caio ramoni da lodi - sinerequieadventure.files.wordpress.com · elisabetta, una donna gioviale che...

3
Caio Ramoni da Lodi Il mio nome è Caio Ramoni da Lodi, terzogenito maschio di Edoardo Ramoni da Lodi e di Anastasia Velanti, nato in quel di Lodi la notte del 31 ottobre dell’Annus Domini 1897. Mi fu dato il nome di Caio in ricordo del padre di mio padre, uomo di grande forza e profonda fede Cattolica. Siedo ora qui, nel mio studio, scrivendo le mie memorie conscio che alla mia morte esse saranno il mio ultimo e definitivo lascito a questo mondo che sto, nel contempo, aiutando a ripulire da tutte le infide e perverse macchinazioni di Satana e dei suoi seguaci. La morte è oggi un pensiero più che mai estraneo ed al contempo perennemente vicino, ma a questo giungerò più tardi. Mio padre è un uomo austero e severo, banchiere e mercante arricchitosi con la colonizzazione delle terre d’Africa e loro utilizzo; mia madre era la figlia di una famiglia di signorotti del luogo. Sin dalla più tenera fui affidato alle cure della prozia Anna Berardeschi, zia materna del mio nobile padre, la quale aveva un passato come badessa di un convento di suore nel Mantovano ed era tornata a vivere, per complicazioni di salute, nella grande casa della mia famiglia. Di rado mi era concesso di vedere mio padre ed egli, d’altronde, non ebbe mai il minimo interesse in me. Tutto ciò che egli adorava era mio fratello Angelo, il suo secondogenito e primo figlio maschio. Più anziana di due anni rispetto ad Angelo era Elisabetta, una donna gioviale che amava più il cibo che se stessa. La mia infanzia fu turbata e manipolata dal terrore che la prozia Anna instillò in me. Ogni mio piccolo gesto, ogni movimento, ogni desiderio erano peccato e non vi era giorno che non venissi punito in ogni possibile modo, dalle punizioni corporali a quelle, ancor più terribili, che afflissero la mia mente. Sarei potuto restare fermo ed immobile e sarei stato punito per essere stato un accidioso, se avessi fatto la minima richiesta sarei stato nulla più che un avaro, e la mia infanzia passò nel terrore e nel rispetto dei più perversi e scuri dettami della fede. Lasciai la magione dove nacqui nell’estate del 1912, all’età di quindici anni, scortato da Arrigo Velanti, fratello maggiore della mia nobile madre. Con egli mi diressi a Roma, conscio che lì avrei trovato con buona certezza un ambiente più salubre della casa che per anni mi oppresse. Iniziai immediatamente gli studi nel campo della legge, sorretto economicamente dalla mia famiglia e vissi quel periodo in casa di Arrigo. Egli era un uomo totalmente diverso da mio padre, in tutto e per tutto. La sua fortuna discendeva interamente dal patrimonio di famiglia. Egli, da solo, non sarebbe mai riuscito a procurarsela. Ogni sera lo vedevo nel salone della casa in cui vivevamo accompagnato da una donna diversa da quella della sera precedente. Tutte donne dagli abiti succinti, dai capelli sciolti e dalle movenze provocatorie. La lussuria, al tempo, non mi apparteneva e mai fui tentato di seguire le abitudini fallaci di mio zio. Presto, invece, si notò la mia particolare predisposizione al diritto canonico, e non ci misi molto a decidere di orientare i miei studi in quella precisa direzione. Passai gli anni migliori della mia giovinezza piegato su antichi tomi polverosi ma fu proprio in quel periodo che conobbi Guido D’Albarossa, l’allora vescovo della diocesi di Viterbo, il quale mi prese sotto la sua ala protettrice mettendomi a disposizione tomi e conoscenze che altrimenti non avrei mai potuto avere. Fu grazie a quell’uomo di straordinaria fede che mi riavvicinai al Signore e che potei approfondire i miei studi sulla legge del popolo di Dio. Quando scoppiò la prima guerra mondiale mio fratello Angelo fu mandato al fronte ed io decisi di tornare a Lodi, nella casa dei miei natali, al fine di stare vicino alla mia nobile madre la quale soffrì in maniera indicibile la partenza del suo primogenito maschio. Passai gli anni della Grande Guerra chiuso in casa, tra gli studi e le cure di mia madre. Dalla guerra Angelo non fece mai ritorno e la depressione della mia nobile genitrice aumentò a tal punto che pochi anni dopo ella si ammalò di una misteriosa malattia che la costrinse a letto. Mia sorella, nel contempo, maritò un giovane nobilotto della zona, tale Carlo Bonferrotti, ed entrambi si trasferirono nell’abitazione di costui. Al termine della guerra lasciai nuovamente la casa di Lodi e torni a Roma dove terminai i miei studi, ma nel contempo attorno a me la società mutava, cambiava.. E più cambiava più si allontanava dai dettami di Cristo. Mi sentii spaesato, pieno di una conoscenza che sapeva di vecchio, di antico. Questo mondo sporco rigettava gli insegnamenti di Nostro Signore ed il peccato e la corruzione erano sempre più presenti in ogni aspetto della società moderna. Sotto l’egida di monsignor Guido D’Albarossa presi i voti sacerdotali nel 1928, all’età di trentuno anni, ed iniziai ad insegnare la legge di Cristo nelle scuole.

Upload: phamliem

Post on 15-Feb-2019

215 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: Caio Ramoni da Lodi - sinerequieadventure.files.wordpress.com · Elisabetta, una donna gioviale che amava più il cibo che se stessa. La mia infanzia fu ... infanzia passò nel terrore

Oggi è il 1957 e Milano è tornata ad essere un'importante centro di scambi e crocevia del Sanctum Imperium. La vicinanza con la Svizzera, ormai sotto il controllo del IV Reich, rende i rapporti al confine così tesi da aver portato alla formazione di un presidio della Sancta Militia e dell'Inquisizione oltre a quello

Caio Ramoni da LodiIl mio nome è Caio Ramoni da Lodi, terzogenito maschio di Edoardo Ramoni da Lodi e di Anastasia Velanti, nato in quel di Lodi la notte del 31 ottobre dell’Annus Domini 1897. Mi fu dato il nome di Caio in ricordo del padre di mio padre, uomo di grande forza e profonda fede Cattolica. Siedo ora qui, nel mio studio, scrivendo le mie memorie conscio che alla mia morte esse saranno il mio ultimo e definitivo lascito a questo mondo che sto, nel contempo, aiutando a ripulire da tutte le infide e perverse macchinazioni di Satana e dei suoi seguaci. La morte è oggi un pensiero più che mai estraneo ed al contempo perennemente vicino, ma a questo giungerò più tardi. Mio padre è un uomo austero e severo, banchiere e mercante arricchitosi con la colonizzazione delle terre d’Africa e loro utilizzo; mia madre era la figlia di una famiglia di signorotti del luogo. Sin dalla più tenera fui affidato alle cure della prozia Anna Berardeschi, zia materna del

mio nobile padre, la quale aveva un passato come badessa di un convento di suore nel Mantovano ed era tornata a vivere, per complicazioni di salute, nella grande casa della mia famiglia. Di rado mi era concesso di vedere mio padre ed egli, d’altronde, non ebbe mai il minimo interesse in me. Tutto ciò che egli adorava era mio fratello Angelo, il suo secondogenito e primo figlio maschio. Più anziana di due anni rispetto ad Angelo era Elisabetta, una donna gioviale che amava più il cibo che se stessa. La mia infanzia fu turbata e manipolata dal terrore che la prozia Anna instillò in me. Ogni mio piccolo gesto, ogni movimento, ogni desiderio erano peccato e non vi era giorno che non venissi punito in ogni possibile modo, dalle punizioni corporali a quelle, ancor più terribili, che afflissero la mia mente. Sarei potuto restare fermo ed immobile e sarei stato punito per essere stato un accidioso, se avessi fatto la minima richiesta sarei stato nulla più che un avaro, e la mia infanzia passò nel terrore e nel rispetto dei più perversi e scuri dettami della fede. Lasciai la magione dove nacqui nell’estate del 1912, all’età di quindici anni, scortato da Arrigo Velanti, fratello maggiore della mia nobile madre. Con egli mi diressi a Roma, conscio che lì avrei trovato con buona certezza un ambiente più salubre della casa che per anni mi oppresse. Iniziai immediatamente gli studi nel campo della legge, sorretto economicamente dalla mia famiglia e vissi quel periodo in casa di Arrigo. Egli era un uomo totalmente diverso da mio padre, in tutto e per tutto. La sua fortuna discendeva interamente dal patrimonio di famiglia. Egli, da solo, non sarebbe mai riuscito a procurarsela. Ogni sera lo vedevo nel salone della casa in cui vivevamo accompagnato da una donna diversa da quella della sera precedente. Tutte donne dagli abiti succinti, dai capelli sciolti e dalle movenze provocatorie. La lussuria, al tempo, non mi apparteneva e mai fui tentato di seguire le abitudini fallaci di mio zio. Presto, invece, si notò la mia particolare predisposizione al diritto canonico, e non ci misi molto a decidere di orientare i miei studi in quella precisa direzione. Passai gli anni migliori della mia giovinezza piegato su antichi tomi polverosi ma fu proprio in quel periodo che conobbi Guido D’Albarossa, l’allora vescovo della diocesi di Viterbo, il quale mi prese sotto la sua ala protettrice mettendomi a disposizione tomi e conoscenze che altrimenti non avrei mai potuto avere. Fu grazie a quell’uomo di straordinaria fede che mi riavvicinai al Signore e che potei approfondire i miei studi sulla legge del popolo di Dio. Quando scoppiò la prima guerra mondiale mio fratello Angelo fu mandato al fronte ed io decisi di tornare a Lodi, nella casa dei miei natali, al fine di stare vicino alla mia nobile madre la quale soffrì in maniera indicibile la partenza del suo primogenito maschio. Passai gli anni della Grande Guerra chiuso in casa, tra gli studi e le cure di mia madre. Dalla guerra Angelo non fece mai ritorno e la depressione della mia nobile genitrice aumentò a tal punto che pochi anni dopo ella si ammalò di una misteriosa malattia che la costrinse a letto. Mia sorella, nel contempo, maritò un giovane nobilotto della zona, tale Carlo Bonferrotti, ed entrambi si trasferirono nell’abitazione di costui. Al termine della guerra lasciai nuovamente la casa di Lodi e torni a Roma dove terminai i miei studi, ma nel contempo attorno a me la società mutava, cambiava.. E più cambiava più si allontanava dai dettami di Cristo. Mi sentii spaesato, pieno di una conoscenza che sapeva di vecchio, di antico. Questo mondo sporco rigettava gli insegnamenti di Nostro Signore ed il peccato e la corruzione erano sempre più presenti in ogni aspetto della società moderna. Sotto l’egida di monsignor Guido D’Albarossa presi i voti sacerdotali nel 1928, all’età di trentuno anni, ed iniziai ad insegnare la legge di Cristo nelle scuole.

Page 2: Caio Ramoni da Lodi - sinerequieadventure.files.wordpress.com · Elisabetta, una donna gioviale che amava più il cibo che se stessa. La mia infanzia fu ... infanzia passò nel terrore

Continuai con la vita di insegnamento, studio e preghiera fino al 1940, quando la Seconda Guerra Mondiale colpì anche la penisola italiana. Furono quelli per me anni di profondo dolore dato che fui confinato in un monastero “per la mia sicurezza” e non potei fare ritorno alla mia magione dove mia madre, nel 4 marzo del 1942, morì nel proprio letto. Tutto quello che so sulla sua morte lo devo ad una striminzita lettera che mio padre mi fece ricevere qualche settimana dopo l’effettiva dipartita. Poi.. Poi avvenne quello che nessuno avrebbe mai potuto immaginare. Inizialmente credemmo tutti che fosse una follia, un ignobile scherzo, ma ci sbagliavamo. I morti stavano tornando in vita sotto gli occhi di tutti, il Giorno del Giudizio era su di noi. All’inizio vi fu solo il terrore, solo la paura. Roma divenne l’unico posto sicuro in tutta Italia, forse in tutto il mondo, e fu lì che trovai riparo grazie a Guido, il quale sfruttò la sua nuova carica di Cardinale al fine di tenermi in salvo. Sono.. Ero il suo discepolo prediletto. Fu grazie a lui che riuscì a sopravvivere agli orrori di questo mondo. In quel piccolo ambiente relativamente sicuro divenni amico di un uomo solo di pochi anni più anziano di me, il cardinal Gaspare Nicchia. Egli fu immediatamente affascinato dalla mia conoscenza e forse fu proprio questo ad avvicinarci. Passammo diverso tempo assieme prima che le nostre strade si separassero. Quando il 13 gennaio del 1947 il Papa Pio XIII emanò la bolla “Regnum Iustitiae” capimmo che finalmente le cose sarebbero tornate ai fasti di un tempo, se non ancora meglio. Solo un uomo guidato dallo Spirito Santo e da Nostro Signore può proteggere il mondo dalle perfidie di Satana. I corpi morti che vagano per il nostro mondo sono solo un annuncio di ciò che sarà. Il signore sta per tornare nella sua Seconda Venuta, e noi saremo pronti ad accoglierlo privi di peccato e puri alla sua vista. In quello stesso anno Alberto fu mandato ad amministrare le terre di Abruzzi e Molise in quanto cardinale ed io rimasi a Roma, in attesa che per me i tempi fossero maturi. Tornai solo una volta nella mia casa natia, e fu nel marzo del 1949. I templari, da poco riformatisi, erano riusciti a liberare Lodi dalla minaccia dei morti in breve tempo ed io ebbi la possibilità di tornarvi quasi in totale sicurezza grazie alla protezione di Santa Romana Chiesa, la quale mi permise l’utilizzo dei pochi mezzi tecnologici ancora in uso dopo il Dies Redemptionis. Ciò che vidi in quella casa mi convinse a fuggire da lì e a non tornarvi mai più in tutta la mia vita. Mai rimetterò piede in quel luogo se non in estremi casi, e ciò che sto scrivendo qui ed ora potrebbe costarmi la scomunica se non il rogo. Mio padre tentò di tenermi nascosto un così oscuro segreto, ma non fu difficile notare il pestilenziale odore che vagava per la casa. Egli, un uomo del quale persino la morte ha paura a quanto pare, successivamente al giorno del giudizio fece prelevare la mia nobile madre dalla tomba e la fece incatenare al letto dove ella era morta pochi anni prima. All’iniziale vista del corpo in putrefazione incatenato a quel letto che io ricordavo bianco candido e che era divenuto un’orgia di colori e pestilenze non riuscii a resistere e quasi svenni. Lui, che così poco l’aveva amata in vita ora non riusciva a separarsene nella morte. So che dovrei tornare in quella casa e bruciare io stesso quel cadavere che egli spaccia per mia madre ed egli stesso ma non posso. Nelle orbite vuote, nel mugolio incessante, io l’ho vista, l’ho sentita. È lei. Non posso bruciare colei che mi ha dato la vita. Quando anche lui morirà qualcuno li troverà entrambi e porrà fine alle loro sofferenze, ma non sarò io. Io sarò totalmente estraneo alla vicenda, in tutto e per tutto. Ormai Edoardo Ramoni da Lodi è sulla soglia degli ottantotto anni, e presto questo supplizio avrà fine. Da quei giorni, tuttavia, non ho più rimesso piede nella casa dove nacqui. Di lì a qualche mese fu riportato alla vita il potere della Santa Inquisizione ed io sentii che quello era il mio posto. Gli eretici, gli infedeli, tutti coloro che hanno portato il mondo allo scempio nel quale si trova.. Tutti costoro pagheranno. Ci volle per me qualche mese prima di venir nominato Inquisitore a tutti gli effetti. Mi furono insegnate le più moderne tecniche di tortura, di interrogatorio, di perquisizione. Fui addestrato all’uso della Corona Spinarum, e nel 15 dicembre del 1949 ne fu forgiata una per me, e divenni ufficialmente inquisitore. Scelsi la vergine Maria come mia santa protettrice affinché essa, unica nata priva del peccato originale, mi proteggesse durante il lungo e pericoloso viaggio che intrapresi da allora.Scelsi come motto “Ignis inferni ad beatitudine ductant”, ovvero “Le fiamme dell’Inferno conducono alla beatitudine”, poiché solo mediante la sofferenza ed il pentimento si può giungere al paradiso, alla beatitudine, al cospetto del Signore. La mia Corona Spinarum prese il nome di “Capitalia Redemptrix”, la “Redentrice Capitale”, colei che corregge i peccati capitali negli uomini di poca fede attraverso la sofferenza. Ebbe così inizio la mia carriera da inquisitore, attraverso la quale ebbi modo di viaggiare per tutta l’Italia, conobbi uomini e donne di ogni genere. Santi, eretici, persone comuni. Tutto sembrava procedere nella totale normalità di un mondo anormale.. Ma alcune cose accaddero durante quegli anni. Nel giugno del 1950 ebbi l’incarico di dirigermi ad Agrigento, una remota città nella punta più bassa del Sanctum Imperium.

Page 3: Caio Ramoni da Lodi - sinerequieadventure.files.wordpress.com · Elisabetta, una donna gioviale che amava più il cibo che se stessa. La mia infanzia fu ... infanzia passò nel terrore

Ivi era sospetta la presenza di un gruppo di zingari eretici, ed era richiesto che l’inquisizione si dirigesse nel luogo al fine di risolvere la faccenda. Fu lì che la conobbi. Si chiamava Esmeralda, era la più bella che avessi mai visto. Carnagione olivastra, capelli corvini e ricci lunghi fino alla schiena. Mai il mio cuore batté così tanto per una donna, figurarsi una gitana. Al tempo io avevo 53 anni, lei era sulla ventina. Le confessai il mio amore. Le dissi che avrei potuto salvarla dal destino che la attendeva, che sarebbe continuata a vivere. Lei rifiutò. La lussuria, l’ira, si impadronirono del mio corpo. La uccisi io stesso torturandola durante un interrogatorio. Non disse nulla, urlò solamente. D’altronde non c’era nulla che volevo sapere da lei e la uccisi, lentamente, mutilandola con la Corona Spinarum e bruciandola pezzo per pezzo. E godevo. Godevo nel vederla soffrire, contorcersi e bruciare mentre le domande che le porgevo restavano vuote nell’aria. Ci mise quasi una giornata intera a morire, e la mia sete di odio fu placata solo nel momento in cui di lei non rimase che un corpo bruciacchiato incatenato alla parete. Uccisi lei e tutta la sua combriccola di gitani, portando egregiamente a termine il mio incarico e tornai a Roma, ma un fuoco continuava a bruciarmi nel petto. Mi sentivo colpevole, colpevole nonostante fossi totalmente innocente. Avevo agito nel nome del Signore, eseguito alla perfezione i comandi del Grande Inquisitore Santarosa.. E allora cosa mi turbava così profondamente? Mi sentivo vuoto, vuoto e alla ricerca di qualcosa. La mia vita ebbe un successivo cambiamento nel novembre di quello stesso ann0. Era il 19 novembre del 1950, e mi venne affidato un incarico alquanto particolare. Dovevo giustiziare un uomo tenuto in carcere da anni, reo di un omicidio avvenuto accaduto anni prima del quale, tuttavia, inizialmente ebbi pochissime informazioni in merito. Solitamente agli inquisitori vengono dati tutti gli elementi del caso, quella volta mi fu semplicemente detto di interrogarlo e poi giustiziarlo, quasi come fosse un caso rimasto in sospeso da decine di anni delle quali era solo necessario sbarazzarsi in un modo o nell’altro. Mi costrinsero ad accomodarmi una sedia di legno marcio divorato dai tarli e lì, sul tavolo, trovai un fascicolo. Lo lessi attentamente, e compresi appieno la storia di quell’uomo. Evidentemente quel fascicolo sarà stato oggetto a chissà quale segretezza per venirmi consegnato solo qualche ora prima dell’incontro con l’uomo che di lì a poco avrei dovuto giudicare ma la sua storia.. Lui.. Qualcosa in lui era diverso. Rilessi quel fascicolo più e più volte. Voci nella sua testa, fuoco che sarebbe dovuto scaturire da un’arma che mai fu rinvenuta, la mia stessa presenza in quel luogo aveva un che di strano. Avrei dovuto credere che fossero tutte coincidenze? No.. No. Era Dio stesso che intendeva offrirmi una possibilità di redenzione ai suoi occhi. Se il fuoco nel mio cuore voleva allontanarmi dal Signore allora lo stesso fuoco mi avrebbe ad egli riavvicinato. Quando me lo portarono dinnanzi era malridotto, puzzava. Gli dissi tutto ciò che c’era da sapere, che io sapevo di lui. Nessun’altro se n’era reso conto, solo io ero riuscito a vedere oltre le apparenze, solo io avevo intravisto l’opera del Signore in quella combinazione così perfetta, così precisa di eventi. Lo stesso risveglio dei morti ai miei occhi assunse un’immagine diversa. Gli chiesi il suo nome.. Otto Milton. Lo invitai a richiedere la conversione perpetua, gli dissi che sarebbe vissuto ai miei comandi, ma che comunque sarebbe stato libero. Gli dissi che l’opera del Signore viveva in lui, ed egli accettò. Il fuoco è l’unica cosa che può distruggere i morti governati da Satana, un uomo come lui è sicuramente parte del grande progetto di Dio.Quando anche loro lo capiranno forse sarà troppo tardi. Lui sente le voci del Signore nella sua mente, io lo proteggerò. Ho salvato una piccola parte della salvezza dell’umanità. Dio stesso me ne sarà riconoscente. E da allora egli mi segue, lavora sotto il mio comando ed io lo proteggo. Il tempo intanto è continuato a scorrere, e nel gennaio del 1956 fui insignito della carica di Magister Inquisitoris. Ormai sono troppo vecchio per poter brandire la Capitalia Redemptrix ma essa viaggia sempre e comunque con me, come monito, come segno. Come Magister ho vissuto per qualche tempo a Roma, in quella città che sento mia, fino almeno all’ 8 aprile 1957, quando ricevetti una lettera. Mortara...