canone biblico e teologia biblica, un rapporto necessario… difficile, g. segalla

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LA 56 (2006) 179-212 CANONE BIBLICO E TEOLOGIA BIBLICA Un rapporto necessario… difficile 1 G. Segalla 1. Il problema posto dal canone “Una Bibbia, due Testamenti”: 2 lʼespressione, che indica sinteticamente il canone cristiano, rivela nella maniera più semplice il problema che suscita. Benché il nome originario “Biblia/libri” sia plurale, nella semantica usuale è passato a significare il Libro per eccellenza, chiamato anche qualitativa- mente “Sacra Scrittura”. Un Libro composto di due parti in tensione fra loro, che ha però un unico autore creduto, Dio (Dei Verbum 9), è specchio di una esperienza unitaria transcanonica e testimonia una tradizione altret- tanto transcanonica, perché inizia, questa tradizione e questa esperienza prima del canone e, chiuso il canone, continua a vivere nella comunità cristiana attraverso il tempo. Questa unità della Bibbia, creduta, è messa in questione dalla duplicità dei due Testamenti, provenienti da tempi diversi, espressione uno del po- 1. Bibliografia oltre a quella già registrata in G. Segalla, Teologia Biblica del Nuovo Te- stamento (Logos 8/2), Torino 2006, 536: G. Aragona - E. Junod - E. Norelli (ed.), Le canon du Nouveau Testament. Régards nouveaux sur lʼhistoire de sa formation (Monde de la Bible 54), Gènève 2005; H. Bloom, The Western Canon, London 1995; C. Dohmen - F. Mussner, Nur die halbe Wahrheit? Für die Einheit der ganzen Bibel, Freiburg etc. 1993; C. Dohmen - M. Oeming, Biblischer Kanon: warum und wozu? (QD 137), Freiburg etc. 1992; H. Frankemölle, “ʻBiblischeʼ Theologie, Semantisch-historische Anmerkungen und Thesen”, ThGl 92 (2002) 157-176; H. Gese, “Erwägungen zur Einheit der Biblischen Theologie”, in Id., Vom Sinai zum Sion. Alttestamentliche Beiträge zur biblischen Theolo- gie, München 1990 3 , 11-30; H.-J. Hermisson, Christus als die Mitte der Schrift. Studien zur Heremeneutik des Evangeliums, Berlin 1997; B. Janowski - P. Stuhlmacher (ed.), Der leidende Gottesknecht. Jesaia 53 und seine Wirkungsgeschichte (FAT 14), Tübingen 1996; A. Loveday, “Godʼs Frozen Word. Canonicity and Dilemmas of Biblical Studies Today”, ExpT 117 (2006) 231-242 (critica B.S. Childs); O. Merk, “Theologie des Neuen Testaments und Biblische Theologie”, in F.H. Horn (ed.), Bilanz und Perspektiven gegenwärtiger Aus- legung des Neuen Testaments (BZNW 75), Berlin - New York 1995, 112-143; E. Norelli (ed.), Récueils normatifs et canon dans lʼAntiquité. Perspectives nouvelles sur la formation du canon juif et chrétien dans leur contexte culturel, Lausanne 2004; R. Rendtorff, “Christ- liche Identität in Israelʼs Gegenwart”, EvTh 55 (1995) 3-12; M. Wyschogrod, The Body of Faith. God and People of Israel, Northvale NJ 1996 2 ; E. Zenger, Lebendige Welt der Bibel, Freiburg 1997. 2. C. Dohmen - T. Söding (ed.), Eine Bibel-Zwei Testamente (Uni-Taschenbücher 1893), Paderborn etc. 1995: undici proposte di Teologia Biblica dellʼAT e dieci del Nuovo con introduzione rispettivamente dei due curatori.

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LA 56 (2006) 179-212

CANONE BIBLICO E TEOLOGIA BIBLICAUn rapporto necessario… difficile1

G. Segalla

1. Il problema posto dal canone

“Una Bibbia, due Testamenti”:2 lʼespressione, che indica sinteticamente il canone cristiano, rivela nella maniera più semplice il problema che suscita. Benché il nome originario “Biblia/libri” sia plurale, nella semantica usuale è passato a significare il Libro per eccellenza, chiamato anche qualitativa-mente “Sacra Scrittura”. Un Libro composto di due parti in tensione fra loro, che ha però un unico autore creduto, Dio (Dei Verbum 9), è specchio di una esperienza unitaria transcanonica e testimonia una tradizione altret-tanto transcanonica, perché inizia, questa tradizione e questa esperienza prima del canone e, chiuso il canone, continua a vivere nella comunità cristiana attraverso il tempo.

Questa unità della Bibbia, creduta, è messa in questione dalla duplicità dei due Testamenti, provenienti da tempi diversi, espressione uno del po-

1. Bibliografia oltre a quella già registrata in G. Segalla, Teologia Biblica del Nuovo Te-stamento (Logos 8/2), Torino 2006, 536: G. Aragona - E. Junod - E. Norelli (ed.), Le canon du Nouveau Testament. Régards nouveaux sur lʼhistoire de sa formation (Monde de la Bible 54), Gènève 2005; H. Bloom, The Western Canon, London 1995; C. Dohmen - F. Mussner, Nur die halbe Wahrheit? Für die Einheit der ganzen Bibel, Freiburg etc. 1993; C. Dohmen - M. Oeming, Biblischer Kanon: warum und wozu? (QD 137), Freiburg etc. 1992; H. Frankemölle, “ʻBiblische ̓Theologie, Semantisch-historische Anmerkungen und Thesen”, ThGl 92 (2002) 157-176; H. Gese, “Erwägungen zur Einheit der Biblischen Theologie”, in Id., Vom Sinai zum Sion. Alttestamentliche Beiträge zur biblischen Theolo-gie, München 19903, 11-30; H.-J. Hermisson, Christus als die Mitte der Schrift. Studien zur Heremeneutik des Evangeliums, Berlin 1997; B. Janowski - P. Stuhlmacher (ed.), Der leidende Gottesknecht. Jesaia 53 und seine Wirkungsgeschichte (FAT 14), Tübingen 1996; A. Loveday, “Godʼs Frozen Word. Canonicity and Dilemmas of Biblical Studies Today”, ExpT 117 (2006) 231-242 (critica B.S. Childs); O. Merk, “Theologie des Neuen Testaments und Biblische Theologie”, in F.H. Horn (ed.), Bilanz und Perspektiven gegenwärtiger Aus-legung des Neuen Testaments (BZNW 75), Berlin - New York 1995, 112-143; E. Norelli (ed.), Récueils normatifs et canon dans lʼAntiquité. Perspectives nouvelles sur la formation du canon juif et chrétien dans leur contexte culturel, Lausanne 2004; R. Rendtorff, “Christ-liche Identität in Israelʼs Gegenwart”, EvTh 55 (1995) 3-12; M. Wyschogrod, The Body of Faith. God and People of Israel, Northvale NJ 19962; E. Zenger, Lebendige Welt der Bibel, Freiburg 1997.2. C. Dohmen - T. Söding (ed.), Eine Bibel-Zwei Testamente (Uni-Taschenbücher 1893), Paderborn etc. 1995: undici proposte di Teologia Biblica dellʼAT e dieci del Nuovo con introduzione rispettivamente dei due curatori.

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polo di Israele come popolo di Dio, lʼaltro della comunità cristiana, nata peraltro allʼinterno del popolo ebraico, che possedeva già le sue Scritture sante3. Come si può parlare di un unico libro quando contiene due Testa-menti in tensione fra loro? Già fin dagli inizi della Chiesa si è tentato di ricostruire una unità canonica o eliminando la tensione, togliendo lʼAntico Testamento (AT) dal canone cristiano e riducendolo a Vangelo (di Luca) e Apostolo (Paolo), come fece Marcione nel II secolo, oppure leggendo lʼAT allegoricamente come parlasse solo di Cristo e bollando come falsa la lettu-ra ebraica dellʼAT, come fa la lettera di Barnaba. Senza dire delle difficoltà che pone lo stesso Nuovo Testamento (NT), quando si voglia dimostrare lʼunità teologica dei 27 libri, di cui si compone4.

Ecco il problema cui è chiamata a rispondere una vera Teologia Biblica (TB) che si prenda a carico di argomentare quanto è creduto dalla fede: lʼunità fondamentale dei due Testamenti così da formare unʼunica Bibbia. La Teologia Biblica infatti è nata alla confluenza di diversi impulsi della modernità, tra cui la crisi del principio scritturistico protestante (Biblia in-terpres sui), causato dalla ricerca liberale della storia del canone pubblicata da Johann Salomo Semler (1706-1757) nel clima illuminista del 17715. Poco dopo nel 1787 Philip Gabler (1753-1826) proponeva lo statuto della TB nel discorso di inaugurazione del suo insegnamento allʼuniversità di Nürnberg in Altdorf: “De justo discrimine theologiae biblicae et dogmati-cae regundisque recte utriusque finibus”6: rispetto alla teologia dogmatica la TB ha per oggetto proprio la Bibbia e come metodo proprio, quello storico. Guidato dal principio illuministico delle verità razionali, egli cercava nella Bibbia unʼunità teologica concettuale che potesse dare unità alla varietà che presentava la teologia dogmatica. Il canone, in questa prospettiva, veniva accettato quale dato teologico pacifico come pure lʼunità di Antico e Nuovo Testamento. Ma a cominciare dal primo studioso che, dopo di lui, iniziò a scrivere una TB, Georg Lorenz Bauer (1755-1806), si separarono subito

3. A “Scritture Sacre” e “Sacra Scrittura”, che risentono della fenomenologia religiosa pre-ferisco come in tedesco “Scritture Sante” e “Santa Scrittura”.4. Classico su questo argomento J.D.G. Dunn, Unity and Diversity in the New Testament, London - Philadelphia 1977.5. Johann Salomo Semler, Abhandlung von freier Untersuchung des Canons, 4 voll., Halle 1971; ristampa parziale curata da Heinz Scheible (TKTG 5), Gütersloh 19802.6. Ph. Gabler, Kleine theologische Schriften, (ed. Th.A. Gabler e J.G. Gabler), vol. II, Ulm 1981, 179-188; trad. inglese di J. Sandys-Wunsch - L. Eldredge, “Gabler and the Distinction between Biblical and Dogmatic Theology. Translation, Commentary, and Discussion of his Originality”, SJT 33 (1980) 133-138; trad. tedesca in G. Strecker (ed.), Das Problem der Theologie des Neuen Testaments (WdF 367), Darmstadt 1975, 32-44.

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“Biblische Theologie des Alten Testaments” (Leipzig 1796) e “Biblische Theologie des Neuen Testaments” (4 voll., Leipzig 1800-1802). E tuttavia nei titoli delle opere degli inizi “Biblische Theologie” rimase fino al 18367, per scomparire quasi del tutto subito dopo e ricomparire in epoca recente, come vedremo. Secondo G. Strecker ciò è dovuto alla concezione tradizio-nale di “Teologia Biblica” che allora vigeva, e che presupponeva lʼunità di Antico e Nuovo Testamento, lʼintegrità del canone e lʼidentità di teologia scritturistica e dogmatica8. Questi tre presupposti vennero messi in crisi dal metodo storico-critico applicato allo studio della Bibbia: lʼunità di Antico e NT fu messa in questione dalla critica che ne rivelava invece la profonda diversità storico letteraria e concettuale, accentuata in seguito dalla teologia kerygmatica; il canone dellʼAT si è dimostrato diverso per ebrei e cristiani e per di più anche i cristiani hanno avuto e hanno diversi canoni; infine, come abbiamo visto già con Ph. Gabler, la teologia biblica si era separata dalla teologia dogmatica e pretendeva diventarne il principio critico.

In seguito al metodo storico critico e storico religioso si è passati poi dal modello illuminista a quello positivista, in cui predominava la storia e lʼespe-rienza storica sulle idee. Lʼunica maniera di salvare in qualche modo lʼunità teologica almeno del NT era quella di abbandonare la storia al dominio della critica per concentrarsi nella interpretazione esistenziale della fede, di cui è testimone la classica “Teologia del NT” di R. Bultmann. Di conseguenza si era abbandonata da tempo lʼidea e il progetto di una teologia biblica, in un orizzonte in cui lʼAT veniva progressivamente perso di vista, a parte lʼopera classica di Von Rad. La Teologia del NT della prima metà del novecento influenzata da Bultmann, creava così una diastasi con lʼAT, abbandonato praticamente agli ebrei. Perciò si sentì, soprattutto in ambiente tedesco, la necessità di recuperare la storia alla teologia biblica e di riprendere in seria considerazione teologica lʼAT come parte integrante della Bibbia9.

Nella seconda metà del secolo XX si possono individuare così due mo-menti significativi in cui la TB riprese vita, passando da un interesse per la storia del canone10 ad un profondo interesse per la sua teologia: i due mo-menti vanno posti rispettivamente intorno agli anni settanta e novanta.

7. Segalla, Teologia Biblica, 19-20.8. G. Strecker, “ʻBiblische Theologie ̓oder ʻTheologie des Neuen Testamentsʼ”, in C. Dohmen - T. Söding (ed.), Eine Bibel - zwei Testamente, Paderborn 1995, 267-273 (pp. 267-268).9. Si vedano alcuni titoli della nota bibliografica iniziale.10. Classiche sono: B.F. Westcott, The General Survey of the History of the Canon of the New Testament, London 18703 (18551); T. Zahn, Geschichte des neutestamentlichen Kanons, 2 voll., Erlangen - Leipzig 1888-1892, rist. Heidelberg 1975; Id., Grundriss der

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2. La reazione degli anni settanta tra ermeneutica evangelica del ca-none neotestamentario ed ermeneutica canonica

La crisi del canone, generata dalla lunga stagione del metodo storico-criti-co, aveva prodotto solo “Teologie dellʼAT” e “Teologie del NT” o addirit-tura si era abbandonato il termine impegnativo di “Teologia” per scegliere quello scientificamente più trattabile di “Religione”11. Il canone biblico era praticamente dimenticato come lista dei libri “ispirati”, che contengono la testimonianza della rivelazione divina e quindi la norma della fede. E tanto meno perciò si affrontava il problema della sua unità.

Fu a partire dagli anni settanta che iniziò una reazione esplicita, lʼuna in Germania di carattere teologico ermeneutico, lʼaltra in America di carattere più propriamente canonico. Le esaminiamo separatamente.

2.1. Lʼermeneutica evangelica e la ricerca di un centro del canone neo-testamentario

Un volume miscellaneo, curato da E. Käsemann, fotografa la situazione del Nuovo Testamento come canone intorno agli anni settanta12. Vi sono raccolti quindici contributi di quindici autori diversi, tedeschi, in un arco di tempo di 30 anni, con una introduzione e una conclusione critica dello stesso Käsemann.

Un primo cenno alla crisi del canone lo si trova già in un articolo di Ernst Strathmann del 1941 intitolato proprio “Die Krisis des Kanons der Kirche” (pp. 41-61), in cui egli si richiama allʼopera già ricordata di Semler sul canone del lontano 1771, che metteva in crisi la concezione teologica protestante del canone mediante la critica liberale. Rifacendosi alla con-cezione dialettica della Scrittura di M. Lutero - cioè che la Scrittura va interpretata secondo il criterio dellʼarticolo fondamentale della tradizione

Geschichte des neutestamentlichen Kanons, Leipzig 19042, rist. Heidelberg 1985; A. Har-nack, Die Entstehung des Neuen Testaments und die Folgen der neuen Schöpfung, Leipzig 1914; H.F. Von Campenhausen, Die Entstehung der Christlichen Bibel, Tübingen 1968; B.M. Metzger, Il canone del Nuovo Testamento. Origine sviluppo e significato, Brescia 1997 (ed. ingl. 1989, rist. 1997); L.M. McDonald, The Formation of the Christian Biblical Canon, Peabody MA 1995.11. Per una breve storia della questione a partire da W. Wrede fino alla situazione attuale postmoderna, si veda H. Räisänen, Beyond New Testament Theology. A Story and a Pro-gramme, London 20002 (19901).12. E. Käsemann (ed.), Das Neue Testament als Kanon, Göttingen 1970.

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evangelica, la giustificazione dellʼuomo peccatore mediante la fede (Rm 1,17) oppure secondo lʼaltro criterio, “Was Christum treibt/Ciò che porta a Cristo” – Strathmann ne notava il contrasto con la tesi corrente della ispi-razione verbale e con la concezione conseguente giuridico letterale della Scrittura, dominante nellʼortodossia protestante. Ora, la critica moderna e il libero esame del canone a partire da Semler, metteva in crisi proprio questa concezione giuridico letteralista della Scrittura. Occorreva perciò abbando-nare la concezione di un canone come legge fissa della rivelazione divina ed abbracciare invece una concezione personale, quella appunto di Lutero. Strathmann conclude il suo contributo affermando perentoriamente:

La concezione della verità non è giuridico dottrinale, ma personale se-condo le parole di Gesù: - Sono io la via, la verità e la vita - … La crisi del canone della Chiesa, eredità … di Semler, può essere superata solo mediante la concezione storico religiosa dellʼautorità della Sacra scrittura fondata nel reale rapporto vitale della Chiesa e dei suoi membri e tradursi perciò in libertà… (p. 61).

La concezione dogmatica della verità assoluta della Scrittura e quin-di del canone in senso letteralista e intellettualista, era in realtà lʼultima conseguenza logica del principio protestante “Sola Scrittura” e “Scriptura interpres sui”. La Scrittura si autorizzava da sé, dal suo interno e non era necessaria quindi lʼautorità esterna della Chiesa per determinare il cano-ne e per essere interpretata in modo autorevole. Tale concezione giuridi-ca intellettualistica, come la qualifica Strathmann, era messa in crisi dalla critica storica. La difesa disperata demandata allʼapologetica per sostenere lʼinerranza biblica o alla testimonianza interiore dello Spirito Santo, era in-sostenibile. Lʼautorità del canone come Scrittura non doveva quindi essere fondata sullʼequiparazione fra Scrittura e parola di Dio. I libri del canone sono stati scritti da uomini e non sono perciò parola di Dio, ma testimo-nianza della verità rivelata per la nostra salvezza.

La drammatica presa di coscienza che la concezione protestante del-lʼautorità della Scrittura in senso giuridico intellettuale era messa in crisi dalla critica biblica, costringeva a ritornare alle origini della Riforma, allo stesso Lutero e alla sua concezione dialettica dellʼautorità della Scrittura. Lʼunità teologica del canone si poteva dimostrare solo mediante un princi-pio critico assunto dallʼinterno del canone stesso: quello che viene chiamato anche “il canone nel canone”, cioè un libro privilegiato (Lettera ai Galati e ai Romani) come principio critico per discernere nel canone lʼautentica rivelazione della verità del Vangelo; oppure il centro del canone, cioè una verità fondamentale che possa giudicare la gradualità della verità biblica nei vari libri del canone.

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Lo stesso E. Käsemann, nella sua valutazione finale parla ripetutamente di “canone nel canone” (pp. 405 e 410) o della necessità di un “centro del canone” (p. 410) per sostenere lʼunità teologica del canone contro la varia e incomponibile varietà messa in luce dalla critica storica. Perciò tale unità si può argomentare solo ermeneuticamente. Käsemann con la forza dialet-tica che gli era propria, negava perentoriamente che il canone fosse storia (semmai è nella storia come suo orizzonte) come pure che fosse dottrina (verità da credere). È Vangelo, è kerygma, è annuncio di salvezza nellʼoriz-zonte della storia: “Poiché la realtà terrena è il luogo del Vangelo, non sono identici canone e Vangelo (corsivo mio), ma si appartengono lʼuno allʼaltro. Il canone rappresenta il Vangelo come è entrato nella storia” (p. 408).

Contro una concezione carismatica della Scrittura e conseguente in-terpretazione carismatica egli tuonava: “La viva vox evangelii non è lʼeco di una voce celeste (corsivo mio), ma la richiesta di Dio agli uomini e al mondo che abbraccia e attraversa ogni luogo, terra ed ogni tempo, e per-ciò non è un depositum fidei (corsivo mio), intoccabile, ma è il Vangelo testimoniato da ogni uomo credente secondo la sua comprensione e possi-bilità, rifiutato dal non credente, falsificato dalla superstizione”; insomma il Vangelo non è una summa theologica, “Ogni tempo offre al Vangelo il suo contesto” (p. 409).

E sulla necessità del canone si esprimeva così: “Il canone limitato dice che la nostra fede non è fondata in noi stessi o nella nostra situazione, ma è fondata nel Vangelo già dato e orientato a quel Cristo, che è il Nazareno Crocifisso” (p. 409). “Perciò sono richieste analisi storica e critica teologica nella interpretazione della Bibbia. Ambedue, ciascuna a suo modo, portano a un canone nel canone… Non vi è analisi storica (scientifica) né critica teologica (dal centro del canone) che non debbano rendere sempre neces-saria una superprova… Così lʼinterpretazione si realizza sia storicamente in quanto valuta e distingue giustamente i dati, sia teologicamente… in quanto distingue il rapporto fra canone e Vangelo” (p. 410).

E infine, a conclusione: “Il canone mediante la testimonianza protocri-stiana e la limitata documentazione della dialettica tra Vangelo e mondo, non è un manuale di pura dottrina, non è la sola sintesi della tradizione apostolica né un libro edificante. È la documentazione di quella storia nella quale il Vangelo del Dio ignoto (At 17,22-31) si scontra col mondo degli dei” (p. 410).

A conclusione di questʼampia citazione di Strathmann e Käsemann, vorrei sintetizzare la situazione degli anni settanta nellʼambiente evangelico della Germania in alcuni brevi punti:

1) La crisi del canone in ambiente protestante si identifica con la crisi

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della concezione rigidamente letteralista, giuridico intellettuale della Scrit-tura, dipendente dalla tesi della ispirazione verbale, conseguenza logica del principio della “Sola Scriptura” e “Scriptura interpres sui”. La difesa apologetica e carismatica non reggeva più di fronte alla critica storica del canone e allʼuso del metodo storico-critico nellʼinterpretare la Scrittura.

2) La risposta alla sfida si richiamava alle origini della Riforma, alla concezione dialettica della Scrittura di Lutero. Solo il criterio dialettico del “Was Christum treibt” permetteva di rilevare il centro unitario allʼinterno del canone neotestamentario così vario.

3) La soluzione ermeneutica si avvale liberamente della critica storica e della critica teologica per scoprire la verità del Vangelo, aperta al confronto critico col mondo e con le condizioni storiche in cui viene annunciato, cre-duto e vissuto. Il canone va mantenuto come vangelo, in cui è annunciato il Cristo crocifisso per noi, in contrasto col mondo. Il canone come Vangelo annunciato, creduto e vissuto è quella raccolta di libri, chiamati “Sacra Scrittura” in cui tale Vangelo rimane per sempre consegnato. Lʼesegesi, avvalendosi della critica storica e teologica, avrà il compito di scoprire sempre di nuovo questo Vangelo, annunciarlo, crederlo e viverlo. È palese qui la teologia kerygmatica.

4) Il canone in quanto tale viene perciò, in fin dei conti, relativizzato in rapporto al Vangelo, in esso racchiuso ma non ad esso identico, per-ché semmai il canone è lo specchio del Vangelo nellʼorizzonte della storia umana e ne contiene quindi i limiti. In questa prospettiva, in cui lʼAT è assolutamente ignorato, non è possibile se non una “Teologia del NT” in senso evangelico.

Il canone nel canone o il centro del canone come criteri di verità ri-velata, se per un verso salvaguardano lʼunità teologica del canone neote-stamentario, sacrificano per altro verso il canone stesso e lo abbandonano alla critica storica. Ed è proprio a questo abbandono totale del canone alla critica storica che si oppone la critica ed ermeneutica canonica che negli stessi anni fiorisce negli Stati Uniti.

2.2. Critica ed ermeneutica canonica per una teologia biblica

Va notato subito il modo diverso di affrontare la crisi del canone intorno a questi anni settanta in due ambienti diversi: da un parte lʼambiente euro-peo, dallʼaltro quello americano, lʼuno alimentato da neotestamentisti, lʼal-tro aperto da anticotestamentisti, il primo in funzione di una ermeneutica evangelica nel confronto col mondo inteso in senso negativo, il secondo

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teso alla formulazione di una teologia biblica come espressione e prova dellʼunità e identità teologica della Bibbia comprendente Antico e Nuovo Testamento, in relazione allʼidentità della Chiesa.

Intorno allo stesso anno 70, dunque, due autori americani, B.S. Chil-ds e J.A. Sanders, ambedue anticotestamentisti, annunciano una specie di “Manifesto”, un nuovo metodo di critica biblica, incentrato nel canone. Significativamente il libro manifesto di B.S. Childs portava il titolo Biblical Theology in Crisis13. Il libro innovativo di J.A. Sanders usciva invece due anni dopo col titolo Torah and Canon14. Trattiamo anzitutto di questʼultimo per passare poi a Childs.

2.2.1. J.A. Sanders e il processo canonico

J.A. Sanders non ha prodotto come Childs unʼopera che raccoglie sinteti-camente il frutto dei suoi vari studi, una “Teologia Biblica”, forse perché si pone più sul piano dellʼermeneutica che non su quello del contenuto teologico del canone. Il suo principio euristico è infatti quello del processo canonico, mentre per Childs è quello del contesto canonico. Il suo libro fondamentale rimane quello iniziale Torah and Canon, dove esponeva la sua tesi e il suo programma per una “storia del canone”, non nel senso usuale della sua origine, ma nel senso del processo storico che ha portato alla formazione del canone. È quindi un problema sia storico che teolo-gico quello del canone. Vale la pena di riportare: 1. il suo punto di vista, 2. la tesi finale e 3. il problema storico che pone il canone. Lo riassume nellʼepilogo:

1. “Il punto di vista della presente opera è che la Bibbia, qualsiasi sia la sua estensione, è canone. Qualsiasi interesse presenti per la società mo-derna da altri punti di vista (storia, letteratura…) la Bibbia è primariamente canone per le comunità che trovano la loro identità nella lettura che ne praticano, e che si sforzano di modellare il loro stile di vita su ciò che dice loro la Bibbia” (ed. ing. 117/fr. 147).

13. B.S. Childs, Biblical Theology in Crisis, Philadelphia 1970.14. J.A. Sanders, Torah and Canon, Philadelphia 1972, tradotto in francese da P. Maihé col titolo Identité de la Bible (LD 87), Paris 1975. Il libro è senza note e senza bibliografia; nellʼed. francese è stata aggiunta alla fine una bibliografia ragionata, curata da Mary C. Callaway (pp. 163-167), e una rassegna delle recensioni, scritta dallo stesso autore. Il libro perciò è passato un po ̓ inosservato per questa sua modesta presentazione. Il volume che raccoglie i suoi interventi più significativi su questo argomento è invece: From Sacred Story to sacred Text, Canon as Paradigm, Eugene OR 20002 (19871).

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2. “La tesi avanzata in questʼopera è la seguente: un esame storico del senso della Torah, del suo contenuto e della sua struttura, dei suoi antece-denti, della sua forma (Gestalt) offre un punto di partenza al dibattito sul senso e lʼautorità della Bibbia presa nel suo insieme, qualsiasi sia la sua ampiezza…

3. Ciò che interpella lo storico è il fatto più straordinario che si in-contra in tutta la storia biblica: il popolo è sopravvissuto e ha conserva-to una identità nelle comunità disperse dellʼesilio. Tale fatto richiede di essere spiegato (corsivo mio)” (118/148). Ed è lʼautorità del canone che lo spiega: “Forse lʼautorità più fondamentale del canone è percepita e si afferma nel momento in cui la comunità si vede costretta dalla stessa storia in cui è impegnata, a porre quel genere di questioni che vengono indiriz-zate alle tradizioni antiche al momento della nascita del giudaismo, cioè quando il canone ha cominciato a prendere forma” (119/149). La domanda che ricorre e ritorna sempre è: “Perché la Bibbia ebraica ha durato così tanto? (corsivo mio) Non solo perché vi sono state chiese e sinagoghe che lʼhanno trasmessa. Ma perché la Bibbia è essenzialmente diversa da qualsiasi altro libro. Gli è innato il rifiuto di assolutizzare ogni posizione particolare, di farne il luogo in cui tutti gli uomini possono vivere sotto la sovranità di Dio. Non vi è tesi né dottrina che sfugga al giudizio di Dio, non vi è ʻCredo ̓che dispensi da Dio. La Bibbia presenta Dio meno come immutabile che sempre in movimento, e quello che ci ha conservato riflette questa libertà divina sotto forme che escludono ogni tentativo dellʼuomo di addomesticarlo… In una Bibbia così sempre diversa Dio rimane sempre lo stesso. Una società moderna supersviluppata che per essere libera, pretende di rigettare il peso delle concezioni monolitiche della verità e possiede un senso acuto del valore del dialogo e della dialettica, presto o tardi dovrà prendere coscienza di questo dilemma: o la libertà che rivendica è unʼillu-sione che copre il caos di un miliardo di dei, o è un dono, che corona tutti gli uomini, e li arma per la resistenza contro ogni tirannia che pretenda di asservirli” (116/145). La Bibbia come canone, cioè come autorità divina e come specchio in cui trova la sua identità il popolo di Israele, è un fatto storico, di cui lo storico deve dare spiegazione. Tale spiegazione consiste nello studiare i momenti di crisi in cui Israele rischia di perdere la sua identità e perciò di perdersi, e il processo canonico che in essi si è attuato, vale a dire lʼitinerario storico seguito dalle tradizioni di Israele per arrivare progressivamente a configurarsi nella Torah come specchio della propria identità; tale processo canonico per cui tradizioni passate vengono rilette alla luce di nuovi eventi che minacciano la stessa esistenza del popolo, come lʼesilio babilonese e la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. Il pro-

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cesso canonico è una rilettura e riscrittura delle tradizioni originarie fino a quando raggiungono la loro stabilità nella Torah canonica alla luce di nuovi eventi e situazioni, per cui si ha insieme la stabilità delle tradizioni e la loro adattabilità a nuove situazioni. Il processo canonico nella storia diviene poi il modello dellʼermeneutica canonica che continua nella storia la forza dinamica della Bibbia come canone. Soggetto di questa ermeneutica è la Chiesa, la comunità cristiana. La Bibbia in tal modo, come canone, viene posta nel suo luogo proprio, la Chiesa di cui diviene specchio di identità nella fede. È ovvio quindi che solo la fede della Chiesa, il riconoscimento dellʼautorità del canone e della propria identità in esso rispecchiata, sia la condizione previa di ogni teologia biblica.

In questa impostazione, la novità sta nel fatto che il canone non viene considerato dallʼesterno come determinato dalla Chiesa (da qualche decre-to) ma viene letto come un processo allʼinterno della storia e ha a che fare con la storia di un popolo e con la storia della Chiesa, di cui la Bibbia è il libro proprio. È nella dinamica storica ed ermeneutica del processo canoni-co la forza e la novità della proposta di Sanders. Canone come identità della Bibbia è divenuto e diviene sempre identità di un popolo e della Chiesa, perché canone e Chiesa si corrispondono e si appartengono. Il canone non è quindi un deposito delimitato di verità, ma fonte di vita, di identità, di storia passata presente e futura. La critica canonica mediante lo studio del processo canonico e la sua applicazione allʼermeneutica è il nuovo metodo scientifico per mettere in luce il fatto canonico, fatto storico. Questo è il manifesto di Sanders.

2.2.2. B.S. Childs e il contesto canonico

B.S. Childs, invece, partendo dal suo manifesto iniziale del 70 ha pro-dotto una serie impressionante di studi sullʼAT come canone e sul NT come canone fino a pervenire allʼopera conclusiva, uscita nel 1992, circa ventʼanni dopo: La teologia biblica dellʼAntico e del NT15. È utile tuttavia partire da dove è iniziato il discorso, nella prima opera del 1970. Essa è strutturata in tre brevi parti: “Memorando il passato” ricorda la grande fioritura del movimento biblico in America col risultato però di un metodo

15. B.S. Childs, Biblical Theology of the Old and New Testament, London 1992; trad. it. di E. Gatti, Teologia Biblica: Antico e Nuovo Testamento, Casale Monferrato 1998; trad. ted. di C. Oeming, Die Theologie der einen Bibel. Band I: Grundstrukturen, Band II: Hauptthemen, Freiburg etc. 1992 e 1996.

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storico critico che non permette una teologia biblica in quanto si ferma allʼaspetto storico o letterario, e non perviene alla res, alla realtà divina, alla teologia. La seconda parte “Cercando un futuro” espone la necessità e la configurazione di una teologia biblica e del suo valore per la prassi; infine, nella terza parte “Provando un metodo” propone il suo metodo canonico di lettura di un testo (Salmo 8 ed altri) allʼinterno del canone. Delle tre parti la più importante è la seconda, in cui compare una “nuova teologia biblica”. Oltre alle discipline tecniche, filologiche storiche lette-rarie “è necessaria una disciplina che tenti di mantenere e sviluppare una configurazione del tutto e che abbia la responsabilità di sintetizzare oltre che di analizzare… La TB non si deve limitare al solo compito descritti-vo”, cioè analitico (p. 92).

Ma qual è il fondamento di questo nuovo metodo di studio della Bib-bia? Anzitutto il contesto canonico. Sono molti i contesti in cui si può porre la Bibbia, ma il contesto proprio per una teologia biblica è il canone. Ciò vuol dire “che queste Scritture vanno interpretate in relazione alla loro funzione allʼinterno della comunità di fede che le tesorizza… sono un ca-nale di vita per la continuazione della Chiesa, attraverso cui Dio istruisce e ammonisce il suo popolo” (p. 99).

Se il contesto di una teologia biblica è il canone, ci si può chiedere quale ruolo vi ha il metodo storico critico (p. 107). Per quanto concerne il canone dellʼAT Childs prende posizione contro Agostino; egli assume come canone quello breve, ebraico escludendo quello della Lxx, la Bibbia greca cui ricorre per lo più il NT. Il lavoro esegetico poi che si avvale del metodo storico critico è soltanto un lavoro previo a quello propriamente teologico. “Il lavoro esegetico di tracciare il movimento dialettico fra i due Testamenti non mira né ad armonizzare le diverse concezioni di Dio né a costruire una retta dottrina, ma a testimoniare Dio nella sua azione reden-trice. Il riconoscimento di un canone è la confessione che i due Testamenti sono testimonianza allo stesso Dio e alla sua opera” (p. 112). Lʼuso del contesto storico originario per stabilire il senso, “implica una critica al vecchio sistema di fare teologia biblica mediante testi probanti fuori del loro contesto come pure attraverso temi e motivi teologici16. Deve trattarsi di un processo dialettico fra i due Testamenti. Un modo di realizzarlo sa-rebbero le citazioni dellʼAT nel Nuovo” (pp. 115-116), e qui cita le opere di Dittman e Dodd: non solo le citazioni ma anche lʼampio contesto anticote-stamentario in cui ricorrono. “È un modo per prendere sul serio il contesto

16. Questo è il metodo scelto dal recente documento della Pontificia Commissione Biblica Il popolo ebraico e le sue Scritture nella Bibbia cristiana, Città del Vaticano 2001, 56-152.

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di tutto il canone” (p. 118)17. Inoltre e infine il rapporto con le Scritture ebraiche rende coscienti del fatto “che lʼAT non è naturalmente svelato nel Nuovo, ma la interpretazione cristiana dellʼAT nel suo nuovo contesto è totalmente dipendente dalla nuova radicale realtà che è Gesù Cristo. Inoltre la interpretazione giudaica con la sua divergenza (da quella cristiana) mette in luce nellʼAT quegli elementi che sono sottolineati, trasformati o rifiutati nel contesto più ampio del canone cristiano. Infine il dialogo col giudaismo ricorda alla Chiesa il mistero di Israele…” (p. 122).

In sintesi la teologia biblica come delineata da Childs si potrebbe defi-nire quella disciplina il cui compito è la riflessione teologica sulla Bibbia, argomentata nel grande contesto del canone. La crisi della disciplina, secon-do questa analisi, sarebbe dovuta al mancato chiarimento del compito più importante della TB. Il risultato è stato che gli studiosi della Bibbia hanno speso le loro energie nei problemi storici, letterari e filologici, pur validi, ma hanno trascurato quel compito della ricerca biblica di cui la Chiesa ha fortemente bisogno (cf. p. 122). Canone e contesto canonico sono dunque il proprium di una TB; canone che è composto di due Testamenti, da porre in dialogo fra loro. Il luogo di questa nuova disciplina non è lʼaccademia, ma la comunità cristiana. Il fine è provvedere la Chiesa di un solido fonda-mento da porre alla base della teologia dogmatica e morale.

Da Childs il canone è considerato nella sua forma statica attuale, e perciò in prospettiva rigorosamente sincronica; la sua dinamica si rivela invece nel rapporto per un verso con la testimonianza di Dio e della sua opera salvifica e per altro verso con la realtà esterna al canone, il contesto culturale di oggi.

I due “manifesti” di Sanders e Childs sono concordi nel ritenere essen-ziale il canone come luogo di una ermeneutica canonica e perciò di una interpretazione della Bibbia nel contesto canonico. Però il canone dai due autori viene considerato sotto due punti di vista diversi.

Per Sanders il canone devʼessere considerato nella dinamica della sua formazione, nel processo canonico che spiega lʼautorità della Bibbia per lʼidentità del popolo di Israele e della Chiesa; lʼidentità della Bibbia è in-fatti identità della Chiesa; il processo canonico diviene perciò paradigma anche dellʼermeneutica canonica: il testo canonico è un testo stabile ma anche adattabile a situazioni nuove con cui deve dialogare.

17. Il metodo qui ipotizzato da Childs viene assunto e applicato egregiamente alla costru-zione di una “Teologia Biblica del NT” da H. Hübner, mentre lui lo abbandona nella sua grande opera di “Teologia Biblica”.

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Per Childs invece il canone offre il grande contesto canonico di Antico e Nuovo Testamento alla luce del quale va condotta unʼesegesi teologica che termini in una Teologia Biblica, secondo il principio che “il tutto è più delle sue parti”.

Sembra quindi che il fine che si propone Sanders sia quello di una er-meneutica canonica come processo dinamico continuo piuttosto che come risultato complessivo (difatti lui non ha mai scritto una Teologia Biblica), mentre il fine di Childs è proprio quello di produrre una Teologia Biblica dellʼAntico e del NT, che effettivamente ha realizzato nel 1992 e di cui parleremo più avanti.

In conclusione, negli anni settanta del XX secolo si sono avute due linee convergenti verso la valorizzazione teologica del canone: lʼuna di ermeneutica teologica volta a dimostrare lʼunità teologica del NT, lʼaltra tesa invece alla valorizzazione del canone in sé o come processo canonico da continuare nellʼermeneutica canonica o come contesto canonico in cui porre lʼesegesi scientifica della Bibbia, capace di pervenire ad una Teologia Biblica.

3. Il canone biblico e le “Teologie Bibliche” degli anni novanta

Le tre grandi “Teologie Bibliche” uscite a breve distanza negli anni no-vanta si possono considerare il risultato della centralità teologica acquisita dal canone biblico nei ventʼanni precedenti. E si possono ritenere tentativi diversi di argomentare scientificamente il canone come unità teologica della testimonianza alla rivelazione del Dio che salva. Il canone non è più quel dato scontato di fede dogmatica che stabilisce quali sono i libri ispirati né la storia dellʼorigine e della funzione del canone, oggetto di studi passati e presenti. Ma la giustificazione teologica del canone, praticamente dellʼunità della Santa scrittura18.

Proprio sotto questo profilo specifico vorrei esaminare le tre proposte recenti di “Teologia Biblica”: quale concezione del canone presuppongo-no, quale funzione ha il canone allʼinterno di queste “Teologie” e a quale risultato pervengono. Le presentiamo nellʼordine cronologico della loro comparsa.

18. Si veda a questo proposito la significativa monografia recente di T. Söding, Einheit der Heiligen Schrift? Zur Theologie des biblischen Kanons (QD 211), Freiburg 2005, un trattato di alto livello (rec. dello scrivente in Teologia 31 (2006) 276-284).

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Mentre le “Teologie del NT” di stampo storico-critico non si occupano del canone perché sarebbe un dato teologico previo e non storico, le “Teo-logie Bibliche” invece prendono sul serio il canone non solo come dato teologico, ma anche come fenomeno storico e letterario. Mentre le prime non si interessano dellʼunità del NT, semmai ne mettono in luce la varietà, per le seconde invece il problema dellʼunità della Scrittura e quindi del canone è essenziale. Le tre “Teologie Bibliche”, che presentiamo utilizzano tre modelli diversi per argomentare lʼunità del canone, composto di due parti in tensione, Antico e Nuovo Testamento: il modello ricezionista di H. Hübner, il modello del contesto canonico di B.S. Childs e il modello di storia della tradizione teologica di P. Stuhlmacher.

3.1. Il modello recezionista di TB (H. Hübner)19

Che funzione ha il canone cristiano in relazione ad una TB? Hans Hübner vi risponde nel lungo primo capitolo dei Prolegomeni, e ciò dice già lʼim-portanza che il canone riveste per lui. Espongo subito in breve la sua tesi: lʼunica teologia biblica cristiana possibile è quella che considera il Vetus Testamentum in se20 come rivelazione per lʼIsraele storico anche attuale, mentre il Vetus Testamentum in novo receptum è lʼAT in continuità e nel-lʼorizzonte della rivelazione cristiana. Il metodo da usare nellʼesegesi teo-logica sarebbero le citazioni implicite ed esplicite dellʼAntico Testamento nel Nuovo21.

Come lo dimostra? Anzitutto rilevando lʼanteriorità e superiorità del Vangelo predicato su quello scritto, in quanto la Chiesa delle origini non possedeva ancora alcun Nuovo Testamento. Gli autori del NT citano le Scritture ebraiche. LʼAT è divenuto tale solo da quando si ebbe il NT: “Si può parlare con proprietà dellʼAT solo al momento in cui nella Chiesa cri-stiana esiste un NT. Da questo punto di vista è teologicamente legittimo, anzi obbligatorio chiamare lʼAT la S. Scrittura di Israele” (p. 52). Anche se

19. H. Hübner, Biblische Theologie des Neuen Testaments. Band I: Prolegomena, Band II: Mesolegomena, Band III: Epilegomena, Göttingen 1990, 1993, 1995; trad. italiana di F. Tomasoni, Teologia Biblica del NT, 3 voll., Brescia 1997-2000. La questione del canone viene trattata nel vol. I (ed. it.), pp. 45-88.20. Lʼa. usa sempre questa espressione latina.21. Per questo sta approntando uno strumento pratico: le citazioni dellʼAT nel Nuovo: Vetus Testamentum in Novo. 1.2: Evangelium Johannis, 2: Corpus Paulinum, Göttingen, rispetti-vamente 2003 e 1997; dovrebbero uscire altri due volumi.

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gli autori del NT non si sentono ancora autori di un NT (che viene difatti dopo), tuttavia rivendicavano per sé lʼautorità del verbum divinum, anche Paolo con la sua autorità apostolica (1Cor 5,3) (p. 53).

Il problema dellʼAT nel canone cristiano inizia perciò da quando si ha il NT compiuto, che si aggiunge allʼAT per formare il canone cristiano completo. Qui interviene il problema del canone ebraico e del suo rapporto col NT in funzione di una TB.

Per quanto concerne il canone ebraico in sè, va notato che non si ebbe un canone ebraico sino alla fine del I secolo, e questo canone ebraico rabbinico fu stabilito a Jamnia in un tempo in cui la comunità cristiana era ormai sepa-rata dalla sinagoga rabbinica. Data infatti alla fine del I secolo la discussione rabbinica sul carattere sacro del Cantico dei Cantici e di Qohelet che presup-pone gli altri libri siano considerati sacri, e contemporanea o poco dopo è la testimonianza di Giuseppe Flavio (Contra Ap. 1,8). Perciò la Bibbia ebraica definita dal giudaismo rabbinico incipiente non è la Bibbia cristiana. Quanto alla Lxx, la Bibbia alesssandrina, il giudizio per il suo rapporto col NT è più positivo per due motivi: primo perché era la Bibbia della maggior parte degli ebrei del I secolo, più aperta allʼuniversalismo e quindi al proselitismo di quella ebraica; secondo perché era ampiamente usata dagli autori del NT. Ma come per la Bibbia ebraica, sembra che anche per questa non si avesse un canone definito. La terza parte, quella degli Scritti, era aperta; a questo proposito Hübner nota lʼimportanza dei cosiddetti deuterocanonici (apocrifi per i Protestanti) e in particolare del libro della Sapienza (p. 72). Questa della Lxx sarebbe la vera Bibbia cristiana e avrebbe quindi una grande rilevanza teologica proprio come Bibbia tradotta nella lingua comune e resa quindi accessibile al mondo culturale greco, che così la conobbe e la apprezzò, dan-do origine ai “timorati di Dio” e proseliti, che probabilmente furono coloro che aderirono fin dallʼinizio alla fede cristiana. E conclude: “Dal punto di vista ermeneutico ciò significa che noi, essendo in quanto occidentali ancor oggi fortemente impregnati dello spirito greco-ellenistico, dovremmo in verità essere più aperti allʼAT nella sua veritas graeca che nella sua veritas haebraica. Che questo invece per lo più non accada dipende dal fatto che la Bibbia dei Lxx è purtroppo ancor oggi - anche per la maggior parte dei teologi - un libro con sette sigilli” (pp. 72-73)22.

Il canone anticotestamentario cristiano dunque non coincide con la Bibbia ebraica, mentre sarebbe più affine con quella dei Lxx, che è poi praticamente il canone degli Ortodossi.

22. Per la verità in questi ultimi anni si hanno iniziative editoriali di traduzioni e commenti della Lxx in ambiente francese e italiano e si annunciano nuove iniziative.

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Ma il punto più cruciale è la valutazione teologica dellʼAT in un oriz-zonte biblico cristiano. Qui si rivela la posizione specifica del professore di Gottinga in relazione alla teologia biblica. Qui infatti si sostiene una dia-stasi netta fra Bibbia ebraica e teologia canonica cristiana. In due modi egli relativizza il valore teologico dellʼAT: anzitutto con una Sachkritik interna allo stesso AT e poi con una critica a partire dalla rivelazione definitiva di Dio in Cristo nel NT. Certo, il Dio dellʼAT è il Dio Padre del Signore nostro Gesù. Però gli eventi storici raccontati e giudicati risentono di una prospet-tiva del regno del sud, inaccettabile sia storicamente che teologicamente in quanto la prospettiva redazionale deuteronomista squalifica storicamente e teologicamente il regno del nord, che invece cercava di liberarsi dalla dittatura del regno del sud con centro a Gerusalemme. Si deve praticare perciò una critica storica e teologica interna allʼAT e non accettarlo così comʼè. Inoltre le aspettative dellʼAT, viste dal punto di vista della monar-chia davidica del sud non si sono realizzate in Gesù se non quella di Zc 9,9 (Mt 21,1-11//Mc 11,1-11//Lc 19,28-40//Gv 12,12-18)23. Relatività storica e teologica dellʼAT ne diminuiscono il valore teologico; e tale valore viene ridotto ancor più in relazione allʼevento cristologico. Hübner perciò, sulla scia di R. Bultmann, evidenzia più la discontinuità e la diastasi fra AT e NT che non la continuità. Lʼunica continuità teologica con lʼAT sarebbe data da quanto viene recepito dellʼAT nel Nuovo mediante le citazioni. Di qui la distinzione hübnerana fra Vetus Testamentum in se (da lasciare agli ebrei) e il Vetus Testamentum in Novo receptum che rappresenta la continuità del NT con lʼAntico come “Scrittura” (pp. 80-81). Nel terzo volume, nei Postlegomini, ricupera lʼunità del NT con lʼAntico anche nella concezione più generale della rivelazione come autocomunicazione di Dio nello spazio-tempo della grazia, formulata nel modo più chiaro da Paolo.

In conclusione, secondo Hübner la Santa Scrittura dovrebbe abbando-nare il Vetus Testamentum in se agli ebrei e al loro orizzonte interpretativo sia perché il canone non fu definito sia perché è storicamente e teologica-mente relativizzato; la Bibbia greca è più vicina al NT, ma anche per essa vale comunque la distinzione Vetus Testamentum in se e Vetus Testamentum in Novo receptum; lʼunità teologica della Bibbia si può realizzzare solo con una diastasi dallʼAT in sé sia con la recezione che fa di esso il NT.

Il processo canonico più radicale sarebbe dunque avvenuto dopo che il NT era concluso. Solo dal NT concluso, che contiene anche il Vangelo prima predicato, sarebbe possibile discernere nellʼAT quanto appartiene

23. Teologia Biblica, I, 67-73.

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alla rivelazione di Dio cioè alla sua autocomunicazione nello spazio tempo della grazia e quanto invece appartiene ad una storia passata, dimostrata tale sia dalla critica storica che da quella teologica.

Lʼopposizione più radicale di questa proposta di TB è con quella avan-zata da B.S. Childs. Perciò egli si sente obbligato a dedicarvi un intero excursus (pp. 81-88). Per Childs infatti, come vedremo, è da ritenere ca-nonica proprio la Bibbia ebraica, mentre nessuna valutazione viene data della Lxx, e per di più secondo lui in una teologia biblica si deve anzitutto esaminare lʼAT separatamente nel suo valore autonomo e integrale, e solo dopo passare alla relazione teologica col NT.

Questo progetto di H. Hübner è fondato su una metodologia rigoro-sa secondo la sua particolare prospettiva storico-teologica. Ma gli si può obiettare: 1) che la sua svalutazione dellʼAT poco si discosta da quella di Bultmann ed è in linea con la tradizione luterana, apertamente confessata; 2) che nel processo canonico verso il NT non si trova traccia della distin-zione praticata da Hübner; il NT non cita solo testi particolari, ma si rife-risce allʼAT pure nel suo insieme e addirittura nella sua forma precanonica con la divisione in tre parti (Lc 22,44).

Per quanto affascinante, la concezione di TB di H. Hübner non salva il canone cristiano nella sua globalità. Lʼunità teologica cristiana (luterana) del NT viene argomentata a svantaggio dellʼintegralità del canone cristiano24.

3.2. La TB del contesto canonico (B.S. Childs)25

“La TB è per definizione riflessione teologica sullʼAntico e il NT” (p. 55) - afferma Childs. Ma che cosa è il canone per Childs e in particolare quello dellʼAT e che rapporto ha con la TB? Lo dice nella seconda parte della sua introduzione, intitolata “A Search for a new approach” (pp. 53-94), dopo aver descritto nella prima una breve storia della disciplina (pp. 1-51). Il nuovo approccio di cui va alla ricerca è quello del contesto canonico.

24. È proprio questa lʼaccusa che gli muove Childs: “Recently H. Hübner (Biblische Theo-logie, 18f.) has defended the thesis that it is only the Old Testament as received by the New Testament (Vetus Testamentum in Novo receptum) which is authoritative for the Christian Church and appropriate for biblical reflection. In a separate article (TZ 1992, forthcoming) I have attempted to show in some detail why such an approach destroys the theological integrity of the Old Testament and silences its true canonical witness” (Biblical Theology, 77).25. B.S. Childs, Biblical Theology of the Old and New Testament, London 1992; trad. it. di E. Gatti, Teologia Biblica. Antico e Nuovo Testamento, Casale Monferrato 1998. In partico-lare pp. 53-94 dellʼedizione originale, da cui in seguito citiamo.

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Sono tre i problemi affrontati in questa seconda parte: quale Bibbia cristiana devʼessere oggetto di una TB? Quale metodo va praticato nello studio di questa Bibbia? E infine: quale ermeneutica?

Per quanto riguarda il primo problema, quello più radicale perché si tratta di definire lʼoggetto della TB, Childs lo espone in modo vivace ed è in sostanza il problema del canone dellʼAT (sul NT tutti sono dʼaccordo). Richiamando la testimonianza di Flavio Giuseppe (Contra Ap. 1,8) sostiene che il canone ebraico fu definito verso la fine del I secolo ed è stato assunto dalla Chiesa; affronta anche il problema della Lxx (pp. 65-66) e riconosce pure la sua importanza per il NT, ma esclude che corrisponda a un canone ebraico della diaspora ellenista; e perciò si attiene al canone breve, ebraico. Nel IV secolo il problema era discusso e risolto in modo diverso da Girola-mo e Agostino. Childs ricostruisce la loro controversia: il primo optava per il canone breve, ebraico, mentre il secondo per quello lungo, rappresentato dalla Lxx. “Il classico difensore del canone breve fra i Padri fu Girolamo. Le Chiese della riforma in vari gradi si posero dalla sua parte, mentre la Chiesa cattolica romana si pose con Agostino. E la Chiesa ortodossa optò pure per il canone lungo… Insomma la natura esatta della Bibbia nel suo scopo e nel suo testo rimane fino ad oggi indecisa” (p. 63), naturalmente per le Chiese riformate. E più avanti: “Forse si può formulare al meglio la posizione teologica di base in questione nei termini di una Chiesa che va alla continua ricerca (corsivo mio) di una Bibbia cristiana” (p. 67).

Però lui poi sceglie praticamente il canone breve con la sua Chiesa calvinista contro il canone lungo adottato dalla Chiesa cattolica e ortodos-sa. E si chiude dunque in questo canone, comune con gli ebrei. Il canone lungo invece permetterebbe un ponte più vicino al NT. Già qui si percepi-sce il forte limite della sua TB, addirittura a livello di scelta della Bibbia cristiana.

Il secondo problema è quello del metodo canonico nello studio della TB. Secondo Childs lʼunico contesto interpretativo per una TB integrale è il contesto canonico, e non quello socio-culturale come avviene nella “Teolo-gia dellʼAT” di W. Brueggemann26, per il quale lʼAT dà voce ai poveri e agli oppressi, seguendo in ciò la tesi sociale di N.K. Gottwald e considerando lʼAT come un classico (Tracy) e non come canone (pp. 70-73).

“Ma come parlare di un processo canonico che ha configurato la Bib-bia, quando il processo per cui i due Testamenti sono stati uniti risulta

26. W. Brueggemann, Teologia dellʼAT: testimonianza, dibattito, perorazione (Biblioteca Biblica 27), Brescia 2002 (orig. amer. 1998); di cui si veda anche The Creative Word. Canon as a Model for Biblical Education, Philadelphia 1982.

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molto diverso da quello riflesso in ciascuno dei due Testamenti?” (p. 73). Ecco il problema. La risposta è che si può dimostrare non solo continuità storica ma anche continuità teologica fra Israele e la Chiesa: “La Chiesa non solo unì i due Testamenti, ma considerò lʼAT testimonianza resa a Gesù Cristo” (p. 74), e superò in tal modo sia la posizione di Marcione che voleva abbandonare lʼAT sia quella degli ebioniti che subordinavano il NT allʼAntico, inserendolo nellʼorizzonte giudaico. La strutturazione canonica è però intervenuta a dare alle tre parti dellʼAT una struttura diversa da quella ebraica, portando al terzo posto i Profeti invece che gli Scritti. Va inoltre notato che lʼattività di redazione canonica cristiana non alterò per nulla lʼAT per adattarlo allʼevento cristologico. Anche il NT ha ricevuto poi una strutturazione canonica, mettendo insieme i Vangeli e staccando perciò Luca da Atti. Tuttavia il NT non si può considerare in continuità con la tradizione anticotestamentaria e neppure un midrash delle Scritture ebraiche. Per altro verso però si deve evitare anche la frattura conclamata da R. Bultmann. Il rapporto fra i due Testamenti è più complesso. “LʼAT è compreso per la sua relazione con il Nuovo, mentre il Nuovo è incom-prensibile senza lʼAT” (p. 77).

Contro la tesi riduzionista dellʼAT propugnata da H. Hübner e da P. Stuhlmacher, Childs difende lʼintegrità dellʼAT in una TB, naturalmente lʼAT nella forma del canone breve, da lui scelta.

Quali sono le implicazioni ermeneutiche della forma canonica data alla Bibbia cristiana? “Lʼenfasi è caduta sullʼunità di una composizione, che contiene due Testamenti. I due TT sono stati collegati come Antico e Nuovo, ma questa qualifica non significa che sia stata distrutta lʼintegrità di ciascuno dei due. LʼAT offre la sua testimonianza come AT, distinto dal Nuovo. È promessa, non compimento. La sua voce continua ancora a risuo-nare e non è stata messa a tacere dal compimento della promessa” (p. 77). Perciò va criticato sia il riduzionismo di H. Hübner27 sia la perdita della dimensione verticale rispetto a quella orizzontale della tradizione teologica di P. Stuhlmacher. “LʼAT ha così perduto (in P. Stuhlmacher) la linea verti-cale, la dimensione esistenziale, che come Scrittura della Chiesa continua a portare la sua testimonianza allʼinterno della Bibbia cristiana” (p. 77). Egli insiste quindi sullʼintegrità dellʼAT in sè: “La TB deve rendere piena giustizia al sottile rapporto canonico dei due TT allʼinterno di una Bibbia cristiana. Da una parte il canone cristiano (che ha assunto lʼAT come era)

27. Il metodo delle citazioni dellʼAT nel Nuovo era stato proposto anche da Childs nella sua prima opera – lo ricorda lui stesso (p. 76).

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asserisce la permanente integrità della testimonianza dellʼAT, il quale de-vʼessere ascoltato nei suoi termini” (p. 78) e non allegorizzato per renderlo conforme al NT. Dʼaltra parte va resa giustizia piena alla testimonianza dei due TT alla luce del suo oggetto-soggetto Gesù Cristo.

In conclusione, il metodo canonico di fare una TB si propone di rispet-tare la Bibbia cristiana nella sua integrità, pur tenendo conto della struttu-razione canonica che hanno assunto Antico e NT. LʼAT va conservato nel suo valore e nella sua tradizione, sempre orientato a Cristo.

Si percepisce in Childs lo sforzo di non diminuire in nessun modo lʼimportanza dellʼAT nella sua integralità, mentre afferma con altrettanta forza che è una testimonianza allʼunico Cristo. Questa forte asserzione però è in contrasto con una evidente tensione fra i due TT di cui il Nuo-vo devʼessere lʼultimo orizzonte interpretativo. Il problema che a mio avviso rimane aperto per Childs è lʼevidente scarto escatologico del NT, che non può non influire sulla interpretazione dellʼAT in un orizzonte cristiano. Va comunque accolta lʼistanza salutare di Childs di salvaguar-dare il perenne valore teologico e antropologico dellʼAT in tutta la sua ricchezza.

Passiamo così allʼultimo problema, quello ermeneutico, il passaggio dalla testimonianza canonica alla realtà che intende testimoniare, Gesù Cristo, la rivelazione piena di Dio in Lui. Proprio per questo lʼermeneu-tica devʼessere orientata cristologicamente, perché Gesù Cristo è la realtà ultima da testimoniare.

Poiché la TB ha a che fare con la realtà delle testimonianze bibliche, e muove quindi al di là degli ormeggi storici originali del testo, ci viene mossa spesso lʼaccusa che questo modello è antistorico, filosoficamente idealistico ed astratto… Non vengo compreso… La riflessione di TB non è speculazione astratta sulla natura del bene, ma vita e morte lottano con le comunità storiche della Chiesa cristiana che, nel loro contesto storico par-ticolare, cercano di essere fedeli agli imperativi del Vangelo nella missione per il mondo. Ma il cuore dellʼimpresa è cristologico, il suo contenuto è Gesù Cristo e non la propria autocomprensione e identità (p. 86).

Giustamente nellʼermeneutica soggetto attivo è il lettore, il lettore-in-terprete nella Chiesa per il mondo. La realtà storica per Childs è dunque quella della comunità cristiana, non propriamente la realtà storica origi-naria. Ad essa il teologo di Yale si riferisce indirettamente dicendo che la realtà ultima è Gesù Cristo, lui, non lʼuomo o la comunità. E tuttavia si perde il contatto con la storia passata, abbandonando i suoi ormeggi e fermandosi al testo canonico, quasi congelato. Il testo è sgelato sì per il presente, ma non in relazione al passato. Childs relativizza infatti sia la

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tradizione storica sia il processo canonico. Praticamente si accantonano il metodo storico e i suoi risultati.

Childs non cessa di insistere sullʼintegralità delle due testimonianze a Dio in Gesù Cristo, dallʼinizio alla fine, ma questa integrità è quella del testo canonico.

La TB “ha come suo scopo fondamentale quello di comprendere le varie voci allʼinterno dellʼintera Bibbia cristiana sia dellʼAntico che del NT, comu-ne testimonianza allʼunico Signore Gesù Cristo, alla sua stessa realtà divina” (p. 85) in un dialogo fra testo e realtà. E più avanti: “Mi sembra giusto che, dopo aver iniziato (e concluso) il compito della riflessione biblico teologica nella quale la originale integrità dei due TT è stata rispettata (ciò corrisponde alle prime due parti dello sviluppo), rimanga una funzione importante: quella di ascoltare la totalità della Scrittura cristiana alla luce di tutta la realtà di Dio in Gesù Cristo. In altre parole vi è un posto legittimo per tornare indietro dalla riflessione cristiana teologicamente sviluppata ai testi biblici dei due TT” (p. 87). E questo ultimo passo viene svolto nellʼultima parte dellʼopera, nel dialogo fra TB e teologia dogmatica (pp. 88-89).

Per strutturare una TB sono assolutamente necessarie le categorie cano-niche. Una TB non può essere che canonica; si devono abbandonare perciò tutte le altre strutturazioni: dai dicta probantia allʼautocomprensione nella fede fino alla storia della salvezza. La testimonianza dellʼAT allʼazione salvifica di Dio nel contesto della storia di Israele e delle tradizioni cui ha dato luogo va letta nel quadro canonico, non allʼinterno di una ricostruzione critica delle tradizioni come avviene in Von Rad. La testimonianza del NT allʼazione salvifica di Dio in Cristo Gesù va letta nel contesto della Chiesa protocristiana: prima i Vangeli e poi gli effetti, da essi prodotti, nella parte epistolare, riflettendo la novità di un messaggio radicato in uno spazio tem-po particolari. La continuità e discontinuità fra le due testimonianze viene definita nei termini seguenti.

La discontinuità giustifica la diversità fra le due collezioni di libri:a) lingua greca e cultura ellenistica nel NT, lingua ebraica ed aramaica

nellʼAT;b) i tradenti sono diversi: la Chiesa da una parte e la sinagoga dallʼaltra

in un rapporto sempre più critico al momento della formazione del canone cristiano;

c) la destinazione è diversa: lʼAT a Israele, il NT a tutte le nazioni incluso Israele e per primo;

d) riflettono infine due esperienze diverse: esperienza cristiana del Van-gelo, rivelazione radicalmente nuova di Dio in opposizione a Mosè come rappresentante dellʼAntico.

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La continuità viene così delineata:a) Gesù interpretato con un AT trasformato;b) gli scrittori del NT cominciarono dalla loro esperienza con Gesù

Cristo da cui ricevettero una comprensione delle Scritture ebraiche radical-mente nuova; per cui gli scrittori del NT interpretano il significato di Gesù Cristo per la Chiesa con lʼAT;

c) inoltre lʼunicità storica di Gesù è relazionata teologicamente non solo alle tradizioni passate di Israele, ma rapportata ed estesa anche al futuro mediante lʼattualizzazione escatologica e liturgica.

“Perciò il maggiore impegno di una TB dovrebbe essere quello di de-scrivere sia la continuità che la discontinuità fra le due diverse testimo-nianze della Bibbia cristiana” (p. 93). Ne deriverebbe una unità in tensione, nella parte descrittiva terza (AT) e quarta (NT), mentre la riflessione teo-logica - e perciò la comprensione - viene demandata allʼultima parte: “La riflessione teologia sulla Bibbia cristiana” (pp. 349-727), la parte più ampia e impegnativa ove vengono esposte dieci tematiche iniziando dallʼidentità di Dio e finendo con lʼetica, ove AT e NT vengono presentati in continuità aprendosi poi al dialogo con la dogmatica.

Questa è la proposta del rapporto necessario fra canone e TB, lʼunico modo secondo il Childs di fare una vera TB. Ora a questa ampia proposta teoretico-metodologica si possono muovere diverse obiezioni.

1) Abbiamo già notato lʼincongruenza tra la possibile apertura al ca-none lungo seguendo lʼuso del NT e la chiusura nel canone breve, ebraico nella convinzione che la Chiesa abbia assunto il canone comʼera stato de-finito dallʼautorità ebraica alla fine del I secolo.

2) A livello metodologico si nota una chiara tensione fra lo sforzo di far valere la integralità dellʼAT e la sua relatività al NT.

3) Lo stesso problema, in forma più acuta ritorna nellʼermeneutica ca-nonica. È proprio nella discontinuità e quindi nella peculiarità dellʼAT che vedo la maggiore difficoltà. E qui sostiamo per rivedere la configurazione della discontinuità delineata da Childs.

a) La prima discontinuità è ravvisata fra lingua greca e cultura elle-nistica nel NT e lingua ebraica e aramaica nellʼAT; tale netta separazio-ne non regge alla prova della storia. È notissimo lo studio di M. Hengel “Giudaismo ed Ellenismo”28 in cui si dimostra la penetrazione della cul-

28. M. Hengel, Judentum und Hellenismus (WUNT 11), Tübingen 19883. Lo ricorda Childs stesso nel suo confronto critico con R. Bultmann a p. 221 e lo cita nella biblio-grafia di p. 232, Judaism and Hellenism, ed. ingl. in 2 volumi, London - Philadelphia 1974.

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tura ellenistica in ambiente ebraico palestinese dal confronto critico con lʼimpero ellenistico; tanto più ciò avviene nellʼambiente della diaspora ebraica in cui si sviluppò il primo cristianesimo. La dialettica in Chil-ds viene ulteriormente aggravata dal rinchiudere lʼAT nel canone ebraico. Invece di una discontinuità, tenendo conto anche della Lxx, si dovrebbe piuttosto parlare di una continuità cristiana con lʼAT nellʼassumerlo come “Scrittura” propria.

b) I tradenti di Antico e NT sono certo diversi: Chiesa da una parte e sinagoga rabbinica dallʼaltra. Va però ricordato che la Chiesa delle origini è la Chiesa giudeo-cristiana di Gerusalemme e gli autori del NT furono pra-ticamente tutti ebrei. Certo, storicamente ci fu una opposizione, ma questa si riflette semmai nellʼAT che viene riconosciuto nella Chiesa diverso dalla Tanak rabbinica, e nel modo diverso di interpretarlo.

c) La destinazione diversa è pure contestabile. Ovviamente lʼAT è per Israele, ma un Israele aperto alle genti come risulta già da Gen 12,1-3. Il NT sposterà Israele dalla sua centralità nellʼAT alla sua priorità rispetto alle genti nel Nuovo.

d) Persino lʼopposizione tra Mosè e Gesù è discutibile se si legge anche solo il quarto vangelo: Mosè rende testimonianza a Gesù (Gv 5,45-47). Mosè nel NT è testimone e tipo di Gesù. Lʼopposizione comunque non è con Mosè, ma con lʼinterpretazione rabbinica di Mosè (Gv 9,28).

La novità assoluta del NT è indubbiamente lʼevento cristologico, così fortemente sottolineato da Childs nella sua riflessione teologica. LʼAT nella Bibbia cristiana viene letto in un orizzonte ermeneutico nuovo rispetto a quello giudaico. E in questo orizzonte nuovo, in cui si include anche il grande giudaismo ellenistico della diaspora, appare più evidente la con-tinuità con lʼAT cristiano. Darei perciò ragione a P. Stuhlmacher e al suo tentativo di mettere in luce la continuità del NT con lʼAntico.

Ciò di cui mi sembra preoccupato Childs nella sua coraggiosa impresa di TB è che venga conservata lʼintegrità dellʼAT nella sua forma e nel suo contenuto come testimonianza sempre valida dellʼazione salvifica di Dio; ciò è forse dovuto anche al fatto che è un anticotestamentista. Secondo me però in questa insistenza si riflettono anche altre precomprensioni: una concezione della ispirazione che si avvicina a quella fondamentalista, pur non volendolo essere; infine quella di un cristiano riformato calvinista che assume la sua Bibbia e la sua interpretazione come autentica testimonianza al Dio vero, che si è rivelato in Gesù Cristo.

Perciò non risponde se non parzialmente al problema posto dal canone biblico e dalla conseguente argomentazione della sua unità teologica, di cui dovrebbe farsi carico una TB.

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Il modello di TB del contesto canonico attuale, pur rilevando un fatto reale, il canone biblico cristiano composto di Antico e NT, e costruendo su di esso una duplice descrizione notevole di Antico e Nuovo Testamento con metodo esegetico e riflessione teologica, tuttavia mette a tacere la storia che sta dietro al canone: sia il processo canonico sia la storia narrata nel canone. Tipica è la storia di Gesù, ingoiata nella teologia e lasciata fuori dalla descrizione del NT che si interessa infatti solo dellʼaspetto storico-letterario.

La storia vera non è solo quella delle comunità cristiane cui la Bibbia è rivolta e le sta davanti fin dal suo inizio, ma anche quella che sta dietro e che si raggiunge col metodo storico. Anche se ipotetica, questa storia dice la radicazione della TB nella storia di Israele nellʼAT e nella storia di Gesù e delle tradizioni che hanno origine da lui e la riflettono nel ri-cordo riconoscente: la storia di Israele nella liturgia sinagogale e quella di Gesù nella liturgia eucaristica. Una storia unitaria perché Gesù è nato, vissuto, morto e risorto allʼinterno della storia di Israele e la Chiesa ne è la continuazione. Il pericolo che vedo nella TB del Childs è il suo sradicamento dalla storia. Letteratura e teologia canonica sono insieme distinte e unite nella TB di Childs, mentre la storia è lasciata alla critica storica, che non apparterrebbe alla fede e alla teologia. È vero. Quella storia come risultato di una critica storica può essere lasciata allo stori-co, ma la storia stessa, sia pure non raggiunta con la certezza della fede e della teologia, in quanto memoria storica collettiva che ha dato e dà identità al popolo di Israele e al popolo cristiano nella Chiesa va consi-derata oggetto essenziale della fede biblica, un oggetto da non perdere, perché si perderebbe la via attraverso cui la testimonianza della verità salvifica di Dio in Cristo è pervenuta a noi. La storia è il luogo in cui si è incarnata la rivelazione divina, pervenuta al suo apice con lʼincarnazione del Figlio di Dio.

L̓ integrità letteraria (a parte il canone breve) e teologica è salvata, men-tre lʼintegrità propriamente storica, le tradizioni storiche e lo stesso proces-so canonico di cui parla J.A. Sanders, vengono abbandonati allo storico. In tal modo però Childs conferma purtroppo la tesi teorica di H. Räisänen che questa TB è fatta dal credente e per la comunità credente, e non può affermare che una verità creduta, non fondata nella storia, che invece viene studiata criticamente nellʼambito dellʼaccademia. Certo, la storia non può pretendere di essere fondamento della fede, ma può e deve essere oggetto della fede se non si vuole che la fede rischi di cadere nella gnosi. La cri-tica storica aiuta quanto meno a raggiungere il senso letterale, che la fede riempirà di alto significato teologico.

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3.3. Il modello di TB come storia della tradizione con un centro teolo-gico (P. Stuhlmacher)29

Lʼunità teologica di Antico e NT nellʼunica Bibbia cristiana è costituita da una tradizione teologica continua dallʼAntico al NT e da un centro teolo-gico che è la riconciliazione di Dio in Cristo Gesù con gli uomini pecca-tori, ebrei e pagani. Questa in sintesi succinta la tesi di TB sostenuta da P. Stuhlmacher. È anzitutto significativo che il problema del canone e del suo centro sia trattato non allʼinizio nella introduzione dellʼopera, come in H. Hübner e B.S. Childs, ma alla fine quasi a coronamento del percorso di TB. Tre sono i problemi fondamentali: il problema del canone stesso, quello del suo centro, e infine quello dellʼermeneutica canonica; dei tre il più impegnativo mi sembra il terzo.

Anzitutto il problema del canone e della sua formazione. Il processo canonico che portò a un canone con due Testamenti è il risultato della tra-dizione ecclesiale. La formazione del canone non è dovuta ad una dichiara-zione giuridica della Chiesa ma ad un processo interno ai libri canonici che compongono la Bibbia. La Chiesa del II secolo contro Marcione ha man-tenuto le Sacre Scritture (AT), trasmesse da lungo tempo attraverso Israele e il protocristianesimo, che ad esse ricorreva, iniziando da Gesù. Anche gli scritti del NT hanno ricevuto la loro qualifica, non dalla decisione della Chiesa antica, ma per la missione e la fede della Chiesa; sono pervenuti nel canone per la loro stessa forza intrinseca e tale propria forza ha contribuito alla decisione canonica. Nella parola della Scrittura viene riconosciuta la parola di Dio, per cui si ebbe coscienza di una diversità qualitativa fra pa-rola di Dio biblica e tradizione ecclesiale su di essa fondata.

In secondo luogo il canone cristiano è composto non solo di NT, ma anche dellʼAntico e si è articolato il loro rapporto unitario in vari modi: promessa-compimento, Antico e Nuovo Patto, Legge e Vangelo ecc. LʼAT corrisponde nella struttura e nel contenuto alla Lxx, che a sua volta è tra-duzione del testo ebraico originale. Il NT si rapporta allʼAntico non solo con le citazioni esplicite, implicite e le allusioni (H. Hübner), ma anche mediante una storia della tradizione e della rivelazione storica.

Fin dallʼinizio lʼevento cristologico fu considerato “un evento che viene dal Dio dellʼAT e che si compie in Gesù” (p. 303). La Chiesa ha seguito una via diversa da quella degli ebrei nel canonizzare lʼAT. Essa ha praticamente

29. P. Stuhlmacher, Biblische Theologie des Neuen Testaments. Band I: Grundlegung. Von Jesus zu Paulus, Band II: Von Paulusschule bis zur Johannesoffenbarung, Göttingen 1992 e 1999. In particolare: II, 287-349 (Das Problem des Kanons und die Mitte der Schrift).

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canonizzato la Lxx. “La tradizione neotestamentaria non è continuazione né della Bibbia ebraica né della Lxx, ma è un complesso di tradizione che si rifà alle due versioni della Bibbia in relazione allʼevento cristologico” (p. 304). Gesù è quindi il punto più alto e il fine della storia della rivelazione e in lui si realizza la riconciliazione con Dio e fra ebrei e pagani.

Il canone non è una scelta arbitraria dovuta alla lotta contro le eresie. La scelta dei libri è stata fatta in base al Vangelo, alla regula fidei, che si trova già negli scritti del NT (cf. 1Cor 15,3b-5) e infine per la loro funzione e azione edificante nella lettura liturgica. Lʼesegesi critica deve accettare questo dato storico ed elaborare perciò una TB fondata sugli scritti canoni-ci. In una breve nota aggiunge che si deve tener conto di tutti i libri del NT e non solo di alcuni (p. 304), una nota che vale ovviamente per lʼambiente protestante che tende a privilegiare Paolo, dimenticando o mettendo in se-condo piano gli altri scritti canonici del NT.

Dal problema del canone si passa a quello del centro della Scrittura che dovrebbe essere lo strumento per dimostrare lʼunità teologica della stessa Sa-cra Scrittura. E viene così formulato a conclusione dellʼanalisi in sei punti: “Lʼunico Evangelo apostolico vissuto da Gesù, annunciato egregiamente da Paolo, spiritualizzato dalla scuola giovannea, Evangelo della riconciliazione… di Dio con gli uomini mediante il suo Unigenito Cristo Gesù è il messaggio di salvezza per il mondo. Esso insegna a comprendere e a confessare che lʼunico Dio, che ha creato il mondo e ha scelto Israele come suo popolo: nella missio-ne, nellʼopera, nella espiazione e risurrezione del Figlio suo ha operato una volta per tutte la redenzione definitiva di giudei e pagani. Chi crede in questo Vangelo, riconosce Cristo Gesù Redentore e Signore e segue il suo insegna-mento nella comunità dei credenti, partecipa al regno di Dio, che questo Cristo rappresenta già presente, nellʼultimo giorno supererà il giudizio escatologico e a gloria del suo Padre celeste sarà elevato alla sua gloria” (pp. 320-321). Que-sto centro della Scrittura è costituito da eventi e tradizioni che precedono la fede (cf. Rm 5,6-8) ed è testimoniato dai testi centrali della Bibbia. A suo favo-re mi sembra lʼinclusione di regno/vangelo che potrebbe rappresentare lʼunità teologica del NT, come ho cercato di dimostrare in una mia relazione30.

In seguito al canone biblico e al suo centro quale ermeneutica ne deriva?31

30. G. Segalla, “La testimonianza dei libri del NT ad un unico kerygma/Evangelo, buon annuncio dellʼevento originario, in “Lʼinterpretazione della Bibbia nella Chiesa”. Atti del Simposio promosso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, Roma, settembre 1999, Città del Vaticano 2001, 304-319.31. Stuhlmacher, Biblische Theologie, 322-336.

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Il punto di partenza è la domanda rivolta ai testi biblici: quale tipo di interpretazione richiedono loro stessi? E il principio metodologico che H. Gese ne trae: “Un testo va interpretato come esso vuol essere inteso, cioè come si comprende esso stesso” (p. 323). Fondandosi su questo principio fondamentale ci si deve chiedere: 1) di che tipo, di che natura è la tradizio-ne biblica, 2) qual è la sua rivendicazione di verità, 3) quale è lʼispirazione che presuppone la animi, 4) e infine la necessità del canone con due parti, Antico e NT.

Anzitutto di che natura è la tradizione biblica? È storica e perciò ri-chiede il metodo storico-critico, ma con lʼaggiunta della “simpatia critica” per i testi ed evitando i pregiudizi ideologici che spesso hanno portato a conseguenze negative. Deve rispettare quindi la scienza filologica e perciò conoscere bene le lingue bibliche: lʼebraico, lʼaramaico e il greco e in esse immergersi. Si devono porre i testi nel loro ambiente culturale, ma senza inseguire tutte le ipotesi degli stadi antecedenti la redazione; com-pito principale è la spiegazione della configurazione canonica in cui sono pervenuti a noi. Infine deve porre il NT in relazione allʼAT e al giudaismo antico, evitando perciò la deriva del metodo storico-religioso, sincretista, che dimenticava lʼambiente giudaico e lʼAT e poneva il cristianesimo nel-lʼorizzonte del mondo ellenistico.

Il testo biblico, oltre che essere storico, nato allʼinterno della storia e per la storia, rivendica anche il carattere di verità, per cui si devono supera-re i limiti del metodo storico-critico, che pone i testi nel passato. Un primo passo nel superamento dei limiti della storia è il metodo della Wirkungs-geschichte nella tradizione di alcuni testi giudicati “testi eminenti” (H.G. Gadamer) come la definizione di Dio in Es 3,4, i dieci comandamenti (Es 20,1-21//Dt 5,6-21), il discorso della montagna (Mt 5–7), il prologo di Gio-vanni (Gv 1,1-18), solo per citarne alcuni. Nellʼesegesi si deve tener conto di questa ricchezza di significato che ha influito e influisce sulla tradizione viva. Sono testi che vanno sì interpretati, ma da cui ci si deve pure lasciar interpretare. Va inoltre ricordata la loro dimensione escatologico-spirituale e lʼesperienza spirituale da cui derivano, sia di chi li ha tramandati sia di chi li ha accolti. Testi come Gv 3,5-6.34; 4,6.42. La critica spirituale del-lʼesegesi devʼessere comunque sempre fondata sullʼesegesi storico-critica.

Un terzo problema che riguarda tutta la Bibbia è quello dellʼispirazione della Santa scrittura. La teoria dellʼispirazione verbale, propria dellʼorto-dossia protestante è stata ormai abbandonata per lʼinflusso della critica. Cosa rimane? È dalla stessa Santa scrittura che si arguisce la fede nellʼispi-razione divina. I testi classici sono 2Tm 3,16 e 2Pt 1,16-21 e 3,14-16. La Scrittura, sperimentata come parola di Dio, è verità ecumenica condivisa da

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tutte le chiese, convinte che la parola di Dio che si legge nella Bibbia non sia solo per le generazioni passate, ma anche per le presenti e le future. Per cui la regola dellʼinterpretazione teologica della Scrittura è la tradizione di fede apostolica, fondata nella stessa Santa scrittura.

Il processo canonico cristiano ha portato allʼattuale strutturazione della Bibbia dalla Genesi allʼApocalisse, “la figura di una via di storia della salvezza che lʼunico Dio ha percorso con Israele e il mondo e sempre percorrerà” (p. 331). Questa via è tanto più chiara se si aggiungono gli apocrifi (i nostri deuterocanonici) della Lxx come nella Bibbia cattolica ed ortodossa. Non si deve perciò contrapporre rivelazione e storia come nellʼesegesi tedesca; vanno coniugate insieme nellʼorizzonte dellʼanamne-si: il zikkaron dellʼAT che rendeva presente la storia nella liturgia e nella preghiera, e tanto più lʼanamnesi di Gesù nel NT, fondata sulle parole di Gesù nellʼultima cena. “Lʼanamnesi aiuta la comunità degli uditori/lettori a determinare davanti a Dio il luogo della storia della salvezza e della rivela-zione, di cui ha bisogno per lʼorientamento spirituale” (p. 333), una memo-ria che abbraccia quindi Antico e NT. Le conseguenze che ne derivano per lʼermeneutica sono: a) non si può interpretare lʼAT indipendentemente dal Nuovo né il Nuovo indipendentemente dallʼAntico; b) lʼinsieme canonico secondo lʼanalogia della fede offre lʼorizzonte interpretativo dellʼanalisi dei singoli testi e dei singoli libri. Non mette a tacere i risultati della critica, ma li colloca in un orizzonte più vasto e articolato, in cui si comprende quali siano i testi centrali e quali quelli marginali in relazione al centro teologico. E in tal modo si costruisce il ponte fra storia e teologia.

Perché la Scrittura con un canone in due parti sia compresa comʼessa richiede (H. Gese) devʼessere collocata nel suo luogo naturale, lʼinterpre-tazione della Chiesa, che deve la sua esistenza alla parola di Dio. E infine lʼinterpretazione deve rimanere aperta al miracolo dellʼautocomunicazione di Dio attraverso i testi biblici. Lʼatteggiamento fondamentale devʼessere quello dellʼumiltà (tapeinophrosynê), anche tenendo conto del complesso di metodi storici, linguistici, ermeneutici oggi praticati, che rendono più difficile il lavoro esegetico. E chiude con una citazione di G. Von Rad dal suo libro sulla Sapienza: “In corrispondenza alla nostra odierna mentalità popolare, la fede non impedisce la conoscenza, al contrario è essa piuttosto che libera il conoscere, che fa giungere giustamente alla cosa e le assegna il suo giusto posto nellʼambito della molteplice attività dellʼuomo” (p. 336).

In conclusione per Stuhlmacher: il canone biblico cristiano in due parti è lʼAT in ebraico e nella Lxx (inclusi i deuterocanonici) e il NT, il centro di questo canone è la riconciliazione con Dio di ebrei e pagani in Cristo; lʼermeneutica canonica è piuttosto complessa, ma pur includendovi tutta

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la critica e i metodi esegetici moderni, vi dischiude un nuovo orizzonte, quello canonico, indicato dalla struttura stessa del canone, che segnala la via della storia della rivelazione e della salvezza.

3.4. Le tre TB a confronto

Dopo lʼanalisi delle tre TB di Hübner, Childs e Stuhlmacher, riteniamo sia utile metterle a confronto in relazione a tre questioni fondamentali: 1) quale canone biblico prendono in considerazione? 2) quale unità teologica del canone intendono dimostrare? 3) quale conseguente ermeneutica canonica praticare?

Hübner, nonostante simpatizzi per il canone lungo della Lxx, tuttavia per dimostrare lʼunità teologica applica il criterio del “canone nel canone”. Il canone reale è il Nuovo Testamento, che diviene criterio di verità del ca-none formale comprendente Antico e NT. Lʼunità teologica viene ravvisata nellʼautorivelazione di Dio in Cristo nello spazio tempo della grazia, unità di tipo esistenziale, che dimentica storia e Chiesa: la storia è lasciata allo storico critico, la determinazione della fede alla Chiesa; come in Bultmann vi predomina unʼantropologia teologica esistenziale e una corrispondente concezione luterana della fede. Lʼermeneutica praticata assume lʼAT nel Nuovo attraverso le citazioni esplicite e implicite.

Childs salvaguarda lʼintegrità del canone ebraico, nella sua forma breve, corrispondente al canone rabbinico seguendo la teologia riformata. Nella parte descrittiva di Antico e NT tiene le due testimonianze alla rivelazione netta-mente separate ed autonome; solo in un saggio di esegesi intertestuale ricupera il dialogo fra i due. L̓ ermeneutica teologica infine, nellʼultima parte, la più ampia dellʼopera, intende arrivare alla res, cioè alla realtà e verità di Dio, rive-lata in Cristo Gesù e così aprire la teologia biblica alla teologia dogmatica.

Stuhlmacher considera il canone biblico composto di AT ebraico e della Lxx, perché ad ambedue ricorre il NT. La sua è la concezione più compren-siva di canone e più corrispondente alla storia. Lʼunità la ravvisa nel centro del canone che abbraccia Antico e NT in una continua tradizione teologica di storia della salvezza che ha per fine la riconciliazione di ebrei e pagani con Dio in Cristo mediante la morte espiatrice di Gesù. Lʼermeneutica che ne deriva è dei tre la più complessa, ma anche la più realistica e corrispondente allo stato attuale dellʼesegesi. Include infatti i risultati del metodo storico critico aggiungendovi lʼempatia critica e spirituale; e poi i risultati degli altri metodi rivisitati nellʼorizzonte canonico più ampio in un dialogo col centro che aiuta a distinguere ciò che è essenziale da ciò che è marginale.

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4. Il problema posto dal canone biblico rimane aperto

Le “Teologie Bibliche” che cercano di rispondere al problema fondamen-tale dellʼunità teologica del canone in due parti, vi hanno risposto ma con soluzioni che abbiamo visto essere ancora parziali e quantomai aperte.

Dopo aver fatto una breve rassegna critica di H. Hübner e B.S. Childs e di Otto Merk32 Stuhlmacher conclude la sua poderosa opera, segnalando qua-li secondo lui sono i campi di ricerca aperti per una futura TB più rispondente alla sua natura e alle esigenze della Chiesa: 1) una traduzione della Lxx e un maggiore studio di questo settore trascurato della ricerca; 2) uno studio delle tradizioni protocristiane alla luce dellʼambiente tardo anticotestamentario e giudeo-cristiano; 3) lo stesso vale per la concezione integralmente biblica della verità (alêtheia) e del suo significato ermeneutico, e inoltre lʼimportan-za delle grandi feste ebraiche; 4) il rapporto tra la fede dellʼAT e del Nuovo e quello con la regula fidei; 5) infine il rapporto fra esegesi e dogmatica. Credo che queste vie aperte dalla TB valgano non solo per lʼambiente tedesco che Stuhlmacher riflette, ma anche per tutta la Chiesa.

A questo punto vorrei sintetizzare anchʼio la problematica suscitata dal-lo studio teologico esegetico del canone nelle recenti “Teologie Bibliche”. Lo farò seguendo i tre punti con cui abbiamo sintetizzato anche i risultati delle tre “Teologie Bibliche” sopra esaminate: la definizione del canone, lʼunità o coerenza teologica nel canone completo di Antico e NT, e lʼerme-neutica canonica che ne deriva, sperando di indicare una nuova strada per scoprire lʼunità della Santa scrittura.

Il canone in due parti: Antico e NT. Delle due parti, quella messa in questione è la prima, lʼAT. Già fin dal II secolo con Marcione che lo rifiuta, e poi con la Riforma protestante che, a differenza della Chiesa cattolica e ortodossa, accoglie nella Bibbia solo il canone breve, ebraico. Oggi invece, a parte B.S. Childs, si tende ad accogliere il canone lungo della Lxx come canone anticotestamentario della Chiesa delle origini, insieme allʼAT origi-nale ebraico. Va inoltre osservato che la Chiesa accolse nel canone cristiano il canone ebraico e alessandrino rispettandolo nel suo contenuto e nella sua forma, e modificando solo la collocazione dei libri allʼinterno del canone. Non fu escluso nessun libro, non si ebbero interventi redazionali che mo-dificassero il testo e tanto meno commenti per adattarlo alla rivelazione cristiana. Il canone ebraico fu assunto integralmente così comʼera. Semmai fu la sinagoga ufficiale rabbinica a modificare, non il canone ebraico, ma le traduzioni in greco, producendone altre diverse dalla Lxx, perché di essa si

32. Merk, “Theologie des Neuen Testaments und Biblische Theologie”, citato alla n. 1.

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servivano i cristiani. LʼAT nella sua tradizione ebraica più lunga rappresenta-ta dalla Lxx è dunque lʼAT cristiano che aggiungendosi al NT, forma la Bib-bia cristiana. Ora, la TB cerca di argomentare lʼunità e coerenza teologica del canone biblico in due parti. Tale dimostrazione critica intende per un verso evitare la soluzione fondamentalista che prende il testo alla lettera, rifiutando la critica; e per altro verso vuole evitare anche la deriva di una critica che non simpatizza col testo, ma si lascia trascinare dalle teorie ideologiche che fondano i vari metodi e che non pervengono a quanto il testo intende affer-mare, e cioè alla testimonianza della rivelazione di Dio, della sua autoco-municazione allʼuomo. Alle varie critiche già praticate nello studio della S. Scrittura, che hanno ormai una stabile classificazione, va aggiunta quella che Stuhlmacher chiama “empatia critica e spirituale” col testo, tenendo conto della natura particolare del testo biblico e della necessità di rispettarla.

Lʼermeneutica canonica invece è proprio un nuovo metodo che si ag-giunge a quelli classici, una interpretazione dei singoli libri o singoli testi nellʼorizzonte del canone. La considerazione della Bibbia in due Testamenti come canone della fede comporta un passo ulteriore rispetto ad uno studio scientifico, pur accogliendolo con tutta la molteplice e complessa metodo-logia moderna. Il passo ulteriore è appunto quello della critica canonica.

Lʼunità o identità teologica della Sacra Scrittura in due Testamenti come abbiamo visto è argomentata in modo diverso nelle tre “Teologie Bibliche” esaminate. La soluzione del “canone nel canone” proposta da Hübner, cioè il NT come canone critico dellʼAT in quanto il NT è la rivelazione escatologi-ca, cristologica di Dio in Cristo. Secondo lui una TB sarebbe possibile solo passando per la via della ricezione dellʼAT nel Nuovo mediante le citazioni esplicite e implicite; in questa prospettiva viene accentuata la singolarità della rivelazione cristiana, che funge perciò da criterio della rivelazione bi-blica, contenuta nel canone. B.S. Childs che intende salvaguardare lʼintegrità dellʼAT nella sua forma canonica ebraica, cerca la soluzione del dialogo fra i due Testamenti, dopo unʼaccurata descrizione dei due separatamente presi. Tale unità sarebbe rilevabile sia a livello esegetico mediante il metodo della intertestualità canonica di un motivo, di un tema, sia a livello di ermeneutica teologica, esponendo in modo coerente e successivo le due testimonianze della rivelazione di Dio, aperte alla dogmatica attraverso le tematiche teo-logiche principali. La soluzione di Stuhlmacher è invece quella classica in ambiente luterano: il centro teologico del canone diviene il criterio per dimostrare la continuità della tradizione teologica dallʼAntico al Nuovo Te-stamento, un AT perciò aperto al Nuovo. Il centro, come abbiamo visto, è il tema paolino della riconciliazione di Dio con lʼuomo peccatore mediante il Figlio suo Gesù Cristo e la conseguente riconciliazione fra gli uomini. Tale

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centro diviene inoltre principio critico per dimostrare quanto nel canone è centrale e quanto è marginale nella testimonianza canonica della fede.

Lʼermeneutica canonica di conseguenza è diversa nelle tre proposte di TB: la via del Vetus Testamentum in Novo receptum diverso dal Vetus Testamentum in se, applicata in modo rigoroso da Hübner. Lʼermeneutica del dialogo fra i due Testamenti nel contesto canonico proposta da Childs e lʼermeneutica cano-nica di P. Stuhlmacher molto più complessa in cui cerca di applicare allʼinter-pretazione della Scrittura tutti i metodi moderni, aggiungendo però il metodo della empatia critica e quello canonico per rispettare la natura particolare del testo biblico e la sua rivendicazione di una verità che va al di là di quella stori-ca. Questʼultima ermeneutica, anche se meno specifica, mi sembra la più com-prensiva e quindi la più rispettosa del testo canonico nella sua complessità.

Conclusione

Come riflessione conclusiva vorrei esaminare brevemente le vie di soluzio-ne aperte dalla TB canonica al problema dellʼunico canone biblico in due parti, concentrandoci su tre punti fondamentali per focalizzarli allʼinterno di una via di uscita: la memoria collettiva dellʼunico Dio che salva nei due Testamenti, nelle due testimonianze, che qualificano la sua ultima identità in Cristo, che ha rivelato in modo definitivo la verità di Dio e la sua sal-vezza nellʼorizzonte ermeneutico dellʼAT.

Il canone biblico cristiano si compone di due parti in tensione (discon-tinuità) e unione (continuità) fra loro. Il NT è stato aggiunto ad un AT già compiuto e a cui gli autori del NT si riferiscono come a “Scritture” Sante. Vanno notate due cose: che il canone cristiano dellʼAT è più ampio di quello ebraico; che è strutturato in modo diverso nei tre o quattro complessi in cui i libri vengono divisi; che il canone ebraico della diaspora passa attraverso la Lxx, più aperto allʼuniversalismo cristiano. Perciò lʼAT cristiano nel suo complesso è diverso dalla Tanak ebraica; per di più lʼorizzonte ermeneutico della Tanak ebraica è la Mishna e il Talmud, mentre per i cristiani è il NT. I due canoni divengono così espressione di due identità diverse: quella ebraica che si identifica con la storia di Israele nella sua relazione unica di alleanza con JHWH, e quella cristiana la cui identità è Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato, che rivela Dio e la sua salvezza in modo definitivo per tutti i popoli, incluso Israele. Di qui deriva la possibilità e necessità di una TB per la fede cristiana, mentre non vi è interessato affatto lʼebreo33.

33. J. Levenson, “Why Jews Are Not interested in Biblical Theology”, in J. Neusner - B.A. Levine et alii, Judaic Perspectives on Ancient Israel, Philadelphia 1987, 281-307.

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Il canone biblico, nella sua ampiezza, nella sua struttura e nella sua fun-zione, dato che si compone di due parti, richiede una TB, che renda ragione della loro unità in tensione, della loro identità teologica e della necessità di valutare come parte integrale del canone lʼAT.

Lʼermeneutica canonica è ormai un dato acquisito. La stessa conti-nuità teologica dei due TT nella discontinuità può essere più facilmente dimostrata a livello canonico che non a quello di storia della tradizione. Lo strumento principale o metodo cui oggi si ricorre è la intertestualità34. Lʼintertestualità canonica nella sua molteplice applicazione può includere diversi livelli: quello delle citazioni dellʼAT nel Nuovo, quello dei motivi e temi comuni; ma deve procedere al di là e avere il coraggio dellʼultimo passo: dimostrare lʼunità e lʼidentità della Bibbia cristiana come specchio dellʼidentità cristiana. E si perviene così alla soluzione qui proposta al pro-blema più difficile: lʼunità e lʼidentità profonda dei due Testamenti35. Così si esprime B. Janowski allʼinizio e alla fine dellʼarticolo citato in nota: “Chi vuole articolare una posizione in relazione alle questioni fondamentali di una TB, intende contribuire alla ricerca della identità della fede cristiana (corsivo mio)”. E chiude lʼarticolo ribadendo la stessa tesi iniziale: “Chi articola una posizione… Nel lavoro di esegesi contemporanea la TB deve tener conto che la Scrittura è divisa in due parti…” (pp. 297 e 321) e qui inizia il discorso sul rapporto con la Bibbia di Israele, che va rispettata e riconosciuta, ma al contempo si deve affermare lʼunità della Scrittura (p. 321), cioè di Antico e NT. Ma quale unità della Scrittura e in corrispon-denza quale identità biblica cristiana? Anzitutto va detto che lʼunità non va concepita come unità dottrinale, astorica e statica. I tentativi in questo senso sono falliti. Lʼunità cercata devʼessere dinamica e non statica, stori-ca e non dottrinale, non concettuale ma ermeneutica e aperta al dialogo36. Ma dove trovare questo tipo di unità che diviene identità di fede cristiana? Söding propone la fede in un Dio unico, JHWH e in un unico popolo, Israe-le, che in Cristo Gesù si apre a tutti i popoli. Per onorare anche lʼaspetto

34. Per una introduzione elementare si veda lʼottimo articolo di P. Rota Scalabrini, “Bibbia e intertestualità”, Teologia 28 (2003) 3-17; per la teoria letteraria G. Genette, Palinsesti: la letteratura al secondo grado, Torino 1997; studi più avanzati: C.A. Evans - S. Talmon (ed.), The Quest for the Context and meaning. Studies in Biblical Intertextuality in Honor of James A. Sanders (Biblical Interpretation Series 28), Leiden etc. 1997; D. Marguerat - A. Cortis (ed.), Intertextualités. La Bible en écho (Monde de la Bible 40), Génève 2000.35. Si veda lʼottimo articolo di B. Janowski, “The One God of the Two Testaments. Basic Questions of a Biblical Theology”, Theology Today 57 (2000) 297-324 = ZThK 95 (1998) 1-36.36. T. Söding, Einheit der Heiligen Schrift? Zur Theologie des biblischen Kanons (QD 211), Freiburg 2005, 15 e 59.

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storico ed ermeneutico io proporrei di ravvisare lʼidentità biblica della fede cristiana del canone nella memoria storica, che esprime una unità dinamica ed è fondamento della identità di fede e di prassi. La memoria storica di una comunità è fondamento della sua identità in relazione con un evento originario. La rivelazione dellʼunico JHWH è avvenuta nella storia del po-polo di Israle: lʼunicità di JHWH nei confronti dellʼidolatria politeista è strettamente legata allʼunicità del popolo di Israele, che riconosce JHWH nella sua santità ed è coerente con questa fede nella sua prassi. Questa memoria storica di JHWH è conservata nellʼalleanza e vissuta nelle grandi feste, mentre il volto pratico del popolo che si affida a JHWH si legge nella Torà, nei Profeti e negli Scritti, in particolare nei Salmi.

Nel NT la rivelazione della identità di JHWH perviene al suo compi-mento in Gesù, che come Verbo incarnato, rivela il volto più misterioso di JHWH, che non solo abita in mezzo al suo popolo con la schekinah, ma inabita mediante il Figlio in un uomo, Gesù Cristo e tale inabitazione col dono dello Spirito si estende ad ogni cristiano che crede e vive in Gesù. Tale rivelazione escatologica definitiva diviene memoria celebrata e vissuta nella comunità cristiana aperta a tutti i popoli, riconciliati con Dio e per mezzo di lui tra loro. Tale memoria viene celebrata nella liturgia cristiana e vissuta nella prassi e nella testimonianza cristiana. E questa memoria lega con una persona, JHWH che si rivela nella storia del suo popolo e in modo più umano nella persona di Gesù Cristo. Questa memoria storica, ricchis-sima e complessa, esprime nel modo migliore lʼidentità della Chiesa nel mondo e per il mondo. Tale memoria trova il suo fondamento unitario nella Scrittura divisa in due parti, Antico e NT. A questa memoria unitaria pur nella discontinuità dei due Testamenti (Eb 1-4) la TB invita continuamente a ricorrere, confessando lʼunico Dio nelle due testimonianze della memo-ria storica di Antico e NT: la memoria di JHWH, unico Dio si concentra poi nella memoria di Gesù e diviene lʼidentità della Chiesa, che legge e fa propria questa memoria nel canone biblico37.

Giuseppe Segalla Professore invitato

Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem

37. Un saggio in questo senso per il Nuovo Testamento in relazione con lʼAntico nellʼunica memoria di Gesù è quello che ho scritto io stesso ed è stato pubblicato recentemente: Teo-logia Biblica del Nuovo Testamento (8/2), Torino 2006.