cap 2 idrogeno

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36 Capitolo 2 I D R O G E N O Il settore energetico è attualmente in un periodo di transizione. Le riserve di combustibili fossili diminuiscono gradualmente ed il loro impiego è reso difficile da questioni ambientali ed economiche. L’utilizzazione di combustibili fossili, con le emissioni dei residui di combustione nell’atmosfera e la loro accidentale fuoriuscita nelle acque di mari, fiumi o laghi, sta provocando effetti dannosi al sistema ecologico. La soluzione del problema con l’introduzione di dispositivi anti-smog e combustibili cosiddetti "verdi" non ha risolto il problema ma ha solo contribuito ad aumentare i costi dell’intero settore energetico. Il futuro di tale settore, quindi, dipende dallo sviluppo di nuove, economiche, non inquinanti fonti energetiche come l’idrogeno. L'idrogeno non può essere propriamente definito un fonte d'energia: la sua produzione, deriva dall'elaborazione di altre sorgenti energetiche, per cui esso viene più frequentemente definito come vettore energetico. Si tratta, quindi, di una forma di energia particolare, che negli ultimi decenni ha richiamato particolare attenzione in quanto ha sintetizzato caratteristiche particolari che consentono di coprire campi nei quali risulta meno agevole l'applicazione di altre forme d'energia. Proprietà dell'idrogeno L'esistenza dell'idrogeno è nota da secoli, ma la sua vera natura comincia ad emergere solo intorno al XVI secolo quando Paracelso per primo descrisse un gas infiammabile prodotto per reazione dell'acido solforico con il ferro . In seguito, nel 1766, Henry Cavendish approfondì gli studi sulle proprietà e la preparazione dell'idrogeno dall'acqua Nominato inizialmente "aria infiammabile" da Joseph Priestley, nel 1783 Lavoisier diede a questo gas il nome di idrogeno, che significa "generatore di acqua" (dal greco hydor e geno, "generatore d'acqua"). Esso rappresenta l'elemento più abbondante nell'universo , come risulta dall'analisi spettrale della luce emessa dalle stelle, che rivela che la maggior parte di esse sono costituite principalmente da idrogeno; ad esempio nel sole, la stella a noi più vicina, è presente per circa il 90%. Con l'ossigeno ed il silicio è uno degli elementi più diffusi (0,9% in peso) sulla crosta terrestre Molto raro è l'idrogeno allo stato elementare sul nostro pianeta in quanto l'attrazione gravitazionale terrestre, minore di quella delle stelle e dei grandi pianeti, è insufficiente a trattenere molecole molto leggere come quelle dell'idrogeno. L'idrogeno (così come il gas naturale) tendono a salire velocemente essendo più leggeri dell'aria, mentre il propano e i vapori di benzina rimangono sul suolo essendo più pesanti dell'aria. L’idrogeno si trova libero nelle emanazioni vulcaniche, nelle sorgenti petrolifere, nelle fumarole e nell'atmosfera ad un'altezza superiore ai cento chilometri. Particolarmente abbondante è invece allo stato combinato: con l'ossigeno è presente nell'acqua di cui costituisce l'11,2% in peso; combinato con carbonio, ossigeno ed alcuni altri elementi è uno dei principali costituenti del mondo vegetale ed animale, l'organismo umano ne contiene circa il 10% del suo peso. Nel solo campo della chimica organica sono noti milioni di composti contenenti idrogeno che vanno dal più semplice degli idrocarburi, il metano, alle gigantesche proteine dei carboidrati con un enorme numero di atomi di idrogeno. Nella tabella 1 sono riportate alcune importanti proprietà dell'idrogeno. L'idrogeno è a temperatura ambiente un gas incolore, inodore e praticamente insolubile in acqua. Dopo l'elio è il gas più difficile a liquefarsi. E' un discreto conduttore del calore e dell'elettricità,

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Capitolo 2

I D R O G E N O

Il settore energetico è attualmente in un periodo di transizione. Le riserve di combustibili

fossili diminuiscono gradualmente ed il loro impiego è reso difficile da questioni ambientali ed

economiche. L’utilizzazione di combustibili fossili, con le emissioni dei residui di combustione

nell’atmosfera e la loro accidentale fuoriuscita nelle acque di mari, fiumi o laghi, sta provocando

effetti dannosi al sistema ecologico. La soluzione del problema con l’introduzione di dispositivi

anti-smog e combustibili cosiddetti "verdi" non ha risolto il problema ma ha solo contribuito ad

aumentare i costi dell’intero settore energetico. Il futuro di tale settore, quindi, dipende dallo

sviluppo di nuove, economiche, non inquinanti fonti energetiche come l’idrogeno.

L'idrogeno non può essere propriamente definito un fonte d'energia: la sua produzione, deriva

dall'elaborazione di altre sorgenti energetiche, per cui esso viene più frequentemente definito come

vettore energetico. Si tratta, quindi, di una forma di energia particolare, che negli ultimi decenni ha

richiamato particolare attenzione in quanto ha sintetizzato caratteristiche particolari che consentono

di coprire campi nei quali risulta meno agevole l'applicazione di altre forme d'energia.

Proprietà dell'idrogeno L'esistenza dell'idrogeno è nota da secoli, ma la sua vera natura comincia ad emergere solo

intorno al XVI secolo quando Paracelso per primo

descrisse un gas infiammabile prodotto per reazione

dell'acido solforico con il ferro. In seguito, nel 1766,

Henry Cavendish approfondì gli studi sulle proprietà

e la preparazione dell'idrogeno dall'acqua Nominato

inizialmente "aria infiammabile" da Joseph

Priestley, nel 1783 Lavoisier diede a questo gas il

nome di idrogeno, che significa "generatore di

acqua" (dal greco hydor e geno, "generatore

d'acqua").

Esso rappresenta l'elemento più abbondante

nell'universo, come risulta dall'analisi spettrale della

luce emessa dalle stelle, che rivela che la maggior

parte di esse sono costituite principalmente da

idrogeno; ad esempio nel sole, la stella a noi più

vicina, è presente per circa il 90%. Con l'ossigeno ed il silicio è uno degli elementi più diffusi

(0,9% in peso) sulla crosta terrestre Molto raro è l'idrogeno allo stato elementare sul nostro pianeta

in quanto l'attrazione gravitazionale terrestre, minore di quella delle stelle e dei grandi pianeti, è

insufficiente a trattenere molecole molto leggere come quelle dell'idrogeno. L'idrogeno (così come

il gas naturale) tendono a salire velocemente essendo più leggeri dell'aria, mentre il propano e i

vapori di benzina rimangono sul suolo essendo più pesanti dell'aria. L’idrogeno si trova libero nelle

emanazioni vulcaniche, nelle sorgenti petrolifere, nelle fumarole e nell'atmosfera ad un'altezza

superiore ai cento chilometri. Particolarmente abbondante è invece allo stato combinato: con

l'ossigeno è presente nell'acqua di cui costituisce l'11,2% in peso; combinato con carbonio,

ossigeno ed alcuni altri elementi è uno dei principali costituenti del mondo vegetale ed animale,

l'organismo umano ne contiene circa il 10% del suo peso. Nel solo campo della chimica organica

sono noti milioni di composti contenenti idrogeno che vanno dal più semplice degli idrocarburi, il

metano, alle gigantesche proteine dei carboidrati con un enorme numero di atomi di idrogeno.

Nella tabella 1 sono riportate alcune importanti proprietà dell'idrogeno.

L'idrogeno è a temperatura ambiente un gas incolore, inodore e praticamente insolubile in acqua.

Dopo l'elio è il gas più difficile a liquefarsi. E' un discreto conduttore del calore e dell'elettricità,

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viene facilmente assorbito da taluni metalli. Generalmente poco attivo a freddo, l'idrogeno dà

luogo, a caldo o in presenza di catalizzatori a numerose reazioni chimiche.

Peso molecolare 2,016

Densità Kg/m3 0,0838

Potere calorifico superiore MJ/Kg

MJ/m3

141,90

11,89

Potere calorifico inferiore MJ/Kg

MJ/m3

119,90

10,05

Temperatura di ebollizione K 20,3

Densità come liquido Kg/m3 70,8

Punto critico

temperatura

pressione

densità

K

bar

Kg/m3

32,94

12,84

31,40

Temperatura di auto-ignizione K 858

Limite di ignizione aerea (vol. %) 4-75

Miscela stechiometrica aerea (vol. %) 29,53

Temperatura di combustione aerea K 2,318

Coefficiente di diffusione cm2/s 0,61

Calore specifico KJ/(kg K) 14,89

Fonte: Frano Barbir, 1999.

Tab. 1 Proprietà dell'idrogeno.

Esso si combina direttamente alla maggior parte dei non metalli e dei metalli alcalini e

alcalino-terrosi.

La combinazione con

ossigeno, per dare acqua,

avviene spesso con esplosione

a temperatura elevata o in

presenza di un catalizzatore.

Con lo zolfo si combina

intorno ai 250 °C; la reazione

con azoto, che dà luogo

all'ammoniaca, richiede l'uso di

catalizzatori, alta temperatura

ed alta pressione.

Con il carbonio reagisce

verso i 1100 °C per generare

metano. Insufflando idrogeno

in un arco elettrico si ottiene un

gas dotato di proprietà riducenti eccezionali detto "idrogeno atomico", che riduce tutti gli ossidi e si

combina a freddo con la maggior parte dei non metalli.

1 kg di idrogeno contiene la stessa quantità di energia di 2,1 Kg di gas naturale o di 2,8 Kg di

benzina.

L'idrogeno brucia nell'aria a concentrazioni volumetriche comprese nel range del 4÷75% (il

metano brucia in un range del 5.3-15% e il propano del 2.1-9.5%).

La più alta temperatura di ignizione dell'idrogeno pari a 2318°C è raggiunta alla

concentrazione volumetrica del 29%, mentre, in un'atmosfera ricca di ossigeno, può raggiungere

temperature di ignizione fino a 3000°C (le temperature di ignizione più alte in aria sono 2148°C per

il metano e 2385°C per il propano). La minima energia di ignizione richiesta per una miscela

Stesso contenuto energetico

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

Idrogeno Metano Benzina

Kg

38

stechiometrica combustibile/ossigeno, è 0.02 mJ per l'idrogeno, 0.29 mJ per il metano e 0.26 mJ per

il propano. Le temperature per la spontanea combustione dell'idrogeno, del metano e del propano

sono 585°C, 540°C e 487°C rispettivamente. La regione di esplosività per l'idrogeno e per il

metano è compresa tra il 13÷59% per il primo e tra il 6.3÷14% per il secondo. Il range di

esplosività dell'idrogeno è chiaramente molto più ampio, laddove il metano è già esplosivo a

concentrazione molto più bassa.

L'idrogeno ha il più alto

contenuto di energia per unità

di massa di tutti gli altri

combustibili, il potere

calorifico superiore è 141,9

MJ/Kg.

Impieghi dell'idrogeno L'idrogeno è un gas industriale di primaria importanza. Fu per lungo tempo utilizzato per il

gonfiamento degli aerostati; ma a causa della sua infiammabilità, che provocò gravissimi incidenti

(Akron, Hindenburg, ecc.), è stato sostituito dall'elio, leggermente più pesante ma non

infiammabile. L'idrogeno è usato come materia prima in un gran numero di operazioni chimiche.

La più importante è la sintesi dell'ammoniaca, ma vanno anche ricordate l'idrogenazione degli oli di

pesce e delle nafte, la fabbricazione del metanolo e dei carburanti sintetici.

Fino ad oggi, l'unico impiego dell'idrogeno come combustibile, è stato nei programmi spaziali

della NASA. Idrogeno ed ossigeno liquidi, venivano combinati per ottenere il combustibile

necessario per lo space shuttle ed altri razzi. Le celle a combustibile a bordo inoltre, sempre

combinando idrogeno ed ossigeno, producevano gran parte dell'energia elettrica richiesta. L'unico

materiale scaricato dalle celle era acqua pura, utilizzata dall'equipaggio per dissetarsi (National

Renewable Energy Laboratory, 1995).

Oggetto delle più recenti ricerche, è l'impiego dell'idrogeno nelle celle a combustibile.

L'obiettivo è quello di realizzare un sistema energetico basato sull'idrogeno, con la costruzione di

impianti per la produzione di energia che utilizzino l'idrogeno prodotto dall'elettrolisi dell'acqua

marina.

Anche se la ricerca ha raggiunto apprezzabili traguardi, tutte le tecnologie relative all'uso

dell'idrogeno, sono ancora da sviluppare e perfezionare e notevoli sono gli ostacoli da superare

affinché tale visione diventi realtà.

L'idrogeno come fonte d'energia L'interesse all'idrogeno come fonte d’energia, risale ai primi anni ‘70, durante la prima crisi

petrolifera. Fu proprio con il verificarsi di tali condizioni, che diversi studiosi cominciarono a

considerare il ruolo fondamentale che l'idrogeno avrebbe potuto giocare in campo energetico. Esso

poteva essere agevolmente prodotto con l'impiego di energia elettrica, tramite elettrolisi, ed essere

quindi immagazzinato e trasportato in diversi modi. La visione di un sistema energetico basato

sull'idrogeno, però, era strettamente correlata, nella realtà, con la disponibilità di energia elettrica a

basso costo, unico vincolo alla realizzazione di un sistema efficiente e competitivo.

Campo di ignizione

0 20 40 60 80 100%

H2

CH4

C3H8

39

Metodi per la produzione di idrogeno alternativi all'elettrolisi, erano comunque legati alla

disponibilità di combustibili fossili e ciò rafforzò ancor più la convinzione che senza la possibilità

di disporre di energia elettrica poco costosa, non vi erano altre concrete possibilità di far fronte, nel

breve termine, all'impellente crisi energetica. Di conseguenza, i progetti di ricerca legati all'energia

dall'idrogeno furono progressivamente abbandonati.

Nel corso degli anni ‘80, furono fatti notevoli passi avanti nello studio delle tecnologie relative

alle risorse rinnovabili e all'efficienza energetica, tanto che la ricerca su sistemi energetici

altamente efficienti basati su idrogeno e fonti rinnovabili, apparve sempre più interessante. In

particolare, si intensificarono gli sforzi per lo sviluppo di tecnologie che rafforzassero il legame tra

idrogeno e fonti rinnovabili, al fine di ridurre, se non eliminare del tutto, la dipendenza dai

combustibili fossili tradizionali (National Renewable Energy Laboratory, 1995). Il raggiungimento

di un sistema completamente basato sul ciclo di vita dell’idrogeno, presuppone infatti l’impiego di

fonti rinnovabili per la produzione d’idrogeno da cui risulterebbe un impatto ambientale nullo dato

che da tali processi di produzione residuerebbero solo ossigeno ed acqua. Successivamente

l’idrogeno verrebbe immagazzinato e trasportato per poi essere utilizzato nelle diverse possibili

applicazioni.

Attualmente, anche se la ricerca ha compiuto ulteriori, notevoli passi, le sofisticate tecnologie

oggetto dei recenti piani di studio necessitano ancora di quei perfezionamenti che consentiranno il

graduale passaggio ad un’economia basata sull’idrogeno.

I vantaggi dell'idrogeno L’idrogeno è ormai considerato come il combustibile del futuro, le sue particolari

caratteristiche infatti, ne fanno una fonte d'energia ideale.

L'idrogeno può essere prodotto, come l'elettricità, da qualsiasi fonte d'energia, comprese quelle

rinnovabili: la materia prima fondamentale per la produzione dell'idrogeno è l'acqua, che è

disponibile in abbondanza; l'idrogeno è una fonte completamente rinnovabile dato che il prodotto

della sua utilizzazione, sia tramite combustione sia attraverso conversione elettrochimica, è acqua

pura o vapore acqueo. L'idrogeno è quindi compatibile con l'ambiente, poiché la sua produzione

dall'elettricità (o direttamente dall'energia solare), il suo immagazzinaggio e trasporto, ed il suo

utilizzo finale non producono alcun agente inquinante (eccetto alcuni NOx se bruciato con l'aria) o

qualsiasi altro effetto nocivo per l'ambiente. Esso inoltre non produce alcun gas serra, in particolare

CO2 (Barbir,1999).

Esso può essere immagazzinato in forma gassosa (conveniente per stoccaggio in larga scala),

in forma liquida (conveniente per il trasporto aereo e terrestre) o in forma di idruri di metallo

(conveniente per l'applicazione sui veicoli o per altre richieste di immagazzinaggio su scala

relativamente ridotta) e può essere trasportato lungo enormi distanze attraverso oleodotti o tramite

navi cisterna (nella maggior parte dei casi più economicamente ed efficientemente dell'elettricità).

Un altro vantaggio dell’idrogeno è la possibilità di convertirlo in altre forme d'energia in

diversi modi, per esempio tramite combustione catalitica, conversione elettrochimica, creazione di

idruri, ecc..

L'idrogeno può essere combinato con benzina, metanolo, etanolo e gas naturale; aggiungendo

appena il 5% di idrogeno alla miscela aria/benzina in un motore a combustione interna si possono

ridurre le emissioni di ossido di azoto del 30%-40%.

L’idrogeno potrebbe rappresentare per il futuro la base di un sistema energetico indipendente

dalle fonti di energia convenzionali. Le tecnologie chiave in tale sistema sono quelle legate alla

produzione, all'immagazzinaggio, al trasporto ed all'utilizzazione dell'idrogeno.

Tecnologie di produzione dell'idrogeno Attualmente, in tutto il mondo sono commercializzati circa 500 miliardi di Nm

3 di idrogeno la

cui maggior parte trae origine da fonti fossili. Esso è prodotto principalmente come "co-prodotto"

dell’industria chimica, in particolare dei processi di produzione del polivinile di cloruro (PVC), che

40

forniscono il 38% dell’idrogeno mondiale, e di raffinazione del petrolio greggio, che contribuisce al

2% circa della produzione (Zittel e Wurster, 1996).

Per quanto riguarda invece il suo impiego come fonte d’energia, attualmente esso avviene solo

in piccoli impianti che servono prevalentemente industrie del settore petrolchimico. Per il futuro,

considerata l’attuale evoluzione del settore energetico, si prevede un notevole incremento della

domanda di idrogeno. Essa sarà determinata principalmente dalle conseguenze che avranno i

numerosi vincoli imposti dalla legislazione ambientale e dalla necessità di trovare altre fonti di

energia. La produzione di idrogeno incontra nella pratica numerosi problemi soprattutto riguardo

l'alto costo della sua produzione e la selezione dei migliori processi di produzione e stoccaggio.

Le principali tecnologie di produzione dell'idrogeno sono:

• Elettrolisi dell’acqua.

• Steam reforming del gas metano.

• Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi.

• Gassificazione del carbone.

• Altri metodi.

Le tecnologie di produzione sono meno sviluppate rispetto a quelle d’immagazzinaggio e

trasporto ed un loro miglioramento si tradurrebbe in una notevole riduzione dei costi

d’investimento del settore energetico. Inoltre, progressi nelle tecnologie di produzione dell'idrogeno

consentirebbero di ottenere significativi miglioramenti nelle infrastrutture necessarie per un uso

diffuso dell'idrogeno.

Oltre al miglioramento dell’efficienza dell’elettrolisi dell’acqua e degli altri metodi già

sfruttati commercialmente, l'attenzione della ricerca è rivolta a progetti per metodi innovativi quali

processi di fotoconversione come sistemi fotobiologici e fotoelettrochimici, oltre a processi

termochimici come gassificazione e pirolisi (National Renewable Energy Laboratory, 1995).

L'elettrolisi dell’acqua

L'idrogeno può essere ottenuto tramite l’elettrolisi dell'acqua (Fig. 2). Questo processo fu

applicato per la prima volta da Sir William Grove, nell’anno 1839.

L'elettrolisi richiede il passaggio di corrente

elettrica attraverso l'acqua. La corrente entra

nella cella elettrolitica tramite il catodo, un

elettrodo caricato negativamente, attraversa

l'acqua e va via attraverso l'anodo, un elettrodo

caricato positivamente. L'idrogeno e l'ossigeno

così separati confluiscono rispettivamente

verso il catodo e verso l'anodo.

L'elettrolisi è il metodo più comune per la

produzione di idrogeno anche se incontra

notevoli ostacoli per la quantità limitata di

idrogeno prodotta e per i costi, ancora troppo

elevati, dovuti all'impiego di energia elettrica.

Attualmente, solo il 4% della produzione

mondiale di idrogeno avviene per elettrolisi

dell'acqua e solo per soddisfare richieste

limitate di idrogeno estremamente puro (Padrò

e Putsche, 1999).

Fig. 2 L'elettrolisi.

41

Per risolvere questo problema, si prevede l’applicazione dell’elettrolisi con vapore ad alta

temperatura (900-1000 °C). L’alta temperatura del sistema accelera le reazioni, riduce le perdite

d’energia dovute alla polarizzazione degli elettrodi ed accresce l’efficienza complessiva del

sistema. Questa tecnologia offre l’opportunità di ridurre il consumo di elettricità al 35% di quella

utilizzata dagli attuali elettrolizzatori in commercio. Questa notevole riduzione dei costi, e l’elevata

efficienza di conversione stimata (circa il 90%), consentirebbe all’elettrolisi di essere competitiva

anche con lo steam reforming, che richiede notevoli investimenti strutturali (Hydrogen R&D

Program, 1999).

In ogni caso, prima che le nuove tecnologie vengano perfezionate e divengano completamente

operative, il costo per la produzione dell'idrogeno dall'elettrolisi è il più alto rispetto a qualsiasi

altra tecnologia. I costi maggiori sono rappresentati dai sistemi fotovoltaici ed eolici i quali,

nonostante i miglioramenti tecnologici previsti per i prossimi anni, richiedono e richiederanno

ancora costi elevatissimi per la produzione di energia da impiegare nell'elettrolisi. Un altro aspetto

da valutare è che l'idrogeno attualmente viene prodotto in sito e su domanda, vengono quindi

trascurati i costi di magazzinaggio e trasporto che renderebbero il prezzo dell'idrogeno

"consegnato", anche se in quantità ridotte, ancor meno competitivo. Nell’ambito delle applicazioni

pratiche i costi per l'elettrolisi tramite celle a membrana polimerica si prevede che siano minori dei

sistemi con celle alcaline.

L'elettrolisi, nonostante le ancora insormontabili barriere dei costi, resta comunque il

procedimento che riveste maggiore interesse e su cui la ricerca punta maggiormente. E’ questo il

motivo che spinge la ricerca allo studio di sistemi che impieghino fonti di energia alternative a

quella elettrica.

IDROGENO PER VIA ELETTROLITICA

L'acqua pura è pochissimo dissociata e praticamente non conduce l'elettricità. Per poter

realizzare l'elettrolisi e perciò necessario aggiungere un elettrolita che di solito è KOH. Si

preferisce l'idrato di potassio rispetto a quello di sodio perché la velocità di migrazione degli ioni

K+ è maggiore di quella degli ioni Na

+ . Il massimo della conducibilità si ottiene con soluzioni di

KOH al 25%. Le reazioni di scarica che si hanno agli elettrodi sono le seguenti;

42

Elettrolisi KOH s.a. (1M) su elettrodi di Pt platinato

Specie presenti:

[[[[K+]]]]= [[[[OH-]]]]=1M, [[[[H+]]]]=10-14M, H2O

- catodo

E° E ?

1 K+ + e-=K -2,92 -2,92

2 2H+ + 2e- =H2 0 -0,827 (*)

3 2H2O+2e-=H2+2OH- -0,828 -0,828

(*) ( )21410log

2

059,00

−+

+ anodo (scritte nel senso della riduzione, ma ..........

E° E ←←←←

per decidere

?

1 O2+2H2O+4e-=4OH- 0,4 0,4 -0,4

2 O2 +4H++4e-=2H2O 1,23 0,403 -0,403

f e m E Ean cat. . .==== −−−−

E=1,23

Sovratensione (Es):

La scarica di un gas agli elettrodi è spesso un fenomeno non reversibile, pertanto non avviene

al valore della tensione anodica o catodica calcolata, ma ad una tensione maggiore. La

sovratensione agli elettrodi dipende da vari fattori come il materiale e lo stato fisico degli elettrodi,

la natura chimica di ciò che si deposita. In pratica esistono tre tipi di sovratensioni:

1. sovratensione per deconcentrazione ionica 2. sovratensione per deposito del metallo su se stesso

3. sovratensione gassosa

Mentre la sovratensione per la deposizione di metalli è generalmente trascurabile, quella per i

gas è sensibile e ciò dipende dal fatto che il gas, depositandosi sull'elettrodo, viene adsorbito in

forma monomolecolare poi desorbito. Se l’adsorbimento è facile la sovratensione è bassa,

altrimenti è elevata. Ciò è dimostrato dal fatto che la sovratensione è generalmente trascurabile

quando l’elettrodo è costituito da un metallo che agisce da catalizzatore nelle reazioni in cui

partecipa il gas. Ad esempio, la sovratensione di H2 con elettrodo di Pt é pressoché nulla, mentre

con elettrodo di Fe è 0,2 ÷ 0,6 volt, e con Hg è 0,8 ÷ 1 volt. Nella tabella II sono indicati i valori di

alcune sovratensioni:

43

Sovratensioni per sviluppi gassosi

Sovratensione di H2 su: Sovratensione di O2 su:

Pt platinato - 0.005 V Ni 0.06 V

Au - 0.020 Co 0.24

Fe - 0.08 Pt platinato 0.25

Pt liscio - 0.09 Fe 0.25

Ag - 0.15 Pb 0.31

Ni - 0.21 Ag 0.41

Cu - 0.23 Cd 0.43

Cd - 0.48 Pt liscio 0.45

Sn - 0.53 Au 0.53

Pb - 0.64

Zn - 0.70

Hg - 0.78

Tabella II

Occorre notare che la sovratensione non è costante per un dato elettrodo. Essa infatti dipende

anche dalla densità di corrente impiegata (aumenta con essa) e quindi dalla superficie degli elettrodi

a parità di corrente. La sovratensione di O2 è generalmente minore, ed è particolarmente bassa con

elettrodo di nichel; per questo motivo gli anodi di queste celle si fanno di ferro nichelato.

Nel nostro caso, se il catodo è di ferro e l’anodo di Fe/Ni:

Ea=0,403+0,06= 0,463

Ec= - 0,828 - 0,08= - 0,908

E = 1,37

Quindi il processo elettrolitico è rappresentato nel suo insieme da:

H2Ol = H2

g + ½ O2

g

Il calcolo del consumo di energia e della tensione da applicare alla cella, nel caso ideale di

trasformazione reversibile, si conduce mediante considerazioni termodinamiche. Il lavoro elettrico

reversibile che dobbiamo spendere è uguale al -∆G della trasformazione, essendo

∆∆∆∆G = - west

west = q E

∆∆∆∆G = - q E

44

∆∆∆∆G = - N e E

⇓⇓⇓⇓

F F = 6,02*1023 1,602*10-19 = 96500 coulombs

Per n moli di elettroni:

∆∆∆∆G = - n F E

⇓⇓⇓⇓ ⇓⇓⇓⇓

coulombs volt = J = watt x sec

∆∆∆∆G(J) = - n 96500 E

Indicando con Q l’energia necessaria che dobbiamo spendere:

- ∆∆∆∆G = west = Q = nFE

La ragione del segno negativo (- ∆G) sta nel fatto che il ∆G di una trasformazione reversibile

rappresenta il lavoro che il sistema compie, mentre nel nostro caso noi dobbiamo fornire lavoro al

sistema.

- ∆G = Q = 237 kJ/mole di idrogeno

Il consumo energetico per Nmc di idrogeno sarà:

NmckWhQ /34,22.3600

1000.237==

La tensione teorica da applicare alla cella sarà data da:

VoltnF

GE 23,1

96500.2

1000.237==

∆−=

avendo usato i seguenti fattori di conversione:

1 kWh = 3600 kJ 1kJ = 1000 watt . sec

In pratica, la tensione applicata agli elettrodi è maggiore (2 ÷2,5 volt) ed il consumo di energia è 4

÷ 5 kWh . Per questo motivo si parla di rendimento di tensione, come rapporto tra la tensione

teorica e quella effettiva. Nel caso dell’elettrolisi dell’acqua il rendimento sarà quindi:

%602

23,1==tη

Vari sono motivi che rendono la tensione necessaria maggiore di quella teorica. Oltre alla

sovratensione, di cui si è già parlato occorre considerare:

La resistenza interna della cella (EΩ=IR)

Per diminuire questa resistenza occorre fare l'anodo e il catodo il più vicini possibile

compatibilmente con le condizioni di sicurezza (possibilità di esplosione della miscela tonante.

Oltre che dalla distanza la resistenza chimica dipende dalla mobilità, e dalla quantità di ioni

presenti. Per diminuire tale resistenza si può agire sulla temperatura; infatti all'aumentare di essa

aumenta la mobilità degli ioni e diminuisce la viscosità della soluzione. Normalmente la

temperatura della soluzione è tenuta intorno a 50°C. Non conviene andare oltre perché le soluzioni

45

alcaline a caldo sono corrosive ed inoltre si hanno perdite di acqua per evaporazione. La resistenza

del cella inoltre è aumentata dall'aggiunta di diaframmi che hanno lo scopo di impedire il

mescolamento dei gas.

Deconcentrazione ionica (Ep )

In vicinanza agli elettrodi si vengono a creare dei gradienti di concentrazione degli ioni e di

conseguenza delle f.c.e.m. Si può ovviare in parte a questo inconveniente agitando moderatamente

il bagno e studiando la forma degli elettrodi.

Sommando tutti questi fattori si ottiene la tensione totale:

( ) psca EEEEEE +++−= Ω

Inoltre, cosi come si è definito un rendimento di tensione si può definire un rendimento di

corrente (ηc) che tiene conto delle perdite di energia che si hanno in correnti e reazioni parassite.

Perciò il rendimento totale è: ( ) %50ecomunement ≅= ctηηη

CELLE ELETTROLITICHE

Le celle elettrolitiche si suddividono in due tipi fondamentali; celle multipolari e celle bipolari.

La differenza tra le due sta nel fatto che nelle celle multipolari gli elettrodi sono collegati in

parallelo e ciascuno di essi è collegato alle sbarre portacorrente, mentre nelle celle bipolari la

tensione è applicata solamente agli elettrodi terminali in modo che gli elettrodi intermedi si

caricano per induzione. Le celle per l'elettrolisi dell'acqua sono molto ingombranti, dovendo

lavorare con densità di corrente limitate perché altrimenti si riducono troppo i rendimenti ed

aumentano le sovratensioni. Le celle possono essere chiuse o aperte. Ciò è in relazione al fatto che

la CO2 dell’aria tende a sciogliersi nella soluzione alcalina formando carbonato e modificando il pH

della soluzione. Le celle chiuse vanno mantenute in lieve pressione per evitare che penetri aria e si

formi una miscela esplosiva. Nelle celle aperte occorre provvedere alla decarbonatazione della

soluzione estraendo con continuità una parte di essa e trattandola con latte di calce:

K2CO3 + Ca(OH)2 = CaCO3 +2 KOH

Si è cercato di risolvere il problema anche ricoprendo la soluzione con olio minerale ma si è

avuto l'inconveniente di una ossidazione dell'olio all'anodo. L'impianto di elettrolisi è costoso

perché, oltre alle celle, comprende dispositivi per la circolazione dell'elettrolita, sistemi di recupero

dei gas sviluppati, impianti di depurazione dell’elettrolita, di produzione dell'acqua distillata,

reintegro.

Celle multipolari

Nella figura 2 è riportato lo schema di una cella multipolare Fauser costituita da un cassone

parallelepipedo in ferro, sostenuto da isolanti che poggiano su basi di cemento. Nella soluzione

alcalina sono immersi alternativamente gli anodi di ferro nichelato ed i catodi di ferro, sotto forma

di lamiere.

46

Fig.2 Sezione di una cella multipolare

Fauser: A – corpo in lamiera di ferro, B-

isolatori, D- elettrodi, H- sacchi di tela,

G- raccolta gas, P ed R- conduttori (±)

Ogni elettrodo è costituito da due

lamiere parallele distanziate di un

piccolo spazio. Questa disposizione ha

lo scopo di favorire la circolazione

dell'elettrolita in quanto mentre le

bollicine di gas salgono lungo la parete

esterna della lamiera, nell’intercapedine

la soluzione assume un moto

discendente. Ogni elettrodo è circondato

dal sacco di tela (un tempo di amianto) e

fa capo ad un sistema separato di

raccolta dei gas. Le singole celle

possono essere disposte in serie fino ad una tensione di 600-700 volt. La tensione applicata agli

elettrodi, è di 2,5 volts circa ed il consumo è di 4,8 kWh/m3 H2.

Celle bipolari

Sono adatte a grandi produzioni di idrogeno (oltre 500 m3/ora) ed hanno il vantaggio di essere

più leggere e meno ingombranti di quelle multipolari. Per la loro forma vengono anche chiamate

"celle a filtro pressa". Il loro nome (bipolari) deriva dal fatto che la tensione viene applicata

solamente alle estremità, mentre gli elettrodi intermedi si caricano per induzione. Sono costituite da

una serie di lamiere ondulate di ferro, fra le quali sono interposti i diaframmi (una volta di amianto,

oggi di materiale polimerico) ed il tutto è tenuto assieme come in un filtro a pressione. In figura 3 è

riportato lo schema di una cella bipolare. Delle tubazioni disposte opportunamente servono a

raccogliere separatamente H2 e O2. Altri vantaggi della cella bipolare sono le minori perdite

chimiche per il minor numero di connessioni elettriche, il miglior rendimento di tensione perché si

possono adottare tensioni più' elevate (E = n x 2,5) e il risparmio nei conduttori. Il punto debole sta

nel fatto che se va fuori uso un elemento la cella smette di funzionare.

47

Fig .3

Steam reforming del gas metano (SMR)

Lo steam reforming del metano è un processo ben sviluppato ed altamente commercializzato e

attraverso il quale si produce circa il 48% dell'idrogeno mondiale. Tale metodo può essere applicato

anche ad altri idrocarburi come l'etano e la nafta. Non possono essere utilizzati idrocarburi più

pesanti perché essi potrebbero contenere impurità. Altri processi, invece, come l'ossidazione

parziale, sono più efficienti con idrocarburi più pesanti (Padrò e Putsche, 1999).

Lo SMR implica la reazione di metano e vapore in presenza di catalizzatori a base di Ni. Tale

processo, su scala industriale, richiede una temperatura operativa di circa 800 °C ed una pressione

di 2,5 MPa. La prima fase consiste nella decomposizione del metano in idrogeno e monossido di

carbonio (reforming del metano):

CH4 + H2O = CO + 3 H2 ∆H = 206,16 kJ ∆S = 214,76 J/K

Nella seconda fase, chiamata "shift reaction", il monossido di carbonio e l'acqua si trasformano in

biossido di carbonio ed idrogeno (National Renewable Energy Laboratory, 1995).

CO + H2O = CO2 + H2 ∆H = - 41,16 kJ ∆S = - 42,4 J/K

48

La composizione del gas prodotto dipende in modo sensibile dalla temperatura perché il vapor

d’acqua, che solitamente si aggiunge in eccesso, può reagire col CO per dare CO2. Al di sopra di

970K, però, l’equilibrio della fase di shift (gas d’acqua) è spostato verso il CO e quindi, operando

sopra tale temperatura, la quantità di CO2 che si forma è minima.

Il contenuto energetico dell'idrogeno prodotto è, attualmente, più elevato di quello del metano

utilizzato ma l'enorme quantità d'energia richiesta per il funzionamento degli impianti fa scendere il

rendimento del processo a circa 65% (Morgan e Sissine, 1995). In altre parole, l’idrogeno prodotto

è più costoso del metano di partenza e il suo impiego come combustibile al posto del metano non

sarebbe conveniente. Tramite assorbimento o separazione con membrane, il biossido di carbonio è

separato dalla miscela di gas, la quale viene ulteriormente purificata per rimuovere altri

componenti. Il gas rimanente, formato per circa il 60% da parti combustibili, è utilizzato per

alimentare il reformer (Zittel e Wurster, 1996). I processi di questo tipo su scala industriale

avvengono alla temperatura di 200°C o superiore, e richiedono l'impiego di calore per dare avvio al

processo.

Il costo del gas naturale incide fortemente sul prezzo finale dell'idrogeno, secondo alcune analisi

costituisce il 52%÷68% del costo totale per impianti di grosse dimensioni, e circa del 40% per

impianti di dimensioni minori (Padrò e Putsche, 1999).

I costi dello SMR sono notevolmente inferiori a quelli dell'elettrolisi e competitivi con quelli

delle altre tecnologie, esso comporta inoltre un ridottissimo impatto ambientale. Alcuni autori,

sostengono che la tecnologia SMR può essere conveniente, se combinata con l'alimentazione di

veicoli, per l'applicazione su celle a combustibile prodotte su scala ridotta.

La tecnologia SMR inoltre, è stata ampiamente sperimentata nella produzione combinata di

idrogeno, vapore ed energia elettrica tramite un sistema integrato di produzione. Dopo le prime

installazioni negli Stati Uniti d’America ad opera di compagnie come la Mobil, la Texaco, la Air

Products e centrali di grosse dimensioni come quelle sulla costa occidentale, questi impianti si

stanno diffondendo anche in Europa, uno tra i più importanti è situato a Pernis, vicino Rotterdam.

Il funzionamento principale di tali sistemi è quello descritto in precedenza con la particolarità che il

calore prodotto grazie alla alte temperature operative, viene opportunamente recuperato ed

impiegato nelle fasi di preriscaldamento e desulfurizzazione del metano, riscaldamento dell’acqua e

generazione di vapore. L’idrogeno prodotto è impiegato direttamente per la produzione di energia

elettrica che verrà poi erogata dall’impianto stesso.

SMR

-100

-50

0

50

100

150

200

250

0 200 400 600 800 1000 1200T, K

∆∆∆∆G°

CH4 + H2O = CO + 3 H2

CO + H2O = CO2 + H2

49

Tali sistemi integrati presentano numerosi vantaggi rispetto al caso di impianti separati per la

produzione di idrogeno, vapore ed energia elettrica. Innanzitutto, consentono di realizzare risparmi

già al livello di progettazione in quanto un unico progetto coinvolge tre strutture, successivamente

proprio l’integrazione consente di risparmiare fino al 50% dei costi operativi e di ridurre

notevolmente l’incidenza dei costi fissi all’aumentare della produzione; basta considerare il fatto

che gli investimenti iniziali costituiscono il 60% dei costi per la costruzione di un impianto isolato

per la produzione di energia. Un altro aspetto fondamentale riguarda l’impatto ambientale

ridottissimo di tutta la tecnologia che comporta una riduzione del 50% delle emissioni di NOx

mentre il CO prodotto dalle turbine a gas viene bruciato all’interno del reforming stesso. In futuro,

il funzionamento continuo ed il perfezionamento di questi impianti consentirà inoltre di migliorarne

l’efficienza e l’affidabilità.

Gli impianti attualmente funzionanti, si limitano alla fornitura di energia elettrica ad industrie

del settore chimico e petrolchimico con delle piccole reti di trasmissione ma si prevede che nei

prossimi decenni possano svilupparsi e sostituire gradualmente le attuali centrali (Terrible et al.,

1999).

Altre innovazioni invece, riguardano più in particolare lo SMR stesso. Uno degli obbiettivi

della ricerca è, infatti, quello di migliorare il tradizionale processo SMR con il perfezionamento di

un nuovo processo denominato Sorbtion Enhanced Reforming (SER). Rispetto al tradizionale SMR

tale processo implica la produzione di idrogeno a temperatura particolarmente bassa e

l’abbinamento di un processo di rimozione selettiva dell’anidride carbonica rilasciata durante la

fase di reforming. Il vantaggio principale del SER quindi, consiste nell’ottenere direttamente dei

flussi separati, estremamente puri, sia di idrogeno che di CO2 senza ricorrere a costosi sistemi di

purificazione. Questo nuovo processo ha dunque la possibilità di prevalere rispetto ai processi

convenzionali, e di favorire l’introduzione a breve termine dell’idrogeno, non solo per i ridotti costi

operativi che esso comporta ma anche per il contributo alla riduzione della concentrazione dei gas

serra nell’atmosfera.

Le attività di ricerca sono ovviamente volte all’individuazione dei materiali più idonei

all’assorbimento di CO2, alla dimostrazione della validità tecnica dei sistemi sperimentali e

all’analisi dei relativi vantaggi economici.

Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi L'idrogeno può essere ottenuto dall'ossidazione parziale non catalitica, ad una temperatura che

varia tra 1300-1500° C, di molti idrocarburi da quelli leggeri a quelli pesanti, come l’olio pesante

(impropriamente chiamato “nafta”):

CnH2n+2 + nH2O = nCO + (2n+1)H2

CnH2n+2 + n/2O2 = nCO + (n+1)H2

Le frazioni leggere sono più facili da trattare perché lasciano meno deposito carbonioso e sono

facilmente vaporizzabili. Più difficile è con l’olio pesante, nel qual caso si preriscaldano solo il

vapor d’acqua e l’ossigeno, mentre l’olio viene spruzzato a bassa temperatura, per limitare

fenomeni di cracking con formazione di nerofumo.

In ogni caso l'efficienza complessiva del processo (50%) è minore di quella ottenuta dalla

tecnologia SMR (65%-75%). L’ossigeno necessario alla reazione, infatti, è quello contenuto

nell’atmosfera per cui è mescolato con una grande quantità di azoto. Dunque con l’ossidazione

parziale si ottiene un flusso di idrogeno impuro fortemente contaminato dall’azoto. Nel caso si

utilizzi del metano, l'efficienza di questo processo raggiunge solo il 70% di quella dello steam

reforming. Tramite una reazione controllata tra combustibile e ossigeno, si ottiene anidride

carbonica, ossigeno e molto calore. Un sistema rapido che consente però di ottenere modeste

quantità d’idrogeno, tanto quanto ne contiene il combustibile di partenza. I reformer per

l'ossidazione parziale utilizzano in genere solo combustibili liquidi. Attualmente solo due

50

compagnie, la Texaco e la Shell, hanno la disponibilità, a livello commerciale, di queste tecnologie

di conversione (Padrò e Putsche, 1999).

I costi per la produzione di idrogeno tramite combustibili pesanti sono sensibilmente più alti,

per stesse quantità di materia impiegata, di quelli relativo all'utilizzo di gas di cokeria. Questo è

dovuto alla necessità di sostenere il trattamento e la rimozione delle impurità derivanti dal processo.

Nel caso dell'utilizzo di gas di cokeria è possibile, attualmente, realizzare economie di scala che si

riflettono in una notevole riduzione del prezzo finale dell'idrogeno. Simili risultati sono attesi per

l'impiego di combustibili pesanti.

Anche se i costi di questa tecnologia non sono particolarmente elevati rispetto a quelli degli

altri processi, bisogna anche considerare i costi aggiuntivi per l'eventuale pulizia degli impianti, a

cui conseguirebbe un aumento del prezzo finale dell'idrogeno.

Gassificazione del carbone In generale, il processo di gassificazione consiste nella parziale ossidazione, non catalitica, di

una sostanza solida, liquida o gassosa che ha l'obiettivo finale di produrre un combustibile gassoso,

formato principalmente da idrogeno, ossido di carbonio e da idrocarburi leggeri come il metano.

Tramite la gassificazione il carbone viene convertito, parzialmente o completamente, in

combustibili gassosi i quali, dopo essere stati purificati vengono utilizzati come combustibili,

materiali grezzi per processi chimici o per la produzione dei fertilizzanti.

Le reazioni sono:

C + H2O = CO + H2

Con altro vapore a 500°C ed un catalizzatore a base di ossidi di ferro si può ottenere idrogeno

anche dal CO

CO + H2O = CO2 + H2

La produzione di idrogeno mediante gassificazione del carbone è una tecnologia che trova

numerose applicazioni commerciali, ma è competitiva con la tecnologia SMR solo dove il costo del

gas naturale è molto elevato (per esempio: Repubblica Popolare di Cina e Sud Africa). Nel

settembre del 2000 è stato siglato dall’ENEA e dal Ministero della Scienza e della Tecnologia

(MOST) della Repubblica Popolare di Cina, un Accordo Tecnico di collaborazione tecnico-

scientifica per lo sviluppo congiunto della ricerca sull’idrogeno. Come ben noto, nella Repubblica

Popolare di Cina, i problemi associati all’inquinamento atmosferico all’interno delle città e, più in

generale, l’ingente quantità di emissioni di CO2 legato all’uso massiccio del carbone, sono

estremamente gravi ed urgenti. Si prevede infatti che nel 2020 la Repubblica Popolare di Cina

brucerà ben tre miliardi e mezzo di tonnellate di carbone all’anno, contribuendo a più di un quarto

delle emissioni planetarie di anidride carbonica. Nel programma di cooperazione con l’ENEA, il

carbone, in presenza di acqua, è trasformato in idrogeno e CO2. L’idrogeno è poi bruciato con

emissioni zero, mentre la CO2 è "sequestrata" permanentemente in forma liquida nelle profondità

della terra, senza apprezzabili emissioni nell’atmosfera. E’ quindi possibile trasformare anche il

carbone in un combustibile pulito e quasi ad "emissioni zero".

Per quanto riguarda la gassificazione, vengono utilizzati principalmente tre metodi: fixed-bed

(letto fisso), fluidized-bed (letto fluidificato) e entrained-bed (letto trascinato) (Padrò e Putsche,

1999). Tutti questi metodi impiegano vapore, ossigeno o aria, per ossidare parzialmente il carbone

ed ottenere come risultato del gas. I gassificatori a letto fisso producono, a basse temperature (425-

650 °C), un gas contenente prodotti "devolatilizzati" come metano, etano ed un flusso di

idrocarburi liquidi contenente nafta, catrame, oli e fenolici. I gassificatori a letto trascinato

producono gas ad alta temperatura (>1260 °C), che essenzialmente elimina i prodotti devolatilizzati

dal flusso di gas e dagli idrocarburi liquidi. Questo metodo, infatti, consente di ottenere un prodotto

composto quasi interamente da idrogeno, monossido di carbonio e biossido di carbonio. I

51

gassificatori a letto fluidificato, infine, producono pressappoco dei prodotti intermedi, nella

composizione, rispetto ai due precedenti ed agiscono a temperature medie (925-1040 °C).

Il calore necessario per la gassificazione è fornito principalmente dall'ossidazione parziale del

carbone. Generalmente le reazioni di gassificazione del carbone sono esotermiche, così al

gassificatore vengono di solito abbinate delle caldaie per il riscaldamento dei rifiuti da smaltire. La

temperatura, e quindi la composizione del gas prodotto, dipendono dalla quantità dell'agente

ossidante e del vapore, nonché dal tipo di reattore utilizzato nell'impianto di gassificazione.

I gassificatori producono delle sostanze inquinanti (principalmente ceneri, ossidi di zolfo e

ossidi di azoto) che devono essere eliminate prima che entrino a far parte del gas prodotto. Il loro

livello dipende sia dal gassificatore utilizzato sia dalla composizione del combustibile. Esistono due

tipi di sistemi per la separazione delle impurità: sistemi a caldo e sistemi a freddo. La tecnologia di

separazione a freddo è sfruttata commercialmente e sperimentata da diversi anni mentre i sistemi a

caldo sono ancora in fase di sviluppo. La ripulitura dei gassificatori a letto trascinato, comporta una

serie di operazioni in base alla diversa natura dei residui con una perdita di efficienza, affidabilità

ed un aumento rilevante dei costi di questi sistemi.

Per questa tecnologia, il costo della materia impiegata raggiunge quasi il 25% del prezzo

dell'idrogeno prodotto. Costo del capitale, manutenzione dell'impianto e smaltimento dei rifiuti

solidi, costituiscono altri costi da sostenere. Rispetto alle altre tecnologie quindi, sempre

escludendo l'elettrolisi, i costi sono leggermente più elevati ed, allo stato attuale, non è ancora

possibile realizzare delle particolari economie di scala.

La presenza di numerose riserve in diverse parti del mondo, fa del carbone il possibile

sostituto di gas naturale ed oli come materia prima per la produzione di idrogeno.

Altri metodi di produzione Oltre ai metodi analizzati nei precedenti paragrafi, la ricerca è attiva in diversi settori

riguardanti la produzione dell’idrogeno. Essa si muove fondamentalmente in due direzioni:

migliorare le tecnologie esistenti e sperimentare nuovi metodi.

L’obbiettivo principale è quello di abbattere i costi delle tecnologie ormai in uso riducendo la

quantità dei materiali impiegati e aumentando quindi i rendimenti di conversione degli impianti

esistenti. In secondo luogo, si cerca di perfezionare nuovi sistemi che consentano di risolvere la

questione dell’impatto ambientale delle tecnologie basate sull’impiego degli idrocarburi. In

particolare, si sta puntando molto su sistemi che consentano la produzione di idrogeno tramite

l’impiego diretto dell’energia solare, in sostituzione dell’energia elettrica necessaria per l’elettrolisi

dell’acqua.

Uno di questi, la produzione dell'idrogeno per fotoconversione, associa un sistema di

assorbimento della luce solare ed un catalizzatore per la scissione dell'acqua. Questo processo usa

l'energia della luce senza passare attraverso la produzione separata di elettricità richiesta

dall'elettrolisi. Ci sono due classificazioni principali di tali sistemi: fotobiologico e

fotoelettrochimico.

Un altro esempio dell’interazione tra energia solare e produzione dell’idrogeno è fornito dalle

centrali fotovoltaiche a idrogeno le quali costituiscono, attualmente, l’unico esempio fattibile di

impiego di fonti rinnovabili per la produzione di idrogeno.

Si tratta, tuttavia, prevalentemente di tecnologie in fase sperimentale, le cui attività di

laboratorio richiedono ancora notevoli perfezionamenti.

Tecnologie fotobiologiche I processi di produzione fotobiologici riguardano la generazione dell'idrogeno da sistemi

biologici, che usano generalmente la luce solare. Alcune alghe e batteri sono in grado di produrre

idrogeno sotto specifiche condizioni. I pigmenti delle alghe assorbono l'energia solare e gli enzimi

nella cellula agiscono da catalizzatori per scindere l'acqua nei suoi componenti di idrogeno e

ossigeno.

52

La ricerca sta analizzando i meccanismi dettagliati di questi sistemi biologici. In ogni caso si è

ai primi stadi ed il livello di efficienza di conversione in energia (rapporto tra l'ammontare di

energia prodotta dall'idrogeno e l'entità della luce solare impiegata) è basso, circa il 5%. Per la

produzione di idrogeno su larga scala, questi processi richiedono efficienza più elevata e riduzione

dei costi.

Esistono numerose attività di ricerca che hanno lo scopo di adeguare i sistemi di produzione

fotobiologica a tali difficoltà. A breve termine si prevede l’identificazione di batteri e sviluppo di

un sistema che possa produrre idrogeno puro a temperatura e pressione ambiente, nell'oscurità.

Attualmente, sono state isolate circa 400 specie di questo tipo di batteri, capaci di combinare,

nell'oscurità, monossido di carbonio ed acqua per produrre quantità piuttosto elevate di idrogeno e

biossido di carbonio. L'analisi dettagliata di 25 tra queste specie, ha dimostrato che esse sono in

grado di produrre idrogeno da circa il 100% del monossido di carbonio impiegato ma un solo tipo

di sistema, basato sull'azione di alcune specie di cianobatteri, ha dato risultati soddisfacenti

(Rossmeissl, 1995).

I cianobatteri possono crearsi semplicemente all’interno delle miniere di sale con la luce solare

come fonte d’energia, l’anidride carbonica come fonte di carbonio e l’acqua come fonte di elettroni

Tecnologie fotoelettrochimiche I sistemi fotoelettrochimici usano degli elettrodi semiconduttori in una cella fotoelettrochimica

per convertire energia ottica in energia chimica. Esistono essenzialmente due tipologie di tali

sistemi: una utilizza semiconduttori, l'altro metalli complessi dissolti.

Nel primo tipo, un materiale semiconduttore è utilizzato sia per assorbire l'energia solare sia

per agire da elettrodo per la scissione dell'acqua. Questa tecnologia è ancora ai primi stadi del suo

sviluppo sebbene l'efficienza di conversione dell'energia sia cresciuta da meno dell'1%, nell’anno

1974, all'attuale 8%. La ricerca attualmente si sta occupando di migliorare l'efficienza di

conversione in energia di tali celle, della loro durata e della riduzione dei costi, a tale scopo vi sono

progetti per l’identificazione di nuovi materiali semiconduttori ad alta efficienza e stabilità.

Il secondo tipo di sistemi fotoelettrochimici usa materiali complessi dissolti come

catalizzatori. Il materiale complesso solubile assorbe energia e crea una separazione tramite carica

elettrica che conduce alla reazione di scissione dell'acqua. La ricerca si sta occupando di

individuare dei catalizzatori che possano dissociare più efficientemente l'acqua e produrre idrogeno.

Questo metodo è attualmente meno avanzato dei processi con semiconduttore ma offre buone

prospettive per evitare il problema della corrosione (National Renewable Energy Laboratory,

1995).

Centrali fotovoltaiche ad idrogeno Come già detto, le fonti rinnovabili costituiscono la base per la produzione di combustibili di

sintesi, in particolare di idrogeno, come sistema di accumulo. Nel campo della produzione di

energia elettrica infatti, si prevede la produzione dell'energia dalla luce solare tramite una cella

fotovoltaica la quale fornisce l'elettricità necessaria per la produzione d'idrogeno tramite elettrolisi.

Indubbiamente, tali sistemi rivestono interesse per i loro benefici ambientali ma due sono le

principali barriere alla loro realizzazione: l'elettricità solare non trova sempre applicazione diretta,

per esempio nei motori a combustione, ed è difficile e costosa da immagazzinare. Bisogna quindi

confrontare questa possibilità di produzione con le altre, in termini di costi, impatto ambientale ed

efficienza. Il vantaggio fondamentale dei sistemi fotovoltaici ad idrogeno è quello di soddisfare la

richiesta di corrente continua necessaria per l'elettrolisi; d'altro canto la produzione di idrogeno

tramite steam reforming di idrocarburi, è il metodo che consente di ottenere l'efficienza di

conversione più elevata (Morgan e Sissine, 1995).

Obbiettivo della ricerca, a breve e medio termine, è principalmente quello di sviluppare la

potenzialità dei sistemi fotovoltaici, tramite lo sviluppo di sistemi integrati, che comprendano, oltre

53

al generatore fotovoltaico, anche un sistema di accumulo stagionale dell'energia previsto per

particolari applicazioni o nicchie di mercato.

Uno dei primi Paesi che ha creduto, sin dagli anni 1980, al potenziale di sfruttamento

dell’energia solare con un sistema di accumulo è l’Arabia Saudita. Risale infatti ai primi anni 1990

la costruzione della prima centrale solare a idrogeno. Anche se nella prima fase di attuazione si

sono verificati dei problemi, la centrale è attualmente funzionante; con una potenza di 350 kW e

capace di produrre 463 m3 di idrogeno al giorno, essa è in grado di fornire energia elettrica al

cosiddetto "Solar Village", presso Riyadh in Arabia Saudita, costituito da un agglomerato di zone

rurali con circa 4000 abitanti. Questo progetto è realizzato in collaborazione con ricercatori

tedeschi che a stanno realizzando una centrale di questo tipo a Stoccarda. Altri progetti che

coinvolgono produzione di idrogeno ed energia solare sono realizzati in collaborazione con il

Department of Energy Statunitense (Huraib, 1999).

Anche l’ENEA sta compiendo da alcuni anni numerosi studi relativi alla produzione di idrogeno da

sistemi fotovoltaici.

Questo modello di centrale fotovoltaica è composta da un generatore fotovoltaico, da un

sistema di produzione elettrolitica e di stoccaggio dell'idrogeno e da un sistema a cella combustibile

per il suo successivo utilizzo, è potenzialmente capace di competere sul piano tecnico con le

centrali elettriche convenzionali. In questo modo le centrali fotovoltaiche potrebbero gradualmente

sostituire gli impianti di potenza convenzionale, aggiungendo al valore del kWh prodotto, altri

vantaggi in termini di risparmio di combustibile e capacità di potenza.

Il funzionamento della centrale, in termini di flusso di energia, è schematizzato nella figura 4.

L'energia solare, che cade sui pannelli fotovoltaici, viene trasformata in energia elettrica in tempo

reale. Durante le ore di buona insolazione, una parte dell'energia elettrica viene inviata direttamente

ad alimentare il carico, mentre la parte eccedente le necessità istantanee dell'utenza viene

trasformata in energia chimica sotto forma di idrogeno ed immagazzinata nel serbatoio di

accumulo.

Fig. 4. Schema di una centrale fotovoltaica ad idrogeno.

54

La scissione (rendimento = 70%) di un litro d’acqua nelle sue componenti H2 e O2, richiede circa 6.3

kWh di energia elettrica. Il contenuto energetico dell’idrogeno così prodotto (circa 1.36 m3)

corrisponde approssimativamente a 4.41 kWh di energia chimica. Volendo nuovamente ricavare energia

elettrica da 1.36 m3 di idrogeno con l’impiego di un ciclo combinato (turbina a gas e turbina a vapore)

oppure di una cella a combustibile si otterrebbero circa 2.2 kWh di energia elettrica. I numeri appena

riportati potrebbero far apparire molto discutibile e poco conveniente la tecnologia dell’elettrolisi per

la produzione di idrogeno. In realtà, il procedimento sopra descritto può essere interessante a

determinate condizioni. Si pensi all’utilizzazione di energia idroelettrica in estate (basso costo,

abbondanza) e allo sfruttamento dell’idrogeno immagazzinato in inverno. In questo caso, l’analisi

potrebbe risultare più favorevole sia dal punto di vista economico che da quello ecologico. In realtà

anche se l’elettrolisi è il metodo migliore per la produzione di idrogeno puro incontra notevoli ostacoli

per la quantità limitata di prodotto e per i costi ancora troppo elevati, dovuti all’impiego di energia

elettrica. Attualmente, solo il 4% della produzione mondiale di idrogeno avviene per elettrolisi.

Durante le ore di buio e nei giorni di scarsa insolazione, l'energia chimica dell'idrogeno viene

ritrasformata in elettricità nella cella a combustibile ed inviata a soddisfare le esigenze del carico.

La possibilità di immagazzinare energia solare per lunghi periodi e di usarla in tempo differito al

momento della richiesta consente di garantire la continuità temporale dell'alimentazione dell'utenza,

portando la centrale fotovoltaica ad idrogeno sullo stesso piano delle centrali a combustibili fossili.

Le centrali a idrogeno fotovoltaico possono quindi rappresentare un’ottima soluzione tecnica

per superare il ruolo marginale in cui il fotovoltaico si viene a trovare a causa della intermittenza

della generazione di energia.

Gli studi relativi a questo tipo di centrale sono ormai numerosi, il che fa ben sperare in una

prossima effettiva realizzazione, con costi accessibili, di tali tecnologie il cui pregio principale è

senz'altro l'impatto ambientale praticamente nullo. Per il momento si prevede la loro diffusione nel

mercato attraverso l’applicazione di impianti di dimensioni modeste per alimentare utenze situate in

zone lontane dalla rete centrale (isole, montagne, basi militari ecc.). Ovviamente, nel lungo termine

lo sviluppo di tali sistemi sarà fortemente condizionato anche dal parallelo perfezionamento

dell’intera tecnologia e riduzioni dei costi si potranno ottenere solo con l’aumento della taglia degli

impianti e con l’operatività continua.

55

Le celle a combustibile (fuel cells)

Struttura e funzionamento

La cella a combustibile è un dispositivo elettrochimico che, come una normale batteria,

trasforma energia chimica in energia elettrica in corrente continua, utilizzabile direttamente per

alimentare un carico elettrico (ad esempio un motore elettrico).

La differenza principale, rispetto ad un normale accumulatore è che, mentre in questo

l'elettrodo stesso viene consumato

durante la scarica e va quindi

rigenerato durante la ricarica, nella

fuel cell la "pila" continua a

funzionare finché viene fornito

reagente agli elettrodi, che in

questo caso non si consumano, ma

costituiscono solo il supporto sul

quale avvengono le reazioni

chimiche.

Più precisamente la fuel cell

(in questo caso parliamo di una

fuel cell cosiddetta "PEM") è

costituita da due elettrodi, un

anodo e un catodo, separati da un

elettrolita, che invece di essere

liquido, è solido e costituito da una sottile membrana polimerica, la quale consente il passaggio

solo dei protoni H+ dall'anodo al catodo ("PEM" significa appunto "Proton Exchange Membrane").

All'anodo viene fornito idrogeno gassoso (puro) e qui, per mezzo di un catalizzatore (platino),

viene separato in protoni ed elettroni. A questo punto, mentre i protoni migrano verso il catodo

attraverso la membrana polimerica, gli elettroni arrivano al catodo passando attraverso un circuito

esterno, generando una corrente elettrica. Al catodo, contemporaneamente, arriva ossigeno (che può

essere quello contenuto nell'aria) e qui si ricombina,

sempre con l'aiuto di un catalizzatore (platino anche

qui), con i protoni provenienti dalla membrana e

con gli elettroni provenienti dal circuito esterno,

formando acqua.

Poiché una singola cella fornisce ai morsetti

una tensione di circa 0,6 V, è necessario collegare

più celle in serie, fino ad ottenere la tensione

desiderata. Naturalmente ad ogni cella andrà fornito

idrogeno all'anodo e ossigeno, o aria, al catodo.

Una struttura di questo tipo viene definita "Stack".

Oggi esistono stack di celle PEM costituiti anche da

200 celle collegate in serie.

56

Confronto con altri sistemi

Rispetto ad altri sistemi di conversione di energia le fuel cells presentano vantaggi e svantaggi

VANTAGGI SVANTAGGI

• Zero Emissioni: un veicolo alimentato con Fuel

cells ha come unica emissione acqua, se operato

con idrogeno puro, mentre se si utilizza un

reformer a bordo bisogna tenere conto delle sue

emissioni. Il funzionamento è perfettamente

silenzioso, se si eccettua il rumore generato dagli

ausiliari necessari per il suo funzionamento;

• Alta efficienza: una fuel cell ha un'efficienza

molto più alta di un normale motore a

combustione interna, in quanto, non risentendo

dei limiti di Carnot come tutte le macchine

termiche, ha un rendimento che non è limitato

dalla massima temperatura raggiungibile (v.fig.).

Questo discorso vale anche e soprattutto ai

carichi parziali, dove spesso un motore a

combustione interna ha difficoltà ad operare alla

massima efficienza;

• Rapida risposta al carico: una fuel cell ha una

risposta rapidissima alle variazioni del carico

proprie di un veicolo stradale; inoltre è in grado

di autoregolarsi al variare delle richieste di carico,

mantenendo sempre la massima efficienza;

• Bassa temperatura operativa: le fuel cells di

tipo PEM operano a temperature intorno ai 70°C,

molto più basse delle temperature operative dei

motori a combustione interna. Questo rende

l'impianto e il loro utilizzo sul veicolo molto più

semplice;

• Trasformazioni energetiche ridotte: come si

vede dalla figura in basso, una fuel cell opera lo

stesso numero di trasformazioni energetiche di un

motore a combustione interna, ma con efficienza

maggiore, per cui non c'è un decremento di

rendimento complessivo dovuto a trasformazioni

energetiche aggiuntive;

• Tempo di rifornimento: un veicolo equipaggiato

con una fuel cell, contrariamente ai normali

veicoli elettrici, ha tempi di rifornimento

("ricarica") del tutto confrontabili con quelli dei

veicoli endotermici tradizionali; inoltre

l'autonomia operativa non è limitata dalle

dimensioni del pacco batterie, ma solo dalle

dimensioni del serbatoio, esattamente come i

veicoli tradizionali.

• Idrogeno: uno degli svantaggi maggiori è nel

fatto che l'idrogeno è un gas ancora molto costoso

da acquistare, anche se è facile trovare soluzioni

economiche di auto-produzione o produzione da

fonti rinnovabili; inoltre è un gas potenzialmente

pericoloso e necessita di particolari accorgimenti

per lo stoccaggio a bordo;

• Impurezze: allo stato attuale le fuel cells

risentono molto di eventuali impurezze presenti

nel combustibile (per la presenza del

catalizzatore), per cui è necessario utilizzare

idrogeno sufficientemente puro; questo obbliga

ad utilizzare idrogeno prodotto da elettrolisi

dell'acqua o a depurarlo se prodotto tramite

reforming;

• Catalizzatore costoso: attualmente il

catalizzatore usato agli elettrodi è Platino, che è

un metallo molto costoso e costituisce una delle

voci di costo principali della fuel cell;

• Ghiaccio: per l'umidificazione delle membrane

(che resta ancora uno dei punti più critici per il

buon funzionamento delle fuel cells) si utilizza

acqua pura, eventualmente sfruttando anche

quella prodotta al catodo; questo significa che a

basse temperature c'è il rischio che si formi del

ghiaccio all'interno della cella, danneggiandola;

• Tecnologia nuova: la tecnologia delle fuel cells è

stata approfondita soltanto da pochi anni,

pertanto, pur avendo di fronte senza dubbio

notevoli passi avanti da compiere, è ancora allo

stato iniziale, e perciò risulta essere (anche a

causa della totale assenza di economie di scala)

ancora molto costosa;

• Assenza di infrastrutture: un altro problema che

frena lo sviluppo di veicoli ad idrogeno è

l'assenza di un'infrastruttura per

l'approvvigionamento, che oggi risulta ancora

difficile da realizzare a costi competitivi

57

Applicazioni

Attualmente le fuel cells di tipo PEM sono utilizzate per sistemi per la trazione di veicoli

(stradali o navali), ma anche in applicazioni stazionarie di piccola potenza, come gruppi di

continuità e piccoli generatori indipendenti

58

Il trattamento dell'idrogeno Dopo la produzione, l'idrogeno richiede ulteriori processi di purificazione. Successivamente

esso verrà quindi compresso (quindi il livello di pressione dipenderà dal tipo di applicazione o

immagazzinaggio) o liquefatto (idoneo al trasporto o per soddisfare la domanda di sistemi ad alta

densità d'energia).

Secondo il tipo di impurità presenti ed il grado di purezza richiesto, vengono applicati diversi

metodi. Se l'idrogeno è prodotto tramite reforming, ossidazione parziale o processi di pirolisi, le

sostanze estranee possono essere rimosse direttamente al momento della produzione per cui

l'idrogeno prodotto sarà già parzialmente purificato, solo i grossi impianti di produzione sono dotati

di tali sistemi mentre nella maggior parte dei casi ci si affida a delle strutture decentralizzate.

Inoltre, se l'idrogeno è prodotto da oli, carbone, gas naturale, è possibile applicare questi

processi direttamente alle materie utilizzate, prima della produzione tramite reforming o

ossidazione parziale. Si procede, quindi, alla rimozione delle polveri dai gas di carbonio, alla

desulfurizzazione del gas naturale ed alla rimozione del biossido di carbonio. La possibile presenza

di cloro o il contenuto di metalli pesanti (per es. mercurio) può, come anche lo zolfo, danneggiare i

catalizzatori degli impianti di reforming, per cui essi vengono rimossi in una fase di pre-pulitura.

I separatori per la rimozione delle polveri, anche se con efficienza del 98%, hanno una

limitata applicazione in quanto con questo metodo vengono rimosse solo le particelle con uno

spessore maggiore di 5mm. Per ottenere una raffinazione più elevata, in base al materiale trattato e

al grado di purezza richiesto, devono essere utilizzati dei filtri appropriati come filtri elettrostatici,

filtri reticolari e filtri a nastro.

Il processo di desulfurizzazione è particolarmente necessario nella fase preliminare del

reforming del gas naturale per evitare danni o la disattivazione dei catalizzatori al nickel o al

platino (l'odore del gas naturale è provocato da una sostanza contenente zolfo). Per questo scopo

sono state sviluppate intere catene di processi fisici e chimici molti dei quali sono attualmente

disponibili in grandi impianti di reforming, mentre sono ancora in fase di sviluppo metodi specifici

da applicare nei piccoli impianti decentralizzati. Nel campo della purificazione del gas naturale

esistono tre processi, ormai ben collaudati, conosciuti come processo MEA, MDEA e Purisol. I

primi due processi applicano tecniche di assorbimento chimico (soluzioni di sali costituiti da basi

forti e anione debole K2CO3), mentre il processo Purisol consiste in un lavaggio fisico mediante il

quale i composti di COS (carbonio, ossigeno, zolfo) sono prima convertiti in H2S e

successivamente assorbiti da un solvente.

Per l'eliminazione del biossido di carbonio, i processi di assorbimento chimico si basano

sull’impiego di soluzioni alcaline deboli (es. K2CO3).

Nella fase di ripulitura successiva alla produzione, avviene la separazione delle sostanze

estranee direttamente dall'idrogeno. Con questi sistemi (catalitici, ad assorbimento, a membrana, ad

idruri di metallo) vengono rimossi i prodotti del reforming incompleto.

I processi catalitici, a differenza degli altri, servono esclusivamente alla rimozione del

monossido di carbonio tramite ossidazione, metanizzazione e conversione. Le efficienze

realizzabili dipendono dai parametri di reazione quali temperatura, pressione, flusso volumetrico,

concentrazione del gas grezzo e materiale catalizzatore.

CO + 3H2 = CH4 + H2O

La reazione viene fatta su catalizzatore di Fe o Ni a 400°C e 10 atm. Essa è l’inverso della

reazione di reforming del metano e viene spesso usata a monte del circuito di sintesi

dell’ammoniaca per ridurre il tenore di CO a livelli trascurabili. Per questo motivo viene detta

anche reazione di “precatalisi” e può essere realizzata anche a pressioni elevate (200 ÷ 400 atm) in

quanto la pressione favorisce l’equilibrio.

59

STOCCAGGIO DELL'IDROGENO

COMPRESSIONE DELL'IDROGENO:

L'idrogeno in forma gassosa può essere immagazzinato in appositi contenitori a pressioni

molto alte, nell'ordine di 20-25MPa, attraverso adeguati compressori. Ciò necessita ulteriore

energia e costi aggiuntivi, senza dimenticare che oltre a comprimerlo, l'idrogeno va mantenuto a tali

pressioni. Per contenere il gas sono usate bombole in grafite/fibra di carbonio ad alta pressione, che

hanno il difetto di essere molto voluminose, nonostante il loro peso relativamente esiguo. In

alternativa l'idrogeno può essere immagazzinato, come gas compresso, all'aperto oppure sotto terra,

in caverne. Quest'ultima metodologia è più o meno conveniente, in termini di costi, secondo che si

sfruttino strutture preesistenti (miniere saline, pozzi di gas svuotati ecc.) o ne sia necessaria la loro

creazione (pozzi artificiali ecc.).La pericolosità e' simile a quella del gas metano. L'idrogeno già a

contatto con l'aria forma miscele esplosive che possono scoppiare, a differenza del metano però,

grazie alla maggior leggerezza, l'idrogeno si disperde prima diminuendo il rischio di

concentrazione critica.

LIQUEFAZIONE DELL'IDROGENO:

I processi di liquefazione usano una combinazione di compressori, scambiatori di calore,

motori di espansione e valvole a farfalla per ottenere il raffreddamento desiderato. Il processo di

liquefazione più semplice è il ciclo Linde o ciclo di espansione Joule-Thompson. Tramite questo

processo, il gas è compresso a pressione ambiente e quindi raffreddato in uno scambiatore di calore

prima di passare attraverso una valvola in cui è sottoposto al processo di espansione Joule-

Thompson producendo del liquido. Una volta rimosso il liquido il gas ritorna al compressore

tramite lo scambiatore di calore. L'idrogeno può essere liquefatto per la produzione stazionaria di

energia sia per il rifornimento di veicoli. Successivamente, nella maggior parte dei casi, viene

immagazzinato ad una temperatura di -253 °C. L'unico inconveniente di questo sistema è

l'eventuale fuoriuscita di parte dell'idrogeno liquido ed il notevole dispendio energetico dell'intero

processo. Infatti circa il 30% dell'energia dell'idrogeno è necessaria per il suo raffreddamento

Inoltre sono necessarie particolari attrezzature per il mantenimento dello stato liquido. Una delle

preoccupazioni maggiori legate a questo processo quindi, è quella della riduzione delle fuoriuscite

di liquido. Dato che l'idrogeno è immagazzinato ad una temperatura che corrisponde al suo punto di

ebollizione, qualsiasi passaggio di calore attraverso il liquido causa l'evaporazione di una parte

dell'idrogeno e qualsiasi evaporazione si riflette in una perdita dell'efficienza del sistema. L'impiego

di contenitori criogenici isolati invece, può far fronte al problema del calore generato per

conduzione, convezione ed irraggiamento. Tali contenitori sono progettati in modo da limitare al

massimo qualsiasi trasmissione di calore dalla parete esterna al liquido, per cui sono tutti costituiti

da un doppio rivestimento il cui interno è vuoto per impedire il passaggio di calore per conduzione

o convezione. Per prevenire l'irraggiamento diretto di calore invece, tra la parete interna ed esterna

del contenitore sono installati dei pannelli protettivi a bassa emissione di calore a base di plastica ed

alluminio. La maggior parte dei contenitori di idrogeno liquido hanno forma sferica perché

quest'ultima ha la più bassa superficie per il trasferimento di calore per unità di volume.

60

Inoltre, al crescere del diametro dei contenitori il volume aumenta più velocemente della superficie

esterna per cui contenitori più grandi, in proporzione, provocano minori perdite per trasferimento di

calore. I contenitori cilindrici, invece, sono preferibili per la loro facilità ed economicità di

costruzione. Anche se sottoposto con cautela all'irraggiamento solare, una parte dell'idrogeno può

evaporare ed essere destinata ad aumentare la

pressione nel contenitore o riciclata nel processo di

liquefazione oppure, in alcuni casi, semplicemente

liberata. Riguardo questa tecnologia, il costo

operativo maggiore è dovuto all'elettricità

neces

saria

per la

compr

ession

e per

cui,

attualmente, si stanno analizzando alcuni metodi per la

riduzione della quantità di energia elettrica richiesta.

Per quanto riguarda il rifornimento di veicoli, quello

dell'idrogeno liquefatto potrebbe sembrare uno dei

metodi più adatti. Comunque bisogna considerare i

notevoli rischi legati, solo per fare un esempio, alle perdite di carburante o ai problemi di sicurezza

dovuti allo spazio ristretto a disposizione dei parcheggi. Inoltre, si stanno progettando dei serbatoi

ad alta pressione leggeri ed impermeabili all'idrogeno. Lo scopo è quello di utilizzare tali serbatoi

in spazi ristretti ed in particolare a bordo di veicoli. Basato sul principio fisico che i cilindri siano

61

efficienti nel contenere la pressione interna, questi serbatoi sono costituiti da più cilindri congiunti,

con un reticolato rinforzato interno. Il risultato è quindi quello di un contenitore "multi-cella" il cui

numero è ottimizzato in base al volume del liquido da immagazzinare. Con questo metodo è

possibile immagazzinare il 50 % di idrogeno in più rispetto all'uso di serbatoi tradizionali multipli.

Attualmente sono stati già sperimentati i primi serbatoi formati da sole due celle.

IDRURI DI METALLO E IDRURI CHIMICI:

Gli idruri di metallo sono dei composti che

trattengono idrogeno nello spazio interatomico di un

metallo. La loro origine risale all'anno 1866 quando

Graham notò l'assorbimento di consistenti quantità di

idrogeno da parte del palladio ma fino agli anni 1960

furono poche le applicazioni degli idruri di metallo. Il

motivo di questo disinteresse era dovuto al fatto che gli

idruri conosciuti erano di tipo "binario" cioè composti

solo da un metallo e dall'idrogeno e anche quando

furono sperimentati i primi idruri di tipo "ternario" fu inizialmente quasi impossibile controllare le

loro proprietà meccaniche e termodinamiche. Questi problemi rimasero irrisolti fino a quando, in

seguito ai lavori pionieristici di S.R. Ovshinsky, si crearono i primi idruri a base di leghe di metalli

le cui diverse proprietà furono adeguatamente impiegate e le applicazioni pratiche degli idruri rese

così possibili. Gli idruri si formano ed agiscono attraverso due fasi: l'assorbimento ed il rilascio

dell'idrogeno. L'assorbimento dell'idrogeno nello spazio interatomico (idrogenazione) è un processo

esotermico che richiede raffreddamento mentre la sottrazione di idrogeno (deidrogenazione) è un

processo endotermico che richiede calore. Quando la pressione dell'idrogeno viene inizialmente

aumentata l'idrogeno si dissolve nel metallo e quindi comincia a legarsi con esso. In questa fase la

pressione operativa rimane costante fino al raggiungimento del 90% della capacità di

immagazzinamento. Al di sopra di questo limite è necessario operare con pressioni elevate per

raggiungere il 100% della capacità. La dispersione di calore durante la formazione dell'idruro

devono essere continuamente rimosse per evitare che l'idruro si infiammi. Se l'idrogeno viene

estratto da un altro gas, una parte di esso può essere liberata in modo che porti via gli elementi

estranei che non si legano al metallo. Con la deidrogenazione invece, si spezza il legame formatosi

tra il metallo e l'idrogeno e la pressione operativa aumenta all'aumentare della temperatura.

Inizialmente si opera a pressione elevata e viene rilasciato idrogeno puro quindi in seguito alla

rottura del legame con il metallo la pressione si stabilizza fino a ridursi drasticamente quando

nell'idruro residua circa il 10% dell'idrogeno. Quest'ultima parte di gas è molto difficile da

rimuovere essendo quella più saldamente legata al metallo e quindi spesso non può essere

recuperata nel normale ciclo di carico e scarico. La temperatura e la pressione di queste reazioni

dipendono dalla composizione specifica dell'idruro. Il calore di reazione può variare da 9.300 fino a

23.250 kJ/kg di idrogeno e la pressione può anche superare i 10 MPa. La temperatura di

deidrogenazione a sua volta può superare i 500 °C.

Considerato questo vasto campo di temperatura e pressione, la costruzione di unità

d'immagazzinamento presenta notevoli difficoltà. Inoltre, ogni lega ha differenti caratteristiche

quali il ciclo di vita e la temperatura di reazione. Il contenitore dell'idruro deve essere pressurizzato

e contenere un’area sufficientemente grande per lo scambio del calore al fine di garantire la rapidità

delle fasi di carico e scarico dell'idruro per le quali è richiesta, inoltre, stabilità termica e strutturale

della lega impiegata. Anche se per la deidrogenazione è necessario calore, l'eventualità che si

verifichino perdite di idrogeno non riveste particolare importanza ed è questo il motivo per cui tali

tecnologie sono considerate sicure. Gli svantaggi sono, però, la pesantezza dei sistemi, ed i costi

generalmente elevati che non consentono ancora la realizzazione di sistemi di immagazzinamento

ad idruri di metallo funzionanti commercialmente su larga scala. Il costo totale di questi sistemi è

62

influenzato fortemente dal costo dell'idruro di metallo e sono ulteriormente penalizzati dall'assenza

di economie di scala. Queste leghe, inoltre, non hanno attualmente un largo impiego, per cui sono

prodotte in quantità limitate. Una crescita della loro domanda, con conseguente carenza di materiali

disponibili, avrebbe come conseguenza incrementi notevoli dei loro costi e l'impossibilità, quindi,

di realizzare economie di scala.

SISTEMI BASATI SUL CARBONIO:

A temperature criogene (70÷113 K) e pressioni moderate (42÷54 atm) il carbonio reso

radioattivo, può assorbire, reversibilmente, 0,043÷0,072 kg H2/kg di carbonio. Il National

Renewable Energy Laboratory (NREL) ha recentemente raggiunto una capacità

d'immagazzinamento gravimetrica del 5- 10%, a temperatura normale, usando nanotubi al carbonio.

Attualmente, sono numerosi gli studi relativi a sistemi che consentano d'immagazzinare, a

temperatura normale, attraverso tali tecnologie, notevoli quantitativi d'idrogeno. Le nanostrutture al

carbonio possono rappresentare la risposta tecnologica alla richiesta di un sistema che renda

realizzabile il progetto di veicoli alimentati ad idrogeno.

MICROSFERE DI CRISTALLO:

Oltre ai numerosissimi studi sullo sviluppo delle nanostrutture, la ricerca sta indirizzandosi

verso altre soluzioni. Una di queste potrebbe essere l'immagazzinamento dell'idrogeno in

microsfere di cristallo. Esse consistono in piccole sfere di cristallo, vuote, con un diametro che

varia da 25 a 500 micron ed uno spessore di un solo micron. L'incapsulamento dell'idrogeno è

realizzato tramite il riscaldamento di un letto di microsfere vuote in un ambiente denso di idrogeno.

L'idrogeno si introduce nelle sfere attraverso il sottile involucro esterno di cristallo reso permeabile

dalle alte temperature alle quali avviene il processo (da 200 °C a 400 °C). Tale processo si conclude

quando l'idrogeno, all'interno delle sfere, raggiunge la stessa pressione esterna. Alla fine il letto

viene raffreddato e l'idrogeno non incapsulato viene liberato o trattenuto per altre applicazioni. Il

rilascio dell'idrogeno può essere provocato anche con la rottura delle sfere, con lo svantaggio, però,

di non poterle più riutilizzare. E' stato dimostrato che questo metodo d'immagazzinamento,

opportunamente accessoriato e modificato, può risultare pratico e conveniente per l'applicazione su

veicoli. Sono state anche individuate le microsfere più idonee, per composizione e dimensioni, a

tale applicazione. Esso è inoltre più conveniente degli idruri di metallo, ha la loro stessa sicurezza e

non presenta problemi in caso di esposizione all'aria. Tale metodo ha buone prospettive di prevalere

rispetto agli altri sia per le caratteristiche tecniche sopra descritte sia per la sua competitivita a

livello economico.

TRASPORTO

TRASPORTO DELL'IDROGENO COMPRESSO O LIQUEFATTO:

L'idrogeno come gas compresso può essere trasportato in cilindri ad alta pressione,

autocisterne e gasdotti. I cilindri ad alta pressione (40 MPa), pur consentendo un minore ingombro

sono molto pericolosi da maneggiare e trasportare. Le autocisterne invece, sono spesso composte da

diversi cilindri in acciaio montati su di un'intelaiatura protettiva e possono contenere da 63 kg a 460

kg di idrogeno compresso ad una pressione di soli 20 MPa. Attualmente il trasporto ferroviario

dell'idrogeno sotto questa forma non viene ancora effettuato. Inoltre questo metodo comporterebbe

la costruzione di particolari vagoni con materiali idonei al trasporto dell'idrogeno con conseguente

notevole incremento dei costi di trasporto. L'idrogeno liquido immagazzinato in contenitori isolati,

come già detto, viene trasportato tramite autocarri ed altri automezzi in quantità elevate e con

modeste perdite per evaporazione (0,3-0,6% al giorno). Per quanto riguarda il trasporto navale, a

causa dei lunghi periodi di tempo che richiede, è impiegato solo per l'idrogeno liquido. Il Canada ha

sviluppato numerosi progetti di navi per il trasporto transoceanico dell'idrogeno. Uno di questi

prevede l'impiego di cinque piccole chiatte trasportate in una nave più grande, che possono essere

separate alla fine del viaggio. Ciascuna di esse trasporterebbe 21.200 kg di idrogeno senza alcuna

63

perdita durante 50 giorni di viaggio. Altri progetti prevedono invece l'impiego di diversi contenitori

sferici o di una singola petroliera con la capacità di 7000 tonnellate. Nessuna di questa navi è stata

ancora realizzata ma quelle dedicate al trasporto di gas naturale liquefatto sono in grado di

trasportare già 125000 m3 di gas (equivalenti a 9000 tonnellate di idrogeno).

TRASPORTO IN GASDOTTI:

Formalmente l'idrogeno, essendo un aeriforme, può essere gestito, con opportune precauzioni,

in una struttura analoga a quella usata per il gas naturale. Le opportune precauzioni consistono nel

tenere conto di taluni aspetti: il contatto dell'idrogeno con acciai speciali provoca un loro

infragilimento; è necessario prevedere sistemi, visivi ed olfattivi, per l'individuazione di eventuali

fughe; inoltre sono da considerare necessario le ovvie precauzioni per evitare inneschi di

combustione (materiali e sistemi antideflagranti) dati i caratteri chimico-fisici di facile innesco a

combustione di questo gas . Per far sì che questi impianti vengano ampiamente utilizzati, quindi, il

primo problema da risolvere è quello dell'infragilimento di tubi e guarnizioni, con la conseguenza

della rottura dell'impianto, provocato dal contatto dell'idrogeno con i materiali di cui essi sono

costituiti, Al momento esistono già delle tecnologie in grado di ovviare a tale inconveniente ma la

loro applicazione contribuisce ad aumentare i costi di distribuzione. Paragonato alle centinaia di

migliaia di chilometri coperti dalle reti esistenti per il trasporto del gas naturale, la rete di gasdotti

per l'idrogeno è molto piccola: solo circa 740 km negli Stati Uniti d'America e più di 600 km nel

nord Europa e servono per il rifornimento di idrogeno direttamente dal produttore al consumatore o

ad intere aree industriali. Esse coprono distanze di oltre 100 km ed operano da più di 50 anni senza

particolari problemi. Altre reti, di dimensioni molto modeste, hanno funzionalità interne per le

stesse ditte produttrici di idrogeno, infatti sono solitamente abbinate a degli impianti di reformer.

La capacità di trasportare energia di un dato impianto è sempre minore nel caso di trasporto di

idrogeno rispetto al trasporto di gas naturale.

SCELTA DEI SISTEMI DI TRASPORTO:

Gli elementi principali che influenzano la scelta del sistema di trasporto dell'idrogeno sono la

quantità e la distanza. Per grossi quantitativi di idrogeno il metodo più conveniente è quello dei

gasdotti che, dopo gli investimenti necessari per la loro costruzione, richiedono costi operativi

molto bassi. Questa modalità è conveniente rispetto al trasporto dell'idrogeno liquido che

diversamente, non comportando costi d'impianto, conviene nel caso di trasporto transoceanico. Per

modeste quantità d'idrogeno i gasdotti non sono competitivi mentre l'idrogeno compresso può

rappresentare in alcuni casi l'alternativa all'idrogeno liquido i cui costi operativi sono molto elevati.

Come accennato in precedenza però, il trasporto del gas compresso, a causa della sua bassa densità

energetica, presenta notevoli svantaggi per cui può essere indifferente rispetto al trasporto

dell'idrogeno liquido solo per piccolissime distanze. La distanza infine, è l'altro elemento che gioca

a favore dell'idrogeno liquido o compresso in quanto all'aumentare di essa i costi per la costruzione

dei gasdotti subiscono notevoli incrementi ed anche se questo metodo non comporta il sostenimento

di costi per la liquefazione, questa viene comunque preferita. L'unico caso in cui si potrebbe

preferire la costruzione di gasdotti è quello della contemporanea distribuzione di energia elettrica in

quanto essi non comportano le notevoli perdite d'energia causate dagli impianti di trasmissione

solitamente impiegati.