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CAMERA DEI DEPUTATI N. 2233 PROPOSTA DI LEGGE DINIZIATIVA DEI DEPUTATI CASATI, MOLEA, GRASSI, VARGIU, CAPONE, CAPUA, CATANIA, D’INCECCO, IORI, MAZZIOTTI DI CELSO, MIOTTO, OLIARO, ANDREA ROMANO, TINAGLI, VITELLI Norme per valorizzare, in continuità con la legge 13 maggio 1978, n. 180, la partecipazione attiva di utenti, familiari, operatori e cittadini nei servizi di salute mentale e per promuovere equità di cure nel territorio nazionale Presentata il 27 marzo 2014 ONOREVOLI COLLEGHI ! — La legge n. 180 del 1978, di seguito « legge 180 » ha intro- dotto in Italia una « rivoluzione » nel campo della salute mentale perché: 1) ha disposto la chiusura dei mani- comi; 2) ha sancito che di norma i tratta- menti per malattia mentale sono volontari, limitandone l’obbligatorietà a poche e de- finite situazioni; 3) ha statuito che « gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma dai servizi e presìdi extraospedalieri » (ar- ticolo 6). Dal 1978 ad oggi i primi princìpi rivo- luzionari della legge 180 sono entrati nelle pratiche quotidiane della salute mentale italiana. Il primo e più importante, quello della chiusura dei manicomi, è ormai conse- gnato alla storia. Il secondo, sui trattamenti sanitari ob- bligatori, fa ancora oggi molto discutere, secondo noi impropriamente, o, comun- que, in maniera eccessiva. Atti Parlamentari 1 Camera dei Deputati XVII LEGISLATURA DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI DOCUMENTI

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CAMERA DEI DEPUTATI N. 2233—

PROPOSTA DI LEGGE

D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI

CASATI, MOLEA, GRASSI, VARGIU, CAPONE, CAPUA, CATANIA,D’INCECCO, IORI, MAZZIOTTI DI CELSO, MIOTTO, OLIARO,

ANDREA ROMANO, TINAGLI, VITELLI

Norme per valorizzare, in continuità con la legge 13 maggio 1978,n. 180, la partecipazione attiva di utenti, familiari, operatori ecittadini nei servizi di salute mentale e per promuovere equità

di cure nel territorio nazionale

Presentata il 27 marzo 2014

ONOREVOLI COLLEGHI ! — La legge n. 180del 1978, di seguito « legge 180 » ha intro-dotto in Italia una « rivoluzione » nelcampo della salute mentale perché:

1) ha disposto la chiusura dei mani-comi;

2) ha sancito che di norma i tratta-menti per malattia mentale sono volontari,limitandone l’obbligatorietà a poche e de-finite situazioni;

3) ha statuito che « gli interventi diprevenzione, cura e riabilitazione relativialle malattie mentali sono attuati di norma

dai servizi e presìdi extraospedalieri » (ar-ticolo 6).

Dal 1978 ad oggi i primi princìpi rivo-luzionari della legge 180 sono entrati nellepratiche quotidiane della salute mentaleitaliana.

Il primo e più importante, quello dellachiusura dei manicomi, è ormai conse-gnato alla storia.

Il secondo, sui trattamenti sanitari ob-bligatori, fa ancora oggi molto discutere,secondo noi impropriamente, o, comun-que, in maniera eccessiva.

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Il terzo, sulla territorializzazione del-l’assistenza psichiatrica, non ha trovatonella legislazione ordinaria e soprattuttonelle pratiche quotidiane un percorso e unradicamento applicativo adeguati. Di fatto atutt’oggi « gli interventi di prevenzione, curae riabilitazione relativi alle malattie mentaliattuati di norma dai servizi e presìdi ex-traospedalieri » difettano di una cornice diprincìpi generali chiari, forti e condivisi perorientarne l’operatività e non sono suffi-cientemente definiti sotto il profilo del « chifa che cosa, dove e quando ».

L’unico atto legislativo dello stato, dal1978 ad oggi, che si è occupato di normarei princìpi della legge 180 è stato il progettoobiettivo « Tutela salute mentale 1998-2000 », di cui al decreto del Presidentedella Repubblica 10 novembre 1999, pub-blicato nella Gazzetta Ufficiale n. 274 del22 novembre 1999. Un testo sicuramentecondivisibile, ma privo per sua proprianatura della « forza » giuridica necessariae ormai ampiamente datato.

La maggioranza delle regioni ha ema-nato leggi, ma evidentemente senza unrespiro nazionale e tra loro del tuttoscollegate.

Inoltre è purtroppo sempre mancata alivello ministeriale o di enti collegati unarete che, a maggior ragione in assenza diun impianto legislativo « forte », tenesseinsieme il variegato e diversificato mondodella salute mentale italiana cercando difornire dati, buone pratiche, obiettivi, lineedi lavoro e indirizzi condivisi.

Da ormai più di trenta anni nel Paesesi continua a litigare sulla legge 180, trachi la considera una legge sbagliata eperciò da cambiare e soprattutto respon-sabile di tutto quanto non funziona nellagestione della salute mentale italiana e chila considera un’icona immodificabile.

Basta leggerla per capire che la legge180 (e la sue disposizioni riprese dallalegge n. 833 del 1978, istitutiva del Servi-zio sanitario nazionale) non è nata perdisegnare le cose da fare nel quotidianodella salute mentale.

La legge 180 era e resta fissata a queitre princìpi che abbiamo richiamato al-l’inizio.

Riempire di contenuti quella rivolu-zione spettava e spetta ad altri provvedi-menti legislativi e ad un’infinità di atticoerenti e conseguenti affidati alla buonavolontà di molti uomini operanti nelleaziende sanitarie locali, nelle amministra-zioni, nella politica locale e nella comunitàtutta, nonché al ruolo attivo dei tantiutenti e familiari in carico ai dipartimentidi salute mentale italiani cui troppo pocoin questi trenta anni è stato riconosciutoin tema di ruolo e di protagonismo.

Quindi il litigare sulla questione « legge180 sì o legge 180 no » appare mal postoe fuorviante. La legge 180 è un atto digrande valore etico e politico a cui dob-biamo la chiusura di luoghi dove centinaiadi migliaia di cittadini italiani malati dimente hanno subìto la violenza della re-clusione in assenza di ogni cura degna diquesto nome.

Abbiamo perso tempo prezioso, spre-cato sul brutto altare di dispute ideologi-che e di cattivi princìpi, che avremmodovuto dedicare a tradurre in fatti coe-renti e conseguenti il terzo principio con-tenuto nella legge 180, quello del « chi fache cosa, dove e quando », per garantire atutti i cittadini italiani, in tutti i loroluoghi di vita, cure appropriate. A partiredal dato vero, ma non sufficiente, che inalcune aree del Paese lo spirito e i princìpidella legge 180 sono compiutamente rea-lizzati e dal dato altrettanto vero che inmolte parti del Paese la qualità dell’assi-stenza psichiatrica lascia a desiderare nonpoco.

E prima ancora avremmo potuto edovuto individuare alcuni pochi princìpigenerali, e che in quanto tali sarebberodovuti rimanere di competenza del legi-slatore nazionale, in grado di animarel’operatività quotidiana dei servizi di sa-lute mentale con un respiro che trascen-desse la mera indicazione di singoli com-portamenti virtuosi, ma che riuscisse atracciare la cornice di un sistema di buonasalute mentale che facesse del pensarepositivo, del « fare assieme » tra utenti,familiari, operatori e cittadini, dell’incon-tro tra saperi, della guarigione semprepossibile e del miglioramento continuo

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della qualità prestazionale i suoi riferi-menti portanti.

Quello che appare quindi doveroso e di« dare a Cesare quel che è di Cesare », diconsegnare alla storia i meriti della legge180 e di preoccuparsi di rendere real-mente operativa quella territorializzazionedei servizi che essa, per la sua natura dilegge quadro e di indirizzo generale, nonprevedeva. Perché nessuno oggi vuole se-riamente riaprire i vecchi manicomi enessuno contesta che gli interventi di pre-venzione, cura e riabilitazione debbanoessere attuati nel territorio.

Rimane sospesa la questione sui trat-tamenti sanitari obbligatori (TSO), che èancora parte del dibattito attuale sullalegge 180, ma che può verosimilmentetrovare una sua composizione in un qua-dro complessivo di più ampio e meditatorespiro.

Negli ultimi venti anni sono stati pre-sentati alle Camere numerosi progetti dilegge volti a modificare la legge 180, masono stati tutti in larga misura, e in molticasi in via esclusiva, concentrati sull’obiet-tivo di prolungare nel tempo i TSO. Sicu-ramente riteniamo si possa discutere diTSO, anche se non è un nostro obiettivo,ma non pensiamo in alcun modo chequesto rappresenti il tema centrale delladiscussione, né che da sue proroghe adinfinitum possano emergere le soluzioni aimali della salute mentale italiana.

Una legge che voglia garantire equità eappropriatezza di trattamenti a tutti icittadini italiani dovrebbe porsi, a nostroavviso, cinque obiettivi fondamentali:

1) essere in continuità con lo spiritoe con i princìpi che hanno animato lalegge 180 e riprendere i contenuti di basedel citato progetto obiettivo « Tutela salutementale 1998-2000 »;

2) definire alcuni princìpi generaliche sono oggi ineludibili per dare « gamberobuste » ad una buona salute mentale dicomunità, quale quella attesa da più ditrenta anni in tutto il Paese;

3) garantire la declinazione di alcunidegli aspetti più importanti del princìpio

« cosa, dove, come, quando e perché » pergarantire uniformità di prestazioni e didiritti ai cittadini italiani;

4) garantire il massimo coinvolgi-mento possibile degli utenti dei servizi disalute mentale e dei loro familiari neipercorsi di cura, valorizzandone al meglioil sapere esperienziale;

5) garantire nelle prestazioni un’at-tenzione continua ai processi di migliora-mento della qualità.

Come risulta chiaro dalla presente re-lazione e dall’articolato, quello che soprat-tutto si vuole è portare « aria nuova efresca » in un dibattito che da troppi anniha prodotto quasi solo conflitti ideologici.Nella presente proposta di legge si pensaalla salute mentale come a un mondoricco di risorse positive che può contri-buire a rilanciare una dimensione di co-munità dove abbiano particolare diritto dicittadinanza alcune parole chiave, ade-guate per la salute mentale, ma anchecapaci di dare il loro piccolo ma impor-tante contributo per rilanciare un’Italiache sa guardare al futuro in modo positivoe sorridente.

Questa proposta di legge nasce dallacollaborazione con il movimento « Le Pa-role ritrovate » e dal suo motto « fareassieme » che vede il più possibile l’impe-gno condiviso di utenti, familiari, operatorie cittadini. Ciascuno con le sue difficoltà,ma ciascuno anche con le sue risorse e conil suo sapere. Impegnati non tanto acombattere contro qualcosa o qualcuno,ma a costruire una casa comune, aperta ecolorata, dove ciascuno trova il suo postoe contribuisce a migliorare quello delvicino. Menti e cuori che si intrecciano, siscambiano esperienze e saperi e diventanoreciprocamente compagni di strada, discuola e di vita.

Vi era un tempo in cui cambiare ilmondo era doveroso, semplice e possibile:quando l’Europa era un continente ancoratutto da scoprire e fuori dai nostri confinie l’euro non era ancora nato per accom-pagnare le nostre inquietudini di (ex) ric-chi orfani di speranze e di futuro.

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In quella stagione entusiasmante ab-biamo chiuso i manicomi, emblemi dimorte civile. Abbiamo dichiarato a noistessi e al mondo che « Giovanni », cherappresenta una persona con un disturbopsichico importante, doveva ritrovare nellasua comunità dignità e futuro.

In Italia oggi sono almeno 500.000 lepersone che soffrono di malattie mentaliimportanti. Sommiamo a esse 2 milioni difamiliari e ci avviciniamo ai 3 milioni dipersone che tutti i giorni devono confron-tarsi con il dramma della malattia mentale« grave ». Una battaglia tra le più pesantiche può capitare nella vita di una famiglia.Un « 11 settembre », come ci ricorda ognitanto qualche genitore. L’impensabile ir-rompe nel quotidiano. Un figlio, un fra-tello, un nipote che fino al giorno primacamminava sereno al nostro fianco è di-ventato un altro: straziato dal convinci-mento di essere al centro della peggioredelle congiure, inseguito da voci che lomaltrattano, incapace di guardare alle pic-cole cose quotidiane se non per vedervi lafine del mondo.

Chi ha incontrato la malattia e ne hafatto esperienza impara che, se da un latoc’è la speranza della guarigione, e molti,almeno i due terzi, guariscono, dall’altroc’e l’incubo della « brutta bestia » chefinisce prima o poi per ritornare, perincollarsi alla tua schiena, per stravolgereil tuo quotidiano come mai avresti imma-ginato, lasciandoti troppo spesso senzafiato e senza speranza. Perché non capiscicosa ti è successo e non capisci cosa tiaspetta ancora. Ti guardi intorno e nontrovi consolazione, non vedi futuro. Capi-sci che la tua famiglia, per quanto fino algiorno prima magari forte e unita, ha« perso la bussola » e va alla deriva in unmare sconosciuto.

Paradossalmente, ma non troppo, ilmanicomio una sua risposta la dava. Can-cellava Giovanni e con il tempo conse-gnava ai parenti una sorta di oblio neb-bioso, come quello che accompagna ilmigrante in terre lontane da cui si intuiscenon esserci biglietto di ritorno.

La rivoluzione della legge 180 ha can-cellato l’obbrobrio del manicomio facendo

più che bene e ha riportato migliaia diGiovanni a vivere nel proprio paese, nellapropria famiglia, facendo più che bene.

Ma ci ha lasciato un impegno, unimpegno di quelli che vanno onorati no-nostante ogni difficoltà: l’impegno di ac-compagnare Giovanni e la sua famigliaattraverso la malattia mettendoci scienza,coscienza e passione, per assicurare aGiovanni e alla sua famiglia la miglioredelle vite possibili.

Perché tutte le volte che dalla malattianon si può, o non si riesce, a guarire sipuò sempre comunque garantire una qua-lità di vita almeno decorosa, presenza ecalore, vicinanza concreta nei momentidella crisi più buia, sostegno tangibile per(ri)avvicinarsi al lavoro, alla gente e allavita.

Quando abbiamo chiuso i manicomidavamo per scontato, senza chiedercelomolto, che questo sarebbe successo sempree dovunque, che tutti i nostri « matti »avrebbero avuto certezza di buone cure ecosì le loro famiglie, che avrebbero avutosostegno e aiuto.

Abbiamo almeno in parte, e almenoalcuni di noi, scambiato la prima tappa diun lungo cammino con la conclusione delviaggio. Chiudendo i manicomi abbiamoavviato una sfida di cui (forse) non era-vamo fino in fondo consapevoli. Una sfidasacrosanta e su cui nessun dubbio ci devecogliere. Ma una sfida che dobbiamo, peramore della verità, riconoscere di averefinora, almeno in molte parti di Italia, piùperso che vinto o pareggiato, se vogliamofarci qualche sconto. Una sfida che ritro-viamo tutte le volte che Giovanni o un suofamiliare arriva ai servizi di salute mentalea gridare la sua disperazione.

L’Italia è uno strano Paese, capace difare cose straordinarie e altrettanto ca-pace di non meritare la sufficienza difronte a doveri elementari. E così Gio-vanni trova tutto e il contrario di tuttoquando arriva in un servizio di salutementale: cure tra le migliori al mondo,incuria e ignavia delle peggiori.

Questo è il motivo tanto semplicequanto radicale per cui gli dobbiamo unanuova legge. Gli dobbiamo quell’equità di

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cure che lo deve accompagnare da Bol-zano a Trapani, da Lecce ad Aosta. Ogginon è così. Eppure oggi curare la follia èpossibile e spesso è possibile guarirla e, senon guarirla, almeno ammorbidirne e am-mortizzarne i percorsi e gli esiti. E se sipuò fare dobbiamo farlo, in tutto il Paese.Noi pensiamo, e per fortuna non siamo isoli, che occorre « aiutare » le realtà inritardo. Aiutare con l’esempio, con labuona pubblicità, con il « passaparola » eanche con una legge. Una legge che saràrivoluzionaria come la legge 180, ma chedovrà costringere gli ignavi a onorarel’impegno assunto trentacinque anni fa.Per capire cosa vuole produrre questaproposta di legge diamo voce e spazioanzitutto a dieci tra le azioni più impor-tanti (e di facile presentazione) che dob-biamo garantire a Giovanni e alla suafamiglia, che oggi latitano ancora in troppeparti d’Italia e che sono tra le cose chemaggiormente vogliamo garantire.

È un compito facile anche perché l’ab-biamo costruito insieme agli amici delmovimento « Le Parole ritrovate » che intanti hanno girato l’Italia della salute men-tale in questi ultimi dieci anni. E questonostro viaggiare e l’esserci incontrati ci hapermesso di cogliere buone pratiche daimportare a casa di tutti, ma anche diconoscere tante cattive pratiche raccontateda utenti e da familiari troppo spessoangosciati e disperati.

Da questi racconti si potrebbe ricavareun’antologia degli orrori, una lamenta-zione infinita sulla pochezza di troppiuomini che sono venuti meno ai lorodoveri. Qui l’uso che ne faremo sarà disegno opposto perché ci servirà a scriverecosa di bello possiamo e vogliamo fare intutte le nostre città. Nello stesso spiritopositivo e innovativo che ha visto nascerela legge 180 di cui questa proposta di leggesi sente assolutamente figlia. E per mar-carne il più possibile la prosecuzioneideale, nell’illustrare le dieci azioni che piùcaratterizzano la proposta di legge, fac-ciamo nostro il numero « 181 » – che ilmovimento « Le Parole ritrovate » avevadato alla sua proposta – proposta che noiabbiamo qui in buona parte raccolto. Un

numero che rende chiaro il percorso chesi vuole fare per dare alla legge 180« gambe robuste » su cui camminare final-mente in tutta Italia.

1. La fiducia e la speranza.

La Dichiarazione d’indipendenza degliStati Uniti d’America sancisce per tutti icittadini il « diritto alla ricerca della feli-cità ». La « 181 » vuole sancire il dirittoalla fiducia e alla speranza per tutti gliutenti e i familiari che frequentano iservizi di salute mentale e le due cose sonostrettamente legate. Quando Giovanni e isuoi familiari iniziano un percorso nellamalattia, e perciò nei servizi deputati acurarla, di fiducia e di speranza ne hannoben poca. Non perché medici e operatorisiano necessariamente indifferenti o cat-tivi, ma perché il dramma che li ha colpitilascia ben poco spazio a dimensioni comela fiducia e la speranza. Oggi è chiaro,anche a chi scrive i « sacri testi » dellascienza ufficiale, che senza fiducia e spe-ranza pretendere di curare la malattiamentale è come guidare di notte a farispenti e pensare di arrivare sani e salvialla meta. Nella pratica quotidiana ancorapochi operatori (ma anche pochi familiari,pochi amici, pochi cittadini) colgono finoin fondo l’importanza di una cosa di cosìovvio buon senso. E infatti mettere alprimo posto un rapporto di fiducia e uninvestimento sulla speranza cos’è se nonbuon senso ? Eppure se chiediamo a 100utenti dell’Italia psichiatrica siamo fortu-nati se ne troviamo 50 che pensano diavere con chi li cura un rapporto checresce all’insegna della fiducia e dellasperanza. Che poi vuol dire, ovviamente,capacità di accoglienza, sorriso, positività etutto quello che fa dei rapporti umaniun’esperienza che merita di essere vissuta.Che vuol dire credere ciascuno nelle ri-sorse, nell’importanza e nell’unicità del-l’altro: il medico nel paziente e il pazientenel medico. Diciamolo forte, non perchésia uno slogan, ma perché così deve esserenel mondo delle « buone » cure. La legge« 181 » mette la fiducia e la speranza al

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primo posto, al primo articolo e pretendeche siano misurate, perché anche le leggihanno un cuore, se lo vogliamo.

2. Luoghi belli per salute mentale.

Chi gira l’Italia psichiatrica rarissima-mente entra in servizi di salute mentaledove viene spontaneo dire « che bel po-sto », poltroncine colorate, quadri alle pa-reti, tabelle indicative non fatte a compu-ter. È vero che i servizi di salute mentalehanno « solo » trentacinque anni di vita,ma sicuramente si poteva e si dovevacollocarli in luoghi ben più decorosi. Negliultimi anni qualcosa di meglio si vede, maè ancora davvero troppo poco. E ovvia-mente questo non è bisogno di ostentarelusso, ma importanza di dare voce allasofferenza in luoghi che non la mortifi-chino ulteriormente. Non sarà la poltron-cina comoda o la parete color pastello a« guarire » Giovanni, ma non lo aiuterànemmeno sedersi su sedie rotte, attraver-sare corridoi che non sono stati ridipintida anni, scoprire che una bella pianta èguardata come si guarda uno yacht da 60metri.

E allora la « 181 » pretende che i luoghiche ospitano la sofferenza mentale ab-biano un decoro che in una scala da 1 a10 valga almeno 7. E allora lo scriviamoche la « 181 » lancia una campagna all’in-segna del principio « in psichiatria il belloè di casa » e che i soldi, nell’Italia delbenessere non ancora del tutto defunto, liandiamo a cercare dovunque ci sono eanche nei bilanci in attivo delle aziendedisponibili, di buon cuore si sarebbe dettoqualche lustro fa. Perché colori pastello ebelle piante fanno la vita un po’ migliore,sempre.

3. Sapere di ciascuno, sapere di lutti Gliutenti è familiari esperti, un jolly pre-zioso.

Che un medico sia esperto di malattieè cosa risaputa e condivisa, che lo sia ilcosiddetto « paziente » lo è molto meno e,

a volte, per niente. Eppure chiunque di noiha fatto, o sta facendo, un’esperienza dimalattia, tanto più se duratura nel tempo,di quella malattia inevitabilmente diventaanche lui esperto. Pensiamo a chi ha ildiabete o l’ipertensione, un tumore reci-divante o l’ulcera allo stomaco: il medicogli dà le medicine e gli prescrive gli esami,ma a « vivere » tutti giorni con la malattiaci pensa lui, il « paziente ».

È lui quello che ha tutte le informa-zioni giuste, che coglie le sfumature, glieffetti dell’ultima pillola, la differenza trala teoria dei risultati attesi e la praticadella realtà vissuta. Il medico, più è bravoe intelligente, più sfrutterà l’esperienza delsuo paziente per curarlo al meglio. Suc-cede spesso ? Purtroppo no. Perché ? Per-ché la medicina, come molti campi dellascienza, soffre di presunzione cronica, unamalattia antipatica che toglie a chi nesoffre l’abilità di sfruttare l’esperienza delcosiddetto « paziente », quasi che a farlo ilmedico diventasse meno medico e il pa-ziente meno paziente. Ma è vero il con-trario: riconoscendo e valorizzando leesperienze e i saperi reciproci tutti diven-tano più sapienti. La « 181 » vuole inse-gnare questa semplice verità a chi ha a chefare con la malattia mentale, sia esso unmedico, un paziente o un familiare. Perchéchi sente le voci, chi è depresso, chi nontrova più la porta di casa per uscire, ditutti questi brutti disturbi è indubbia-mente esperto e, opportunamente invo-gliato, mette a disposizione il valore dellapropria esperienza.

Per fare al meglio questa operazione di« scambio di saperi » la « 181 » mette den-tro il sistema sanitario, dentro i servizi disalute mentale, utenti e familiari chehanno fatto un buon percorso di cura, chesono consapevoli del valore della loroesperienza e che quella esperienza sannotrasferirla ad altri utenti e familiari chesono ancora nel disagio. E anche, cosatutt’altro che secondaria, a operatori scet-tici o pigri. Li riconosce formalmente e sipropone di pagarli in quanto professionistidel sapere esperienziale. In gergo sonodiventati gli utenti e i familiari esperti(UFE) e stanno portando piccole rivolu-

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zioni in tutte le realtà dove hanno messopiede.

Confortati dagli esperti che vedono inloro una straordinaria occasione per au-mentare la centralità e il protagonismo ditutti gli utenti e anche fiducia, speranza eadesione ai trattamenti. Una risorsastraordinaria di cui sempre più sentiremoparlare.

4. Stigma e pregiudizio, no grazie.

Se c’è una cosa su cui tutti, ma propriotutti, sono d’accordo è che stigma e pre-giudizi sulla malattia mentale non ri-schiano mai la disoccupazione. Nessuno,potendo scegliere, vede in Giovanni lapersona con cui parlare, andare a cena ofare un viaggio al mare. Lo vediamo,ancora prima di averci seriamente riflet-tuto, incomprensibile, pericoloso e immo-dificabile nella sua malattia. Prototipodella diversità, Giovanni paga da sempreun prezzo altissimo all’etichetta che loaccompagna. Lui, e con lui la sua famiglia,rischia quasi sempre di essere cancellatodai « file » delle nostre vite e delle nostrecomunità, in nome di un quieto vivere chetanto ci convince in astratto quanto pocopoi ci rende felici nel quotidiano. Ma ipregiudizi sono questo: idee negative sucose e su persone di cui non abbiamoesperienza concreta o giudizio autonomo.E allora Giovanni e la sua famiglia sonoaccerchiati da questo sentire negativo, an-cora prima che noi cittadini « per bene »ne abbiamo fatto conoscenza reale. Equesto sentire negativo li accompagna nelprofondo, li fa sentire ancora più bersa-gliati dalla sorte. Ne complica i percorsi dicura. Perché questo capita. Tanto più suGiovanni si addensano stigma e pregiudizitanto più la sua guarigione si allontana eil suo percorso di cura è in salita. Bastaleggere i giornali per vedere come la folliacompare a segnare raptus di ogni tipo, fattidi sangue ed eventi i più diversi che tantopiù appaiono brutti e cattivi tanto più simacchiano di quell’etichetta.

Come tutti i pregiudizi anche quellosulla follia non ha basi che lo giustifichino.

I « matti » non commettono più reati deicosiddetti « normali », non sono, se li av-viciniamo con occhio libero, così incom-prensibili e guariscono spesso. Le comu-nità hanno bisogno dei diversi per pensarsinormali e i « matti » in questo svolgono unruolo utilissimo. Ma ad alto prezzo perGiovanni e per la sua famiglia e anche pernoi « normali » che perdiamo punti nellacostruzione di una comunità dove anchenoi staremo meglio se Giovanni starà me-glio.

Per questo la « 181 » vuole che sullostigma e sul pregiudizio si lavori sul serio,cosa che fino ad ora quasi nessuno hafatto. E per combattere stigma e pregiu-dizio anzitutto bisogna curare bene Gio-vanni che rimane il primo sponsor di sestesso. Ma poi possiamo e dobbiamo rac-contare la « verità » sulla follia, nellescuole innanzitutto e con la voce deiprotagonisti veri. Infatti sono ottimi pro-pagandisti gli utenti e i loro familiariquando si raccontano. E ancora facendo inmateria di salute mentale cose belle eimportanti perché i media ne parlino edicano che la follia non è solo cronacanera. E impegnandoci tutti insieme a darevoce e presenza agli utenti e ai lorofamiliari in tanti spazi di vita comunitaria.Un modo piacevole per scrivere un’Italiamigliore.

5. Il « patto di cura »: fare squadra è belloe avere un garante che ci aiuta ancora dipiù.

« Squadra » è diventata sempre più unaparola chiave sinonimo di successo, diarmonia e di risultato positivo nello sport,nel lavoro e nella vita in generale. Met-tiamo la « squadra » anche dentro il quo-tidiano dei servizi di salute mentale. Eccola formazione che gioca nel « patto dicura »: Giovanni, la sua famiglia, il medico,l’infermiere o l’educatore che lo accom-pagna nei luoghi di cura, un amico im-portante se esiste, il medico di base e,ancora, chi per Giovanni è importante.Una squadra piccola con un obiettivochiarissimo: vincere la battaglia con la

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malattia, con il sintomo, con l’isolamento,con i cattivi pensieri, con la depressione,con le voci, per ritrovare senso di vita,lavoro, socialità e sorriso. Peccato chenelle nostre psichiatrie di tali « squadre »se ne vedano davvero poche. Una volta èGiovanni che si chiama fuori, un’altra è lafamiglia che è troppo in crisi, più spessosono gli operatori che invocano la privacye il tempo che non c’e, è la difficoltà atenere insieme un gruppo che ancora nonsi riconosce tale.

La « 181 » crede nella squadra del« patto di cura », sempre, perché lo dice lascienza e, ancora prima, lo dicono il buonsenso e le esperienze di chi ci ha provato,senza alibi e senza pigrizie. Naturalmentea funzionare le squadre dei nostri « pattidi cura » qualche problema lo incontrano.Ciascun partecipante può avere le suepiccole ragioni per fuggire, prenderetempo, chiamarsi fuori. Ma sono problemisuperabili, l’unione fa la forza se solo cicrediamo. E per aiutare a crederci esoprattutto per portare a casa il risultatosono molto utili tre cose: avere strumentichiari che tengono conto di quello che lasquadra sta facendo e farà e avere undiario di bordo, come quello delle navi,tenuto da tutti i membri della squadra enon solo dal comandante. E, in fine, averenella squadra un « garante », una personaesterna al gruppo e che partecipa peraiutare il gruppo a fare bene tre cose: darevoce a tutti in un clima di rispetto e dicondivisione, ricordarsi di prendere ac-cordi chiari e di sottoscriverli, ritrovarsiperiodicamente per verificare cosa è an-dato bene e cosa no. Sembra l’uovo diColombo e lo è.

6. Il dramma della prima, della seconda edella terza crisi.

Trasmesso con il pudore di chi fatica araccontare le proprie disgrazie capita diascoltare, un numero di volte ancoratroppo frequente, il racconto di genitoriche appena capiscono che un po’ stai dallaloro parte cercano sollievo al loro doloreraccontandotelo. Quando questi drammi

escono alla luce viene sempre da chiedersicome sia possibile, per questi genitori,tollerare ferite così devastanti ed essereancora lì in prima linea ad affrontarne dinuove e, subito dopo, come sia possibileche a questi drammi chi è pagato per farvifronte sappia trovare, non sempre matroppo spesso, un impressionante campio-nario di alibi e di scuse per sottrarvisi.Quando il nostro Giovanni, preso nei vor-tici della malattia, dà sfogo estremo al suodisagio, non ci sono alibi giustificabili: glioperatori della salute mentale devono in-tervenire in prima persona. Giovanni,prima di passare il segno, ha semprelanciato segnali. Se i servizi di salutementale sono stati al suo fianco li hannocolti e se li hanno colti quasi sempre lihanno saputi incanalare, limitare o pre-venire. Quando questo non succede,quando nella famiglia, lasciata colpevol-mente sola al suo destino, scoppia il primoo l’ennesimo dramma (e non è il raptusimprevedibile della follia di molti bruttititoli di giornale) a parlare e ad agire è lamalattia che chi doveva non ha saputoascoltare e curare e allora il servizio disalute mentale deve esserci e non il giornodopo o la settimana dopo.

Il papà o la mamma raccontano letelefonate, tanto disperate quanto inutili,fatte ai servizi di salute mentale per chie-dere aiuto mentre sullo sfondo si sentonoi rumori della « guerriglia » e le rispostesono « Giovanni non vuole curarsi, provatea convincerlo a venire lui da noi ». « È unproblema di ordine pubblico, chiamate il113 ». « Ha un appuntamento giovedì, ac-compagnatecelo ».

La « 181 » stabilisce che i servizi disalute mentale non possono chiamarsifuori, che devono esserci e come devonoesserci, in modo preciso, con tempi dirisposta in giornata, con strumenti peraccompagnare quello che si fa, con re-sponsabilità chiare e definite, con il coin-volgimento di quanti possono contribuire aridurre il peso della crisi, dal medico difamiglia all’amico del cuore. E se la crisinon si risolve nei servizi ci sono i repartiospedalieri, cioè i servizi psichiatrici didiagnosi e cura (SPDC), troppo spesso

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luoghi di mero contenimento murariodove l’unico intervento è il farmaco. Noi livogliamo luoghi di vita, dove la persona èaccolta con calore e dove da subito silavora perché la crisi sia occasione dicrescita e di ritorno, il prima possibile, alproprio quotidiano. E non vogliamo piùche, oltre alla contenzione dei muri, ci siaquella ben peggiore dei corpi, legati ai letticon strumenti che null’altro sono se non lecamicie di forza dei vecchi manicomi. Unimpegno etico che ci chiede l’Europa e chegià la Conferenza permanente per i rap-porti tra lo Stato, le regioni e le provinceautonome di Trento e di Bolzano hacondiviso. Ma se andiamo a visitare gliSPDC italiani scopriamo che nemmeno il10 per cento di essi ha preso questa stradae che legare le persone ai letti rimaneancora una pratica « normale ».

7. Famiglie da aiutare, famiglie grandi ri-sorse.

La famiglia gioca un ruolo centrale intutte le nostre storie. Che sia quella diorigine o quella acquisita, è sempre lì inprima fila a soffrire con Giovanni, acombattere con lui e per lui. Un Giovanni,adulto, con il mal di cuore o con il diabete,raramente si fa rappresentare dai genitorio dal coniuge per avere cure e rispetto. UnGiovanni che sente le voci e che si sentestraniero nel nostro mondo difficilmentechiede aiuto e spesso, addirittura, lo ri-fiuta ostinatamente. Così è la malattiamentale. E allora chi ne prende le parti,chi corre a cercare aiuto, se non genitorie coniuge, figli e amici? Sconvolti e deva-stati se è la loro prima volta, più esperti,ma sicuramente non sereni, anche se sonoormai degli habitué.

A questi genitori e a questi parentivariamente disperati, terrorizzati e arrab-biati dobbiamo sempre il massimo del-l’ascolto, dell’attenzione e della presenza,anche quando può sembrare di aver giàfatto tutto quello che si poteva, anchequando si pensa che con Giovanni dovreb-bero essere più severi o più concilianti,

anche quando arriva la centesima telefo-nata.

Ogni famiglia ha i suoi tempi perprendere dimestichezza con la « bruttabestia » e questi tempi non sono i servizidi salute mentale a deciderli. I servizipossono e devono rispettarli e accompa-gnarli, sapendo che questi tempi sarannotanto più brevi quanto più a queste fami-glie sarà dato aiuto incondizionato met-tendosi dalla loro parte, provando a essere« noi » per qualche giorno « loro » e an-dando a vivere in queste famiglie: unasettimana con loro sarebbe un tirociniomigliore di tanti mesi passati sui banchi discuola.

Quindi, anzitutto, tripla AAA: Ascolto,Aiuto e Accompagnamento, sempre, e ve-drete che nessuna agenzia di rating to-glierà qualche A, ma segnalerà quelle chemancano e, purtroppo, sono ancora tante,in tanti luoghi diversi d’Italia.

Garantito questo, ci sono molte altrecose che devono essere offerte alle fami-glie, sapendo che non sempre le accoglie-ranno quando saranno proposte loro, checi vorranno tempo e pazienza, una pro-posta da ripetere per almeno il « 70 volte7 » di biblica memoria. Anzitutto cicli diinformazione, di psico-educazione, per farsì che le famiglie sappiano il più possibiledella malattia, dei farmaci, delle cose cheil servizio di salute mentale può e deveoffrire ai loro cari. Incontri in cui, oltreall’informazione, si comincino a scambiarei saperi tra operatori e familiari e, cosaimportantissima, le famiglie si trovino traloro a scambiarsi esperienze e a « sco-prire » che non sono « uniche » nel lorodramma ed è una scoperta non da poco.E poi offerta di gruppi di auto-aiuto, unapalestra eccezionale per imparare dal-l’esperienza e per trovare modi per staremeglio con se stessi, pre-requisito perstare meglio con i propri familiari. Eancora, sportelli autogestiti da familiariper dare informazioni ad altri familiari esu questa lunghezza d’onda tanto altroancora. Tutto all’insegna di una cosa tantostraordinaria quanto semplice. Quelle fa-miglie che all’inizio del percorso nellamalattia erano sole e disperate ora sono

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diventate una straordinaria risorsa nonsolo per il loro congiunto, ma anche e avolte soprattutto per tanti altri Giovanni,per tanti altri familiari che dalla loroesperienza possono trarre stimoli impor-tantissimi nei loro percorsi di cura e divita.

8. Accoglienza calda, come nella pubblicità.

Negli spot televisivi si sente sempre piùspesso la voce della signorina di turno dire« Sono Mariella, cosa posso fare per lei? »E anche nella realtà, almeno quella com-merciale, funziona sempre più spesso così.Se facciamo una piccola inchiesta telefo-nando in 100 servizi di salute mentaleitaliani la risposta suona un « poco » di-versa. Quasi mai chi risponde si qualificae ancora meno spesso usa una frase dicortesia, senza contare i tempi di attesache costano denaro e fatica. Qualcunopotrebbe dire « Ma con tutti i problemiche abbiamo, con la malattia che colpiscesotto la cintura voi vi preoccupate di unpo’ di gentilezza in più al telefono? »Ebbene sì, ce ne preoccupiamo e moltoper due motivi: se un servizio di salutementale non è capace di fare una cosa cosìsemplice come riuscirà a fare quella cosasicuramente più complicata che è « cu-rare » la malattia? E ancora, chi telefonao viene a cercare aiuto, tutte le volte chesi sente accogliere da una voce garbata oda un sorriso, tira subito un mezzo sospirodi sollievo e affronta la situazione almenoun poco rinfrancato: questo vale al tele-fono, strumento che nei servizi di salutementale è sempre « bollente », ma altret-tanto, anzi spesso di più, vale quandoGiovanni o la sua famiglia viene di per-sona a chiedere qualcosa.

Un qualcosa che va dal ritirare unaricetta o un certificato, al segnalare che ilmondo ancora una volta è crollato. Lasolita indagine su 100 servizi di salutementale ci presenterebbe un quadro a direpoco a macchia di leopardo.

Ecco quello che la « 181 » vuole: unapersona gentile e sorridente che accoglietutti in tempo reale e che in un tempo

molto breve capisce cosa l’interlocutorechiede. Se si tratta di consegnare unaricetta lo farà in tempo reale, se è lasegnalazione del mondo che è di nuovocrollato saprà trasmettere comprensione ecalore e indirizzerà la persona a chi se nepotrà occupare. E questo qualcuno, me-dico, infermiere o educatore, sarà dispo-nibile in un tempo minimo garantito, circacinque minuti, e farà della buona acco-glienza, dell’ascolto e della gentilezza damanuale la sua ragione di vita. Nell’attesa,se attesa ci sarà, chi ha accolto per primola persona se ne occuperà comunque efarà quelle cose di gentile buon senso chetutti noi ci aspettiamo quando ci troviamoad affrontare l’« uomo nero ». E ritor-nando ai colori pastello mettiamo sale diattesa che non sembrano quelle delle sta-zioni ferroviarie dei film del neorealismo,ma sono colorate, hanno sedie dignitose epiante fiorite, perché la buona accoglienzapassa anche da queste piccole cose.

9. Sapere a chi rivolgersi, sempre.

Chi è entrato nel sistema della salutementale si vede di solito assegnare unmedico psichiatra che lo vedrà in ambu-latorio, a volte un infermiere o un edu-catore che ne segue la vicenda a casa, altrioperatori che lo accompagnano in luoghidiversi dove la malattia lo porterà, dalreparto ospedaliero a un centro diurno, dauna casa protetta a un laboratorio perl’inserimento lavorativo. Può succedereche Giovanni si trovi a confrontarsi anchecon dieci operatori che in momenti eluoghi diversi si occupano di lui, una cosaspesso buona perché dimostra che il si-stema è ricco e offre cose diverse in luoghidiversi per bisogni momentaneamente di-versi.

Premessa di questo ragionamento è cheper Giovanni è vitale avere nel tempooperatori di riferimento che non cambinoa ogni stagione. Se costruire un rapportodi fiducia è la pietra angolare di ognibuona cura è chiaro che a ogni cambia-mento di operatore bisogna ricominciareda capo a costruire reciproca fiducia.

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Quindi i cambiamenti sono « permessi » inpoche e inevitabili situazioni: la pensione(evento peraltro sempre più raro), le gra-vidanze e i trasferimenti. E, infine, eve-nienza invece decisamente più frequente,la richiesta fatta da Giovanni di cambiareil medico. La richiesta di cambiare infer-mieri o educatori è molto più rara. La« libera » scelta del medico è garantitadalla legge, ma spesso è disattesa e questonon è certo positivo. Ascoltare Giovannivuol dire confrontarsi con lui e capirne leragioni, anche quando dice che vuole cam-biare il medico e occorre farlo, piaccia ono.

Su queste premesse occorre dare aGiovanni il massimo delle informazionipossibili perché lui, e con lui, la suafamiglia, sappia chi sono « operatori diriferimento ». Per i servizi di salute men-tale appare tutto scontato, è scritto nellacartella clinica, magari nel sistema infor-mativo se la ASL lo possiede e viene usato,ma Giovanni, uomo a volte confuso espesso sofferente, non ha la mente fattacome una banca dati e allora bisognadirglielo e ridirglielo a costo di sembrareripetitivi, e non solo a Giovanni, ma anchealla sua famiglia che troppo spesso èancora tenuta fuori dalle « sacre stanze »delle cure.

10. Abitare, lavoro, socialità. Ce ne occu-piamo (anche) noi.

Vexatissima quaestio! Ossia questionemolto dibattuta e importante. Nella psi-chiatria italiana ci sono almeno due partitisu questa questione. Quelli che pensanoche quando Giovanni ha problemi di casa,di lavoro e di socializzare nel tempo liberosono altri (o soprattutto altri) a doverseneoccupare. Quelli che pensano che i servizidi salute mentale devono fare una parteimportante, che non possono chiamarsifuori. Naturalmente entrambi i partitisanno bene che per offrire un buon per-corso di cura a Giovanni, per riportarlo auna qualità di vita almeno dignitosa queitre campi, cioè casa, lavoro e socialità,sono essenziali. Il dibattito è altrove. I

primi hanno un’idea della cura centrata suun approccio medico, i servizi di salutementale sono servizi sanitari e devonooccuparsi di cure mediche, e la casa o illavoro non sono cose mediche, quindi chese occupino altre agenzie. I secondi pen-sano che « curare » Giovanni comporta unapproccio integrato, medico-psico-sociale,e che delegare in toto ad agenzie altre queitre campi essenziali vuol dire curare soloa metà. Perché per quanto brave siano leagenzie esterne (laddove ci sono e sonoefficienti) non si può abdicare nell’inter-venire in queste tre aree vitali per Gio-vanni e per la sua famiglia. E non è uncaso che parlando con familiari in tuttaItalia, insieme ai vuoti di intervento nellesituazioni di crisi, l’altra grande lamentelariguarda proprio il lavoro e la casa. Comedire che i genitori hanno chiaro, peresperienza diretta, che insieme alle curepiù « mediche » la « cura » di gran lungapiù importante è il lavoro e subito dopo,laddove ci sono difficoltà di convivenza,una casa.

La « 181 » su questa vexatissima quae-stio è chiaramente schierata. I servizi disalute mentale sono in primissima linea suquesti tre fronti. Ci sono anzitutto conoperatori « dedicati » che se ne occupanospecificatamente, cosa oggi tutt’altro chepresente e scontata e già questo non èpoco.

Garantito questo, sul fronte del lavorosi impegnano « con » le agenzie esterne acercare, anche in questi tempi di crisi,ogni possibile spazio per inserire Giovanniin luoghi dove il lavoro sia vero e presente.Usando le leggi nazionali che esistono,quelle regionali che anche di solito esi-stono, le clausole sociali dei grandi appaltio le cooperative. E poi usano la fantasiaper trovare, anche dentro i servizi disalute mentale e con partner disponibili,nicchie di lavoro (e di mercato) a partireda chi sta peggio e quelle altre piste nonpuò percorrerle. Per realizzare prodotti,belli e vendibili, che servano a fare red-dito, anche se magari piccolo, e a far(ri)trovare abilità e competenze.

Sul fronte della casa, l’impegno è quellodi valorizzare le risorse di Giovanni e di

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puntare su soluzioni abitative che lo vedanoil più possibile protagonista. Un esempio tratutti. Oggi troppo spesso Giovanni è schiac-ciato tra comunità che lo ospitano per untempo assolutamente irragionevole e l’es-sere « abbandonato » a esperienze di solitu-dine che non sa affrontare. Dove la si è spe-rimentata, funziona molto bene la convi-venza tra due (o tre) Giovanni. Scatta lamessa in comune delle risorse, il profumo diuna maggiore libertà, la cintura di sicurezzadi non essere soli e altro ancora. E oltre alleconvivenze, gli affidi a famiglie disponibili, visono gli appartamenti a cosiddetta « bassis-sima protezione », gli esperimenti in alloggida condividere con studenti universitari orifugiati politici e altro ancora.

Naturalmente questi dieci punti, eperciò questi dieci articoli, non esauri-scono tutto quanto deve essere fatto permigliorare la qualità delle cure che iservizi di salute mentale italiani devonooffrire. Garantiscono però, dal nostropunto di vista, un contributo importanteper assicurare una base e una cornicesolida e, al tempo stesso, ricca di spuntipositivi e innovativi, su cui costruire pra-tiche di normale quotidianità prestazio-nale, fortemente condivise e radicatenelle nostre comunità.

Una base che scommette sul positivo eche vuole introdurre, nelle logiche spessoasfittiche della tecnica legislativa formale,contributi di fantasia e di intelligenza, discienza e di passione.

Concludendo, preme rimarcare ancorauna volta che lo spirito e la lettera diquesta proposta di legge non sono fatti didispute ideologiche o dell’aspettare sempree solo dagli altri le soluzioni.

La cultura di riferimento di questaproposta di legge parte da quel « fareassieme » che gli amici del movimento « LeParole ritrovate » ci hanno un po’ tra-smesso, nella valorizzazione del sapereesperienziale di operatori, utenti e fami-liari, nel convincimento che tutti siamoportatori di risorse e nel credere nelladimensione del cambiamento sempre pos-sibile che è diventato il nostro riferimentoideale, anche nei meandri più bui dellamalattia mentale. Si può dire tutto questo,si può dire che fare le cose assieme èimportante e bello e lì fermarsi. Oppure sipuò crederci e comportarsi di conse-guenza. In questo modo il disagio psichicoritrova posto e dignità nel quotidiano ditutti noi, in una comunità in cui ciascunoè un po’ più responsabile per tutti.

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PROPOSTA DI LEGGE—

ART. 1.

(Finalità).

1. La presente legge, in continuità e incoerenza con i princìpi della legge 13maggio 1978, n. 180, e del progetto obiet-tivo « tutela salute mentale 1998-2000 » dicui al decreto del Presidente della Repub-blica 10 novembre 1999, pubblicato nellaGazzetta Ufficiale n. 274 del 22 novembre1999, nel reciproco rispetto delle compe-tenze statali e regionali persegue le se-guenti finalità:

a) garantire, con continuità neltempo, l’attuazione di un percorso di curacomplessivo e integrato volto al migliora-mento della qualità dell’assistenza allamalattia mentale, attraverso l’erogazionedi prestazioni efficaci, appropriate, sicuree centrate sull’utente;

b) definire linee guida volte ad assi-curare un’organizzazione degli interventi edelle prestazioni che metta al centrol’utente e i familiari e valorizzi il lorosapere esperienziale;

c) riconoscere valore fondamentalealla promozione di percorsi di cura fon-dati sulla condivisione tra utenti, familiarie operatori;

d) riconoscere valore fondamentale alreinserimento abitativo, lavorativo e so-ciale dell’utente e dei familiari;

e) definire i principali strumenti de-putati al governo della salute mentale;

f) ridefinire gli indirizzi in materia dipersonale, di qualità e di formazione nelsettore della salute mentale.

ART. 2.

(Obiettivi).

1. Il Servizio sanitario nazionale e leregioni, nel rispetto delle finalità di cui

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all’articolo 1, in raccordo tra loro, perse-guono i seguenti obiettivi:

a) promuovere e sviluppare nel-l’utente e nei familiari la fiducia e lasperanza nelle relazioni con gli operatorie nelle prestazioni erogate ai fini del buonesito del percorso di cura;

b) coinvolgere concretamente gliutenti e i familiari nei percorsi di cura epromuoverne la partecipazione attiva negliorganismi deputati alla programmazione,all’attuazione e alla verifica degli inter-venti in tema di salute mentale.

ART. 3.

(Definizione delle linee guida).

1. Il Ministro della salute, di concertocon la Conferenza unificata di cui all’ar-ticolo 8 del decreto legislativo 28 agosto1997, n. 281, e successive modificazioni, econ la Consulta nazionale di cui all’arti-colo 15 della presente legge, definisce,entro sei mesi dalla data di entrata invigore della medesima legge, anche ai finidella predisposizione di un nuovo pianonazionale per la salute mentale, lineeguida volte a indicare a livello nazionale:

a) i requisiti minimi di qualità deiluoghi ove si erogano le prestazioni disalute mentale tenendo conto della loroubicazione, del loro arredamento, dellafacilità di accesso ad essi nonché dellasicurezza dei medesimi luoghi e degli ope-ratori che ivi prestano la loro attività;

b) i requisiti per la valutazione an-nuale della qualità delle prestazioni ero-gate con particolare riferimento alla primaaccoglienza, al sostegno ai familiari, allacondivisione dei percorsi di cura, allarisposta alle situazioni di crisi, alla con-tinuità dell’assistenza, alle problematicherelative alla situazione abitativa e lavora-tiva e alle opinioni degli utenti e deifamiliari sulla qualità delle prestazioniloro erogate;

c) le modalità di coinvolgimento degliutenti e dei familiari.

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ART. 4.

(Dipartimento di salute mentale).

1. Il dipartimento di salute mentale, inconformità al progetto obiettivo « tutelasalute mentale 1998-2000 » di cui al de-creto del Presidente della Repubblica 10novembre 1999, pubblicato nella GazzettaUfficiale n. 274 del 22 novembre 1999, èl’unità organizzativa fondamentale, isti-tuita presso ogni azienda sanitaria locale,che coordina e assicura direttamente oindirettamente tutti gli interventi di pre-venzione, diagnosi, cura, riabilitazione, in-tegrazione sociale ed educazione sanitariaalle persone di età superiore a 16 anniaffette da disturbi mentali.

2. Le regioni, nell’ambito della propriaautonomia organizzativa, assicurano checiascun dipartimento di salute mentale siadotato di personale almeno nei seguentiprofili professionali: medico psichiatra,psicologo, infermiere, assistente sociale,educatore professionale, terapista dellariabilitazione psichiatrica, operatore socio-assistenziale e personale amministrativo.

3. Il dipartimento di salute mentaleattiva, in base al principio di sussidiarietàe per l’attuazione delle finalità di cui allapresente legge, ogni forma di collabora-zione con i soggetti e con gli organismi chesi occupano o sono comunque coinvoltinelle problematiche relative alla salutementale, quali i servizi socio-sanitari, glienti locali, le scuole, il terzo settore, leorganizzazioni di volontariato costituiteanche da utenti e da familiari, nonchéassociazioni di rappresentanza dei settorisociale e culturale.

4. Il Ministro della salute, d’intesa conla Conferenza permanente per i rapportitra lo Stato, le regioni e le provinceautonome di Trento e di Bolzano, entronove mesi dalla data di entrata in vigoredella presente legge, predispone un pianodi riorganizzazione dei dipartimenti disalute mentale nell’ambito del nuovo pianonazionale per la salute mentale di cuiall’articolo 3, in conformità alle disposi-zioni della presente legge.

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ART. 5.

(Utenti e familiari esperti).

1. Il Servizio sanitario nazionale ricono-sce il valore del sapere esperienziale degliutenti e dei familiari e ne valorizza e pro-muove l’impiego nell’ambito delle presta-zioni erogate dai dipartimenti di salutementale.

2. Il Ministro della salute con propriodecreto, d’intesa con la Conferenza per-manente per i rapporti tra lo Stato, leregioni e le province autonome di Trentoe di Bolzano, definisce, in via sperimen-tale, modelli operativi che prevedano lapartecipazione attiva degli utenti e deifamiliari nell’ambito dei dipartimenti disalute mentale secondo le pratiche conso-lidate del supporto tra pari.

3. Per gli utenti e i familiari chepartecipano alla sperimentazione di cui alcomma 2, le regioni organizzano corsi diformazione finalizzati alla valorizzazionedel loro sapere esperienziale e a fornire lenecessarie conoscenze sull’organizzazionedei dipartimenti di salute mentale.

4. Gli utenti e i familiari che partecipanocon esito positivo alla sperimentazione sonodenominati utenti e familiari esperti (UFE).

5. Gli UFE, sulla base degli indirizzidefiniti dai dipartimenti di salute mentale,condividono il loro sapere esperienzialecon gli altri utenti e familiari assistiti daimedesimi dipartimenti, collaborando, al-tresì, con gli operatori al fine di promuo-vere un atteggiamento di fiducia e disperanza nei riguardi dei trattamenti edelle prestazioni erogati, nonché di garan-tire il ruolo centrale degli utenti nei ri-spettivi percorsi di cura. Le regioni pos-sono prevedere che l’attività prestata dagliUFE ai sensi del presente comma siaremunerata da parte dei dipartimenti disalute mentale interessati.

ART. 6.

(Prima accoglienza).

1. Le regioni, attraverso i dipartimentidi salute mentale avvalendosi di operatoridedicati e degli UFE che ivi prestano la

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loro attività, provvedono affinché già apartire dalla prima accoglienza degliutenti siano individuati i loro disturbimentali e sia predisposto un interventoiniziale di assistenza e di accoglienza par-tecipata e adeguata.

ART. 7.

(Condivisione dei percorsi di cura:il patto di cura).

1. Il dipartimento di salute mentale,tenendo conto degli indirizzi forniti dallaConsulta nazionale e dalle consulte regio-nali di cui agli articoli 15 e 16, adottastrumenti finalizzati a promuovere per-corsi di cura fondati sulla condivisione trautenti, familiari e operatori, ai sensi del-l’articolo 1, ad accrescere l’adesione aitrattamenti e a migliorare le relazioni trautenti, familiari e operatori.

2. Gli strumenti di cui al comma 1costituiscono il patto di cura e sono parteintegrante della cartella clinica dell’utente.

3. Il patto di cura è concordato tral’utente, i familiari, gli operatori e altreeventuali figure indicate dagli stessi du-rante incontri periodici, a cadenza almenotrimestrale.

4. Il patto di cura si articola in sezioniriferite a: la qualità della relazione tra ipartecipanti; i desideri o gli obiettivi del-l’utente; le aspettative reciproche dei par-tecipanti; gli obiettivi progettuali del-l’utente; l’assunzione dei farmaci; i sintomiiniziali delle crisi; gli interventi finalizzatia garantire la consapevolezza e la condi-visione del percorso di cura.

5. Per ciascuna sezione del patto dicura ogni partecipante sottoscrive i propriimpegni che possono essere individuali ocondivisi con gli altri partecipanti.

6. Il patto di cura non costituiscevincolo giuridico formale ed è volto astimolare in tutti i partecipanti la massimaassunzione di responsabilità possibile e lacentralità dell’utente nel percorso di cura.

7. In via sperimentale, per facilitare unconfronto costruttivo e paritario, i parte-cipanti al patto di cura possono nominare

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un garante esterno individuato tra gli UFEo tra soggetti esterni che abbiano svoltoattività di volontariato nel settore dellemalattie mentali. Il garante non può espri-mersi sul percorso di cura né su eventualialtri interventi connessi alla cura.

ART. 8.

(Ascolto, sostegno e coinvolgimentodei familiari).

1. Il Servizio sanitario nazionale rico-nosce valore fondamentale al ruolo diascolto e di sostegno dei familiari, nonchéal loro coinvolgimento nel percorso dicura dell’utente.

2. In attuazione di quanto disposto dalcomma 1, i dipartimenti di salute mentaleprevedono incontri con i familiari confinalità informativa e psico-educativa, fa-cilitando anche la costituzione di gruppi diauto-mutuo-aiuto, nonché l’incontro tra ifamiliari di diversi utenti, ai fini di unconfronto e di uno scambio delle recipro-che esperienze.

ART. 9.

(Gestione delle situazioni di crisia livello territoriale).

1. Le regioni attraverso i dipartimentidi salute mentale garantiscono risposterapide ed efficaci nelle situazioni di crisidegli utenti.

2. Il dipartimento di salute mentale ètenuto ad assicurare con la massima tem-pestività e comunque entro 24 ore dallasegnalazione, il proprio intervento per lagestione della situazione di crisi dell’utenteavvalendosi di operatori dedicati del me-desimo dipartimento e coinvolgendo atti-vamente lo stesso utente, i familiari, ilmedico di medicina generale e gli altrisoggetti eventualmente interessati. In casodi mancata collaborazione dell’utente, glioperatori valutano le sue condizioni psi-chiche utilizzando ogni mezzo ritenutoopportuno compresa la visita al domiciliodello stesso utente. Qualora gli operatori

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medici, esperito ogni possibile tentativo,non siano messi in condizione di visitareil paziente e ritengano, in base alle infor-mazioni in loro possesso, che vi sia lanecessità urgente di una valutazione psi-chiatrica, propongono all’autorità compe-tente un accertamento sanitario obbliga-torio (ASO). Qualora nell’espletamentodell’ASO gli operatori medici accertino lapresenza dei requisiti previsti dalla leggeper un trattamento sanitario obbligatorio(TSO), una volta esperiti senza successotutti i possibili tentativi per acquisire ilconsenso volontario del paziente al rico-vero come previsto dalla legge, propon-gono il TSO all’autorità competente.

ART. 10.

(Gestione delle situazioni di crisia livello ospedaliero).

1. Qualora la situazione di crisi non siagestibile a livello territoriale ai sensi del-l’articolo 9, l’utente è ricoverato presso ilservizio psichiatrico di diagnosi e cura(SPDC) di un ospedale individuato dall’au-torità competente.

2. Gli SPDC operano in conformità aquanto disposto dalla presente legge, perla prevenzione della contenzione fisica aisensi del documento 10/081/CR/07/C7della Conferenza delle regioni e delle pro-vince autonome del 29 luglio 2010, recante« Contenzione fisica in psichiatria: unastrategia possibile di prevenzione.

ART. 11.

(Continuità nella referenza di cura).

1. Nelle diverse fasi del percorso dicura il dipartimento di salute mentaleassicura la presenza di un medico psichia-tra responsabile e nelle situazioni di par-ticolare complessità individua un opera-tore di riferimento che gestisca i rapporticon altri servizi socio-sanitari o soggetticoinvolti nel percorso medesimo e ne in-forma l’utente stesso e i familiari.

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ART. 12.

(Azioni finalizzate all’individuazione disoluzioni abitative e per l’inserimento

lavorativo).

1. Il dipartimento di salute mentale, nelrispetto del patto di cura e d’intesa con isoggetti pubblici o privati competenti, av-via, ove necessario, percorsi di residenzia-lità protetta e di inserimento dell’utentenel mondo del lavoro.

2. I percorsi di residenzialità protettadevono individuare le soluzioni abitativepiù adatte per l’utente quali convivenze trautenti diversi, luoghi di cura a bassaprotezione, affidi eterofamiliari e altresoluzioni simili.

3. I percorsi di inserimento nel mondodel lavoro di cui al comma 1 devonoindividuare le situazioni più adatte perl’utente anche promuovendo attività lavo-rative all’interno dei dipartimenti di salutementale in caso di utenti non ancorapronti per l’inserimento in percorsi strut-turati, anche in collaborazione con soggettiprivati o del privato sociale, valorizzandoaltresì eventuali competenze professionalispecifiche.

ART. 13.

(Campagne di informazionesulla malattia mentale).

1. Le regioni, attraverso i dipartimentidi salute mentale e con il coinvolgimentodegli UFE, predispongono campagne diinformazione sulla malattia mentale alfine, in particolare, di contrastare i pre-giudizi su tale malattia.

ART. 14.

(Formazione).

1. Le regioni assicurano agli operatoridei dipartimenti di salute mentale, agliutenti e ai familiari, oltre a quantoprevisto dalla normativa vigente, almeno

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40 ore all’anno di formazione circa lanuova disciplina introdotta dalla presentelegge.

ART. 15.

(Consulta nazionale per la salute mentale).

1. Con decreto del Ministro della salute,da emanare entro tre mesi dalla data dientrata in vigore della presente legge, diconcerto con la Conferenza permanenteper i rapporti tra lo Stato, le regioni e leprovince autonome di Trento e di Bolzano,è istituita presso il Ministero della salutela Consulta nazionale per la salute men-tale, di seguito denominata « Consulta na-zionale ».

2. La Consulta nazionale è composta daun rappresentante del Ministero della sa-lute con funzioni di presidente e da ven-tiquattro membri di cui: sei esperti inmateria di salute mentale nominati dalMinistro della salute; sei rappresentatidelle regioni e delle province autonome diTrento e di Bolzano; quattro rappresen-tanti degli utenti e dei familiari assistitidai dipartimenti di salute mentale; quattrorappresentanti di associazioni ed enti por-tatori di interessi; quattro rappresentantidegli operatori.

3. La Consulta nazionale orienta emonitora le politiche relative alla salutementale a livello nazionale e in partico-lare:

a) fornisce gli strumenti per la veri-fica dei risultati;

b) definisce i criteri e gli standardminimi di assistenza relativi agli aspettietici, organizzativi, logistici e proceduralidelle attività connesse al trattamento e allaprevenzione delle malattie mentali, conparticolare attenzione agli indici di fun-zionamento, di qualità, di gradimento daparte degli utenti e di esito dei trattamenti;

c) monitora, sulla base dei dati rac-colti dalle regioni, le risorse e le struttureesistenti per il trattamento delle malattiementali;

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d) sviluppa nuovi modelli organizza-tivi, di trattamento e di prevenzione dellemalattie mentali, anche sulla base di pro-poste presentate dagli operatori, pubblici eprivati, definendone l’attuabilità e gliaspetti normativi e promuovendoli anchein ambito regionale;

e) coordina le attività di formazionesulle malattie mentali;

f) fornisce consulenza al Ministrodella salute ai fini della predisposizionedel nuovo piano nazionale per la salutementale previsto dall’articolo 3.

ART. 16.

(Consulta regionale per la salute mentale).

1. Ogni regione, con proprio atto, isti-tuisce una consulta regionale per la salutementale. Fanno parte della consulta re-gionale l’assessore regionale competente oun suo delegato, con funzioni di presi-dente, e un massimo di sedici membri dicui: quattro esperti in materia di salutementale nominati dalla regione; quattrorappresentanti degli utenti e dei familiariassistiti dai dipartimenti di salute mentale;quattro rappresentanti di associazioni edenti portatori di interessi; quattro rappre-sentanti degli operatori.

2. La consulta regionale per la salutementale collabora con la Consulta nazio-nale ed esercita funzioni di orientamentoe di monitoraggio sulle politiche relativealla salute mentale nel territorio regionale,con particolare riferimento a quanto pre-visto dalla presente legge.

ART. 17.

(Disposizioni finanziarie).

1. Dall’attuazione della presente leggenon devono derivare nuovi o maggiorioneri a carico della finanza pubblica.

2. Le regioni, tramite le rispettiveaziende sanitarie locali, provvedono allacopertura degli oneri diretti e indiretti

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derivanti dall’attività dei dipartimenti disalute mentale.

3. Anche al fine di garantire standardminimi di prestazione omogenei in tutto ilterritorio nazionale, in sede di Conferenzapermanente per i rapporti tra lo Stato, leregioni e le province autonome di Trentoe di Bolzano, sono individuati obiettivi dirazionalizzazione nell’impiego delle risorsedel Servizio sanitario nazionale destinatealla salute mentale, attribuendo comunquepriorità nell’assegnazione dei finanzia-menti ai progetti innovativi conformi allefinalità di cui alla presente legge, conparticolare attenzione al contenimentodella spesa relativa al finanziamento dellestrutture residenziali ad alta protezione,pubbliche o private.

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