evidente riferimento al vocabolo greco, uti-lizzato nell'antichità dai seguaci di quel movimento.Gli studiosi tendono a collocare tutto questo soprat-tutto in un contesto cristiano, però esistono anchepareri differenti che ne ipotizzano l’esistenza benprima del cristianesimo, contemplando l’inclusionedi credenze religiose precristiane e poi pratiche spiri-tuali comuni alle origini del cristianesimo, al neopla-tonismo, all'ebraismo del secondo Tempio, alle reli-gioni misteriche e allo zoroastrismo (specialmenteper ciò che riguarda lo zurvanismo). La dis-cussione sullo gnosticismo ha poi avuto note-

voli variazioni, con la scoperta dei Codici diNag Hammadi, che avrebbe indotto gli stu-diosi ad una revisione di tutte le precedenti

ipotesi.In tali ambiti misterici, la luce della sapienza divina,a volte rappresentata simbolicamente da un serpentedal volto di leone, detto “Glicone” (per alcuni, mani-festazione del dio Asclepio), potrebbe indurre a con-statare come le origini dello gnosticismo siano stateper lungo tempo oggetto di controversia. Sono ancheoggi, un interessante soggetto di ricerca. Ad ogni modo, varie esplorazioni sembrerebbero por-tare verso l’individuazione di radici che affondano inepoca precristiana. Spesso, infatti, lo gnosticismoveniva considerato in ambito cristiano, cattolico, manon solo, come una sorta d’eresia. Comunque, sembrerebbe che le prime tracce di siste-mi gnostici possano essere trovate già alcuni secoliprima dell'era cristiana. Infatti, durante un Congressodegli Orientalisti (Berlino 1882) Rudolf Kessler ipo-tizzò un possibile collegamento tra “gnosis” e reli-gione babilonese. Non si riferiva alla religione origi-nale della Babilonia, ma a quella più sincretistica chesi sviluppò dopo la conquista della regione da parte diCiro il Grande.Poi (nel 1889) Wilhelm Brandt pubblicò il suoMandäische Religion, in cui dissertava sulla la reli-gione “mandea”. In tale opera tendeva a dimostrarecome quella religione rappresentasse una forma cosìevidente di gnosticismo, da essere prova che lo gno-sticismo era esistito indipendentemente ed anterior-mente al cristianesimo.Altri studiosi, invece, hanno continuato a ricercare lafonte delle teorie gnostiche nel mondo ellenistico especialmente, nella città di Alessandria d'Egitto. Nel 1880 Manuel Joël tentò di collegare a Platone,con qualche forzatura, l'origine di tutte le teorie gno-stiche. Però, l'influenza greca sulla nascita e sullo svi-luppo dello gnosticismo non può essere negata. Inogni caso, soprattutto il pensiero alessandrino sem-

brerebbe aver avuto qualche influenza,almeno nell’ambito dello sviluppo cristia-no. Infatti, si nota che la maggior parte

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La consultazione di cenni storici

sull’Ordine Martinista, è possibile sul

sito ufficiale:

http://www.ordinemartinista.org

Inoltre

possono essere ascoltati e visti interessanti dissertazioni su:

https://www.youtube.com/playlist?list=PLu46C2GZxeQkzFKr

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della letteratura gnostica di cui si ha cono-scenza, proviene da fonti egiziane, copte.Il tutto, nonostante il lavoro combinato dimolti studiosi, mantiene ancora abbastanza misterio-se le proprie vere origini.Nonostante la rilevanza del pensiero gnostico abbiacominciato ad affievolirsi, a partire dal IV secolo, simantengono tuttavia tracce della persistenza di taliconcezioni nella storia del pensiero religioso e filoso-fico occidentale fino ai giorni nostri dove si manifestaanche la presenza di un certo numero di “strane”,sedicenti “Chiese Gnostiche”.Tornando alla storia, quando Ciro il Grande entrò aBabilonia nel 539 a.C., s'incontrarono due grandiscuole di pensiero e iniziò il sincretismo religioso. Alcuni sostengono che il pensiero persiano comin-ciasse a mescolarsi con l'antica civiltà babilonese. Così, l'idea della lotta titanica tra bene e male, chepervade l'universo in eterno, sarebbe quella dallaquale deriverebbe il mazdeismo, o dualismo persiano. A questo si aggiungerebbe l’ipotesi esistenziale diinnumerevoli spiriti intermedi, di angeli e di demoni.Inoltre, avendo come punto focale quello dell’osser-vazione, dello studio, della fiducia nell'astrologia e laconvinzione che il sistema planetario avesse pienainfluenza su ogni cosa del mondo ma non solo, si puònotare l’assorbimento di tali concetti, operato dallepopolazioni caldee.La grandezza dei Sette (Luna, Mercurio, Venere,Marte, Sole, Giove, e Saturno), il sacro Hebdomad,simboleggiato per millenni dalle torri di Babilonia,cessò di essere percepita progressivamente come rife-rimento divino, ma rimase come collegamento adarconti e dynameis (virtù, angeli), a regole e poteri, lacui quasi irresistibile forza interagiva con l'uomo. A volte, molti di questi furono trasformati da deiluminosi a devas, spiriti cattivi. La religione degli invasori si fuse probabilmente conquella degli invasi, portando ad un compro-messo: ogni anima, nella sua ascesa verso ildio dello splendore e la luce infinitadell'Ogdoade, doveva combattere control'avversa influenza del dio o degli deidell'Hebdomad. Questa ascesa dell'anima

attraverso le sfere planetarie fino al paradisocominciò ad essere concepita come una lottacon poteri avversi e divenne la prima e pre-

dominante linea dello gnosticismo che comunque eraed è ricco di tante altre caratteristiche.Ad esempio, il pensiero riguardante la magia, permeaogni ambito. Ne consegue che il potere operato danomi, suoni, gesti ed azioni condizionerebbe, in anti-cipo, la realizzazione di qualsiasi cosa. Queste formu-le magiche si presenterebbero come una parte essen-ziale dello gnosticismo e furono notate in tutte leforme di quello cristiano. Nessuna gnosis (conoscenza, illuminazione, ecc.) eracompleta senza la comprensione delle formule che,una volta pronunciate, avrebbero consentito l'annulla-mento degli eventuali poteri ostili. Lo gnosticismo entrò in contatto col mondo ebraicoabbastanza presto, soprattutto con le zone ben orga-nizzate ed estremamente colte esistenti nella valledell'Eufrate, ove questo primo contatto col giudaismosi svelò come naturale. Probabilmente l'idea gnosticadi un Redentore deriva proprio dai convincimentimessianici ebrei. Però la concezione gnostica di un Salvatore sovruma-no, evidenziata nel Manda d'Haye, o Soter, è unamanifestazione immediata della Divinità, un Signoredella Luce, un Æon (Eone).Tra le varie concezioni gnostiche, non si può certoevitare di ricordare l’Uroboro, il serpente che simorde la coda, simbolo esoterico della ciclicità deltempo. Di questo, sembra che dissertasse ancheMaria la profetessa, in Alessandria d'Egitto.Spesso in sintonia con tutto ciò, una particolareimmagine è inserita, ad esempio, anche in quella del"serpente" di cui scrive Nietzsche in “Così parlòZarathustra”: «…..Un'aquila volteggiava in larghicircoli per l'aria, ad essa era appeso un serpente, noncome una preda, ma come un amico: le stava infatti

inanellato al collo…….» Alcuni avrebberodedotto che l'aquila corrisponderebbe alsuperuomo per il quale il tempo come "eter-no ritorno", non costituirebbe un ostacoloalla sua volontà di potenza che, secondoquesta ipotesi, dominerebbe il tempo.

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Ad ogni modo, l' Uroboro (chiamato in varimodi a seconda della lingua utilizzata) si pre-senterebbe come un simbolo decisamenteantico; sarebbe presente in molti popoli e in diverseepoche. Rappresenta un serpente o un drago che simorde la coda, formando un cerchio senza inizio, néfine.L’apparente immobilità si fonde con un eterno movi-mento. Secondo alcuni, rappresenterebbe l’essenzaesistenziale che divora e rigenera sé stesso, l'energiauniversale che si consuma e si rinnova di continuo, lanatura ciclica delle cose. Tutto ricomincerebbe dall'i-nizio dopo aver raggiunto la propria fine. Potrebbe simboleggiare in continuo dinamismo,anche l'unità, la totalità, l'infinito, l'eternità, il tempociclico, l'eterno ritorno, l'immortalità e la perfezione.Continuando ad indagare sullo gnosticismo, sipotrebbe osservare che un importante movimento delcristianesimo delle origini, sviluppatosi soprattutto adAlessandria d'Egitto nel II-III secolo, si concretizzò,suddividendosi in numerose scuole. Il serpente era il principale animale simbolico degliOfiti (dal greco ὄφις, ofis, "serpente") e dei Naasseni(dall'ebraico nâhkâsh, "serpente"), che gli attribuiva-no facoltà demiurgiche (creatrici e generatrici); tal-volta lo associavano poi al Cristo. In questi collegamenti divini con figure animali, sitrova anche Abraxas, il quale era un dio ibrido:umano-animale, con la testa di gallo e il corpo di ser-pente. Erano diffusissimi i talismani a lui riconduci-bili, con scritte magiche incorniciate dal serpenteUroboro, quale simbolo del dio Aion (personificazio-ne del Tempo, insieme a quella più celebre diChronos, venerato come "Signore della luce"). Infatti,era importante sintetizzare la concezione gnosticadella totalità del tempo, dello spazio e dell'oceano pri-mordiale che separava il regno superiore del pneuma(respiro, aria, soffio vitale, anima, principio origina-rio, “archè”, ecc.), dalle tenebrose acque delmondo inferiore.Spaziando nella tradizione alchemica, sipotrebbe notare che l'Uroboro si presentereb-

be come un simbolo palingenetico (ovvero dinuova nascita). Infatti, rappresenterebbe ilprocesso collegato al ciclico susseguirsi di

distillazioni e di condensazioni necessarie a purifica-re e portare a perfezione la "Materia Prima". Secondotale punto di vista, durante la trasmutazione, laMateria Prima si dividerebbe nei suoi principi costi-tutivi. Per questo motivo l'Uroboro alchemico verreb-be spesso rappresentato anche nella forma di due ser-penti che ingoiano le code. Quello superiore, alato, ècoronato e provvisto di zampe; rappresenterebbe laMateria Prima in forma volatile. Quello sottostante,sarebbe il cosiddetto residuo fisso. Dalla loro riunio-ne in un unico Uroboro rappresentato con le zampe eincoronato (quindi un vincitore dominante), si otter-rebbe la pietra filosofale, il "grande elisir" o per alcu-ni, la "quintessenza".In particolari ambiti iniziatici, viene suggerito,lasciando il compito prima alla personale intuizione epoi alla comprensione, d’immaginare la possibilità diritrovarsi oltre il tempo e lo spazio, tendendo allaConoscenza, mentre si cerca di avvicinarsi semprepiù all’origine della Luce.A differenza di tante altre indicazioni, a volte antite-tiche, di personaggi ritenuti a torto o a ragione, auto-revoli, ciò dovrebbe avvenire senza alcuno sforzo psi-chico ed ovviamente senza l’uso di forza muscolare odi ogni altra attività corporea.E’ ovviamente un’indicazione per accedere “oltre ilconosciuto” e contemporaneamente a “Trasmutare”.Come ho dissertato più volte in merito, si tratta di unavia, tramite un’indagine introspettiva senza sforzo,senza quella concentrazione “violenta” che implica laproduzione di adrenalina.Si tenderebbe alla conquista del progressivo silenziocontemplativo di sé e di tutto ciò che esiste, immedia-tamente e senza la minima tensione.Potrebbe portare a riscoprire con grande apertura,

oltre a tutto quello che appare, ciò chesiamo da sempre, sia in relazione ai sensi,che nell’immersione nella Luce spirituale,incredibile, che pervade ogni cosa.

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Forse, si potrebbe immaginare una sorta dipresenza che è assenza sempre presente.L’Arte (da non confondere con un metodo) èquella di riuscire a rimanere in questa presenza.Solo allora anche i sensi si scioglierebbero liberi,spontaneamente, senza nessuno sforzo. Gli ermetistine fanno cenno affermando che così, quando tutto siastato compiuto in modo giusto e perfetto, si manifestainaspettata la “Trasmutazione” o meglio, la GrandeOpera.In un certo modo potrebbe apparire semplice, per lomeno da descrivere, ma riuscirci anche in piccolamisura, non lo è affatto. Lo hanno saputo e lo sannobene coloro che hanno tentato di sperimentarlo inquelle vie che prevedono questi tipi di suggerimentiChi ha avuto un minimo di successo, “conosce” ciò dicui si tratta. Gli altri, no. Eppure quest’ultimi, in ognitempo, nonostante la non conoscenza, ne parlano, nescrivono; quindi con buona probabilità, lo fanno inmodo inevitabilmente errato ed a sproposito.Sembrerebbe comunque che questa sia una via dasempre aperta, in piena evidenza, per tutti coloro chevogliono veramente cercare “Conoscenza e Verità”ma solo se sono in grado di “intendere”.Un eco decisamente importante di tutto quanto hoaccennato, lo troviamo nel programma formativo cheprecede quello delle meditazioni strutturate previstodal nostro Ordine Martinista.In effetti, è una parte spesso sottovalutata dalla mag-gior parte dei neofiti, ma non solo da loro.Inoltre più volte, durante le esercitazioni riguardantiil potenziamento della volontà, della memoria, conparticolare attenzione a quella “fotografica”, non èaffatto raro che si continui a non comprendere la cor-retta funzione del “silenzio interiore ed esteriore”.Alcuni poi, non riescono neppure a capire che inmodo propedeutico per ogni altra cosa successiva, èindispensabile fare uso della chiave d’accesso specia-le ed esclusiva per noi, la quale “apre il por-tale” che consente il collegamento eggregori-co; ovvero, quella chiave finalizzata a tentarel’interazione con un primo livello spirituale

di cui noi stessi siamo parte integrante, che siintuisce e in cui evidentemente si crede o perlo meno si dovrebbe, se si vuole continuare a

camminare con noi. E’ costituita operativamente oltreche dall’indispensabile armonia (che però è da con-quistare, di solito in modo progressivo) tra mente ecuore rivolti in modo volitivo verso la Luce, anchedalla particolare batteria, dal gesto (guarda caso, sonoentrambi differenti nei gradi), dalla corretta costru-zione del nostro pentacolo e poi quando è previsto,dalla corretta sillabazione del nome ineffabile.Non è ininfluente per un Martinista, come per qual-siasi altro ricercatore che voglia operare su sentieritradizionali, mettere a punto un particolare allena-mento per il potenziamento della volontà priva disupporti adrenalinici e poi per la concentrazione.Nell’ esercitarsi, il modo più semplice è quello di rita-gliarsi uno spazio personale, esclusivo, silenzioso eriservarsi il tempo necessario (almeno cinque minutial giorno, possibilmente alle stesse ore). E’ opportuno capire che se non si ha già un certo alle-namento, e probabile che per mettere in campo unnuovo modo di utilizzare il cervello, si troveranno lestesse difficolta comuni a chiunque tenti di servirsi diun muscolo che utilizza raramente. Quindi sono damettere in conto dopo pochi secondi, anche moltepli-ci fallimenti, per lo meno iniziali. Però come accadeper un muscolo, prima o poi l’allenamento costanteconsentirà lo sviluppo ed il mantenimento di quantonecessario. Per quanto riguarda il corpo, è preferibile trovare unaposizione confortevole, tenendo presente che gli artio qualsiasi parte del fisico devono poter ricevere lagiusta irrorazione sanguigna ed i nervi non devonovenire sollecitati, in modo inusuale; diversamente,dolori e/o formicolii si manifesterebbero subito inmodo disturbante.Giusto per non incorrere in equivoci, è bene com-

prendere che la posizione suggerita daivademecum (ottimale per vari ulteriori svi-luppi operativi) potrebbe svelarsi non ido-nea per chi non avesse un corpo giovane, .

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elastico e/o che fosse afflitto da qualche pro-blema alle articolazioni. Anche una semplice posizione seduta con laschiena ben dritta può soddisfare abbastanza quantonecessario.Nel caso si preferisse distendersi completamente, saràopportuno tenere presente che in caso di normalestanchezza psico-fisica, il rilassamento senza control-lo potrebbe portare a far scorrere immagini pre-sognonella mente; quelle indurrebbero facilmente ad addor-mentarsi, vanificando l’esercitazione.Immagino che premesso tutto questo, però ognunoabbia già preso qualche abitudine, anche minima, sulmodo di rilassarsi. Ad esempio, si può iniziare a ral-lentare progressivamente il respiro; meglio se osser-vato e limitato nella parte inferiore dei polmoni (sigonfia la pancia anziché il petto). Quindi, si visitamentalmente ogni parte del corpo rilasciando voluta-mente la tensione dei nervi, notando che solo questasemplice operazione porta a percepire l’abbandono ela pesantezza degli arti. L’effetto sul collo potrebbefar sentire il peso della testa e poi dopo l’allentamentodei muscoli facciali, mascellari, c’è la possibilità diritrovarsi progressivamente concentrati solo sul cer-vello mentre si perde la percezione del resto del fisi-co.Ovviamente ci sono anche altre possibilità che forsesono più usuali per qualcuno. Quindi, non starò a pro-porre altri esempi. Da questo momento in avanti, si hanno almeno duepossibilità metodologiche d’indagine mentale su séstessi. La prima, affatto facile per chiunque, porta tra-mite il solo uso della mente (senza sforzo adrenalini-co) nel “vuoto silenzioso”, ad una presa di coscienzaquasi repentina di sé, attraverso il canale dellacoscienza a cui ci si arrende senza riserve, liberandolada ogni ostacolo che impedisca il collegamento armo-nico tra mente ed anima-cuore, tendente alla Luce. Gli ostacoli (a volte, vere e proprie monta-gne) possono essere costituiti in molti casi,da condizionamenti emotivi, conseguenti allaformazione, alle esperienze collegate a: fami-glia, scuola, religione, leggi, morale comune,

desideri di potenza, ritualità finalizzate allariproduzione, ecc.Se non si rimuovono, risulta poi difficile

diventare osservatori “asettici”, impersonali, di séstessi.L’osservazione di sé, è indispensabile per “conoscer-si” e per “ricordare” chi siamo.Quando ci si riesce, anche solo per una piccola por-zione, l’esperienza più comune risulta essere quella diun’alterazione delle percezioni spazio-temporali,relative all’individuazione della collocazione esisten-ziale di sé stessi, intendendola in modo “sferico, plu-ridimensionale”.Come ho accennato, questa via “diretta”, non è affattoagevole per tutti, dal momento che la forza mentalericonducibile all’IO che sovraintende all’esistenzamateriale, vi si oppone tenacemente.Per questo, molti utilizzano almeno un’altra possibi-lità. In sintesi, senza entrare nei dettagli, distraggono,ingannano i processi logici dell’IO, per poter avereaccesso pieno alla mente.L’osservazione esclusiva di semplici oggetti (come èriportato anche nei vademecum), oppure il teatromentale con relative creazioni fantasiose di forme daidifferenti cromatismi, di piacevoli nebulosità avvol-genti, azzurre, grigiastre, ecc. (a volte sperimentatidurante alcuni Conventi), possono unitamente a tantealtre opzioni, servire per focalizzare l’attenzione suqualche cosa, lasciando che tutto il resto svaniscaprogressivamente, sino a ritrovarsi nel “vuoto silen-zioso”, con sé stessi, avendo la possibilità di muover-si lucidamente in ogni direzione, avanti ed indietronel tempo.Poi, sarà sicuramente possibile osservarsi nel dipa-narsi della propria vita, utilizzando la scaletta predi-sposta con le quattordici meditazioni, organizzate inprecisa sequenza voluta per affrontare gradualmenteaspetti specifici della personalità.

Ovviamente, non si esplorerà solo il pre-sente ma ci si dovrà proiettare anche sino adove la memoria lo consentirà. E’ noto chesenza il normale vincolo emotivo, passio-nale, si riesce andare in ambiti che non si

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In tali condizioni, si diventerà semplici osser-vatori, badando bene di evitare l’espressionedi giudizi su ciò che si rivivrà ma al contrario,insistendo ad interrogarsi sul perché del manifestarsidi emozioni belle o sgradevoli che hanno caratteriz-zato quegli avvenimenti vissuti, collegati ad uno o apiù argomenti tra quelli previsti. Ovvero, sarà impor-tante scoprire, anche tramite catene sequenziali dellerisposte, se le emozioni fossero state auto generatedalla coscienza o indotte da stimoli esterni, semplice-mente conseguenti alla formazione ricevuta, allamorale comune, ecc. quindi alieni per la propria veraessenza.Solo col tempo, si arriverà ad acquisire un punto divista particolare, in piena trasparenza (come accadeutilizzando la via diretta, non di rado con una stranaesplosione di consapevolezza luminosa). Ovvero,progressivamente in caso di successo e poi anchesolo per un istante, si manifesterà l’istintiva pienacoscienza dell’esistere e contemporaneamente la per-cezione di un giudizio, limpido, cristallino, che ineffetti non è neppure un giudizio e che emergerà solodalla parte più genuina della propria conoscenza disé.Le conseguenze di tutto questo, dovranno esserericercate tramite le verifiche di eventualimutamenti trasmutativi che potranno,dovranno essere osservati rigorosamente

anche nei pensieri, nei pronunciamenti,nelle azioni di tutti i giorni, posti in modoluminosamente armonico tra loro.

Così, forse un giorno, per chiunque, non risulterà piùcosì strana l’ipotesi di interagire in piena coscienzacon la Luce, avendo atteso e “lavorato” per riuscire a“conoscere veramente”.

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Una scoperta importante

MENKAURA S:::I:::I:::

Una parte rilevante dell’essere Martinista risiede, a

mio sommesso avviso, nella ricerca identitaria deicontenuti, profondi e nascosti agli stessi iniziati, con-tenuti che compongono la struttura stessa del nostropercorso.A questo proposito assai lodevole è stata l’iniziativadel nostro S.G.M., con il fondamentale aiuto di unnostro fratello che ne ha curato la traduzione e la pub-blicazione, di dare alle stampe in Italiano il testo diA.E. Waite “The Life of Louis Claude De Saint-Martin the Unknown Philosopher, and the Substanceof His Transcendental Doctrine.”Oggi reperibile anche su Amazon, ma in passatoquasi introvabile, questo testo così importante perosservare dall’esterno e con gli occhi di uno dei mag-giori esoteristi moderni il nostro Filosofo Incognito,era semisconosciuto in Italia (se non sconosciuto ebasta) ed io lo trovai casualmente, mentre spulciavo,assieme ad una nostra cara sorella, i volumi accatasta-ti qua e là nella famosa libreria occulta Atlantis, a duepassi dal British Museum.Così come amabilmente la definisce il “Londonist”,l’Atlantis rappresenta un punto fermo per i praticantidella Wicca da quasi 100 anni ed è stata gestita da tregenerazioni di streghe. Il controverso "Padre dellaWicca" Gerald Gardner aveva qui la sua congrega,prima ancora che la stregoneria fosse legale inInghilterra e persino Aleister Crowley fu un tempo uncliente abituale.Speriamo che vi sia il tempo per una seconda edizio-ne di questo testo, magari riveduta e miglio-rata.Ma perché, diversamente da altri percorsi, ilMartinismo deve continuamente ed attiva-mente ricercare le proprie radici e le proprie

fonti?La risposta è semplice: il Martinismo, esote-ricamente parlando, è ancora giovane e si sta

formando anche adesso, in questo tempo speciale ditribolazione e mutamento epocale. In altre parole, ilMartinismo, contrariamente a quanto accade ad altripercorsi, non è affatto in decadenza, ma in pieno svi-luppo, anche sul piano dottrinale e ciò avviene inquanto il Martinismo stesso rappresenta il percorso didomani, non quello dell’oggi e tantomeno una cosadel passato.Potrebbe sembrare un’affermazione pazzesca, ma sesi osservi con attenzione uno degli aspetti di questicambiamenti in corso, si vedrà da una parte la forma-zione di una specie di religione universale ecumenica,ecologica, sociale ed anche politica, ma assai pocospirituale e trascendente e dall’altra parte quei movi-menti di pensiero spirituali che tuttora portano avantiuna concezione panenteistica della divinità, comefanno i Sufi, ovvero come fa la Chassidut e come, inultima analisi, fanno i Martinisti correttamente cen-trati, tutte vie ove la reintegrazione dell’essere umanoattraverso la sua riunione con il suo Creatore, rappre-senta lo scopo esistenziale di un percorso di faticosarisalita dal basso verso l’alto, non senza l’aiuto diquello slancio mistico così ben descritto da SaintMartin (ma così presente anche nella Chassidut e nelSufismo).Orbene, a mio parere, la storia del Martinismo rappre-senta un quadro non ancora terminato, ove i nostriGrandi Maestri passati hanno lasciato volutamentespazio sulla tela, affinché il nostro Ordine arrivassepronto a questa svolta apocalittica di cui stiamovedendo l’inizio.Non si può negare che nel mondo occidentale (e nonsolo) stia avvenendo la grande apostasia. Le grandireligioni sono in enorme difficoltà e, purtroppo,hanno scelto la strada più corta per cercare di rime-

diare a questa situazione nel modo più sem-plice ed immediato, cioè quello di inseguireil secolo. Ascoltiamo il Talmud:Disse il rabbino Yehoshua ben Chananiah:“Quella volta che un bambino ebbe la

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meglio su di me.Stavo viaggiando, e ho incontrato un bambi-no a un bivio. Gli chiesi: 'da che parte perandare in città?' e lui rispose: 'Da questa parte la viaè breve e lunga e da quest’altra la via è lunga e bre-ve'.Ho preso la strada breve e lunga. Presto ho raggiuntola città ma ho trovato il mio approccio ostruito dagiardini e frutteti. Così ho ripercorso i miei passi finoal crocicchio e ho detto al bambino: 'Figlio mio, nonmi hai detto che questo è il modo breve?' Rispose ilbambino: 'Non ti ho detto che è anche quello lungo?'"(Talmud, Eruvin 53b)

Noi, al contrario, non ci dobbiamo affannare ad inse-guire il mondo, cosa che costituirebbe la strada più

corta ma lunga (anzi impossibile) da percorrere, macerchiamo, in totale umiltà, di essere di esempio nelrappresentare una diversa concezione dell’universo esoprattutto del rapporto con l’Eterno, strada lunga edifficile ma mediante la quale si raggiungerà consicurezza l’obiettivo.In tale quadro, fallimentare per lo spirito del genereumano, il Martinismo nella suo orgogliosa e provoca-toria pretesa di venerare il Tetragramma incarnato inNostro signore Gesù Cristo, sta percorrendo stradeparallele a certi settori dell’Ebraismo (che però per lopiù tacciono, per non dare scandalo) ed a tutti i movi-menti Giudeo-Messianici, soprattutto americani, iquali pur con tutte le loro carenze e diversità, hannoriconosciuto la Emet dell’unicità della Rivelazione traEbrei e Cristiani, essendo stati questi ultimi chiamatia rendere universali le Leggi Divine da un appelloproclamato in primis agli Ebrei da Kadosh BaruchHu incarnato in una donna ebrea, nella Santa Terradegli Ebrei.Ma la verità viene comunque percepita dalle animegrandi e connesse con il Divino, malgrado gli errori ele deviazioni insegnate di volta in volta dallestrutture “ufficiali”, quali le religioni orga-nizzate e questi Maestri Spirituali hanno lot-tato e sofferto per far emergere queste veritàe noi dobbiamo essere loro grati per questo.

Il fatto che la nostra società si stia ristruttu-rando da tempo su valori opposti a quelli quimenzionati non deve scoraggiarci, anzi. È

evidente che, quando il mondo rinsavirà (anche inconseguenza di un intervento diretto dell’Eterno),sarà più pronto ad accettare la presenza di Hashemnel mondo e a riconoscere la Sua Grazia nei nostriconfronti.Noi saremo lì, care Sorelle e cari Fratelli, presenti epronti a proporre al maggior numero di persone laverità della Rivelazione.Per fare ciò dobbiamo prima studiare con attenzionele nostre radici, i contenuti del nostro percorso e met-terli in pratica noi stessi, in quanto l’esempio è sem-pre il miglior maestro.A questo proposito vorrei proporre un’importantescoperta che l’accademia ha effettuato recentemente eche getta una nuova luce su di un aspetto fondamen-tale del Martinismo, tale per stessa ammissione daparte del Filosofo Incognito.Louis Claude Saint Martin, oltre alla filiale venera-zione per il suo grande mentore Martinez dePasqually, ripose grandissimo rispetto ed ammirazio-ne per le opere di un altro grande mistico, JacobBöhme, apparentemente di tutt’altra formazionerispetto al Martinez.Gli insegnamenti di Martinez de Pasqually, a parte isuoi apprezzabili contributi personali, appaiono forte-mente influenzati dallo gnosticismo (in particolare daBasilide e Valentino) e, soprattutto, dalla dottrinaKabbalistica.Al contrario, Böhme, l’altro grande riferimento diSaint-Martin, sembrerebbe provenire da tutt’altrafonte, almeno secondo gli studi sin qui noti, e rappre-senterebbe un filone di mistica cristiana autonomo enon connesso alle vie della Kabbalah.In effetti Böhme, nato in ambiente luterano, fu ungeniale autodidatta e le sue letture, almeno secondo la

vulgata, furono particolarmente orientatealla conoscenza dei mistici tedeschi(Meister Eckhart fra tutti), e della filosofianaturale del XVI secolo, fortemente intrisadi magia ed alchimia, veicolata attraverso

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Paracelso.Ma è davvero così?Recentemente mi è sovvenuto uno studiomolto interessante ed importante, che potrebbe getta-re nuova luce su tale argomento e portare a conclusio-ni ben differenti sulle radici del Martinismo e sullasua contiguità spirituale con la via kabbalistica.L’autore, Professor Gerold Necker che insegna allaMartin Luther - Universität di Halle ed è titolare delseminario “für Judaistik/Jüdische Studien” pressol’Orientalisches Institut di quella università, vieneconsiderato uno dei migliori specialisti al mondonegli studi sulla cultura giudaica fra quelli della gene-razione successiva ai giganti come lo Scholem, oMoshe Idel.Ed è proprio riprendendo una grandiosa intuizionedello Scholem stesso, che il Necker ha voluto indaga-re i veri rapporti tra il Böhme e la Kabbalah, giungen-do così a conclusioni tanto rivoluzionarie, quantoimportanti per la definizione del nostro percorso ini-ziatico.Nel novembre 2018 viene edito da Brill Academicquella che può essere considerata l’opera più impor-tante e completa su Jacob Böhme, sotto il titolo di“Jacob Böhme and His World” nell’edizione in lin-gua inglese.Questa pubblicazione, frutto dello sforzo congiuntodi vari specialisti tra i migliori del mondo su taleargomento1, al capitolo ottavo riporta il contributodel Professor Necker, la cui intitolazione risulta già

rivelatoria del contenuto:

“Out of Himself, to Himself”: TheKabbalah of Jacob BöhmeCome è facile desumere, l’autore compie un’accurataindagine il cui incipit risulta vieppiù interessante:“Whenever Gershom Scholem referred to JacobBöhme, in particular in his essay on kabbalistic ideasabout language, he did so in a surprisingly naturaland self-evident manner, without discussing Bohme’swork at length. Scholem included the dissentingGerman Protestant in a long chain of “all mystics forall time,” whose common denominator was “thesymbolic nature of language.”Il Necker ci espone, quindi, da una parte la grandissi-ma stima che lo Scholem provava per il mistico lute-rano, ma anche la sua cristallina convinzione (nonsupportata però da alcuno studio specifico in argo-mento) che anche il Böhme facesse parte del filonekabbalistico e che le sue idee fossero state fortementeinfluenzate da tale pensiero.L’autore, nel suo lavoro, si assume la gravosa operadi ricercare se la doxa dello Scholem (autorevolissi-ma, ma pur sempre doxa) sia in qualche modo giusti-ficabile da un punto di vista della ricerca scientifica.In primo luogo, l’obiettivo del Necker si appunta sulpiù caro amico, confidente e collaboratore di Böhme,cioè su Balthasar Walther.Al contrario del mistico tedesco, Balthasar Waltherera molto istruito e fu un grande ammiratore e cono-

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1 A cura di: Bo Andersson, Stockholm University, Professore di tedesco alla Uppsala University. Ha pubblicato monografiee molti articoli sul linguaggio, letteratura e storia del pensiero della Germania del 17 sec., incluso un volume intitolato“Jacob Böhmes Denken in Bildern” (Francke, 2007).Lucinda Martin, Ph.D. (2002), University of Texas, Direttrice del Progetto di Ricerca su Jacob Böhme e la società dei Filadelfialla Università of Erfurt.Leigh T.I. Penman, Ph.D. (2009), University of Melbourne.Andrew Weeks, Ph.D. (1979), University of Illinois, Professore of tedesco e letteratura comparata alla Illinois State Universitye ha pubblicato monografie su Paracelso, Weigel e Böhme, come pure traduzioni dei loro scritti.I contributi al libro sono di: Bo Andersson, Urs LeoGantenbein, Ines Haaser, Kristine Hannak, ArielHessayon, Tünde Beatrix Karnitscher, LucindaMartin, Cecilia Muratori, Gerold Necker, LutzPannier, Leigh T.I. Penman, Andrew Weeks, Mike A.Zuber

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scitore dell’opera di Johannes Reuchlin2,“De arte cabalistica,” conoscenza che eglisicuramente condivise con Böhme.Inoltre, bisogna tenere conto del fatto che Walther,apparentemente, ha riveduto alcune delle opere diBöhme prima che fossero pubblicate, anche se diffi-cilmente sarà mai possibile scoprire esattamente cosafu cambiato, aggiunto e cancellato.Nonostante le ripetute affermazioni di GershomScholem secondo cui le affinità di Böhme con laKabbalah costituiscano un’eccezione tra i mistici cri-stiani, nessun ricercatore moderno ha fatto un tentati-vo convincente di chiarire la relazione tra il lavoro diBöhme e specifici testi esoterici ed insegnamenti eso-terici ebraici.“Scholem notes in particular that Böhme’s “doctrineof the origins of evil […] bears all the traits ofKabbalistic thought,” his “Christian metaphors”notwithstanding. Scholem thus – almost enthusiasti-cally – adopted Böhme’s concept of “Ungrund” in hisGerman translation of some extracts from the classi-cal work of medieval kabbalah, Sefer ha-Zohar (“theBook of Splendor”). He suggested that “Ungrund”was in fact Böhme’s translation of the kabbalisticneologism En Sof (lit. “no end,” God’s infiniteness),which, he suggests, Böhme may have “encounteredduring the years of his mystical reading”.”

"Scholem nota in particolare che la "dottrinadi Böhme sulle origini del male [...] portatutti i tratti del pensiero cabalistico", non-

ostante le sue "metafore cristiane". Scholem adottòcosì - quasi con entusiasmo - il concetto di Böhme di"Ungrund" nella sua traduzione tedesca di alcuniestratti dell'opera classica della Kabbalah medieva-le, Sefer ha-Zohar ("il Libro dello Splendore").Suggerì che "Ungrund" fosse in realtà la traduzionedi Böhme del neologismo kabbalistico En Sof (lett."Senza Fine", l'infinito di D-o), che, suggerisce,Böhme potrebbe aver "incontrato durante gli annidella sua lettura mistica"."

Alcuni autori si sono pedissequamente adeguatiall’intuizione dello Scholem, senza però apportare aldiscorso nuovi argomenti, così da suscitare anchedelle opinioni avverse come quella di AndreasKilcher, secondo il quale:“Only Böhme’s understanding of the magical aspectof the divine names, in particular the Tetragramm,can be linked expressis verbis to Reuchlin’s conceptof Kabbalah”.

Nel nostro italico idioma: “Solo la comprensione diBöhme dell'aspetto magico dei nomi divini, in parti-colare il Tetragramma, può essere collegata expressisverbis al concetto di Kabbalah di Reuchlin.”

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2 A Johannes Reuchlin, detto anche Johann Reichlin o grecizzato in Kapnion, Capnio (Pforzheim, 22 febbraio 1455 –Stoccarda, 30 giugno 1522), è stato un filosofo, umanista e teologo tedesco. Influenzato dalle idee di Giovanni Pico dellaMirandola sulla Kabbalah e la tradizione ebraica, si perfezionò poi nello studio del greco e dell’ebraico.Dotato di cultura poliedrica e di carattere equilibrato, divenne il caposcuola dell’umanesimo tedesco. Pubblicò, fra l’altro,nel 1512 i Salmi penitenziali in lingua originale e scrisse i Rudimenta linguae hebraicae (1506) e il De accentibus et ortho-graphia linguae hebraicae (1518), opera che impostava scientificamente lo studio dell'ebraico; si oppose, in polemica con J.Pfefferkorn e i circoli teologici conservatori, alla proposta di distruggere i libri ebraici.Fu il primo non ebreo a scrivere libri sulla Kabbalah, da lui interpretata come teologia simbolica e rivelazione originaria tra-smessa all’umanità dal primo uomo; sotto l’influenza del platonismo umanistico, nel De verbo mirifico (1494, sulTetragramma Sacro) e nel De arte cabalistica (1517), scritti in forma dialogica, sostenne la possibilità di confermare la fedecristiana attraverso la Kabbalah, e di rintracciare temi cristiani nella tradizione zoroastrica, orfica, pitagorica e platonica.Il “De arte cabalistica” costituisce probabilmentel’opera maggiore di Kabbalah cristiana mai scrittanel passato e la sua conoscenza è stata diffusissimanel corso dei secoli passati.

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Partendo da tali premesse il Necker compieuna dottissima esplorazione delle idee diBöhme comparandole ai testi kabbalisticimaggiormente diffusi e apprezzati all’epoca ed inparticolare, oltre al “De arte cabalistica,” all’opera diShabtai Sheftel ben Akiva Horowitz3 (1565-1619),l'autore di Shefa Tal (abbondanza di rugiada), che fupubblicato nel 1612 ad Hanau vicino Francoforte.Questo fu il primo libro stampato che includesseun'innovativa concettualizzazione del tzimtzum, lacosiddetta auto-contrazione di D-o ai fini della crea-zione; una narrazione che, basata in parte sulla conce-zione di Moshe Cordovero, mostra anche alcuni puntidi contatto con gli insegnamenti lurianici.

Intorno al 1600, lo stato delle cose relativamente aglistudi Kabbalistici iniziò a cambiare notevolmente,specialmente a causa dello sviluppo del Nord Italia inun centro di attività in tal senso. La regione divennepresto la prima area importante per l'accoglienzaeuropea della Kabbalah da Safed, il suo centro distri-

butore e moltiplicatore, come un focolaio,per diffondere i sistemi cabalistici di MosheCordovero (1522-1570) e Isaac Luria (1534-

1572). La figura più rilevante in questi circoli fuMenaḥem Azaryah da Fano (1548-1620), uno studen-te di Israel Saruq, il quale, a sua volta, fu discepoloper un certo tempo di Luria in persona. Saruq arrivòa Venezia alla fine del XVI secolo e intraprese diversiviaggi fino alla Polonia per predicare la sua versionedella Kabbalah lurianica. Egli dedicò la sua vita alladiffusione in Europa della Kabbalah lurianica e fra isuoi grandi allievi vi fu anche Aaron Bercia benMoses ben Nehemiah di Modena4Più o meno nello stesso periodo, una tradizione caba-listica unica fu stabilita dalla famiglia Horowitz aPraga, in particolare dallo Shabtai Sheftel ben AkivaHorowitz, la cui opera divenne presto assai diffusa tragli intellettuali europei del tempo; E’ assai verosimi-le, dagli indizi rinvenuti dal Prof. Necker negli scrittidi Böhme, che anche quest’opera non solo gli fossenota, ma che lo abbia anche largamente influenzato.

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3 Fratello del più noto Isaiah or Yeshayahu ben Avraham Horowitz, (c. 1555-1630), anche noto Shelah HaKaddosh, dal titolodella sua opera più importante e della cui scuola chi scrive fa umilmente idealmente parte, in quanto il mio Maestro, RavLeiter, è direttamente discendente dal grande Kabbalista.

4 allievo di Rabbi Hillel di Modena (soprannominato Ḥasid we-Ḳadosh, cioè Il Pio e Santo) e del rabbino cabalista italianoMenahem Azariah di Fano. Fu amico di Rabbi Yehuda Aryeh di Modena e allievo del rabbino Israel Saruq. Suo cognato eraRabbi Yosef Yedidya Krami, autore del Kanaf Renanim.La sua opera principale è Ashmoret haBoḳer (1624), scritto per un gruppo di preghiera. Su richiesta della Ḥebrah Ḳaddisha(Società funeraria) di Mantova istituì riti per loro. A queste si aggiungono le preghiere da offrire ai malati e ai morti, nonchéle regole per il loro trattamento. Per evitare possibili critiche per non aver discusso questi temi filosoficamente, fa uso delladichiarazione di Isaac Arama nel suo libro Aḳedat Yiẓḥaḳ "La ragione deve cedere alcuni dei suoi diritti alle rivelazioni divineche sono superiori ad essa".Fu arrestato e imprigionato nel 1636 per possesso di libri proibiti, vale a dire quelli all’Indice per censura, espurgazione oconfisca a causa di passaggi putativamente critici nei confronti dei cristiani. In sua difesa, dichiarò:“Non ho nient'altro da dire, ma poiché la Santa Inquisizione ci tollera nei suoi Stati, di conseguenza ci è anche permesso dipossedere questi libri, che trattano delle nostre cerimonie, perché è impossibile per noi vivere in questi paesi se non abbiamolibri che ci insegnano i principi della nostra fede, e anche se Vostra Signoria ci ha detto che Clemente VIII promulgò la bollache proibì un certo numero di libri agli ebrei , per quanto ne so, questa norma non è mai stata applicata, né i libri sono staticonfiscati agli ebrei. Inoltre, anche i predicatori[cristiani] a volte citano lo Shulchan Aruch, RavAlfassi, o libri simili per convincere gli ebrei [aconvertirsi] e non potrebbero farlo se ci fosse proi-bito leggere o possedere questi libri.”

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Non voglio qui entrare nel merito degli studidi Necker, di grande complessità e profondi-tà, ai quali, se vi sarà occasione, darò la giustarilevanza in incontri appositamente dedicati5, mavoglio riportarvi le sue conclusioni e le conseguenzeche esse potenzialmente possono avere per il nostropercorso.Anche la profonda ammirazione per Paracelso daparte di Böhme non muta il quadro sopra esposto,viste le profondissime conoscenze kabbalistiche delgrande sapiente svizzero.Ciò che mi preme sottolineare sono le conseguenzeteoriche e pratiche che le scoperte del Prof. Neckerpossono implicare per il nostro Venerabile Ordine.Da Martinez de Pasqually a Böhme, il pensiero diLouis Claude de Saint-Martin appare profondamenteinfluenzato dalla Kabbalah lurianica, la quale è benviva e vivace nel pensiero e nella pratica odierni dellaChassidut.Le nostre fonti sono rimaste volutamente scarne inquanto devono essere riempite non con le ubbie delsingolo iniziatore, ma con le conoscenze provenientidalle ben comprovate radici dell’Ordine, cioèl’Astrologia, l’Alchimia e la Kabbalah, rammentandoche, dei vari filoni riguardanti le prime due, sarà sem-pre opportuno scegliere quelli che si sono anch’essinutriti del pane della Kabbalah, perché la verità(emet) è una sola e tale certezza fa parte incrollabileed imprescindibile della nostra fede (emunah), sennònulla ci distinguerà dal relativismo oggi vincente.Per quanto la terminologia e la simbologia possanovariare, ciò che non cambia è il percorso delineato inqueste vie spirituali: la risalita dell’essere umanoverso il suo Creatore.Ma come cercare di ottenere questo ambizioso risul-tato? Proviamo a cercare una risposta nella Kabbalah

chassidica.Nel Tanya, Rabbi Schneur Zalman sviluppal'approccio detto “Chabad,” un approccio

olistico alla vita in cui la mente e l'intelletto svolgonoil ruolo principale e fondamentale. In primo luogo,una persona deve studiare, comprendere e meditaresulle verità per antonomasia dell'esistenza: la realtàdell’Esistenza Divina che tutto trascende, tuttoabbraccia e tutto pervade. La radice e l'essenza dell'a-nima e il suo legame intrinseco con il suo Creatore; lamissione dell'uomo nella vita, e le risorse e le sfideche gli vengono presentate per realizzarla. Poichéquesti concetti sono estremamente sottili e astratti,bisogna faticare, “una fatica dell'anima e una faticadella carne” per afferrarli e relazionarsi con loro.Il prossimo passo di questo approccio è tradurre que-sta conoscenza e comprensione in emozioni e senti-menti. A causa di un'innata superiorità della mente sulcuore che il Creatore ha intriso nella natura umana, lacomprensione, l'assimilazione e la meditazione suquesti concetti Divini costringeranno il soggetto asviluppare delle emozioni appropriate nel cuore: l'a-more e la soggezione per Hashem. “L’Amore per D-o” è definito da Rabbi SchneurZalman come l'inestinguibile desiderio di stringersi aLui ed essere unificato con la Sua essenza; “la sogge-zione per D-o” è l'assoluta ripugnanza verso tutto ciòche erige barriere tra Lui e l'uomo.Infine, quando una persona ha così orientato la suamente e così trasformato il suo cuore, la sua osservan-za dei precetti Divini diventa non solo possibile, maun bisogno impellente. Il soggetto bramerà l'adempi-mento delle mitzvot con ogni fibra del suo essere poi-ché costituiscono il ponte tra lui e D-o, i mezzi - e l'u-nico mezzo - con cui può connettersi al suo Creatore.E qualsiasi trasgressione della volontà di D-o, non

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5 Nei quali potremo anche trattare di un mio personale contributo alla discussione, sfuggito al pur bravissimo Prof. Necker,relativo al tema relativo allo sviluppo dei concetti di Ungrund (Senza Fondo), riportato da Necker, e di Abgrund (Abisso) igno-rato dall’illustre studioso. Nel Vierzig Fragen,Böhme fa un esame non solo dell’Ungrund, qualeconcetto parallelo all’En Sof kabbalistico, maanche dell’Abgrund (Abisso) che ha caratteristichesovrapponibili al concetto di En Sof Ohr, sia in séche in relazione all’Ungrund medesima.

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importa quanto attraente per la sua naturamateriale, gli risulterà letteralmente rivoltan-te, poiché interromperà il suo rapporto con D-o e verrà percepito come un’azione contro il suo veroio.D'altra parte, questa strada è quella lunga ma breve,

secondo la definizione di Rabbi Yehoshua benChananiah, e risulta tortuosa, ripida, noiosa e lungaquanto la vita stessa. È piena di alti e bassi, battuted'arresto e frustrazioni. Richiede ogni grammo diresistenza intellettuale ed emotiva che un essereumano possa raggiungere. Ma è una strada che con-duce, costantemente e sicuramente, alla destinazioneaspirata. Quando finalmente si acquisisce un'attitudi-

ne e un gusto intellettuale per il Divino,quando si sviluppi il desiderio di bene e diorrore per il male, la guerra è stata vinta. La

persona si è trasformata in qualcuno il cui pensiero,proposito e azione sono naturalmente in sintonia conil suo sé e con lo scopo per antonomasia nella vita,cioè il ricongiungimento con l’eterno.Infine, vi propongo un piccolo Kōan, mediante que-sto bel racconto breve di Borges. In esso potrete tro-vare diversi temi interessanti e vicini a quelli qui trat-tati. A voi il compito di trovarli ed analizzarli.Se vorrete, come al solito eventuali domande possonoessere inoltrate a [email protected]

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“La Rosa de Paracelso”De Quincey: Writings, XIII, 345

En su taller, que abarcaba las dos habitacionesdel sótano, Paracelso pidió a su Dios, a su inde-terminado Dios, a cualquier Dios, que le enviaraun discípulo. Atardecía. El escaso fuego de lachimenea arrojaba sombras irregulares.Levantarse para encender la lámpara de hierroera demasiado trabajo. Paracelso, distraído porla fatiga, olvidó su plegaria. La noche habíaborrado los polvorientos alambiques y el atanorcuando golpearon la puerta. El hombre, soño-liento, se levantó, ascendió la breve escalera decaracol y abrió una de las hojas. Entró undesconocido. También estaba muy cansado.Paracelso le indicó un banco; el otro se sentó yesperó. Durante un tiempo no cambiaron unapalabra.El maestro fue el primero que habló.– Recuerdo caras del Occidente y caras delOriente – dijo con cierta pompa –. No recuerdola tuya. ¿Quién eres y qué deseas de mí?– Mi nombre es lo de menos – replicó elotro –. Tres días y tres noches he camina-do para entrar en tu casa. Quiero ser tudiscípulo. Te traigo todos mis haberes.Sacó un talego y lo volcó sobre la mesa.

“La Rosa di Paracelso”Di Quincey: Scritti, XIII, 345

Nel suo laboratorio, che comprendeva le duestanze dello scantinato, Paracelso chiese al suoDio, al suo indeterminato Dio, a qualunque Dio,di inviargli un discepolo. Imbruniva. Il magrofuoco del camino proiettava ombre irregolari.Alzarsi per accendere la lanterna di ferro avreb-be richiesto uno sforzo eccessivo.Paracelso, distratto dalla fatica, dimenticò lasua preghiera. La notte aveva cancellato l’atha-nor e i polverosi alambicchi quando bussaronoalla porta. Insonnolito, l’uomo si alzò, salì fati-cosamente la breve scala a chiocciola e socchiu-se un battente. Uno sconosciuto entrò. Anch’egliera molto stanco. Paracelso gli indicò unapanca; l’altro sedette e attese. Per un certotempo non scambiarono tra loro nemmeno unaparola.Il maestro fu il primo a parlare.“Ricordo volti d’Occidente e volti d’Oriente”,disse, non senza una certa enfasi. “Non ricordo

il tuo. Chi sei tu e che vuoi da me?”.“Il mio nome non ha importanza”,replicò l’altro. “Ho camminato tre gior-ni e tre notti per entrare in casa tua.Voglio diventare tuo discepolo. Ti ho

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Las monedas eran muchas y de oro. Lohizo con la mano derecha. Paracelso lehabía dado la espalda para encender lalámpara. Cuando se dio vuelta advirtió que lamano izquierda sostenía una rosa. La rosa loinquietó.Se recostó, juntó la punta de los dedos y dijo:– Me crees capaz de elaborar la piedra que true-ca todos los elementos en oro y me ofreces oro.No es oro lo que busco, y si el oro te importa, noserás nunca mi discípulo.– El oro no me importa – respondió el otro –.Estas monedas no son más que una prueba de mivoluntad de trabajo. Quiero que me enseñes elArte. Quiero recorrer a tu lado el camino queconduce a la Piedra.Paracelso dijo con lentitud:– El camino es la Piedra. El punto de partida esla Piedra. Si no entiendes estas palabras, no hasempezado aún a entender. Cada paso que daráses la meta.El otro lo miró con recelo. Dijo con voz distinta:– Pero, ¿hay una meta? Paracelso se rió.– Mis detractores, que no son menos numerososque estúpidos, dicen que no y me llaman unimpostor. Noles doy la razón, pero no es imposible que sea uniluso. Sé que “hay” un Camino.Hubo un silencio, y dijo el otro:– Estoy listo a recorrerlo contigo, aunque deba-mos caminar muchos años. Déjame cruzar eldesierto. Déjame divisar siquiera de lejos la tier-ra prometida, aunque los astros no me dejenpisarla. Quiero una prueba antes de emprenderel camino.– ¿Cuándo? – dijo con inquietud Paracelso.– Ahora mismo – dijo con brusca decisión el dis-cípulo. Habían empezado hablando enlatín; ahora, en alemán.

El muchacho elevó en el aire la rosa.

portato tutti i miei beni”. Tirò fuori unaborsa e la rovesciò sulla tavola. Le moneteerano molte e d’oro. Lo fece con la mano

destra.Paracelso, per accendere la lanterna, avevadovuto voltargli le spalle. Quando tornò, notònella sua mano sinistra una rosa. La rosa loinquietò.Si chinò, giunse le estremità delle dita e disse:“Tu mi credi capace di elaborare la pietra chetrasmuta gli elementi in oro e mi offrì oro. Non èl’oro ciò che cerco e se è l’oro che ti interessa, tunon sarai mai mio discepolo”.“L’oro non mi interessa”, rispose l’altro. “Questemonete non sono altro che una prova del miodesiderio di apprendere. Voglio che tu mi insegnil’Arte. Voglio percorrere al tuo fianco la via checonduce alla Pietra”.Paracelso disse lentamente: “La via è la Pietra.Il punto di partenza è la Pietra. Se non comprendiqueste parole, non hai ancora cominciato a com-prendere. Ogni passo che farai è la meta”.L’altro lo guardò con aria diffidente. Disse convoce chiara: “Ma esiste una meta?” Paracelso simise a ridere.“I miei detrattori, che non sono meno numerosiche stupidi, sostengono il contrario e mi accusa-no di essere un impostore. Non do loro ragione,ma non è impossibile che io sia un illuso. So cheesiste una via”.Vi fu una pausa, e l’altro affermò: “Sono pronto apercorrerla con te, anche se dovessimo viaggiareper molti anni. Lasciami attraversare il deserto.Lasciami intravedere almeno da lontano la terrapromessa, anche se gli astri me ne vieterannol’accesso. Ma prima di intraprendere il viaggio,io voglio una prova”.

“Quando?” disse Paracelso, con inquie-tudine.

“Subito”, rispose il discepolo con bru-

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–Es fama – dijo – que puedes quemar unarosa y hacerla resurgir de la ceniza, porobra de tu arte. Déjame ser testigo de eseprodigio. Eso te pido, y te daré después mi vidaentera.– Eres muy crédulo – dijo el maestro –. No hemenester de la credulidad; exijo la fe. El otroinsistió.– Precisamente porque no soy crédulo quiero vercon mis ojos la aniquilación y la resurrección dela rosa. Paracelso la había tomado, y al hablarjugaba con ella.– Eres crédulo – dijo –. ¿Dices que soy capaz dedestruirla?– Nadie es incapaz de destruirla – dijo el discí-pulo.

– Estás equivocado. ¿Crees, por ventura, quealgo puede ser devuelto a la nada? ¿Crees queel primer Adán en el Paraíso pudo haberdestruido una sola flor o una brizna de hierba?– No estamos en el Paraíso – dijo tercamente elmuchacho –; aquí, bajo la luna, [5] todo es mor-tal. Paracelso se había puesto en pie.– ¿En qué otro sitio estamos? ¿Crees que la divi-nidad puede crear un sitio que no sea elParaíso? ¿Crees que la Caída es otra cosa queignorar que estamos en el Paraíso?– Una rosa puede quemarse – dijo con desafío eldiscípulo.

– Aún queda fuego en la chimenea – dijoParacelso.

– Si arrojaras esta rosa a las brasas, creeríasque ha sido consumida y que la ceniza es verda-dera. Te digo que la rosa es eterna y que sólo suapariencia puede cambiar. Me bastaríauna palabra para que la vieras de nuevo.– ¿Una palabra? – dijo con extrañeza eldiscípulo –. El atanor está apagado y

sca determinazione.Avevano iniziato la conversazione in lati-no, ora parlavano in tedesco.

Il giovane levò in alto la rosa.“Affermano – disse - che tu puoi bruciare unarosa e farla rinascere dalle ceneri, per operadella tua arte. Lascia che io sia testimone diquesto prodigio. Ecco ciò che ti chiedo; poi lamia vita sarà tua”.“Sei molto credulo”, disse il maestro. “Non soche farmene della credulità; esigo la fede”.L’altro insistette.“È proprio perché non sono credulo che vogliovedere coi miei occhi l’annientamento e la resur-rezione della rosa”.Paracelso l’aveva presa in mano e parlando gio-cherellava con essa. “Sei credulo”, disse. “Tudici che io sono capace di distruggerla?”“Nessuno è incapace di distruggerla”, rispose ildiscepolo.

“Ti sbagli. Credi forse che qualcosa possa esserreso al nulla? Credi che il primo Adamo nelParadiso abbiapotuto distruggere un solo fiore,un solo filo d’erba?”.“Non siamo nel Paradiso - disse ostinato il gio-vane - qui, sotto la luna, tutto è mortale”.Paracelso si era alzato in piedi.“E in quale altro luogo siamo? Credi che la divi-nità possa creare un luogo che non sia ilParadiso? Credi che la caduta sia altro dall’i-gnorare che siamo nel Paradiso?”.“Una rosa può bruciare”, disse il discepolo intono di sfida.

“V’è ancora del fuoco nel camino”, risposeParacelso. “Se tu gettassi questa rosa fra le braci,crederesti che le fiamme l’abbiano con-sumata e che sia la cenere a essere

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están llenos de polvos los alambiques.¿Qué harías para que resurgiera?Paracelso le miró con tristeza.

– El atanor está apagado – repitió – y están lle-nos de polvo los alambiques. En este tramo demi larga jornada uso de otros instrumentos.– No me atrevo a preguntar cuáles son – dijo elotro con astucia o con humildad.

– Hablo del que usó la divinidad para crear loscielos y la tierra y el invisible Paraíso en queestamos, y que el pecado original nos oculta.Hablo de la Palabra que nos enseña la cienciade la Cábala.El discípulo dijo con frialdad:

– Te pido la merced de mostrarme la desapari-ción y aparición de la rosa. No me importa queoperes con alquitaras o con el Verbo.Paracelso reflexionó. Al cabo, dijo:

– Si yo lo hiciera, dirías que se trata de una apa-riencia impuesta por la magia de tus ojos. Elprodigio no te daría la fe que buscas. Deja, pues,la rosa.El joven lo miró, siempre receloso. El maestroalzó la voz y le dijo:– Además, ¿quién eres tú para entrar en la casade un maestro y exigirle un prodigio? ¿Qué hashecho para merecer semejante don?El otro replicó, tembloroso:

– Ya sé que no he hecho nada. Te pido en nom-bre de los muchos años que estudiaré a tu som-bra que me dejes ver la ceniza y después la rosa.No te pediré nada más. Creeré en el testimoniode mis ojos.Tomó con brusquedad la rosa encarnadaque Paracelso había dejado sobre elpupitre y la arrojó a las llamas. El color

reale. Io ti dico che la rosa è eterna e che solo lasua apparenza può cambiare. Mi bastereb-

be una parola perché tu la potessi vedere dinuovo”.“Una parola?” disse stupefatto il discepolo.

“L’athanor è spento, gli alambicchi sono copertidi polvere. Che farai per farla rinascere?”.Paracelso lo guardò con tristezza.“L’athanor è spento” – ripeté - “e gli alambicchisono coperti di polvere. In questo tratto della mialunga giornata uso altri strumenti”.

“Non oso domandare quali”, disse l’altro conmalizia o con umiltà.

“Parlo di quello che usò la divinità per creare ilcielo e la terra e l’invisibile Paradiso in cui citroviamo e che ci è nascosto dal peccato origina-le. Parlo della Parola che ci insegna la scienzadella Cabala”.

Il discepolo disse freddamente: “Ti chiedo la gra-zia di mostrarmi la scomparsa e ricomparsa dellarosa. Poco mi importa che tu operi per mezzo delVerbo o degli alambicchi”.

Paracelso rifletté. Infine disse: “Se lo facessi, tudiresti che si tratta di un’apparenza imposta aituoi occhi dalla magia. Il prodigio non ti doneràla fede che cerchi. Dunque lascia stare la rosa”.

Sempre diffidente, il giovane lo guardò. Il maestro alzò la voce e gli disse: “E inoltre, chisei tu per introdurti nella dimora di un maestroed esigere da lui un prodigio? Che hai fatto per

meritare un simile dono?”.

L’altro replicò, tremando: “So bene chenon ho fatto nulla. Ti chiedo, in nome

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se perdió y sólo quedó un poco de ceniza.Durante un instante infinito esperó laspalabras y el milagro.

Paracelso no se había inmutado. Dijo con curio-sa llaneza:– Todos los médicos y todos los boticarios deBasilea afirman que soy un embaucador. Quizáestán en lo cierto. Ahí está la ceniza que fue larosa y que no lo será.

El muchacho sintió vergüenza. Paracelso era uncharlatán o un mero visionario y él, un intruso,había franqueado su puerta y lo obligaba ahoraa confesar que sus famosas artes mágicas eranvanas.Se arrodilló, y le dijo:– He obrado imperdonablemente. Me ha faltadola fe, que el Señor exigía de los creyentes. Dejaque siga viendo la ceniza. Volveré cuando seamás fuerte y seré tu discípulo, y al cabo delCamino veré la rosa.Hablaba con genuina pasión, pero esa pasiónera la piedad que le inspiraba el viejo maestro,tan venerado, tan agredido, tan insigne y porende tan hueco. ¿Quién era él, JohannesGrisebach, para descubrir con mano sacrílegaque detrás de la máscara no había nadie?Dejarle las monedas de oro sería una limosna.Las retomó al salir.

Paracelso lo acompañó hasta el pie de la escale-ra y le dijo que en esa casa siempre sería bienve-nido. Ambos sabían que no volverían a verse.Paracelso se quedó solo. Antes de apagar lalámpara y de sentarse en el fatigado sillón, volcóel tenue puñado de ceniza en la mano cóncava ydijo una palabra en voz baja. La rosaresurgió.”

dei molti anni in cui studierò alla tuaombra, di lasciarmi vedere la cenere e poila rosa. Non ti chiederò altro. Crederò

alla testimonianza dei miei occhi”.Bruscamente, afferrò la rosa rossa cheParacelso aveva lasciato sul leggio e la gettò trale fiamme. Il colore si perse e rimase solo un po’di cenere. Per un istante infinito egli attese leparole e il miracolo.

Paracelso era rimasto impassibile. Disse constrana semplicità: “Tutti i medici e tutti gli spe-ziali di Basilea affermano che io sono un mistifi-catore. Forse essi sono nel vero. Qui riposa lacenere che fu rosa e che non lo sarà”.

Il giovane si sentì pieno di vergogna. Paracelsoera un ciarlatano o un semplice visionario e lui,un intruso, aveva varcato la sua porta e ora locostringeva a confessare che le sue famose artimagiche erano vane.Si inginocchiò e disse: “Ho agito imperdonabil-mente. Mi è mancata la fede che il Signore esige-va dai credenti. Lasciami ancora guardare lacenere. Tornerò quando sarò più forte e sarò tuodiscepolo e in fondo al cammino vedrò la rosa”.Parlava con passione autentica, ma quella pas-sione era la pietà che gli ispirava il vecchiomaestro, tanto venerato, tanto attaccato, tantoinsigne e perciò tanto vuoto. Chi era lui,Johannes Grisebach, per scoprire con manosacrilega che dietro la maschera non c’era nes-suno?Lasciare le monete d’oro sarebbe stata un’ele-mosina. Le riprese uscendo.

Paracelso lo accompagnò ai piedi della scala egli disse che sarebbe sempre stato ilbenvenuto. Entrambi sapevano che nonsi sarebbero rivisti mai più.Paracelsorimase solo. Prima di spegnere la lan-

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“La Rosa de Paracelso” è stata riprodotta dall’o-pera “Rosa y Azul”, di Jorge Luis Borges, SED-MAY ediciones, Madrid, España, 1977.

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terna e di sedersi nella poltrona consu-mata, raccolse nell’incavo della mano ilpiccolo pugno di cenere e disse una paro-

la a bassa voce. La rosa risorse.

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Alcuni utili riferimenti

concettuali

MOSE’ S:::I:::I:::

Fratellanza e amicizia

Nella sua ultima enciclica “Frates omnes”/Fratellitutti, pubblicata il 3 ottobre 2020, Papa Francesco haaffrontato il tema della Fratellanza e dell’amiciziasociale.Nella sua dissertazione, tra le varie argomentazioni, sipossono ravvisare anche varie analogie con i principie la nostra visione Tradizionale. Egli infatti ha espresso, “apertis verbis”/con paroleesplicite e chiare, un’idea di fratellanza universale,intesa come legame che unisce tutti gli esseri umani,al di là della loro fede, ideologia, colore della pelle,estrazione sociale, lingua, cultura e nazione. Si trattadi un pensiero non certo nuovo che è molto vicinoagli ideali che costituiscono, fin dalle origini, le fon-damenta dei percorsi iniziatici più “sani”. Il Papa ha scelto di ispirarsi a san Francesco d’Assisi,che “si sentiva fratello del sole, del mare e del ventoma che sapeva di essere ancora più unito a quelli cheerano della sua stessa carne”.Da sempre, non nasciamo ovunque sempre liberi eovviamente purtroppo o per fortuna, non siamo maiuguali.Le differenze non riguardano solo cultura, carattere,ingegno, predisposizioni ed attitudini per le quali, aseconda delle necessità, ci si ingegna socialmente pertrovare compromessi tesi a sintetizzaremodalità unificanti.Credo che la vera fratellanza possa essereritrovata, soprattutto sul piano metafisico.In tale ambito, questa non esclude, né emar-

gina, né tiene fuori nessuno, poiché trova lasua origine non solo in una dimensione indi-viduale, a due, come l’amicizia, o in un lega-

me di sangue, viscerale, come i rapporti familiari, main una realtà ontologica che bensì riguarda l’essere inquanto tale e che accomuna tutti gli esseri umani.Siamo fratelli e sorelle in quanto creature legate davincoli profondi, conseguenti ad un’origine spiritualecomune. Questo legame di fraternità si rafforza e ci tiene legatiattraverso nobili valori spirituali liberamente scelti,comuni strumenti simbolici operativi, mete spiritualicondivise alla gloria di Dio, operatività costruttivanon solo simbolica, indirizzata al perfezionamentointeriore di ciascuno, tendente al bene, al progresso ditutti, attraverso un cammino iniziatico, individuale edanche compartecipato, finalizzato al miglioramentopersonale ma anche di gruppo e di tutta l’umanità. Infatti, ciò che rende fratelli o sorelle, seppur “scono-sciuti” tra loro, e pur mantenendo nel nostro Ordineun rapporto singolo ed esclusivo tra Maestro efiglio/a, promana dal condividere dei valori in uncomune cammino di vita, delle finalità nobili, sublimie superiori, una meta trascendente e una missione spi-rituale. All’interno della fraternità che contempla le differen-ze di ciascuno nelle personali singolarità altalenantitra le virtù ed i loro contrari, tutti concorrono e con-tribuiscono con il proprio esclusivo incedere, nei pro-pri limiti, a favorire con pari dignità, un progressivoe poi corale, avvicinamento alla Luce. A differenza della fraternità, l’amicizia è un rapportoche non può essere aperto a tutti. Essa, infatti, si basasu fattori personali e psicologici, quali, in primoluogo, la simpatia, l’affettività psicologica e senti-mentale, l’affinità di carattere e/o di cultura, insiemea interessi comuni e ancora dal sentirsi affini nelmodo di pensare la vita e di viverla in consonanza,

ecc. È dunque impossibile sperimentareuna tale reciprocità con tutti, anche all’in-terno di una medesima fraternità. Quandol’amicizia tende però solo all’esclusività eall’unicità con esclusione degli altri, ci tro-

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viamo davanti a una vera e propria dipenden-za o ad una ricerca di sostegno reciproco, tal-volta persino a un utilitarismo mascherato.La fraternità si può anche trovare unita all’amicizia;così si manifesta senza essere esigente né pretenziosa.È accogliente e nello stesso tempo sa rispettare itempi e il cammino dell’altro. È discreta, non ha biso-gno di troppe parole, di chiacchiere inutili, di scambicontinui. Si svela fedele, disposta a sostenere l’altroanche nei tempi bui, nelle stagioni difficili. È sincerae non manipola per i propri scopi, anzi al contrario, hala capacità di dire la verità, anche quando questa puòessere sgradevole e non facile da manifestare. Èanche abbastanza misericordiosa, perché non giudicae non esprime valutazioni ma accetta sempre in modo“giusto”. Incontrare l’amico fraterno, è sempre unagioia che proviene dal profondo dell’essere ed è spri-gionata dalla certezza di avere una persona con cuiparlare come a sé stesso. A costui, soprattutto se sitratta del proprio Iniziatore, non si teme di confidarei propri errori, le personali malefatte; non si teme diarrossire nel confidare gli intimi segreti e le cadutenel cammino spirituale. È quella persona alla quale sipossono scoprire i propri progetti e le aspirazioni,sicuri che li custodirà con cura e non li tradirà giam-mai.

La forma è sostanza

Nel dialogo del Timeo, Platone espone la sua conce-zione della formazione dell'universo in base ai dueelementi della forma e della materia. Successivamente questa concezione viene ripresa eapprofondita da Aristotele che se ne serve per la defi-nizione della “ousìa”, cioè della sostanza, concepitacome “sinolo”, unione indissolubile di forma e mate-ria.Aristotele sostiene che ovunque sia presente una real-tà materiale, ivi c’è la necessaria presenza di unaforma.I due concetti di materia (sostanza) e diforma sono riportati e assimilati a quelli dipotenza e atto. Infatti, la materia di per séesprime solo la possibilità, la potenza, di

poter acquisire una forma, trasformandosi inatto nella realtà. Il passaggio dalla potenza(materia) all'atto (forma) costituisce il dive-

nire che possiamo concepire come un divenire senzafine, poiché ogni atto diviene, a sua volta, potenza perun atto successivo. Ciò, fino a quando non si giunge-rà, come termine ultimo, a un atto che ha realizzatotutte le potenze e quindi non avrà più in sé alcun ele-mento materiale (potenza) e sarà allora un atto puro. Atto puro è l'atto completamente realizzato, senza piùpotenza; cioè non ha più materia e quindi non ha piùbisogno di realizzarsi ulteriormente. In Aristotelel’Atto puro è Dio, il motore immobile.La “potenza”, (in greco δύναμις = dynamis) si riferi-sce alla natura ontologica delle cose e riguarda l'og-gettivo divenire della materia e del mondo, cioè la suapossibilità di trasformazione in atto che è insita inogni oggetto piccolo o grande che sia.La forma non è una scelta morfologica, né può essereconfusa con il formalismo, cioè non può essere ridot-ta a una opzione di priorità verso una elaborazionestilistica e formale o verso altri aspetti esteriori, piut-tosto che interconnessa al contenuto. La forma conferita dalle attività conseguenti all’ap-plicazione del metodo Martinista rende coloro checamminano su questa via, predisposti per quel conti-nuo cambiamento che è derivato dalla volontà diassumere interiormente ed esteriormente, forme eposture adeguate ad interagire progressivamente conla Luce.Questo nostro indispensabile Lavoro quotidiano,diviene l’esempio più chiaro di come la Forma siaindissolubilmente legata alla sostanza, tanto da tra-sformarsi e concretizzarsi in reale Sostanza.

Verità e segreto

Il segreto risiede nel mistero della illuminazione inte-riore; il percorso per riuscire a bussare alla porta della

Luce, incomincia con il desiderio masoprattutto con la volontà di “conoscere” econ la capacità di attendere quanto e cosasia necessario.Le parole di Oswald Wirth ci fanno com-

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prendere come l’illuminazione interiorepossa rappresentare il fine ultimo del cammi-no iniziatico che si identifica nel compimentodella Grande Opera.Su questo “segreto” mai benevolmente affrontato ocapito dal mondo profano, numerosi autori, a volte,hanno prodotto le peggiori elucubrazione sul nostroOrdine. Altri ancora hanno visto e ancora vedono innoi, come per altre strutture iniziatiche, una societàsegreta, che avrebbe l’obbiettivo di compiere addirit-tura misfatti e crimini della peggiore specie, per per-seguire particolari fini politici o peggio. Noi sappiamo bene quanto tutto ciò sia lontano dallaverità, ma vista la normale estrema riservatezzadell’Ordine e dei suoi componenti, abbiamo delleoggettive difficoltà a far comprendere ai profani lavera natura delle nostre ricerche. Infatti, il valore che noi diamo al concetto di “segre-to” è per lo più, diverso dal significato che la parolapossiede nel mondo profano.Ad ogni modo, la responsabilità di interagire pubbli-camente è da sempre riservata ai compiti del GranMaestro e solo lui provvederà nei modi e nelle formeche riterrà opportune.Tornando al concetto di “Segreto”, si può notare chequesta è una parola che se fatta derivare dal verbolatino secernere, è composta da “se”, che indicaseparazione, e da “cernere”, che vuol dire mettere daparte, separare, scegliere. Il suo participio passato,secretum, quindi si tradurrebbe con separato, selezio-nato. A differenza di altri segreti, quello in ambito metafi-sico si presenta ontologicamente inafferrabile, inac-cessibile e non può essere penetrato facilmente. In unpercorso come il nostro, è il risultato di un processoche ha avuto origine con l’iniziazione di cui è conse-guenza diretta. La natura di tutto questo è tale, da nonpoter essere esplicitata facilmente con la parola.Infatti, le esperienze assumono sempre con-notazioni soggettive, particolari ed esclusive.Per questo motivo, nell’insegnamento si fauso di simboli collegati ai grandi filoni tradi-zionali, mentre le ritualità eseguite in modo

(esteriore ed interiore) “ diligente e corretto”,aprono concretamente i diaframmi metafisicie consolidano i collegamenti eggregorici.

L’iniziazione, come sappiamo, si limita ad infonderequell’influenza spirituale che rende possibile metterein campo un lavoro interiore che “può” favorire perl’iniziato, l’opportunità di penetrare, più o meno pro-fondamente e più o meno completamente, in quellacripta, in quella oscura caverna dove c’è quella picco-la scintilla di Luce, quell’occultum lapidem che èparte dello Spirito divino che è presente in tutti noi.Poi forse, se ogni cosa sarà stata compiuta in modogiusto, sarà in grado di muoversi, interagendo pro-gressivamente con la Luce.Dante dalla “selva oscura” ha viaggiato attraverso unpercorso che prevedeva la discesa agli Inferi, dove,nel suo profondo, il Sommo Poeta ha preso coscienzadei mostri che albergavano in lui, “nella Nigredo”.Poi ha proseguito lungo la scalata del montePurgatorio, raggiungendo la completa purificazionedel proprio essere nell’Albedo, ed infine ha raggiuntola rinascita, l’unione mistica in Dio, nella Rubedo.Le Opere al Nero, al Bianco e al Rosso costituisconoil simbolo della Grande Opera che l’adepto “può”portare a compimento con il cammino iniziatico. L’illuminazione è, prima intuendo e poi comprenden-do, il risultato di un graduale processo di trasforma-zione, di rigenerazione, del nostro essere. Questonostro percorso ci potrebbe accompagnare fino allacosiddetta “Conoscenza suprema”, che consisterebbenon soltanto nel prendere coscienza della nostradimensione trascendente, ma anche nel realizzare diessere una parte importante di un Tutto unico.“Quod est inferius est sicut quod est superior ad per-petuanda miracula rei unicae.”Le parole con le quali ha inizio la Tavola Smeraldina,attribuita ad Ermete Trismegisto, nel loro profondosignificato, contengono, secondo la legge dell’analo-

gia, il principio fondamentale dell’ermeti-smo, il cui substrato teoretico unifica in untutto unico, le Leggi che governano laconoscenza del Macrocosmo e del Micro-cosmo, preconizzando in tal modo l’Unità

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del Tutto.

Per tentare di farmi comprendere meglio,suggerisco, così per gioco, d’immaginare che la Veri-tà sia costituita da un elefante al buio. Supponiamo dinon avere alcuna idea di elefante, di non averlo maivisto, di non averne mai sentito parlare, quindi di nonavere nulla presente ai sensi e niente di concettuale.In queste condizioni chiunque ignorante allo stessomodo, in fatto di “elefantinità”, si è ritrovato a vivereal buio, la prima esperienza di conoscenza della veri-tà. Un elefante è stato fatto entrare nella completaoscurità, è stato toccato per cercare di farsene un'ideae per tentare di "impossessarsi" del concetto di ele-fante. Ognuno ha tentato di decodificare la propriaesperienza. Chi avesse toccato la zampa lo descrive-rebbe come qualcosa di simile ad una colonna, toc-cando la coda si penserebbe più a una corda, altriavrebbero percepito una certa ruvidezza della suapelle. Il tocco sulle zanne avrebbe indotto a supporreche l’elefante fosse qualcosa di simile ad un corno. Nessuna di queste verità parziali potrà essere assolu-tizzata. L'elefante non è una colonna, né una corda, néun corno. Ecco, come potrebbe intendersi la Verità. Un attopuro trascendente le normali percezioni sensoriali,per altro legate ad un’esistenza collocata in unadimensione spazio-temporale, lineare. Questa Veritàcosì definita è quella che, più propriamente, chiamia-mo anche Segreto. Entrambi i concetti, la Verità e ilSegreto, corrispondono a qualcosa da cercare, cheperò continuamente ci sfugge.

Ritualità

La ritualità è alla base del nostro cammino, una formadi pensiero e di disciplina che accompagnerà semprela nostra crescita interiore. Essa ci aiuta ad allontana-re l’eco dei rumori del mondo profano, ci accogliecome una madre premurosa, ci difende e ciguida nel percorso di allontanamento daimetalli interiori. Inoltre, l’utilizzazione cicli-ca, ripetitiva, degli argomenti previsti nellemeditazioni, è indispensabile per l’applica-

zione del nostro metodo. Però soprattutto,nella singola, solitaria, quotidianità, la ritua-lità attiva “magicamente” il contatto con ciò

che non è solo materia ed è spiritualmente pervasodalla Luce. Questo, un poco alla volta, per alcunidiverrà stabilmente aperto.Alla base, comunque, ci deve essere la volontà delsingolo di maturare e di perfezionare il proprio Io,smussando e migliorando quegli aspetti che il nostro“grezzo” carattere personale si trascina dietro dalmondo profano. I suggerimenti del proprio Iniziatore,lo studio di analogie e di convergenze riguardanti ciòche in ogni tempo hanno lasciato altri ricercatori, pos-sono aiutarci. I nostri lavori rituali, sono prevalentemente singoli.Quelli collettivi (comprese le catene operative), sonoorganizzati e diretti solo a cura del proprio Iniziatore.Alcuni straordinari, sono condotti direttamente dalGran Maestro.E’ solo attraverso il corretto contatto eggregoricorituale, che si può percepire la nostra coralità spiritua-le, mentre a livello materiale, si permane incogniti,sconosciuti, anche tra i componenti delle stesso grup-po.Vivere correttamente la Ritualità è il cuore alla basedi tutto; tentando di interagire con la Luce, ogni atto,ogni pronunciamento, assumono progressivamente leconnotazioni di una preghiera dell’anima che ricercal’unità con la sua origine, avendo sempre più consa-pevolezza di sé e di cosa debba essere compiuto.

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Ebbene sì

PREMA S:::I:::I:::

In questi tempi il pessimismo pervade tutto e tutti.

Persino la segnaletica stradale verticale, dalle mieparti, si lascia guardare quasi scusandosi per l’attitu-dine curva e dimessa. Storti, sporchi, nascosti dietro auna vegetazione invadente, pieni di buchi o arruggi-niti questi cartelli non hanno più quel cipiglio autori-tario di un tempo, non ordinano, al massimo sussur-rano. Sono il segno della mancanza di cura da parte di chidovrebbe esserne addetto. Così un po’ lo sono anche io. Pigro. Distratto e lento.Eppure di cura, energia, autoritarismo ne avevo davendere. Nonostante questo invecchiare e impigrire, qualcosain fondo rimane sempre acceso; era un fuoco, è rima-sto un lumicino, ma c’è.Questa luce, stranamente mi parla o meglio, segnalain vari modi quando sto facendo la cosa giusta. Unsemplice segnale; se faccio le cose che dovrei fare, leisenza eccedere, ma anche senza mancare, puntual-mente mi rasserena e mi scalda di serena soddisfazio-ne. La mia vita, è cominciata tanti anni fa e il tempoperso, veniva giustificato da me come tempo di ripo-so, oppure bisogno di fare nulla, oppure, non voleresforzare la mente a pensare (pensare è difficile e costain impegno) o l’essere assolutamente necessaria lamia presenza davanti al televisore. Vuoi maiche l’Auditel se ne risenta. Dicevo, il tempo perso non ritornerà e quellonuovo è corto; è certamente minore di quellogià vissuto.

Le mie ricerche le ho fatte, impegnato losono stato. Fratelli e sorelle mi hanno accom-pagnato lungo il cammino. Alcuni mi hanno

preceduto nel passaggio alla dimora di transito; diloro mi rimangono i ricordi e di altri le poesie, di altriancora i ragionamenti, le suggestioni, l’ammirazione,le indicazioni e i consigli. Di un vecchio amato bron-tolone, otre a tutto questo c’è anche il ricordo di unrisotto con i funghi a dir poco spaziale. Ciao Giulia-no. Si cammina, si smussano gli angoli, si cerca di capire,di comprendere. Comprendere non giustificare. Il bene è bene anche se nessuno lo fa e il male è ilmale anche se tutti lo fanno. Insomma, per me la viasi è aperta anni fa e ho comunque “scarpinato” suquesta via, ho ascoltato e cercato di mettere in pratica,ho modificato me stesso per quanto possibile e misento diverso rispetto alla partenza, e si, mia moglieconferma, nel tempo sono migliorato. E quindi eccomi, consapevole di dover affrontare unosforzo finale, restio comunque a dover faticare perottenere il salto vincente quando… mi viene spiegatoche non devo far fatica. Devo accettarmi per quelloche sono. Questa è una cosa che mi riesce tutto som-mato bene. Devo piuttosto combattere per non accet-tare di me le cose sbagliate. “No!, anche le sbagliatesei comunque tu.” Ecco, mi dico, se non devo far fati-ca, se mi devo accettare, se il mio ruolo nell’universoè proprio questo e non altro, insomma se davvero nondevo far fatica, si può fare.E poi mi rendo conto che comunque questa notizia miè arrivata a cambiamento inoltrato e che ciò che hoacquisito è mio, di quel “mio” che nessuno ti puòrubare. Ma alla fine quale è il premio per questo accettarsi? “E’ bellissimo! All’improvviso, mentre stai meditan-do, osservando, godendo di questa terra, di questo

ossigeno, di quest’acqua e di questo calore,tutto ti appare uno, infinito (leggi uno vir-gola infinito, come se fosse in numero) e tuci sei dentro, in questo infinito”. Direi che ci potrei stare.

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Sì mi potrebbe piacere. “Però non succede a tutti, pochi sono quelliche riescono a capire”.Ed ecco che il dubbio si insinua: ed io potrò essereuno di quelli?Credo che sapere che si possa fare sia importante. Si,ma quale vivente c’è riuscito?

Ed ecco Maometto con la sua frase più conosciuta:“Se Maometto non va alla montagna, la montagna vada Maometto”. Allora cosa c’è di grande dentro que-sta frase? Il fatto che è ineludibile l’incontro fra Maometto e laMontagna.Come dire che se Maometto è pronto la montagna sipresenta. La montagna può rappresentare l’Immensamentegrande che esiste dentro di noi?Di fatto, in continuo, dal modo dell’ImmensamenteGrande mi arrivano messaggi di conferma.Conferme, da molte diverse provenienze dello stessofatto.Si può realizzare di essere in uno virgola infinito?

Grazie a Renato-Arturus e ai fratelli, abbiamo godutodi queste “lezioni magistrali” che mi sono sembratecome una passeggiata in un bagno purificatore stileGange; alla fine di ogni lezione, mi sento sempremeglio di quando l’ho iniziata.

Sai Baba diceva: “Tutti noi siamo Dei; la differenzafra me e voi è che io so di esserlo e voi no”.Stesso concetto nel Vangelo di Giovanni con Gesùinterrogato dai Giudei. 10/34-38

Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostraLegge: “Io ho detto: voi siete dèi?”35 Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali furivolta la parola di Dio – e la Scrittura nonpuò essere annullata 36 a colui che il Padre ha consacrato e man-dato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”,perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”?

37 Se non compio le opere del Padre mio,non credetemi; 38 ma se le compio, anche se non credete a

me, credete alle opere, perché sappiate e conosciateche il Padre è in me, e io nel Padre» Il mio caro fratello Angelo mi aveva detto del suoMaestro cinese che insegna Qi Gong e che fa coseincredibili con le energie e con l’agopuntura. (Io hoavuto modo di essere curato da lui e praticamente l’a-gopuntura che lui pratica è una scusa per sistemarti leenergie). Tecniche di meditazione che portano ad una profon-dità di visione da vedere anche le cellule respirare.Poi ulteriori conoscenze e conferme.In internet ho incontrato Sadguru, uno Yogi dotato diun magnifico eloquio, che ha avuto la stessa illumina-zione di cui parla il Fratello “Nur” nei video-incontri.

Per ultimo, ieri, in una Biblioteca delle Suore Bene-dettine, circa 38.000 volumi, mentre mi guardo intor-no mi scappa l’occhio su un libricino nel settore spi-ritualità. Ma davvero piccolo, poche pagine, di colore viola.

Autore: Giovanni Vannucci.Titolo: Lievito di pane Eremo S. Pietro alle Stinche (L'eremo San Pietro alle Stinche, fondato da padreGiovanni Vannucci, si trova a Panzano in Chianti(FI))

Lo prendo, contravvenendo al divieto della bibliote-ca; (tanto va la gatta al lardo… prima o poi...) aprouna pagina a caso e cosa leggo?“L’uomo pienamente realizzato diventa un centroradiante di luce, riverbera il punto luminoso che è inlui e fuori di lui: Dio stesso”.

Sarebbe bastato questo, ma insisto, cambiopagina

“L’unica via è quella di assumere la spadadel guerriero, usarla fermamente contro le

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parti immature del nostro essere”.

“Per sapere cosa è l’amore bisogna amare.

Raggiungere l’infinito amore divino richiede un’in-cessante e impietosa apertura del cuore, senza com-promessi, senza intervalli: in tal caso l’apertura delfiore del cuore si attua”.

La montagna si mostra completamente; L’Indù, ilTaoista, lo Yogy, l’Alchimista, il Mussulmano, ilCristiano, tutti uniti in questo racconto. Tutti lavorano in direzione della conoscenza di séstessi per arrivare all’infinito.

Il Kali Yuga sta per finire, inizierà la Golden Age.Che la Sapienza porti alla Conoscenza.

PREMA S:::I:::I:::

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Piccole riflessioni

sull’Interiorizzazione

ATHANASIUS S:::I:::

In un tempo di assoluta materialità è facile perdersi

nel nozionismo, nella conoscenza superficiale, piutto-sto che penetrare in profondità.La ricerca, secondo il metodo trasmesso con lo studiodelle Scienze tradizionali, è, per quanto difficilepossa esserne la comprensione, piena ed esclusivainteriorizzazione.L’aspetto di tale lavoro incide su un duplice fronte: dauna parte è l’interiorizzazione di principi raccolti eveicolati come conoscenze trasmesse in un passaggiotradizionale, mentre, per altro verso, il percorso versol’altro livello è dato dalla vera discesa in sé stessi, dacui emergere nella pura essenza Divina. In questo colgo il vero significato di quanto il mioMaestro iniziatore mi ha detto: non aspettarti nullada me.Capisco che, infatti, l’iniziazione Martinista non valecome trasmissione mediata di conoscenza, ma essa hasolo ed esclusivamente un aspetto reale inteso come“straordinaria assistenza, accompagnamento” durantela discesa in sé stessi, in piena solitudine, nella ricercadell’aspetto più vero del proprio essere che apparecome chiuso ad ogni forma di Luce.Pertanto, ogni forma diversa di iniziazione, impostaattraverso la trasmissione di collegamentispirituali in un ambito storico e, quindi,transitorio e fugace, risulta, in un ambito inti-mo, come primo elemento per aprire al disce-polato.

L’iniziatore, quindi, si limita a riconoscere ildiscepolo, ma null’altro fa o può fare se nonevidenziarne l’attitudine determinata da un

livello intrinseco di propensione naturale all’accessoalla conoscenza.Con l’iniziazione si dischiude la porta, ma il percorsoa cui si accede è in solitaria ed al buio. Solo il pienoabbandono nel buio ed il superamento dell’imposturadella materia, la liberazione versa da ogni esostrutturaimposta dal contesto in cui il soggetto è inserito, con-sente la risalita in un percorso di ascesi.In buona sostanza, l’iniziazione consente di superarela dicotomia che c’è tra la parte spirituale dell’esi-stenza e la materialità della natura umana nel quater-nario.Nell’iniziazione vi è, quindi, l’acquisizione di unmetodo che, nel Martinismo supera l’esame di simbo-li in un percorso razionale ed avvia il discepolo aduna fase meditativa propria ed essenziale, che va al dilà del tempo, dello spazio e delle circostanze occasio-nali, in cui l’essere recupera sé stesso e lo monda daogni elemento esteriore necessario nell’agire quoti-diano che lo ha, naturalmente, allontanato dal princi-pio Divino. E’ molto difficile trasmettere tale mio sentire e, pro-babilmente, in una immagine allegorica, la conse-guenza dell’iniziazione è come il mare in risacca chesi ritira, si raccoglie, si ferma, scende e scompare perpoi ritrovare il suo naturale espandersi e propagarsiraggiungendo la riva ed infrangendosi con una forzanuova prima sconosciuta e mai ben intesa.Nella prima fase c’è, quindi, il ritirarsi in sé stessi e,recuperata la forza propulsiva dello spirito, uscire espandersi in un eterno ritorno.

ATHANASIUS S:::I:::

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L’ ulivo e le origini

BETH S:::I:::

Una persona seduta, poggiando la schiena ad un

tronco di ulivo secolare. Osserva la pianta e ciò chesta intorno.Nel silenzio della campagna concentra il suo sguardosul maestoso albero.Prova ad immaginare la profondità delle radici e laloro forma aggrovigliata, ben salda nel terreno. Perottenere questa penetrazione nelle zolle avrà impiega-to centinaia di lustri che gli hanno permesso di radi-care lentamente e quindi acquisire forza stabile eduratura.Il tronco nodoso, con qualche cavità, a volte ospitapiccoli animali. Essi trovano riparo ma non riesconoa penetrare all'interno. Dal tronco partono radicisuperficiali che non entrano abbastanza nel terreno;non sono profonde, ma, provano a germogliare all'e-sterno tramite piccoli rametti che se trapiantati innaf-fiati e concimati daranno vita a nuove piante di ulivocome l'albero originale.I grossi rami provenienti direttamente dal tronco, sor-reggono altri rami ancora più piccoli che puntanoverso l'alto, che spesso sono troppo fragili per affron-tare intemperie climatiche e malattie. Devono avere la pazienza di crescere lentamente; adogni potatura, devono rigermogliare e rifiorire perprodurre frutti .Il sole è ormai sopra le cime più alte, la persona pog-giandosi la mano sulla fronte come fosse lavisiera di un cappello. Riesce ad intravedereun falchetto che fa il giro di ricognizione nelsuo territorio. Esso vigila attentamente dall'alto, scendendo

sul terreno per catturare, serpenti piccoliroditori e altri animali.È difficile per un intruso aggirarsi indisturba-

to.La giornata volge al termine, la persona rientra nellasua casa portando con sé le olive raccolte. L'immensoalbero rimane lì, saldo nel terreno in attesa della luna,che, prenderà il posto del sole e del gufo che prenderàil posto del falco.Giorno dopo giorno, stagione dopo stagione conti-nuerà a crescere e dare frutti.Sarà difficile che malattie intemperie, fulmini, paras-siti ed altri eventi, sia naturali, che creati dall'uomo,riescano a farlo morire completamente. Si potrannodanneggiare gravemente tronco e rami, ma, le radiciresteranno ridando linfa vitale al tronco che genererànuovi rami.

ORDUNQUE:Il riassunto di una giornata in un uliveto, vista daimiei occhi e sentita dal mio cuore, mi fa rifletteresull'Ordine Martinista.Le radici dell'ulivo, così come le radici dell'Ordinesono profonde e ben radicate.Il tronco assieme allo sviluppo delle radici all'esterno,è ben solido. È cresciuto lentamente nel corso degli anni fortifican-dosi. I nodi che sono sulla superfice del tronco e deirami, sembrano ferite rimarginate dovute ad attacchiesterni.Le cavità tra tronco e radici che ospitano altri esseriviventi, sono persone che temporaneamente sono statiall'interno dell'ordine e poi non hanno continuato acamminarvi.I rami principali sono le varie “Colline” che con piùgruppi, si espandono in tutte le direzioni, provenientidal tronco primario costituito dalla “GrandeMontagna”.

Dai rami principali, ogni anno crescononuovi germogli che, a loro volta, diventanorami. Alcuni fioriscono e fruttificano, altri sonodestinati ad essere potati perché non gene-

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rano frutti. Ciò mi ricorda i vari iniziati che provano apercorrere il sentiero Martinista; alcuni acqui-siscono e seguono il metodo sentendosi parte di esso,altri no. Ma...è la vitaUno su mille ce la fa.Il falco che protegge dall'alto il territorio di giorno eil gufo di notte, lo associo ai Maestri Passati chevegliano sull'ordine, sia con la luce solare, che conquella lunare.Loro proteggono i loro figlioletti costantemente.Gli ulivi centenari sono fonte di pace. Sedersi pog-giandosi al loro tronco, stando in silenzio, osservan-do, rasserena la mente.Il metodo Martinista se, affrontato con la giusta pre-disposizione, aiuta a trovare equilibrio psico fisico. Una mente equilibrata riconosce la giusta connessio-ne che c'è tra l'uomo e gli altri esseri viventi di qual-siasi genere e specie presenti sulla terra. Facciamotutti parte di un unico pianeta; basta ricordarsene.Ogni tanto.

BETH S:::I:::

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Sensi e controllo della mente

DIANA S:::I:::

Riordinando una delle librerie di casa, ho ritrovato

tra le pagine di una rivista, alcuni appunti che avevopredisposto per un racconto breve, ispirato ai cinquesensi, che unitamente ad altri, faceva parte di un pro-getto editoriale di diversi anni addietro, in parte rea-lizzato.Ne ripropongo un breve stralcio per ricollegarmi poia varie meditazioni, in merito alle quali ho contem-plato qualche cosa ma soprattutto ho affollato lamente con molteplici interrogativi.Ecco la parte che mi ha ricondotto a rivivere quantosto accennando e quindi ad interrogarmi.

“…. Stava tornando a casa dopo una pesante giornatadi lavoro e rifletteva: “ ora finalmente mi posso rilas-sare e pensare con piacere per un po’, solo a me stes-sa”. Considerava la fortuna di abitare in campagna, lonta-no dal caos frenetico cittadino. Era in auto sulla viadel ritorno. Il meriggio inoltrato colorava il paesaggiocon toni caldi mentre le ombre sul terreno si allunga-vano tra le grandi zolle che, a tratti, si stendevano aperdita d’occhio, come onde in un fiume pietrificato.La strada si sviluppava sinuosa tra i campi ove qual-cuno stava ancora completando ciò che necessitavaprima del vespro. L’assenza di altri veicoli le consentiva un progressivorilassamento; tanto da favorire la calma osservazionedel paesaggio che si presentava placidamenteai lati.Poteva discernere l’esplosione dei primicolori autunnali che si svelavano sulle fogliedegli alberi; dai rossi accesi, ai colori più

tenui dell’arancione, del giallo, a guisa dicontrappunto per i verdi che ancora “canta-vano” la melodia dell’opulenza.

Adagiati oltre le distese geometriche dei campi arati,gli ultimi rotoli di paglia giacevano in attesa di esseremessi a dimora, mentre ogni tanto, il susseguirsi rit-mico delle file degli alberi era permeato dal suonoproveniente dai cinguettii dei passeri e degli storniche oltre a creare fantastiche figure nel cielo, saettan-do, sfrecciavano e si inseguivano festosi a frotte, trale cime, guizzando da un ramo all’altro.I finestrini erano abbassati, entrava l’aria fresca, pun-gente, sferzante della sera, invadendo ogni cosa consentori aspri, acri della terra, del legno, dei muschi,delle resine, delle erbe circostanti, appena tagliate.Nella sua magnificenza, il sole a ponente, si accinge-va a curvare verso l’orizzonte promettendo d’incen-diare ogni cosa, dipingendola con un rosso infuocato,variegato da strisce lucenti, abbaglianti, che si allar-gavano, si frantumavano, si sbriciolavano in molte-plici bagliori dorati. La calma, il silenzio irreale di quelle pause, la magicaraffigurazione della bellezza della natura in tutte lesue manifestazioni armoniche, la induceva a provareuna sorta di stupore, un senso di meraviglia, di pace,di benessere. Diveniva più intenso, nell’inspirare apieni polmoni l’aria circostante; soprattutto nel riget-tare istintivamente espirando, le tensioni accumulatenella giornata, nel cercare di imprimere, di fissarenella mente quella visione, per ricordarla come unafoto indelebile e poi progettare di riportarla allamente, facendola riaffiorare in ogni occasione solleci-tata e desiderata....”.

Il racconto continua ma salto alcune parti per arrivarea particolari momenti che reputo interessanti: “…….stava per giungere a casa, già pregustava l’ar-rivo, e prevedeva la sua scena preferita, come se la

stesse rivivendo mentalmente: il micioaffettuosissimo che l’accoglie miagolandofelice; si striscia sulle sue gambe e ronfan-do le si accoccola nel grembo, pigiandocisopra in maniera ritmica le zampe e facen-do le fusa.

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Quando accadeva, le comunicava sempre unsenso di benessere.Pensava che avrebbe dovuto organizzare lacena, ma gli stimoli della fame erano sono ormai giàcalmati; infatti, aveva già usufruito in modo abbon-dante di una pausa gustativa. Rivedeva la caffetteriaappena lasciata, quasi avvertendo ancora l’odore, l’a-roma, la fragranza di caffè, che all’entrata avvolge,avviluppa chi è presente. Aveva apprezzato con pia-cere un tè nero, aromatizzato, profumato alla cannel-la, mentre era attratta dalla visione di gustose, piccoleciambelle glassate alla vaniglia, all’arancia, al cioc-colato, ricoperte di mandorle e di granuli di zuccherocolorati. Erano esposte, esibite in bella mostra sulbancone, per tentare, sollecitare i clienti, i quali sibeavano della sensazione che arrivava nel toccare,nell’assaporare, inevitabilmente catturati da questedelizie prelibate, ghiotte e squisite.Finalmente era a casa, terminate le solite incomben-ze, era scivolata nella stanza in cui si recava a riposa-re e ad indulgere in una piacevole consuetudine serale(ogni volta che poteva).Nella stanza c’è penombra, illuminata solo da unatenue luce che arriva da una minuscola lampada col-locata sul mobile, i cui contorni, nella poca luce, sem-brano fondersi con la parete. Il silenzio serale dell’ambiente favorisce un morbidorilassamento; si siede di fronte alla finestra aperta, dacui si intravvede la natura in tutta la sua quiete, inattesa dell’approdo della dolce notte, ormai imminen-te ad est.Esegue il solito esercizio che gradisce particolarmen-te: inspirazione calma e lenta, pausa, espirazione,pausa, mentre i pensieri si presentano in modo casua-le, aleatorio, privo di regolarità, ma poi piano, piano,sbiadiscono, perdono di consistenza, mentre la menteprende possesso cosciente di sé e induce, tramite lacalma concentrazione, ad osservare ogni cosa, conattenzione selettiva e distaccata da qualsiasicoinvolgimento emotivo. Poi, con un coman-do repentino si impone una precisa direzionee così si proietta nella biblioteca dei ricordi,dove seleziona una nuova cartella; il filmatoinizia e lei osserva, valuta rivive, si interroga,

nota le dinamiche ma, come sempre, vuolescoprire le vere cause che allora hanno scate-nato quei pensieri, indotto a pronunciare le

parole ed a compiere le varie azioni.A volte, salta tutto questo e si limita a rimanere ferma,immobile, con la mente svuotata di ogni cosa, con lepercezioni sensoriali pressocché azzerate, galleggian-te in una nebulosità perlacea ma completamente ricet-tiva. In effetti, ogni tanto qualche cosa accade e la nebbiasi squarcia, permettendo per un istante infinito, lacontemplazione di qualche cosa non bene a fuoco cheperò provoca la struggente sensazione di consapevo-lezza di ciò che forse era rimasto dimenticato per untempo infinito. Si ritrova poi a pensare che non di rado, trova sempreun po’ di tempo per meditare o pregare, spesso dan-dosi un appuntamento ad un’ora ben precisa. E’ una consuetudine che, a latere, le consente di rica-ricarsi di energie diverse e positive che nutrono, cal-mano la mente. Sono attimi preziosi di leggerezza,utili per riequilibrare le tensioni, le fatiche che deveaffrontare ogni giorno. In questo modo, devia, rimuo-ve le situazioni psicologiche, pesanti (anche quellegradevoli, ma stressanti), per lo più cariche di troppaadrenalina; condizioni che avvelenano lentamente lasalute e l’esistenza.Per fortuna oppure ormai come abitudine consolidata,quando gli impegni che ha ricercato (anche quelli ina-spettati), si affollano disordinati, senza controllo,avverte progressivamente una sensazione di allarmediretta a prendere atto di una sorta di sfasamento psi-cofisico. Osservandosi, si ritrova quasi con stupore,in fuga da sé stessa, alla ricerca di gratificazioni, pernon pensare, lasciandosi scivolare distrattamente, neicomportamenti automatici, prigioniera di moltepliciesigenze istintive, in balia di un caos disordinato cheimpedisce di avere il controllo anche solo di pochi

momenti, durante una giornata.Deve reagire subito, deve riportare lavolontà verso la giusta direzione……”

Il racconto prosegue lasciandomi alla fine,ancora una volta, con molti quesiti, riguar-

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do a come funziona la nostra mente, a comesia facile stimolarla in modo piacevole maanche gravoso, ma poi anche su come crearesuggestioni indotte o autoindotte.Le facoltà della mente non sempre sotto controllocosciente, ci condizionano, ci suggestionano. Ad esempio, quando si guardano le scene fissate inuna foto, oppure allorché ascoltiamo, leggiamo, leparole utilizzate per descrivere le situazioni di un rac-conto, potrebbe accadere che collegandosi a ricordi ditempi passati, questi ultimi vengano spesso abbellitidalla riesumazione di pulsioni struggenti. Le parole, i suoni, i colori, le immagini visualizzateanche solo mentalmente (non importa se siano costru-zioni di cose irreali), suscitano automaticamente sen-sazioni, emozioni, positive o negative. In alcuni percorsi di ricerca mentale, spirituale, si tro-vano spesso affermazioni riguardanti la possibilità diconstatare che, attraverso la mente pacata, “silenzio-sa”, con i cinque sensi completamente acquietati, sisviluppano, più o meno quasi sempre, alcune facoltàextra sensoriali: come veggenza, telepatia, autoguari-gione, interazione con gli elementi naturali, ecc. Sonoesperienze molto personali, intime, a volte difficili dadescrivere. Per questo chi le sperimenta, ne prendecoscienza e continua a viverle senza sentire la neces-sità di parlarne.Mi chiedo: certe facoltà sono forse un retaggio umanoposseduto da sempre? Forse sono solo da riscoprire?Da riattivare?Credo, comunque, che occorra una certa prudenzadell’addentrarsi in certi ambiti, senza conoscernealcunché. Attraverso l’immaginazione si possonocreare mondi irreali, solamente fantasiosi; per cui, c’èda chiedersi come ci si debba “attrezzare” per distin-guere la realtà dalla fantasia. Non è affatto chiaro, incerte situazioni, come sia possibile distinguere facil-mente quanta suggestione sia stata indotta o autoin-dotta; ad esempio, se stia verificando real-mente un contatto con qualcosa di non tangi-bile o se si tratti solo di auto-creazione men-tale.Colgo così l’opportunità per accennare anche

ai concetti di “eggregora”.Come definire un gruppo di persone chefavorisce non solo l’interazione tra i propri

componenti ma che ipotizza di provocarla anche suinon viventi, però a questa già collegati nel passato, epoi anche su diverse essenze spirituali, collocate ineventuali livelli esistenziali, differenti da quelli mate-riali? Intuendone la probabile concreta esistenza, potreiimmaginare ad esempio, che se questi pregano assie-me con slancio ed enfasi tendente (spero) verso ilbene, verso la Luce, possono forse creare un’ondabenefica che si propaga nello spazio e che modificagli avvenimenti? Ad ogni modo, senza indulgere troppo in voli pinda-rici, è assodato che certi esercizi anche di solo sem-plice rilassamento, hanno comunque trovato in moltisettori, una loro utilizzazione; sovente per lenire ildolore o la fatica e tramite la mente allenata a talescopo, anche per riportare un certo riequilibrio psico-fisico ed un conseguente un beneficio effettivo. Riscoprire il silenzio esteriore ed interiore operandocon convinzione e volontà, per attenuare i rumori, icondizionamenti, i bombardamenti mediatici, in cuisiamo immersi per moltissime ore del giorno, imma-gino possa risultare non solo utile, ma indispensabileper qualcuno.Non siamo isolati come eremiti, ma siamo inseriti inuna vita sociale molto attiva, in cui ci confrontiamo escontriamo nei suoi conflitti, tutti i giorni, in cui èdeterminante avere un riscontro tangibile e una veri-fica di un possibile miglioramento esistenziale.Immergersi nella personale intimità, per alcunimomenti, ritrovare coscientemente sé stessi, forsepotrebbe servire proprio per mettere a fuoco certiblocchi, vecchi traumi con conseguenti automatisminegativi; infatti, se non chiariti, diventano una ripeti-zione ossessiva con una insoddisfazione passivamen-

te istintiva.Riuscire a capire chi siamo veramente,potrebbe indurre, forse, a scegliere comeeventualmente cambiare in parte un nostromodo di vivere condizionato non certo

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spesso dalla nostra volontà cosciente.Alcune persone uscite da un coma, affermanodi poter testimoniare l’esistenza di un mondodi luce, di pace e cambiano totalmente la visione pra-tica della loro vita.In certi casi, come si distingue la fantasia dalla real-tà?La percezione di qualche cosa o il credere all’esisten-za di un mondo al di là di un tempo e di uno spazioinfinito, come anche l’intuizione di energie positive,sospese in un luogo indefinito, porta a qualcuno unaiuto, una speranza. Se poi a questi pensieri si aggiungono coincidenzestrane, inspiegabili ma risolutorie di qualche cosad’importante nei momenti disperati, l’insieme di tuttequeste manifestazioni, ci fa apprezzare il dono dellavita. Forse così, la permanenza su questa terra, non sareb-be più vissuta come un fatto casuale e determinateesperienze positive o negative che affrontiamo ognigiorno, potrebbero essere considerate indispensabili,determinanti, per poter accedere a ben altro.

DIANA S:::I:::

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L’importanza del nome

nella Tradizione

MIRIAM S:::I:::

Al momento di entrare in diversi percorsi di “cono-

scenza”, tra cui il Martinismo, viene chiesto conquale nuovo nome il richiedente vuole essere cono-sciuto dai fratelli e dalle sorelle; questa scelta ha unavalenza superiore a quanto si può presumere inizial-mente, per chi appunto è ancora un po’ profano.Come succede sempre, quando si affrontano questio-ni legate all’esoterismo, alla kabbalah, ed a vari per-corsi “misterici, anche il significato dei simboli, delletradizioni di cui è pervaso il Martinismo, risultamolto più ampio e profondo di quanto possa apparire,soprattutto all’inizio del nostro percorso.Recentemente mi sono soffermata sul significato esull’importanza dell’assunzione di un nuovo nome,mentre riguardavo le foto del mio viaggio in Egitto.La mia attenzione è tornata al magnifico tempio diHatshepsut il faraone donna, la cui immagine e ilnome sono stata cancellati da tutte le pareti della suacripta. Allora pensai ad una delle tante azioni irrazio-nali, tese a cancellare le opere e l’importanza didonne non convenzionali ma il mio ragionamentonon reggeva, dopo aver notato che anche l’immaginedi un faraone eretico come Akenaton era stato cancel-lato da molte stele e muri dei templi, anche se noncosì accuratamente come Hasepsut di cui non si cono-sce forse il volto (nella sua cripta le statuesono state tutte decapitate).Per gli egiziani la parola “Rn” associata a:“nome”, è molto simile a “Ren”: “uomo” incinese. Non a caso, infatti, il nome era consi-

derato la caratteristica vitale di un uomo e lasua imposizione era considerata quasi unaseconda nascita. Nella Sapienza egiziana si

dice che: “L’uomo di cui è pronunciato il suo nomevive”. Cancellare l’immagine ma soprattutto il nomedi una persona, equivaleva a impedire alle loro animedi raggiungere il luogo dell’Aldilà, a cui il loro per-corso di vita le aveva destinate.Nel vecchio testamento, il figlio prescelto daGiacobbe era Giuseppe e secondo la tradizione egiziala sua Anima aveva assorbito, come caratteristica, lapredilezione di suo padre Giacobbe, colui che com-batté con l’angelo e che YHWH ribattezzò Israele.Forse, possiamo quindi dire che colui che combattécon l’angelo era nell’anima di Giuseppe prediletta daIsraele.Anche per i Magi egizi, il suono di un nome potevaessere assalito da spiriti ostili che popolano i sogni,spinti da invidia per la sua musicalità. Questi cattivispiriti, infatti, spinsero i fratelli a vendere Giuseppe aipastori nomadi, rosi da invidia appunto, per il donoche questi aveva ricevuto dal padre. Infatti, Giacobbeaveva dato al figlio una tunica, dono non casuale,infatti è la tunica, la veste che conferisce carattere disacralità ad un sacerdote. In questo modo Giacobbeavrebbe conferito a Giuseppe una sorta d’investituraal ruolo di Gran Sacerdote.Come si legge in Genesi 49: “Giuseppe è un alberofruttifero un albero fruttifero presso una sorgented’acqua, le cui propaggini salgono sul muro”. InDeuteronomio 33, Mosè stesso benedice la trasmis-sione del nome: “Venga questa benedizione sul capodi Giuseppe e sul collo di colui che eccelse sui suoifratelli”. L’episodio di Giuseppe del Vecchio Testamento, anti-cipa Gesù che dirà: “un profeta non è disprezzato senon nella sua patria e in casa sua” Poiché proprionella sua stessa famiglia dimorano gli spiriti ostili che

perseguitano il nome delle anime prescelte.Forse anche per questo motivo, Gesù inci-terà i suoi discepoli a tagliare ogni legamecon la propria famiglia. Luca 14: “Se unoviene a me e non odia suo padre sua madre,

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moglie e figli, fratelli e sorelle e perfino lasua propria vita, non può essere mio discepo-lo”.Le malignità inseguono l’anima anche nell’oltretom-ba per carpire il suono del suo nome e poterla disper-dere. In questo modo, se il loro progetto, riesce abbia-mo quella che viene definita la seconda morte, quellaappunto dell’anima.Ascoltando e leggendo Padre Amos, nominato dalVaticano, a suo tempo, quale esorcista, si capisceancora di più l’importanza del nome. Infatti, egli rac-conta che di fronte ad un posseduto, la prima edessenziale azione da compiere è fargli dire il nomeall’entità che tormenta la persona. Egli dice infattiche finché non se ne conosce il nome, l’esorcismonon è efficace.La parola greca che designa il lavoro di Giuseppepadre terreno di Gesù, è “tekton” che contiene laparola egizia geroglifica “techen” Obelisco e il pro-nome personale “tu”.In un obelisco egiziano si supponeva che dimorasseroBenu un uccello mitologico assimilabile alla Fenice eRa il Dio del Sole; così come venerato nella pietraconica di Benben a Eliopoli. Il nome Giuseppe contiene il nome Gesù ed egli tra-smette al Figlio il suo mestiere di falegname. Anchequi siamo di fronte ad un importante simbolismo che,con la scienza del Nilo, possiamo interpretare comeun passaggio di Regalità da padre adottivo a Figlio,attraverso il nome. Inoltre il falegname e/o lo scalpel-lino è quello che in Egitto costruisce il Sarcofago edè molto interessante notare che la parola Sarcofago inegiziano significherebbe “Signore della Vita”.Potremmo perciò dire che quando il padre Giuseppe

tramanda il mestiere al Figlio Gesù, gli svela l’arte diessere il Signore della Vita, il Re Risorto. Essere un carpentiere, falegname, ebanista, ecc. nellaTradizione non significava avere umili origini, anzi,era indice di rango elevato con interazionicon origini Sacerdotali e Regali. Anche nelCorano nella sura 31, si parla di un carpentie-re (secondo alcuni però non è chiaro ilmestiere) etiope Luqman, che pur non essen-

do classificato come profeta, era comunquebenvoluto da Allah. Egli infatti trasmise alfiglio il giusto approccio alla Divinità, quan-

do disse: “figlio mio non attribuire ad Allah degliassociati. Attribuirgli degli associati è un’enormeingiustizia!” E’ probabile che il falegname nella Tradizione sacrasia da intendere come una figura che trasmette alFiglio il proprio tesoro. Nel caso di Giuseppe si trat-terebbe della sua Regalità sacerdotale; nel caso diLuqman del giusto approccio al Divino. La lettura del racconto nel Corano descrive Luqmaninviato dal suo padrone a prendere le parti migliori diuna pecora uccisa per l’arrivo di ospiti. Egli prese lalingua e il cuore. Tempo dopo Luqman venne nuova-mente mandato a prendere le parti peggiori dellabestia ed egli prese sempre cuore e lingua. Interrogatodal padrone per queste identiche scelte, disse: “nonc’è niente di meglio se essi sono buoni; non c’è nientedi peggio se essi sono cattivi”.Nella Genesi si dice che all’inizio c’era il Verbo. IlDio Ptah egiziano ha pensato il mondo nel cuore e loha creato con la parola. Il nome non sono solo lettere ma soprattutto suonoche le potenze ostili inseguono. Per la tradizione egi-zia, l’anima del faraone morto usciva dal corpo attra-verso la bocca e per questo veniva praticata la ceri-monia, ultimo atto del funerale, dell’apertura dellabocca, mentre il cuore che rivelava la vera natura del-l’uomo, veniva scrutato dalla Dea Maat al momentodella pesatura dell’anima.Il nome attraversa lo spazio e il tempo e si carica, divolta in volta, del suo significato per trasmettere forzaa chi lo riceve.Come abbiamo visto, le sonorità del nome Gesù pos-sono sembrare contenute nel nome Giuseppe e perciòGesù avrebbe in sé le caratteristiche del nome diGiuseppe, che potrebbe essere il segreto egizio della

Fenice e di Ra nell’obelisco. Gesù acquisirebbe così la caratteristica disuo padre, divenendo esso stesso l’Obeliscomaggiore il più potente, in grado di conte-nere il nome stesso di Dio con le lettere

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YHWH. Infatti, le lettere YHWH sono conte-nute in YHSWH, che secondo alcuni, tenutoconto soprattutto della musicalità con alcunevocalizzazioni, potrebbe identificare una forma ebrai-ca del nome di Gesù. Ad ogni modo quelle cinque let-tere misteriose, ineffabili, sono ben conosciutenell’Ordine Martinista.Esplorando sempre ambiti della antica conoscenzaegizia, notiamo che nel nome di Osiride è contenutoil nome IR che significa “occhio” e nel racconto dellemitologie egizie fu l’Occhio di Osiri, ovvero Horoche si abbatté sull’umanità ribelle al tempo del grandedisordine. Il nome Osiri significa, tra le tante opzioni,anche luogo dell’occhio oppure colui che porta l’oc-chio. È da notare come il nome Cristo contenga partedelle lettere di Osir; questo rende l’idea di come nelnome si possa trasmettere l’archetipo del Salvatore. Secondo me, è interessante ricordare la mitologia egi-zia a proposito di Osiride, nella versione narrata daPlutarco. Osiri infatti fu ucciso dal fratello rinchiu-dendolo in un Sarcofago che poi venne gettato nelNilo. Era scritto che il Re viene al mondo per morire,il Sovrano nasce morto perché porta la resurrezionedelle anime e solo chi è morto può risorgere. NeiTesti egizi, Osiri è definito il Grande Cadavere:“Sono l’anima del Grande Ariete che è in Abidos,sono il Guardiano del Grande Cadavere Osiride cheè in Abidos”. In alcune ipotesi apocrife, Cristo sareb-be nato nel segno dell’Ariete (prima che tale datavenisse spostata dalla Chiesa cattolica per molteplicimotivi) per liberare le anime dal fuoco delle potenzeostili a Dio. Gesù è il fuoco divino che irrompe sulfuoco infernale, e l’Ariete è un segno di fuoco. Nel mio viaggio in Egitto mi colpì molto una caratte-ristica del tempio di Amon Ra il Dio Sole, nel com-plesso templare di Karnak, in cui l’ingresso al tempioè fiancheggiato da una lunga fila di sfingi criocefale,cioè con il corpo da Leone e la testa di Ariete; ebbeneLeone e Ariete sono segni di fuoco come ilSole è fuoco ed inoltre il Sole dello zodiaco èesaltato nel segno dell’Ariete.Gesù e Horo sono qui per compiere la leggedel Padre. Infatti Gesù dice nei Vangeli

Matteo (5): “ non pensate che io sia venutoper abolire la legge o i Profeti; io sono venu-to non per abolire ma per compiere. Poiché io

vi dico in verità che finché non siano passati il cieloe la terra, neppure uno jota o un apice della legge pas-serà che tutto non sia adempiuto”Entrambi Gesù e Horo sono l’archetipo dellaSalvazione che proviene dal luogo dell’occhio perliberare i morti. Horo dichiara: “io sono Amon Ra, ioforzo l’accesso e mi tuffo negli abissi del Cielo”(LdM) e alla fine dirà: “Io ti riporto l’Occhio divinodi Horus affinché il tuo Volto illumini i mondi”.Anche Gesù sulla Croce dirà: “Padre nelle tue manirimetto il mio Spirito”. Luca 23.Nella Bibbia ci sono numerosi racconti e profezie chesembrano riferirsi alla Salvazione dei morti compiutada Cristo-Ra. Ricordo Osea 13: “O morte io sarò latua morte o inferno io sarò la tua distruzione”S.Paolo Col. 2 dice: “Egli ha spogliato i Principati ele Potestà offrendoli a spettacolo e trionfando su diloro”. Questa e numerose altre sono le affermazionidi come Cristo aprì la Porta degli Abissi. Anche neiSalmi di Davide, Salmo 15, si legge: “Non lascerail’anima mia all’inferno”.Il concetto di Cielo degli Inferi in cui il Salvatore, ilguardiano degli Armenti di Ra discende, secondo menon è di facile comprensione. In alcuni testi mi sem-bra più esplicita la descrizione che se ne fa nel Librodei Morti: “O Tumm che luogo è mai questo in cuisono appena giunto? Ahimè non trovo aria pura perrespirare, l’acqua mi manca! Dappertutto io nonsento né altro intuisco, nelle tenebre profonde che micircondano. Che precipizio che abissi! Quale opacaoscurità” Questo brano segue alla descrizione diquando i Titani aggredirono il Cielo e al conseguentecrollo dei mondi è quindi inteso come residenza dellepotenze ribelli. La preghiera è rivolta al Dio Thotaffinché tutti gli Dei che siedono su quei troni, rimet-

tano a Lui il loro potere per scongiurare laseconda morte quella dell’anima.Alla fine Horo dirà: “Eccomi” e il grido diGesù sulla croce sarà: “Consummatum est”Tutto è compiuto.

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Gesù nel cui nome si concentra tutta la nobil-tà di Israele trasmessa da Giuseppe il falegna-me che gli ha costruito la cassa vivente, ilSarcofago, il corpo di uomo terreno, dichiara al PadreVero che tutto è compiuto.Nella nostra tradizione, quando si imponeva un nomead un bimbo c’era sempre un evidente riferimentoagli antenati al nonno bisnonno ecc. e molto spesso ilnome del nonno veniva dato al primogenito. come unprivilegio speciale. Questo testimoniava una conti-nuità della famiglia. un’eredità morale, affettiva eprobabilmente contribuiva a render più forti i legamifamiliari. Quando ero giovane, ho notato che questatradizione era presente anche nelle famiglie più umili,non solamente tra gruppi importanti. Nel dopo guer-ra, molte tradizioni familiari sono andate perduteanche con l’arrivo di nuovi gruppi linguistici ed è ini-ziata una consuetudine ai nomi stranieri o a rendereinglesi nomi italianissimi come Robert ecc. oppure inomi sono stati scelti secondo la moda del momento,per cui in un determinato periodo abbiamo moltiMatteo, Mattia, in altri Paolo, ecc.Oserei dire che questi nomi non ci appartengono;secondo me assomigliano più a dei corpi estranei,come si dice in medicina, e certamente non ci tra-smettono la forza insita nella continuità. Ho notatoinoltre, che moltissimi ricorrono ad abbreviazioni delnome o a nomignoli quasi come volessero “dimenti-care” il nome originale.Quando si chiede di poter accedere all’OrdineMartinista, viene chiesto un cambio di nome. In quelmomento non essendo più giovanissimi, le varieesperienze di vita ci permettono di conoscere alcuniaspetti del proprio Sé o della propria personalità checi possono guidare nella scelta. Molto spesso a guidarci sono le nostre mete, ovverociò che vorremmo essere o diventare. Comunque hopotuto notare, almeno nel gruppo della mia Collina,che la scelta non è mai superficiale o leggera.Mi sembra che vi sia la consapevolezza del-l’importanza di questa decisione. Infatti,molti richiamano nomi della Tradizione egi-zia, a volte invece sono nomi della cultura

greca più antica, altri sono nomi biblici.Insomma, dietro queste scelte si cela il desi-derio di sapienza, di poter fare un percorso

teso alla conoscenza del proprio Sé e quindi alla libe-razione dello Spirito dalla materia che possiamo rap-presentare come inferno. Nel nuovo nome si cela ildesiderio di una nuova nascita. Almeno sembrerebbecosì nei nostri desideri.

MIRIAM S:::I:::

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Concentrazione senza sforzo

MORGON S:::I:::

La Concentrazione a freddo che viene sempre sug-

gerita dai Maestri parrebbe essere la chiave per il rac-coglimento, per l’ascolto; strumenti necessari, inelu-dibili per l’accesso al Tempio interiore, alla Camerasegreta, al luogo interiore, dove potrebbe manifestar-si, progressivamente o addirittura in modo diretto,quel Sé che tanto cerchiamo, immensamente piùgrande del nostro Io, in grado di guidarlo verso la Viacome solo il Maestro Interiore può fare.Gli aspetti più consistenti e contrastanti che si potreb-bero trovare dentro sé stessi sono però caotici ed esi-gono una volontà fatta di sforzo, una concentrazionenecessitante tensione psichica per essere, a malapena,educati, direzionati, convogliati. Questo purtroppopotrebbe non essere il sentiero ideale.Una parte di noi vede, indica, direziona, come il lettodi un fiume ed un’altra parte, straripante di energia,fluisce poderosa dove vuole e come vuole, le forzedel ventre, del Nero, del Fato; la parte che vorrebbeindicare alle forze interiori indomate ove andarestringe i denti, freme e si tende per esercitare un sep-pur minimo controllo sull’altra che, cieca, non vuolsaperne di essere guidata.Tutto questo crea grandi tensioni entro di noi, a voltevince l’una e ci sentiamo soddisfatti, ma stranamenteprivi di energia, di vita; a volte vince l’altra e ci sen-tiamo pieni di forza, ma totalmente al buio con l’ine-vitabile conseguenza di creare qualche guaio,interiore od esteriore.Tra questi due giganti vi è la nostra consape-volezza, quasi impaurita, come se fosse tral’incudine ed il martello. Invano tenta di con-

ciliare gli opposti, di farli fluire entrambiarmoniosamente, di “sposarli”; prova più epiù volte, ma ne esce quasi sempre con le

ossa rotte.Per questo ho parlato di sentiero non ideale; fino aquando la consapevolezza, sorretta dagli insegnamen-ti dei Maestri, userà la forza (tipica tendenza dell’Ioprofano) potrebbe non raggiungere un punto di stabi-lità interiore nel suo Cammino verso la Luce, verticedel Trilume.Risulta difficile parlarne o scriverne, ma lo sforzo ènecessario ed allo stesso tempo non lo è, l’arco di unarciere viene teso e quanto…, ma se non lascia lafreccia, rilassando i muscoli del braccio e la cordadell’arco, nulla verrà scoccato: penso sia questo ciòche i Maestri chiamano “Concentrazione a freddo”;quell’attimo infinitesimale dove rilasciamo la freccia,attimo fatto sia di concentrazione sia di rilassamento,come un fuoco composto d’acqua, momento quasifuori dal tempo ove si potrebbe intuire la possibilità,la capacità di focalizzazione senza sforzo mentale.Giunti a quel tempo senza tempo, a quell’attimo infi-nito e praticamente incomprensibile per l’io profano,ma non per il Sé, la freccia potrebbe raggiungere ilbersaglio…riempiendo di stupore in primo luogo lostesso arciere.

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La Babele

OBEN S:::I:::

Come sarà sicuramente noto a molti, la torre di

Babele nell’episodio di cui parla la bibbia (Gen. 11,1-9 ) fu costruita con l’intenzione di avere un unicopotente nome, di arrivare sino al cielo e quindi a Dio.Ma Dio, sempre a quanto narra l’episodio biblico,portò scompiglio e confusione tra le genti, facendo sìche le persone parlanti tutte inizialmente un’unicalingua, impegnate nell’opera, parlassero poi linguediverse e non si capissero più; ciò impedì che lacostruzione progettata venisse continuata. Analogie con taluni aspetti del racconto biblico, aprova della sua importanza simbolica arcana, si pos-sono ravvisare analogicamente in altre opere; adesempio, in un poema sumero (Enmekar e il signoredi Aratta), nel libro dei giubilei (10,18-27) ed anchein riferimenti di altre opere di scrittori greci eRomani. La storia della Torre di Babele, con la pretesa dei suoicostruttori di farsi un nome e di non essere dispersisulla terra, ma bensì di arrivare con superbia (senzal’aiuto di Dio e fuori da ogni progetto divino) sino alcielo, è stata spesso allegoricamente usata comeesempio di punizione, di rovinosa fine di tutte le torripiù o meno grandi, erette dall’orgoglio di personalitàe da organizzazioni superbe; organizzazioni questeultime che realizzano spesso di fatto solo veri e proprirecinti di predatori più sicuri nell’attacco in branco. E’ interessante osservare che si narra, che latorre biblica di cui sopra, fosse costruita conmattoni cotti, frutto del lavoro dell’uomo enon da pietre (dono di Dio) come Gerusalem-me.

Alcuni uomini per la presenza e la naturadella propria anima, sembra anche che sisiano sentiti individualmente superiori agli

angeli e abbiano preteso di comandarli, dimenticandoche, senza avere compreso e reso prima stabile e fissopoi, il rapporto tra la propria identità e lo spirito, èproprio la superbia unita al pensiero di essere scintilledi onnipotenza, che determina un allontanamento daDio e dalle leggi cosmiche (o universali) che secondola tradizione, sono preesistenti allo stesso creato e allabase di ogni creazione. Altri uomini pare invece che volessero utilizzare l’a-nima e il potere delle stelle per dirigerlo a proprio pia-cimento verso il mondo inferiore, alterandone gliequilibri, senza alcuna adesione alla legge divina ecosmica, né alcun rispetto per Dio ed il creato. Da sempre poi c’è anche chi prende lucciole per lan-terne e confonde esseri inorganici per luminosi ange-li.Ora tutte queste dissertazioni potrebbero rimaneresolo sterili parole, se dentro di noi e attorno a noi,nella nostra esperienza, non abbiamo ritenuto in qual-che misura di osservare alcune di queste torri erettedall’orgoglio e con superbia, confondersi, impoverir-si progressivamente ad ogni livello di costruttori, perpoi crollare come inutili e grottesche maschere, finitoil carnevale. Torri in cui, a volte, chi ha raggiunto lacima spesso non ricorda neppure, in un delirio di sé,come e per quali vie e grazie a quali aiuti è giunto inalto, né sente alcun dovere di mantenere tali stradeaperte e pulite almeno come le ha trovate. Il processo di osservazione di sé tramite la propriacoscienza individuale, ma immersa nel tutto, è diregola lento, graduale e passa per taluni, attraverso lostudio e la conoscenza delle leggi dell’essere, delleleggi della natura e delle leggi del soprannaturale. Ogni uomo pur avendo in sé ogni materia prima estrumento che gli occorra per procedere alla realizza-

zione della propria consapevolezza, comin-cia di regola il proprio percorso, intuendosolo alcune verità a livello intellettivo perpoi comprenderle ed evolvere in un’espe-rienza sempre più ampia, mentre avanza sul

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sentiero scelto. Chi è sincero con sé stesso,generalmente riceve gli aiuti che gli necessi-tano. Credo che nel percorso del Venerabile OrdineMartinista, l’iniziato possa arrivare, se lo vuole, ariconoscere in forza della volontà spirituale, risve-gliata, con l’ausilio metodologico della prevista ritua-lità, che è di aiuto nel processo di purificazione e diriequilibrio interiore, come la sua consueta personali-tà individuale non sia veramente lui stesso, ma bensìquella cosa che ha creato con fatica e con la quale sipropone al mondo, ma con cui non si identifica più,man mano che prosegue nel cammino e che compren-de meglio la sua essenza. Il fatto che non ci si identifichi più con la propria per-sonalità mondana, non credo equivalga a dire cheautomaticamente si debba smettere di usare gli stru-menti personali di espressione e di vita ma anzi, sipotrebbe asserire che solo allora si inizierebbe vera-mente ad usarli in modo corretto, per fare la propriaparte in ogni ambito, senza esserne usati. E’ questa ladifferenza che generalmente intercorre tra la condi-zione del padrone di sé e quella dello schiavo. Comunque credo che chiunque intraprenda seriamen-te un cammino di possibile reintegrazione, possapotenzialmente arrivare anche a realizzare, un giorno,la trascendenza la propria vecchia personalità, perchénon né ha più bisogno. Costui potrebbe forse, acquisita la piena consapevo-lezza, anche scegliere, se lo vorrà, di raggiungere lavita unica oltre la mortalità. Di regola, occorre attendere, ma poi, all’occorrenza,potrebbe svelarsi necessario cercare di accelerare, diforzare e di spingere il processo di consapevolezza;spesso con l’inevitabile rischiosa conseguenza di rac-cogliere prima in basso, ciò che forse era potenzial-mente destinato con il tempo e con l’equilibrio a tra-scendere in piena coscienza; quando accade credo siauna prevaricazione contraria alla “legge”.Personalmente, ritengo che l’esperienza divita umana non sia una mera causalità e chel’uomo sia potenzialmente un centro dicoscienza della volontà universale e/o uno

spirito vincolato solo alla legge cosmica.Acquisire questa autocoscienza comprenden-do importanti aspetti della “legge”, non

penso possa essere un processo automatico, né undiritto naturale della specie umana, ma credo sia ilpossibile frutto e il senso dell’esperienza umana nellamateria.

OBEN S:::I:::

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Meditazione, Preghiera

ed Esoterismo

SHINTO S:::I:::

Meditazione e preghiera sono strumenti di intimità

che aiutano l’uomo a mettersi in contatto con il se piùprofondo, mediante l’utilizzo di tecniche simili, madiverse, con obiettivi di interiorità differenti. La meditazione, attraverso l’utilizzazione della con-centrazione, della respirazione, di particolari postureo movimenti del corpo e di suoni, conduce l’uomo aesplorare la propria dimensione spirituale, al fine diindagare la dimensione di se stesso, l’Io interiore e lerelazioni con il mondo esteriore. La preghiera è di solito intesa come strumento di rac-coglimento per instaurare un dialogo con il Creatore,basato sul sentimento di fede dell’uomo verso il pro-prio Dio, volto a rendere grazie, chiedere perdono,invocare benevolenza e consolazione per le persone acui il beneficio della preghiera e indirizzato.In questo senso, meditazione e preghiera fanno da tra-mite per indagare sulla conoscenza del proprio Io,fuori dagli schemi e dai ruoli ricoperti nella famiglia,nel lavoro, tra gli amici, nella società, e consentono diaccedere alla propria dimensione spirituale.La meditazione (dal latino meditatio, riflessione) è,in generale, una pratica che si utilizza per raggiungereanche una maggiore padronanza delle attività dellamente, in modo che essa cessi il suo usuale chiacchie-rio di sottofondo e divenga assolutamente acquietata,pacifica. Tradizionalmente, per meditazionesi intende la concentrazione della mente in unsol punto o argomento, mentre per contem-plazione spesso confusa con la prima, siintende la capacità di riuscire ad acquisire

“conoscenza”, dopo aver lasciato riposare lamente nel suo stato naturale, dopo che sisono rimossi gli "oscuramenti cognitivi" ten-

dendo all'onniscienza. È una pratica volta quindi all'auto-realizzazione. Unmetodo per riflettere e scavare dentro di sé:V.I.T.R.I.O.L. (Visita Interiora Terrae, RectificandoInvenies Occultum Lapidem… Veram Medicinam),ma qui, senza procedimenti diversi dalla meditazio-ne/riflessione.Si narra che un Monaco cristiano ortodosso descrisseche “...la meditazione è una attività del proprio spiri-to con la lettura o altro, mentre la contemplazione èun’attività spontanea di tale spirito. Nella meditazio-ne l’immaginazione e la potenza pensante dell’uomoesercitano un certo sforzo. Poi fa seguito la contem-plazione, per alleviare l’uomo da tutti gli sforzi pre-cedenti. La contemplazione è la visione interioredell’anima ed il semplice riposo del cuore in Dio”.Lo scopo religioso, spirituale, filosofico o il migliora-mento delle condizioni psicofisiche, nella meditazio-ne sono una scelta prettamente personale. Questa pratica, in forme differenti, è riconosciuta damolti secoli come parte integrante di tutte le principa-li tradizioni religiose. Nelle Upaniṣad, scritture sacreinduiste, compilate approssimativamente a partire dalIX - VIII secolo a.C., è presente il primo riferimentoesplicito alla meditazione che sia giunto fino a noi,indicata con il termine sanscrito dhyāna (धयान). Da diversi anni ormai, lo studio della meditazione daparte delle Neuroscienze sembra offrire un ponte trascienza e spiritualità.Il Dr. James Austin, neuropsicologo dell'Universitàdel Colorado, ha indicato nel suo libro Zen and theBrain (Austin, 1999), come la meditazione Zen possamodificare le connessioni nervose del cervello.Questo è stato confermato mediante risonanzamagnetica funzionale sull'attività del cervello (Mark

Kaufman, Meditation Gives Brain aCharge, Study Finds, The Washington PostCompany, 3 gennaio 2005).Recentemente uno studio scientifico ameri-cano, pubblicato sulla rivista Proceedings

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of the National Academy of Sciences, hadimostrato effetti rilevanti della meditazione,secondo il metodo Integrative body-mindtraining (tecnica nata in Cina negli anni '90), sulmiglioramento delle condizioni di vita: la depressionesi attenua, e le difese immunitarie si rinforzano.La meditazione può migliorare l’efficienza della sin-cronizzazione neuronale rafforzando la capacità diattenzione, di concentrazione e, interrompendo gliautomatismi di risposta, permette all’individuo di evi-tare di mettere in atto reazioni comportamentali ina-deguate o rappresentazioni non autentiche del Sé. La sua costante pratica amplia la consapevolezza dipensieri, emozioni e sentimenti, sviluppa l’equilibrioemozionale, riduce l’ansia, migliora il tono dell’umo-re, incrementa la sensibilità percettiva e la concentra-zione, attenua il dolore cronico, migliora la funzioneimmunitaria e accelera i processi di guarigione. In sintesi, la meditazione promuove un migliore statodi salute della persona nella sua interezza (mente, cer-vello, corpo e comportamento), verosimilmente attra-verso un’azione diretta sul sistema nervoso, sul siste-ma immunitario e sul sistema endocrino.Ma come tracciare un nuovo sentiero sull’erba richie-de che esso venga percorso e ripercorso, così anchel’assiduità della pratica meditativa è necessaria eindispensabile perché ci si possano dischiudere nuovee meravigliose prospettive.Nella meditazione riflessiva, l'oggetto della medita-zione può essere qualsiasi cosa. In genere nella prati-ca vengono utilizzate visualizzazioni di elementi cheriguardano il mondo interiore o di semplici oggetti,per raggiungere un maggiore stato di concentrazionee di ponderazione. Questo è un tipo di meditazioneusato spesso dalla cultura occidentale. La meditazione recettiva ha come scopo l'assenza dipensieri e permette alla mente di raggiungere un livel-lo di "consapevolezza senza pensieri", ovvero unlibero dall'attività psichica dell'essere umano,talvolta caotica e confusionaria. È un tipo dimeditazione tipica di numerose filosofie ereligioni orientali. Entrambe queste tipologiedi meditazione richiedono fasi di concentra-

zione.Un ulteriore punto: la distinzione tra medita-zione contemplativa (studio, osservazione,

vuoto mentale e ogni forma di proiezione verso l’in-terno) e meditazione attiva (più propriamente intesa,da Cornelius in avanti, come Magia Cerimoniale inquanto forma di proiezione verso l’esterno), che con-siste nell’ordinare lo spazio, fissare i punti cardinali equindi eseguire cerchi e quadrati in corrispondenza diorientamenti dati da testi-canovaccio, quali sono italismani che recano il sigillo dei pianeti; poi pronun-ciare in corrispondenza degli angoli, certi nomiimprimendoli per aprire e segnandoli con specialigesti, per chiudere.Su questa distinzione, che chiaramente è discutibile,consegue che la meditazione contemplativa si addiceall’agire cardiaco; mentre la meditazione attiva sirisolve sostanzialmente nella pratica teurgica.Se la meditazione contemplativa ottiene questo risul-tato lasciando fluire i pensieri fino ad annullarli perdissolvenza, la meditazione attiva perviene al mede-simo scopo attraverso l’esecuzione di una sequenzadi azioni.

Il modo in cui l’Islam affronta e vive la meditazione,riflessiva, si declina attraverso la lingua della rivela-zione coranica, che è l’arabo. In senso etimologico, la salat, o preghiera interiore,che è uno dei pilastri dell’Islam, è un simbolo agito,nel senso che non è statica, anche se passiva: al movi-mento dell’orante corrisponde infatti un altro movi-mento che è la discesa di una influenza spirituale cheda Dio arriva e penetra all’interno del cuore e ispirale operatività e le azioni dell’uomo e della donna. Lasalat inoltre, ha corrispondenze precise di tempo espazio; diversa è dhikr, che letteralmente significaricordo ed è un’invocazione. Nell’Islam si prega cinque volte al giorno: al tramon-

to, la notte, prima dell’alba, quando il soleè allo zenit e al pomeriggio, perché in que-sto modo si entra in relazione con i movi-menti della terra e della terra nei confrontidel sole. Bisogna inoltre orientarsi verso la

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Mecca, dove si trova il tempio cubico delmonoteismo costruito dal profeta Abramo edal figlio Ismaele e quindi praticare la salatnella Moschea, che è uno spazio dove si realizza laritualità. I fedeli devono inoltre fare una purificazioneesteriore, tecnicamente abluirsi con acqua o terra opietra e nella preghiera assumere varie posizioni:eretta, la più nobile, con cui il fedele recita la paroladi Dio, contenuta nel Corano. Poi ci si inchina, pas-sando dalla posizione di dignità a quella di umiltà,sottomissione, posizione complessa e difficile. Poi sisegue la prosternazione, che da un punto di vista ini-ziatico è la realizzazione, Il fedele infine si siede, inuna posizione che sintetizza tutte le altre.

La meditazione cristiana è una forma di preghierarealizzata come un tentativo sistematico di divenireconsapevoli e di riflettere sulle rivelazioni di Dio.La meditazione richiede una maggiore riflessione,rispetto alla preghiera vocale, ma è più strutturata deilivelli multipli della preghiera contemplativa.Gli insegnamenti di entrambe le Chiese (orientale edoccidentale) hanno enfatizzato l'uso della meditazio-ne cristiana quale elemento per aumentare la cono-scenza di Cristo.Nel 1989, nella lettera Aspetti della meditazione cri-stiana, il Sant'Uffizio ha ammonito sulle incompatibi-lità potenziali del combinare insieme stili cristiani enon cristiani di meditazione.Nel 2003, in Una riflessione cristiana sul “New Age”,il Vaticano ha annunciato che "la Chiesa evita qual-siasi concetto che sia affine a quelli del New Age".Nel suo libro Il castello interiore (Mansioni 6,Capitolo 7) Teresa d'Avila (1515-1582), dottore dellaChiesa, che praticava la preghiera contemplativa,definisce la meditazione cristiana come segue: “Per meditazione io intendo un ragionare prolungatocon comprensione, in questo modo. Iniziamo a pensa-re al favore che Dio ha riversato su di noidandoci il suo unico Figlio, e non ci fermia-mo qui, ma continuiamo a considerare imisteri di tutta la Sua vita gloriosa”.Teresa insegnava alle sue suore di meditare

con preghiere specifiche. Le sue preghieredescritte nel Camino de Perfeción implicanomeditazione su un dato mistero nella vita di

Gesù e si basano sulla fede che "Dio è in noi", unaverità che Teresa disse di aver imparato da Sant’Agostino.

Sull’Estasi

Sebbene alcuni mistici, sia nelle chiese occidentali,che in quelle orientali, abbiano sensazioni associateall'estasi mentre meditano (per esempio, la nota estasimeditativa di Teresa d'Avila), Gregorio il Sinaita(1260–1346), uno dei padri dell’esicasmo, affermòche lo scopo della meditazione cristiana è "la ricercadi una guida dallo Spirito Santo, al di là del fenome-no minore dell'estasi". In realtà, benché il fenomeno dell'estasi, stato di iso-lamento e di evasione totale dalla realtà circostantedell'individuo completamente assorto su un unicooggetto, sia comune a molte esperienze religiose,diverse, e costituisca il fattore originario che innescal'esperienza religiosa nell'uomo, esso è per il cristianocattolico, la manifestazione della Grazia di Dio e nondipende dallo sforzo che l'uomo impiega nel cercaredi conseguirlo.In vero, nel cristianesimo delle origini, l'ideale asce-tico è del tutto assente. La personalità del Gesù tratteggiata dai Vangeli e pre-dicata dagli apostoli, è tutt'altra; Gesù infatti si schie-ra contro l'ascetismo, non insegna ad estraniarsi dalmondo, come richiede il codice di vita esseno, ma adandare addirittura verso il mondo a predicare il van-gelo di salvezza. L'ascetismo, nell'ambito del cristia-nesimo, inizierà a manifestarsi due secoli dopo conSant'Antonio, i Padri del deserto e Pacomio. In occi-dente ancora più tardi con San Colombano, SanBenedetto e San Bernardo.Del resto, esistono differenze profonde tra il mistici-

smo e tutto quello che contiene un carattereesoterico ed iniziatico.

Sulle Religioni Buddiste

Secondo le religioni buddhiste, la medita-

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zione si sviluppa con due pratiche differenti:l'una volta a conseguire la concentrazione(dhyana) e l'altra, volta a conseguire saggezza(prajna), dove per "concentrazione" si intende lacapacità della mente di concentrarsi sopra un unicosoggetto e di conseguire l'estasi; per "saggezza" siintende la "visione del mondo" tipica delle scuolefilosofiche buddhiste. La pratica di concentrazioneconsiste nel focalizzarsi sopra un unico oggetto fino aconseguire la stabilità del pensiero, mentre la praticavolta a conseguire la saggezza si concretizza nellariflessione attenta sulle idee filosofiche buddhiste (adesempio, impermanenza e assenza del Sé) (WinstonL. King, La meditazione theravada. La trasformazio-ne buddhista dello yoga, Astrolabio Ubaldini).Un regime di coltivazione che include entrambe lepratiche, conduce a uno stato di "distacco" dal mon-do. Da questo punto di vista, appare evidente come laprincipale differenza tra meditazione cristiana emeditazione buddhista è (per il buddhista) l'assenzadelle concezioni filosofiche orientali che sono sosti-tuite dalle concezioni religiose e filosofiche tipichedel cristianesimo.

La preghiera.

La preghiera rappresenta, nelle sue varie forme emodulazioni, l’elemento basilare di ogni operativitàreligiosa e teurgica.

Come descritto dal Gran Maestro Vergilus (Sebastia-no Caracciolo): “...quindi è dal pensiero dell'uomo,fortificato dalla volontà, che deve partire il semedella preghiera per poi sgorgare dal cuore, il verocentro che conduce alla catarsi....Il seme della preghiera”...La preghiera è lineare, è semplice e pone in direttorapporto l’operatore con la manifestazione divinainvocata od evocata. La preghiera richiede, comerequisiti, solamente il desiderio del cuore, diconoscere e di essere conosciuti dalla poten-za divina.La preghiera rappresenta lo strumento princi-pale della via Cardiaca, la via che riduce al

silenzio la mente per abbandonarsi all'intelli-genza del Cuore.La via teurgica senza la conoscenza e la

coscienza di sé e delle leggi occulte che governano lerelazioni fra le nostre sfere psichiche, fisiche ed ani-miche porterebbe ad una sterile ritualità.La volontà ed il pensiero generano l'azione creatrice.Volontà e pensiero si sviluppano nelle pratiche dellameditazione, introspezione e preghiera esotericamen-te compresa ed intesa, non certo nella pura esterioritàdei riti.La verità che il ricercatore può cogliere durante ilripetersi delle pratiche mistiche, è frutto della via car-diaca che porta l'uomo di conoscenza al centro di Sè,oltre la propria struttura psicologica.Nella pura e semplice introspezione, individuiamoquanto e come la nostra natura istintuale e psicologicasi manifesti vincolando il nostro spirito, ottenebrandola nostra natura divina.Nella preghiera esoterica ci muoviamo contro“mostri, demoni, satana, ecc.” che in noi albergano,che esercitano dominio, ingaggiando una lotta senzatregua.Il rituale teurgico non può essere slegato da questepremesse poiché se così non fosse, citando un esote-rista dell'ottocento: “allora anche una scimmia rive-stita di paramenti, armata di sigilli e danzante conpassi appresi per imitazione altrui, avrebbe la dignitàsacerdotale richiesta. Non vi è Eggregoro, Catena,Rito e Operatività in grado di infondere vita e ardore,dove regna il deserto della pochezza di spirito e diintelletto”.La religione affonda le sue radici nel dogma, per cuiil singolo non può accedere direttamente alla vita spi-rituale, ma ha bisogno dell’intercessione del clero. Inquesto modo, il clero assume una posizione di con-trollo sociale, funzionale al potere.Al contrario, l’esoterismo assume la libertà del cam-

mino iniziatico e, per questa via, consentedi accedere direttamente alla vita spirituale.Tuttavia, non si può essere frettolosi e cre-dere che questa via sia semplice e, se si diceche è impervia, bisognerà percorrerla senza

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manierismi, comprendendone il perché.Per noi iniziati, la preghiera non deve rimane-re una semplice espressione di una relazionedevozionale, fra noi e qualcosa di esterno a noi. Dobbiamo raggiungere la consapevolezza delle enor-mi potenzialità operative che ha questo sublime stru-mento. Cambiando il nostro tratto di unione percetti-vo-cognitivo, disponiamo dei mezzi che ci aiutano amigliorare lo spazio circostante e gli strumenti che ciconsentono di relazionarci con esso. Questo sconvolgimento interiore ruota attorno allagrande verità che è Sacro ciò che rendiamo Sacro, eche unicamente noi siamo i sacerdoti di noi stessi edel divino che risiede in noi. È una consapevolezza interiore, che si rifrange comeun'onda trascinante su ogni nostro pensiero ed azione.Con questa “rivoluzione interiore”, ci rendiamo contoche la preghiera è anche e soprattutto uno strumentoche agisce su mente e corpo, guidandoci al compi-mento di nuovi stati dell'Essere che risulteranno liberida quelle costrizioni, ristrettezze e vincoli, propri delmondo profano.Recentemente, in occasione di un incontro congiuntocon personalità Islamiche, il Gran Maestro Aggiuntodel Grande Oriente d’Italia, prof. Claudio Bonvec-chio, ha descritto “…con la preghiera, la dimensionedi quello che ci unisce a un mondo superiore, riuscia-mo a entrare in sintonia con la trascendenza, trovan-doci in una dimensione completamente terrena, nelcontempo regolando questa dimensione sulla tra-scendenza. E lo scopo della meditazione è diventareaxis mundi, unione di cielo e di terra, in una dimen-sione mai disgiunta dalla realtà….”.Torniamo, se volete, al simbolismo della Croce, conl’asse verticale rivolto verso il Grande Architetto.Attraverso la preghiera ritmata sul respiro, acquisia-mo la consapevolezza e il dominio sul corpo e sullamente. Rinunciando ai vincoli che ci legano allanostra natura inferiore, ricerchiamo la comu-nicazione con Dio e con le Potenze, utiliz-zando a tal fine, ogni forma energetica di cuisaremo in grado di trovare traccia nei mean-dri della nostra dormiente ed oscura psiche.

“...Grazie a questo nuovo stato dell’essere,così lontano dal quotidiano, in un eterno pre-sente libero da tempo e spazio, edifichiamo il

nostro tempio interiore, dove siamo i SommiSacerdoti della Divinità della quale glorifichiamo ilNome, attraverso le nostre opere” ( A. B.).Ma è difficile rinunciare al facile approdo offertocidai nostri sensi fisici e dalla nostra mente che, attra-verso le lusinghe delle emozioni e della ragione, cipongono nello stato della natura inferiore. La pre-ghiera è in definitiva anche un’arma che rompe ilpotere della nostra mente. La chiave di ogni ascesarisiede nell’arte di risvegliare in noi la scintilla divi-na. Come? Louis Claude de Saint-Martin a tale pro-posito scriveva: “Dobbiamo risvegliare Dio dall’eb-brezza che gli fa sentire perpetuamente la viva escambievole impressione della dolcezza delle sueproprie essenze, ed i deliziosi sentimenti che gli fannoprovare l’attiva sorgente generatrice della sua pro-pria esistenza...infine di attirare i suoi sguardi divinisu questa natura degenerata e tenebrosa, affinchécon il loro potere vivificante le restituiscono il suoantico splendore”.

Comprendendo che la preghiera è un vero e proprioatto magico, disponiamo dei mezzi per godere di tuttii benefici che questo strumento è in grado di metterea disposizione. Attraverso la preghiera, ognuno deglielementi del quaternario trova unione armonica, l'unocon l'altro, scaturendo in una sinergia, in grado disopprimere pesi e misure legati al nostro spazio tem-porale. L'orante (elemento terra), dà forma al propriodesiderio (elemento acqua), in pensiero (elementofuoco), per mezzo della preghiera (elemento aria).Man mano che le purificazioni vengono realizzate e ilpensiero creativo è sostenuto da un desiderio puro eda una volontà sacra, il fuoco pneumatico non indu-gerà ad investire l'operatore, completando con un

buon risultato l'Opera predeterminata.L’Iniziato, dopo aver posseduto la propria“chiave” per aprire la porta che apre a lui ilsuo cammino verso la Luce, è come unEremita.

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L’Eremita, sempre, non è rappresentato inpreghiera ma proprio in cammino, con unalanterna che illumina i suoi passi. Il cammi-nare dell’eremita unisce sia l’azione che la meditazio-ne. Lì è autenticamente sé stesso, diviene sintesi e cuoredella ricerca. Non che vi sia separazione tra mondo profano emondo iniziatico, ma è l’iniziato che si nascondenella torre interiore, luogo dove si ritempra e, nellaassoluta inattaccabilità, trae le armi invincibili dellavittoria. Nel mondo non si può non proteggersi, proprio per-ché il reale volto dell’iniziato (se tale è) è come unnovello Mosè che scende dal monte di Dio: non èguardabile. Il volto dell’Iniziato, che ora è Adepto,rimanda al Volto di Dio, all’Altrove che trasfigura ilqui ed ora. Cosa può dire di sé un iniziato, a chi dire,e con quali parole?È un cammino di estrema solitudine, dove anche i fra-telli non possono camminare al tuo posto. Quanto sicostruisce, lo si fa con le proprie mani, memore diquanto può aver detto e dato il Maestro, cheai più fortunati può avere un volto umano,con un nome. L’iniziato cammina e ascolta,

contempla e agisce perché ha un “cuore cheascolta”, come Salomone, che chiese a Dio ildono di un “cuore che ascolta” (Primo libro

dei Re 3,3.5.7-12)Qui c’è tutta la tensione iniziatica. E’ sufficiente questo per comprendere come il cam-mino iniziatico è un orientare l’intero nostro essereverso quel centro da cui traiamo senso, vita, luce. Uncammino che deve essere realizzato e ricreato da ogniiniziato.

SHINTO S:::I:::

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Tradizione e società segrete

leggende

storia e degenerescenza.

RAZIEL I:::I:::

Durante una rilettura del nostro vademecum di

Associato, ho deciso di cercare di approfondire, perquanto mi possa essere possibile, un tema suggeritonelle materie di studio: ovvero quello riportato neltitolo. Innanzitutto mi sono chiesto da dove nasca il bisognodi costituire una società segreta e perché ancor prima,sono nati i “miti”.Per tentare di rispondere a questa domanda, suppongosia opportuno fare una sorta di distinzione tra due tipidi persone: quelli che hanno un intelletto ben struttu-rato per particolari indagini e quelli che ne hanno unomeno adatto. Cioè, chi possieda la facoltà di “intuire”e poi di razionalizzare certe idee e chi non abbiamolto a disposizione di questa particolare qualità. Mentre i primi possono cercare e poi forse, in caso disuccesso, essere in grado di risolvere l’enigma delproprio destino riguardante una vita caratterizzata damolteplici ed esclusive predisposizioni, i secondihanno sovente bisogno di essere guidati da qualcuno,adattandosi a vivere secondo i movimenti e le neces-sità assimilabili a quelle di un “gregge”. Essi infatti,reagendo quasi sempre solo a stimoli esterni, dipen-dono per lo più interamente dalla guida dell’eventua-le “pastore”. Penso che Paolo si riferisse pro-prio anche a questo quando scriveva: “vi honutriti di latte, non di cibo solido, perché noneravate capaci di sopportarlo”. Tuttavia, sembrerebbe proprio che nel

mondo, da sempre, si siano manifestate e cisiano un limitato numero di menti “mature”.Forse, proprio per questo motivo, le dottrine

filosofiche/religiose non solo dei cosiddetti pagani,furono opportunamente divise per soddisfare i biso-gni di due gruppi che seppur molto variegati all’inter-no, rappresentano differenze di base, fondamentali,dell’intelletto umano: uno più adatto alla speculazio-ne filosofica e poi alla sperimentazione pratica diquanto da questa si poteva e si può acquisire; l’altrorelativamente incapace anche solo di desiderare, diindagare e di apprezzare ciò che deriva dai misteri piùprofondi della vita. A pochi “idonei” per determinate “esplorazioni”,furono svelati insegnamenti esoterici o spirituali,mentre i molti non in grado di “intendere”, ricevetterosolo le descrizioni più superficiali letterali o exoteri-che di miti, leggende, favole, cosmogonie, ecc.. Eccocosì il bisogno delle parabole, ovvero di racconti piùo meno brevi il cui scopo è quello di mettere a dispo-sizione un concetto difficile sostituendolo con unopiù semplice, al fine di fornire anche un insegnamen-to morale. Vedasi ad esempio, l’uso che ne è statofatto nei Vangeli con le parabole attribuite a Gesù. Inrealtà essendo anche una sorta di allegorie, le trovia-mo di varo tipo, in tutti i racconti religiosi, in ognitempo e in ogni luogo. Tramite queste però, si tendead illuminare una realtà specificata, con un limitatopunto di contatto tra l'immagine e la realtà, differen-ziandosi dalle consuetudini allegoriche dove i puntidi contatto tra l'immagine e la realtà sono molteplici.Probabilmente per la grande moltitudine occorrevarendere semplice l’acquisizione intellettiva almenodelle conseguenze di ciò che era collegato allaNatura. Forse per tale motivo, i principi più o menomisteriosi e non certo solo materiali della legge natu-rale, delle forze vitali dell’universo, furono antropo-morfizzati, diventando Dei e Dee delle antiche mito-

logie. Mentre i “fedeli indottrinati” porta-vano le loro offerte agli altari delle divinità(ad esempio Priapo e Pan rappresentavanole energie procreative), i saggi “iniziati”riconoscevano in queste statue di marmo,

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solo concrezioni simboliche di grandi veritàdistribuite su più piani esistenziali.In tutte le città del mondo antico c’erano tem-pli per i culti e l’offerta pubblica. In ogni comunitàc’erano anche filosofi e mistici, profondamente ver-sati nelle ricerche riguardanti le tradizioni collegatealla Natura ma ovviamente anche a tutto ciò chepotremmo definire “spirituale” più elevato. Questiindividui erano solitamente riuniti insieme, formandoscuole filosofiche e religiose, riservate. I più impor-tanti di questi gruppi erano a volte conosciuti come i“Misteri”, in quanto praticavano riti caratterizzati damolteplici scenografie ed attività psico-fisiche, indi-rizzate spesso a rappresentare miti che dovevanolasciare intuire, ad esempio, concetti di introspezionema non solo, come: la discesa (o forse perdita), laricerca e l'ascesa. I riti, le cerimonie e le credenze furono tenuti segretie costantemente preservati sin dall'antichità in ogniparte del mondo. Quindi, in effetti se ne sa ben pocoanche se in Occidente, esistono indiscrezioni più omeno fantasiose anche di personaggi molto noti delpassato.Poiché i Misteri coinvolgevano le visioni e l'evoca-zione di un “aldilà”, si ritiene che per alcuni di questi,il potere e la longevità di riti, cerimonie ed esperien-ze, siano a volte da ricondurre ad alterazioni dellepercezioni sensoriali, cognitive, senza escludere leconseguenze dell’uso di sostanze allucinogene adattea questo scopo. A proposito di personaggi noti, molte delle grandimenti dell’antichità furono iniziate a queste confrater-nite segrete ove, dopo l’Iniziazione, venivano istruitinella saggezza “nascosta” che era stata preservata persecoli. Ad esempio, Platone, iniziato ai Misteri Eleusini, fuseveramente criticato perché nei suoi scritti svelò alpubblico alcuni dei principi filosofici segreti deiMisteri. Ogni popolo aveva (e ha) non solo la sua reli-gione, ma anche altro (in varie forme emodalità) in cui solo i cosiddetti “eletti filo-sofici” hanno ottenuto l’accesso. Molti degli

antichi culti sono scomparsi senza svelare iloro segreti ma alcuni sono oggettivamentesopravvissuti alla prova dei secoli e i loro

misteriosi simboli sono ancora conservati, seppuradattati alle necessità dei tempi. Ad esempio, partedel ritualismo di alcune particolari scuole dellaMassoneria, si basa su simbologie riconducibili alleprove a cui erano sottoposti i candidati, al fine diassumere le funzioni degli antichi ierofanti, prima chefossero loro affidate le chiavi della saggezza cheavrebbe consentito di “spiegare le cose sacre”. Leantiche scuole segrete influenzarono gli intellettidegli allora contemporanei e poi, attraverso quellementi, i posteri. Con il declino delle virtù, che spesso ha preceduto ladistruzione di ogni nazione della storia, in alcuni casianche parte dei Misteri diventarono in qualche modoperversi. La stregoneria prese il posto della “magiadivina”; furono introdotte pratiche oscure (come adesempio, i Baccanali finalizzati solo ad eccessi anchedeviati di piacere fisico) e la perversione regnò supre-ma, poiché nessuna istituzione può essere miglioredei membri di cui è composta. Pochi ancora non con-taminati, cercarono di preservare le dottrine segretedall’oblio. In alcuni casi ci riuscirono, ma più spessol’arcano andò perduto e rimase solo il guscio vuotodei Misteri.Gli antichi iniziati credevano che per vivere intelli-gentemente con consapevolezza cosciente, bisognavaavere una conoscenza esperienziale della Natura edelle sue leggi. Prima che l’uomo possa obbedire,deve intuire e capire. I Misteri erano dedicati a istrui-re l’uomo riguardo al permeare della Legge Divinanella sfera terrestre. Pochi degli antichi Iniziati adora-vano effettivamente le immagini delle divinità antro-pomorfe, sebbene il simbolismo insito nei loro scritti,potesse indurre a credere che lo facessero. Erano pro-babilmente moralisti piuttosto che religiosi; filosofi

piuttosto che teologi.Il culto del sole giocava un ruolo importan-te in quasi tutti i primi misteri pagani. Ladivinità solare era di solito personificatacome un bellissimo giovane, con lunghi

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capelli d’oro per simboleggiare i raggi delsole. Questo Dio Sole d’oro, secondo alcuneleggende, fu ucciso da alcuni che personifica-vano il principio malvagio dell’universo. Per mezzo di certi rituali e cerimonie, simboli di puri-ficazione e rigenerazione, questo meraviglioso Diodel Bene fu riportato in vita e divenne, sempre secon-do le leggende, il Salvatore del Suo popolo. I processi segreti con i quali Egli fu resuscitato, sim-boleggiavano per queste culture, il mezzo tramite cuil’uomo potrebbe essere in grado di superare la suanatura inferiore, dominare i suoi appetiti e dare es-pressione al lato superiore di sé stesso. I Misteri furono organizzati allo scopo di aiutare lacreatura umana in lotta interiore, per risvegliare laconsapevolezza ed i poteri spirituali che, circondatidall’anello infuocato della polvere e della degenera-zione, giacevano addormentati nella sua anima. Inaltre parole, all’uomo fu offerta una via attraverso laquale poteva riconquistare il suo patrimonio esisten-ziale, complesso e misterioso, perduto.A tal proposito, mi permetto di suggerire un’operache, secondo la mia personale formazione, rappresen-ta magnificamente questo concetto: L’anello del Ni-belungo di Richard Wagner ed in particolare quelladel Sigfrido.Nel mondo antico, quasi tutte le società segrete eranofortemente influenzate da forme filosofiche e religio-se. Durante i secoli medievali, furono principalmentereligiose e politiche, anche se rimasero alcune scuoleprevalentemente filosofiche. Nei tempi moderni, lesocietà segrete (ma ovviamente ormai tutte non sonopiù tali), nei paesi occidentali, sono in gran parte poli-tiche o sedicenti fraterne, anche se in alcune di esse,sopravvivono (si spera) ancora gli antichi principireligiosi e filosofici.Per tentare un approfondimento culturale delle scuolesegrete, possiamo sicuramente fare riferimento allabibliografia suggerita dal Vademecum. Ora,qui è superfluo provarci anche per ragione dispazio. Una disamina dettagliata, riferita allemolteplici opzioni di questi antichi culti, condiramazioni in tutte le parti del mondo orien-

tale e occidentale, si presenterebbe enciclo-pedica. Ad ogni modo, potrebbero incuriosire alcuni

aspetti. Sembra che, a mio modo di vedere, alcunescuole, come quelle di Pitagora e degli Ermetisti,mostrassero una interessante influenza orientale,mentre i Rosacroce, più recenti, secondo i loro stessiproclami, parrebbero acquisire molta della loro sag-gezza dai mistici arabi. Però occorre non confondere la conoscenza con lacultura. Infatti, anche se le scuole misteriche sonosolitamente associate alla civiltà, ci sono prove cheanche i popoli più primitivi della preistoria, evidente-mente capaci di “intendere”, avevano ugualmente unastraordinaria “conoscenza”.

RAZIEL I:::I:::

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Alla gloria di Grande Architetto dell’Universo

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