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1 Camera Penale di Pescara aderente all’Unione Camere Penali Italiane Gruppo di Studio e Ricerca Scuola di Formazione e Qualificazione dell’Avvocato Penalista XIV CORSO DI FORMAZIONE DEL PENALISTA MAGGIO 2017- MAGGIO 2019 Lezione: 19.6.2017 Materia: Diritto Penale Relatore: Aldo MANFREDI ARGOMENTO: LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE IL REATO CIRCOSTANZIATO IL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO E REATI ASSOCIATIVI. SCHEDA DIDATTICA n. 5 LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE Le cause di giustificazione (o scriminanti) sono particolari situazioni in presenza delle quali l’autore di un fatto, qualificabile come reato in quanto sussumibile sotto una fattispecie astratta del diritto penale sostanziale, diviene «non punibile». La Dottrina è da tempo divisa sia sulla loro collocazione sistematica all’interno della teoria generale del reato, sia sul loro fondamento. Secondo la concezione così detta “bipartita”, esse rappresentano elementi negativi del fatto tipico (non perfezionatosi a causa della giuridicità della condotta/omissione); per la concezione “tripartita”, invece, pur essendovi sia il fatto tipico che la colpevolezza, manca l’antigiuridicità della condotta/omissione, ritenuta terzo elemento necessario del reato. Il loro fondamento dogmatico, invece, è da alcuni ravvisato nel principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico (MANTOVANI, Diritto penale); da altri nell’esigenza di bilanciare interessi in conflitto, dando prevalenza ad uno di essi a seconda di regole generali - contenute appunto negli artt. 50 - 54 c.p. - da applicare al caso concreto (PADOVANI, Diritto penale); da altri ancora nella considerazione per cui alcuni comportamenti, essendo privi di offensività, non debbano (rectius possano) essere ritenuti illeciti (ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte generale). In ogni caso, è evidente che ogni causa di giustificazione ha una sua propria ragion d’essere e risponde ad una specifica esigenza. Passando alla disciplina positiva del fatto “giustificato”, esso è lecito sia sotto il profilo penale che extrapenale (e cioè per lintero ordinamento giuridico, stante lunitarietà dello stesso), ad eccezione dei fatti giustificati dallo stato di necessità di cui allart. 54 c.p., per i quali residua la responsabilità civile ex art. 2045 c.c.- Le cause di giustificazione, inoltre, sono governate dal principio della rilevanza obiettiva (art. 59 co. 1 c.p.) e dallefficacia scusante della loro putatività incolpevole (art. 59 co. 4 c.p.).

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Page 1: Camera Penale di Pescara · giuridico (MANTOVANI, Diritto penale); da altri nell’esigenza di bilanciare interessi in conflitto, dando prevalenza ad uno di essi a seconda di regole

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Camera Penale di Pescara aderente all’Unione Camere Penali Italiane

Gruppo di Studio e Ricerca Scuola di Formazione e Qualificazione dell’Avvocato Penalista

XIV CORSO DI FORMAZIONE DEL PENALISTA

MAGGIO 2017- MAGGIO 2019

Lezione: 19.6.2017 Materia: Diritto Penale

Relatore: Aldo MANFREDI

ARGOMENTO: LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE – IL REATO CIRCOSTANZIATO – IL

CONCORSO DI PERSONE NEL REATO E REATI ASSOCIATIVI.

SCHEDA DIDATTICA n. 5

LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE

Le cause di giustificazione (o scriminanti) sono particolari situazioni in presenza delle quali l’autore di

un fatto, qualificabile come reato in quanto sussumibile sotto una fattispecie astratta del diritto penale

sostanziale, diviene «non punibile».

La Dottrina è da tempo divisa sia sulla loro collocazione sistematica all’interno della teoria generale del

reato, sia sul loro fondamento.

Secondo la concezione così detta “bipartita”, esse rappresentano elementi negativi del fatto tipico (non

perfezionatosi a causa della giuridicità della condotta/omissione); per la concezione “tripartita”, invece, pur

essendovi sia il fatto tipico che la colpevolezza, manca l’antigiuridicità della condotta/omissione, ritenuta terzo

elemento necessario del reato.

Il loro fondamento dogmatico, invece, è da alcuni ravvisato nel principio di unitarietà dell’ordinamento

giuridico (MANTOVANI, Diritto penale); da altri nell’esigenza di bilanciare interessi in conflitto, dando

prevalenza ad uno di essi a seconda di regole generali - contenute appunto negli artt. 50 - 54 c.p. - da applicare

al caso concreto (PADOVANI, Diritto penale); da altri ancora nella considerazione per cui alcuni

comportamenti, essendo privi di offensività, non debbano (rectius possano) essere ritenuti illeciti

(ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte generale).

In ogni caso, è evidente che ogni causa di giustificazione ha una sua propria ragion d’essere e risponde

ad una specifica esigenza.

Passando alla disciplina positiva del fatto “giustificato”, esso è lecito sia sotto il profilo penale che

extrapenale (e cioè per l’intero ordinamento giuridico, stante l’unitarietà dello stesso), ad eccezione dei fatti

giustificati dallo stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., per i quali residua la responsabilità civile ex art. 2045

c.c.-

Le cause di giustificazione, inoltre, sono governate dal principio della rilevanza obiettiva (art. 59 co. 1

c.p.) e dall’efficacia scusante della loro putatività incolpevole (art. 59 co. 4 c.p.).

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V’è poi l’art. 55 c.p., rubricato “eccesso colposo”, ritenuto una norma di chiusura in tema di cause di

giustificazione. A ben vedere, esso esula dall’ambito di operatività delle cause di giustificazione in quanto dà

luogo alla configurazione di un fatto illecito (ossia, obiettivamente antigiuridico), che dovrebbe comportare

l’applicazione della sanzione penale. Tuttavia, la disciplina positiva è nel senso che la pena è effettivamente

posta a carico del reo solo nel caso in cui il travalicamento dei confini della scriminante sia, in qualche modo,

riconducibile alla condotta colposa dell’agente stesso, e sempre che il fatto sia previsto dalla legge come delitto

colposo.

La Giurisprudenza più recente riconosce, inoltre, quale causa di giustificazione non espressamente

codificata (e non più quale forma del consenso dell’avente diritto ex art. 50 c.p.), la “scriminante atipica”

dell’accettazione del rischio consentito da parte della persona offesa, applicata perlopiù in tema di attività

sportive.

In tema di legittima difesa, si segnala la proposta di legge C. 3785, approvata alla Camera dei Deputati

ed in attesa di discussione al Senato, che prevede la modifica dell’art. 52 c.p. mediante l’introduzione di un

nuovo secondo comma, il cui testo dovrebbe essere: «Fermo quanto previsto dal primo comma, si considera

legittima difesa, nei casi di cui all’articolo 614, primo e secondo comma, la reazione a un’aggressione

commessa in tempo di notte ovvero la reazione a seguito dell’introduzione nei luoghi ivi indicati con violenza

alle persone o alle cose ovvero con minaccia o con inganno» (per un primissimo commento alla proposta di

legge v. Tommaso Trinchera, Approvata dalla camera una proposta di riforma in materia di legittima difesa,

in Dir. pen. contemporaneo ed. online, 5 maggio 2017).

GIURISPRUDENZA

In tema di consenso dell’avente diritto:

1) Cassazione penale, sez. III, 18.5.2016, n. 37166

La scriminante putativa del consenso dell’avente diritto non è applicabile quando debba escludersi, in

base alle circostanze del fatto, la ragionevole persuasione di operare con l’approvazione della persona che può

validamente disporre del diritto. (Fattispecie in cui la Corte di Cassazione ha ritenuto corretta l’esclusione

dell’esimente con riferimento alla condotta di abuso sessuale commessa da uno psicologo nei confronti di

alcune pazienti, in condizioni di inferiorità psichica, cui veniva indotta la convinzione che le pratiche sessuali

fossero necessarie alla guarigione).

2) Cassazione penale, sez. I, 12.11.2015, n. 12928

In tema di omicidio del consenziente, il consenso è elemento costitutivo del reato, sicché ove il reo

incorra in errore circa la sussistenza del consenso trova applicazione la previsione dell’art. 47 c.p., in base al

quale l’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato di verso, nel

caso di specie individuabile nel delitto di omicidio volontario. (In motivazione, la Corte di Cassazione ha

precisato che il consenso previsto quale scriminante dell’art. 50 c.p. non corrisponde al consenso richiesto

dall’art. 579 c.p. atteso che, in questa seconda ipotesi, il consenso incide sulla tipicità del fatto e non quale mera

causa di giustificazione).

3) Cassazione penale, sez. V, 13.11.2014, n. 19215

In tema di consenso dell’avente diritto, non è sufficiente ad escludere l’antigiuridicità del fatto il

consenso ad attività lesive dell'integrità personale - sempre che queste non si risolvano in una menomazione

permanente che, incidendo negativamente sul valore sociale della persona umana, elide la rilevanza del

consenso prestato - espresso nel momento iniziale della condotta, essendo, invece, necessario che il consenso

stesso sia presente per l’intero sviluppo di questa. (Fattispecie concernente pratiche erotiche

sadomasochistiche).

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4) Cassazione penale, sez. V, 19.2.2014, n. 32024

Il presupposto per l’operatività della scriminante del consenso dell’avente diritto ex art. 50 c.p. è

rappresentato dalla libera determinazione della volontà del soggetto passivo del reato, scevra da

condizionamenti esterni. Tale scriminante non è applicabile, neanche nella forma putativa, quando debba

escludersi, in base alle circostanze del fatto, la ragionevole persuasione di operare con l’approvazione della

persona che può validamente disporre del diritto.

5) Cassazione penale, sez. IV, 27.11.2013, n. 2347

L’attività medico-chirurgica, per essere legittima, presuppone il “consenso” del paziente, che non si

identifica con quello di cui all’art. 50 c.p., ma costituisce un presupposto di liceità del trattamento: infatti, il

medico, di regola e al di fuori di taluni casi eccezionali (allorché il paziente non sia in grado per le sue

condizioni di prestare un qualsiasi consenso o dissenso, ovvero, più in generale, ove sussistano le condizioni

dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p.), non può intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del

paziente. In questa prospettiva, il “consenso”, per legittimare il trattamento terapeutico, deve essere

“informato”, cioè espresso a seguito di una informazione completa, da parte del medico, dei possibili effetti

negativi della terapia o dell’intervento chirurgico, con le possibili controindicazioni e l’indicazione della gravità

degli effetti del trattamento. Il consenso informato, infatti, ha come contenuto concreto la facoltà non solo di

scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di

decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Tale

conclusione, fondata sul rispetto del diritto del singolo alla salute, tutelato dall’art. 32 Cost. (per il quale i

trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge), sta a significare che il

criterio di disciplina della relazione medico-malato è quello della libera disponibilità del bene salute da parte

del paziente in possesso delle capacità intellettive e volitive, secondo una totale autonomia di scelte che può

comportare il sacrificio del bene stesso della vita e che deve essere sempre rispettata dal sanitario.

In tema di esercizio del diritto di cronaca:

6) Cassazione penale, sez. V, 14.9.2016, n. 42987

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non opera l’esimente del diritto di cronaca quando l’articolo

di giornale, nell’affrontare un argomento di pubblico interesse (nella specie: le conseguenze sociali delle

separazioni), contenga dati eccedenti lo scopo informativo, in quanto riferiti alla vita privata della parte offesa,

e tali da lederne la reputazione, in assenza di notorietà della stessa.

7) Cassazione penale, sez. I, 7.4.2016, n. 27984

Le scriminanti dell’esercizio del diritto di critica e del diritto di cronaca rilevano solo in relazione ai

reati commessi con la pubblicazione della notizia, e non anche rispetto ad eventuali reati compiuti al fine di

procacciarsi la notizia medesima. (Fattispecie in cui la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’imputato

del reato di cui all’art 650 c.p., il quale, nella sua qualità di giornalista, aveva violato il divieto prefettizio di

stazionare e circolare in una determinata zona nella quale lo stesso si era introdotto al fine di acquisire notizie

utili per la realizzazione di una trasmissione radiofonica, in differita, sulle manifestazioni del movimento “NO

T.A.V.”).

In tema di esercizio del diritto di critica:

8) Cassazione penale, sez. V, 15.12.2016, n. 4695

In tema di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste l’esimente del diritto di critica nella forma

satirica qualora essa, ancorché a sfondo scherzoso e ironico, sia fondata su dati storicamente falsi; tale esimente

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può, infatti, ritenersi sussistente quando l’autore presenti in un contesto di leale inverosimiglianza, di sincera

non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione delle persone di alto rilievo, una situazione e un

personaggio trasparentemente inesistenti, senza proporsi alcuna funzione informativa e non quando si diano

informazioni che, ancorché presentate in veste ironica e scherzosa, si rivelino false e, pertanto, tali da non

escludere la rilevanza penale.

9) Cassazione penale, sez. V, 18.11.2016, n. 4853

In tema di diffamazione, nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo

esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la

condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti,

ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione e legati ad un “botta e risposta” giornalistico che

tollera limiti più ampi alla tutela della reputazione.

10) Cassazione penale, sez. V, 20.4.2015, n. 20998

L’esercizio del diritto di critica politica può rendere non punibili espressioni anche aspre e giudizi di

per sé ingiuriosi, tesi a stigmatizzare comportamenti realmente tenuti dal soggetto criticato, rimanendo però

pacifico come non possa scriminare la falsa attribuzione di una condotta scorretta, utilizzata come fondamento

per l’esposizione a critica del soggetto stesso. (La Corte di Cassazione ha escluso, nella specie, l’ipotesi di

diffamazione in capo all'imputato che nel corso di una riunione indetta dall'Unione Nazionale Commercianti

Ortofrutta avente ad oggetto l'attività dell’Unione Regionale delle Bonifiche Emilia Romagna aveva definito i

Consorzi di bonifica dei “carrozzoni” evocandone la sostanziale inutilità, rientrando tale condotta nell'esercizio

legittimo dei diritto di critica e non costituendo una gratuita e ingiustificabile aggressione verbale).

In tema di esercizio di un diritto:

11) Cassazione penale, sez. III, 29.1.2015, n. 14960

In tema di cause di giustificazione, lo straniero imputato di un delitto contro la persona o contro la

famiglia (nella specie: maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, violazione degli obblighi di assistenza

familiare) non può invocare, neppure in forma putativa, la scriminante dell’esercizio di un diritto correlata a

facoltà asseritamente riconosciute dall’ordinamento dello Stato di provenienza, qualora tale diritto debba

ritenersi oggettivamente incompatibile con le regole dell'ordinamento italiano, in cui l’agente ha scelto di

vivere, attesa l’esigenza di valorizzare - in linea con l’art. 3 Cost. - la centralità della persona umana, quale

principio in grado di armonizzare le culture individuali rispondenti a culture diverse, e di consentire quindi

l’instaurazione di una società civile multietnica.

In tema di esercizio di un dovere:

12) Cassazione penale, sez. III, 13.10.2016, n. 50760

La causa di giustificazione prevista dall’art. 51 c.p. è applicabile esclusivamente ai rapporti di

subordinazione previsti dal diritto pubblico e non anche a quelli di diritto privato, sicché il dipendente privato

che riceva dal proprio datore di lavoro una qualunque disposizione operativa, è tenuto a verificarne la

rispondenza alla legge secondo gli ordinari canoni di diligenza e, qualora ne riscontri l’illegittimità, deve

rifiutarne l’esecuzione, senza che, altrimenti, possa ravvisarsi l’impossibilità di sottrarsi all’ordine che esclude

la punibilità della condotta.

13) Cassazione penale, sez. IV, 21.9.2016, n. 47056

In tema di “agente provocatore”, la scriminante dell’adempimento del dovere trova applicazione

esclusivamente nel caso in cui la sua condotta non si inserisca con rilevanza causale nell’ iter criminis, ma

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intervenga in modo indiretto e marginale concretizzandosi prevalentemente in un’attività di osservazione, di

controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui. (Fattispecie in tema di stupefacenti in cui l’agente,

operando sotto copertura ma al di fuori dell'ipotesi disciplinata dall'art. 97 D.P.R. n. 309/1990, aveva indotto un

informatore a procurarsi e a cedere un rilevante quantitativo di sostanza stupefacente).

14) Cassazione penale, sez. IV, 13.6.2013, n. 38130

In presenza di un ordine dell’autorità da riguardarsi come sostanzialmente illegittimo, ancorché

ragionevolmente non ritenuto per tale dal soggetto che lo ha emanato per mancata percezione del fatto che

costituiva la causa dell’illegittimità, non può ritenersi operante la scriminante di cui all’art. 51 c.p. in favore del

soggetto che, pur essendo invece consapevole della esistenza di quel fatto, abbia ciononostante posto in essere,

in adempimento dell’ordine, una condotta costituente reato. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la

Corte di Cassazione ha ritenuto che correttamente fosse stata affermata la penale responsabilità del conducente

di un autoveicolo per il reato di guida in stato di ebbrezza, in un caso in cui la condotta di guida era stata posta

in essere in adesione ad un ordine dato al medesimo conducente da un agente della polizia stradale, il quale non

aveva avuto modo di rendersi conto del suddetto stato).

In tema di legittima difesa:

15) Cassazione penale, sez. IV, 3.5.2016, n. 33591

L’accertamento della legittima difesa, anche putativa, deve essere effettuato valutando, con giudizio ex

ante, le circostanze di fatto, in relazione al momento della reazione e al contesto delle specifiche e peculiari

circostanze concrete, al fine di apprezzare solo in quel momento - e non ex post - l’esistenza dei canoni della

proporzione e della necessità di difesa, costitutivi dell’esimente della legittima difesa. (Fattispecie in tema di

omicidio preterintenzionale, in cui la Corte di Cassazione ha censurato la decisione che aveva escluso

l’esimente nei confronti dell’imputato che aveva cagionato la morte della persona offesa colpendola con un

pugno al volto e facendola cadere in terra, omettendo di considerare adeguatamente, e con giudizio ex ante, lo

stato di estrema concitazione e di oggettiva paura nel quale egli versava a seguito delle plurime e precedenti

aggressioni subite da parte della vittima che, seppure in evidente stato di ubriachezza, era risultata in grado di

correre, senza mostrare difficoltà nell’incedere o perdita di equilibrio).

16) Cassazione penale, sez. I, 7.1.2016, n. 17121

La legittima difesa putativa può configurarsi se e in quanto l’erronea opinione della necessità di

difendersi sia fondata su dati di fatto concreti, di per sé inidonei a creare un pericolo attuale, ma tali da

giustificare, nell’animo dell'agente, la ragionevole persuasione di trovarsi in una situazione di pericolo,

persuasione che peraltro deve trovare adeguata correlazione nel complesso delle circostanze oggettive in cui

l’azione della difesa venga a estrinsecarsi.

17) Cassazione penale, sez. I, 22.10.2015, n. 47177

La legittima difesa pretende requisiti che devono essere oggetto di rigorosa dimostrazione e che sono

costituiti da un’aggressione ingiusta e da una reazione legittima. Mentre l’aggressione ingiusta deve concretarsi

in un pericolo attuale di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione del diritto, la

reazione legittima deve inerire alla necessità di difendersi, all’inevitabilità del pericolo ed alla proporzione tra

difesa ed offesa.

18) Cassazione penale, sez. V, 19.2.2015, n. 32381

È inapplicabile al reato di rissa la causa di giustificazione della legittima difesa, considerato che i

corrissanti sono ordinariamente animati dall’intento reciproco di offendersi ed accettano la situazione di

pericolo nella quale volontariamente si pongono, con la conseguenza che la loro difesa non può dirsi

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necessitata; essa può, tuttavia, essere eccezionalmente riconosciuta quando, sussistendo tutti gli altri requisiti

voluti dalla legge, vi sia stata un’azione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia un’offesa che, per

essere diversa a più grave di quella accettata, si presenti del tutto nuova, autonoma ed in tal senso ingiusta.

19) Cassazione penale, sez. V, 20.1.2015, n. 9693

Non può configurarsi la legittima difesa allorquando la stessa finisca per configurarsi - nella

prospettazione difensiva - quale mera ipotesi, non suffragata da alcuna evenienza processuale e peraltro

svalutata sia dalla mancata specificazione delle circostanze in cui si sarebbe spiegata la reazione difensiva che

dalla mancata indicazione dei pericolo che, al momento della stessa, incombeva sul soggetto agente.

In tema di uso legittimo delle armi:

20) Cassazione penale, sez. IV, 14.7.2015, n. 36883

La circostanza negativa di non poter escludere che i fuggitivi fossero armati non legittima l’uso delle

armi in quanto, diversamente opinando, si dovrebbe giungere alla conclusione, del tutto inaccettabile, che in

ogni circostanza, non potendosi mai escludere che delle persone sospettate siano armate, l’uso delle armi sia

legittimo.

21) Cassazione penale, sez. V, 16.6.2014, n. 41038

Perché possa ritenersi integrata la scriminante prevista dall’art. 53 c.p., il ricorso all’uso delle armi deve

costituire l’ extrema ratio nella scelta dei mezzi necessari per l’adempimento del dovere, essendo esso

ammissibile solo quando non sono praticabili altre modalità d’intervento né sono superati i limiti di gradualità

dettati dalle esigenze del caso concreto ed è inoltre rispettato il principio di proporzione, inteso come requisito

implicito della scriminante in questione tra il bene leso e quello che l’adempimento del dovere di ufficio tende a

soddisfare in relazione alla specifica situazione. (Fattispecie in cui la Corte di Cassazione - ritenendo non

adeguatamente verificato il rispetto del principio di proporzione, avendo omesso la Corte territoriale di

accertare se gli agenti operanti potessero utilmente ricorrere ad altre forme di intervento - ha annullato con

rinvio la sentenza che aveva ravvisato la sussistenza della scriminante dell’uso legittimo delle armi per due

poliziotti i quali, nel corso di un inseguimento di tre individui su un motociclo in atteggiamento sospetto e privi

del casco protettivo, approfittando di un momento di quiete del traffico, avevano esploso verso l’alto un colpo

di fucile a pompa caricato a pallini antisommossa il cui proiettile, per cause accidentali, aveva attinto gli

inseguiti).

In tema di stato di necessità:

22) Cassazione penale, sez. VI, 15.9.2016, n. 41697

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’indisponibilità da parte dell’obbligato dei

mezzi economici necessari ad adempiere si configura come scriminante soltanto se perdura per tutto il periodo

di tempo in cui sono maturate le inadempienze e non è dovuta, anche solo parzialmente, a colpa dell’obbligato

(Fattispecie in cui la Corte di Cassazione ha escluso che lo stato di detenzione dell’obbligato integrasse una

causa di forza maggiore idonea a scriminarne l’inadempimento, rilevando che tale condizione era a questi

imputabile e che, comunque, lo stato detentivo si era protratto per pochi mesi in relazione alla durata di oltre

cinque anni dell’inadempimento).

23) Cassazione penale, sez. III, 11.5.2016, n. 35590

L’esimente dello stato di necessità postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non

scongiurabile se non attraverso l’atto penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente

provocati da uno stato di bisogno economico, qualora ad esso possa comunque ovviarsi attraverso

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comportamenti non criminalmente rilevanti. (Fattispecie di detenzione e vendita di prodotti audiovisivi privi del

contrassegno S.I.A.E. da parte di cittadino extracomunitario, nella quale la Corte di Cassazione ha negato la

configurabilità dell’esimente, osservando che alle esigenze delle persone indigenti è possibile provvedere per

mezzo degli istituti di assistenza sociale).

24) Cassazione penale, sez. V, 13.7.2015, n. 3967

La situazione di indigenza non è di per sé idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per

difetto degli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che

versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale. (Fattispecie in tema di

furto con strappo di cui all’art. 624 bis c.p.).

25) Cassazione penale, sez. III, 16.7.2015, n. 40270

È configurabile la causa di giustificazione dello stato di necessità (art. 54 c.p.) nei confronti di soggetto

straniero, ridotto in condizione di schiavitù e obbligato a prostituirsi, il quale sia costretto a commettere il reato

di atti osceni in luogo pubblico per il timore che, in caso di disobbedienza, possa essere esposta a pericolo la

vita o l’incolumità fisica dei suoi familiari. (In motivazione, la Corte di Cassazione ha osservato che la

condizione di “asservimento”, collegata a ripetute condotte di costrizione mediante violenza e minaccia ed al

permanere dello sfruttamento nei suoi confronti, impedisce al soggetto di sottrarsi all'esercizio della

prostituzione con le modalità, anche pubblicamente oscene, imposte dagli sfruttatori o dal cliente occasionale,

precludendogli altresì di rivolgersi alle Forze dell'Ordine o anche solo di collaborare).

26) Cassazione penale, sez. II, 26.3.2015, n. 28067

L’illecita occupazione di un immobile è scriminata dallo stato di necessità solo in presenza di un

pericolo imminente di danno grave alla persona, non potendosi legittimare - nelle ipotesi di difficoltà

economica permanente, ma non connotata dal predetto pericolo - una surrettizia soluzione delle esigenze

abitative dell’occupante e della sua famiglia.

27) Cassazione penale, sez. IV, 9.1.2015, n. 15167

In tema di stato di necessità determinato dall’altrui minaccia, deve escludersi la configurabilità della

scriminante quando il soggetto minacciato abbia la possibilità di sottrarsi alla costrizione ricorrendo alla

pubblica autorità; il che è possibile anche quando la minaccia provenga da un soggetto investito di pubbliche

funzioni, attesa l’esistenza di una pluralità di istituzioni aventi compiti di tutela del cittadino, con conseguente

possibilità, per quest’ultimo, di rivolgersi utilmente ad una di esse (Nella specie, in applicazione di tale

principio, la Corte di Cassazione ha ritenuto che bene fosse stata esclusa la sussistenza della scriminante in

questione in un caso in cui l’imputato aveva effettuato l’acquisto di un quantitativo di sostanza stupefacente

perché asseritamente costrettovi da un funzionario di polizia il quale, volendo effettuare - come poi avvenuto -

un intervento che portasse alla identificazione e all’arresto del venditore, aveva minacciato lo stesso imputato di

fargli chiudere il pubblico esercizio di cui egli era titolare, qualora avesse rifiutato la sua collaborazione per la

realizzazione di detta operazione).

In tema di eccesso colposo:

28) Cassazione penale, sez. V, 31.1.2017, n. 11084

L’eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti ad essa

immanenti e per tale motivo, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa

legittima, è necessaria operare una valutazione preliminare dell’inadeguatezza della reazione difensiva per

l’eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con

valutazione ex ante, e, poi, procedere ad una ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di

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valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell’eccesso

colposo delineato dall’art. 55 c.p., mentre il secondo consiste in una scelta volontaria, la quale comporta il

superamento doloso degli schemi della scriminante.

29) Cassazione penale, sez. I, 5.11.2014, n. 51070

Per quanto attiene al rapporto tra omicidio volontario, legittima difesa ed eccesso colposo, la reazione

legittima dev’essere necessaria per salvaguardare il bene in pericolo, ponendosi in tal caso l’aggressione come

unico modo per salvare il diritto minacciato, nel rispetto della proporzionalità dell’offesa nei confronti del bene

minacciato. Il requisito della proporzione dev’essere sempre escluso, quindi, nel caso di conflitto fra beni

eterogenei, allorché la consistenza dell’interesso leso (vita o incolumità fisica) sia più rilevante sul piano dei

valori costituzionali, rispetto a quello minore difeso. (Nel caso di specie è stata riconosciuto l’eccesso colposo

di legittima difesa in capo all’imputato che, a seguito di una colluttazione, aveva disarmato la vittima in stato di

ebbrezza, ferendola mortalmente con diversi colpi all’addome).

30) Cassazione penale, sez. I, 14.2.2014, n. 15742

La norma di cui all'art. 55 c.p. non può trovare applicazione in assenza di scriminante; in effetti, non

può essere configurato l'eccesso colposo previsto in mancanza di una situazione di effettiva sussistenza della

singola scriminante, di cui si eccedono colposamente i limiti. Per aversi “eccesso” devono, pertanto, esistere

tutti i presupposti della scriminante.

31) Cassazione penale, sez. IV, 14.3.2013, n. 19375

In tema di legittima difesa, la presunzione di proporzionalità a favore della reazione di difesa in luoghi

di domicilio o ad esso equiparabili, prevista dal comma secondo dell'art. 52 c.p., come modificato dalla l. n. 59

del 2006, non opera con riguardo a condotte compiute nell’abitacolo di una autovettura, trattandosi di spazio

privo dei requisiti minimi necessari per potervi soggiornare per un apprezzabile periodo di tempo e nel quale

non si compiono atti caratteristici della vita domestica. (Fattispecie nella quale l’imputato, che dall’autovettura

aveva colpito mortalmente alcuni aggressori con un’arma da fuoco, è stato ritenuto responsabile del reato di

omicidio colposo plurimo per aver ecceduto i limiti della legittima difesa).

In tema di accettazione del rischio consentito:

32) Cassazione penale, sez. IV, 26.11.2015, n. 9559

In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva che implichi l’uso della forza

fisica e il contrasto anche duro tra avversari, l’area del rischio consentito è delimitata dal rispetto delle regole

tecniche del gioco, la violazione delle quali, peraltro, va valutata in concreto, con riferimento all’elemento

psicologico dell’agente il cui comportamento può essere - pur nel travalicamento di quelle regole - la colposa,

involontaria evoluzione dell’azione fisica legittimamente esplicata o, al contrario, la consapevole e dolosa

intenzione di ledere l’avversario approfittando della circostanza del gioco. (Fattispecie nella quale la Corte di

Cassazione, escludendo la configurabilità di un’aggressione fisica per ragioni avulse dalla dinamica sportiva, ha

ritenuto applicabile la scriminante del rischio consentito nella condotta del giocatore che, in un incontro di

calcio di particolare rilevanza agonistica, durante un’azione volta a interrompere il contropiede della squadra

avversaria, aveva colpito uno degli avversari con un calcio, causandogli una frattura, pur intendendo intervenire

sulla palla).

33) Cassazione penale, sez. V, 24.6.2015, n. 39805

In tema di competizioni sportive, non è applicabile la cosiddetta scriminante del rischio consentito,

qualora, nel corso di un incontro di calcio, l’imputato colpisca l’avversario con un pugno al di fuori di

un’azione ordinaria di gioco, trattandosi di dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica

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sportiva, considerato che nella disciplina calcistica l’azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del

pallone ovvero da movimenti, anche senza palla, funzionali alle più efficaci strategie tattiche (blocco degli

avversari, marcamenti, tagli in area ecc.) e non può ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avvenga in

campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare dell'incontro.

IL REATO CIRCOSTANZIATO

Un determinato fatto storico, che integra una fattispecie criminosa tipica in ogni suo elemento, può

essere caratterizzato anche da ulteriori situazioni o fattori che lo specificano e che ne graduano il disvalore.

Le circostanze si definiscono quindi come elementi accidentali ed accessori del reato con una valenza

esterna ad una condotta già esaurita: la loro presenza trasforma il reato semplice in reato circostanziato,

aggravato o attenuato.

Circa gli effetti, esse vanno ad incidere sulla gravità del reato, ovvero rilevano come indici della

capacità a delinquere del soggetto, comportando una modificazione quantitativa o qualitativa della pena, e

determinando - talvolta - ulteriori effetti (in tema di prescrizione del reato, di procedibilità, di competenza e di

misure cautelari).

A seguito della riforma del 1990, le circostanze aggravanti possono imputarsi al reo solo se da lui

«conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa» (art. 59 co. 2 c.p.),

mentre è rimasta inalterata l’applicazione obiettiva delle circostanze attenutati (cioè indipendente dalla

conoscenza che di esse aveva il reo).

Accanto alle circostante (aggravanti ed attenuanti) comuni, vi sono le circostanze attenuanti generiche

ex art. 62 bis c.p., la cui disciplina è stata da ultimo modificata dal D.L. n. 92/2008 (che vi ha aggiunto il terzo

comma, il quale impone ora un onere motivazionale rafforzato al Giudice che intenda riconoscere tali

circostanze).

Rilevante è poi la disciplina dell’imputabilità delle circostanze ai concorrenti ex art. 118 c.p., poste le

incertezze della Giurisprudenza in ordine all’individuazione delle circostanze soggettive non estensibili ai

concorrenti.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono recentemente pronunciate in tema di circostanze c.d.

indipendenti che comportino un aumento di pena non superiore ad un terzo, escludendo che esse incidano sui

termini di prescrizione del reato in quanto non possono qualificarsi quali circostanze ad effetto speciale.

Si segnala, poi, l’ennesimo intervento sull’art. 69 co. 4 c.p.della Corte Costituzionale, la quale con la

sent. n. 74/2016 ha dichiarato incostituzionale il predetto articolo, nella parte in cui prevede il divieto di

prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73 co. 7 del D.P.R. n. 309/90 sulla recidiva reiterata, per

violazione del principio di uguaglianza.

GIURISPRUDENZA

In tema di imputazione delle circostanze:

1) Cassazione penale, sez. II, 7.12.2016, n. 197

Ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale,

non è sufficiente l’intima convinzione dell’agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile, essendo

necessaria l’obiettiva rispondenza del movente della condotta a valori etici o sociali condivisi e riconosciuti

come preminenti dalla coscienza collettiva; ne consegue che l’attenuante non può trovare applicazione se il

fatto di particolare valore morale o sociale esiste soltanto nell’erronea opinione del soggetto attivo del reato,

anche in ragione della disciplina prevista dall'art. 59 c.p., in base alla quale le circostanze devono essere

applicate per le loro connotazioni oggettive. (Fattispecie nella quale la Corte di Cassazione ha confermato la

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sentenza di appello che non aveva riconosciuto l’attenuante nella condotta di danneggiamento compiuta

dall’imputato, durante una conferenza in un’aula universitaria, per contestare le missioni di pace dei militari

italiani all’estero).

2) Cassazione penale, sez. VI, 13.10.2016, n. 52321

La valutazione delle circostanze aggravanti a carico del soggetto agente in base all’art. 59 co. 2 c.p.

riguarda non solo quelle antecedenti o contemporanee alla condotta dell’agente, ma anche quelle successive. Di

talché, in relazione a queste ultime, la conoscenza o l’ignoranza per colpa significano “previsione” o

“prevedibilità” della circostanza, atteso che si può parlare di “conoscenza” o di “ignoranza per colpa” in merito

a dati già esistenti e non a quelli che vengono ad essere integrati in un momento successivo alla condotta

In tema di circostanze aggravanti comuni:

3) Cassazione penale, sez. VI, 22.3.2017, ord. n. 17937

In tema di circostanze del reato, l’aggravante della minorata difesa è configurabile quando l’agente

abbia approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare

la pubblica o privata difesa, ovvero di condizioni oggettive conosciute dall'agente e delle quali lo stesso abbia

consapevolmente approfittato. (Ordinanza in tema di truffe on line, ritenute aggravate ex art. 61 n. 5 c.p. in

quanto «la distanza rispetto al luogo in cui si trova l’acquirente del prodotto on line, che di norma ne ha pagato

anticipatamente il prezzo, secondo la prassi di tale tipo di transazioni e come avvenuto nel caso in esame, è

l’elemento che pone l’autore della truffa in una posizione di forza e di maggior favore rispetto alla vittima,

consentendogli di schermare la sua identità, di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun controllo preventivo

da parte dell’acquirente e di sottrarsi comodamente alle conseguenze dell'azione commesse pubblicizzando i

prodotti su siti internet»).

4) Cassazione penale, sez. I, 2.3.2017, n. 12328

La circostanza aggravante cui all’art. 61 co. 1 n. 11 quinquies c.p., introdotta dalla legge n. 119/2013, è

configurabile tutte le volte che i minore degli anni diciotto percepisca la commissione del reato e anche quanto

la sua presenza non sia visibile dall’autore il quale, tuttavia, ne abbia la consapevolezza o avrebbe dovuto

averla usando l’ordinaria diligenza.

5) Cassazione penale, sez. II, 25.11.2016, n. 9730

Sussiste l’aggravante dell’abuso di relazioni di prestazione d’opera, di cui all'art. 61 n. 11 c.p., nel caso

di reato commesso quando l’agente non sia più alle dipendenze della persona offesa ove si accerti che l’autore

del reato abbia comunque tratto profitto dalle condizioni favorevoli create dal preesistente rapporto di lavoro.

6) Cassazione penale, sez. I, 7.10.2015, n. 48859

Ai fini del riconoscimento dell’esimente della provocazione nei delitti contro l’onore, non è necessario

che la reazione venga attuata nello stesso momento in cui sia ricevuta l’offesa, essendo sufficiente che essa

abbia luogo finché duri lo stato d’ira suscitato dal fatto provocatorio.

In tema di circostanze attenuanti comuni:

7) Cassazione penale, sez. I, 7.10.2016, n. 1089

In tema di omicidio, l’attenuante della provocazione è inapplicabile pur in presenza di fatti

apparentemente ingiusti della vittima allorché la reazione appaia sotto ogni profilo eccessiva e così inadeguata

rispetto all’episodio ultimo dal quale trae spunto, da fare escludere la sussistenza di un ragionevole nesso

causale tra offesa, sia pure potenziata per accumulo, e reazione.

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In tema di circostanze attenuanti generiche:

8) Cassazione penale, sez. II, 13.12.2016, n. 54573

Ritenuta la continuazione tra più reati, il giudice può riconoscere le attenuanti generiche solo per alcuni

di essi, con la conseguenza che le attenuanti generiche riconosciute solo per il reato più grave non si estendono

a quelli satellite.

9) Cassazione penale, sez. II, 20.1.2016, n. 3896

In tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la ratio della disposizione di cui all’art.

62 bis c.p. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva,

essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla

concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base ai

precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un

giudizio di disvalore sulla sua personalità.

In tema di applicazione degli aumenti e delle diminuzioni di pena:

10) Cassazione penale, sez. Unite, 31.3.2016, n. 36272

Ai fini dell’individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile la disciplina dell’istituto della

sospensione del procedimento con messa alla prova, il richiamo contenuto all’art. 168 bis c.p. alla pena edittale

detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie-base,

non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese quelle ad effetto speciale e quelle

per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato.

In tema di giudizio di comparazione:

11) Corte Costituzionale, ud. 24.2.2016 - dep. 7.4.2016, n. 74, Pres. Frigo, Rel. Lattanzi

È costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., l’art. 69, quarto comma, cod. pen.,

come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui prevede il divieto di

prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 7, del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo

unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e

riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma,

cod. pen. La circostanza prevista dall’art. 73, comma 7, del D.P.R. n. 309 del 1990, espressione di una scelta di

politica criminale di tipo premiale, incentiva mediante una sensibile diminuzione di pena il ravvedimento post-

delittuoso del reo, rispondendo sia all’esigenza di tutela del bene giuridico sia a quella di prevenzione e

repressione dei reati in materia di stupefacenti. Tuttavia, la ratio della suddetta circostanza attenuante risulta

frustrata in modo manifestamente irragionevole dal momento che essa non può operare nel caso di recidiva

reiterata. Attribuendosi, infatti, rilevanza insuperabile alla precedente attività delittuosa del reo rispetto alla

condotta di collaborazione successiva alla commissione del reato, viene meno quell’incentivo sul quale lo

stesso legislatore aveva fatto affidamento per stimolare l’attività collaborativa.

12) Cassazione penale, sez. III, 22.10.2015, n. 44633

Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione

discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero

arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione; tale deve ritenersi quella che per

giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a considerarla la più idonea a realizzare l’adeguatezza

della pena irrogata in concreto.

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In tema di circostanze e prescrizione:

13) Cassazione penale, sez. Unite, 27.4.2017, ric. Quarticelli

Ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, le circostanze c.d. indipendenti che

comportano un aumento di pena non superiore ad un terzo (nella specie quella di cui all’art. 609-ter, primo

comma, cod. pen.), non rientrano nella categoria delle circostanze ad effetto speciale. (Informazione

provvisoria).

In tema di furto:

14) Cassazione penale, sez. Unite, 27.4.2017, ric. Quarticelli

In tema di furto, non è configurabile la circostanza aggravante della destrezza quando l’agente si limiti

ad “approfittare” di una situazione oggettiva di temporanea distrazione della persona offesa. (Informazione

provvisoria).

15) Cassazione penale, sez. V, 29.9.2015, n. 1779

Ai fini della configurabilità dell’aggravante della destrezza, la modalità della condotta deve pur sempre

concretizzarsi in un quid pluris rispetto all’ordinaria materialità del fatto-reato, ossia a quanto comunemente

necessario per porre in essere la condotta furtiva, sì da non essere integrata, come nel caso in esame, dal mero

prelievo, senza un approfittamento della disattenzione altrui che nella vendita self service non è configurabile,

della merce esposta negli appositi scaffali e dal suo repentino occultamento. (Nel caso di specie è stata esclusa

l’aggravante de qua nella condotta dell’imputato che aveva tentato il furto di alcuni libri prelevati dagli scaffali

di una libreria e messi in una borsa).

IL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO E REATI ASSOCIATIVI

Negli ordinamenti “a legalità formale”, è teoricamente punibile soltanto chi realizza la fattispecie tipica

in tutti i suoi elementi costitutivi: in base alla norma di parte speciale sono soggetti a rimprovero penale solo

quel o quei concorrenti che pongano in essere, ciascuno (e per intero), la condotta tipica.

Tuttavia l’esigenza di non lasciare impunite tutte quelle forme di condotta condizionanti o agevolatrici

della condotta tipica e caratterizzanti le ipotesi di “esecuzione frazionata del reato” ha reso necessario

l’introduzione nell’ordinamento delle regole dettate dagli artt. 110 e seguenti c.p.-

In tale prospettiva, l’art. 110 c.p. svolge una funzione incriminatrice ed insieme di disciplina: attraverso

tale norma, infatti, si rendono “tipiche” e - quindi - punibili, condotte non interamente riconducibili alla

fattispecie di parte speciale.

Al riguardo, si parla perciò di fattispecie del “concorso di persone nel reato”, nascente dalla

combinazione della norma sul concorso (gli artt. 110 e ss. appunto) con la fattispecie incriminatrice

(“monosoggettiva”) di parte speciale.

Viceversa, i reati plurisoggettivi in senso proprio (altrimenti detti “a concorso necessario”) si

caratterizzano per il fatto che è la stessa norma di parte speciale che richiede, ai fini della integrazione del reato,

la presenza di più soggetti attivi (v. ad es. i c.d. reati associativi).

Problema interpretativo centrale, nell’ambito del tema del concorso di persone nel reato, concerne

proprio la rilevanza penale dei c.d. “contributi atipici”.

Aspetto in relazione al quale – stante la mancata compiuta tipizzazione legislativa degli elementi

costitutivi della “partecipazione concorsuale” – le diverse opzioni ricostruttive devono necessariamente

conciliarsi con i principi generali del diritto penale: in particolare, con il principio di tassatività (quale

corollario del principio di legalità), poiché sarebbe incoerente esigere che la fattispecie monosoggettiva sia

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individuabile – in termini di tipizzazione – con un ragionevole grado di certezza, e lasciare indefinita quella

plurisoggettiva; con il principio di materialità, in quanto ciascun concorrente deve porre in essere un

comportamento materiale esteriore; ed infine con il principio di responsabilità personale, in quanto il

comportamento medesimo deve concretizzarsi in un contributo rilevante, sul piano materiale o morale, alla

realizzazione del reato.

GIURISPRUDENZA

Sul concorso materiale e morale:

1) Cassazione penale, sez. IV, 5.4.2017, n. 21911

Al fine di dimostrare il contributo concorsuale, è anche sufficiente cogliere gli aspetti sintomatici atti a

giustificare la condotta del presunto concorrente come consapevole partecipazione criminosa - morale o

materiale - alla condotta criminosa. (Fattispecie in tema di associazione finalizzata al traffico internazionale di

stupefacenti).

2) Cassazione penale, sez.VI, 7.12.2016, n. 2668

Il reato di favoreggiamento non è configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze

stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perché, nei reati permanenti, qualunque agevolazione del

colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve - salvo che non sia diversamente

previsto - in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale.

3) Cassazione penale, sez. II, 20.10.2016, n. 48029

Ai fini dell’accertamento del concorso di persone nel reato, il giudice di merito non è tenuto a precisare

il ruolo specifico svolto da ciascun concorrente nell’ambito dell’impresa criminosa, essendo sufficiente

l’indicazione, con adeguata e logica motivazione, delle prove sulle quali ha fondato il libero convincimento

dell’esistenza di un consapevole e volontario contributo, morale o materiale, dato dall’agente alla realizzazione

del reato.

4) Cassazione penale, sez. VI, 21.7.2015, n. 36941

Il principio della pari responsabilità dei concorrenti accolto dall’art. 110 c.p., (“quando più persone

concorrono nel medesimo reato, ciascuna soggiace alla pena per questo stabilita”) non significa che l’interprete

sia esentato dall’individuare l’autore o i coautori del reato, ovvero di colui o di coloro che materialmente ne

compiono l’azione tipica. L’istituto disciplinato dall’art. 110 c.p., postula, infatti, la necessaria esistenza di uno

o più autori rispetto alla fattispecie monosoggettiva e l’impossibilità di individuarli, attribuendo però la

responsabilità a soggetti terzi a titolo di concorso, finisce per tradursi in una sorta di responsabilità oggettiva, di

sistema o di contesto come nella presente fattispecie, contrastante come anzidetto con il principio di personalità

della responsabilità. Ove, infatti, risulti impossibile attribuire all’imputato specifiche condotte materiali,

l’attribuzione a suo carico di una responsabilità a titolo di concorso morale passa attraverso la nota figura

dogmatica della partecipazione psichica, che può avere luogo secondo diverse modalità tanto nella fase ideativa

quanto in quelle preparatorie o esecutive del reato, sotto forma di istigazione o di rafforzamento della

determinazione criminosa dell’agente, ma sempre in rapporto ad uno o più autori materiali del reato.

5) Cassazione penale, sez. I, 21.1.2015, n. 7845

In tema di concorso di persone nel reato, nel caso in cui all’imputato sia stata contestata sia la

partecipazione materiale al fatto delittuoso che quella morale, la condanna solo per quest’ultima non comporta

una pronunzia assolutoria parziale rispetto al contributo materiale al reato, poiché la statuizione sul ruolo

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assunto dal giudicabile non costituisce punto di decisione, in relazione al quale può formarsi una preclusione

processuale o può operare il divieto di reformatio in peius.

6) Cassazione penale, sez. III, 16.5.2013, n. 39784

Ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume

rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche

quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione,

sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è

sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un

contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o

l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a

facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato.

Sul concorso materiale mediante omissione:

7) Cassazione penale, sez. V, 14.1.2016, n. 18985

I componenti del collegio sindacale concorrono nel delitto di bancarotta commesso dall’amministratore

della società anche per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti dagli artt. 2403 c.c. e ss.,

che non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli

amministratori ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della

gestione sociale, a tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali.

8) Cassazione penale, sez. I, 23.9.2013, n. 43273

È configurabile il concorso per omissione, ex art. 40, co. 2, c.p., rispetto anche ai reati di mera condotta,

a forma libera o vincolata.

Sul solo concorso morale:

9) Cassazione penale, sez. VI, 5.7.2013, n. 39030

Riguardo alla forma della istigazione, occorre che il soggetto a cui tale condotta è addebitata faccia

sorgere in altri il proposito criminoso ovvero soltanto lo rafforzi, di modo che se manca la prova sul punto la

partecipazione morale al delitto non può essere data per presunta solo perché vi è un generico interessamento a

che si realizzi l’evento vietato, dovendosi sempre dare conto degli elementi fattuali dai quali ricavare

l’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa, preparatoria od esecutiva del reato, precisando sotto

quale forma essa si sia concretamente manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in

essere dagli altri concorrenti. (Nel caso di specie la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di

condanna nei confronti di un politico che, nell’ambito della nomina di un dirigente di una struttura sanitaria,

aveva manifestato in maniera certa il proprio interessamento a che il soggetto, poi ingiustamente nominato dal

direttore generale, fosse preferito agli altri legittimi concorrenti).

Su concorso e connivenza:

10) Cassazione penale, sez. VI, 6.12.2016, n. 1986

Per la configurabilità del concorso di persone nel reato è necessario che il concorrente abbia posto in

essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato,

mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il

partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della

produzione del reato. (Fattispecie in cui la Corte di Cassazione ha escluso la configurabilità del concorso nel

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delitto di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/1990 sulla base della mera presenza dell’imputato all’interno di

un’autovettura, appartenente ad altri ed in cui viaggiava quale passeggero, nella quale era stata rinvenuta

sostanza stupefacente occultata all’interno del cruscotto).

11) Cassazione penale, sez. III, 22.9.2015, n. 41055

In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, integra la connivenza non punibile una condotta

meramente passiva, consistente nell'assistenza inerte, inidonea ad apportare un contributo causale alla

realizzazione dell’illecito, di cui pur si conosca la sussistenza, mentre ricorre il concorso nel reato nel caso in

cui si offra un consapevole apporto - morale o materiale - all’altrui condotta criminosa, anche in forme che

agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente. (Fattispecie in cui la Corte di Cassazione ha

escluso che fosse sufficiente per configurare il concorso nella detenzione di sostanza stupefacente

l’accertamento di un rapporto di coabitazione nell’appartamento in cui la droga era custodita, non ravvisando a

carico del convivente alcun obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40 c.p.).

12) Cassazione penale, sez. VI, 6.11.2013, n. 46488

La partecipazione nel reato può manifestarsi in forme di “presenza”, sempre che le stesse agevolino la

condotta illecita, anche solo assicurando all’altro concorrente stimolo all’azione o a un maggior senso di

sicurezza nella propria condotta, e palesino una chiara adesione dell’agente alla condotta delittuosa. Occorre

insomma un contributo causale, seppure in termini minimi di “facilitazione” della condotta delittuosa, mentre la

semplice conoscenza o anche l'adesione morale, l'assistenza inerte e senza iniziative a tale condotta non

realizzano la fattispecie concorsuale .

Sull’elemento soggettivo:

13) Cassazione penale, sez. V, 26.6.2015, n. 44402

La responsabilità di chi coopera ad un fatto criminoso non presuppone la convergenza psicologica

sull’evento finale perseguito da altro dei concorrenti, essendo sufficiente che il suo apporto sia stato prestato

con consapevole volontà di contribuire, anche solo agevolandola, alla verificazione del fatto criminoso.

(Fattispecie in cui l’imputato era accusato in relazione ai delitti di cui agli artt. 110, 81, 610, c.p. per essere

stato presente mentre la di lui convivente aveva minacciato la persona offesa).

14) Cassazione penale, sez. V, 18.3.2015, n. 36000

Vi è concorso di persone nel reato anche laddove il contributo causale offerto dal concorrente non sia

preceduto da un accordo con altri e anche se non vi è reciproca consapevolezza della sua prestazione. È

sufficiente, infatti, la consapevolezza unilaterale del contributo alla condotta di un altro soggetto, ancorché

questi sia ignaro dell’aiuto prestatogli. Non ricorre la violazione del principio di correlazione tra accusa e

sentenza se ad una contestazione monosoggettiva segua una condanna per lo stesso fatto a titolo di concorso

con altri.

Sul concorso colposo nel reato doloso:

15) Cassazione penale, sez. IV, 27.4.2015, n. 22042

Il concorso colposo è configurabile anche rispetto al delitto doloso, sia nel caso in cui la condotta

colposa concorra con quella dolosa alla causazione dell’evento secondo lo schema del concorso di cause

indipendenti, sia in quello della cooperazione colposa purché, in entrambi i casi, il reato del partecipe sia

previsto dalla legge anche nella forma colposa e nella sua condotta siano presenti gli elementi della colpa, in

particolare la finalizzazione della regola cautelare violata alla prevenzione del rischio dell’atto doloso del terzo

e la prevedibilità per l’agente dell’atto del terzo. (In applicazione del principio, la Corte di Cassazione ha

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ritenuto configurabile il concorso colposo del medico nel delitto doloso di omicidio commesso dal paziente,

suicidatosi nelle immediatezze del fatto, avendo egli, attestato, contrariamente al vero, che l’imputato non era

affetto da turbe psicofisiche, così da consentirgli di ottenere il porto d’armi).

Sulla circostanza attenuante ex art. 114 c.p.:

16) Cassazione penale, sez. VI, 11.4.2017, n. 22560

Per integrare la circostanza attenuante della minima partecipazione ex art. 114 c.p. non basta una

minore efficacia causale della condotta di un correo rispetto a quella degli altri, ma occorre che il

suo contributo sia stato del tutto marginale nella realizzazione del reato, tale che la sua mancanza non avrebbe

comportato apprezzabili conseguenze sullo sviluppo della serie causale produttiva dell’evento. In questa

prospettiva non basta comparare le condotte dei vari concorrenti, ma occorre anche accertarne - valutando tutte

le componenti (soggettive, oggettive e ambientali) concrete del fatto - il grado di efficienza causale rispetto alla

produzione dell’evento.

17) Cassazione penale, sez. III, 14.9.2016, n. 47968

La circostanza attenuante della partecipazione di minima importanza al reato, di cui all’art. 114, co. 1,

c.p., presupponendo un apporto differenziato nella preparazione o nell’esecuzione materiale del reato stesso,

non è applicabile ai reati omissivi in quanto il non facere è concetto ontologicamente antitetico alla sussistenza

dei requisiti richiesti per il suo riconoscimento.

Sul mero accordo a commettere un reato, non punibile ex art. 115 c.p.:

18) Cassazione penale, sez. IV, 15.10.2013, n. 46752

Non può considerarsi punibile il c.d. “tentativo di concorso”, cioè l’attività, svolta al fine di realizzare

un concorso nel reato, non seguita dalla commissione del reato medesimo, consumato o tentato. (La Corte di

Cassazione conferma tale assunto, desumibile dal disposto di cui all’art. 115 c.p., per cui il mero accordo e la

semplice istigazione – benché possano essere “indici” di pericolosità sociale dei soggetti – rappresentino nel

nostro ordinamento un quid minoris del tentativo punibile. Nel caso di specie, in particolare, la Corte ha

ritenuto di alcuna rilevanza penale – neppure sotto la forma del tentativo – la condotta di due soggetti i quali

avevano concordato un trasporto di droga dall’estero, intento criminoso successivamente non realizzato. Tale

condotta, tuttavia, caratterizzata da evidenti tratti di pericolosità sociale, è apparsa alla Corte di Cassazione tale

da giustificare, ai sensi dell’art. 115 c.p., l’applicazione a carico degli imputati della misura di sicurezza della

libertà vigilata).

19) Cassazione penale, sez. I, 5.7.2013, n. 35778

Si configura nei confronti del mandante di un omicidio l’ipotesi prevista dall'art. 115 c.p. nel caso in

cui l’esecutore materiale desista dall’azione senza porre in essere alcuna attività penalmente rilevante.

Sul concorso di persone nel reato associativo:

a) sull’ammissibilità del c.d. concorso esterno:

20) Cassazione penale, sez. I, 13.5.2016, ord. n. 670

Nel reato di cui all’art. 416 c.p. non è configurabile responsabilità a titolo di concorso esterno giacché o

il presunto concorrente (esterno), nel porre in essere la condotta oggettivamente vantaggiosa per l’associazione,

è animato dal dolo specifico proprio di chi voglia consapevolmente contribuire a realizzare i fini per i quali il

sodalizio stesso è stato costituito ed opera, ed allora egli non potrà in alcun modo distinguersi dal partecipante a

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pieno titolo; ovvero, mancando nell’agente il dolo specifico detto, la condotta dal medesimo posta in essere,

favoreggiatrice ovvero agevolatrice, dovrà necessariamente essere riguardata come strutturalmente e

concettualmente distinta e separata dal reato associativo (semplice). (Con tale ordinanza la Prima Sezione della

Corte di Cassazione rimetteva alle Sezioni Unite il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato, al fine di

veder chiarito se fosse o meno applicabile l’istituto del concorso esterno alla fattispecie di cui all’art. 416 c.p.-

Le interessanti riflessioni contenute nell’ordinanza sono però state rigettate in toto dal Primo Presidente della

Corte di Cassazione, il quale con l’Ordinanza di restituzione degli atti del 13.10.2016 ha chiarito l’assoluta

ammissibilità nell’ordinamento italiano dell’applicazione degli artt. 110 e seguenti c.p. al delitto di cui all’art.

416 c.p.- Per un recente contributo sul tema, v. Alessandro Centonze, Il concorso eventuale nei reati associativi

tra vecchi dubbi e nuove conferme giurisprudenziali, in Dir. pen. contemporaneo ed. online, 12 dicembre

2016).

b) sul concorso esterno in associazione di tipo mafioso:

21) Corte europea diritti dell’uomo, sez. IV, 14.4.2015, n. 66655/13, Contrada c. Italia

Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è stato il risultato di un’evoluzione della

giurisprudenza iniziata verso la fine degli anni ’80 e consolidatasi nel 1994 e quindi la legge non era

sufficientemente chiara e prevedibile per il ricorrente nel momento in cui avrebbe commesso i fatti

contestatigli, con conseguente impossibilità di conoscere nello specifico la pena in cui incorreva per la

responsabilità penale che discendeva dagli atti compiuti.

L’applicazione del delitto di concorso esterno in associazione di stampo mafioso per fatti anteriori alle

sentenze che hanno contribuito all'origine della fattispecie incriminatrice lede il principio di legalità. (Ma v.

contra Cassazione penale, sez. V, 14.9.2016, n. 42996; Cassazione penale, sez. II, 13.4.2016, n. 18132;

Cassazione penale, sez. V, 14.3.2016, n. 28676. Sul punto v., ex plurimis, Paola Maggio, Nella “revisione

infinita” del processo Contrada i nodi irrisolti dell’esecuzione delle sentenze C.E.D.U. e del concorso esterno

nel reato associativo, in Cass. Pen., 2016, IX, p. 3432 ss.; nonché, anche in tema di rapporto tra ordinamento

interno e Corte E.D.U., v. la Requisitoria della Procura Generale presso la Corte di Cassazione, § 5 [pubblicata

su giurisprudenzapenale.it] depositata sempre in riferimento all’affaire Contrada in occasione dell’udienza del

20.1.2017 - a seguito della quale è stata pronunciata la sentenza Cass. pen., sez. V, 20.1.2017, n. 9439 -).

22) Cassazione penale, sez. II, 13.4.2016, n. 18132

In tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ai fini della configurabilità del dolo diretto

occorre che l’agente, pur in assenza dell’ affectio societatis e, cioè, della volontà di far parte dell’associazione,

sia consapevole dei metodi e dei fini della stessa nonché dell’efficacia causale della propria attività di sostegno

per la conservazione o il rafforzamento della struttura organizzativa, essendo a tal fine sufficiente che egli abbia

previsto ed accettato tale effetto come risultato non solo possibile, bensì certo, o comunque altamente

probabile, della propria condotta.

23) Cassazione penale, sez. V, 13.10.2015, n. 2653

La fattispecie di “concorso esterno” in associazione di tipo mafioso non costituisce un istituto di

creazione giurisprudenziale, bensì è conseguenza della generale funzione incriminatrice dell’art. 110 c.p., che

trova applicazione al predetto reato associativo qualora un soggetto, pur non sensibilmente inserito nella

struttura organizzativa del sodalizio (ed essendo quindi privo dell’affectio societatis), fornisce alla stessa un

contributo volontario, consapevole, concreto e specifico che si configuri come condizione necessaria per la

conservazione ed il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione.

24) Cassazione penale, sez. I, 10.7.2015, n. 49067

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In tema di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, la condotta del soggetto estraneo

all’associazione è punibile se la condivisione da parte dello stesso delle finalità perseguite dal gruppo si sia

tradotta in un concreto ausilio alla realizzazione di uno o più degli scopi tipici del programma criminoso del

sodalizio.

25) Cassazione penale, sez. VI, 25.2.2010, n. 7651

La veste di concorrente “esterno” è assunta da chi, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa

dell’associazione mafiosa e privo dell’ affectio societatis (che quindi non ne “fa parte”), fornisce tuttavia un

concreto, specifico, consapevole e volontario contributo. Deve tuttavia trattarsi di apporto che abbia

un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative

dell’associazione (o, per quelle operanti su larga scala come “Cosa nostra”, di un suo particolare settore e ramo

di attività o articolazione territoriale) e sia comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma

criminoso della medesima. Pertanto, per la configurabilità dell’autonoma fattispecie di concorso “eventuale” o

“esterno” nei reati associativi, è richiesto: I) che sussistano tutti i requisiti strutturali che caratterizzano il nucleo

centrale significativo del concorso di persone nel reato; II) che il dolo del concorrente esterno investa, nei

momenti della rappresentazione e della volizione, da un lato tutti gli elementi essenziali della figura criminosa

tipica, e dall’altro, il contributo causale recato dal proprio comportamento alla realizzazione del fatto concreto,

con la consapevolezza e la volontà di interagire, sinergicamente, con le condotte altrui nella produzione

dell’evento lesivo del “medesimo reato”; III) che l’indagine sulla responsabilità si sviluppi - in ogni caso - con

un accertamento di natura causale, che viene così a svolgere una funzione selettiva delle condotte penalmente

rilevanti e per ciò delimitativa dell’area dell’illecito; IV) che il criterio di imputazione causale dell’evento,

cagionato dalla condotta concorsuale (attesa la natura preminentemente induttiva dell’accertamento e del

ragionamento inferenziale nel giudizio penale), costituisca il presupposto indispensabile di tipicità della

disciplina del concorso di persone nel reato in quanto integra la fonte ascrittiva della responsabilità del singolo

concorrente; V) che, quindi, non sia affatto sufficiente che il contributo atipico - con prognosi di mera

pericolosità ex ante - venga considerato idoneo ad aumentare la probabilità o il rischio di realizzazione del fatto

di reato, qualora poi esso, con giudizio ex post, si riveli per contro ininfluente o addirittura controproducente

per la verificazione dell’evento lesivo; VI) che anche la promessa e l’impegno del politico di attivarsi, una volta

eletto, a favore della cosca mafiosa integrano, in linea di principio, gli estremi del contributo atipico del

concorrente eventuale nel delitto associativo, a prescindere dalle successive condotte di esecuzione

dell’accordo, valutabili sotto il profilo probatorio, a condizione peraltro che sia provato che tale patto elettorale

politico-mafioso abbia prodotto risultati positivi, qualificabili in termini di reale rafforzamento o

consolidamento dell’associazione mafiosa; VII) che, al contrario, laddove risulti indimostrata l’efficienza

causale dell’impegno e della promessa di aiuto del politico, sul piano oggettivo del potenziamento della

struttura organizzativa dell’ente non sia consentito convertire surrettiziamente la fattispecie di concorso

materiale oggetto dell’imputazione in una sorta di - apodittico ed empiricamente inafferrabile - contributo al

rafforzamento dell’associazione mafiosa in chiave psicologica: nel senso che, in virtù del sostegno del politico,

risulterebbero comunque sia aumentato “all’esterno” il credito del sodalizio nel contesto ambientale di

riferimento (ove tuttavia non si accerti e si definisca “occulto” l’accordo) che rafforzati “all’interno” il senso di

superiorità e il prestigio dei capi e la fiducia di sicura impunità dei partecipi.

Dott. Riccardo Di Girolamo