canova estratto demogorgon

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ACCADEMIA NAZIONALE VIRGILIANA DI SCIENZE LETTERE E ARTI QUADERNI DELL’ACCADEMIA 2 SOCIETà, CULTURA, ECONOMIA STUDI PER MARIO VAINI A cura di EUGENIO CAMERLENGHI, GIUSEPPE GARDONI, ISABELLA LAZZARINI, VIVIANA REBONATO con la collaborazione di Ines Mazzola MANTOVA 2013

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AccAdemiA NAzioNAle VirgiliANA

di ScieNze lettere e Arti

QuAderNi dell’AccAdemiA

2

Società, cultura, economiaStudi per mArio VAiNi

a cura di

eugeNio cAmerleNghi, giuSeppe gArdoNi, iSAbellA lAzzAriNi, ViViANA reboNAto

con la collaborazione di ines mazzola

mantoVa2013

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1 In queste pagine mi servirò delle seguenti abbreviazioni: ASMn = Archivio di Stato di Mantova; AG = Archivio Gonzaga; Farè = P.A. Farè, Postille al Romanisches ety-mologisches Wörterbuch di W. Meyer-Lübke comprendenti le Postille italiane e ladine di Carlo Salvioni, «Memorie dell’Istituto Lombardo. Accademia di Scienze e Lettere. Clas-se e Lettere. Classe di Lettere-Scienze morali e storiche», XXXII, 1972; gdli = Grande dizionario della lingua italiana, fondato da S. Battaglia, Torino, Utet, 1961-2009; lei = M. PFister, Lessico etimologico italiano, Reichert, Wiesbaden, 1984-; rew = W. Meyer-lübke, Romanisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg, Winter, 19353; t-b = N. toMMaseo, B. bellini, Dizionario della lingua italiana, Torino-Napoli, Società l’Unione tipografico-editrice [torinese], 1865-1879. Per i passi danteschi farò riferimento a dante, La Commedia secondo l’antica vulgata a cura di G. Petrocchi, Firenze, Le lettere, 2003, 4 voll. (prima edizione Milano, Mondadori, 1966-1967). Sono grato a Paolo Bongrani e a Cosimo Burgassi per le conversazioni su alcuni dei problemi lessicali che saranno affrontati in queste pagine.

2 Manca un lavoro di sintesi, anche parziale, su Battista Stabellino. Le notizie su di lui si trovano sparse in diversi contributi pubblicati tra Otto e Novecento, di alcuni dei quali è giusto fare memoria. Una bellissima lettera del cortigiano, che descriveva il carnevale romano del 1513 in base a materiali provenienti dall’urbe, è già sfruttata da A. luzio, Federico Gonzaga ostaggio alla corte di Giulio II, «Archivio della Regia Società Romana di Storia Patria», IX, 1886, pp. 509-582: 577-582 (e pubblicata anche in B. PreMoli, Ludus Carnelevarii. Il carnevale a Roma dal secolo XII al secolo XVI, Roma, Guidotti, 1981, pp. 87-89). B. Fontana, Renata di Francia duchessa di Ferrara sui do-

AndreA CAnovA

Demogorgon, un finto OrlandO furiOsO e qualche appunto lessicale

il nome di Battista stabellino figura tra i corrispondenti spesso citati ma poco indagati di isabella d’este, nonostante il suo lungo carteggio con la marchesa sia piuttosto ricco di spunti interessanti.1 non che le sue lette-re siano state trascurate del tutto: dalla fine dell’ottocento i suoi resoconti ferraresi inviati a isabella diventano terreno di caccia per gli storici, spe-cialmente per quelli interessati alla storia delle corti nelle sfumature più ‘private’ in accezione bellonciana.2 anche in questo caso, tuttavia, si nota

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cumenti dell’archivio estense, del mediceo, del Gonzaga e dell’archivio segreto Vaticano (1510-1536), Roma, Forzani e C., 1889, si serve in più luoghi dei resoconti pettegoli che Battista (di cui si conoscono gli eteronimi Pignatta, Demogorgon e Apollo) invia da Fer-rara a Isabella, in particolare nel settembre del 1530, in occasione delle feste che vedono Renata protagonista (pp. 143-157). A. d’ancona, Origini del teatro italiano..., II, Torino, Loescher, 1891 (la prima redazione nel «Giornale storico della letteratura italiana» risale al 1885), pp. 126, 369 e 375 ne segnala l’attività come attore per gli Este. A. luzio-R. renier, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga, a cura di S. Al-bonico, introduzione di G. Agosti, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2006 (l’articolo nel «Giornale storico della letteratura italiana» è del 1902), p. 213 e nota, riservano a Battista un ruolo molto marginale, giusto per avere rallegrato gli ultimi anni di Isabella con la sua corrispondenza «piena di particolari curiosi», e ricordano che sua protettrice era Margherita Cantelma. Novità sul personaggio porta E. PèrcoPo, Antonio Cammelli e i suoi Sonetti faceti, «Studi di letteratura italiana», VI, 1-2, 1904-1906, pp. 299-920: 316, 459-460, 913, individuando anche qualche nuovo documento su di lui e sul fratello Gerolamo negli anni tra il 1497 e il 1500: sui rapporti tra Stabellino e Cammelli (il Pisto-ia) si tornerà nelle prossime pagine. Qualche anno dopo, M. catalano, Vita di Ludovico Ariosto ricostruita su nuovi documenti, Genève, Olschki, 1930-1931, 2 voll., attinge più volte alle lettere ferraresi di Stabellino (qui con lo pseudonimo Apollo) nell’Archivio Gonzaga per la sua ricostruzione della biografia ariostesca. Di recente S. Hickson, ‘To see ourselves as others see us’: Giovanni Francesco Zaninello of Ferrara and the portrait of Isabella d’Este by Francesco Francia, «Renaissance Studies», 23, 2009, pp. 288-310, ha recuperato diverse notizie sparse sul personaggio studiando lo scambio di doni del 1512-1513 tra Isabella d’Este e Gianfrancesco Gianninello; la raccolta dei dati è merito-ria, tuttavia nel saggio si rilevano alcune mende: le trascrizioni dei documenti andrebbero riviste e qualche informazione è erronea (per esempio a p. 298 n. 34 si afferma che le lettere di Stabellino «are found in the ASM, AG, chiefly b. 2997», ma quella busta con-tiene copialettere di Isabella).

che i materiali circolanti nella bibliografia sono quelli recuperati nella stagione eroica delle prime ricerche, vale a dire entro i primissimi decen-ni del novecento, e che un esame sistematico di tutte le carte non è stato ancora intrapreso. però, se oggi riapro quel dossier, non è certo per dare un profilo compiuto di stabellino, né tanto meno per aggiungere qualche aneddoto pittoresco sulla marchesa. mi interessa piuttosto, in onore di mario Vaini, capovolgere la prospettiva e cercare se quei fascicoli pos-sano dire qualcosa sulla ‘coltura’ di stabellino e delle corti di ferrara e di mantova agli inizi del cinquecento. si tratta, in verità, di un’ispezione minima, che è però giustificata dal livello notevole del personaggio: livel-lo che si rende manifesto già alla prima osservazione della sua scrittura, un’umanistica corsiva elegante che talvolta cede il passo a una capitale epigrafica di buona fattura, specie nella firma. ma anche il dettato delle lettere mette in evidenza una tenuta sintattica sempre molto buona e, in

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3 Se ne dà una trascrizione in appendice (lettera I; figg. 1 e 2). Una rapida disamina dell’aspetto grafico, fonetico e morfologico del documento ne mette in chiaro il colorito, tutto sommato, poco settentrionale e la tendenza latineggiante, a tono con il registro solenne. Alcune note tra grafia e fonetica: si mantengono con regolarità i nessi cono-nantici etimologici (instincto, complacere, admirando, admonita, amplo, expectando). Relativamente scarsi sono gli scempiamenti consonantici (orechie, acorger, piacia) e i raddoppiamenti ipercorretti, concentrati come al solito sulla liquida (elletto, Gallana, relligione). Il modello latino si fa sentire nella zona critica corrispondente in fiorentino all’affricata dentale che, pur presentando esiti evoluti (apparenza, terzo, bellezza) vede il dominio della forme in ti (ineptia, intentione, offitio, providentia, perfectione). Non si ri-levano però fenomeni di spostamento del grado di affricazione (il tipo brazo per braccio) o di assibilazione. La sonorizzazione dell’occlusiva intervocalica tocca solo il sostantivo fada/-e, che comunque ricorre più volte. In ambito vocalico tonico e atono sono da se-gnalare ancora diversi latinismi (surgi, produtte, dignasse). La morfologia, a parte forme quali cognoscerà, cognoscere e cognosciuti, in cui la memoria latina può avere interferito con il volgare locale, fa registrare alcune macchie più sicuramente ascrivibili alla koinè padana, in particolare la prima plurale concedemo e le seconde plurali havereti e porta-reti. Il tipo saglia ‘salga’ ha tradizione letteraria (L. serianni, La lingua poetica italiana. Grammatica e testi, Roma, Carocci, 20092, p. 199).

alcune missive, una competenza stilistica niente affatto banale, da cui affiorano abbondanti prove di un’arguzia cortigiana collaudata.

mi pare interessante proprio uno dei soprannomi scelti da Battista: ‘Demogorgon’. al proposito siamo fortunati, perché l’archivio conserva la lettera con la quale stabellino dà principio alla sua esistenza in veste di Demogorgon, dispensando abbondanti dettagli sulla propria nuova natura divina, con genesi e culto relativi. altro non è che l’ennesimo ludus corti-giano per divertire alcuni appartenenti all’entourage estense e, a distanza, isabella; però l’atto fondativo della religione di Demogorgon, recante la data ferrara, primo agosto 1513, è scritto con grande perizia.3 il racconto si apre con adeguate formule retoriche di professio modestiae e captatio benevolentiae e non manca la metafora della barchetta timorosa di sfidare i flutti. la sintassi è piuttosto tornita e prevalentemente ipotattica, co-struita su diversi gradi di subordinazione; ricorre spesso a forme verbali implicite con una certa preferenza per il gerundio (confiso, sperando, di-cendo, essendo, accostandomi e così via) e talvolta – sebbene in maniera non sistematica – colloca il verbo di modo finito al termine della frase: il modello è insomma quello boccacciano. il periodo è imbastito con una cura a tratti raffinata, come nell’endecasillabo «la quale anchor mi suona ne le orechie» (memore di Purg. ii, 114 «che la dolcezza ancor dentro mi suona»?) o nella clausola con doppio settenario sdrucciolo «tra loro

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4 «Già dispogliate, omè, le stanche membra» (Simone serdini da Siena detto il sa-viozzo, Rime, a cura di E. Pasquini, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965, p. 18).

5 gdli s. v. inezia: Leon Battista alberti, De iciarchia, in id., Opere volgari, II: Rime e trattati morali, a cura di C. Grayson, Bari, Laterza, 1966, p. 264: «chi per temenza o per dapocaggine patisce la inezia e fastidiose saccenterie degli insolenti».

6 gdli s. v.: Leon Battista alberti, redazione italiana del naufragus, ibid., p. 357: «Quel pessimo barbaro, quanto più li distoglieva ogni suo brutto incetto, allora più ardeva in rabbia».

7 gdli s. v. affettare; lei s. v. affectare, col. 1206: ‘desiderare con passione’, attesta-zioni in Jacopone da Todi, ante 1306.

8 gdli s. v. riporta un solo esempio traendolo da t-b. Nei documenti latini medievali e rinascimentali il verbo ha applicazione prevalentemente nelle clausole, spesso in com-binazione con sinonimi quali contrafacere o contravenire.

9 gdli s. v. novenario sost. non riporta esempi antichi.

mi riceveno et per suo dio mi chiamano»; oppure ancora quando stabel-lino mimetizza nella prosa un piccolo collage di versi danteschi: «[...] quel summo iove, il quale non permette che ’l tempo per li minutissimi athomi trascorra senza scoprire qualche sua maravigliosa et stupenda preparatione, che nel’abysso del suo consiglio fa per alcun bene, in tutto da l’acorger no-stro scisso» presuppone infatti Purg. Vi, 121-123: «o è preparazion che ne l’abisso / del tuo consiglio fai per alcun bene / in tuto de l’accorger nostro scisso?». e poco sotto «ne l’hora, credo, che da l’oriente prima raggiò nel monte citherea, che di foco d’amor par sempre ardente» riproduce alla lette-ra Purg. XXVii, 94-96. si rilevano poi alcune iuncturae di sapore letterario, quali «sumo choro» (che sul versante volgare annovera l’illustre precedente petrarchesco di Triumphus Eternitatis, v. 43); «stanche membra» (usato al-meno nella canzone del saviozzo Poi che fortuna il doloroso petto, v. 61);4 «summo iove» (replicatissimo dopo la Commedia dantesca: inf. XXXi, 92 e Purg. Vi, 118) e «natural sete» (che sembra invertire la «sete natural» di Purg. XXi, 1), il cui numero credo si potrebbe accrescere, ma che pare già indicare una specifica passione di Battista per il Purgatorio dantesco.

si può quindi dare un sommario elenco di cultismi che infiorano la lettera, quasi tutti piuttosto rari e con occorrenze antiche in autori signifi-cativi come Boccaccio o leon Battista alberti. in ordine di apparizione: ineptia ‘incapacità’,5 confiso, incetto ‘iniziativa, impresa’,6 miseratione ‘misericordia’, preclarissima ‘illustrissima’, affectano ‘desiderano’,7 athomi ‘attimi’, sublimità, perficere (e perficisca) ‘condurre a perfetto compimento’, oraculo, contraire ‘opporsi’,8 novenarii ‘gruppi di nove’,9 offitio ‘compito’, era stato rivocato ‘era stato richiamato’.

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10 Giovanni boccaccio, Commedia delle ninfe fiorentine, a cura di A. E. Quaglio, Milano, Mondadori, 1954 (Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, II), p. 797.

11 Jacopo caviceo, Il Peregrino, a cura di L. Vignali, Roma-Parma, La Fenice Edi-zioni per L’Istituto di Filologia Moderna dell’Università degli Studi di Parma, 1993, p. 26; una scheda sul termine in L. vignali, Il Peregrino di Jacopo Caviceo e il lessico del Quattrocento, Milano, Unicopli, 2001, p. 188, che lo segnala pure nella Fabbrica del mondo di Francesco Alunno (1548). Trovo l’espressione lat. angelus excubitor per ‘angelo custode’ solo a partire da autori tardo-cinquecenteschi, quali Juan Maldonado (1533-1583), o seicenteschi come Giovanni Stefano Menochio (1575-1655), mentre non mi è nota in fonti medievali o di età umanistica: non saprei dunque dire se fosse in circo-lazione nel periodo che ci riguarda.

12 Sulle forbitissime epistole, che prendono di mira il pittore Ombrone, si veda C. Franzoni, Le raccolte del Theatro di Ombrone e il viaggio in Oriente del pittore: le Epistole di Giovanni Filoteo Achillini, «Rivista di letteratura italiana», VIII, 1990, pp. 287-335.

un paio di locuzioni meritano appunti separati. nell’exordium, «en-trare ne l’alto» non richiede integrazione alcuna, valendo alto ‘il mare profondo, lontano dalla costa’ (cfr. lei s. v. altus, col. 399, attestazioni dal-la prima metà del sec. XiV e ancora in ariosto). l’«angello excubitore» è l’angelo custode: l’aggettivo (dal lat. excubitor ‘vegliatore, guardia’) è piuttosto inusuale. gdli e la banca dati on line dell’ovi danno come unica occorrenza antica quella boccacciana della Commedia delle ninfe fioren-tine («e già l’uccello escubitore col suo canto avea dati segnali del venuto giorno»).10 si può aggiungere il Peregrino di Jacopo caviceo, andato a stampa nel 1508 («peregrino è nocturno excubitore»).11 al proposito c’è da dire che la lettera, anche per le sue implicazioni oniriche e per la sua seppure tenue inarcatura simbolica, sembra ammiccare di lontano alle complesse allegorie dell’Hypnerotomachia Poliphili e che la placcatura argentea del suo stile, magari per la comunanza di alcuni ingredienti, non è aliena da un’esperienza come la prosa di caviceo, peraltro vicina nel tempo e nello spazio, e neppure dalle lettere di giovanni filoteo achil-lini a «Baltasare da milano» (forse Baldassarre della torre), anch’esse databili ai primi anni del cinquecento e immerse in un’aperta parodia polifilesca.12

per ora non sono in grado di identificare le fate e i conti cui stabellino attribuisce i soprannomi nella religione di Demogorgon, salvo in un caso. come si vedrà in uno dei documenti su cui mi soffermerò più avanti, il «conte gal(l)ana» è in realtà giovan francesco gianninello, personag-gio noto alle cronache letterarie cortigiane di quegli anni. gentiluomo di

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13 Le poche notizie su Giovan Francesco Gianninello emergono quasi tutte in cor-rispondenza dello scambio di doni con Isabella tra il 1512 e il 1513. Molti documenti utili, già editi all’epoca o inediti, erano messi in ordine da A. luzio, La Galleria dei Gonzaga venduta all’Inghiltera nel 1627-28, Milano, Cogliati, 1913, pp. 209-213, e sono stati riproposti con integrazioni da S. Hickson, op. cit., pp. 307-310. Tra il 1510 e il 1511, a Bologna, Francesco Raibolini, detto il Francia, esegue i ritratti di Federico Gonzaga e di sua madre Isabella. Alla fine del 1511 la marchesa riceve in dono da Gianninello un elegante manoscritto contenente la rime del Pistoia e per ringraziarlo gli invia un proprio ritratto, che giunge a destinazione entro il 21 marzo 1512: le carte d’archivio non specificano se sia quello dipinto dal Francia. Gianninello è comunque entusiasta del quadro e il 17 aprile successivo promette alla signora di Mantova un altro regalo di cui non precisa la natura. Isabella riceve anche il secondo omaggio e lo gra-disce tanto da ricambiare questa volta con il ritratto del figlio, determinando l’estasiata risposta di Gianninello datata 20 maggio 1512. Si può essere certi che questa opera sia quella allestita dal Francia perché la stessa Isabella scrive il 23 maggio a Matteo Ippoliti, accompagnatore del giovane Federico in quel periodo ostaggio a Roma: «ni è stato forza donare via il retracto de Federico nostro figliolo che fu facto a Bologna». La seconda circostanza induceva Luzio ad associare l’origine dei due ritratti, che è però documentata solo nel primo caso; l’ipotesi è stata tuttavia generalmente accettata dalla bibliografia successiva (A. luzio, La Galleria dei Gonzaga, cit., p. 215). Il ritratto della marchesa avrebbe poi subito complesse vicende di recupero presso gli eredi Gianni-nello negli anni Trenta, quando la marchesa si sarebbe fatta dipingere da Tiziano. Il 31 maggio 1513 Isabella spedisce invece a Gianninello un ritratto del Pistoia eseguito da Francesco Bonsignori (Rime edite ed inedite di Antonio Cammelli detto il Pistoia, a cura di A. Cappelli e S. Ferrari, Livorno, Vigo, 1884, p. xxxix). Per ciò che riguarda il poeta si dispone dell’ottima voce di D. De Robertis nel Dizionario biografico degli Italiani, XVII, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1974, pp. 277-286, con accu-rata disamina della bibliografia precedente, entro la quale spicca E. PèrcoPo, Antonio Cammelli, cit.; le sue rime hanno conosciuto più edizioni moderne, in particolare, oltre a quella già ricordata a cura di Cappelli e Ferrari: I sonetti del Pistoia giusta l’apografo Trivulziano, a cura di R. Renier, Torino, Loescher, 1888, e A. caMMelli, I sonetti faceti secondo l’autografo Ambrosiano, éditi e illustrati da E. Pèrcopo, introduzione di P. Or-vieto, Pistoia, Libreria dell’Orso, 2005 (= Napoli, Jovene, 1908). Ultimamente sono da ricordare A. caMMelli (il Pistoia), Sonetti contro l’Ariosto, giudice de’ Savi in Ferrara, a cura di C. Rossi, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006, e C. rossi, Il Pistoia spirito bizzarro del Quattrocento, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2008.

fiducia di niccolò da correggio, amico di antonio cammelli, detto il pi-stoia (morto nel 1502), e copista di un certo valore, gianninello fu anche al centro di un celebre scambio di doni proprio con isabella d’este, che gli inviò il proprio ritratto e quello del figlio federico nei primi mesi del 1512 per ringraziarlo di un bellissimo codice contenente le rime del pisto-ia, il poeta toscano trasferitosi nell’italia settentrionale e vissuto per mol-to tempo sotto la protezione degli este.13 nel 1513 la marchesa spediva a gianninello anche un ritratto del pistoia medesimo eseguito da francesco

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14 L’etimo di galana è piuttosto incerto (gdli s. v.), ma la voce è ben attestata in area padana fin da età remote; basti qui il rinvio a Vivaldo Belcalzer che distingue tra varietà fluvial e terrestr: «la terrestr, chi habita intre le case e intre le selve, è bona da manzar, ma è colsa oribel e desformada da vedir» (G. gHinassi, nuovi studi sul volgare manto-vano di Vivaldo Belcalzer [1965], in id., Dal Belcalzer al Castiglione. Studi sull’antico volgare di Mantova e sul ‘Cortegiano’, a cura e con una premessa di P. Bongrani, Firenze, Olschki, 2006, pp. 3-128: 105).

15 Lo studio più importante al riguardo è ancora C. landi, Demogòrgone. Con saggio di nuova edizione delle Geneologie deorum gentilium del Boccaccio e silloge dei fram-menti di Teodonzio, Palermo, Sandron, 1930, da aggiornare con M.P. Mussini saccHi, Per la fortuna del Demogorgone in età umanistica, «Italia Medioevale e Umanistica», XXXIV, 1991, pp. 299-310 (da cui si ricava la non ingentissima bibliografia intermedia, anche per ciò che riguarda le occorrenze di Demogorgon negli autori cinquecenteschi ita-liani e no). Più nello specifico della creazione di Demogorgon e delle fonti di Boccaccio si veda ora M.P. Funaioli, Teodonzio: storia e filologia di un personaggio, «Intersezioni», XXXI, 2, agosto 2011, pp. 207-218.

16 Giovanni boccaccio, Genealogie deorum gentilium, a cura di V. Zaccaria, Milano, Mondadori, 1998 (Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, VII-VIII, I), p. 70.

Bonsignori; il dono andava ad arricchire la collezione del destinatario, la quale godeva di ampia notorietà. Diversamente che per gli altri conti, il cui soprannome si lega a un toponimo, stabellino associa gianninello a un ani-male – la galana è infatti la tartaruga – forse in virtù dell’aspetto fisico della persona, come la prossima lettera che sarà analizzata parrebbe suggerire.14

uno dei fatti più interessanti, se non il più interessante, della missiva del primo agosto 1513 è la firma, ovvero lo pseudonimo che Battista si sceglie e che manterrà per qualche anno nella sua corrispondenza con isa-bella: Demogorgon, il dio delle fate. mi sembra che nessuno si sia preso la briga di spiegare il perché di questo soprannome, che in realtà si trova perfettamente a suo agio nella ferrara degli anni tra Boiardo e ariosto. la teogonia di Demogorgon è molto letteraria: il suo nome è frutto di un travisamento del greco Δημιουργόν.15 il grecismo si trovava in uno scolio di lattanzio placido alla Tebaide di stazio e, a quanto pare, era corrotto in demogorgon già in codici antichi e poi ripreso dal misterioso teodonzio, un autore di cui conosciamo pochissimo ma che Boccaccio citava e di cui molto si serviva nella sua produzione erudita. soprattutto nelle Genealogie deorum gentilium, Boccaccio lasciava di Demogorgon un memorabile ritratto («ille deorum omnium gentilium proavus, undique stipatus nebulis et caligine, mediis in visceribus terre perambulanti michi comparuit Demogorgon, nomine ipso terribilis, pallore quodam musco-so et neglecta humiditate amictus»),16 ma la divinità risorgeva un secolo

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17 Matteo Maria boiardo, L’inamoramento de Orlando, a cura di A. Tissoni Benve-nuti e C. Montagnani, Milano-Napoli, Ricciardi, 1999.

18 Rispettivamente lettere del 14 marzo e dell’11 aprile 1517 (ASMn, AG, b. 1245, cc. 280r, 281r).

dopo profondamente modificata e convertita nel signore delle fate tra le ottave dell’inamoramento de Orlando boiardesco (ii, Xiii, 27-28):

sopra ogni fata è quel Demogorgóne(non sciò se mai l’odisti racontare)e iudica tra loro e fa ragione,e quelo piace a lui può di lor fare.la nòte se cavalca ad un montone,travarca le montagne e passa il mare,e strigie e fate e fantasime vaneBate con serpe vive ogni dimane,

se le ritrova la dimane al mondo,perché non puon al giorno comparire.tanto le bate al colpo furibondoche volontier vorìan poter morire;hor l’incathena giù nel mar profondo,hor sopra al vento scalcie le fa gire,hor per il fuoco detro a sé le mena;a cui dà questa a cui quel’altra pena.17

se ne ricordava poi ariosto nei Cinque Canti e teofilo folengo lo col-locava in diverse delle sue opere. ovviamente nel 1513 il solo precedente letterario valido è quello di Boiardo, però il soprannome dimostra già una stretta pertinenza ferrarese e una sorta di gusto cavalleresco estense piuttosto peculiare. anche la relazione con le fate, e anzi con le fade – in versione padanamente sonorizzata – entra bene nel quadro. infatti anco-ra all’inamoramento de Orlando e al castigo che Demogorgon infligge alle suddite disubbidienti rinvia stabellino in alcune lettere degli anni successivi: «a tempo spero vendicar le mie onte et castigar con le bisce sotto foglia e sotto vento le mie fade ritrose se non si pente»; «per la qual cosa iudico [le fade] siano degne di grave ponitione con le bisce et de non haver più mai alcuna requie fino al giorno solenne del sacro iuditio».18

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19 La cosiddetta redazione A del Furioso: Ludovico ariosto, Orlando furioso secon-do la princeps del 1516, edizione critica a cura di M. Dorigatti, Firenze, Olschki, 2006.

20 La lettera del 3 maggio 1516 è molto più breve di quella del primo agosto 1513 e dunque l’analisi contrastiva dei fenomeni linguistici risulta poco efficace; tuttavia si può rilevare che qui la forma toscaneggiante Gianinello convive con quella padana Zaninel-lo, che il grado di affricazione è fisso sulla dentale in Zohan, mazo ‘maggio’ e per ben due volte nel dispregiativo cartaze; si nota inoltre assibilazione in cusite. Nel settore del vocalismo, municipale è incirata ‘incerata’ e ricorre due volte il non anafonetico giongo (nella lettera del primo agosto 1513, in atonia, agiongeranno). Quanto al verbo stampire, si tratta di un allotropo del poi prevalente stampare piuttosto diffuso al settentrione tra Quattro e Cinquecento (cfr. E. barbieri, Contributi alla storia del lessico bibliografico. I «Stampire», «La Bibliofilía», C, 1998, pp. 267-281). Pur considerando l’esiguità del campione, l’assetto complessivo ha l’aria di essere stato meno sorvegliato, coerentemen-te con lo stile più improvvisato del documento.

la seconda lettera che prendo in esame risale al 3 maggio 1516: in questo caso stabellino scrive da mantova, dove si trova per un breve soggiorno, a isabella, che se n’è momentaneamente allontanata. Demo-gorgon è stato vittima di uno scherzo da parte dei suoi adepti rimasti a ferrara, e in particolare di giovan francesco gianninello, ovvero ‘il con-te galana’. nella città degli este, proprio in quei giorni, è stata stampata la prima edizione dell’Orlando furioso, attorno alla quale si è creata una certa attesa.19 stabellino ha lasciato ferrara prima di acquisire uno di quei volumi che recano la data 22 aprile. il conte galana, allora, ha confezio-nato un finto libro legando insieme stoppa e carta straccia e avvolgendo il tutto in tela cerata; ha quindi inviato il manufatto con una lettera accom-pagnatoria ingannevole, la quale richiede pure i soldi spesi per comprare il volume (un marcello, per la precisione). il burlone poteva contare sulla complicità mantovana di un mario nel quale sarà da riconoscere mario equicola, ma l’attenta pseudo-divinità in trasferta non si è lasciata ingan-nare: non ha pagato il portatore e può ora spedire a isabella le cartacce con cui hanno tentato di beffarlo, così che anche lei ne rida. quando tor-nerà a ferrara provvederà a punire gianninello come si merita.

la lettera sollecita diverse considerazioni. in primo luogo è un bel documento delle condizioni in cui il primo furioso esce dai torchi di giovanni mazzocchi, trasportato dall’impazienza del pubblico. inoltre il documento conserva una prova dello stabellino epistolografo più con-fidenziale e disinvolto, quasi l’opposto del Demogorgon cronista di se stesso, che pure appone in calce la propria firma.20 qui si vede dunque la capacità di scarto stilistico dello scrittore: la sintassi appare decisamente

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21 G. trenti, Voci di terre estensi. Glossario del volgare d’uso comune (Ferrara-Modena) da documenti e cronache del tempo, secoli XIV-XVI, Iconografia a cura di A. Lodovisi, Presentazione di A. Spaggiari, prefazione di F. Marri, Vignola, Fondazione di Vignola, 2008, s. v. cavechia, cavecchia p. 144. Mi chiedo se sia da ricondurre al signifi-cato ‘capecchio’ anche la voce cavechia ‘cavezzo (scampolo, pezzo di stoffa)’ di p. 143: «cavechia de lino, libbre cinquanta» parrebbe indicare una quantità complessiva unitaria. La documentazione addotta potrebbe arricchire la voce capitulum del lei, coll. 183-185, che tra le varr. sett. dell’it. capecchio riporta solo il ven. merid. (poles.) cavece e l’emil. or. (ferrar.) scaveccia, scavècia.

semplificata, pur non rinunciando a una moderata ipotassi, e gli artifici formali sono sacrificati a una comunicazione più rapida e vivace, nella quale la freschezza dell’aneddoto ha il sopravvento. gioveranno alcuni prelievi lessicali, specie se messi a confronto con il ridondante ornato del-la lettera del primo agosto 1513. a un ambito municipale rinvia cavechia, variante ben documentata in area emiliana di capecchio (< lat. capitulum ‘cima’) ‘filaccia grossa, ricavata dalla prima pettinatura del lino o della canapa (e viene usata specialmente per imbottiture)’ (gdli s. v.). il termine è attestato, per esempio, in carolina coronedi Berti, Vocabolario bolo-gnese italiano, milano, aldo martello, 1969 (= Bologna, monti, 1869-1874), s. v. caveccia: «s. f. capecchio. quella materia grossa e liscosa, che si trae dalla prima pettinatura del lino, o della canapa, avanti alla stoppa; così detto perché proviene segnat. da’ due capi, cioè dalle barbe e dalle cime delle piante di lino, e canapa» e in ernesto manaresi, Vocabola-rio modenese-italiano, modena, soliani, 1893: s. v. cavéccia-capecchio: «materia che si trae dalla prima pettinatura del lino, e si adopera per lo più ad imbottire». il glossario estense di giuseppe trenti lo individua, nella stessa forma grafica cavec(c)hia della lettera di stabellino, in alcune fonti dislocate tra il secolo XV e il secolo XVi: «cavechia... per fare ta-marazi [‘materassi’]»; «cusini [‘cuscini’] di razo figurati cum li fundi de curame, pieni di cavechia» e così via.21

È poi interessante l’improperio indirizzato a gianninello «conte ga-lana maledetto e arapato!», che usufruisce di un termine noto ai lessici da molto tempo ma che è stato oggetto di recente attenzione da parte degli studiosi di ruzante. l’aggettivo arapato vale probabilmente ‘grinzoso’, quindi ben applicabile a un personaggio soprannominato ‘tartaruga’, ed è voce risalente al medio alto tedesco rappe ‘tigna’, con molte deriva-zioni nei dialetti italiani: per esempio l’emiliano e veronese rapà ‘grin-zoso’ (rew 7059). limitando l’escussione all’area settentrionale si può

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22 A. Prati, Etimologie venete, a cura di G. Folena e G. Pellegrini, Venezia-Roma, Istituto per la Collaborazione Culturale, 1968, s. v. rapare.

23 La banca dati dell’ovi si serve dell’edizione della Parafrasi a cura di A. Stella e A. Minisci in corso di stampa. Valeriu Maximu translatatu in vulgar messinisi per Accursu di Cremona, II, a cura di F. A. Ugolini, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1967 (Pubblicazioni del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani. Colle-zione di testi siciliani dei secoli XIV e XV, 11), p. 46.

24 Traggo il testo da Angelo beolco il ruzante, I dialoghi. La seconda oratione. I prologhi alla Moschetta, a cura di G. Padoan, Padova, Antenore, 1981 (Medioevo e Umanesimo, 43), p. 169.

25 C. burgassi, Prove di commento ai Due dialoghi di Ruzante, «Studi di filologia italiana», LXIX, 2011, pp. 375-407: 383-386; I. Paccagnella, Questioni lessicali ruzan-tiane, in Molte cose stanno bene nella penna che ne la scena starebben male. Teatro e lingua in Ruzante. Atti del Convegno, Padova-Pernumia 26-27 ottobre 2011, a cura di A. Cecchinato, Padova, Cleup, 2012, pp. 11-44: 37-38.

aggiungere il bresciano rapàt con il medesimo significato (FArè 7059) e ulteriori attestazioni in area veneta porta angelico prati: per esempio rapado (veronese) e rapà (roveretano).22 quanto alle occorrenze in testi antichi, come informa la banca dati on line dell’ovi, il lemma ricorre nella Parafrasi del neminem laedi nisi a se ipso (1342) e nel volgarizzamento messinese di Valerio massimo approntato da accurso di cremona (1321-1337), ma interessa di più, in anni vicini a quelli di stabellino, registrare un luogo ruzantiano.23 si tratta, in verità, di un passaggio piuttosto oscuro del dialogo secondo o Bilora, in cui il protagonista eponimo scaglia – tra le altre – una non immediatamente perspicua (almeno per il lettore mo-derno) maledizione all’anziano andronico, suo rivale in amore: «vechio sgureguzzo maleeto, che te puosto aravare con a’ sarave mé bò!».24 co-simo Burgassi, prossimo editore del testo, suggerisce sgureguzo ‘dereta-no’; e ivano paccagnella reca documentazione a sostegno.25 per quanto concerne «te puosto aravare con a’ sarave mé bò!», Burgassi stabilisce – credo a buona ragione – un collegamento con l’immagine del “bue da rape” (rave in pavano), ovvero con l’animale nutrito a rape e dunque magro, figura che si trova in varie rime comiche cinquecentesche non solo venete. il deperimento del bue (bò) spiega l’uso del verbo ar(r)ap(p)arsi (aravarse) e il senso dell’augurio di Bilora, inducendo Burgassi a modificare così la trascrizione del passo: «Vechio sgureguzzo maleeto, que te puos-to aravare con’ a’ s’aravè mè bo!». Dato che pure stabellino invia una maledizione a gianninello, c’è da chiedersi se il verbo ar(r)ap(p)arsi e l’aggettivo ar(r)ap(p)ato (con le rispettive varianti dialettali)

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26 Luzio peraltro esplicitava una certa insofferenza nei confronti della scrittura di Stabellino, facendo balenare dietro la scarsa simpatia per lo stile anche quella per i tra-vestimenti epistolari: «[...] Battista Stabellino, un novelliere ferrarese, che sotto il nome di Apollo o d’altra deità mitologica mandava regolarmente le sue cronache a Isabella, in un gergo tronfio, pretensioso, infarcito di frasi retoriche uggiose, di allusioni spesso inafferrabili» (Isabella d’Este e i Borgia, «Archivio storico lombardo», XLII, 1915, pp. 115-167: 162). Per intendere spirito, pregi e limiti delle ricerche di Luzio e di Renier non si può non leggere G. agosti, Ai fanatici della Marchesa, introduzione della moderna edizione di luzio-renier, La coltura e le relazioni.

si fossero fissati in formule imprecatorie di questo genere. il registro è comunque ben distante dalle evoluzioni quasi polifilesche dell’apoteosi di Demogorgon.

le indagini sulla lingua e sullo stile esulavano dagli interessi di luzio e di renier alle prese con la costruzione del mito isabelliano e non c’è dunque da stupirsi se i particolari che oggi ci danno da riflettere lasciaro-no i due piuttosto indifferenti. È tuttavia lecito chiedersi perché le lettere di stabellino non siano state da loro sfruttate più a fondo sul versante dell’erudizione minuta e talvolta minutissima che, magari solo in una nota a piè di pagina, non rinunciava ad affastellare notizie su notizie. le carte di Battista, vergate in una scrittura chiarissima e disposte in bell’or-dine nella corrispondenza da ferrara, hanno tutto l’aspetto di una riserva di caccia che i due non vollero violare o di cui non si vollero giovare fino in fondo.

È chiaro che l’archivio gonzaga è un bacino sterminato, tale da sfian-care pure il vigore inesausto di luzio, però qui sorge il dubbio che una forma di censura possa avere dissuaso il celebre duo dal condurre ricerche più approfondite, o dal pubblicarne gli esiti. penso che il loro moralismo, certo comprensibile nel contesto di fine secolo, li mettesse a disagio ri-spetto alle invenzioni neopagane di stabellino e che mancassero del sen-so dell’umorismo (se non proprio del senso storico) necessario per dare alla religione di Demogorgon la giusta prospettiva.26 temo altresì che la conclusione di alcune lettere del cortigiano, nelle quali egli comunicava a isabella di essere molto lieto e soddisfatto dell’affettuosa amicizia che lo legava a un certo passerino (per esempio: «pregando sempre il dio de la natura che mi mantenghi in bona gratia di quel spirito ellecto, purificato e gratioso del mio passarin dolce, il quale Dio nostro signore guardi da periculoso evenimento», 8 maggio 1516; «la risibile e la amata basan-

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27 ASMn, AG, b. 1245, cc. 153r, 155r.

do la mano di vostra excellentia si racomandano, né dal voler di queste s’alontana il mio amorevole passarino», 22 maggio 1516)27 provocasse ai due un invincibile imbarazzo; e forse più il dover ammettere certe pro-lungate frequentazioni da parte della marchesa. il mio è solo un sospetto, ma mi piace offrire anche questo a mario Vaini, che nei colloqui di anni lontani mi insegnò la cautela verso le non sempre imparziali ricostruzioni di luzio e di renier.

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AppendiCe

le lettere

nelle trascrizioni dei documenti sciolgo tacitamente le abbreviazioni e divido le parole secondo l’uso moderno; alla norma attuale riconduco altresì la distinzione tra u e v, l’uso di maiuscole e minuscole e dei segni diacritici e interpuntivi; rendo con “ii” il gruppo ij in fine di parola e con “ae” la e cedigliata.

iasmn, ag, b. 1245, cc. 11r-12v.

iesusmirabile certo et stupenda materia il core propone di scrivere, ma

la lingua per la sua ineptia assai ricusa l’assunto; se non che confiso nel benigno ingegno di quella m’assicuro a entrare ne l’alto col mio debil le-gnetto, sperando, se la non vederà effetto degno di lei, almeno cognoscerà la buona intentione ch’io havea di produrlo. onde a questo incetto pre-go mi giovi la divinità a me dal sumo choro novamente concessa, acciò che le parole portino a tua signoria qualche stilla de l’incredibile soavità e piacere gustiamo in questo novo stato. mi era, signora mia, già non sono molte notti, posto a giacere, concessa tregua alle stanche membra et l’animo, che quasi in tutto era sciolto dal reggimento del corpo da l’an-gello excubitore, ben due fiate all’offitio suo era stato rivocato, quando, mentre che in me stesso ritorno tra ’l sonno e la vigilia, mi sento da una incessante voce chiamare dicendo: «surgi, surgi da lo incerto sonno, o huomo fortunato! et inverso settentrione t’invia sin che nova e mirabile apparenza ti ferma, però che la providentia del summo iove dispone che ’l si formi nova et a·llui molto accepta relligione». con queste parole si taque; et io già in tutto desto et pieno di stupore per la divina voce udi-ta, la quale anchor mi suona ne le orechie, mi levo et dirizo il camino verso l’assignata parte, dove, non dopo molto spatio essendo un carro di mirabil splendore, il quale, accostandomi, comprendo essere di oro et finissime gemme mirabilmente fabricato et ornato in guisa che quel del sole saria pover con ello. onde desideroso de più cognoscere de la soa bellezza, a·llui più e più mi accosto, sin ch’io vi scorgo sopra cinque fade gratiose molto et di nobilissima stirpe produtte, le quali accennan-

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domi ch’io saglia il carro, cortesemente tra loro mi riceveno et per suo dio mi chiamano. poi si moveno, et a diversi giardini essendo condotti, sempre ragionamo de la maravigliosa mia deità et per divino instincto formamo la sacrosancta relligione del iocundissimo dio Demogorgon, ne la cui deità per miseratione divina mi trasformo et da tutte le mie fade di tale nome son chiamato dio. ma prima che si smontasse dil carro, fu imposto il nome a ciascuna de le fade; et la prima et preclarissima di tutte fu chiamata la fada Blanda, la seconda fada risibile, la terza fada forastiera, la quarta fada morgana et la quinta et ultima fu detta la fada amata per suo nome. poi di queste assignatone una ad me a cui havesse io a servire et complacere, per ciascuna de le altre fu elletto un servitore, che foro quatro, li quali chiamaro conti; et il primo si chiamò il conte da la scorcianella, il secondo il conte da serravalle, il terzo fu detto il conte gallana et il quarto il conte da la tresandola. li quali nomi sì de le fade come de’ conti, signora mia, foro formati con grandissimo mysterio, che così affectano li dèi acciò che li loro iuditii non siano cognosciuti da quel-li che la loro divinità hanno in dispregio. così passamo tutto quel giorno sempre admirando la ineffabil providentia di quel summo iove, il quale non permette che ’l tempo per li minutissimi athomi trascorra senza sco-prire qualche sua maravigliosa et stupenda preparatione, che nel’abysso del suo consiglio fa per alcun bene, in tutto da l’acorger nostro scisso. in tanto sorvenendo la nocte, mi sepero da la compagnia riducendomi al solito loco del mio riposo, dove, riposatomi alquanto et già essendo ne l’ultima parte de la notte, ne l’hora, credo, che da l’oriente prima raggiò nel monte citherea, che di foco d’amor par sempre ardente, pur da una voce son chiamato, alla quale destandomi et volendo aprir gli occhi, fo-romi chiusi da un mirabile splendore, dil quale era io circonfuso. onde attendendo con le orecchi, udì continuare: «non stimare, o novo Dio, che la nova tua religione sin qui habbia la sua perfectione, ma sii certo che al numero de le fade se ne agiongeranno quatr’altre, tra le quale una serà di tanta sublimità et excellentia che non solo tutte l’altre fade, ma li conti et tu loro dio vi havereti a regere secondo ch’ella disponerà, et come a dea principale li portareti summo honore et riverentia». il quale parlare non procedendo più oltre mi dette occasione de dimandare chi era questa così preclarissima fada et ove havea io a cercare di lei, ma non prima formai la parola che, sentendo isparire il lume, compresi qual nume haveami ivi di sé lasciato solo. onde crescendo in me l’ardentissima et natural sete, mi levai et, convocate le fade e ’ conti, narrai loro la seconda visione. Di

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che maravigliandosi molto, né potendo comprendere come si havesse a perficere questa nostra relligione, di comune consenso fu offerto in sacri-fitio di grasse victime al tempio de minerva, supplicandola divotamente se dignasse illuminarne di quanto eravamo tenuti. et dopo il terzo dì si hebbe oraculo di questo tenore:

la dove il mencio distende sue acque,u’ visse lei che ’l patre mutò forma,cercate de la donna che al ciel piacquedare al collegio vostro in guida e norma.Di stirpe iovïal felice nacquee sotto il fren d’apol sua vita informade sì chiare virtute e digne lodeche ’l mondo se ne alluma e ’l ciel ne gode.

il che considerato, illustrissima mia signora, et senza controversia al-cuna interpretato di tua signoria, non potrei exprimere quanto fu oltre modo grande la letitia che sentì il core di ciascun di noi, cognoscendo che appresso l’altre et innumerabili gratie ricevute da li dèi, questa più ch’al-tra desiderata ni fosse concessa: di essere consecrati a perpetuo servigio di quella. onde desiderosi si perficisca questo nostro sacro collegio, non dubitando lei habbia a contraire alla divina volontà di conscientia de le fade et conti, li scrivo et do pieno adviso del tutto, avegna che lei forse da qualche suo domestico nume ne possa prima esser admonita. il perché la preghiamo con divotione a disponerse a questo santo proposito, et apres-so secondo il parer suo li piacia ellegere tre fade e quatro conti a perfec-tione e supplemento de’ due novenarii, che di questo li concedemo piena et ampla auctorità; et così de imponere li nomi a sé et alli altri secondo il suo arbitrio, benché già si fossi quasi deliberato che essa tua signoria ne la religione si dovesse chiamare fada mirabile. nondimeno dil tutto vogliamo rimettersi al prudente suo iuditio, expectando con grandissimo desiderio la resolutione di quella, alla [quale] in infinito si ricomandiamo, quae bene valeat. ferrariae, die primo augusti mdxiii.

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demogorgon

alla illustrissima isabella da este marchesana de mantoa.

iiasmn, ag, b. 2494, c. 20r.

iesusquesta è la lettera, illustrissima madama, che quella mi ha hoggi ri-

chiesta, la quale mi scrive questi quatro boni compagni. Vostra excellen-tia vederà come si portano meco, et maxime il conte galana, cioè Zohan francesco gianinello. et non essendo contento di questa, cercava farmi un’altra burla con lo aiuto dil vostro mario, ma sonosi indarno adoperati perché, considerata la malitia loro et riguardato il fine, ho ritrovato l’in-ganno. il quale era questo, che ’l conte galana mi ha mandato stoppa, anzi cavechia, e cartaze cusite e ben ligate in tela incirata; et mi scrive una lettera, la quale in compagnia di questa viene a vostra signoria, che dice, come quella vederà legiendo: «io ti mando il libro di messer ariosto, il quale è finito de stampire, ad ciò possi pigliar più spasso in quelli ame-ni giardini». et nel soprascritto dice: «paga uno marcello al portatore». io non ho pagato il marcello e così mario e ’l Zaninello (conte galana maledetto e arapato!) hanno gettato via tempo. ma spero, s’io giongo a ferrara sano, punirlo, et d’una grave punitione, perché, essendo sotto il mio imperio, l’insignarò che cosa è portarsi male con li suo’ superiori. et perché vostra excellentia sia ancho più chiara di questo inganno che mi voleano fare, li mando l’invoglio de le cartaze che ’l mi drizava questo bon garzone del conte galana: ma stiasi pur di bon animo, ché anchora gli farò sentir la nova a vostra signoria sin qua, s’io giongo a casa, alla quale humilmente mi racomando. in mantoa a’ 3 de mazo 1516.

demogorgon

a tergo: alla illustrissima et excellentissima signora mia observandis-sima, la signora marchesana di mantoa.

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fig. 1 - lettera di Battista stabellino a isabella d’este, primo agosto 1513 (asmn, ag, b. 1245, c. 11r). concessione n. 4/2013 dell’asmn.

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fig. 2 - lettera di Battista stabellino a isabella d’este, primo agosto 1513 (asmn, ag, b. 1245, c. 12v). concessione n. 4/2013 dell’asmn.

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fig. 3 - lettera di Battista stabellino a isabella d’este, 3 maggio 1516 (asmn, ag, b. 2494, c. 20r). la nota archivistica antica nel margine sinistro in alto interpreta scorrettamente mazo come ‘marzo’. concessione n. 4/2013 dell’asmn.

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ISBN 978 88 979 6218 2