canto liberopensando di negare le co-perture per le cure dei neo-nati gravemente disabili. ma a...
TRANSCRIPT
1
Canto Libero
Il tuo sguardo non si abbassa mai
quando sa di aver ragione,
mette in gioco la sua libertà
senza padrone.
Rischia sempre qualche cosa in più
si ferisce ma non cade giù,
perché è dura da sconfiggere la
Verità.
E il tuo sguardo ti accompagnerà
dove l’anima è spogliata,
prende fiato per un attimo
e poi dilaga.
Fa vibrare la coscienza che c’è in te
trasformandoti in un cane sciolto
che mostra i denti per difendersi
da chi gli vuole fare male.
Opinioni, approfondimenti, idee da condividere tra amici
Grani di sale
Pensavate che fosse tutto finito con la legalizzazione dell’aborto o la sistematica demolizione della legge n.40 che poneva paletti ben precisi alla fecondazione medical-mente assistita? E pensate ora che i riflettori della cronaca si spengano dopo che verrà approvata, anche in Italia, la legge intro-duttiva del matrimonio tra per-sone dello stesso sesso? Poveri illusi, siamo solo all’ini-zio. Il pensiero laicista sta già guardando oltre, verso nuovi traguardi. E’ infatti in discussione, nei cenacoli culturali progressisti, un principio che non sembra fare una piega sul piano pret-tamente logico, ma presenta delle conseguenze aberranti: sopprimere un neonato do-vrebbe essere permesso in tutti i casi in cui lo è abortire. E poiché in molti Paesi l’abor-to è ammesso anche per ra-gioni che nulla hanno a che fare con la salute del feto, la
soppressione dovrebbe esse-re consentita sempre. In caso di malformazioni non diagno-sticate nel periodo di gesta-zione o di problemi insorti al momento del parto, come già accade con il protocollo di Groningen in Olanda, ma, anche quando le coppie si siano nel frattempo separate, siano sopraggiunte difficoltà economiche che rendono diffi-cile crescere un bambino, o, più semplicemente, quando vi siano stati ripensamenti sulla voglia di avere un figlio. Da notarsi come anche in questo caso, per indorare la pillola, si ricorra ad un sottile uso deformato dei termini, secondo una strategia ampia-mente collaudata e rivelatasi vincente: non si parla di infan-ticidio, ma di aborto post-partum, quasi a sottolineare che lo status della persona soppressa è più simile a quel-lo del feto, che non del bambi-no. Si verrebbe a creare, cioè, una nuova categoria ontologi-
L’ assalto laicista
Esistono due interpretazioni del nostro tempo che condizionano tutti i giudizi: quella illuministico-massonica, e quella marxisti-ca. Entrambe sono false. Si tratta, allora, di uscire da questa falsità condizionante, ma i passi in questa direzione sono stati per ora assai scarsi. Gravissime, soprattutto, le col-pe dei cattolici, che dopo gli anni 60, hanno pensato di “aggiornarsi” facendo proprie le tesi dell’una o dell’altra di que-ste linee. Col risultato di metterci nella difficoltà di credere. Augusto Del Noce
2
ca, quella dei “pre-bambini”,
rispetto alla quale non valgono i
diritti universali dell’uomo.
Purtroppo non si tratta di fanta-
scienza, ma di probabili scenari
futuri preannunciati dalle tesi
del filosofo utilitarista Peter Sin-
ger, australiano di nascita ma
statunitense di adozione, fon-
date su un assunto: una cosa è
moralmente giusta se piace alla
maggior parte degli individui
coscienti.
Naturalmente l’insigne fautore
della liberazione animale e del-
la pari dignità tra uomini e be-
stie, considerato uno degli intel-
lettuali più influenti al mondo,
si dimentica di aggiungere che i
gusti della maggior parte degli
individui, oggigiorno, non sono
affatto liberi, ma indotti da abili
campagne stampa. Ma questo,
si sa, è solo un dettaglio insi-
gnificante.
A reggere il suo ragionamento
sarebbe l’insostenibilità dei co-
sti da parte dei sistemi sanitari
nazionali, e lo spirito umanitario
che troverebbe intollerabile ed
ingiustificatamente cinica la
condanna a vivere inflitta a per-
sone gravemente malate, prive
di possibilità di recupero, o a
persone che non sarebbero
amate. Da qui la necessità di
operare una scelta selettiva a
favore degli individui capaci di
raggiungere una qualità di vita
dignitosa, e, aggiungiamo noi,
di produrre reddito, con il con-
seguente congedo di coloro
che non presentano tali requisi-
ti. Ma, ovviamente, gli scenari
si allargano, perché si passa
facilmente dai neonati agli an-
ziani non più autosufficienti, o
alle persone affette da handi-
cap congeniti o sopravvenuti.
Del resto lo stimato pensatore
non ha mai nascosto che, a suo
avviso, non tutte le esistenze
hanno identico valore, perché
egli rifiuta di attribuire un valore
assoluto alla vita in sé.
In sostanza si passa dalla sa-
cralità della vita alla sacralità di
ciò che si vuole fare della pro-
pria (e dell’altrui) esistenza.
Ciò che preoccupa, purtroppo,
è il fatto che questi ragiona-
menti stiano già entrando nella
logica politica, tanto che il go-
verno degli Usa, e le Compa-
gnie di assicurazione, stanno
pensando di negare le co-
perture per le cure dei neo-
nati gravemente disabili. Ma a propagandarle in Ita-
lia sono due giovani ricer-
catori freschi di laurea in
filosofia. Si tratta della dot-
toressa Francesca Miner-
va, che ha concluso il dot-
torato in bioetica all’Univer-
sità di Bologna con una
tesi contro l’obiezione di
coscienza, ed il dottor Al-
berto Giubilini, strenuo so-
stenitore delle battaglie gay
ed avversario della Chiesa
Cattolica, che, proprio sul
tema dell’obiezione, ha
recentemente sostenuto
che “ è il concetto stesso di
coscienza, che è un con-
cetto piuttosto oscuro e di
origine cristiana, a non po-
ter essere invocato come
giustificazione ultima, quasi
fosse una zona franca che
consente qualunque com-
portamento e rispetto a cui nes-
suno è autorizzato a chiedere
ragioni”. Entrambi collaborano
con l’Università di Melbourne,
dove Singer ha insegnato, e
fanno parte del direttivo della
“Consulta di bioetica”, un’asso-
ciazione da anni impegnata a
favore dell’eutanasia, dell’abor-
to, della procreazione medical-
mente assistita.
Certo i tempi non sono ancora
maturi, ed i due filosofi, che
discettano di simili teorie sulle
più accreditate riviste scientifi-
che europee (Journal of Medi-
cal Ethics), preferiscono per ora
sottrarsi al confronto, riservan-
dosi di ritornare in argomento,
se sarà il caso, in altre occasio-
ni, ed eventualmente nelle sedi
accademiche. Della serie: voi
comuni mortali non dovete im-
picciarvi di cose che riguarde-
ranno la vostra vita, ma delle
quali decidiamo noi illuminati.
Attenzione. Che non si tratti di
semplici disquisizioni teoriche
ma di possibili pianificazioni di
azioni future lo dimostra proprio
la storia del citato Protocollo di
Groningen, che altro non fu,
all’inizio, che un semplice arti-
colo, comparso il 10.03.2005 su
una rivista scientifica.
Con esso Eduard Verhagen,
direttore di una prestigiosa clini-
ca pediatrica, dichiarava che
ogni anno, in Olanda, morivano
circa 600 bambini dopo il parto
a causa della volontaria interru-
zione di terapie salvavita.
E non lo faceva per denunciare
lo scandalo della silenziosa
soppressione di bambini più
fragili di altri, e quindi maggior-
mente bisognosi di cure, ma
per cercare di ottenere prote-
zione legale ad una forma di
eutanasia già in atto.
3
Ed il colpo di mano è riuscito
perché, nell’indifferenza gene-
rale, il protocollo si è tradotto in
un documento con cui l’asso-
ciazione dei medici olandesi ha
autorizzato i camici bianchi, a
partire dal 2014, a togliere la
vita ai bambini nati con gravi e
definite malformazioni. I legisla-
tori, dal canto loro, non sono
rimasti a guardare. Se dal 2001
in Olanda l’eutanasia è stata
legalizzata, ora è stata estesa
anche ai bambini dai 12 anni in
su, ed in Belgio è stato addirit-
tura eliminato ogni limite tem-
porale, ammettendosi per qua-
lunque minore che sia in grado
di discernere nella propria deci-
sione, facoltà che va accertata
da psicologi e accompagnata
dal consenso dei genitori. Sia-
mo al capovolgimento dei valori
su cui si fonda la nostra civiltà.
La cultura dell’attenzione verso
i più deboli, che aveva generato
luoghi di cura e strutture di as-
sistenza, viene ora sostituita
dalla cultura della morte, ma-
scherata da forme di umana
pietà o da necessità economi-
che.
Per questo colpisce il fatto che
la comunità scientifica interna-
zionale non si scandalizzi per
tesi che sembrano rievocare i
fasti della Germania hitleriana,
ma dalle prime reazioni dell’opi-
nione pubblica, accusata di
esprimere “una profonda ostilità
ai valori liberali ed una fanatica
opposizione ad ogni tipo di im-
pegno ragionato”. Di fronte a
ciò c’è allora da chiedersi quan-
to tempo ci vorrà prima che
queste teorie, supportate dai
mezzi di (dis)informazione di
massa, riescano ad attecchire
anche in Italia, creando le con-
dizioni per far apparire non solo
giuste, ma addirittura inevitabili,
tali conquiste sociali?
Evidentemente dipende dal
grado di reazione della comuni-
tà nazionale. Più le persone
eviteranno di far sentire la pro-
pria voce, richiudendosi nell’in-
timità delle proprie coscienze,
più queste tesi avranno vita
facile e potranno passare, tra-
ducendosi in leggi capaci di
condizionare i nostri costumi.
Per questo gli attuali i dibattiti
sull’utero in affitto, la compra-
vendita di ovuli, la fabbrica del-
la vita, per chi non l’avesse an-
cora capito, rappresentano solo
le tappe intermedie di un gigan-
tesco scontro tra visioni antro-
pologiche antitetiche: da un lato
l’uomo inteso come persona,
titolare di diritti inalienabili che
la società può solo riconoscere
e tutelare, dall’altro l’uomo ri-
dotto a cosa, oggetto di nego-
ziazione e di diritti altrui. E l’Eu-
ropa di oggi, che ha deciso di
recidere le proprie radici cristia-
ne per dichiararsi figlia dell’età
dei lumi, sembra aver imbocca-
to questa seconda strada.
* In principio erano i palloncini colorati, gli striscioni di benve-nuto, i comitati di accoglienza
accompagnati da proclami altisonanti. Solo una setti-mana dopo sono arrivate le chiusure delle frontiere te-
desche, la sospensione del traffico ferroviario, le accuse agli altri Paesi comunitari. Le lezioni di solidarietà di Angela Merkel sono durate solo il tempo di toccare con mano la realtà. Se questo è il cancellie-re che giuda di fatto l’Europa… * Roma affonda? E lui vola a Filadelfia ad incontrare il Papa. Poco importa se avrebbe potu-to vederlo tutti i giorni in Vatica-
no. Bastava prendere un auto-bus della linea 64, quella abi-tualmente frequentata da bor-seggiatori, portoghesi, teppisti e zingari, per giungere a destina-zione. Ma confrontarsi quotidia-namente con i problemi dei cit-tadini, per Ignazio Marino, non rientra tra i doveri di un sinda-co. Meglio andare negli Usa, e come sperano i romani, ancor meglio rimanerci. L’attività di sindaco è un'altra cosa.
L’orto delle delizie
4
Quando i padri costituenti vara-rono la Costituzione della Re-pubblica Italiana, erano certi di aver fatto un buon lavoro e di aver creato un assetto istituzio-nale destinato a durare nei se-coli. Certo non escludevano che la Carta necessitasse, nel tempo, di alcuni aggiustamenti, ma ritennero che tale compito, trattandosi di semplici ritocchi, potesse essere affidato al legi-slatore ordinario, e non ad una nuova Assemblea Costituente. Invece la riforma recentemente licenziata dal Senato, che ne-cessiterà di altri due passaggi in entrambi i rami del Parla-mento e di ratifica popolare mediante referendum, sembra introdurre una trasformazione dell’intero impianto istituzionale, incidendo su due terzi circa della nostra Costituzione. Tra le varie criticità, in particola-re, emerge il riassetto dei rap-porti tra Governo ed enti locali, che rischia di reintrodurre una nuova forma di centralismo sta-talista capace di mortificare autonomie locali, decentramenti e sussidiarietà. L’unico dato certo, infatti, è che le Regioni perderanno potere a livello locale, nel governo dei loro territori e dei loro cittadini, con la scomparsa di materie di competenza concorrente con lo Stato, la perdita di ogni decisio-ne in materia di energia, infra-strutture strategiche e protezio-ne civile, con la Camera dei Deputati che potrà legiferare
anche su materie di competen-za regionale, quando lo richie-deranno esigenze di tutela dell’unità giuridica ed economi-ca, o di interesse nazionale. E’ certamente vero che alcune modifiche siano necessarie ed utili, ma la direzione intrapresa verso un generale riaccentra-mento dello Stato è assai di-scutibile. Malgrado tutto ciò che si può dire di male dei governi locali, in quanto a sprechi di risorse pubbliche il campione assoluto rimane lo Stato. Risulta quindi sospetta la campagna denigratoria che certa stampa “amica” ha lancia-to contro le Regioni, spegnendo i riflettori puntati verso l’ammini-strazione statale. Che il risanamento della mac-china della pubblica ammini-strazione passi attraverso la concentrazione di ogni respon-sabilità operativa nelle mani di un esercito di commissari e di prefetti, del resto, sembra solo un’illusione. Non ha mai fun-zionato. La via da percorrere potrebbe semmai essere quella dell’autonomia responsabile, e, quindi, dell’introduzione di mec-canismi che rendano trasparen-te la spesa, ed effettivo il suo controllo politico da parte degli elettori. Più che un ritorno di ogni potere a Roma, ci si sa-rebbe aspettati l’attuazione pie-na del principio di autonomia, di cui la responsabilità è un ele-mento essenziale. Torneremo a ragionarci..
Lois Lowry The giver Giunti Editore Una società perfetta, dove sono garantite pace e sicurez-za, sono banditi dolore e mi-seria, non esistono delusione, competizione e violenza. Un mondo ideale, dove gli individui rivestono ruoli util-mente assegnati dall’alto, non ci sono poveri o ricchi, fortu-nati o disgraziati, ma gli uomi-ni sono tutti sani e belli e do-mina l’equilibrio assoluto. Il prezzo di tutto ciò? La liber-tà, cancellata insieme alla memoria del passato. Quando i neonati non presen-tano gli standard richiesti ven-gono congedati, ed i vecchi non più utili sono accompa-gnati a riposare in pace. Ov-viamente si tratta della descri-zione di una società immagi-naria, nella quale, tuttavia, non si possono non ricono-scere molte attinenze col mondo attuale, dove il potere costituito vuole imporre la sua dittatura attraverso il controllo sugli individui, sulle nascite, sulla famiglia e sulla natura. Ma la riscoperta della memo-ria di ciò che era, e dei senti-menti, può risvegliare in cia-scuno la voglia di assoluto., e quindi di umanità.
L’edicola
della cultura
Ritorno al centralismo statalista ?
5
Non fuggono coi barconi messi
a loro disposizione da organiz-
zazioni criminali senza scrupoli,
né si incanalano in interminabili
code che attraversano, con
mezzi di fortuna, interi Paesi.
Ma c’è un'altra emergenza,
sconosciuta ai più perché invisi-
bile sui media, che interessa
l’Italia: quella dei nostri conna-
zionali che sono costretti ad
emigrare in cerca di lavoro, o
semplicemente per poter so-
pravvivere in modo più dignito-
so. I numeri dell’Istat sono im-
pietosi: 68 mila nel 2012, 90
mila nel 2013, oltre 110 mila
nel2014. E poiché almeno un
italiano su due non comunica
il proprio trasferimento all’e-
stero, è ragionevole ritenere
che i dati di cui sopra siano
approssimati per notevole
difetto, e vadano forse rad-
doppiati. Certo, essi non con-
siderano la cosiddetta
“mobilità precaria”, quella di
chi, cioè, lavora all’estero solo
per una parte dell’anno, ma il
fenomeno sta assumendo di-
mensioni tali da far parlare di
quarta ondata migratoria, dopo
quella di fine ottocento, degli
anni trenta e degli anni cin-
quanta.
In effetti, a fronte di 4.900.000
stranieri residenti in Italia, vi
sono 4.637.000 italiani che ora
risiedono all’estero. Circa l’8%
della popolazione. Ma vi è un
elemen-
to di
discontinuità rispet-
to al passato, che
getta nuova luce
sul fenomeno: la
fuga non interessa
le aree economica-
mente più depres-
se del nostro Pae-
se, ma quelle più
sviluppate e pro-
duttive.
La prima regione di partenza è
la Lombardia, seguita da Vene-
to e Lazio. Se la Sicilia si collo-
ca al quarto posto, al quinto ed
al sesto troviamo altre due re-
gioni del nord, rispettivamente il
Piemonte e l’Emilia Romagna.
Inoltre le analisi più approfondi-
te rivelano che ad espatriare
non sono solo i “cervelli”, vale a
dire i lavoratori più altamente
qualificati sul piano professio-
nale, ma anche i cosiddetti
“talenti semplici”, cioè coloro
che mettono le loro capacità al
servizio di qualunque Paese,
specie quelli emergenti, che li
sappia valorizzare come perso-
ne e come lavoratori. Quindi,
ad aprire la strada all’espatrio
di queste persone, il cui allonta-
namento determina comunque
una perdita di risorse insop-
portabile per un Paese che
voglia guardare con fiducia al
proprio futuro, non sarebbe
tanto la povertà, ma il biso-
gno di vedere realizzate le
proprie aspirazioni con un
lavoro che sia consono al
percorso di studi seguito. In
sostanza la meritocrazia,
concetto che il nostro Paese
è ancora lontano dal garantire.
Ma accanto a questa compo-
nente, che ormai si riconosce
sempre meno nella propria co-
munità d’origine, se ne aggiun-
ge una seconda, per la quale la
partenza dall’Italia sta diventan-
do invece una scelta obbligata:
i pensionati che fanno fatica a
tirare la fine del mese.
Nel loro caso il carico di pres-
sione fiscale, che erode il pote-
re d’acquisto, i servizi sempre
più scadenti ed a caro prezzo,
l’insicurezza e la delinquenza
dilagante stanno rendendo la
vita impossibile. Così il Paese
al quale hanno dato molto, dà
ora l’impressione di ripudiarli,
preferendo loro altre priorità. .
Eppure non si tratta di scarti
inutili neppure dal punto di vista
cinicamente economico, se vi
In fuga dall’Italia
6
sono Paesi esteri, come Malta,
Cipro e l’Irlanda, che stendono
loro ponti d’oro, per poterli ac-
cogliere.
Essi stanno infatti approntando
misure, quali mutui agevolati,
incentivi fiscali o assistenza
sanitaria a prezzi irrisori perché
coscienti del fatto che queste
persone sono comunque in
grado di immettere in circolo
moneta sonante capace di rida-
re fiato alle loro economie.
L’esatto contrario di quello che
intenderebbe fare l’Agenzia
delle Entrate italiana, che, per
evitare una riduzione del pro-
prio gettito, sta pensando di
ricorrere alla repressione del
fenomeno attraverso l’arma
della tassazione. La questione,
infatti, è di natura prevalente-
mente finanziaria perché i pen-
sionati all’estero percepiscono
un assegno lordo con ritenute
fiscali applicate solo dai Paesi
di residenza, e li spendono
all’estero, sottraendo altri introi-
ti sotto forma di imposte su
consumi e investimenti.
Insomma, per necessità o per
virtù il Bel Paese piace sempre
meno agli italiani, ed il fenome-
no in atto non è affatto da sot-
tovalutare, perché sta privando
la nazione di una fetta di spe-
ranza per il proprio futuro, e di
un’altra fetta di memoria del
proprio passato.
La famiglia è troppo preziosa per restare a guardare mentre viene distrutta INSIEME
Resistiamo IN PIEDI
Non ci pieghiamo IN SILENZIO
Affermiamo che non c’è legge Che possa zittire le coscienze IN PIAZZA
Testimoniamo che non c’è menzogna che possa cambiare la realtà
Sentinelle in piedi
7
La storia occultata
Solo in Occidente, dove la deri-va ideologica di una parte con-sistente del mondo della cultura è ancora forte, può capitare sbadatamente di dimenticarsi di commemorare lo sterminio di 30-40 milioni di persone. Solo qui può capitare di sentire defi-nire Mao Zedong come il padre della Cina moderna, anziché come un genio del male, re-sponsabile della morte di milio-ni di uomini, per lo più falcidiati da fame e malattie, o torturati a morte, o sommariamente sotto-posti alla pena capitale, per non aver raggiunto gli obiettivi di produzione fissati, per aver di-chiarato pubblicamente che erano irraggiungibili, o per aver osato criticare la politica del governo. Non è’ solo doveroso chiedersi come sia potuta accadere una simile tragedia e rimanere se-greta tanto a lungo. Occorre interrogarsi sul perché il mito del maoismo sia rimasto di mo-da in Europa per decenni dopo quella catastrofe, sotto la spinta di presunti intellettuali e docen-ti. Tutto comincia alla fine del 1957, quando Mao, dopo aver sconfitto l’esercito nazionale cinese del generale Chiang Kai
-shek.e proclamato la nascita della Repubblica Popolare cine-se, lancia la sua sfida all’Unio-ne Sovietica per la leadership del comunismo nel mondo. Se Kruscev aveva affermato che nel giro di quindici anni l’Urss avrebbe superato gli Stati Uniti sia nella produzione industriale che in quella agricola, Mao pro-clama che la Cina avrebbero a sua volta superato l’economia
britannica nello stesso arco di tempo. Una as-surda rivalità che non aveva come fine il migliora-mento delle con-
dizioni di vita della popolazione, ma l’affermazione di una ideo-logia da realizzare attraverso un programma ben preciso: aumentare esponenzialmente la produzione di acciaio, rivolu-zionare le tecniche delle colture e dell’allevamento, riorganizza-re il mondo rurale in comuni popolari dove la proprietà priva-ta sarebbe stata integralmente abolita, arrivando fino a sman-tellare le cucine familiari, da sostituirsi con mense popolari che avrebbero provveduto ai pasti dei contadini. Così si arrivò a costruire in ogni cortile delle fornaci alimentate da ogni tipo di legname, com-prese porte e finestre delle ca-se, e da ogni tipo di metallo destinato alla produzione di acciaio, pensando di improvvi-sare dal nulla un’economia su scala industriale. Cento milioni di contadini ven-nero obbligati a dedicarsi alla costruzione ed all’alimentazio-ne delle fornaci, trascurando il lavoro dei campi. Ma non si poteva pensare di creare dal nulla una industria siderurgica senza alcuna infrastruttura e con competenze tecniche limi-tate, così, in mancanza di personale specializza-to, dalle fornaci uscì solo mate-riale sca-dente, e spesso inu-tilizzabile, mentre la produzione agricola crollò e mi-
lioni di persone si ritrovano sen-za un tetto. A questo punto, tuttavia, anzi-ché prendere atto di un falli-mento annunciato, si mise in moto la macchina della menzo-gna, alimentata da un capillare apparato poliziesco capace di diffondere terrore in ogni parte del Paese. Per paura di rappresaglie, i re-sponsabili delle comuni iniziaro-no a dichiarare alle autorità di avere centrato e superato gli obiettivi di produzione. In breve, per una sorta di dissociazione mentale collettiva, l’intera na-zione fini per parlare in un mo-do, e comportarsi in un altro, con la fantasia che progressiva-mente si sostituiva alla realtà in un contesto in cui non esisteva-no dati ufficiali, perché sapien-temente manipolati dal regime. Le conseguenze non tardarono a manifestarsi. ll governo iniziò ad esportare sempre più mas-sicciamente i presunti surplus agricoli, e miseria e carestia dilagarono in Cina. Ma anche nei campi, con l’agri-coltura piegata ai principi del socialismo reale, i risultati furo-no disastrosi. I semi delle diver-se piante dovevano essere in-terrati gli uni vicini agli altri, per-ché potessero aiutarsi a vicen-da, secondo i principi della lotta di classe. Quando, nel 1959, il Ministro della difesa Peng Du-hai osò criticare i risultati nega-
Cina, il gigante senz’anima
8
tivi della manovra economica, chiedendo un approccio più pragmatico alla questione, Mao accusò lui ed i suoi sostenitori di essere «opportunisti di de-stra». Lo esonerò dal suo inca-rico e lo fece arrestare, scate-nando in tutto il paese un clima di terrore, con l’assegnazione, ad ogni provincia, di «quote di arresti» da compiere come se
si trattasse di aliquote di produ-zione. Insomma, quello che la propa-ganda comunista aveva aulica-mente annunciato come “il grande balzo in avanti”, si stava trasformando in un’immane catastrofe economica che avrebbe lasciato sul campo milioni di vittime. Almeno fino al 1962, quando la linea maoista venne messa in minoranza, e l’abolizione delle comuni, ac-compagnata dal ripristino dei piccoli lotti privati, permise la lenta ricrescita della produzione alimentare. Ma, temporaneamente messo all’angolo, Mao si vendicò quat-tro anni dopo, avviando la co-siddetta “Rivoluzione culturale”, o per meglio dire la “ rivoluzione totale per l'instaurazione della cultura della classe lavoratrice” , che assumerà i contorni di un autentico crimine finalizzato a coprire quello precedente. E’ l’agosto del 1966, ed il timo-niere marxista dà l’avvio alla sistematica distruzione della cultura cinese. Almeno 700.000 persone, ma si parla di oltre 3 milioni, vengono uccise, ed al-
tre 100 milioni vengono incar-cerate o deportate semplice-mente per aver avuto in casa un libro non considerato conso-no al pensiero comunista. Scuole, università, centri cultu-rali e librerie vengono chiuse e gran parte del personale do-cente e studentesco inviato al lavoro agricolo nelle province
più remote. Nell’occhio del ci-clone fini-scono monaci buddisti, suore cattoliche,
cittadini comuni, ma anche dignitari co-munisti appartenen-ti a fazioni opposte. E’ un periodo stori-co, protrattosi fino al 1976, in cui ogni religione venne eti-chettata come su-perstizione, gli intel-lettuali marchiati come “nemici di classe”, ed i principi fondamentali di 5.000 mila anni di cultura cinese vennero di-strutti. La stessa danza, con i suoi movimenti fluidi, venne trasformata in un semplice stru-mento di propaganda politica al servizio della rivoluzione. Una descrizione dettagliata della rivoluzione culturale e delle Guardie Rosse, con il loro puritanesimo ideologico, ci sta-ta lasciata dal giornalista ingle-se Paul Johnson: “Le bande di scalmanati che infestavano le strade afferravano le ragazze con i capelli lunghi avvolti in trecce, e li tagliavano; ai ragaz-zi venivano strappati i pantaloni di foggia straniera. Ai ristoranti venne intimato di semplificare i
menù, ai negozi di non vendere più cosmetici, vestiti con gonne a spacco, occhiali da sole, pel-licce ed altri articoli di lusso. Le insegne al neon vennero di-strutte. Nelle strade bruciavano grandi falò di merce proibite. Vennero chiuse le sale da tè, i caffè, i teatri indipendenti e tutti i ristoranti privati; si vietarono matrimoni e funerali, le passeg-giate mano nella mano, e il gio-co degli aquiloni” . Le testimo-nianze di efferatezze compiute in quel periodo sono numerose: molti accusati erano costretti a percorrere le strade del paese
con appesi cartelli sui quali era-no scritte frasi tipo “elemento controrivoluzionario” , “ rifiuto umano” , “ figlio di cane” , e veni-vano percossi, ammazzati, op-pure inviati al lavoro forzato. Come suonano assurde le pa-role scritte da Dario Fò, che in quegli anni compì un viaggio in Cina tornandone entusiasta: “Qui da noi l’uomo è una cosa, una merce (…). Da noi c’è una divisione netta fra concetti co-me bene, moralità e rapporti di produzione. In Cina invece il mangiare, il bere, il vestirsi, i princìpi morali sono un tutt’uno. C’è una concezione profonda della vita che determina tutto quanto”.
9
Inutile dire come, anche in que-sto caso, centinaia di migliaia furono i cristiani perseguitati, perché considerati sostenitori di una religione straniera insi-nuatasi nel Paese sotto l’in-fluenza delle potenze occiden-tali. Ma pochi sanno che il cristiane-simo giunse in Estremo Oriente ben prima delle missioni mo-derne, e per mano della Chiesa d’Oriente, in particolare quella di tradizione siriaca. A Xi’an, vicino al tempio di Confucio, sono riunite più di mille steli tra le quali quella di Si Ngan-fou, eretta nell’anno 781 e coperta, oltre che da 1750 caratteri ci-nesi, da 70 parole siriache. Nella sua parte frontale, sor-montato da una croce, viene riportata la descrizione della
dottrina cristiana ed il giudizio positivo espresso dalle autorità imperiali, che autorizzarono la costruzione di un monastero. La parola di Gesù, quindi arrivò in Cina su decisione dello stes-so imperatore, convivendo con altre religioni, in uno spirito plu-ralista, per un paio di secoli, fino a quando, con la fine della
dinastia Tang, venne messo la bando insie-me ad altre forme di fede considerate straniere. Ma, stando ai racconti di Marco Polo, piccole comu-nità cristiane sopravvissero ancora a lungo in alcune pro-vince dell’impero, riprendendo fiato in occasione della secon-da ondata evangelizzatrice, tra il XIII e XIV secolo, operata
questa volta dai latini.. Quella della Cina come Paese dove il cristianesimo, prima dell’avvento del comunismo,
aveva attecchi-to solo in ma-niera superfi-ciale, dunque, è solo una fa-vola per scioc-chi, tanto che gli storici più attenti sosten-gono che ci siano stati più martiri cristiani in Cina nel XX secolo che in qualunque al-
tro Stato al mondo. E i cristiani cinesi non si sono limitati a farsi ammazzare: si sono organizzati per sopravvi-vere, e, di fatto, sono soprav-vissuti. Ancor oggi, di fronte al nulla prodotto da una società capace di coniugare un regime politico dittatoriale, con un si-stema economico ultraliberista,
i cristiani stanno incredibilmen-te aumentando di numero. Secondo le stime più attendibi-li, in luogo dei 16 milioni dichia-rati dal Governo, vi sarebbero invece almeno 70 milioni di cristiani, pari al 5% della popo-lazione. Un inezia, se conside-rata in termini percentuali, ma rilevante in termini assoluti, con ritmi di crescita tali da far di-ventare la Cina, a breve, uno degli Stati al m ondo con il maggior numero di credenti. E non solo. Sembra definitiva-mente da liquidare quella so-ciologia di vecchio stampo se-condo la quale i convertiti, nei Paesi di missione, sarebbero i più poveri e i meno istruiti. In Cina sembra valere esattamen-te il contrario, perché ad avvici-narsi al cristianesimo sono i più ricchi e i più istruiti, tra cui tanti professori di scuola superiore e universitari, con capacità di influenza enorme sul resto del-la popolazione. Forse anche per questo Pechino ha deciso di adottare una politica senza compromessi che segna il ritor-no ad un regime simile a quello di Mao Zedong, con l’inaspri-mento dei fenomeni repressivi
10
NOTIZIE DALLA CONTEA
Anche la Cooperativa Cattolica San Filippo Neri ha aderito alla raccolta di firme per una petizio-ne popolare, promossa dall’Al-leanza per le Cooperative. Sco-po dell’iniziativa, che sollecita il parlamento al varo di una legge introduttiva di norme restrittive nel settore, è quello di contra-stare il cosiddetto fenomeno delle false cooperative, realtà spesso colluse con la criminalità organizzata, che utilizzano tale ragione sociale per perseguire finalità che nulla hanno a che vedere con quella mutualistica. Sono le moderne forme di sfrut-tamento dei lavoratori, e le più subdole truffe fiscali ai danni dello Stato, che vengono realiz-zate proprio utilizzando in modo distorto uno strumento creato
invece per con-sentire la soddi-sfazione di un comune bisogno di beni o servizi mediante l’eserci-zio collettivo di un’attività econo-mica. E’ allora significativo che questa rivolta mo-rale nasca da chi, come la storica cooperativa di Precotto, è fiera delle proprie radici e della propria storia, ed intenda prendere le distanze da situazioni che finiscono per screditare l’intera realtà coope-rativa. Si chiede infatti la cancel-lazione dall’albo per quelle im-prese che non si sottopongano alle revisioni ed alle ispezioni
previste dalla legge, la tem-pestiva comu-nicazione di tali provvedimenti all’Agenzia del-le Entrate, la creazione di una cabina di regia per il coordinamento di tutti i sogget-ti chiamati a svolgere attivi-tà di vigilanza in materia. Nel mirino sono quindi le impre-
se che, attraverso la logica del subappalto soprattutto nel setto-re del facchinaggio e dei tra-sporti, abbattono i costi con una diminuzione considerevolmente di stipendi e garanzie, eserci-tando forme di concorrenza sleale ai danni delle imprese oneste. Ma l’impressione che si ha è quella di un’inversione di tendenza che potrebbe portare ben più lontano. Pensiamo, ad esempio, a quelle cooperative nate e cresciute all’ombra dei partiti, o meglio “del partito” per antonomasia, che evolvendo in forme sempre più sofisticate e moderne, sono arrivate a mono-polizzare interi settori di merca-to, trasformando esigenze di socialità in un articolato sistema politico-imprenditoriale capace di vincere la concorrenza e ag-giudicarsi fior fiori di appalti. Con finanziamenti ai partiti e tangenti a fare da sistematico corollario.
Pulizia nelle Cooperative
L’1.7.2015 il Comune di Milano ha indetto un bando per l’asse-gnazione, in uso gratuito per un triennio, di spazi del patrimonio edilizio pubblico non utilizzati. Lo scopo è quello di promuove-re iniziative di carattere educa-tivo, culturale ed altro, che coinvolgano il quartiere attra-verso questa forma di sostegno ad Associazioni, Fondazioni, Cooperative o Onlus a ciò pre-
poste. Tra gli spazi vi sono anche due unità
immobiliari, rispettivamente di 30 e 90 mq circa, nella ex scuola Rosmini di Viale Monza n. 255. Si tratta di una iniziativa sicuramente encomiabile, che, tuttavia, ha destato perplessità per le tempistiche imposte. Le domande, infatti, andavano inoltrate entro il 30 settembre, e, considerati i periodi feriali di luglio ed agosto, di fatto rima-nevano solo pochi giorni per il
compimento di attività burocra-tiche tutt’altro che secondarie. Disporre atti costitutivi, redigere statuti e progetti, individuare eventuali patnerariati, tanto per citarne alcune, non sembrano cose da potersi improvvisare in meno di un mese. Da qui il so-spetto che il bando possa rap-presentare solo la cornice for-male per assegnazioni ai soliti noti, già in pista da tempo con i preparativi. Attendiamo di co-noscere i nomi degli assegna-tari per vederci più chiaro.
Bandi pubblici per soli amici?