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n° 32 settembre - novembre 2012 C amminiamo insieme Periodico della Comunità dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato

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Bollettino Settembre

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Page 1: Bollettino Settembre

n° 32 settembre - novembre 2012

Camminiamo insiemeP e r i o d i c o d e l l a C o m u n i t à d e i S a n t i P i e t r o e P a o l o i n C a s t r e z z a t o

Page 2: Bollettino Settembre

2 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

Sommario

Icona russa

La Madonna di Kazan’

Russia centrale - Metà XIX secolo

Storia e leggendaLa Madonna di Kazan’ (Kazanskaja Bogomater) è, fra le

immagini mariane russe, forse la più diff usa in assoluto;

la sua enorme fortuna si collega probabilmente all’im-

portante ruolo che la tradizione le attribuisce in momenti

drammatici della storia del paese. L’immagine, si traman-

da, si manifestò prodigiosamente nel 1579, quando una

bambina di nove anni, Matrona Onucina (poi monaca

con il nome di Mavra), vide in sogno la Madonna. La sua

città, Kazan’, aveva appena subito un grave incendio, e la

Vergine le ordinò di dissotterrare dalle rovine della casa

bruciata, nel posto indicatole, una sua icona ed onorar-

la. L’immagine fu trovata, avvolta in vecchi stracci; pro-

babilmente era stata sepolta molti anni prima, durante

la dominazione tartara, quando i cristiani erano spesso

perseguitati. L’arcivescovo di Kazan’ portò l’immagine in

processione solenne, dapprima in una vicina chiesa di S.

Nicola, poi nella cattedrale dell’Annunciazione. L’icona si

rivelò subito miracolosa, e divenne celebre soprattutto

per numerose guarigioni di ciechi. Lo stesso anno una co-

pia dell’immagine fu inviata a Mosca, allo zar Ivan il Terri-

bile, che venticinque anni prima aveva annesso Kazan’ al

regno di Russia, ponendo fi ne alla dominazione tartara e

ristabilendovi la religione ortodossa.

Fino al 1612 la Madonna di Kazan’ era venerata pratica-

mente soltanto nella regione di origine, e la sua festa si

celebrava il giorno 8 di luglio, nell’anniversario del pro-

digioso rinvenimento. Ma ben presto l’icona si circondò

della fama di altri miracoli, che la videro protagonista di

avvenimenti di portata nazionale. Dopo la morte di Ivan

il Terribile e il breve regno del fi glio Fedor, si estinse la

dinastia di Rjurik ed iniziò il cosiddetto “periodo dei tor-

bidi”, che portò disordine e decadenza nel paese privo di

un sovrano. In quegli anni tormentati, a capo della Chie-

sa russa era il patriarca Ermogen, particolarmente devo-

to all’icona della Madonna di Kazan’ ed egli stesso autore

del servizio liturgico in suo onore e della Leggenda sulla

sua apparizione.

prof. Cinzia De Lotto

ommarioS

Camminiamo insieme

N.32 settembre - novembre 2012

Periodico della Comunità parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo in Castrezzato

Hanno collaborato a questo numero: Mons. Mario Stoppani, don Claudio Chiecca, P. Aldino Caz-zago, P. Sergio Targa, P. Matteo Fogliata, Elena Cavenaghi, Mirta Festa (A.C.), Silvana Brianza, Caritas parrocchiale, Commissione di Pastorale familiare.Contributi di Papa Benedetto XVI, Conferenza Episcopale Italiana, Mons. Vincenzo Paglia Presidente del Pontifi cio Consiglio per la Famiglia, Marco Ventura, Card. G.F. Ravasi, Pasquale Ionata (Città nuo-va), Mons. Sandro Galli, Giannetto VanzelliFotografi e Erika ZaniSegreteria Agostina CavalliImpaginazione Giuseppe Sisinni

Lettera del Parroco3 Ripartire è come rinascere

Vita in Parrocchia

Otto anni insieme

Con la Chiesa

La porta della fede

Con la Chiesa

I nuovi peccati contro la società

Con la Chiesa

La Chiesa dopo il Concilio

Formazione biblica

Il corpo secondo le Sacre Scritture

Spazio missioni

Far riscoprire la gioia del credere

Famiglia

Dentro la coppia

Spazio oratorio

Signore, dì soltanto una parola

Vita in parrocchia

La gioia della fede

Vita in parrocchia

Il rispetto della sacralità delle tombe

Anagrafe

Calendario liturgico e anagrafe parrocchiale

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In copertina

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Page 3: Bollettino Settembre

Lettera del Parroco

3Camminiamo insieme n. 32 settembre - novembre 2012

Carissimi,la vita di un parroco presen-ta anche momenti di vera

gioia. È la gioia di avvertire che il buon Dio ti accompagna con sag-gezza e misericordia in mezzo a tanti ostacoli. È la gioia di perce-pire che la tua vita è utile, anche se non fa colpo, perché intessuta di ordinaria quotidianità; utile per-ché cammini in cordata con altri fratelli che a volte procedono spe-ditamente, altre volte arrancano con fatica per i pesi che devono portare, per le situazioni di soff e-renza che devono aff rontare, so-prattutto se hanno famiglia. Uno dei momenti più belli del ministe-ro del parroco è quello di prepara-re i genitori al battesimo dei fi gli, aiutandoli a rendersi conto della meravigliosa creatura cui hanno dato la vita e del dono immenso della fede che trasmettono loro. “Mi hai fatto come un prodigio”, dice un salmo. Quando nasce un bimbo, la prima cosa che i genito-ri scelgono per lui è il nome. Se lo porterà dietro per tutta la vita. Lo sentirà ripetere nei momenti belli e anche tristi. Un neonato, il pro-prio nome non lo impara da solo. Deve sentirlo ripetere migliaia di volte, a voce alta, oppure sussur-rato, accompagnato da un sorri-so, da una nenia o da un bacio. La nostra identità è iniziata così, con il nostro nome pronunciato tante volte, con amore e tenerezza, con gioia ed entusiasmo dai nostri ge-nitori. Ma è Dio che ci ha amato

per primo ed ha scritto il nostro nome sul “palmo” della sua mano. Ho voluto iniziare questa mia let-

tera-colloquio con voi partendo dalla metafora (un esempio) della nascita, perché ripartire è come

rinascere. Ci troviamo all’inizio di un nuovo anno pastorale. L’estate ha creato- lo si voglia o no- un po’ di rilassamento nel cammino di vita cristiana della parrocchia. Ora si riparte e si riparte dalla sorgen-te. Prima delle iniziative parroc-

chiali c’è Lui: il Dio/Amore che ha

mandato il suo Figlio in “una car-

ne simile a quella di noi peccato-

ri”. Le attività pastorali sarebbero senza alcun signifi cato se non fossero legate effi cacemente al Mistero dell’Incarnazione , Passio-ne, Morte e Risurrezione di Cristo. Molti eventi ecclesiali importanti ci attendono: l’Anno della Fede (11 ottobre 2012/24 novembre 2013; il Sinodo Diocesano sulle Unità pastorali (dic. 2012); l’Ottobre mis-sionario; il Sinodo dei Vescovi sul-la nuova Evangelizzazione a cin-quant’anni dal Concilio ed a venti dal Catechismo della Chiesa Cat-tolica. Ma dentro questi momenti rilevanti c’è la vita di tutti i giorni con i suoi alti e bassi e tanti altri problemi concreti legati alla perdi-ta del posto di lavoro, al problema della crescita dei fi gli e tante altre diffi coltà che spesso spengono il sorriso sulle labbra. “Da quando vado male sul lavoro, faccio fati-ca a credere e non vengo più in chiesa!”, mi diceva con amarezza un amico d’infanzia. Come conser-vare la fede anche quando le cose vanno male? Tutti ci aspetterem-mo che la fede risolvesse tanti pro-blemi, ed invece ci dà solo la forza di aff rontarli con dignità, sapendo

che anche Cristo ha bevuto il suo calice di amarezza! Riprendiamo quindi il nostro cammino di vita ordinaria, unendo la fede alla con-cretezza della vita. Il Signore non ci abbandonerà. In fi n dei conti , incominciare un anno pastorale signifi ca riscoprire il nostro dialo-go con Dio nell’ascolto della sua Parola e nel metterla in pratica. Penso che la priorità della nostra opera evangelizzatrice vada data ai giovani ed agli adulti, che sono spesso i grandi assenti. Questo obiettivo lo si potrà raggiunge-re mettendoci in ascolto dei loro problemi, aiutandoli a conoscere bene la loro identità di battez-zati e di testimoni,invitandoli ad ascoltare con amore la Parola di Dio (ecco l’utilità dei Centri di ascolto della Parola); a partecipare con gioia alla messa domenicale insieme ai propri fi gli; suscitando in loro il desiderio dell’essenziale della fede (Gesù Cristo e il suo Re-gno); rendendoli sempre più con-sapevoli del valore, delle esigenze e dello stile proprio dell’essere lai-ci (fedeli laici) nella Chiesa. La fede non è mai una diminuzione del nostro essere uomini e donne, ma semmai è un potenziamento ver-so un’autentica libertà, una fortez-za nell’aff rontare le diffi coltà, una dolce speranza di aver vicino un vero Amico (Cristo) che non ci la-scia in mezzo a una strada. Questo il mio augurio e la mia fi duciosa convinzione, mentre ci apprestia-mo ad inaugurare un nuovo Anno di Grazia e di Salvezza. Buon cammino.

Vostro don Mario

Ripartire è come rinascere

All’inizio di un nuovo anno pastorale

Page 4: Bollettino Settembre

4 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

Cari Castrezzatesi,ho ben vivo il ricordo del mio ingresso a Castrezzato

domenica mattina 3 ottobre 2004. Per un parroco il giorno dell’in-gresso è come il giorno di nozze per gli sposi: gioie, speranze, rosee prospettive per il futuro. La realtà poi smussa inevitabilmente quan-to vi era di illusorio o di “strabico”, ma non porta a rinnegare quanto c’era di vero e di santo in quei bei desideri. Intendo dire che sono contento di essere vostro parroco e la mia non è stata un’illusione perché era accompagnata dalla grazia del Signore e dal manda-to del Vescovo. Entro pertanto nell’ottavo anno si servizio pasto-rale. La vita di un sacerdote che

Dialogo confi denziale del Parroco con i parrocchiani

Otto anni insiemevoglia davvero lavorare nella vi-gna del Signore è così piena, così varia e coinvolgente che riempie di signifi cato e di valore l’esisten-za. Gesù è di parola: a chi lo vuole seguire e servire, dà il centuplo e in più la vita eterna. Stando in un paese, svolgendo il proprio mini-stero di sacerdote, il parroco ma-tura il rapporto con le persone, approfondisce i legami, cresce e impara dal vivo a fare il pastore. Tante cose può imparare un pre-te dalla sua gente, se è attento ai molti esempi che le persone buone lasciano sul loro cammino senza tanta pompa! Ricordo molto bene che- nei primi mesi della mia permanenza tra voi – alcuni mi chiedevano se mi trovavo bene a

Castrezzato. Rispondevo che “Cer-tamente sì”, perché un sacerdote (e a maggior ragione un parroco) deve amare la sua gente e non deve fare distinzioni di persone, ma adattarsi- per amore di Cristo- a servire tutti, nelle cose che ri-guardano Dio, donando il vangelo con semplicità e senza ipocrisia. S. Paolo direbbe che “Siamo debito-

ri a tutti del vangelo”. Le incom-benze di un parroco sono tante e il lavoro più impegnativo non è quello dei lavori materiali (pur necessari), ma quello di converti-re i cuori e far amare Gesù Cristo. Tante volte la gente ritiene che un prete è bravo (peggio sarebbe se fosse il prete stesso a pensarlo…) se costruisce strutture imponenti,

Vita in Parrocchia

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5Camminiamo insieme n. 32 settembre - novembre 2012

Vita in parrocchia

se è abile nella gestione fi nanzia-ria; ma in realtà è più urgente far maturare le coscienze e - ribadisco - convertire i cuori! Avvicinando il sacerdote, la gente cerca Dio e non altro. Le strutture materiali oc-corrono, ma non sono la cosa più importante che deve fare il prete in una Comunità. E come non ba-sta per un padre avere una bella casa per dire di avere una bella famiglia, così un prete non può sentirsi a posto solo perché ha co-struito belle strutture parrocchiali: c’è ben altro da costruire,“dentro” la vita delle persone. È questo il lavoro più faticoso! Perciò non mi “off endo” se sento dire bonaria-mente che “Questo parroco fa pre-gare tanto…” (In verità, io non so se prego come si deve, ma lo desi-dero con tutto il cuore e Dio lo sa!) Per essere ancora più sincero, dirò che fi n da quando “Ho preso mes-sa” sono stato convinto della cen-tralità della vita spirituale, della preghiera, dei sacramenti (soprat-tutto dell’eucaristia e della con-fessione), della Parola di Dio, della devozione a Maria santissima. Non è l’effi cientismo, l’organizzazione, ma l’accoglienza e la crescita del-le persone secondo il loro carisma a costruire la Chiesa. E una buo-na dose di soff erenza morale… Pertanto non ho pretese, né mi angustio per i confronti, perché un apostolo (che pure ha le sue pecche e i suoi limiti) deve lavora-re per il vangelo e non aspettarsi riguardi particolari. Castrezzato,

a ben guardare, presenta inne-

gabilmente le sue diffi coltà e le

sue insidie, ma off re pure stupen-

de possibilità di fare il bene e di

diff ondere il messaggio di Gesù.

Dio prende i suoi fi gli dappertut-

to, anche a Castrezzato. Occorre tanta fi ducia. Permettetemi che mi soff ermi confi denzialmente con voi su alcuni fl ash di vita vissuta come vostro parroco. Cercherò di essere schematico, anche se non esaustivo.

1 - Il rapporto con la gente in ge-

nerale.

È caratterizzato – credo - da reci-proca stima e rispetto. Questo non toglie al parroco l’obbligo di una lettura reale della situazione uma-na e pastorale in cui vive (luci ed ombre), né gli deve far dimentica-re i suoi limiti personali, i difetti, come si dice, che sono non sol-tanto delle pecore, ma anche del pastore!

2 - Ogni paese ha la sua storia

e Castrezzato ha la sua storia, non solo civile , ma anche religiosa. Tanti i preti, parroci e curati e suore sono passati tra noi, ognuno con il proprio carattere, doti e limiti, ma uniti dalla passione per Cristo e nel fare il bene. Non si può certo negare che la storia di Castrezzato ha avuto e mantiene ancora con-notazioni di vita cristiana intensa, sia pure imperfetta e suscettibile di miglioramento. Eventuali con-fronti tra preti devono rispettare i confi ni della giustizia e della cari-tà. Il prete non porta se stesso, ma Cristo. Diversamente è un uomo incomprensibile.

3 - Formazione della gioventù

In tutte le parrocchie - e quindi anche tra noi - si desidera riscon-trare un’attenzione particolare alla formazione umana e cristiana della gioventù. La ricetta classica di Don Bosco (Ragione- Religione- Amorevolezza) è ancora attuale e come! Le molteplici iniziative ora-toriane sotto la guida del Curato, la cura dei cammini di catechesi per ragazzi-giovani e genitori de-vono essere sostenute con impe-gno da parte di tutti perché l’O-ratorio è il cuore della Parrocchia. Le parrocchie che hanno ancora il Curato dell’Oratorio hanno una grande opportunità e una grande fortuna che tante altre ormai non hanno più. Per chi lavora in parroc-chia, la formazione spirituale non può essere un accessorio facolta-

tivo, ma il perno sul quale si fon-dano anche le altre attività. Scri-veva già Mons. G. Sanguineti nel 2005: “Mi preme infatti sottolineare che anche per le nostre Comunità parrocchiali dobbiamo coltivare il primato dell’essere sul fare, della santità sull’organizzazione, del con-tinuo ascolto di Cristo e della con-templazione del suo Volto rispetto alla preoccupazione di moltiplica-re le nostre iniziative”. (Messaggio del Vescovo Giulio Sanguineti per l’anno oratoriano 2005/2006).

4 - I profondi cambiamenti della so-

cietà e la nuova evangelizzazione.

Rispetto al passato, i cambiamenti attuali della società e delle parroc-chie sono vistosi e profondi. Tutti ne conosciamo le ragioni e le ma-nifestazioni individuali e collettive; urge una nuova evangelizzazione, prima che il Cristianesimo diventi “roba da antiquariato o da museo”. Riscoprire la bellezza della fede non è un revival del passato, ma un dono, un’opportunità preziosa. “Guai a me se non annunciassi il vangelo” diceva san Paolo. Nuo-

va evangelizzazione vuol dire

riprendere nuovo slancio, nuo-

vo ardore, nuovi metodi, nuove

espressioni dell’eterno annuncio

cristiano. Anche l’Europa (e Ca-strezzato) devono essere messi in grado di decidere nuovamente del loro futuro nell’incontro con la persona e il messaggio di Gesù Cri-sto. Nuova evangelizzazione signi-fi ca quindi capacità da parte della Chiesa di vivere in modo rinnova-to la propria esperienza comuni-taria di fede e di annuncio dentro nuove situazioni culturali createsi negli ultimi decenni (individuali-smo esasperato, relativismo etico e religioso, appartenenza “molle” alla vita della Chiesa).

5 - Pastorale ordinaria

Il parroco deve garantire la Comu-nione con il Vescovo e il Presbite-rio, curare la proclamazione della

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6 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

Parola di Dio, la catechesi, l’annun-cio di Cristo a tutti, vicini e lonta-ni, la preghiera, la celebrazione dei Sacramenti, l’esercizio della carità in seno alla Comunità, la devozio-ne popolare corretta, la concordia e la leale collaborazione, la forma-zione dei collaboratori pastorali laici. Al riguardo le iniziative sono innumerevoli e la risposta dei fe-deli può certo ancora migliorare. C’è un discreto gruppo di parroc-chiani che corrisponde con fedel-tà esemplare. Va tuttavia precisato che la frequentazione della Chiesa deve portare alla testimonianza della vita; deve suscitare il deside-rio della vita buona del vangelo. Non sono “le foglie che contano, ma i frutti”.

6 - I “lontani”

Lo sa solo Dio chi sono veramen-

te i lontani! Ad una valutazione umana mi pare ancora alto il muro di chi vive ai margini della vita par-rocchiale. Il pastore deve cercare le pecore: ma in che modo? Fre-quentando i bar, le piazze, le mani-festazioni pubbliche ecc.? Anche questo può essere utile. Personal-mente sono convinto che giovi di più visitare i malati, confortare gli affl itti, non disertare i luoghi del dolore e della desolazione (ospe-dali e lutti), avvicinare motivata-mente le famiglie, condurre con competenza e preparazione la pastorale ordinaria (celebrazioni, predicazione, sacramenti, assiste-re i moribondi, curare la s. confes-sione e soprattutto la celebrazio-ne della S. Messa). Importante è il rispetto e il saluto a tutti, quando ci si incontra. Questo riguarda sia i preti che i laici. Cerco di essere fedele a questa prassi che non è solo richiesta dall’essere cristiani, ma anche solo dal galateo e dalla buona educazione.

7 - Famiglia e preparazione al

matrimonio.

La famiglia è oggi la grande ma-

lata. Le cause sono molteplici e complesse. I cattivi esempi del gossip mass-mediatico sono quo-tidiani. Le famiglie “normali” han-no a volte l’impressione si essere dei “reperti preistorici”! La famiglia e uno degli anelli deboli della so-cietà attuale e della Chiesa stessa. Quello che avviene da altre parti avviene anche da noi: ci si unisce, ci si separa, si convive, si ricomin-ciano “nuove storie” con grande facilità. Le prime vittime? I fi gli, quando ci sono. Ai nonni sono ri-chieste mansioni e ruoli un tempo impensabili. Quando un fi glio o una fi glia si separa sono spesso i nonni a sobbarcarsi mansioni sup-pletive (anche economiche) per tamponare le falle, come aiutare i nipotini, sopportare contrasti fa-miliari irrisolvibili, dare contributi economici ecc. Da qui l’impor-tanza della Pastorale Familiare e

dell’accompagnamento dei co-

niugi in diffi coltà. Spesso si attri-buisce alla Chiesa un’eccessiva se-verità: ma l’unità e l’indissolubilità del matrimonio non li ha inventati la Chiesa, si devono a Cristo stes-so! Questo non vuol dire puntare il dito, disprezzare e condannare. Ci sono vicende veramente gravi e complesse e Dio solo conosce tutto. Le situazioni di famiglie ir-regolari vanno accompagnate con dolcezza e verità, senso di respon-sabilità, in spirito di accoglienza delle indicazioni sagge e prudenti della Chiesa. Tutti comunque, an-che separati, divorziati risposati e conviventi possono pregare e fare il bene. Il buon Dio troverà anche per loro vie di salvezza e di reden-zione.

8 - Oratorio e catechisti

La Parrocchia e l’Oratorio si sono dotati di un buon numero di cate-chisti e di assistenti sia per i ragaz-zi che per i genitori e gli adulti. A tutti l’invito a perseverare e a pre-parare sempre nuovi laici disponi-bili ed esperti in questo servizio

esaltante anche se faticoso. L’Ora-torio deve di fatto essere un vero e proprio Centro parrocchiale per tutta la Comunità.

9 - Anziani e malati

Sono tanti ed hanno le loro esi-genze. Dal punto di vista religioso cerco di andare a trovarli ed a se-guirli religiosamente, anche attra-verso i Ministri straordinari della S. Comunione, che sono preziosi e sempre bene accolti. Invito ancora i famigliari a far sapere ai Sacer-doti quando qualcuno è degente in ospedale o è malato a casa, in modo da passare a trovarlo.

10 - Incremento dei collaboratori

pastorali laici

Ci è richiesto dal Vescovo ed è una ricchezza per le parrocchie. Questo obiettivo è una costante della conduzione della nostra par-rocchia in questi anni: catechisti degli adulti, ministri straordinari della s. Comunione, proclamatori della Parola di Dio, operatori del-la pastorale familiare. La risposta

dei laici qui da noi è buona. Oc-

correrà perseverare. Non va di-

menticato che poter disporre di

saggi e preparati collaboratori è

il miglior modo di prepararsi alla

prospettiva dell’Unità pastorale

che si sta avvicinando.

11 - Azione Cattolica

È un’opportunità preziosa se davvero essa è fedele alla pro-pria identità ecclesiale ed opera nell’ambito formativo e sociale. Lo spazio operativo dell’AC si realizza normalmente in Oratorio e l’anello che l’unisce alla Parrocchia è dato dalla rappresentanza istituzionale dell’AC nel CPP. Infatti il Presiden-te parrocchiale di AC è membro di diritto del CPP. Per chi lavora in AC c’è la possibilità di un cammino più intenso di fede e di testimo-nianza.

12 - Importanza e centralità del

Vita in Parrocchia

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7Camminiamo insieme n. 32 settembre - novembre 2012

Vita in Parrocchia

C.P.P. (Consiglio pastorale parroc-

chiale).

Il CPP ha una fi sionomia precisa delineata dai documenti diocesa-ni. Occorre valorizzarlo e renderlo sempre più “motore propulsore” di rinnovamento della parrocchia per il coinvolgimento dei battez-zati nell’azione pastorale della Chiesa. Non voglio insistere oltre, perché lo ribadisco spesso: se non vogliamo che i CPP siano “scatole vuote” (come purtroppo avviene in alcune parrocchie e non solo per colpa dei laici…) occorre far funzionare bene i vari gruppi di lavoro (o commissioni) nei quali siano inseriti gli stessi membri del CPP. Mi pare onestamente che da noi questa collaborazione sia sen-tita e condivisa. Ai nostri laici non mancano buona volontà e buona preparazione. Presidente del CPP è, per Statuto, il parroco.

13 - IL C.P.A.E.

Anche nel settore amministrativo (C.P.A.E. ossia Consiglio parroc-chiale per gli aff ari economici) la collaborazione è stata in que-sti otto anni ed è tutt’ora buona, come pure lo è il ruolo della Se-greteria amministrativa svolto da una persona a ciò deputata per la raccolta ed il coordinamento dei relativi documenti amministrativi. In questi 8 anni, senza fare scintille di sensazionalismo, sono stati af-frontate e risolti non pochi lavori e situazioni bisognose di interven-to, alcune delle quali piuttosto de-licate. Grazie a Dio, a tutt’oggi, non abbiamo una situazione debitoria. Il CPAE predisporrà a breve una nota dei lavori aff rontati e risolti dal 2004 ad oggi. I parrocchiani si mostrano di solito generosi nel sostenere anche questo aspetto della vita parrocchiale. Un grazie speciale va anche ai benefattori che sono già in paradiso!

14 - Tenere unita la parrocchia

Infi ne, mia preoccupazione priori-

taria - e lo aff ermavo il 16 agosto, (festa di S. Rocco e data per me importante perché ho dato al ve-scovo di allora Mons. Sanguineti la mia risposta positiva per essere nominato parroco di Castrezzato) è di tenere unita la parrocchia,

secondo il desiderio di Cristo “Che tutti siano una cosa sola

come Io e Te, o Padre!”. Mi spiego meglio, cercando di chiarire ogni possibile equivoco ed evitando ragionamenti sibillini. Il parroco non intende essere un equilibri-sta o un diplomatico a tutti i costi, né un “coperchietto” che va bene per tutti i barattoli, o una specie di “direttore della caserma”, ma gli sta a cuore che- nel rispetto dell’i-dentità cristiana della Comunità parrocchiale- tutti si sentano ac-colti, amati e valorizzati, secondo i propri doni e compiti. Un parroco non può essere “di parte” o farsi fautore di contrapposizioni o di esclusioni (parlo sempre in ambito ecclesiale), né regolarsi in base ai propri gusti, ma deve valorizzare le capacità e le sensibilità di tutti i suoi parrocchiani in vista dell’u-nità, fi n dove questo è possibile e non nuoce al bene comune. Tal-volta occorre un po’ di severità. In una prospettiva di Chiesa tutta ministeriale non tutti possono fare tutto, ma occorrono doni e compi-ti che agiscano in buon accordo tra loro. A tal proposito mi ha sem-pre colpito nel vangelo di Giovan-ni l’episodio della pesca dopo la risurrezione di Gesù (Gv. 21,1-14). L’evangelista dice che gli apostoli, dapprima delusi e titubanti e poi obbedienti, fecero una pesca pro-digiosa catturando ben 153 grossi pesci. Eppure la rete non si spezzò. Il miracolo della pesca è ecclesio-logico, cioè si riferisce alla Chiesa, alla Comunità dei discepoli ed al-lude alla missione. La missione è fruttuosa soltanto se obbedisce alla Parola del Signore. Secondo l’esegesi (=l’interpretazione) anti-ca il numero 153 è un numero di

misteriosa perfezione, atto ad in-dicare il grandioso successo della missione e il suo carattere univer-sale. Ora- per tornare a noi- per lavorare in parrocchia è richiesto l’essere discepoli, cioè amare e seguire Gesù: allora tutto sarà più facile, anche sopportare le perso-ne diffi cili, accettare un’osserva-zione, chiedere o dare il perdono, come in una famiglia. Se tutti in-vece stanno sulle loro posizioni, ogni accordo fraterno è impossi-bile. Compito del parroco è fare in modo che - pur essendo anche noi i 153 pesci - la rete non si spezzi; che le eventuali incomprensioni e dissapori non portino ad una reci-proca estraneità che non è aff atto evangelica. Viviamo in un paese già “vivace” e la parrocchia deve operare con stili davvero evan-gelici, nella verità e nella carità, e (come ci raccomanda insistente-mente il nostro vescovo Luciano) nel discernimento comunitario.

15 - Conclusione

Scusate se mi sono permesso di esprimere ad alta voce e confi den-zialmente alcuni pensieri sulla mia e nostra cara parrocchia. Forse ho abusato della vostra pazienza… Tante sarebbero ancora le cose da dire: per intanto ci fermiamo qui. Ci saranno ancora in futuro occa-sioni per scambiarci qualche altro pensiero in merito. A tutti deve stare a cuore il bene comune della nostra parrocchia, in spirito mis-sionario verso i fratelli che forse desiderano da noi qualche buon esempio in più per avvicinarsi al Signore. Intanto tutti ringrazio ed auguro un Buon Anno pastorale 2012/2013. Grazie!

Con aff etto il vostro arciprete mons. Mario Stoppani

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8 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

La porta della Fede

Anno della Fede (11 ottobre 2012 - 24 novembre 2013)

Con la Chiesa

II pontifi cato di Benedetto XVI si é contraddistinto fi n dall’inizio per una proposta forte: ridare

nuove energie e nuovi impulsi alle dimensioni fondanti dell’esistenza umana e cristiana. L’opera del Papa è interamente rivolta a illustra-re la fede come esperienza vitale per l’uomo: se talune correnti di pensiero della cultura contempo-ranea considerano la fede un fatto da relegare nella sfera privata, per il Pontefi ce, al contrario, la fede ri-guarda il futuro stesso dell’uomo e dell’umanità, Entro questa pro-spettiva di fondo si colloca l’inizia-tiva voluta dal Papa di dedicare un anno alla discussione, all’appro-fondimento e alla celebrazione del tema della «fede».

Nel solco del Concilio Vaticano II

L’11 ottobre 2011, Benedetto XVI, fi rmando il documento Porta fi dei (La porta della fede), ha uffi cial-mente indetto l’Anno della fede, che inizierà domenica 11 ottobre 2012 e si concluderà il 24 novem-bre 2013, solennità di Cristo Re dell’universo (cf. Benedetto XVI, Porta fi dei. Lettera Apostolica in forma di motu proprio, 11 otto-bre 2011. In seguito citata PF, ndr). Qual è il signifi cato di un’iniziativa di questo genere?Anzitutto, due ricorrenze motiva-no la scelta del Papa: «Esso [l’Anno della fede] avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel 50° anniversario dell’a-pertura del concilio Vaticano II, [...] Nella data dell’11 ottobre 2012, ricorreranno anche i vent’anni dal-la pubblicazione del Catechismo

della Chiesa cattolica, testo pro-mulgato dal mio predecessore, il beato papa Giovanni Paolo II, allo scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede» (PF 4),Concilio Vaticano II e Catechismo della Chiesa cattolica sono le due grandi luci che illuminano il cam-mino dei credenti nel nostro tem-po. Più volte, in Porta fi dei, il Santo Padre richiama l’importanza dei testi conciliari e di quelli del Cate-chismo.Due passi tra i più signifi cativi a riguardo e ugualmente indicativi del percorso da seguire durante l’Anno: «I testi lasciati in eredità dai Padri conciliati, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro smalto. E necessario che essi ven-gano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimi-lati come testi qualifi cati e nor-mativi del Magistero, all’interno della Tradizione della Chiesa”. [...] Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi ad aff ermare a propo-sito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a successore di Pie-tro: “Se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneu-tica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnova-mento della Chiesa”» (PF 5); «L’An-no della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fonda-mentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa cattolica la loro sintesi sistematica e organica.

Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha ac-colto, custodito e off erto nei suoi duemila anni di storia. [,.,] Pagina. dopo pagina si scopre che quanto viene presentato non è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive nella Chiesa» (PF 11).

Al cuore dell’esperienza cristiana

Si deve notare, tuttavia, che gli anniversari dell’apertura del con-cilio e della pubblicazione del Ca-techismo non rendono ragione da soli della proposta di un Anno del-la fede. Sia nella Lettera del Papa che nei suoi insegnamenti magi-steriali troviamo altre indicazioni utili alla comprensione di tale pro-posta, Vorrei metterne in rilievo qualche altra al fi ne di stimolare la rifl essione personale. A pochi mesi dalla sua elezione, Benedetto XVI promulgò l’encicli-ca Deus caritas est, in cui propose una rifl essione circa il contenuto fondamentale della fede cristiana: l’aff ermazione «Dio è amore», trat-ta dalla Prima lettera di Giovanni, esprime «con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’im-magine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uo-mo e del suo cammino» (Deus ca-ritas est, n. 1).Più tardi, nel 2007, il Santo Padre presentò la sua seconda encicli-ca, dedicata all’approfon-dimento della speranza cristiana: «“Speran-za”, di fatto, è una paro-la centrale della fede biblica — al punto che in diversi passi le parole “fede” e “speranza” sembrano in-tercam-

Benedetto XVI, con la lettera Porta fi dei, apre alla Chiesa un cammino di riscoperta e approfondimento della fede

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Con la Chiesa

biabili» (Spe salvi, n, 2),Ora, il Papa chiede alla Chiesa in-tera di tornare a interrogarsi sul tema della «fede», sia nella sua va- lenza soggettiva, cioè dell’at-to con cui l’uomo sceglie di dare fi ducia a Dio, alla sua Parola e alle sue promesse; sia nella sua dimen-sione oggettiva, vale a dire dei contenuti da professare (cf. PF 10).Già da questi richiami sembra che emerga chiaramente lo stile e le in-tenzioni con cui Benedetto XVI sta portando avanti il proprio servizio di pastore e guida dei credenti in Cristo: un invito a ripartire con en-tusiasmo rinnovato dagli elementi fondamentali, dal cuore dell’e-sperienza cristiana, dalle virtù te-ologali della fede, della speranza e della carità, che «dispongono i

cristiani a vivere in relazione con la Santissima Trinità» e «fondano, animano e caratterizzano l’agire morale del cristiano» (Catechismo della Chiesa cattolica, n, 1812).

Fede come incontro personale

con Gesù

Un secondo aspetto da considera-re è che l’iniziativa del Papa inter-pella il credente, con l’obiettivo di ricordargli che la fede non è sem-plicemente l’assenso — cioè il «sì» a a delle verità dato una volta per tutte, quanto piuttosto l’incontro con la persona umana e divina di Gesù Cristo, Un incontro che deve sapersi rinnovare continuamente, diventando esperienza e mentali-tà capaci di rispondere alle grandi domande che l’uomo si pone du-

rante l’esistenza,Come si diceva, la fede ha bisogno di essere vissuta come esperien-za vitale e, pertanto, di riscoprire perennemente il fascino della se-quela di Gesù. Scrive il Papa: «Fin dall’inizio del mio mi-nistero come successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammi-no della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia e il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo» (cf, PF 2), Questa preoccupazione si rivela in tutta la sua urgenza specialmente, oggi, a motivo della profonda crisi di fede che tocca molti cristiani e che assume le forme dell’indiff e-renza, dell’agnosticismo, della ten-denza (tentazione, forse) a ridurre il messaggio del vangelo alle sole

I principali eventi dell’Anno della FedeGiovedì 11 ottobre. Solenne apertura dell’Anno della fede in Piazza San Pietro a 50 anni dall’inizio del concilio Vaticano II, con una messa concelebra-ta da tutti i Padri sinodali, dai presidenti delle Con-ferenze episcopali del mondo e dai Padri conciliari ancora viventi.Domenica 21 ottobre. Canonizzazione di 6 martiri e confessori della fede.Venerdì 25 gennaio 2013. Celebrazione ecumeni-ca nella basilica di San Paolo fuori le Mura,Sabato 2 febbraio. Celebrazione in San Pietro per tutte le persone che hanno consacrato la loro vita al Signore.24 marzo, Domenica delle Palme, Celebrazione dedicata ai giovani che si preparano alla Giornata rnondiale della gioventù di Rio de Janeiro (23-28 luglio). Domenica 28 aprile. Giornata dedicata a tutti i ra-gazzi e ragazze che hanno ricevuto il sacramento della confermazione.Domenica 5 maggio. Giornata dedicata alla cele-brazione della fede che trova nella pietà popolare una sua espressione iniziale attraverso la vita delle confraternite. Sabato 18 maggio, vigilia di Pentecoste. Giornata

dedicata a tutti i movimenti, col pellegrinaggio alla tomba di Pietro.Domenica 2 giugno, festa del Corpus Domini. So-lenne adorazione eucaristica contemporanea nella cattedrale di ogni diocesi e in tutte le chiese del mondo (dove sarà possibile, alla stessa ora).Domenica 16 giugno. Giornata dedicata alla testi-mo-nianza del vangelo della vita.Domenica 7 luglio. Conclusione a San Pietro del pellegrinaggio di seminaristi, novizie, novizi e di quanti sono in cammino vocazionale.Dal 23 al 28 luglio. Giornata mondiale della gio-ventù a Rio de Janeiro (Brasile).Domenica 28 settembre. Giornata dei catechisti. Sarà l’occasione per ricordare anche il 20° anniver-sario del Catechismo della Chiesa cattolica.Domenica 13 ottobre. Giornata per tutte le realtà mariane,Domenica 24 novembre. Celebrazione conclusiva dell’Anno della fede.

(Questo calendario fa riferimento solo agli eventi di carattere internazionale, che vedranno la presenza del Papa e saranno celebrati a Roma. Per aggiorna-menti, notizie e materiale: www.annusfi dei.va)

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Con la Chiesa

conseguenze sociali, politiche e culturali dell’impegno cristiano nel mondo.Nella recente presentazione del calendario degli eventi che si terranno a Roma durante l’Anno della fede, mons. Rino Fisichella, presidente del Pontifi cio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, osservava che la crisi di fede, di cui parla il Papa in Porta fi dei, rientra nel contesto più ampio di una crisi che riguarda l’uomo e il suo modo di concepirsi all’interno del mondo. L’aff erma-zione ostinata della propria au-tonomia individuale, nonché de-cenni di secolarismo, hanno avuto come risultato il fatto che l’uomo «si ritrova oggi confuso, solo, in balia di forze di cui non conosce neppure il volto, e senza una meta verso cui destinare la sua esisten-za» (Avvenire, 16,5.2012, p. 3). Da questo punto di vista, l’Anno del-la fede non è indirizzato soltanto alla Chiesa intera, ma vuole coin-volgere tutti gli uomini del nostro tempo, credenti e no, Questa è una terza rifl essione di carattere generale da tenere presente.

Rispondere alla nostalgia di Dio

Proseguendo nel suo intervento, il vescovo Fisichella precisava che l’Anno della fede «intende essere un percorso che la comunità cri-stiana off re a tanti che vivono con la nostalgia di Dio e il desiderio di incontrarlo di nuovo». Il medesi-mo invito è presente nelle parole di Benedetto XVI: «Non possiamo dimenticare che nel nostro con-testo culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità defi nitiva sulla loro esi-stenza e sul mondo, E...] La stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita l’esigenza di “ciò che vale e permane sempre”, Tale esigenza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore

umano, a mettersi in cammino per trovare Colui che non cercherem-mo se non ci fosse già venuto in contro. Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienez-za» (PF 10),Queste osservazioni, con le quali si è cercato di illustrare le ragioni dell’iniziativa del Papa, ci permet-tono di cogliere il senso dell’alle-goria della fede quale porta: «La “porta della fede” (cf. At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nel-la sua Chiesa è sempre aperta per noi» (PF 1).Presentare la fede come una «por-ta sempre aperta» signifi ca che nessuno deve sentirsi esclu-so dall’essere provocato sul senso della vita e delle sue domande; soprattutto in tempi come i nostri,

quando tali interrogativi sono per-cepiti come ancora più drammatici a causa di una crisi complessa che intacca la speranza in un futuro diverso e migliore. Porre di nuovo al centro dell’attenzione e della ri-fl essione cristiana la domanda sul-la fede non equivale a ritirarsi dal mondo, piuttosto aiuta a prendere coscienza delle responsabilità che si hanno, in questi momenti, nei confronti degli altri uomini,L’auspicio è, dunque, che l’Anno della fede sia tempo di grazia e occasione favorevole per la cresci-ta personale e comunitaria, dove preghiera e rifl essione potranno più facilmente accompagnare e sostenere l’intelligenza della fede, di cui ogni cristiano deve avvertire l’urgenza e la necessità.

Conferenza Episcopale Italiana

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Con la Chiesa

Crimine organizzato, frodi, danni all’ambiente: il male è una minaccia per la convivenza

Alcune domeniche fa, su «la Lettura» del «Corriere del-la Sera» Armando Torno

ha proposto una rifl essione il cui titolo aff ermava: «La fi ne del pec-cato». La prima reazione che avuto è che una notizia come questa ce-lasse una vera e propria tragedia. Purtroppo non sono fi niti i pecca-ti, ma quel che sembra estinguer-si è la coscienza del peccato. Per questo ho sentito l’urgenza di una mia, seppure limitata, rifl essione.A volte non siamo consapevoli del-le conseguenze drammatiche di situazioni che possono sembrarci normali. In verità, se si cancella la coscienza del peccato, si abolisco-no i confi ni di bene e male. E non avremmo, per fare un esempio, quell’indimenticabile grido di Gio-vanni Paolo II ad Agrigento contro i mafi osi che dovranno rispondere a Dio del «peccato di mafi a» (e, si badi bene, non è questione solo di legalità o illegalità!). Il peccato rimanda sempre al rapporto con Dio. Non si tratta infatti dell’infra-zione a una legge, ma di una ferita — grave o meno grave — al dise-gno della creazione.Il peccato è una questione d’amo-re e obbedienza. È emblematico quello di Adamo ed Eva, che non a caso chiamiamo «originale». Il «peccato della mela» non riguarda la sessualità come spesso si pensa, ma è l’orgoglio dell‘«io» umano che vuole mettersi al posto Dio. I due progenitori si lasciano incan-tare dalle gestioni del serpente di turno e disobbediscono all’Al-tissimo e al suo disegno d’amore. L’agiografo biblico ne descrive le

drammatiche conseguenze: Ada-mo ed Eva si ritrovano nudi, ossia senza più la compagnia di Dio, senza più la fi ducia tra loro, senza più l’armonia con il creato. Insom-ma, il peccato è cosa davvero se-ria. E vale la pena rifl etterci anche nel cuore dell’estate.l peccato non è mai una questio-ne puramente individuale (quante volte si pensa che facendo certe

azioni peccaminose non si fa male a nessuno!), ha sempre una di-mensione «sociale». Come l’amo-re. Per questo la «sede» del pecca-to non è mai esterna all’uomo ma è nel suo cuore. C’è un bellissimo cennno nel libro della Genesi (4,7): «Il peccato è sempre accovacciato alla tua porta». In questo senso il metro per giudicarlo non è, come dire, una sorta di «democrazia re-

I nuovi peccati contro la società

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ferendaria», come se il peccato fosse in balia delle mentalità ricor-renti, perché trova il suo criterio nel confronto con l’amore di Dio. Questo appare nella Scrittura e, in termini semplifi cativi, nei Dieci Comandamenti. Certo, può acca-dere che a volte vengano sottoli-neati alcuni peccati mentre altri siano messi sullo sfondo. Per fare un esempio, c’è stato un periodo in cui quelli contro il Sesto Coman-damento, ovvero di natura sessua-le, sembravano aver invaso tutto il campo. Ricordo con simpatia un amico che mi diceva: «Se il Padre Eterno l’ha messo per sesto e non per primo, qualche ragione l’avrà avuta». Oggi, al contrario, il pecca-to contro il Sesto Comandamento l’abbiamo emarginato.Credo sia importante ripartire dal Primo Comandamento, ossia il primato di Dio nella nostra vita. L’insidia più grave che vedo e del-la quale si ha poca consapevolez-za, è il nuovo primato dell’«io», un egoismo strisciante ma onni-presente che sta avvelenando e sgretolando il «noi» della famiglia, della società e dei popoli e persi-no della medesima comunità ec-clesiale. In questo senso è anche comprensibile il giusto scandalo che provocano tutti quei peccati che attentano al vivere comunita-rio. Ho già accennato al peccato di mafi a, possiamo ricordare lo scan-dalo — purtroppo non denuncia-

to con vigore — dell’oppressione dei più deboli in un mondo dove i poveri sono in aumento; inoltre i peccati contro la pace, che alimen-tano le guerre. Alcuni vescovi han-no ricordato che l’evasione delle tasse è peccato, perché è un ladro-cinio contro i più bisognosi. E in un tempo di crisi è una grave, omis-sione non sentire la responsabilità di impegnarsi per il bene di tutti, ripiegandosi a difendere solo il proprio. Finalmente ci si è accor-ti che il non rispetto della natura pregiudica la vita delle generazio-ni future e anche di molte presenti (l’inquinamento che causa malat-tie, la mancanza di acqua potabile per una parte della popolazione mondiale, eccetera). Ma attenzio-ne! Non dovrebbe crescere di più la preoccupazione anche per l’in-quinamento morale, per l’asfi ssia di orizzonti solidali per la facilità con cui viene soppressa la vita al suo inizio e aIla sua fi ne? E quan-te volte viene umiliata durante il suo corso? L’elenco potrebbe con-tinuare e dovrebbe quindi essere chiaro che il peccato è sempre un’azione contro Dio, contro gli-altri e contro se stessi. Nel Credo noi aff ermiamo la «re-missione dei peccati». Gesù li ha «presi su di sé», ovvero ha tolto il peso del peccato dalle nostre spalle: è questo accade nella con-fessione. Anche se oggi tale sacra-mento è disatteso, complice a vol-

te anche il managerismo pastorale di non pochi preti, resta tuttavia un’ancora straordinaria di salvez-za. In una società ove il perdono è sempre più raro, la concretezza di un incontro in confessione mo-stra la realtà del perdono; inoltre insegna all’uomo che la debolezza non è una condanna senza appel-lo e che è possibile gettare la ma-schera, quella che è indossata ogni giorno per difendersi. Ammettere le proprie debolezze è anche un grande atto di coraggio. Mi ha fat-to sempre pensare quell’aff erma-zione di Gesù: non sono venuto per chiamare i giusti ma i peccato-ri (Marco 2,17). Lo ha detto contro il bigottismo dei benpensanti e l’autosuffi cienza degli orgogliosi. Siamo tutti deboli. Tutti bisognosi di perdono.Il confi ne tra bene e male è sta-bilito dall’amore. È in questa pro-spettiva che si può comprendere l’aff ermazione di Gesù rivolta alla peccatrice, «le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha mol-to amato (Luca 7,47). Il cristiane-simo ha sfi dato e sfi da il peccato con l’amore. Dove esso manca, prosperano i segni di divisione e di confl itto, che rendono la società più amara e violenta. I peccati del futuro nasceranno da qui: si diven-ta complici della lacerazione della società di domani. Dostoevskij ha notato che « se non ci fosse Dio, tutto sarebbe permesso». In que-sta sua osservazione c’è la perfet-ta diagnosi del peccato di oggi, di una società che ha perso il senso di Dio e quindi non riconosce più il bene e il male. Non è un caso che Benedetto XVI, consapevole di questa drammatica situazione, abbia voluto scrivere la sua prima enciclica riproponendo agli uomi-ni il primato di Dio come amore.

Vincenzo PagliaVescovo e presidente

del Pontifi cio consiglio della famiglia

Con la Chiesa

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Cresce il bisogno di misura-re la religione. Si tingono cartine di terre islamiche

e cristiane, si piantano qua e là le bandiere delle fedi. Questa frene-sia esprime il disagio in cui ci getta la nebbia che ortodossie e identità non riescono a dissipare. Digiuno ma non prego; credo ma non pra-tico; bramo la tradizione ma faccio shopping di dogmi e riti. Si disar-ticola la religiosità individuale e collettiva. Mette ansia la religione che si sfuma. Invidiamo all’altro le certezze che l’altro invidia a noi; ci sentiamo insicuri al cospetto della sicurezza della fede altrui. In rispo-sta al bisogno, la ricerca Win-Gal-lup International ha misurato l’in-dice di religiosità e di ateismo del mondo attraverso interviste con più di 50 mila persone in 57 Pae-si. La domanda intendeva andare oltre l’apparenza della pratica del culto: «Indipendentemente dal fatto di frequentare un luogo di

Cresce l’ateismo, ma non in Italia

I dati di un’indagine della Gallup sulla religiosità nel mondo

culto, ti ritieni una persona religio-sa, una persona non religiosa o un ateo convinto?». Il responso divide il mondo in tre: oltre a chi non ha risposto, il 59% si dicono religiosi, il 23 non religiosi, il 13 atei. Rispetto all’indagine del 2005, i re-ligiosi scendono del 9% e gli atei crescono del 3. Il più sensibile de-clino della religiosità si registra in Irlanda (-22%), Francia (-21%), ma anche in Sudafrica (-19%) e Usa (-13%). L’ateismo è cresciuto di più in Europa, in particolare in Francia (+15%) e Irlanda (+7%); ma gli atei sono cresciuti anche in Giappo-ne (+8%), Argentina (+5%) e Usa (+4%). Il reddito ha il suo peso: crede in Dio il 66% della fascia più povera contro il 49% della più ric-ca. Tra i Paesi più religiosi fi gurano noti focolai di violenza: Iraq, Paki-stan, Kenya, Nigeria.La maggior percentuale di atei si trova in Asia: si dichiara ateo con-vinto il 47% dei cinesi e il 31% dei

giapponesi. In Europa sono atei il 29% dei francesi e il 15% dei tede-schi, Il campione italiano si è divi-so tra 73% i credenti, 15% di non-credenti e 8% di atei convinti, con uno scostamento minimo in sette anni (+1% di credenti +2% di atei). Con la sua alta percentuale di cre-denti l’Italia fa eccezione tra i Paesi più ricchi. Trae in inganno l’indice Gallup, se lo usiamo per confortare gli stere-otipi religiosi. Può invece aiutarci se ci instrada verso la complessità del religioso. Tra le pieghe della ricerca, si legge che solo l’81% di chi si dichiara cattolico e il 74% di chi si dichiara islamico si autode-fi nisce una persona religiosa, con-tro il 97% dei buddisti. I numeri non dissipano la nebbia dentro la quale cambia la fede. Ma possono orientarci.

Marco Ventura

Fede e reddito individuale

Con la Chiesa

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14 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

Con la Chiesa

Il 25 dicembre 1961 il Papa Gio-vanni XXIII oggi Beato indice il Concilio Ecumenico Vaticano II,

che si apre l’11 ottobre 1962. Negli intenti del papa il concilio è una nuova “prima-vera” della chie-sa, impegnata ad aggiornarsi e a rinnovarsi per “investire di luce cristiana e penetrare di fervorosa ener-gia spirituale non solo l’inti-mo delle ani-me, ma anche l’insieme delle umane attivi-tà”. Il rapporto Chiesa-Mondo, come si vede, già fa capolino ( D o c u m e n t o di indizione del Concilio). A Papa Giovanni, morto il 3 giu-gno 1963, suc-cede Paolo VI, che apre la se-conda sessione del concilio il 29 settembre 1963 e lo conclude solennemente l’8 di-cembre 1965, con un memorabile discorso e con i Messaggi di tutti i vescovi del mondo ai governanti, agli uomini di pensiero e di scien-za, agli artisti, alle donne, ai lavo-ratori, ai poveri, agli ammalati e a coloro che soff rono ed ai giovani.È impossibile sintetizzare in un

breve spazio di approfondimen-to l’importanza ed i contenuti del Concilio. Ad un primo accosta-mento , diremo che il Concilio ci ha lasciato dei documenti che rias-

sumono le grandi problematiche di cui esso si è occupato e danno pure delle direttive per il futuro. Il Concilio ha emanato 3 costitu-zioni dogmatiche e una costitu-zione pastorale. Le prime tre sono:* La Sacra Liturgia (Sacrosanctum Concilium),* La Chiesa (Lumen Gentium)

Il Concilio Ecumenico Vaticano II

Sintesi complessiva

* La Divina Rivelazione (Dei Ver-bum).

La costituzione pastorale si chia-ma Gaudium et Spes (che signifi ca

la Speranza e la Gioia)

Vi sono poi i de-creti:* I mezzi di co-municazione so-ciale;* L’ecumenismo;* Le chiese orien-tali cattoliche;* L’uffi cio pasto-rale dei vescovi;* Il rinnovamen-to della vita reli-giosa;* La formazione sacerdotale;* L’apostolato dei laici;* L’attivita mis-sionaria della chiesa; * Il ministero e la vita sacerdotale.

Vi sono poi 3 di-chiarazioni:

1) I rapporti della chiesa con le al-tre religioni non cristiane; 2) L’educazione cristiana dei gio-vani;3) La libertà religiosa.

Già dalla presentazione comples-siva dei documenti si evince un elenco di priorità e di attenzioni.

gruppo redazionale

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15Camminiamo insieme n. 32 settembre - novembre 2012

Con la Chiesa

Quale il volto della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II?

Non è facile rispondere esaurien-temente. Tento un’ipotesi di let-tura, cercando di riandare anche all’esperienza personale di questo trentennio a servizio della chiesa.

1 Si è vissuto un periodo di crisi ecclesiale, intendendo con questa parola il signifi cato di “pas-saggio” e di balzo verso una nuova realtà.Infatti la chiesa ha cercato di rinnovarsi, di aggiornarsi, di usare il linguaggio del mondo contem-poraneo per annunciare Cristo unica salvezza. Si è riusciti in que-sto? Gran parte di voi hanno vis-suto solo il pontifi cato di Giovanni Paolo II.

2 I movimenti che sono fi o-riti all’interno della chiesa (Biblico-Liturgico-Catechistico-Missiona-rio-Caritativo, a livello di fedeli laici e di religiosi...) hanno stimolato e infl uito sul rinnovamento di tutta la chiesa.

3 Non sono mancate tensio-ni, fughe in avanti, contestazioni, ritorni nostalgici al passato, letture “strabiche” degli stessi Documenti conciliari, abbandoni di consacrati ecc.

4 Circa l’autorità della Chie-sa (Papa e Vescovi) viene oggi accentuata nella chiesa la conno-tazione del servizio (ministero), attraverso i doni diff usi dallo Spiri-to nelle comunità: per armonizzar-

li, coordinarli, rinvigorirli ed even-tualmente purifi carli.

5 La chiesa ha ricevuto e riceve stimoli (i cosiddetti segni dei tempi), cioè da quei fatti che determinano positivamente o ne-gativamente lo sviluppo della vita sociale dei popoli, quali la crescita del senso democratico, la sensi-bilità per i diritti umani, l’ascesa della donna, la sete di giustizia, il bisogno di pace...; oppure il con-sumismo, l’edonismo, l’aff arismo, lo scardinamento della visione cri-stiana della famiglia e dell’amore umano ecc.

6 Nei confronti del mondo contemporaneo, la chiesa si mette in atteggiamento di missionarie-

tà, espressa attraverso la miseri-cordia, la verità rivelata, il dialogo autentico (Ecclesiam suam di Pao-lo VI), la speranza.

7 Oltre all’annuncio del Van-gelo che è sempre primario ed

insostituibile, l’azione globale del-la chiesa si esprime in termini ed aree ben più vaste di un tempo: la globalizzazione, lo sviluppo dei popoli, la promozione della pace, la cooperazione nei vari settori dell’esistenza umana, il discerni-mento eticamente e teologica-mente corretto tra scienza e fede, la cura per l’ambiente ecc.

Conclusione: ci siano di aiuto alcu-ne rifl essioni degli ultimi due Papi in merito al Concilio:Giovanni Paolo II nella Novo Mil-lennio ineunte (Par. 57), e Bene-detto XVI nell’importante discorso tenuto ai cardinali e ai vescovi nel 40° anniversario della chiusura del concilio (1965-2005)

Invito: leggere le pagine più im-portanti delle tre Costituzioni dogmatiche e della costituzione pastorale.

La Chiesa dopo il Concilio

I cambiamenti dettati dal Concilio Vaticano II

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La constatazione è da anni sotto gli occhi di tutti: la pra-tica religiosa va sempre più

diminuendo, sia nel capo della frequenza alle celebrazioni liturgi-che, con particolar riferimento al sacramento dell’eucaristia e della penitenza, sia nel più ampio set-tore della vita morale con il diff on-dersi di uno stile di vita personale e sociale poco conforme all’etica cristiana. Anche sull’italico suo-lo si fa pian piano strada l’usanza di non battezzare i bambini, per-ché - si dice - sceglieranno loro da grandi la fede, senza capire che la «non scelta» fatta dai genitori è, di fatto, già «una» scelta. Qualche adulto ha anche chiesto di poter-si «sbattezzare». Molti, senza aver fatto una esplicita scelta in questo senso, e forse senza nemmeno rendersene conto, vivono di fatto da «sbattezzati». Come ha detto il papa nel maggio scorso ai vescovi italiani, viviamo «in un tempo nel quale Dio è diventato per molti il grande Sconosciuto e Gesù sem-plicemente un grande personag-gio del passato».Lamentarsi dei bei tempi passati o di come si viveva una volta non serve a molto. Dire che i tempi sono cambiati non è solo segno di realismo, è prendere atto che è giunta l’ora di proporre e di testi-moniare un nuovo modo di crede-re e di vivere il Vangelo di sempre. In mezzo a tanti cambiamenti che possono disorientare, e forse, sco-raggiare, la lettera agli Ebrei ci of-fre una consolante parola: «Gesù

Credere in tempo di cambiamenti

Cristo è lo stesso ieri e oggi e sem-pre» (13,8). Cambiano gli uomini, cambia la loro mentalità, cambia il loro modo di percepire e di giu-dicare la realtà, cambia il contesto sociale, ma Cristo, per chi lo sa percepire, rimane saldo come una roccia. È giunto il tempo in cui non è più possibile «credere» per abitudine. Visto che tutti partecipano ad una certa pratica religiosa, lo faccio anch’io (magari senza troppa con-vinzione). Il giorno in cui la mag-gioranza non sentirà più quella pratica, la conseguenza logica è che nemmeno io la vivrò più. Non è più possibile «credere» nem-meno per tradizione. Credevano i miei nonni, credeva mi madre, credo, quindi anch’io, ma senza aver mai personalmente scelto di «credere». Una volta nessuno si vantava di «non credere». L’ateismo era la scelta di una assoluta minoranza di persone e tale decisione non era sicuramente sbandierata ai quattro venti. Oggi è esattamen-te il contrario. Soprattutto in certi ambienti borghesi e intellettuali dire di «credere» è ritenuto poco conveniente. È come se un vec-chio dicesse con tutta serietà che «crede» alle favole: farebbe sem-plicemente ridere. Così è chi, in certi ambienti, aff erma di «crede-re» e magari ha anche il coraggio di testimoniare concretamente la sua fede. Tornano qui assai utili le parole dette un giorno da Gio-vanni Paolo II: «La cultura di oggi

talora ci contraddice in modo bla-sfemo, altre volte sorride in modo ironico; ma il cuore dell’uomo nel suo profondo attende: tutto l’uo-mo attende tutto il Cristo».

Imparare a «credere»

Per essere adeguatamente com-preso, «L’Anno della fede», che comincerà l’11 ottobre prossimo, deve essere collocato in que-sto quadro generale. «Un nuovo modo di credere e di vivere il Van-gelo», abbiamo detto sopra. Ecco allora le domande cruciali che tutti dobbiamo porci: «Cosa signi-fi ca oggi credere?», «Cosa signifi -ca aver fede?», «A che cosa credo quando dico di credere?». «Cono-sco il contenuto delle verità a cui dico di credere?».L’«atto» di fede coinvolge due soggetti o protagonisti: Dio e l’uo-mo. Cominciamo con alcune con-siderazioni sul secondo dei due soggetti: l’uomo e in particolare sull’«atto» tipico dell’esperienza religiosa, l’«atto» del credere. Cosa signifi ca allora «credere»? Il verbo «credere» ha tante applicazioni. Si può dire «credo» in una dottrina politica, in un partito, «credo» a ciò che mi dice mia mamma, «credo» a una teoria scientifi ca e «credo» in Dio. Qual è la diff erenza tra «crede-re» in Dio e «credere» a tutte le al-tre cose? In via generale si può dire che il «credere» a una teoria scien-tifi ca è un «atto» che coinvolge, muove la mente di una persona. Oggi «credo» a questa teoria, ma domani potrei «credere» a una più

Il senso di credere

Con la Chiesa

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convincente di questa. «Credere» nell’ambito di qualsiasi esperienza religiosa, e perciò anche di quella cristiana, invece coinvolge, mette in movimento, tutta la persona e non solo la sua dimensione intel-lettuale. San Paolo lo ha spiegato bene: «Con il cuore …. si crede … e con la bocca si fa la professione di fede» (Rm 10,10). Il verbo «credere» usato dalla Bib-bia potrebbe essere tradotto con «affi darsi a», «appoggiarsi su». Per la Bibbia con l’«atto» del credere l’uomo si «affi da» a qualcuno. La fi -gura più bella di questo «affi darsi» è senz’altro quella di Abramo (Ge-nesi 22). Abramo proprio perché si «affi da» può partire per la terra che gli è stata promessa e che ancora non «vede». L’«atto» del credere ha anche una secondo aspetto: colui a cui mi affi do è «qualcosa, qualcuno di stabile», di sicuro e di fermo. In ebraico la parola «verità» richiama l’idea di stabilità. Potrem-mo evocare qui l’immagine evan-gelica della sabbia e della roccia: solo la casa costruita sulla roccia ha resistito ai venti e alle piogge, quella edifi cata sulla sabbia è sta-ta spazzata via. L’autentico e vero «credere», l’«atto» di fede non ha come termine di riferimento una banderuola mossa dal vento, ma si radica in «qualcosa, in qualcuno di stabile».Io «credo», dopo che qualcuno mi avrà dimostrato come «vera», cioè esistente, una certa realtà fosse, anche quella di Dio. In via preli-minare chiedere che venga dimo-strata «vera», cioè esistente una cosa, non è un’esigenza sbagliata. Perché la scienza medica sia utile e non fonte di illusioni è necessa-rio dimostrare che un farmaco «fa» guarire da una certa malattia. Fino ad ora nessuno è riuscito a dimo-strare che un grattacielo di 50 pia-ni può restare in piedi, appoggian-dosi su fondamenta di cartone. E quindi chi pretendesse di vendere come «vero», cioè come esistente,

un appartamento di quel gratta-cielo, venderebbe un’illusione. La nostra vita, però, non è fatta solo di «dimostrazioni» di carattere scientifi co e tecnico. La verità, che l’abbraccio amoroso di due perso-ne manifesta agli stessi interessati, da quale formula può essere dimo-strata «vera»? La Cappella Sistina o la Gioconda di Leonardo da quale procedimento fi sico-matematico può essere adeguatamente spie-gata? L’amore di due persone è ben più di una formula chimica e il mistero di un’opera d’arte è ben più di un insieme di colori gettati meccanicamente sulla parete da un uomo. Se fosse così semplice fare capolavori d’arte nascerebbe una Cappella Sistina al giorno! La realtà, che è sotto i nostri occhi, dice che le cose non stanno così perché se fosse già stata trovata la formula che spiega e «dimostra» una volta per sempre l’amore tra uomo e donna, da tempo gli uo-mini avrebbero smesso di scrivere poesie sull’amore. Se sapessimo tutto sul nostro futuro dopo la morte, da tempo avremmo fi nito di immaginare il futuro dell’uma-nità, come ha fatto Michelangelo quando ha dipinto il Giudizio uni-versale nella Cappella Sistina.

«Credere» secondo il Vangelo

Ci avviamo a concludere con una domanda: “Perché non ipotizza-re che l’approccio alla verità della fede, all’«atto» del credere abbia qualcosa in comune con questo secondo tipo si «dimostrazione»?”. In via generale potremmo dire che l’«atto» del credere è l’atto me-diante il quale io mi «affi do», mi «abbandono» a qualcuno che mi viene incontro, che mi si rivela e nell’«atto» di rivelarsi dice qualco-sa su di sé e su di me. Per capire tutto ciò basterebbe tornare a ri-leggere il brano evangelico dell’in-contro di Gesù con la Samaritana (Gv 4). L’incontro con Gesù non fu né previsto né programmato dalla

Samaritana, perché nella sua men-te la mattina, in cui uscì di casa per andare a prendere l’acqua al poz-zo e nella quale incontrò Cristo, doveva essere uguale a tutte le altre. Quell’incontro, che si trasfor-mò ben presto nella «rivelazione» di quello straniero a lei e di lei a quello straniero, fu un avvenimen-to inaspettato e alla fi ne un «rega-lo», un «dono» che ella seppe libe-ramente accogliere. Se ci chiediamo quale sia l’imma-gine più semplice, a cui possia-mo far ricorso per capire meglio l’idea di «abbandono» insita in ogni «atto» di fede, non resta che ricorrere a quella del bambino. Questi «crede» a sua madre per-ché si «abbandona» a lei, alle sue parole e a tutto ciò che ella è. Non si accontenta di «crederle» con un atto delle sue sole facoltà mentali, non calcola, ma si «abbandona» con tutto se stesso a lei. A ben pensarci forse non è un caso che Gesù abbia detto che per entrare nel Regno dei cieli bisogna torna-re bambini (Mt 18,3), e cioè fare come fanno i bambini: «affi darsi». Se Lui è il Regno di Dio fattosi per-sona, «credere» signifi ca «affi dar-si» a Lui. Anche l’«atto» di fede di un papa è un «atto» di fi ducia e di «abbandono», perché un papa, prima di svolgere un ministero e un servizio a favore di tutta la Chiesa, è pur sempre un cristiano. Questo «credere» non è ovvia-mente un atto che annulla la ra-gione dell’uomo, se mai la spalan-ca; non è un «atto» da compiere per costrizione, ma nella libertà; non è un «atto» intimistico, perché ha delle conseguenze sociali; non è un atto che è cominciato da me e morirà con me, perché aff onda le radici in coloro che, compien-do prima di me «atti» simili al mio, hanno reso possibile il mio «atto» di fede. Su questi aspetti dell’«at-to» del credere torneremo in una prossima puntata.

P. Aldino Cazzago ocd

Con la Chiesa

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Ho un’infi nita farne / d’amo-re, d’amore di corpi senz’a-nima”. Così cantava Pier

Paolo Pasolini nella sua Supplica a mia madre, poesia riproposta dal poeta proprio nell’anno della sua tragica uccisione (1975). È, que-sto, un ritratto del nostro tempo così “corporalmente” pesante, così aggrappato al benessere fi sico, al materialismo del godimento, all’apparire esteriore, per cui sotto la pelle e la carne non rimane più nulla. Per reazione, soprattutto in passato, la religione aveva punta-to tutto sull’anima, ignorando l’ur-lo del corpo con le sue pulsioni ma anche con le sue esigenze di fame, di sete, di salute, di benessere.Ritrovare l’equilibrio è, certo, dif-fi cile. Ma il cristianesimo —come tutta la visione biblica— conside-ra l’uomo nella sua profonda uni-tà tant’è vero che poco s’interessa dell’”anima” in senso greco (realtà del tutto spirituale, repellente ri-spetto alla corporeità) ma punta tutto sull’essere esistente. Noi, in-fatti, non abbiamo un corpo ma siamo un corpo, perché è in esso e attraverso esso che viviamo e comunichiamo la nostra interio-rità. Non bisogna dimenticare un curioso dato di fatto. Nel Vangelo di Marco i racconti di miracoli oc-cupano il 31% del testo (209 ver-setti su 666) e, se escludiamo la narrazione della passione, morte e risurrezione per attestarci solo sul ministero pubblico di Gesù, la pro-porzione sale al 47% (209 versetti su 425).

Vorremmo, allora, a partire da questa puntata della nostra rubri-ca, interessarci proprio del corpo secondo le Sacre Scritture, un cor-po che è specchio dell’intimità spi-rituale, del mistero stesso religioso

della creatura umana, oltre che dei suoi travagli, delle sue soff erenze, delle sue gioie e dei suoi piaceri. Partiremo proprio da una parola emblematica, carne (in ebraico basar in greco sarx: si pensi che quest’ultimo termine risuona ben 147 volte nel Nuovo Testamen-to). Noi tutti abbiamo in mente una sorta di ritornello che ricorre nel discorso sul “pane di vita” che Gesù tiene nella sinagoga di Cafar-nao e che è riferito nel capitolo 6 del Vangelo di Giovanni.“Il pane che io darò è la mia carne...

Come può costui darci la sua carne da mangiare?... Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo... Chi mangia la mia carne...”. Gesù, solle-vando scandalo e sarcasmo, off re la sua carne in cibo e il suo sangue come bevanda. La provocazione è evidente se si pensa che una delle proibizioni più forti dell’Antico Te-stamento riguardo ai cibi era pro-prio quella di “non mangiare la car-ne con la sua vita, cioè col sangue;” (Genesi 9, 4). Naturalmente Gesù non voleva indurre all’antropofa-gia sacra ma, partendo proprio dal valore simbolico del termine “car-ne”, voleva proporre quell’intima comunione tra lui e il fedele che l’eucaristia attua. Infatti, “carne” nel linguaggio biblico indica l’esi-stenza di una creatura vivente. Nel Salmo 84 l’orante esprime così il suo amore per Dio: “Il mio cuore e la mia carne gridano di gioia verso il Dio vivente” (v. 3).“Mangiare la carne” diventa, allo-ra, un’espressione netta e incisiva per esaltare la piena comunione tra Dio e l’uomo. E i segni del pane e del vino permettono, nel tempo e nello spazio, di realizzare questa intima unione. Dobbiamo, però, ricordare che la parola “carne” ha, all’interno soprattutto del pensie-ro paolino, un’altra connotazione che è invece negativa: è il principio del peccato che in noi opera e che la grazia vince. È per questo che, scrivendo ai Romani, l’Apostolo af-ferma che Dio “ha mandato il pro-prio Figlio in una somiglianza del-la carne del peccato” (8, 3) . Il Figlio

Formazione biblica

Il corpo è il luogo della nostra avventura esistenziale

Il corpo secondo le Sacre Scritture

Il nostro corpo è il tempio del-lo Spirito e membro del corpo di Cristo;la sua missione è glorifi care Dio.

Nel corpo è impressala nostra storia, i nostri ricordi più profondi.

Il corpo è il luogo della nostra avventura esistenziale. Ha una vocazione eucaristica grazie alla quale tende a trasformarsi in un corpo off erto, come lo fu il corpo di Cristo.

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di Dio è veramente “incarnato”-anche per Paolo, ma non possiede in sé la potenza distruttrice della “carne del peccato”. Si spiega, così, l’espressione “somiglianza della carne” usata dall’Apostolo.C’è, dunque, una duplicità di profi -li nella realtà della “carne” umana, Essa è, da un lato, segno della no-stra identità di persone, è espres-sione del nostro io intimo e pro-fondo. D’altro lato, è indizio della nostra qualità di creature fragili, libere e peccatrici, pronte a ge-nerare male e violenza, impurità e miseria. Ebbene, il mistero cen-trale del cristianesimo va incontro proprio a questa duplicità per as-sumerla e per redimerla. Leggia-mo a questo proposito il prologo del vangelo di Giovanni (1, 1-18), uno splendido inno che si snoda proprio sul fi lo conduttore dell’in-carnazione. Ed è appunto sulla fra-se che fa quasi da vertice all’inno che noi ora fi ssiamo la nostra at-tenzione.Il verso 14, infatti, si apre così: “Il Verbo si fece carne e venne ad abi-tare in mezzo a noi...”, Quel “venne ad abitare” nell’originale greco è un solo verbo: eskènosen, che ha alla base la parola skenè, “tenda”: la Parola di Dio “pose la sua ten-da” in mezzo alle nostre residenze. A chi ha familiarità con la Bibbia

Formazione biblica

appare subito l’allusione alla “ten-da dell’incontro”, cioè al santuario mobile che accompagnava Israele in marcia nel deserto verso la terra promessa. Oppure può balenare anche un riferimento al discor-so che la Sapienza rivolge ai suoi ascoltatori nel capitolo 24 del libro biblico del Siracide: “Il mio Crea-tore mi fece piantare la tenda in Israele”.Ma forse c’è un ulteriore, curio-so rimando, affi dato a un sottile giuoco di parole, Nel giudaismo la “Presenza” divina nel tempio di Gerusalemme era chiamata Sheki-nah, la “presenza” per eccellenza. Ebbene, le tre lettere fondamen-tali di quella parola ebraica, s-k-n, si ritrovano anche nella radice del verbo greco usato da Giovanni, eskenosen. A questo punto possia-mo riprendere il tema della “car-ne”. La “carne”, cioè l’umanità del Cristo, è —secondo Giovanni— la nuova tenda santa, iI nuovo tem-pio in cui risiede ogni pienezza di sapienza, grazie e verità, in cui si manifesta la presenza perfetta dell’Emmanuele, il Dio-con-noi.È per questo che il corpo diventa il segno di un mistero e di una pre-senza sacra, come ricorda S. Paolo ai cristiani di Corinto: “Non sapete che il vostro corpo è il tempio del-lo Spirito Santo che è in voi e che

avete da Dio?.. Glorifi cate, dun-que, Dio nel vostro corpo!” (1, 6, 19-20). Ma proprio questo moni-to dell’Apostolo —soprattutto se si considera il contesto entro cui si colloca, anello della corruzione che imperversava nella città greca di Corinto— ci svela anche l’altro volto della “carne”, quello pecca-minoso. E Cristo assume la nostra carne non solo per deporre in essa un seme di eternità che la condu-ca oltre la morte (la “risurrezione della carne” che confessiamo nel Credo), ma anche per redimerla dal suo male morale, dal peccato.In questa luce noi dobbiamo ama-re la “carne” dell’umanità sia per-ché essa è tempio di una presenza divina ma anche perché essa è sta-ta redenta e purifi cata dal sangue di Cristo. L’impegno per i corpi ma-lati che negli ospedali e nella cura quotidiana si esercita è, perciò, un’espressione di questo amore. E proprio per la complessità della realtà “carne” che ora abbiamo illu-strato, il servizio dei soff erenti non dev’essere per il credente solo una questione terapeutica o medica, ma anche un impegno di umanità, di spiritualità, di trasformazione e liberazione interiore.

G. F. Ravasi

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20 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

Spazio missioni

La celebrazione della Gior-nata missionaria mondiale si carica quest’anno di un

signifi cato tutto particolare. La ri-correnza del 50° anniversario del decreto conciliare Ad gentes, l’a-pertura dell’Anno della fede e il sinodo dei vescovi sul tema della nuova evangelizzazione concor-rono a riaff ermare la volontà della Chiesa d’impegnarsi con maggior coraggio e ardore nella missio ad gentes, perché il vangelo giunga fi no agli ultimi confi ni della terra. Il concilio Vaticano II, con la parte-cipazione dei vescovi cattolici di tutto il mondo, è stato un segno luminoso dell’universalità della

Chiesa [...]. Vescovi missionari e vescovi autoctoni, pastori di co-munità sparsi tra popolazioni non cristiane, [...] hanno contribuito in maniera rilevante ad aff ermare di nuovo la necessità e l’urgen-za dell’evangelizzazione ad gen-tes e, quindi, a portare nel centro dell’ecclesiologia la natura missio-naria della Chiesa.

Annunciare il Vangelo impegno

di ogni cristiano

Questa visione [...] si ripropone oggi con rinnovata urgenza, per-ché si è dilatato il numero di co-loro che ancora non conoscono Cristo. [...]

Abbiamo necessità, quindi, di ri-prendere lo stesso slancio apo-stolico delle prime comunità apo-stoliche, che piccole e indifese, sono state capaci, con l’annuncio e la testimonianza, di diff ondere il vangelo in tutto il mondo allora conosciuto.Non meraviglia, quindi, che il con-cilio Vaticano II e il successivo ma-gistero della Chiesa insistano in modo speciale sul mandato mis-sionario, che Cristo ha affi dato ai suoi discepoli, e che deve essere impegno dell’intero popolo di Dio, vescovi, sacerdoti, diaconi, religio-si, religiose, laici. La cura di annun-ciare il vangelo in ogni parte della

Far riscoprire la gioia del credere

Brani del messaggio di Benedetto XVI in preparazione della Giornata missionaria mondiale del 21 ottobre

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21Camminiamo insieme n. 32 settembre - novembre 2012

Spazio missioni

terra corrisponde primariamen-te ai vescovi, diretti responsabili dell’evangelizzazione nel inondo.

La priorità dell’evangelizzazione

Il mandato di predicare il vangelo [...] deve coinvolgere tutta l’attivi-tà della Chiesa particolare, tutti i suoi settori, in breve, tutto il suo essere e il suo operare. Il concilio Vaticano II lo ha indicato con chia-rezza e il magistero successivo lo ha ribadito con forza. Ciò richiede di adeguare costantemente stili di vita, piani pastorali e organizza-zione diocesana a questa dimen-sione fondamentale dell’essere Chiesa, specialmente nel nostro mondo in continuo cambiamento. [...] Tutte le componenti del gran-de mosaico della Chiesa devono sentirsi fortemente interpellate dal mandato del Signore di predi-care il vangelo, affi nché Cristo sia annunciato ovunque. Noi pastori, i religiosi, le religiose e tutti fedeli in Cristo, dobbiamo metterci sulle orme dell’apostolo Paolo, il quale [...] ha lavorato, soff erto e lotta-to per far giungere il vangelo in mezzo ai pagani, senza risparmia-re energie, tempo e mezzi per far conoscere il messaggio di Cristo [...]. La cooperazione missionaria si deve allargare oggi a forme nuove, includendo non solo l’aiuto eco-nomico, ma anche la partecipa-zione diretta all’evangelizzazione, [...] La celebrazione dell’Anno della fede e del sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione saranno occasioni propizie per un rilancio della cooperazione missionaria, soprattutto in questa seconda di-mensione

Fede e annuncio

Gli orizzonti immensi della missio-ne ecclesiale, la complessità del-la situazione presente chiedono oggi modalità rinnovate per poter comunicare effi cacemente la pa-rola di Dio, Questo esige, anzitut-to, una rinnovata adesione di fede

personale e comunitaria al vange-lo di Gesù Cristo, in un momento di profondo cambiamento come quello che l’umanità sta vivendo [...]. Uno degli ostacoli allo slancio

dell’evangelizzazione, infatti, è la

crisi di fede, non solo dei mon-

do occidentale, ma di gran parte

dell’umanità, che pure ha fame

e sete di Dio, e deve essere invi-

tata e condotta al pane di vita e

all’acqua viva. [...] Occorre rinno-

vare l’entusiasmo di rinnovare la

fede per promuovere una nuova

evangelizzazione delle comunità

e dei Paesi di antica tradizione

cristiana, che stanno perdendo il

riferimento a Dio, in modo di ri-

scoprire la gioia di credere.

La preoccupazione di evangelizza-re non deve mai rimanere ai mar-gini dell’attività ecclesiale e della vita personale del cristiano, ma caratterizzarla fortemente nella consapevolezza di essere destina-tari e al contempo missionari del vangelo. Il punto centrale dell’an-nuncio rimane sempre lo stesso: il kerigma [termine greco che indi-ca il primo «annuncio» della fede. ndr] del Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo, il kerigma dell’amore di Dio assoluto totale per ogni uomo e ogni donna, cul-minato nell’invio del Figlio eter-no e unigenito, il Signore Gesù, il quale non disdegnò di assumere la povertà della natura umana, amandola e riscattandola, per mezzo dell’off erta di sé sulla croce, dal peccato e dalla morte. [...]La fede è un dono che ci è stato dato, perché sia condiviso [...]. È il dono più importante che ci è stato fatto nella nostra esistenza e che non possiamo tenere solo per noi.

L’annuncio si fa carità

Tanti sacerdoti, religiosi e religiose, da ogni parte del mondo, numero-si laici e addirittura intere famiglie lasciano i propri paesi, le proprie comunità locali e si recano pres-so altre Chiese per testimoniare e

annunciare il Nome di Cristo, nel quale l’umanità trova la salvezza [...]. Si tratta di un’espressione di profonda comunione, condivisio-ne e carità tra le Chiese. [...]Insieme a questo alto segno del-la fede che si trasforma in carità, ricordo e ringrazio le Pontifi cie Opere Missionarie, strumento per la cooperazione alla missione universale della Chiesa nel mon-do. Attraverso la loro azione l’an-nuncio del vangelo si fa anche intervento in aiuto del prossimo, giustizia verso i più poveri, possi-bilità d’istruzione nei più sperduti villaggi, assistenza medica in luo-ghi remoti, riabilitazione di chi è emarginato, sostegno allo svilup-po dei popoli, superamento delle divisioni etniche, rispetto per la vita in ogni sua fase.Invoco sull’opera di evangelizza-zione ad gentes, e in particolare sui suoi operai, l’eff usione dello Spirito Santo, perché la grazia di Dio la faccia camminare più deci-samente nella storia del mondo.

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22 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

Mi sembra solo ieri che, sbarcando a Malpensa, pensavo divertito di ave-

re una lunga vacanza davanti a me. Invece sono già passati quasi tre mesi ed il tempo della riparten-za si fa ormai vicino. Buon segno, in fondo, perchè signifi ca che mi sono trovato bene a casa... E casa signifi ca tante cose, dagli aff etti fa-migliari, a una geografi a conosciu-ta, a radici storiche, culturali e reli-giose che insieme mi fanno essere quello che sono diventato. Tornare a casa è dunque come un rientra-re nelle retrovie, lasciarsi andare al sonno, fare incetta di vivande, e prepararsi a ripartire nuovamente. Ma col passare delle partenze e dei ritorni e delle ripartenze an-cora, mi sono reso conto che la distinzione tra fronte e retrovie non è poi più così chiara. E non mi riferisco necessariamente al fatto incontrovertibile e ineludibile de-gli extracomunitari in mezzo a noi che hanno fatto sì che la missione

si sia oramai geografi camente tra-sferita e avvicinata alle soglie delle nostre case, mi riferisco invece al progressivo inaridimento di quelle radici aff ettive, storiche, culturali e religiose che fan sì che casa sia appunto casa, e che uno sia quello che è. Fuor di metafora: anno dopo anno (sono ormai 20 gli anni del mio andirivieni col Bangladesh) ho no-tato un lento ma progressivo scol-lamento fra noi e la nostra casa comune, la nostra storia, la nostra identità. Certamente, la cultura è sempre un qualcosa di dinamico e così pure le identità che essa in-forma; le trasformazioni non sono quindi necessariamente un male, lo diventano, presumo, se crea-no insicurezza, infelicità, apatia, solitudine, intolleranza, violenza, maleducazione, egoismo ecc. È questa la direzione che il nostro mondo ha imboccato? Non sono certamente io quello che deve sentenziare su un mondo che co-

nosco solo per pochi giorni una volta ogni tanto. Ci sono però dei segni qua e là che non fanno pre-sagire bene. lo mi soff ermerò solo su uno di questi. Sarà la crisi economica che ci at-tanaglia o chissà che altro, l’im-pressione è che siamo un po’ tutti rassegnati, quasi vittime dell’ine-ludibile. Una rassegnazione che porta a stanchezza e ad aggressi-vità: incapaci di cambiare il corso di eventi e situazioni che fi no ad ieri ci sono stati comodi, ci creia-mo facili quanto improbabili ca-pri espiatori in grado di assolverci da responsabilità individuali e di gruppo che vengono invece da molto lontano. Per cui le colpe possono essere della Germania, degli extra comunitari o del me-ridione d’Italia, tanto per citare capri espiatori comuni, la cosa im-portante è che noi si appaia come vittime. E se economicamente e politicamente siamo stagnanti, non possiamo pretendere di non esserlo anche religiosamente. In-fatti, la rassegnazione, la stanchez-za e l’aggressività nella nostra vita civile, rifl ettono il principio anti-evangelico che di solo pane vive l’uomo! Oggi in un momento in cui il profi tto ed il potere sono in qualche modo rimessi in discus-sione, dopo decenni in cui si erano costituiti come privilegi insinda-cabili, ecco che il mondo crolla. E pur quelle sottili veline di religione usate per nascondere e giustifi ca-re a noi stessi prima e agli altri poi, la bontà del nostro vivere, saltano miseramente. E ci troviamo nudi, a rimpiangere le cipolle d’Egitto! Non c’è più fede, si dice, ma quel

La speranza è un dovere

Spazio missioni

Padre Sergio Targa ci racconta le sue impressioni su due mondi distanti

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23Camminiamo insieme n. 32 settembre - novembre 2012

che davvero manca e sul quale la fede stessa si regge, è la speranza. Siamo ormai incapaci di sperare, e quindi di aprirci al futuro come a un dono. Vivendo in un mondo che ci siamo costruiti come aset-tico, contenuto in sè stesso, e re-golato dalle nostre regole, ci sen-tiamo persi come fuscelli al vento quando le nostre stesse regole si sfasciano. Speranza è apertura sul-la trascendenza, accettazione del rischio come stimolo vitale, acco-glienza e apertura. Solo in questo humus può esistere lo spazio della fede. Nessuna meraviglia dunque se la fede tentenna: in un mondo voluto come indipendente, non può esserci spazio per la dipen-denza, il fi darsi, il meravigliarsi, l’abbandonarsi, non c’è cioè spa-zio per quello che un fi losofo ha felicemente chiamato il Totalmen-te Altro, come soggetto della no-stra nostalgia-speranza-fede. Ma in un mondo così fatto esiste lo spazio per l’amore? La domanda è terribile nella sua semplicità e non voglio risponderla. Mi auguro solo che nelle radici della nostra storia si possano riscoprire le radici del-la nostra identità. Non ci interessa un passato da ricostruire, ma un futuro da inventare sui valori del nostro passato. E ricominciare a sperare penso sia sconfi ggere il grande male dei nostri tempi. La morte della speranza infatti, non coincide solo con la morte stessa di Dio, ma e soprattutto, con la morte dell’uomo.Ritorno in Bangladesh, dunque, pensieroso per una casa (cioè il nostro mondo italiano) che da qualche anno trovo sottosopra. E ricordo a me stesso che la speran-za è un dovere anche per me. In fondo è assai possible che le diffi -coltà del momento attuale possa-no diventare motivo di una nuova primavera di là a venire. Grazie a tutti per tutto, e... alla prossima.

Sergio Targa Missionario Saveriano

Sono arrivato in Bangladesh all’inizio del 1992. L’impatto è sta-to tremendo; non mi aspettavo una realtà del genere: pover-tà, mendicanti, traffi co, confusione, bambini da tutte le parti,

case fatiscenti... Adesso il Bangladesh non è più quello di venti anni fa; è migliorato. Ma allora...

II mio cuore è sempre con i “rishi”

Dal 2000 lavoro con la popolazione rishi, i cosiddetti fuori- casta, dediti alla lavorazione della pelle e marchiati con il segno dell’in-toccabilità. Una situazione che non dovrebbe più esistere per legge, ma che continua a perdurare nella tradizione e nella mentalità della gente, soprattutto in ambito rurale.Ho trascorso sei anni a Chuknagar: una presenza nuova per i save-riani, a stretto contatto con il mondo hindu, completamente non cristiano. Il campo di lavoro era la formazione: portavamo avanti una dozzina di piccole scuole nei villaggi rishi, seguendo lo studio dei ragazzi e la formazione dei loro genitori.Da alcuni anni vivo e lavoro nella parrocchia di Borodol, la cui popo-lazione proviene dal gruppo dei fuoricasta, convertita al cristianesi-mo fi n dal 1937 per opera dei gesuiti arrivati da Calcutta.

La dignità umana da ricostruire

Il fulcro del mio impegno è la dignità umana. Cerco di ricostruire una dignità umana che è stata rovinata in tanti secoli di discrimi-nazione razziale di casta. I rishi e altri gruppi “intoccabili” sono con-siderati una “sottoforma” di esseri umani. E ciò ha provocato in loro complessi d’inferiorità, ferite psicologiche che devono essere sa-nate. Proprio a motivo di questo complesso, generalmente questa gente tende a nascondersi, non rivela la propria provenienza sociale e culturale.La mia attività prevede di ridare dignità, partendo dall’aff ermazione positiva della propria identità, con orgoglio e senza paura. È il primo passo per superare la memoria storica che hanno alle spalle. Dignità e identità: sono i due elementi su cui batto e che inserisco in tutte le salse... E mi sembra sia un compito appropriato anche per un mis-sionario, perché la stessa cosa ha fatto Gesù con noi.

p. Sergio Targa

L’impatto con il Bangladesh

La dignità umana degli intoccabili

Spazio missioni

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24 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

Mi era stato proposto di fare un articolo per il bollettino parrocchiale:

come mai una intervista?Mi sento in dovere di collaborare al nostro bollettino, per ricambia-re l’ospitalità. Mi sono scervellato per trovare un argomento. Arti-colo pronto ce l’avrei, ma è un po’ specializzato, pensi un po’, sull’in-fl usso del testo di Bel e il serpen-te in Daniele 14 e Michea 3 nella formulazione di Mt 9, 36: “le folle stanche ed abbandonate” e per-ché Abacuc deve portare zuppa e pane ai mietitori. Vede Lei stessa che un tale articolo non è adatto, forse sarebbe curioso, ma…Ho pensato a riassumere una ricerca sul discernimento spirituale, un la-voro di un mio confratello che stu-dia spiritualità alla Gregoriana, ma anche questo è cosa specializzata. Ho pensato alla teologia di San Pa-olo nelle sue lettere, al contenuto dei Salmi di Salomone nell’AT in greco, ma sono più miei interes-samenti. Mi sono alla fi ne deciso per l’intervista, che alleggerisce il dover parlare in prima perso-na e che suscita più interesse nei lettori. Approfi tto per ringraziare delle off erte che i parrocchiani e parrocchiane mi hanno dato per il progetto della mensa del pove-ro a Varsavia. Adesso sto fi nendo le due settimane di ferie, che mi son sempre state date nella se-conda metà di agosto. Sono varie le ricorrenze anche liturgiche che rallegrano questi giorni. Rimango in paese con mia mamma, mia so-

Scoprendo Padre Matteo

rella e la sua famiglia. Mia mamma ha 87 anni, la trovo bene in salute.

Cosa ha fatto in questi mesi?

I mesi di giugno e di luglio a Varsa-via sono stati pesanti per varie de-cisioni da prendere proprio a fi ne attività. Il mio confratello P. Marcin è andato agli esercizi spirituali e in ferie. La mensa del povero è ri-masta aperta fi no alla metà di lu-glio. Ci sono stati vari interventi di manutenzione nel cortile e nella mansarda. Il primo luglio abbiamo concluso l’anno eucaristico della mia con-gregazione dei Rogazionisti e la ricorrenza dei 125 anni di fonda-zione delle Figlie del Divino Zelo. Lo aveva indetto l’attuale Padre Generale Angelo Ademir Mezzari, brasiliano, mio alunno a Sao Paulo negli anni ’80. Poi si è preparato il viaggio per il gruppo di 42 ragazzi, quest’anno a Marina di Massa con gruppi di altre nazionalità, per attività for-mative e ricreative. Ho preparato bene i temi di catechesi su alcune frasi liturgiche e sulle preghiere del cristiano con la spiegazione dei 10 comandamenti e delle 8 be-atitudini. Questa volta devo dire che sono rimasto soddisfatto per queste catechesi, grazie al Signo-re sono state ben recepite dai ra-gazzi. Sono quindi piaciute quelle quasi due ore di preghiera, spie-gazione e santa Messa quotidiana. Anche il piccolo Szymon di 5 anni diceva alla mamma: “Anch’io vo-glio andare a pregare”.

Quando è venuto in ferie al paese?

Sono partito da Varsavia il 15 ago-sto. Ho perso intanto la possibilità di accompagnare dal vivo la visita del Patriarca Cirillo di Mosca all’E-piscopato Polacco. Anche questo avvenimento, sottolineo “anche”, è stato preparato solo dai Vescovi. Penso che i fedeli sono rimasti un po’ allibiti quando hanno ascol-tato l’aff ermazione: “ogni russo e ogni polacco devono sentirsi fra-telli”. Penso che il tempo è neces-sario a noi mortali per arrivare an-che con la fede ad esprimere una sincera aff ermazione personale e tanto più comunitaria. Penso che la visita di Cirillo, se non ha subito l’infl usso di Putin per calmare l’o-pinione pubblica per la tragedia aerea di Smolensk, dove morirono il presidente della Polonia e altre 94 ottime persone, tra cui parec-chie, che conoscevo (un monsi-gnore che ha inaugurato la nostra casa, il Rettore dell’Università Cat-tolica che mi ha dato il dottorato in Sacra Scrittura, ecc.) con molta più probabilità risulta essere una preparazione all’incontro tra il Pa-triarca stesso e il Papa. Questo lo penso io, comunque il tempo lo rivelerà.

Ho sentito del progetto per la

nuova mensa del povero…

Sì, c’è l’occasione di ampliare la mensa del povero e contempora-neamente ampliare lo spazio che abbiamo a Varsavia. La nostra vici-na signora Wanda (87 anni) e i suoi due fi gli vogliono vendere

Intervista a Padre Matteo Fogliata rogazionista a Varsavia

Spazio missioni

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la loro abitazione in stato fati-scente perché non si sentono più di aff rontare il prossimo inverno senza riscaldamento e senza ac-qua (perché si congela) e in con-dizioni igieniche che preferisco non descrivere. Questo sarebbe già un forte motivo per comprare la casa…ma proprio adesso c’è la crisi e non ci sono soldi. La signora anziana è da ammirare per la sua “spartanità”, ma d’altra parte sa-rebbe l’ora che potesse usufruire di acqua corrente in casa per la doccia e godere il caldo nei gior-ni gelidi che già incominceranno a ottobre-novembre per durare fi no a maggio. Intanto il progetto della nuova mensa consisterebbe in una costruzione prefabbricata comprendente cucina, depositi, servizi igienici e sala per un cen-tinaio di persone. Verrà a costare molto. Con l’ingegnere siamo an-dati in comune per domandare delle condizioni di prefabbricabili-tà. Non ci sono impedimenti, solo presentare il progetto. Questa è una buona notizia che però ci fa vedere il vero ostacolo che è la mancanza di fondi per cominciare. Qui prendo ancora occasione per ringraziare quelle persone che mi hanno dato off erte. Non le nomi-no, ma loro devono sapere che ci hanno dato un grande aiuto: il Si-gnore ricambi la generosità! Quin-di il terreno e la possibilità di una costruzione più ampia sono due occasioni, che si possono realiz-zare…

Come è la tua vita a Varsavia?

È vita in comunità. Per quest’anno saremo in due. Quindi abito con il confratello P. Marcin. Alle 7.30 c’è la preghiera del mattino con i sal-mi e la meditazione. Con il tempo la meditazione mi è sempre più piaciuta. Scelgo libri di spiritua-lità, di teologia o le stesse lettere di San Paolo. Alle 8.00 già viene la cuciniera della mensa del pove-ro. Dopo colazione uno di noi va

alla forneria, che ci da il pane del giorno prima. P. Marcin si dedica ai conti e alle compere perché è economo. P. Marcin è giovane, ha un anno di messa. In mattinata e nei tempi liberi ci dedichiamo a traduzioni, a preparazione di ome-lie, studio di testi biblici, scrivere articoli, aiutare nella stesura di tesi per i confratelli studenti. Poi alle 11.00 apriamo la mensa per quel-li dell’asporto. Poi entrano quelli che mangiano sul posto, che rice-vono una seconda porzione (70 persone da lunedì a venerdì). Di-stribuiamo vestiti, coperte, pane, gillette e sapone, detersivo per la pulizia e l’igiene. Noi cerchiamo di conoscere personalmente i poveri c sentire il polso della loro condi-zione. Alle 12.45 preghiamo i sal-mi dell’Ora media. Dopo pranzo, alle 13.30 già siamo a disposizione della dozzina di ragazzi del dopo-scuola. Questa è un’altra attività che se dà di prestigio, è però diffi -cile. Devono fare i compiti e poi c’è il campetto e i bigliardini (ancora quelli che ci ha regalato Don Piero quando comprò i nuovi per l’ora-torio). Con i ragazzi festeggiamo le varie ricorrenze liturgiche, faccia-mo qualche gita, bel tempo per-mettendo, preghiamo presso la nostra grotta di Lourdes. Il nostro doposcuola è visto come un pri-mo aiuto alle famiglie in diffi coltà. Prima che l’assistenza sociale tol-ga la patria potestà, alcuni i affi da-no i fi gli per evitare drastiche con-seguenze. Abbiamo già una storia di venti anni. Non tutti i ragazzi e ragazze passati da noi son fi niti bene. Questo è motivo di cruccio e di preghiera. Alle 18.00 c’è il rosa-rio con i fedeli che frequentano la nostra Cappella intitolata al fonda-tore S. Annibale Maria Di Francia. In seguito celebriamo l’Eucaristia. Seguono i salmi del Vespro e la lettura spirituale. Il giovedì faccia-mo l’adorazione vocazionale e al-cune volte leggiamo la preghiera del nostro Fondatore. Di questa

preghiera egli ottenne la traduzio-ne in polacco dalla signora Maria Jastrzebska nel 1895 di Cracovia. Questo è un particolare interes-sante: quindi prima che andassi-mo in Polonia nel 1991 il nostro fondatore ci aveva preceduto. In seguito dopo cena attendiamo qualche povero che vuol approfi t-tare della disponibilità e di quello che possiamo dare. All’inizio di ogni mese facciamo il consiglio di casa per vedere le spese e le en-trate, che per la crisi sono ridotte. Programmiamo le iniziative pasto-rali in Cappella e le varie scadenze. Sono contento perché decisioni e iniziative sono prese con parte-cipazione e responsabilità, senza imporre vedute o scelte. Così la vita religiosa diventa un paradiso, dato che manca poco che sia un inferno. Facciamo la Lectio Divina nel giorno di ritiro mensile. Nell’e-sporre la propria interpretazione risultano le vedute e gli aff etti di ciascun confratello. Si hanno quin-di motivi per rispettarsi. Pensiamo alle attività che ci girano intorno: i poveri, i ragazzi, la Cappella e la vita di preghiera e di impegno. In seguito la giornata si conclude vero le 22.00. Questo è l’orario per tutto l’anno. C’è una settimana prevista per gli Esercizi spirituali e 20 giorni per le ferie in famiglia, se è possibile.

So che pubblicate una rivistina…

La pubblicava solo la nostra co-munità di Varsavia, adesso la edi-tiamo insieme con la comunità di Cracovia. In essa presentiamo arti-coli formativi, notizie sulle attività della comunità, dei ragazzi e dei fedeli della Cappella, informazio-ni per le nostre missioni in India e Ruanda, e ultimamente per il pro-getto della mensa del povero. Le risposte però sono di pochi gene-rosi perché la crisi si fa sentire.

E la domenica aiutate in parroc-

chia?

Spazio missioni

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Non solo la domenica. Il lunedì sera nella parrocchia Buon Pasto-re, a cui apparteniamo, presento la spiegazione delle letture bibliche del giorno. Questo lo faccio insie-me al curato. Dedichiamo un’oret-ta a questa attività con l’adorazio-ne fi nale. Ho visto che rifl ettendo insieme sui testi si scoprono nuove possibilità di intuizioni e di impe-gno nella vita di fede. La domeni-ca la dedichiamo alla celebrazio-ne dell’Eucaristia presso le suore Feliciane. Nella nostra Cappella la Messa è alle 10.15. Il numero dei fedeli presenti è consistente dato che manteniamo l’atmosfera di spontaneità e di comodità per chi abita vicino ed ha i bambini. Cele-briamo anche presso la comunità “Pane di vita”(movimento di origi-ne belga) per i senza-casa. P. Mar-cin aiuta in una parrocchia fuori Varsavia per le celebrazioni e con-fessioni. Nel pomeriggio confesso

dalle 17.00 alle 19.30 nella parroc-chia Buon Pastore e in un’altra vici-na. I penitenti non li tengo molto, forse per questo a loro piace, ma devono fare la fi la, purtroppo…

Che impressione Le fa la nostra

parrocchia?

Quando si prega e si mantiene l’atmosfera di preghiera, senza avvedersi e in forma - vorrei dire spontanea - senza impliciti osta-coli, i fedeli partecipano. Questa è la più bella testimonianza che Castrezzato mi dà. Prima forse non era così o si cercava di fare così. Adesso si è arrivati a questo e si possono prevedere dei risultati. La gente sa che si prega, si celebrano i sacramenti, si fanno speciali pre-ghiere e iniziative, si ricordano le ricorrenze. Tutti gli ambienti della parrocchia sono destinati a qual-che attività… è il momento buo-no per fare “chiesa” senza la pre-

occupazione di dover fabbricare ancora.

Cosa ci dice alla fi ne di questa in-

tervista?

Il Signore Gesù mi da la soddisfa-zione di dedicarmi a questo tipo di vita. L’accetto volentieri e non sento la tentazione di pensare ad altro. Forse questa potrebbe esse-re la mia testimonianza a favore della vita consacrata in comunità. Dicono che la vita religiosa delle congregazioni è destinata a scom-parire. Io non vivrò molto a lungo, questo sì è sicuro, ma mi sforzo di essere e di vivere secondo il Van-gelo. Spero che la lettura di questa intervista non abbia stancato fi no in fondo la fedele lettrice e che susciti la culture delle vocazioni, che dovrebbero saltar fuori anche dalla nostra parrocchia di Castrez-zato. Grazie di cuore.

Intervista a cura di M.M.S. e S.B.

Spazio missioni

Il malcontento popolare in Italia sulla gestione del-la “cosa pubblica” e sui piani di austerità imposti va montando in modo preoccupante. Le provocazioni delle lobby industriali, delle caste e la disoccupazione giovanile e femminile stanno esasperando le famiglie, vittime della compressione salariale.Le regole del mercato sono malsane, ma non riuscire-mo a cambiarle senza la “riconquista” del valore dell’e-tica collettiva, cosi importante nella tradizione cristia-na , ma oggi abbastanza appannata.Non solo in economia stiamo andando avanti come in una giornata di nebbia che sfuma i contorni e rende labile la fi sionomia delle cose e incerto il cammino di una società incerta e confusa.Il tarlo che oggi rode tanta cultura, e anche la comu-nità cristiana, è l’obiezione per la quale Cristo sarebbe un fatto del passato, un evento lontano off uscato da incrostazioni di secoli e da sedimentazioni pagane, per cui si stenta a sentirlo come contemporaneo e a coglierne la presenza attuale come Signore della vita e della storia. E invece solamente chi mi è contempo-raneo può condividere la mia storia e aiutarmi a cam-biarla in meglio.La chiave di lettura del fenomeno crisi, che ormai ci

tormenta da anni, è proprio questa lontananza di Dio dalla giornata degli uomini. Il “ fare” forse carico an-che di generosità, ma frammentato nelle motivazio-ni, è diffi cilmente comunicabile per incomprensione di linguaggi troppo lontani, provocando ricchezza e povertà: i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.Il problema è ritrovare il baricentro del “fare” nell’espe-rienza di un rapporto, quotidianamente rinnovato, con Gesù e con i fratelli. Ci sono fronti d’azione in cui la novità dell’io” cristiano è prorompente, soprattutto nella condivisione delle fragilità e del dolore.Il cuore dell’esperienza cristiana s’impone quasi da sé, perché, in quelle condizioni di debolezza e di soff eren-za, si sperimenta la forza della fraternità tra gli uomini che Gesù ha suscitato nella storia.La crisi si supera se si riesce ad entrare nella dimensio-ne vera della condivisione: chi ha deve dare quello che ha, chi `è” deve insegnare ad essere: insegnare chi è la persona come proposta nella sfera civile per una con-duzione giusta ed ugualitaria della “cosa pubblica”Il cristiano, secondo l’insegnamento di Francesco di Assisi, è che colui che non ha niente ma possiede tutto, antepone l’amore e il servizio all’interesse personale.

La frugalità

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27Camminiamo insieme n. 32 settembre - novembre 2012

Famiglia

Nella vita di coppia si posso-no stemperare tanti poten-ziali confl itti con una do-

manda: «Posso sapere di cosa hai bisogno?». Con il semplice rispon-dere a questa domanda spesso le cose cominciano a ricomporsi. L’esperienza professionale di psi-cologo a sostegno di coppie che cercano di migliorare i propri ma-trimoni, insegna che certe neces-sità emergono con regolarità, e in modo diff erenziato tra uomini e donne (vedi box).In particolare, le più comuni e fre-quenti diff erenze psicologiche e comportamentali tra uomo e don-na sono:

Uomo

- L’errore più grave: interrompe proponendo soluzioni.

- Parla poco.- Deve capire quanto sia impor-

tante ascoltare.- Per lui le grandi manifestazioni

d’amore fanno una grande dif-ferenza.

- Per stare meglio si rifugia nella caverna.

- Se lei non chiede di più, lui è convinto di darle giù abbastan-za.

- Ama soprattutto sentirsi accet-tato, apprezzato e degno di fi -ducia.

Donna

- L’errore più grave: lei dispensa (utili) consigli non richiesti.

- Parla molto.- Deve smettere di voler cambia-

re lui.

- Per lei le piccole manifestazioni d’amore fanno una grande dif-ferenza.

- Per stare meglio lei accudisce.- Per lei non è romantico dover

chiedere amore e aff etto.- Ama soprattutto sentirsi capi-

ta, rispettata e coccolata.

Bisogna sapere che esistono or-moni antistress, che vanno at-tivati in certe situazioni, diversi

nell’uomo e nella donna per via della diversità cerebrale fra loro. L’uomo necessita di testosterone per rilassarsi e recuperare energia attraverso la lettura di un giorna-le, sprofondando in una comoda poltrona, facendo zapping con il telecomando della tv, giocando a calcetto con gli amici, coltivando un hobby, gestendo riparazioni di emergenza in casa...La donna necessita di ossitocina

Piccole e grandi strategie per una vita felice

Dentro la coppia

Lui desidera

Soddisfazione sessualeCompagnia ricreativa Una compagna attraente Sostegno domestico Ammirazione

Lei desidera

Aff ettoConversareSincerità e apertura Supporto fi nanziario Dedizione alla famiglia

Le necessità nella coppia

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28 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

per rilassarsi e recuperare ener-gia attraverso l’accudimento, nel senso di cenare una volta a setti-mana con le amiche, curare la pro-pria immagine fi sica andando dal parrucchiere o dal manicure, fare shopping, accudire fi gli o parenti, tenere in ordine la casa, frequen-tare una palestra...

Inoltre esistono cinque linguaggi emozionali dell’amore. Spesso es-sere innamorati o sinceri non ba-sta, bisogna parlare il linguaggio emozionale del partner, altrimenti le situazioni di attrito non tarde-ranno a manifestarsi. Ad esempio: lui le manda dei fi ori ma quello che lei vuole è un po’ di tempo per parlare, oppure lei lo abbraccia, ma quello che lui vorrebbe è un

buon piatto fatto in casa. Il vero problema, spesso, non è l’amore, ma il linguaggio, il modo con cui i due se lo comunicano. In sintesi, i linguaggi dell’amore sono: paro-le di incoraggiamento, momenti speciali, doni, gesti di servizio, contatto fi sico.Ma una volta individuato il lin-guaggio giusto per il/la partner, poi è importante sapere come esprimerlo, cioè con quale tona-lità off rirlo. Può essere utile un aneddoto di Gandhi: «Un giorno un pensatore indiano fece la se-guente domanda ai suoi discepoli: “Perché le persone gridano quan-do sono arrabbiate?”, “Gridano perché perdono la calma”, disse uno di loro. “Ma perché gridare se la persona sta al suo lato?”, disse

nuovamente il pensatore. “Bene, gridiamo perché desideriamo che l’altra persona ci ascolti”, replicò un altro discepolo. E il maestro tornò a domandare: “Allora non è possibile parlargli a voce bassa?”.«Varie altre risposte furono date ma nessuna convinse il pensato-re. Allora egli esclamò: “Voi sape-te perché si grida contro un’altra persona quando si è arrabbiati? Il fatto è che quando due perso-ne sono arrabbiate i loro cuori si allontanano molto. Per coprire questa distanza bisogna gridare per potersi ascoltare. Quanto più arrabbiati sono, tanto più forte do-vranno gridare per sentirsi l’uno con l’altro. D’altra parte, che suc-cede quando due persone sono innamorate? Loro non gridano,

Famiglia

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29Camminiamo insieme n. 32 settembre - novembre 2012

“Ti amo”.

“Prega per me”.

“Avevo torto”.

“Oggi dirò una preghiera per te”.

“Bel lavoro!”.

“Anche oggi hai un bell’a-spetto”.

“Che cosa vorresti?”.

“Grazie del tuo amore”.

“Sei meravigliosa”.

“Mi fi do di te”.

“Cosa ti preoccupa?”.

“Posso sempre contare su di te”.

“È stato fantastico”.

“Grazie perché mi accetti come sono”.

“Racconta: ti ascolto”.

“Mi fai sentire bene”.

“Sei così importante”.

“Tu mi rallegri le giornate”.

“Oggi mi sei mancata”.

“Ogni momento con te è pre-zioso”.

“Cosa posso fare per aiutar-ti?”.

“Scusami”.

“Oggi non riuscivo che a pen-sare a te”.

“Mi piacciono i tuoi occhi, che brillano quando sorridi”.

“Apprezzo tutte le cose che hai fatto per me in questi anni”.

Le frasi per la coppia

parlano soavemente. E perché? Perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è pic-cola. A volte sono talmente vicini i loro cuori che neanche parlano, solamente sussurrano. E quando l’amore è più intenso non è neces-sario nemmeno sussurrare, basta guardarsi. I loro cuori si intendono. E questo che accade quando due persone si amano: si avvicinano”.«Infi ne il pensatore concluse di-cendo: “Quando voi discuterete, non lasciate che i vostri cuori si allontanino, non dite parole che li possano distanziare di più, perché arriverà un giorno in cui la distan-za sarà tanta che non incontreran-no mai più la strada per tornare”» .Le coppie felici, dunque, non sono più intelligenti, più ricche o psico-logicamente più astute delle altre. È semplicemente che nella loro vita quotidiana hanno trovato una dinamica che impedisce alle sen-sazioni e ai pensieri negativi che provano per il loro partner (li han-no tutte le coppie) di soff ocare le sensazioni e i pensieri positivi.Hanno ciò che si defi nisce un rap-porto emotivamente intelligente, basato su una profonda amici-zia, dove per amicizia si intende il rispetto reciproco e il piacere di passare il tempo insieme.Infi ne è bene ricordare che «chi ha scopi nella vita non teme di sacri-fi carsi, semmai teme di non rag-giungerli, invece chi teme di sacri-fi carsi allora non ha scopi».La vera felicità, infatti, sta nel con-tinuare a stare insieme facendo felice l’altro, anziché cercare esclu-sivamente la felicità di sé stessi. A questo proposito, ci sono alcune frasi che andrebbero usate spesso nella coppia (vedi box).Sono frasi che potrebbero forse risultare banali per qualcuno, ep-pure sono indicate dal punto di vista igienico-mentale: si consiglia infatti di ripeterle con convinzio-ne, per “automatizzarle a livello inconscio” nel proprio quotidiano

coniugale.Infi ne un’ultima rifl essione rela-tiva alla seconda parte della vita. La grande psicoanalista Melanie Klein ha enunciato un assioma, confermato poi dalla clinica pro-fessionale, per cui l’inquietudi-ne più profonda nell’inconscio dell’uomo sarebbe l’«angoscia di castrazione». Essa va intesa non solo e non tanto in chiave sessua-le, e cioè come incapacità di rela-zionarsi con una donna, o peggio come impotenza psichica che impedisce la realizzazione fi sica della coppia, ma anche in chiave esistenziale, cioè come fallimento d’identità genitoriale, insuccesso nella carriera professionale, crisi economica o fi nanziaria, e soprat-tutto fallimento nell’essere guida per la propria donna.Di contro, l’inquietudine più pro-fonda nell’inconscio della donna è l’«angoscia di rimanere sola». E non soltanto in chiave matrimo-niale come nubilato o nido vuoto, ma anche in chiave esistenziale e cioè come fallimento nell’accudire fi gli, parenti e in genere il proprio ambiente familiare, o nell’avere poche qualità relazionali con sus-seguenti scarse amicizie femmini-li, ma soprattutto di non essere in grado di stare a fi anco del proprio uomo.

Pasquale Ionata (Città Nuova)

Famiglia

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30 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

Immaginatevi due bambini che, per un motivo fatuo, danno il via ad un litigio. La femmina

piange off esa dall’atteggiamento del fratello maggiore. È a questo punto che interviene una signora, una nonna, che guida il birbantel-lo in una rifl essione con i fi occhi.“Attento! - gli dice - Tua sorella ha pianto perché tu hai agito senza tenere in considerazione la sua reazione nei confronti delle tue azioni. Sai, un gesto può far sorri-dere qualcuno, ma può off endere qualcun altro.Quando parli o agisci, devi cercare di pensare a chi ti trovi di fronte.” Sarà che questa signora è stata insegnante, sarà che chi ha svolto questa professione non abban-dona mai il suo ruolo, sta di fatto che la parola chiave da lei usata riporta il mio pensiero alla scuola, una valida palestra per il docente che deve imparare a conoscere i suoi alunni e ad agire preveden-do le reazioni di ciascuno: Marco, ad esempio, ha bisogno di una voce decisa e risoluta (altrimenti si “sconta” i compiti); Carlo, invece, deve essere costantemente inco-raggiato perché insicuro, con lui la vociona farebbe fi asco.Altrettanto indispensabile risulta l’approccio diversifi cato nei con-fronti dei genitori, che contribui-scono in modo essenziale all’edu-cazione dei fi gli. A colloquio con una mamma apprensiva si devono usare certe parole, con una donna

Scuola - famiglia: mamme che interagiscono

severa e intransigente è indispen-sabile utilizzarne altre.Mi sorge spontanea la domanda se fi no a qualche decennio fa gli insegnanti avessero la necessità di scegliere le parole giuste per co-municare con i genitori, a secon-da della famiglia, e non sono del tutto sicura che lo facessero, non perché non ne fossero capaci, ma perché non si evidenziava questa esigenza. Mi spiego … Nel corso degli ultimi anni la fi gura del do-cente ha subito una profonda “tra-sformazione”. Se in passato c’era completa uniformità tra azione del maestro e fi ducia del genitore che “affi dava” in modo incondizionato il proprio fi glio alla scuola, oggi ci troviamo di fronte ad un affi do critico. Stima e credibilità vacilla-no. Forse di questi tempi la parola “re-azione” non è destinata a fare fortuna! Anche nel rapporto tra famiglia e scuola sta prendendo sempre più piede il termine inter-azione. E questa strategia, di sicu-ro, gioca un punto a nostro favore! Interagire signifi ca comunicare, sentirsi parte attiva, assumersi re-sponsabilità …Ma quali persone si trovano, oggi, ad interagire maggiormente con la scuola, se non le mamme? Ne ho incontrate quattro, i cui fi -gli appartengono a ordini scola-stici diversi, e loro, per questioni di privacy, si sono date il nome di un fi ore, il regalo più bello che una mamma riceve da sempre: la

mamma Ranuncolo, la mamma Orchidea, la mamma Girasole e la mamma Rosa.

I genitori credono, oggi, nella

scuola come istituzione? Le at-

tribuiscono un ruolo decisivo per

la formazione dei futuri cittadini?

Le danno fi ducia?

Mamma Orchidea - Sì, bisogna dare fi ducia alla scuola, chiedendo che sia sempre disposta a mettersi in gioco per migliorarsi, ma sen-za pretendere che sia perfetta. In ogni contesto lavorativo trovia-mo persone che svolgono la loro professione per vocazione ed altre che hanno sbagliato strada. Mamma Girasole - Secondo me alcuni genitori proiettano sulla scuola aspettative eccessive. Non si può pretendere che la scuola garantisca l’educazione e svolga anche il compito che compete alle famiglie, ma che noi genitori non abbiamo il tempo di adempiere.Mamma Rosa - Io, invece, sono convinta che molti genitori sot-tovalutino il ruolo dell’istituzione scolastica e non le attribuiscano il peso che si merita. Io affi do alla scuola quella parte di competen-ze che non possiedo. D’altra parte i nostri fi gli vivono nell’ambiente scolastico per molte ore, il tempo trascorso con compagni e docenti è maggiore di quello vissuto con i genitori.Mamma Ranuncolo - Credo nel-la scuola perché in essa ci sono

Le mamme e la scuola

Famiglia

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31Camminiamo insieme n. 32 settembre - novembre 2012

persone che lavorano non solo dal punto di vista dell’apprendi-mento, ma anche umano. Riten-go, però, che lo Stato e il governo dovrebbero fare molto di più per favorire l’insegnamento e l’istru-zione. I tagli di questa particolare stagione economica hanno riper-cussioni sugli alunni e sulla scuola in generale.

Che cosa chiede e si aspetta dal-

la scuola, oggi, un genitore per i

propri fi gli?

Mamma Orchidea - Io spero che i miei fi gli concludano il loro per-corso scolastico con una prepara-zione adeguata, una base educa-tiva e formativa importante per il passaggio al successivo ciclo di studi e per l’integrazione con la comunità. È indispensabile sia conoscere, sia sapersi relazionare con gli altri.Mamma Ranuncolo - Un genito-re si aspetta che un fi glio impari con entusiasmo e che sia sempre invogliato a nuove scoperte. Cer-to, questa stimolazione deve pro-venire anche dalla famiglia. Se, in un momento scolastico “diffi cile” del bambino, i due corpi, scuola e famiglia, non collaborano, il fi glio rischia di perdere un’opportunità importante per diventare una per-sona indipendente, libera di agire.Mamma Girasole - Chiedo alla scuola che insegni a mio fi glio ad amare l’istruzione, ad avere la cu-riosità del sapere e dell’imparare. Perché questo si avveri, è indi-spensabile che ogni docente svol-ga il proprio lavoro con passione e con un minimo di preparazione. La scuola è un luogo dove si do-vrebbero “far vivere” alcuni valori, come l’ educazione e il rispetto, che noi genitori abbiamo il dovere di trasmettere” in primis”. Mamma Rosa - Io ho due fi glie molto timide. Alla scuola ho sem-pre chiesto che si proponesse come un ambiente piacevole in cui loro potessero studiare, rela-

zionarsi con gli altri e aprirsi un po’. Devo dire che i loro tempi sono stati rispettati, senza forzature.

Quale ruolo assume una mamma

nell’educazione scolastica del fi -

glio? In quali momenti signifi ca-

tivi si esplica il suo intervento?

Mamma Ranuncolo - Il ruolo della mamma ha tante facce. C’è il mo-mento della comprensione e quel-lo in cui il genitore deve “togliersi dalla scena”: il fi glio può imparare a camminare, per alcuni tratti, da solo! Non è una forma di disinte-ressamento, bensì un’occasione per far capire al proprio bambino che il sacrifi cio è una cosa sana. Anche il dialogo con gli insegnanti e gli altri genitori risulta indispen-sabile: essi possono vedere un aspetto del bambino che un ge-nitore non vuole scorgere o non conosce.Mamma Girasole - L’aiuto e il so-stegno che le mie fi glie ricevo-no non riguarda l’esecuzione dei compiti (torno tardi dal lavoro e loro li hanno già svolti), ma è so-prattutto di carattere morale e psi-cologico. Se noto che una di loro è un po’ nervosa, tento di ascoltarla e di comunicare con lei. Mamma Orchidea - Ai miei tem-pi i genitori non affi ancavano i fi -gli nello studio. Oggi, invece, noi mamme seguiamo con maggiore costanza i nostri bambini, un po’ perché vogliamo dei fi gli perfetti (da 10 e lode!), un po’ perché ri-spetto a noi, che avevamo tutto il pomeriggio per giocare in cortile, i nostri fi gli sono “carichi” di stimo-li e impegni (tempo pieno, sport, interessi).Nel rapporto con la scuola, devo dire che il ruolo di rappresentan-te di interclasse mi piace sia per il passaggio diretto di informazioni su programmi ed attività, sia per la possibilità di fare proposte ed organizzare piccoli eventi che ve-dono protagonisti i nostri fi gli.Mamma Rosa - Per quanto riguar-

da i compiti, la mia primogenita non mi ha mai chiesto aiuto, la seconda fi glia, invece, ha sempre avuto bisogno della mia presen-za come sostegno morale. Il con-tatto con i docenti e tra genitori subisce inevitabilmente una va-riazione dalla scuola primaria alla secondaria di II grado: quando i bimbi sono piccoli le maestre li ac-compagnano ai cancelli e vedono ogni giorno i genitori; man mano crescono, i fi gli acquisiscono mag-giore autonomia, perciò i colloqui si diradano. Anche io sono rappre-sentante di interclasse; noi geni-tori crediamo in questo momento di dialogo in cui interagiamo con i docenti. Devo, purtroppo, ricono-scere che alcune volte le proposte dei genitori non sono state ascol-tate.

Emergono fatiche o diffi coltà nel

mantenere costante e attivo que-

sto ruolo di accompagnatrice?

Mamma Ranuncolo - Sì perché siamo umani. È più faticoso esse-re positivi quando non c’è serenità nella famiglia o dentro di noi. Oggi è molto più diffi cile vivere la scuo-la come pilastro portante o unico della quotidianità di un ragazzo. Ci sono tantissime proposte alterna-tive, allettanti anche per i genitori, che vedono la possibile realizza-zione del fi glio con sacrifi ci minori.Mamma Girasole - Sacrifi ci sì, vincolati soprattutto dal tempo ridotto da destinare alla famiglia. Io sono una mamma lavoratrice e alcune volte mi sento in colpa per non poter dedicare più tem-po alle mie fi glie. E così sorgono le più svariate domande … Ho agito bene cucinando quella torta fatta in casa che tanto piace alle mie ra-gazze? Non avrei fatto meglio ad acquistarne una già pronta e stare qualche minuto in più con loro?Mamma Orchidea - Le diffi coltà sono numerose. Io innanzitutto sono mamma e moglie, ma poi ho il lavoro che impegna buona parte

Famiglia

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32 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

dei miei pensieri. Per riuscire a ri-tagliare del tempo per i miei fi gli, rinuncio a quello per me stessa!Mamma Rosa - È vero! Fino alla quarta elementare la nostra vita di donne è quasi inesistente. Ma, a diff erenza della “mamma Giraso-le” a me capita di sentirmi in col-pa perché sono troppo presente. Spesso i fi gli mi chiedono cose che potrebbero svolgere da soli. Comunque spero che si ricordino del mio sacrifi cio in futuro.

Gli studenti del 2012, degli sms e

di facebook, confi dano ancora le

loro esperienze scolastiche ai ge-

nitori? Quali in particolare? Chie-

dono consigli?

Mamma Rosa - La fi glia minore ester-na emozioni e fatti.; la maggiore, invece, è più introversa. Io, comunque, mi sfor-zo di raccomanda-re alcune pillole di vita come: “Cerca di pensare con la tua testa! Proponi il tuo pensiero, se sai che è giusto! Solo per-ché gli altri agiscono così, non vuol dire che sia l’atteggia-mento più corretto …”Mamma Orchidea - I miei fi gli sono introversi e a volte vengo a cono-scenza delle cose da altre persone. Forse dipende dal fatto che sono abbastanza autonomi e fi ltrano il vissuto. Di rado chiedono aiu-to. Siamo noi genitori che, accor-gendoci di certi stati d’animo (ad esempio se un fi glio è abbattuto per questioni di amicizia tra com-pagni di classe), diamo consigli.Mamma Ranuncolo - Dipende dal carattere del bambino! Quando un bambino confi da al genitore un’esperienza scolastica, lo fa per-ché ha bisogno di confrontarsi.

Mia fi glia, ad esempio, racconta tutto ciò che accade, letto dai suoi occhi di piccola discente, con le gioie e le preoccupazioni che ne derivano.Mamma Girasole - Anche le mie fi glie parlano. In alcune occasioni preferiscono non confi dare a me qualche “segreto” perché sono piuttosto severa e optano, quindi, per il papà! Comunque non hanno ancora raggiunto l’età delle confi -denze solo tra amiche e la mamma rimane un punto di riferimento.

Pochi, tanti, troppi! Può capita-

re che il docente senta la voce

dei genitori in merito al lavoro

domestico degli alunni. È vera-

mente così diffi cile far svolgere i

compiti ai propri fi gli?

Mamma Girasole - No, non sono troppi. Le mie fi glie sono impe-gnate con lo sport e riescono co-munque ad organizzarsi. Sono autonome, anche se hanno tempi diversi. Non mi piace quando il compito a casa serve a sostituire una lezione che in classe è avve-nuta in modo parziale.Mamma Rosa - Guai se non ci fos-sero! Le mie fi glie hanno imparato ad organizzarsi il tempo settima-nale. Alle superiori, poi, hanno

una mole di studio più consisten-te. Ecco, purtroppo sottovalutano lo studio orale, che invece è molto importante! Non sono d’accordo con i compiti assegnati per puni-zione se l’errore è di un solo alun-no. I docenti tendono ad affi dare più lavoro a chi ne ha bisogno, ma perché non assegnare un compito in meno agli studenti più diligen-ti?Mamma Orchidea - Dipende dal bambino. C’è chi, dopo pranzo, si mette a lavorare e c’è chi, invece, deve essere costantemente mo-tivato. Un altro fattore di grande rilevanza è la mole di compiti: se troppi, si rischia di nauseare gli studenti ed è diffi cile pensare che

il ragazzo non venga aiutato da un fami-liare.Mamma Ranuncolo - Dipende dai com-piti! È come una vec-chia automobile alla quale bisogna dare l’olio, sistemare freni e aggiungere carbu-rante. Sta ai genitori fare il pieno di prin-cipi sani e positivi, di motivazione e, se serve, di rimproveri!

Le voci di queste mamme sono au-tentiche; a volte ri-badiscono concetti

profondi e imprescindibili, altre volte manifestano la pluralità di idee legate a specifi che famiglie e a singoli individui. Costituiscono un breve spaccato della nostra co-munità e come tali hanno diritto all’ascolto e al rispetto. Le ringra-zio di cuore, perché hanno dedi-cato del tempo per parlare di se stesse e dei propri fi gli. Buon anno scolastico agli alunni, ai genitori e a tutto il personale scolastico! Elena Cavenaghi

Famiglia

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33Camminiamo insieme n. 32 settembre - novembre 2012

Spazio oratorio

Cari amici vorrei con questo mio contributo al nostro Bollettino Parrocchiale ri-

percorrere un pezzo di vita d’O-ratorio che ha caratterizzato il periodo estivo appena trascorso, per dare voce a tante bellissime esperienze vissute insieme a bam-bini, ragazzi adolescenti e giovani, adulti e famiglie.Il tempo estivo per ogni Orato-rio porta in se un grosso carico di impegno. Impegno educativo anzitutto, ma anche impegno or-ganizzativo che richiede una note-vole capacità di mettersi in gioco e capacità di cambiamento quando occorre a partire dalle linee del no-stro progetto formativo “Una casa che...Accoglie, Coinvolge, Accom-pagna, Propone” e che, aggiungo io, aiuta a crescere nella fede e nella vita. Scorrendo le immagini di questa estate nella mia mente mi vengono in mente tanti volti, tanti sorrisi, tante fatiche. A volte mi chiedo: ma porterà a Dio tutto ciò? Sicuramente si, noi come staff educativo e organizzativo cerchia-mo di dare quel poco che abbiamo (come quel ragazzo che ha off erto al Signore alcuni pani e pesci per-ché lui sfamasse la folla), il resto lo farà Lui. Lui solo conosce i tempi e i modi della crescita di ciò che noi abbiamo cercato di seminare.L’estate si è aperta con il Campo Avventura 2012 a Tires (Bz) presso il parco delle dolomiti del Catinac-cio. Tanti sono stati i bambini ed i ragazzi che hanno aderito a que-sta iniziativa. Il Campo ha avuto

per tema “La spada della roccia”. La sfi da educativa che abbiamo lanciato ai bambini e ai ragazzi che hanno partecipato al Campo è stata quella di una crescita nelle virtù del coraggio e della fedeltà, nel capire il dono di fare parte di una comunità (quella cristiana!) a cui ognuno è chiamato ad off rire in dono le proprie abilità. Alla fi ne delle varie prove ogni bambino e ragazzo è stato investito con un

“titolo nobiliare”: Sir o Lady del gran Re. Ovviamente immagina-te chi potesse essere il Gran Re... Ovviamente Gesù a cui spetta l’o-nore di ogni Cavaliere o Lady de-gno di questo titolo. La cerimonia d’investitura, avvenuta durante la S. Messa conclusiva del Campo, è stata un momento veramente so-lenne! Ottimo è stato il clima nel team educativo (educatori e assi-stenti) e in quello di cucina; penso che ognuno di noi abbia dato il meglio di se per la buona riusci-ta dell’esperienza. A tutti vanno i miei ringraziamenti e la mia stima; grazie anche alle famiglie che han-

no condiviso con noi questo pro-getto educativo.Intanto in Oratorio a Castrezzato già dai primissimi giorni di Giugno, alcuni giovani aiutati da alcuni adulti proponevano il tradizionale Torneo notturno estivo di Calcio (giunto alla sua quindicesima edi-zione) anche per quest’anno dedi-cato alla memoria di Isidoro Artun-ghi. È questa un’esperienza molto bella che dà la possibilità nei mesi estivi di potersi ritrovare la sera tra amici all’Oratorio a tifare la propria squadra (a volte devo dire anche con un po’ troppo trasporto) del cuore al termine di una giornata di lavoro con la propria famiglia. Un grazie di cuore a quanti in questa iniziativa mettono cuore, energie e soprattutto tempo.A fi ne Giugno, poi, abbiamo vissu-to in Oratorio la settimana educati-va in preparazione al Grest. Il tema educativo scelto per quest’anno dal Centro Oratori Bresciano (CoB) è stato “Passpartù. Dì soltanto una parola”, centrato sul tema della comunicazione verbale e non. Il Grest è un’attività di carattere ag-gregativo di cui l’Oratorio ha la ti-tolarità e la gestione, ma che però gode del patrocinio dell’Ammini-strazione comunale. Nella setti-mana educativa in preparazione al Grest sono stati molti gli ado-lescenti e i giovani impegnati. È proprio bello vedere tanti ragazzi impegnati a prepararsi a fare del bene agli altri. In questa settimana la cosa importante è stata quella di amalgamare un gruppo di ra-

Signore, dì soltanto una Parola!

Momenti di vita di Oratorio

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34 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

Spazio oratorio

gazzi (alcuni alla prima esperienza di Grest altri invece già navigati dell’ambiente) a lavorare insieme, superando il proprio limite perso-nale verso un’esperienza forte di gruppo. Grande è stato l’entusia-smo di questi ragazzi come gran-de è stato il loro cuore e la loro generosità.Avere a che fare quotidianamen-te con un mare di bambini e di ragazzi durante le settimane del Grest non è cosa facile... Occorre veramente pensare a tutto! Già di buon mattino la vita del Grest è in fermento: educatori e assisten-ti che già dalle 7.30 accolgono i bambini che hanno i genitori che lavorano; Renzo, Giusy, suor Er-nesta, Letiza e Giulia che si sono occupati ogni giorno della pulizia degli ambienti, dei cortili e dello smaltimento dei rifi uti; le segre-tarie Caterina, Mariella e Damiana che distribuivano i buoni men-sa e davano indicazioni utili alle mamme; e così via... Alle 8.30 poi comincia ad arrivare pian piano il resto della brigata, fi no a quando poi, verso le 9.00 i cancelli dell’O-ratorio vengono chiusi per motivi di sicurezza e si comincia la gior-nata cantando e ballando l’inno e facendo insieme la preghiera cen-trata ogni giorno sulla Parola di Dio e su qualche buona azione da svolgere durante la giornata.Il nostro Grest è strutturato se-condo ingredienti molto semplici che ne costituiscono l’ossatura: preghiera, canti, bans, laboratori, giochi, piscina, una gita per i più piccoli e altre uscite per i ragazzi più grandi. Le settimane del Grest sono volate via in un clima di gio-ia, di allegria e serenità. Non sono mancate certo le diffi coltà, che sempre però sempre abbiamo cercato di risolvere con il sorriso sulle labbra, favorendo un clima d’ascolto reciproco tra educato-ri, assistenti, bambini e famiglie. Cosa bella al Grest è che, come al Bar, nei campi da gioco, e per tut-

te le attività aggregative proposte (estive e non), si persegue l’inte-grazione fra le persone di diversa razza, cultura e religione, cercando di creare un clima di collaborazio-ne, tolleranza e di rispetto altrui. Il Grest si è concluso poi con una bellissima festa fi nale organizzata dagli educatori e dagli assistenti, dove i nostri bambini sono stati i protagonisti assoluti e dove i loro genitori (tutti orgogliosi!) hanno potuto assistere alle loro perfor-mance. Al termine della bellissima festa tutti i nostri occhi sono stati puntati dall’arena verso il gran-de schermo montato sulla parte dell’edifi cio del nostro Oratorio… È il momento delle fotografi e (ac-compagnato quest’anno dai fuo-chi d’artifi cio)… Il migliore… Ma anche il più triste… Attimo dopo attimo scorrono i ricordi di tre set-timane uniche e indimenticabili: i giochi, i bans, i laboratori, le gite, ma soprattutto loro…i veri prota-gonisti: i nostri bambini e i nostri ragazzi ed la loro impareggiabile ed impagabile espressione di se-renità e di felicità!La proposta poi del Follest serale è sempre attesa con entusiasmo dai ragazzi. Si tratta di serata pro-grammate ad hoc per gli adole-scenti e giovani (in alcuni casi han-no partecipato anche dei papà!), momenti “divertenti”, trai quali la “Notte bianca” e i vari tornei di “Beach Volley” e di “Calcio ad Ac-qua”, nei quali adolescenti e giova-ni si incontrano liberando fantasia, creatività, dinamicità e amicizia. La partecipazione è stata buona e al-trettanto positivo l’impegno mes-so in atto dagli educatori, capaci di coinvolgere altri giovani nelle diverse azioni aggregative ed edu-cative. Buona anche la partecipa-zione dei genitori che si sono in-teressati delle attività proposte ai loro fi gli e la loro presenza come spettatori ai tornei e alle iniziative proposte.Al termine del Grest agli educato-

ri e agli assistenti del Grest è stato proposto un Campo Amicizia in Oratorio (visto la crisi che incom-be sul badget familiare!) con due uscite, una a Gardaland e l’altra Caneva World. Bello il clima e bel-la la voglia di stare insieme dei partecipanti. Davvero una bella esperienza da ripetere cercando magari di darle in futuro una for-ma educativa un po’ più solida e completa.A suo tempo, con la Commissione dell’Oratorio si era deciso duran-te il periodo di Agosto di aprire il parco dell’Oratorio ogni sera. Così è stato. Devo dire che mi sono pia-cevolmente stupito vedere come tanti bambini, ragazzi famiglie la sera abbiano approfi ttato dell’oc-casione di venire a passare un po’ di tempo in Oratorio. Vorrei dire il mio grazie ai baristi del Bar dell’O-ratorio e ai volontari che mi hanno supportato in questa avventura.Ormai siamo alle porte di Settem-bre... Quest’anno potremo anche fare le feste di S. Luigi utilizzando la nuova cucina dell’Oratorio. Cer-to occorrerà sempre vigilare sullo stile di sobrietà e sulla capacità di “fare festa” senza sprechi inutili, visto il tempo che viviamo e vi-sto quello che stanno passando tante famiglie. Sono sicuro che il programma che abbiamo pensa-to con la Commissione del’Orato-rio risponderà a queste esigenze facendo contenti tutti, grandi e piccini e senza off endere la sensi-bilità di chi sta passando momenti diffi cili.Siamo anche ormai alle porte di nuovo anno pastorale, che ci ri-chiederà di rifl ettere sul tema delle unità pastorali, tema che verrà svi-luppato da un Sinodo Diocesano nel prossimo mese di Dicembre. Accettiamo la sfi da del “Segno dei Tempi” e viviamo intensamente di quel che il Buon Dio ci dona da vivere. Con stima, amore e ricono-scenza per tutti!

don Claudio

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Spazio oratorio

L’AC anche quest’anno è pronta per ripartire; dopo la pausa estiva tutto ricomin-

cia.I cinquantanni dall’apertura del concilio Vaticano II e i venti dal-la pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica non costituiscono soltanto l’invi-to a soffi are via quella pol-vere che abbiamo lasciato posare sui contenuti del nostro quotidiano, ma l’in-dizione dell’anno della fede, vuole essere un “invito ad un autentica e rinnovata con-versione al Signore, unico Salvatore del mondo”.La fede cresce “quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quan-do viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia” (Benedetto XVI, Lette-ra apostolica in forma Motu proprio Porta Fidei,11 otto-bre 2011).Se è vero che “per l’AC edu-care signifi ca anzitutto edu-care alla fede ed educare la fede,nella convinzione che in tal modo si educa alla vita e si educa la vita” (Sulle strade dei cercatori di Dio. AC primo annun-cio Editrice) allora impegnamoci in un itinerario di profondità con chi ci conduca al cuore della no-stra fede.Diventiamo infi ne strumenti di questo Amore che si moltiplica se lo doniamo ai ragazzi a noi affi da-ti. Può sembrare diffi cile far spazio alle attese di ogni nostro ragazzo,

al bisogno di ciascuno di sentirsi cercato, amato, desiderato.Viene quasi da dire come i Dodici nel racconto di Luca che ci accom-pagna quest’anno “non abbiamo che cinque pani e due pesci”.La risposta di Gesù “voi stessi date

loro da mangiare”, ci chiama a spenderci senza paura, affi dando nelle sue mani il nostro poco, ci chiama a sentirci responsabili nel-la Chiesa della fame di speranza di tutti in cerca d’autore.I nostri ragazzi sono in cerca di qualcuno che sappia guardarli, accogliere la loro storia, in cerca di qualcuno che li aiuti a fare sintesi del loro quotidiano.

Solo l’amore svela davvero chi sono, allora è davvero Gesù, l’au-tore che stanno cercando! È l’in-contro con lui che può condurli a vivere la bellezza e la stupefacen-te novità di quel grande spettaco-lo che è stato loro donato: la vita.

Gesù ci ama da sempre, è l’autore che riserva gratui-tamente per ciascuno, una parte di protagonista.Vorrei semplicemente con-cludere dicendo a tutti gli educatori che è ora di but-tare giù la maschera di ciò che non siamo, non serve inventarci un’originalità che non ci appartiene: c’è una fi rma speciale sulla nostra vita e se accogliamo questo regista d’eccezione (Gesù), se ci mettiamo nelle sue mani il nostro talento, se ci lasciamo coinvolgere nel-la compagnia di coloro che condividono con noi questo ingaggio,ogni giorno sarà uno spettacolo meraviglio-so, sempre nuovo.Il sipario sta ormai per al-zarsi; auguro a tutti gli edu-catori di poter essere, come

ricorda il Progetto Formativo, “un autentico testimone della fede che comunichi, Chiesa di cui sei parte, dell’associazione a cui ade-risci”.Con gli occhi di Gesù e il cuore ri-volto a chi è… in cerca d’autore! Che lo spettacolo abbia inizio!

Mirta

In cerca d’autore

Parte il nuovo anno associativo

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36 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

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40 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

Al card. Martini dobbiamo molta riconoscenza, non solo per il suo più che ventennale servizio epi-scopale molto pesante, ma anche perchè essendo Metropolita della Lombardia, si è occupato anche di Brescia, accogliendo i due vesco-vi mons. Bruno Foresti (nel 1983) e mons. Giulio Sanguineti (nel 1998). Il Signore gli conceda la ricompen-sa dei giusti.

Per promuovere correttamente un’effi cace pastorale familiare è quanto mai utile il Direttorio di Pastorale Familiare emanato alcu-ni anni fa dall’episcopato italiano. Come tutti sappiamo, la pastorale della famiglia è un capitolo parti-colarmente rilevante nel quadro organico e complessivo disegna-to in Evangelizzazione e Testimo-nianza della carità. Infatti, poiché nell’edifi cazione della Comunità ecclesiale è fondamentale la testi-monianza e la missione della fami-glia cristiana, e poiché la stessa è il “primo luogo in cui l’annuncio del vangelo della carità può essere da tutti vissuto e verifi cato in maniera semplice e spontanea, la pastora-le di preparazione e formazione al matrimonio e la cura spirituale,

Ai membri della Pastorale Familiare

morale e culturale delle famiglie cristiane rappresentano un com-pito prioritario della nostra pasto-rale. Una pastorale autentica non potrà fare a meno di annunciare, celebrare e servire il “vangelo del matrimonio e della famiglia” in tutti i suoi contenuti. La Chiesa intera lo deve annunciare nella predicazione, nella catechesi e nella testimonianza concreta. Lo celebrerà nella liturgia e con la grazia dei sacramenti; lo servirà con le diverse iniziative e strutture di sostegno e di promozione che appariranno più opportune ed urgenti. Ai membri della commis-sione “famiglia” i migliori auguri di buon lavoro con le famiglie e per le famiglie.

Don Mario

Vita in parrocchia

Grande cordoglio ha suscita-to nella Chiesa e nel mon-do la morte del Card. Carlo

Maria Martini, arcivescovo di Mila-no dal 1980 al 2002. Figura di spicco dell’episcopato italiano ed europeo, insigne bi-blista, vero pastore desideroso di off rire a tutti, credenti e no, un ri-spettoso ed appassionato itinera-rio di salvezza, in spirito di since-ro ecumenismo. Particolarmente signifi cativo è stato l’ultimo arco della sua vita, affl itto dalla recru-descenza del morbo di Parkinson che oltre quindici anni l’aveva col-pito. Ha vissuto esemplarmente il dono della sua vita a Cristo, anche nella sua morte. In uno degli ultimi incontri pub-blici a Milano, Martini disse di es-sersi “rappacifi cato con la morte”, quando aveva capito che “senza la morte non faremmo mai un atto di piena fi ducia in Dio”; la morte dunque come “affi damento tota-le”. La morte certamente è l’affi da-mento totale, il “caso serio” della fede, come scrisse Hans Urs von Balthasar. Per questo nell’Ave Ma-ria diciamo: “Prega per noi adesso e nell’ora della nostra morte”. Il card. Martini ha espresso questa ultima verità: che senza Dio, non c’è vita. Solo in Lui si concentra nell’ultima ora la speranza dell’uo-mo. Nelle ultime ore della sua vita ha voluto che gli fossero lette le Be-atitudini: il cuore del Vangelo, il sigillo del Cristianesimo, e an-che della sua infi nita speranza.

Carlo Maria Martini, 1927 - 2012

Il mondo piange la scomparsa del Cardinale Martini

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41Camminiamo insieme n. 32 settembre - novembre 2012

Care famiglie, anche in quest’anno liturgico la pa-storale della famiglia è pre-

sente per continuare il cammino iniziato lo scorso anno con i vari appuntamenti, sfociati poi nell’in-contro mondiale della famiglia (IMF).Desideriamo condividere con voi nuove emozioni sull’onda di quanto ci propone il calendario diocesano con il tema “Famiglia: Chiesa domestica”. Non manche-ranno gli incontri di formazione e alcuni pellegrinaggi, durante i quali ci verrà data la possibilità di vivere momenti intensi di pre-ghiera alternati ad altri di gioiosa condivisione. Naturalmente il ca-lendario è in fase di stesura, quindi vi terremo aggiornati mediante gli avvisi distribuiti settimanalmente in chiesa. Secondo quanto stabilito da Papa Benedetto XVI, questo sarà “l’an-no della fede”. Partendo da un’af-fermazione di Giovanni Paolo II, per il quale: “… la fede si raff orza donandola!”, anche noi riteniamo che “una nuova evangelizzazione possa assicurare la crescita di una fede limpida e profonda, capace di fare delle tradizioni di pietà e di religiosità popolare cristiana, una forza di autentica libertà”.Negli ultimi anni si sta vivendo il fenomeno del “distacco dalla Fede” che si è manifestato anche in società e culture che da secoli apparivano guidate dallo spirito del Vangelo. Parecchi cristiani, che hanno continuato a preoccuparsi

La gioia della fede

delle giuste conseguenze sociali, culturali e politiche della predi-cazione del vangelo, non si sono adoperati per tenere viva la fede nelle loro comunità, la quale dava energia a tutte le altre azioni della vita. Così facendo essa si è inde-bolita ed è venuta meno anche la capacità di rendere testimonianza.La famiglia dovrebbe essere un luogo esemplare di trasmissione della fede, per la sua capacità pro-fetica di vivere i valori fondamen-tali dell’esperienza cristiana: digni-tà e complementarità dell’uomo e della donna, creati a immagi-ne di Dio (Gn 1,27), apertura alla vita, condivisione e comunione, dedizione ai più deboli, attenzio-

Famiglia: Chiesa domestica

ne educativa, affi damento a Dio come sorgente dell’amore che dà unione. Spesso le famiglie, però, sono segnate da forti tensioni causate dai ritmi frenetici di vita, dal lavoro che si fa incerto, dalla precarietà che avanza, dalla stan-chezza di aff rontare il compito educativo che diventa sempre più arduo. L’obiettivo della comunità cristiana è che la famiglia abbia un ruolo sempre più attivo nel pro-cesso di trasmissione della fede ed è per questo che la Pastorale della Famiglia, con orgoglio, ribadisce il proprio motto ora più che mai: “Famiglia, alzati e cammina!”.

Commissione di Pastorale Familiare

Vita in parrocchia

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42 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

Vita in parrocchia

Mandato del vescovo al nuovo gruppo di catechisti

degli adulti e degli adolescenti

Dalla riunione del 29 settembre 2011

Il 15 settembre scorso, durante l’assemblea diocesana dei ca-techisti tenuta al Palabrescia di

Via S. Zeno, il vescovo diocesano mons. Luciano Monari ha confe-rito il “mandato” di catechista per adulti o per adolescenti a coloro che hanno frequentato con assi-duità i due anni del Corso bienna-le di formazione. Nel caso nostro, un nutrito secon-do gruppo di adulti ha partecipato al Corso interzonale tenuto a Chia-ri negli anni 2010/2012. Pertanto hanno ricevuto il manda-to i seguenti adulti:

Bissolotti Tiziano, Frialdi Dolores, Galloni Ettore, Suor Gobhe Ernesta, Morelli Maria Grazia, Mule’ Anna, Noli Gabriella, Tripodi Loredana.

La collaborazione di questi no-stri catechisti sarà richiesta nella preparazione dei genitori al bat-tesimo dei bambini, nell’accom-pagnamento dei genitori negli itinerari di catechesi, o nella pa-storale famigliare o di preparazio-ne al matrimonio, o nei cammini di fede per gli adolescenti. Da parte dei Sacerdoti e dell’intera Comu-nità parrocchiale porgiamo loro il nostro sincero ringraziamento

per avere accettato questo impe-gno, unito agli auguri di dedicarsi con passione e gioia all’esercizio del mandato ricevuto, compatibil-

mente con gli impegni professio-nali e famigliari di ciascuno.

il parroco

La Caritas parrocchiale di Castrez-zato sta operando da parecchio tempo, grazie alla disponibilità di tanti volontari, distribuendo ve-stiario e alcuni alimenti di prima necessità. Dal 19 maggio 2012, in Via Caduti del Lavoro (Zona in-dustriale), vista la grave crisi eco-nomica molto sentita anche nel nostro paese, si è provveduto ad organizzare in maniera stabile, la distribuzione di alimenti ai biso-gnosi. Il “punto” di custodia e di distribuzione dei viveri è stato messo a disposizione dell’Am-ministrazione comunale, mentre l’approvvigionamento degli ali-menti è a carico della Caritas che vive della generosità e solidarie-tà di persone sensibili. A tutt’ora, ogni mese provvediamo a dare un aiuto alle famiglie in diffi col-tà , che al momento sono 65, per un totale di 250 indigenti (adulti e bambini). Ringraziamo di cuore

chi ci aiuta con le proprie off erte ed invitiamo tutti coloro che vo-gliono conoscere, capire da vicino ed aiutare questa realtà, a chieder-ci le spiegazioni che desiderano e a sostenerci per poter continuare nel tempo questo prezioso servi-zio. Dalla data di inaugurazione del “Punto-Caritas - Alimenti” (19 maggio 2012), sono state fatte 5 distribuzioni: 19 maggio - 2 giu-gno - 23 giugno - 7 luglio - 4 ago-sto.

La Caritas Parrocchiale

Situazione del Punto Caritas distribuzione alimenti

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43Camminiamo insieme n. 32 settembre - novembre 2012

Vita in parrocchia

Novembre fa nascere in noi la nostalgia dei nostri cari passati all’altra vita. No-

vembre ci richiama sulle tombe dei nostri cari per rivivere i ricordi di vita trascorsa insieme, ma anche per orientare la nostra vita verso orizzonti che non tramontano. Se il seducente scrittore e poeta pagano F. Nietzsche aff ermava che “bisogna congedarsi dalla vita come Odisseo da Nausicaa, piut-tosto benedicendola che restan-do innamorati di essa”, i credenti in Cristo non dovrebbero scorda-re che il paradiso è la meta fi nale verso la quale siamo incamminati: dimenticarlo è abbandonarsi alla morte, ridursi a “morti viventi”.

Il cimitero è luogo di preghiera e di speranza, perché la morte è strada verso il paradiso. La fede cristiana aff erma che l’uomo non scompare nella morte, ma viene trasforma-to da Dio in una nuova creazione. Questa speranza in una vita nuova è sorta per noi nella vita-morte-risurrezione di Gesù di Nazareth. Dice Gesù: “Chi vuole entrare nel-la vita, percorra la strada ripida e stretta che conduce alla vita”. In una parola, occorre far morire l’uomo vecchio e far nascere l’uo-mo nuovo. Saper dire dei no per dilatare il nostro sì a Dio. Ognuno ha le sue mortifi cazioni da pratica-re: abbandonare la via del pecca-to e dell’egoismo; aff rontare ogni

Un pensiero agli eternamente viventi in Dio

Novembre, mese dei mortigiorno i fastidi e le molestie della vita; vivere il proprio impegno nel lavoro; esercitare la carità non solo nelle grandi occasioni, ma anche nei piccoli gesti quotidiani. Allora sembra di poter dire che il vero problema non è sapere se c’è qual-cosa dopo la morte, ma se siamo vivi prima della morte.Il nostro caro concittadino Mons. Sandro Galli, illustre letterato e pure poeta, ci ha lasciato una sua composizione sulla morte e sul senso riassuntivo dell’esistenza. Ci permettiamo qui di riprodurla, dopo una introduzione dell’amico Giannetto Valzelli.

Il titolo della poesia è “Presagio”.

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44 Camminiamo insiemen. 32 settembre - novembre 2012

Vita in parrocchia

La poesia di mons. Sandro Galli

Introduzione a “Presagio” di Giannetto Vanzelli

Nel diario che tiene, ormai prossimo a chiudersi al declinare del luglio 1979,

Sandro Galli (ospite di una clinica sul. Benaco) con ansiosa schiettez-za annota: «Mi è venuto di scrive-re, o meglio improvvisare, questa lirica ripensando ad altri tempi, a diverse velleità di contenuto e di stile. Come intitolarla?» “È un modo di rientrare in se stes-so — mentre fuori, nella purezza del mattino, l’isola Borghese riful-ge — a togliersi di dosso ambizio-ni e turgori, nella suprema confes-sione che ha valore di consuntivo esistenziale: «... Sognai satiri e nin-fe, complice Orazio, / e tiburtine ro-see fragranze / sull’ubertà del cuore. / Ora m’appago di attimi estremi / di memoria e sento, / complice Iddio,trasalir dal destino / un casto sospi-rar di terre nuove / ove l’acqua sia fatta di smeraldo / a camminarvi, incontro all’Isola, la sola, / ultimo approdo al navigar dei mondi...».Il titolo che cerca è in una itera-zione che incalza, e lo desume dal versetto di un salmo - Sub umbra alarum tuarum - giacché, nellaspossatezza che lo imprigiona convalescente come in una cella, uno scampanio domenicale gli porta - prima alle labbra che sulla pagina - la sitibonda invocazione: «Dove stai, Signore? in quale parte del cosmo / vigila e scruta la tua es-senza intera?».La poesia di Sandro Galli ha il suo inferno di abbacinamenti e il suo purgatorio di pena, ma è in questo mutar d’ali (come misericordia di sé e come desiderio di assoluto)

che spicca libera il volo, in questo assorto placarsi del fi ume alla sua foce, in questo dolcissimo tran-sito dal mare delle ombre al por-to della luce, in questo accorato battere alle segrete porte oltre le quali si spalanca l’armonioso in-cantamento: poesia come palpito dell’attesa (o mistero che dir si vo-glia) dell’essere chiamati, poesia

come sobbalzo dal grembo della morte (vita mutatur, non tollitur) al golfo della eternità, poesia come itinerarium mentis in Deum cui si ancorano esplicativamente i moti-vi stessi della scelta perseguita fra le molte carte sparse.

Giannetto Vanzelli

PresagioCome due ciechi arriveremo la Luce ed ioai lembi della vita.Incontro ci verrannoinvisibili auroresu tappeti d’azzurro.

Qualcuno ci aprirà segrete porte.

Nel dolce ventilar di nuove sfere la Luce tremerà pudori arcani. Uccelli paradisointorno sciamerannocome vergini notea rifi orire sinfonie perdute.

D’essere cieco mi parrà divino: un’ala fresca aromi stillerà sull’oscura ferita del mio occhio.

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Vita in parrocchia

Il culto dei morti non è un fat-to esclusivamente cristiano, in quanto esso ha radici in quella

religiosità insita nella natura uma-na, che determina una netta diff e-renza della nostra specie vivente rispetto alle altre; infatti, nacque con l’uomo agli albori dei tempi. La storia e l’archeologia ci raccon-tano che ogni popolo, anche il più barbaro e bellicoso, espresse una sensibilità particolare nei confron-ti dei propri defunti: i riti funebri venivano celebrati secondo mo-dalità ed usi diversi, ma di fronte alla morte dovevano cessare odi, vendette, inimicizie.

Nel mondo greco-latino ed anche ebraico era doverosa un’onorata sepoltura per concedere riposo sicuro e i pagani ritenevano sa-cre ed inviolabili le tombe poiché custodite dagli dei. Il diritto roma-no sancì la sacralità dei sepolcri affi dandoli alla giurisdizione dei sacerdoti: tale cultura entrò nella mentalità cristiana tanto che spes-so nelle epigrafi antiche venivano scritte delle maledizioni contro co-loro che avessero osato in qualche modo violare il sepolcro.Oggi tutti i paesi civili assicurano nella loro legislazione il rispetto e l’inviolabilità dei cimiteri e delle

singole tombe, considerando tali luoghi la più alta espressione della pietà che gli esseri umani provano verso i defunti, nonché della co-mune speranza di una vita futura.Peraltro i cimiteri delle società eu-ropee, oggi separati dai luoghi dei viventi, fi no alla Rivoluzione Fran-cese erano collocati al centro degli abitati, a ridosso delle chiese; al loro interno si tenevano talvolta anche mercati e banchetti, affi n-ché vivi e morti condividessero il medesimo spazio e le medesime situazioni gioiose a sancire quel-lo che poi la catechesi cattolica ci proporrà: esiste una comunione,

Il rispetto della sacralità delle tombe

Nel nostro cimitero

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una unità tra noi e i morti; non sia-mo aff atto separati gli uni dagli al-tri, poiché “noi tutti percorriamo la medesima strada e ci ritroveremo nel medesimo luogo. Non saremo mai separati, vivi e morti, poiché viviamo per Cristo, andando in-contro a Lui”. Questo è quanto il “Catechismo della chiesa cattolica” ci insegna.

Alla luce di tali considerazioni,

come possiamo valutare quel

che spesso accade nel nostro ci-

mitero?

Da poco tempo, per motivi perso-nali, mi reco più frequentemente che in passato al camposanto per accudire alla tomba dei miei pa-renti e quindi mi trovo a socializ-zare con persone che, invece, sono assidue frequentatrici di questo luogo: lode e merito per questa loro costanza! Il far visita ai defun-ti ci dovrebbe ricordare in modo inequivocabile il nostro comune destino e quindi non potrebbe far altro che sviluppare in noi un maggior senso di appartenenza

alla comunità e un più spiccato atteggiamento di empatia per il dolore che colpisce i nostri com-paesani.

Ma che dire di certi episodi

espressione della più bieca inci-

viltà?

Io ero perfettamente all’oscuro di questa problematica, convinta che la sacralità del luogo potes-se inibire la stoltezza e la miseria dell’uomo, fi nché non sono stata io stessa interessata al fenomeno.Anche la tomba dei miei parenti è stata, diciamo così, “alleggerita” di un piccolo particolare ornamen-tale che avevo sistemato ai piedi delle fotografi e. Mi è bastato par-lare con alcune persone per essere informata di questo sgradevolissi-mo fenomeno: nel nostro cimite-ro, alle tombe dei nostri cari qual-cuno ruba (termine rimbalzato di bocca in bocca).Mi è stato riferito che frequente-mente scompaiono ceri, statuine, vasetti con piantine, oggettistica ornamentale, piccoli addobbi, fi o-

ri sintetici da composizioni, fi ori freschi recisi e appena approntati, sottovasi… tutti espressione della cura dei vivi nei confronti dei pro-pri defunti, allo scopo di alimen-tare, anche in tal modo, il loro ri-cordo. Accudire in forma semplice e naturale una tomba permette di esprimere, insieme alla preghiera, l’aff etto per chi non c’è più. Qualcuno minimizza sostenendo che ciò succede dappertutto; altri dicono che da sempre si è assisti-to a questi incresciosi episodi; la maggioranza, come me, è d’accor-do nel ritenere che a questo fe-nomeno si debba porre fi ne. Non è certamente il danno materiale che crea disagio, quanto l’off esa arrecata a chi si prende cura delle tombe ed ai propri defunti.Ci si sente arrabbiati ed impotenti ad ostacolare tali episodi.D’altronde come ci si può difende-re? Non possiamo certo posizio-nare su ogni tomba dei sistemi di videoregistrazione e trasformare il camposanto in un arsenale an-tifurto.Che sia segno dei tempi? Siamo talmente confusi da non essere in grado di discernere? Ci si chiede a chi appartenga quel-la mano lesta che, approfi ttando della quiete di un luogo sacro, si appropria di oggetti altrui, per al-tro sotto lo sguardo austero dei defunti?Addirittura qualcuno sostiene di aver visto con i propri occhi “il col-pevole” in azione!Ci vuole tanta sfrontatezza e po-chissima dignità nel concedersi a tali bassezze!Cristianamente non possiamo far altro che esprimere pietà per que-sti gesti frutto della miseria umana, convinti che non vi sia colpevolez-za senza una piena consapevolez-za del male che si commette!

Una cittadina castrezzatese

Vita in parrocchia

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Vita in parrocchia

Donato un pregevole pulpito ligneoÈ stato recentemente donato alla Parrocchia da gentili persone un pulpito ligneo dell’800, fi nemente intagliato. Poi, una famiglia ha provveduto a sostenere la spesa del restauro in memoria di una loro cara defunta.

È stato collocato nella chiesetta di S. Lorenzo, dove per le sue modeste dimensioni e la sua bellezza artistica, sta veramente bene.

Donazioni

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Don Giovanni Tossi, a ricor-do del 60° di Sacerdozio, celebrato qui in parrocchia

domenica 3 giugno scorso, ha portato in dono alla nostra chiesa un bellissimo Reliquiario in legno dorato di grandi dimensioni, dove sono state collocate le reliquie de-gli ultimi Santi e Beati:

- B. Annunciata Cocchetti, bre-sciana;

- B. Lodovico Pavoni- S. Annibale Maria Di Francia- S. Guido Maria Conforti- S. Giovanni Piamarta

Don Giovanni stesso ha portato il Reliquiario nella santa messa fe-stiva di domenica 29 luglio da lui celebrata.

A Don Giovanni porgiamo il più vivo ringraziamento per questo dono, a ricordo dei molti anni di servizio pastorale tra noi, dal 1986 al 2004.

Don Giovanni Tossi ha donato alla parrocchia un reliquiario ligneo

Donazioni

Vita in parrocchia

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Vita in parrocchia

Preghiera per la pace, il Rosario è anche, da sem-pre, preghiera della famiglia e per la famiglia. Un tempo questa preghiera era particolarmente cara alle famiglie cristiane e certamente ne favoriva la comunione. Occorre non disperdere questa pre-ziosa eredità. Bisogna tornare a pregare in fami-glia e a pregare per le famiglie, utilizzando ancora questa forma di preghiera. La famiglia che prega resta unita. Il S. Rosario, per antica tradizione, si presta particolarmente ad essere preghiera in cui la famiglia si ritrova. I singoli membri di essa, pro-prio gettando lo sguardo su Gesù, recuperano an-che la capacità di guardarsi sempre nuovamente

negli occhi, per comunicare, per solidarizzare, per perdonarsi scambievolmente, per ripartire con un patto di amore rinnovato dallo Spirito di Dio. La famiglia che recita insieme il Rosario, riproduce un po’ il clima della casa di Nazareth: si pone Gesù al centro, si condividono con lui gioie e dolori, si mettono nelle sue mani bisogni e progetti, si at-tingono da lui la speranza e la forza per il cammi-no. Cari fratelli e sorelle, una preghiera così facile e al tempo stesso così ricca, merita davvero di esse-re riscoperta dalla Comunità cristiana!

Beato Giovanni Paolo II, papa - 2002

Il Rosario preghiera della famiglia

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Calendario liturgico

Calendario liturgico pastorale

Settembre

15 Sabato – Beata Vergine Maria Addolorata. Ore 9,30: S. Messa per le donne e le spose in

onore dell’Addolorata a cura della Compa-gnia di Santa Maria degli Angeli.

Ore 14,30/ 17,30 Assemblea diocesana dei ca-techisti a Brescia (Palabrescia)

16 Domenica XXIV del T.O. Feste di S. Luigi. Ore 9,30 S. Messa in Oratorio. Ore 20,30 Messa ri-onale alla Santella della Madonna Addolorata di Via Marconi.

21 S. Matteo evangelista.23 Domenica XXV del T.O. - Memoria liturgica di

S. Pio da Pietrelcina religioso.27 S. Vincenzo De’ Paoli, sacerdote.29 S.S. Arcangeli Michele, Gabriele, Raff aele30 Domenica XXVl del T.O. Con il mese di ottobre

entra in vigore l’orario invernale delle messe (Feriali Ore 8,00 e 19,00; festiva del sabato sera e della domenica sera ore 18,00).

Ottobre

1 S. Teresa di Gesù Bambino2 S.S. Angeli Custodi. Ore 17, in chiesa, benedizione dei bambini e

dei nonni.4 S. Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia. Memo-

ria liturgica di S. Guido Maria Conforti, fonda-tore dei Saveriani.

6 S. Bruno Abate.7 Domenica XXVll del T. O. Festa della Madonna

del Rosario. Ore 11 Battesimi comunitari. Ore 18,00 S. Messa solenne e processione con la Statua della Madonna del Rosario. Percorso ordinario.

10 S. Daniele Comboni vescovo missionario.11 Giovedì, per la Chiesa universale: inizio

dell’Anno della Fede indetto da papa Bene-detto XVl.

Ore 20,30 S. Messa solenne per tutti.

14 Domenica XXVIII del T.O. - Festa del “Ciao” (ACR) in oratorio.

Ore 14,30 (in chiesa) Messa e Sacramento del-la Unzione dei Malati.

16 S. Teresa d’Avila vergine17 S. Ignazio d’Antiochia vescovo e martire18 S. Luca Evangelista.21 Domenica XXIX del T.O.28 Solennità della Dedicazione della Chiesa Par-

rocchiale (1785). Celebrazione congiunta dei due Sacramenti

dell’iniziazione cristiana Cresime ed Eucari-stia (Ministro Delegato dal Vescovo Mons. Vit-torio Formenti).

Novembre

1 Giovedì Solennità di Tutti i Santi. Ore 14,30 Processione dalla chiesa al Cimitero. Ore 15,00 S. Messa al Cimitero.

2 Venerdì Commemorazione di Tutti i Defunti. Ore 15,00 e 20,00 S. Messa al cimitero. Ore 8 e 9,30 S. Messa in parrocchia. Ore 16,00 S. Messa alla Casa di Riposo. N.B. Oggi inizia l’Ottavario di preghiere per i

Defunti (dal 2 al 10 novembre). Si celebra la messa al cimitero alle ore 15,00 e 20,00

4 Domenica XXXl del T.O. e Festa di S. Carlo Bor-romeo. Ore 11,00 S. Messa per i Caduti.

9 Dedicazione della Basilica Lateranense.10 S. Leone Magno, Papa.11 Domenica XXXII T.O. - Memoria di S. Martino

di Tours, vescovo. Festa del Ringraziamento.15 S. Alberto Magno19 Domenica XXXIII T.O.- Battesimi comunitari.21 Presentazione della B.V. Maria al Tempio.22 S. Cecilia, vergine e martire Patrona del canto

sacro e degli organisti.25 Solennità di nostro Signore Gesù Cristo, Re

dell’Universo. Ore 15,00 Vespri e Atto di Consacrazione a

Cristo Re (Indulgenza Plenaria)30 S. Andrea apostolo.

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Lettera del Parroco

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Anagrafe parrocchiale

Anagrafe parrocchialeNella luce di Cristo (defunti)Rinati in Cristo (battesimi)

Uniti in Cristo (matrimoni)

Iuliano Allison

di Maurizio e Gasparetto ChiaraLogiudice Comensoli Angelica

di Giuseppe e Rizzini SilviaBelotti Sofi a

di Michele e Vignoni StefaniaConte Alisia

di Antonio e Caradonna RosaDella Monica Antonio

di Giuseppe e Sala Laura

Simoni Fabrizio con Coelli Elena

Comanzo Manuel con Marini Stefania

Olmi Michele con Bagnato Maria Teresa

Zani Giacomo con Guerrini Tatiana

Garofalo Santi con Delfi ni Marina Lucia

Serotti Luca con Ramera Monica

Zotti Luciano con Cattaneo Flavia

Rizzini Samuele con Zanini Annalisa

Marinelli Lavinia (Claudia) di anni 84Parma Santa di anni 85Cazzago Giovanni Battista di anni 71Clerici Margherita di anni 73Cittadino Nunziata di anni 48Prati Franco di anni 45Zammarchi Francesca di anni 77Zammarchi Battista di anni 79Saenz Gomez Felisa ved. ManentiBetella Remo di anni 63Turra Giuseppe di anni 84

Catechesi del mercoledìÈ ripresa la S. Messa delle ore 9,30 per le donne, con il relativo cammino di catechesi.

Invitiamo le donne a partecipare.

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Volano nel cielo, alti gli aquilonicon tutti i lor colori,con tutti i lor pensieri.

Volteggiano nell’ariaquasi a voler cantare:“Fratelli, se volete,il mondo puo’ cambiare”.

E poi volano ancorae vanno incontro al solee rubano da luiun raggio di calore.

La festa degli aquiloniUn po’ di quel calorepuo’ riscaldar la terra,portarle un po’ d’amoreper essere men fredda…

Ma cosa penserannovolando gli aquiloni?“ Che bello se nel mondo fossero tutti buoni!...”

Adriana