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Capitolo 1 Giovanni il Rosso passeggiava per le strade di Palagiano; aveva raccolto un fiorellino che cresceva ai margini della strada e lo rigirava tra le dita. Giovanni era un tipo solitario, non aveva molti amici e le rare volte in cui usciva lo faceva solo per andare a trovare sua nonna che viveva alla periferia del paese; aveva lunghi capelli rossi, occhi azzurro mare prominenti ed era molto alto. Si diceva in paese di lui che non era troppo normale. I bambini lo additavano e, spesso, ridevano di lui. Giovanni aveva già quarant’anni e non si era mai sposato. La guerra era finita da poco, Palagiano era un piccolo paese di campagna dove la gente viveva ancora di agricoltura. Durante le sere d’estate le donne usavano sedersi fuori e chiacchierare tra loro di quello che succedeva in paese. Giovanni, invece, rimaneva sempre solo, non partecipava mai a quelle allegre riunioni; era, in realtà, un tipo strano, solitario e taciturno, figlio di un contadino che aveva perso in giovane età la moglie e si era risposato con una donna che di bello aveva solo le labbra. La vita di Giovanni scorreva tranquilla, in casa gli avevano destinato una piccola camera in cui dormire e, ogni tanto, la nuova madre gli dava da mangiare qualcosa di cucinato. Era già primavera e gli uccelli cinguettavano allegramente; le donne ciarlavano tra loro e i bambini giocavano serenamente per le vie del paese. Un urlo squarciò la tranquillità di Palagiano ed i bambini, le donne e i pochi uomini che erano in paese accorsero verso quelle urla. In una casupola, costituita da una sola stanza, giaceva riversa sul letto una giovane. Non aveva più capelli, gli erano stati strappati e dalla cute colava sangue. Era vestita con i poveri stracci che indossava in casa e ai piedi portava ancora le ciabatte. Le mani non si trovavano, gli erano state tagliate ed erano sparite, non erano nella casetta. La donna aveva la gola tagliata e il sangue formava una pozzanghera nera sul pavimento. L’anziana madre piangeva, sola, in un angolo; aveva lasciato sua figlia per andare in campagna a prendere qualche pomodoro e al ritorno l’aveva trovata morta. Furono chiamati i carabinieri e la donna, una volta constatato il decesso, fu seppellita nel cimitero di Palagiano. Mai era successa una cosa simile e mai in paese qualcuno era morto di morte violenta. Non si faceva altro che parlare della cosa, la gente s’interrogava su chi fosse il colpevole. Antonio, seduto fuori con sua moglie e i vicini di casa, faceva mille ipotesi. - Guarda, Annina - diceva alla sua vicina - che Giuseppa non è morta da sola. Qualcuno di qui l’ha uccisa mentre era sola in casa e sono sicuro - diceva aggiustandosi i capelli e gonfiando le guance come un mantice, data la sua enorme stazza - che chi l’ha uccisa doveva essere informato dei movimenti della madre. Sicuramente l’assassino era nascosto da qualche parte e stava spiando, poi quando la vecchia è uscita, ha bussato alla porta e sicuramente Giuseppa lo conosceva, dato che gli ha aperto. - - Antonio - disse la vicina tutta agitata, mentre con le mani cercava di stirarsi la gonna tutta piena di macchie - hai ragione, forse è stato qualche innamorato respinto che ha deciso di ucciderla! La Maria era molto superba, nessuno le andava bene e poi – aggiunse abbassando la voce - se proprio vuoi saperlo ho visto Giovanni il Rosso passare spesso vicino a quella casa… Credo proprio che sia stato lui ad ucciderla - disse con aria saputa - e, se proprio volete saperlo, i carabinieri lo stanno interrogando. Ha detto l’appuntato a mio marito che, quando gli hanno chiesto che rapporti aveva con la vittima, Giovanni si è confuso e non riusciva più a parlare. - 1

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Page 1: Capitolo 1 - boorp.com · - Quest’anno, per la festa di San Rocco, ho cucito per Rosi un vestito che lascerà tutti sbalorditi! Devi vedere quanto sembra bella la figlia mia,

Capitolo 1

Giovanni il Rosso passeggiava per le strade di Palagiano; aveva raccolto un fiorellino che cresceva ai margini della strada e lo rigirava tra le dita.Giovanni era un tipo solitario, non aveva molti amici e le rare volte in cui usciva lo faceva solo per andare a trovare sua nonna che viveva alla periferia del paese; aveva lunghi capelli rossi, occhi azzurro mare prominenti ed era molto alto.Si diceva in paese di lui che non era troppo normale. I bambini lo additavano e, spesso, ridevano di lui.Giovanni aveva già quarant’anni e non si era mai sposato.La guerra era finita da poco, Palagiano era un piccolo paese di campagna dove la gente viveva ancora di agricoltura.Durante le sere d’estate le donne usavano sedersi fuori e chiacchierare tra loro di quello che succedeva in paese.Giovanni, invece, rimaneva sempre solo, non partecipava mai a quelle allegre riunioni; era, in realtà, un tipo strano, solitario e taciturno, figlio di un contadino che aveva perso in giovane età la moglie e si era risposato con una donna che di bello aveva solo le labbra.La vita di Giovanni scorreva tranquilla, in casa gli avevano destinato una piccola camera in cui dormire e, ogni tanto, la nuova madre gli dava da mangiare qualcosa di cucinato.Era già primavera e gli uccelli cinguettavano allegramente; le donne ciarlavano tra loro e i bambini giocavano serenamente per le vie del paese.Un urlo squarciò la tranquillità di Palagiano ed i bambini, le donne e i pochi uomini che erano in paese accorsero verso quelle urla.In una casupola, costituita da una sola stanza, giaceva riversa sul letto una giovane.Non aveva più capelli, gli erano stati strappati e dalla cute colava sangue.Era vestita con i poveri stracci che indossava in casa e ai piedi portava ancora le ciabatte.Le mani non si trovavano, gli erano state tagliate ed erano sparite, non erano nella casetta.La donna aveva la gola tagliata e il sangue formava una pozzanghera nera sul pavimento.L’anziana madre piangeva, sola, in un angolo; aveva lasciato sua figlia per andare in campagna a prendere qualche pomodoro e al ritorno l’aveva trovata morta.Furono chiamati i carabinieri e la donna, una volta constatato il decesso, fu seppellita nel cimitero di Palagiano.Mai era successa una cosa simile e mai in paese qualcuno era morto di morte violenta.Non si faceva altro che parlare della cosa, la gente s’interrogava su chi fosse il colpevole.Antonio, seduto fuori con sua moglie e i vicini di casa, faceva mille ipotesi.- Guarda, Annina - diceva alla sua vicina - che Giuseppa non è morta da sola. Qualcuno di qui l’ha uccisa mentre era sola in casa e sono sicuro - diceva aggiustandosi i capelli e gonfiando le guance come un mantice, data la sua enorme stazza - che chi l’ha uccisa doveva essere informato dei movimenti della madre. Sicuramente l’assassino era nascosto da qualche parte e stava spiando, poi quando la vecchia è uscita, ha bussato alla porta e sicuramente Giuseppa lo conosceva, dato che gli ha aperto. -

- Antonio - disse la vicina tutta agitata, mentre con le mani cercava di stirarsi la gonna tutta piena di macchie - hai ragione, forse è stato qualche innamorato respinto che ha deciso di ucciderla! La Maria era molto superba, nessuno le andava bene e poi – aggiunse abbassando la voce - se proprio vuoi saperlo ho visto Giovanni il Rosso passare spesso vicino a quella casa… Credo proprio che sia stato lui ad ucciderla - disse con aria saputa - e, se proprio volete saperlo, i carabinieri lo stanno interrogando. Ha detto l’appuntato a mio marito che, quando gli hanno chiesto che rapporti aveva con la vittima, Giovanni si è confuso e non riusciva più a parlare. -

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- Credo proprio - disse Antonio - che tu abbia ragione. Giovanni è un tipo un po’ strano, mi fa paura… Non parla mai con nessuno, non ha amici e so anche che con il padre e la matrigna non va molto d’accordo. L’anno scorso, quando sono andato a prender da loro l’olio, ho visto Giovanni nella stanzetta seduto con le mani in mano a guardare il muro! Non capisco proprio come fa il padre a tenere quel bell’arnese in casa a girarsi i pollici e a mangiare senza pagare… Dovrebbe cacciarlo invece di tenerlo a pane e mortadella! -La serata era molto bella, l’aria era calda e i bambini, che ancora non erano andati a coricarsi, giocavano per le vie del paese.Antonio era molto preoccupato: aveva paura che qualche criminale si aggirasse indisturbato per le vie di Palagiano ma non aveva il coraggio di dirlo a sua moglie e alla vicina che ancora chiacchieravano tra loro dell’accaduto.Palagiano era un paese molto tranquillo e neanche la guerra aveva scosso la tranquillità del luogo.La vita andava avanti allo stesso modo, gli uomini e le donne lavoravano le terre e i bambini, quando non andavano più a scuola, seguivano i genitori in campagna.Antonio pensava a Giovanni il Rosso che, con quei capelli lunghi e con quel suo andamento dinoccolato, non incuteva che timore e paura.Lui aveva timore del Rosso e quando, qualche volta, lo incrociava per le vie del paese e la strada era deserta, cambiava via per paura di avere a che fare con lui.Ora che la Giuseppa era morta e che Giovanni era indagato il paese era in fermento.L’interrogatorio di Giovanni il Rosso durò molto a lungo, ma non poterono arrestarlo perché, all’ora della morte di Giuseppa, lui era a passeggio per le vie del paese.Quando lo rilasciarono, Giovanni si avviò verso casa sua.Era più pallido del solito e camminava con le spalle curve.Non alzò la testa neanche una volta durante il tragitto e non poté neanche accorgersi che le persone del luogo lo additavano mentre camminava e che qualche anziana si faceva addirittura il segno della croce.Quando raggiunse la casupola nella quale viveva, trovò la matrigna sulla porta ad aspettarlo; non gli disse neanche una parola e gli gettò un piccolo fagotto che aveva tra le mani contenente i suoi pochi abiti.- Vattene! - disse tra i denti il padre di Giovanni - Non ti vogliamo più in casa! Mia moglie ha paura di te ed è meglio che vai da un’altra parte a vivere perché qui non sei più benaccetto.- Si vai via! - sibilò la matrigna - Mi hai stancato, non fai altro che guardare il muro, non lavori neanche e consumi solo quel poco di mangiare che abbiamo! -Giovanni non disse neanche una parola; le braccia gli pendevano lungo i fianchi e, mentre la matrigna parlava, stringeva gli enormi pugni.Raccolse da terra l’involto e si girò di scatto, ma mentre camminava nella notte oscura, una lacrima gli rigò la guancia.Giovanni non sapeva dove andare, la notte era scura e senza stelle e la strada che stava percorrendo era deserta.Camminò per molto tempo, senza una meta e senza incontrare nessuno; quando ebbe sonno, trovandosi vicino un albero, in campagna, vi si distese sotto.Faceva molto freddo a quell’ora di notte, così Giovanni prese dal fagotto un maglione e lo indossò; si sentiva solo, aveva paura dei rumori che si udivano e non riusciva neanche a pensare agli avvenimenti del giorno.Ben presto si addormentò; fu una nottata tormentata da molti sogni e Giovanni sognò la sua matrigna, il padre e i carabinieri che gli chiedevano che rapporti aveva con Giuseppa.Si svegliò di soprassalto, quando il sole era ormai alto in cielo, e si accorse di avere fame.Le terre offrivano molto da mangiare. Giovanni raccolse le pere che crescevano su un albero lì vicino e se ne nutrì.

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Mentre mangiava pensava al da farsi: ora che non possedeva più una casa, avrebbe vissuto sotto le stelle, nelle campagne di Palagiano, all’aria aperta e la cosa non gli dispiaceva di certo.Giovanni sorrise, si alzò e riprese il cammino. Lo videro in paese seduto su una panchina di fronte alla chiesa.Nessuno gli si avvicinò e i bambini ridevano di lui senza neanche nascondersi.Don Franco, il sacerdote di quella parrocchia, quando vide il Rosso, seduto sulla panchina solo solo, gli si avvicinò, anche se con titubanza.- Giovanni, che fai qui, perché non sei a casa? - disse guardandolo da sotto gli occhiali che portava calati sul naso.- Don Franco - rispose Giovanni con imbarazzo evidente - da casa mi hanno cacciato e io non so dove andare.- Io non posso aiutarti, non mi è possibile ospitare nessuno - rispose Don Franco, un po’ imbarazzato - Certo che tu dovevi farti una famiglia, alla tua età non è bene stare da soli! -- Io non voglio sposarmi, non mi piace nessuna e poi da solo mi trovo bene! - disse Giovanni con aria truce.Quando gli si chiedeva il perché non avesse una famiglia, Giovanni diventava violento, s’innervosiva, stringeva i pugni e guardava con aria cattiva il malcapitato che gli aveva posto la domanda.Don Franco notò immediatamente il cambiamento nei suoi modi e, preoccupato, cambiò discorso.- Che brutta storia quella di Giuseppa… Mi hanno detto che sei stato interrogato dai carabinieri, ma non sei tu che l’hai uccisa, visto che a quella ora ti ho visto andare verso casa di tua nonna. Giuseppa era una brava ragazza e un’ottima massaia, era la gioia di sua madre che stravedeva per lei… Ora quella poverina trova conforto nella fede, non fa altro che piangere e io non so neanche che fare per consolarla. Certo che a Palagiano mai era successa una cosa simile, da quando io vivo in questa parrocchia, nessuno mai era morto ucciso. -- Don Franco, - parlò allora Giovanni interrompendo il discorso del sacerdote che sicuramente sarebbe stato lungo e noioso - evidentemente tra noi c’è qualcuno non tanto onesto. Io non mi fido di nessuno, chiunque può aver ucciso Giuseppa… Meglio stare soli, così siamo certi che nessuno può farci del male. -Il sacerdote fu un po’ scosso dalla logica di Giovanni anche se, in effetti, non aveva tutti i torti; anche lui era diffidente, mai aveva ospitato nessuno in sacrestia e mai aveva dato ospitalità ai viandanti.- Ora Giovanni vado a celebrar messa. Vieni in chiesa, che la casa del Signore è sempre aperta, almeno lì troverai un po’ di conforto dal caldo della giornata. - disse Don Franco asciugandosi con un fazzoletto il sudore che, copioso, gli colava dalla fronte.- Grazie Don Franco, ma preferisco rimanere qua fuori. Magari qualche passante mi fa un po’ di carità e io ho proprio bisogno di soldi, poi devo andare da mia nonna che forse mi stà aspettando preoccupata. - Detto così, Giovanni si alzò e, salutato l’anziano sacerdote, si avviò verso la casa della nonna.A quell’ora Annina era a casa della sua vicina e, insieme, stavano facendo un po’ di pasta per il pranzo di mezzogiorno.Annina, grossa quasi quanto Antonio, portava un vestito a fiori rossi; non era mai stata una bella donna e il marito, anche se erano ormai sposati da lunghi anni e avevano sei figli, non perdeva occasione di farglielo notare.Quella mattina Annina si era svegliata con la voglia di preparare la pasta e di buon’ora era andata da Sara per farla in compagnia.

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Erano vicine da molto tempo e i figli delle due coppie erano amici tra loro, anzi si parlava di un possibile matrimonio tra Rosi e il figlio grande d’Annina che, come i genitori, andava a coltivare il pezzo di terra che possedevano.Era un buon ragazzo, religioso, serio e lavoratore, tutte qualità che un giovane doveva possedere per essere definito un buon partito.Sara era molto allegra e, mentre stendeva la pasta con un grosso matterello, non la finiva più di parlare.- Quest’anno, per la festa di San Rocco, ho cucito per Rosi un vestito che lascerà tutti sbalorditi! Devi vedere quanto sembra bella la figlia mia, quando si veste elegante, tutti i giovanotti si gireranno a guardarla! - - Sono sicura che quest’anno alla festa mio figlio non lascerà mai sola Rosi, e se qualche giovanotto le darà fastidio, sa lui come metterlo a posto… - disse Annina, mentre con le mani sporche di farina si asciugava il sudore.Annina sperava in quel matrimonio; Rosi le piaceva molto, era un’ottima ragazza, con un carattere molto allegro, e una brava massaia, aveva anche un bel corredo che lei stessa aveva ricamato e non le mancava neanche un po’ di terra al sole.

La porta della casa era aperta e, ogni tanto, un alito di vento riusciva a scomporre i capelli delle due comari.Mentre impastavano, videro tutte e due Giovanni il Rosso passare davanti la loro porta.Giovanni camminava lentamente, portando in mano il fagotto che la matrigna gli aveva preparato; quando fu davanti la porta di Sara, gettò verso l’interno della casa una rapida occhiata.Sara e Annina, che si videro osservate dal Rosso, trasalirono e, quando Giovanni si fu allontanato, Annina si rivolse all’amica.

- Hai visto chi è passato? Mi fa paura solo guardarlo! La matrigna deve averlo cacciato e, ti dico, ha fatto proprio bene, non poteva tenerlo in casa a far nulla! Poi, dopo la storia di Giuseppa, anche se non è stato lui ad ucciderla, io ho timore solo a guardarlo! -- Hai ragione, anche a me fa paura. Dico sempre ai miei figli di cambiare strada, quando lo incontrano, non è per niente un tipo raccomandabile! - sussurrò Sara continuando a tirare la sfoglia.In caserma, nel frattempo, il maresciallo Piepoli continuava ad interrogare le persone che potevano essere informate dei fatti.Dopo aver passato tutto il giorno precedente a parlare con il Rosso, aveva fatto venire in caserma prima la madre della ragazza uccisa, poi i vicini di casa e infine quello che in paese definivano l’innamorato della vittima.Gli interrogatori erano stati lunghi e tutti avevano risposto con dovizia di particolari alle domande che il maresciallo aveva rivolto loro.In paese reputavano Piepoli una persona degna di rispetto; quando lo incontravano per strada gli uomini erano soliti togliersi il capello per salutarlo e le donne si voltavano dall’altra parte, arrossendo.Piepoli aveva posto molte domande, aveva indagato sulla vita di Giuseppa fin nei minimi particolari ma, oltre ad aver scoperto che tra lei e un ragazzo del paese c’era una storia che andava avanti da molto tempo, non era riuscito a cavarne un ragno dal buco.La cosa era molto strana: Piepoli non capiva proprio che fine avessero fatto le mani della ragazza e, mentre il fidanzato piangeva durante l’interrogatorio, il maresciallo aveva insistito su quel punto, chiedendo al ragazzo in lacrime dove fossero le mani della giovane, senza neanche tener conto dello stato in cui si trovava il poverino che mai aveva immaginato che alla sua donna potesse succedere una cosa simile in un paese tanto tranquillo come Palagiano.

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In caserma c’era un via vai di persone: tutti i carabinieri erano mobilitati, chi per fare sopralluoghi alla casa in cui era stato compiuto il delitto, chi ad interrogare la gente che poteva aver avuto a che fare con la vittima.Piepoli pensava spesso al Rosso, e se non fosse stato che all’ora del delitto era per le vie del paese a passeggio, l’avrebbe ritenuto sicuramente colpevole e l’avrebbe arrestato.Il maresciallo era molto stanco, gli interrogatori andavano avanti da tanto tempo e la giornata era stata molto calda così, quando finì il suo lavoro, andò nella stanza che gli era destinata in caserma e, slacciatosi la divisa, ora che non era visto da nessuno, si stese sul letto e iniziò a riflettere.Mai era successa una cosa simile da quando Piepoli si trovava a Palagiano, anzi il paese era più che tranquillo, al massimo c’erano liti tra vicini che si contendevano un confine.Un raggio di sole entrava nella stanza in cui si trovava il maresciallo e lo colpiva in viso, illuminando la ruga profonda che si era creata tra le sopracciglia.

Capitolo 2

Nel frattempo il Rosso era giunto a casa dell’anziana nonna che, quando lo vide a quell’ora insolita, si segnò pregando Dio e tutti i Santi, dato che anche lei non aveva molta fiducia di suo nipote.Nonostante il timore che il Rosso le incuteva, la vecchia lo invitò ad entrare nel piccolo vano in cui ormai viveva sola da quando era molto il marito.Fece sedere Giovanni e gli offrì un bicchiere di vino che, da molto tempo, era il suo conforto nelle lunghe giornate d’inverno e il suo unico lusso.Con voce roca, la vecchia chiese a Giovanni se le voci che circolavano in paese fossero vere; anche lei aveva sentito del delitto che si era consumato inaspettatamente nel centro di Palagiano.- Sì nonna - rispose Giovanni, senza alzare la testa dal bicchiere che aveva tra le mani.- Perché porti quel fagotto? - disse la vecchia, notando il fagotto che il Rosso aveva posato vicino i piedi.- La matrigna mi ha cacciato! - disse Giovanni, alzando la voce e guardando negli occhi la vecchia che trasalì in modo evidente.- Giovanni, mi dispiace, hai fatto bene a venirmi a trovare, ma non puoi rimanere con me, non c’è spazio… - disse la nonna, indicando la stanza in cui viveva e sorridendo con la bocca ormai sdentata.Giovanni si alzò, lasciando il bicchiere di vino a metà e, raccolto il fagotto, senza neanche salutare la vecchia, s’incamminò con passo veloce.La nonna, rimasta sola nella stanza, ringraziò Maria e tutti i Santi che il nipote fosse andato via e, preso il bicchiere rimasto a metà, lo tracannò senza pensarci due volte.Giovanni il Rosso riprese il cammino, senza sapere dove andare, non avendo un posto in cui passare la notte.La serata era fresca e le stelle rilucevano nel cielo.Il paese era ancora pieno di gente che, com’era d’uso, passava la serata a chiacchierare fuori, all’aria fresca della sera.Tutti erano in compagnia, ovunque si sentiva parlottare, e i giovani passavano e ripassavano sotto le finestre delle signorine a cui andavano dietro.Anche il figlio d’Annina era seduto fuori a parlare con Rosi, che quella sera era più carina del solito.

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Indossava un vestito scuro che le segnava la figura snella e aveva tra i folti capelli un fermaglio a forma di rosa, dono che la madre le aveva fatto il giorno del compleanno.Quando era con lei Filippo, il figlio d’Annina, il cuore le sobbalzava in petto; aveva per quel giovane un’affezione particolare.Filippo fissava Rosi e non la finiva più di farle complimenti che lei accettava di buon grado, arrossendo lievemente.- Stasera sei più bella del solito - le diceva Filippo guardandola con un sorriso che illuminava tutto il suo volto scavato. - Quando ci sposeremo, tu sarai la donna più felice del paese! Non ti farò mancare nulla, ti comprerò regali che nessuna mai ha avuto. -- Filippo sai che io non voglio nulla, mi basta avere te come marito per essere felice. Avremo una bella casetta, ma per il primo periodo di matrimonio abiteremo per un po’ con la tua famiglia, così potremo mettere qualche soldo da parte. -La sera era piacevole, le stelle brillavano in cielo e i due giovani non finivano mai di fare progetti per il futuro.Quando Sara chiamò Rosi, dato che si era fatto tardi, la giovane rientrò, dopo aver salutato il fidanzato, e passò la notte a pensare a lui e a sognare la vita che avrebbero trascorso insieme.Giovanni il Rosso, invece, passò la notte nelle campagne di Palagiano; non aveva incontrato anima viva durante il tragitto, ma la solitudine non lo spaventava.Stava ancora dormendo quando Gino lo scosse con un piede.Gino era un contadino che possedeva una casetta e un pezzo di terra nelle campagne di Palagiano.Viveva con sua sorella, una ragazza magra e brutta, che nessuno aveva voluto sposare, dato che aveva una cattiva reputazione derivante dal fatto che si era lasciata con il moroso dopo un lungo fidanzamento.Gino svegliò di buon ora Giovanni e, con un sorriso, lo invitò ad andare con lui nella sua casetta.Camminarono insieme per molto tempo, attraversando terre arate e campi coltivati.Nessuno dei due diceva una parola, anche se ogni tanto Gino fissava Giovanni e sorrideva.Quando il sole era ormai alto, giunsero alla casetta di Gino.La sorella di Gino, Betta, vide arrivare il fratello con Giovanni, mentre era intenta a stendere i quattro stracci che fungevano da vestiti ad una corda, posta davanti l’uscio della casa, che pendeva tra due bastoni.Betta non disse nulla, non salutò neanche il nuovo venuto e, quando finì di stendere i panni, invitò i due ad accomodarsi in casa.Diede loro del formaggio ed un bicchiere di vino e, quando Giovanni si alzò per andare via, Betta fissò il fratello per alcuni secondi senza dire una parola e andò a prendere da un cassetto della credenza una lunga catena che terminava con un anello.Tutto si svolse in modo molto rapido: Gino afferrò per le spalle Giovanni e, in silenzio, senza che lui opponesse alcuna resistenza, lo trascinò nell’ovile che era dietro casa.Giovanni fu legato ad un anello inserito nella parete dell’ovile e lasciato lì dai due giovani che, finita l’operazione, si allontanarono senza parlare.Cosa fare ora? Il posto era molto isolato e gridare non sarebbe servito a nulla.Giovanni non aveva paura, non si era neanche reso conto di quello che gli stava succedendo. Legato lì con la catena, si guardava intorno con aria stupita.Sentì i due fratelli litigare tra loro e vide Betta uscire correndo da casa e, quando gli passò davanti, non lo degnò neanche di uno sguardo.Giovanni non riusciva a capire perché l’avessero legato nell’ovile, lì solo, con le pecore e le capre, e non smetteva di guardarsi intorno.Passarono le ore, le giornate si susseguirono velocemente e Giovanni era sempre lì, legato alla catena, senza che nessuno dei due fratelli si facesse vedere.

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Giovanni aveva fame e sete e, disteso nell’ovile, guardava le nuvole correre nel cielo.Non una lacrima rigò il suo volto, mai disse parole contro le persone che lo tenevano prigioniero.Non aveva neanche la forza di muoversi e, ormai, era convinto che in quel posto dimenticato da Dio e dagli uomini sarebbe morto.Quando ormai Giovanni non aveva più neanche la forza di girare la testa, senza che riuscisse a rendersi conto da dove era venuta, si trovò dinanzi Betta che, senza dire una parola, pose davanti ai suoi piedi una padella chiusa da un piatto.Quando Betta se ne andò, con le poche forze restategli, prese con entrambe le mani la padella e, tolto il piatto, guardò il pasto che gli aveva portato.Nella pentola c’erano due mani, cucinate con un po’ di sugo.Giovanni guardò il pasto e, senza neanche capire, si nutrì di quell’orrido pranzo.Capì ben presto che i due fratelli avevano ucciso Giuseppa, capì d’essere loro prigioniero e che così legato sarebbe stato alla loro mercè per molto tempo ancora.Non avevano intenzione di ucciderlo, altrimenti lo avrebbero fatto subito; forse, pensava Giovanni, un giorno, prima o poi, lo avrebbero lasciato andare.Non pensava all’orrido pranzo che aveva consumato, forse non si rendeva neanche pienamente conto di quello che stava succedendo.Si addormentò ben presto e passò una nottata serena, senza sogni.Era ormai giorno fatto, quando Rosi decise di andare alla fontana a riempire la gerla d’acqua.Sola s’incamminò verso la periferia del paese; il tragitto non era molto lungo e, lungo la strada, incontrò tante sue amiche che la salutarono allegramente.Pensava sempre al suo innamorato, non vedeva l’ora di sposarsi e di avere una famiglia tutta sua.Giunse alla fontana quando ormai il sole picchiava forte; era una giornata molto calda e l’estate non avrebbe tardato ad arrivare.Non c’era nessuno in quel posto e, a quell’ora, le donne del paese stavano oramai preparando il pranzo.Rosi mise la gerla sotto il fresco zampillo d’acqua e si appoggiò alla fontana aspettando che si riempisse.Non si accorse di nulla, non sentì nessuno avvicinarsi e, senza che se ne rendesse conto, fu assalita alle spalle.Una mano forte, potente, le chiuse la bocca; Rosi non riusciva ad urlare né a muoversi.Fu trascinata lontano dalla fontana, svenne senza neanche rendersene conto.Sara aveva finito di preparare il pranzo. Suo marito era già tornato dalla campagna, mancava solo Rosi.- Non riesco a capire perché ancora non torna dalla fontana… L’ho mandata a riempire l’acqua molto tempo fa, mi sembra strano tutto questo ritardo. – disse, sospirando, Sara rivolta al marito che, seduto su una sedia, guardava l’ingresso con aria tranquilla.- Sta sicura - rispose alla moglie - che ha incontrato qualche sua amica e sta con lei a dire chiacchiere, sai come sono i giovani! Mica come noi, che avevamo paura di disobbedire ai genitori! -- Antonio, non prendermi per sciocca, ma ho un brutto presentimento. Questa notte ho sognato un grosso ragno che voleva mangiarmi… Io correvo, correvo e lui sempre dietro!- - I sogni, i sogni… Non devi fare caso ai sogni, io sogno tante cose, figurati se ci bado! -- Aspetto un’altra ora, poi vado a cercarla. Non rimango qui con le mani in mano, con tutte le brutte cose che stanno succedendo… Vedi la Giuseppa che fine ha fatto, una brava ragazza, seria, stava sempre in casa con la mamma! -- Andrò io a cercarla - disse Antonio - ma ora non voglio pensarci, sono sicuro che sta con qualche amica sua… Tua figlia, lo sai, è una sfaccendata, non vedo l’ora che si sposi e se

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ne vada di qui, altrimenti ci manderà alla rovina! Non faccio altro che comprarle scarpe e stoffe, delle più belle, e i soldi non bastano mai. -Continuarono a parlare per molto tempo e le ore passarono inesorabilmente.Erano ormai le quattro, Antonio si alzò lentamente, non disse neanche una parola e, preso il bastone, uscì lentamente da casa.Sara era mezza morta dalla paura, il presentimento era diventato certezza: mai la figlia sarebbe mancata al pranzo, mai sarebbe rimasta tanto tempo fuori casa.Non ebbe la forza di seguire il marito e, senza dire nulla, si sedette sulla seggiola che era stata, in precedenza, occupata da lui e, con le mani in mano, si mise ad osservare il cielo che, visto dalla finestra della cucina, sembrava tingersi di rosso.Antonio camminò per molto tempo, lentamente, senza neanche rispondere al saluto dei paesani, e si guardava intorno, col viso pallido e la bocca secca.Quelli che lo vedevano passare, si resero immediatamente conto che c’era qualcosa che non andava e, senza neanche cercare di capire cosa stesse succedendo, molti furono quelli che, a distanza, lo seguirono.Giunse alla fontana molto presto e di sua figlia non c’era nessuna traccia; la gerla era rovesciata e ovunque, a terra, orme di persone, orme troppo vicine.Qualcosa doveva essere successo; Antonio si piegò in due, con le mani raspava la terra, ma sua figlia non c’era. Qualcosa di tremendo era successo.Iniziò ad urlare e a piangere: sua figlia, quella che amava più di tutti, era stata rapita, non l’avrebbe più rivista, ne era certo.Giunsero correndo i paesani, chiesero cosa fosse successo, indagarono, chiamarono i carabinieri.La voce che una ragazza fosse stata rapita, si diffuse a Palagiano velocemente.Le vecchie si segnarono e Sara seppe ben presto da una comare che la figlia era sparita; accorsero le vicine, il fidanzato, tutti le erano intorno.

Capitolo 3

Per il maresciallo Piepoli erano stati giorni pesanti.Le indagini sulla morte di Giuseppa erano andate avanti lentamente; non si sapeva ancora nulla, i carabinieri brancolavano nel buio.La notizia della sparizione di una ragazza sconvolse il maresciallo.Le cose si complicavano notevolmente; c’era, ed era evidente, a Palagiano un assassino che girava indisturbato per le vie del paese.Quando il maresciallo Piepoli giunse alla fontana, un nugolo di persone gli si fece intorno.Tutti parlavano, si sentiva un gran baccano; solo il povero Antonio non diceva nulla, era sconvolto oltre ogni limite, una cosa simile non se la sarebbe mai aspettata.Rosi si svegliò lentamente.Quando aprì gli occhi e cercò di muoversi, si rese conto di essere legata a qualcosa che le impediva i movimenti.Si guardò intorno, due occhi da lei conosciuti la stavano fissando.- Giovanni, che fai qui? Che ci faccio io qui? che succede? Non capisco, ho paura! -Giovanni fissava la ragazza, non parlò immediatamente, non era abituato ad avere a che fare con le donne.Avere una compagna di prigionia, una ragazza così bella, gli faceva una strana impressione.Non cercò di tranquillizzare Rosi, non sapeva come ci si dovesse comportare con una donna.

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Rosi insisteva.- Che ci faccio qui? Voglio tornare dalla mia famiglia, dal mio fidanzato! - gridava e, mentre parlava, le lacrime le rigarono il volto. - Chi mi ha portata fin qui? Dove siamo, perché mi hanno fatto questo? -- Rosi - disse allora Giovanni - credimi, non so perché anche tu sia in questo posto. -

Mentre Giovanni parlava, arrivò Betta; entrò nell’ovile e si mise ad osservare la povera Rosi.Betta aveva un sorriso cattivo, il volto pallido, lo sguardo fisso e assente.Odiava Rosi da tanti anni, era gelosa della sua bellezza e della sua allegria, e averla lì, completamente dipendente da lei, la rendeva felice oltre misura.Doveva ringraziare per questo suo fratello che, capendo il suo dolore e l’odio che provava per quella ragazza, non aveva esitato a portargliela.Ora che era ai suoi piedi, implorante e piangente, Betta era la donna più felice del mondo.Non disse una parola e, così come era venuta, andò via.Rosì capì, intuì l’odio che Betta aveva per lei e si rese conto che di lì non sarebbe più uscita; aveva paura anche di Giovanni, mai si sarebbe immaginata di dover avere a che fare con una persona simile.Il tempo passava, i giorni si susseguirono ai giorni, sempre uguali, e anche la speranza che qualcuno venisse in suo aiuto si andava affievolendo.La fame e la sete si fecero sentire, Rosi non aveva più la forza neanche di parlare.Il maresciallo Piepoli fece di tutto per scoprire qualcosa, ma nessuno aveva visto niente, nessuno sapeva e nessuno notò l’assenza del Rosso.Antonio era distrutto, non andava a lavorare da giorni e neanche si radeva la barba.Passava le giornate in casa, sperando di udire, prima o poi, un colpo alla porta, ma nulla avvenne.Pure la moglie era irriconoscibile, non si alzava più dal letto e non faceva altro che piangere.Qualche vicina portava ai due coniugi qualcosa da mangiare e, quando aveva tempo libero, andava a consolare la povera madre.Rosi si andava spegnendo pian piano, senza piangere, senza parlare.Il sogno di una vita felice, con un marito che l’amasse e tanti figli, si andava infrangendo contro le pareti dell’ovile.Giovanni fu gentile con lei; la notte le raccontava fiabe strane, le parlava di mondi in cui tutti erano felici, d’amore, di vita.Anche lui aveva fame, non sperava di essere liberato, ma per lui era normale vivere in quelle condizioni.Quando Rosi chiuse per sempre gli occhi c’era Betta a guardarla, sempre con il suo sorriso cattivo, beffardo, sempre silenziosa.

- Ora tu, - disse rivolgendosi a Giovanni - avrai da mangiare per molto tempo… Con noi sarai felice, non ti faremo mancare nulla, avrai tutto quello che ti necessita. -- Io voglio andare via! - ebbe il coraggio di dire Giovanni, fissando triste la povera Rosi - Non voglio stare con voi, non voglio essere legato! -- Rimarrai con noi più di quanto te non immagini… Sei per noi un figlio, ci teniamo tanto a te. Non devi temere nulla, siamo la tua famiglia, tua madre e tuo padre, solo noi ti vogliamo bene, solo noi ci teniamo a te. -- Io voglio essere libero! - si azzardò a dire Giovanni, interrompendo il discorso di Betta. - Mio padre non mi ha mai trattato bene e neanche la matrigna mi voleva bene, ma io non ci ho mai fatto caso, sono stato bene con loro fino a quando non mi hanno mandato via! -- Un giorno ti renderai conto di tutto quello che stiamo facendo per te e, sono sicura, che ci ringrazierai. -- Io non lo credo proprio! Tu non sei buona e neanche tuo fratello lo è, io non vi ho mai fatto nulla, perché mi tenete qui?_- Siamo tuo padre e tua madre, te l’ho detto prima. -

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Girandosi in silenzio, Betta si allontanò, lasciando Giovanni solo con i suoi pensieri.Il paese era in subbuglio, si cercò in ogni luogo, in ogni dirupo, nel bosco.Di Rosi nessuna traccia; la gente faceva pressioni, il maresciallo Piepoli interrogava, valutava ogni ipotesi possibile ed immaginabile.Ormai Antonio e Sara avevano perso la speranza di rivedere la loro amata figlia viva, anche il fidanzato sembrava rassegnato.La sera la famiglia non si sedeva più fuori a chiacchierare, ma passavano il tempo chiusi in casa a pensare, a riflettere.A Palagiano non si parlava d’altro, la sparizione di Rosi aveva fatto scalpore.Anche nell’omelia della Domenica il sacerdote ne aveva parlato.C’era anche chi pensava che Rosi fosse scappata con qualcuno; si facevano mille congetture e le giovani avevano paura ad uscire sole.Don Franco era solito passare un po’ di tempo davanti la chiesa, chiacchierando con le persone che si recavano in quel luogo a prendere un po’ di fresco, seduti all’ombra di un grande albero che da secoli era davanti l’ingresso della chiesa.Quella mattina non c’era nessuno; faceva troppo caldo e le persone erano chiuse in casa o a lavorare.Don Franco si stirò la veste con le mani, un rivolo di sudore gli scese dalla fronte.Non se ne accorse, ma alle sue spalle avanzava Betta, con una veste nera e gli occhi bassi.Quando raggiunse Don Franco, lo chiamò, poggiando la mano sulla sua spalla.Don Franco ebbe un lieve sussulto, mai avrebbe immaginato di trovarsi la giovane di fronte.Erano anni che lei e suo fratello non andavano in chiesa.Sorpreso, Don Franco le sorrise e, asciugandosi il sudore le domandò: - Cara figliola, da quanto tempo! Sono anni che non ti vedo qui in chiesa… Hai fatto bene a venire, la casa del Signore è sempre aperta. Vieni figlia mia, entra che ti confesso, ne hai proprio bisogno! -Betta seguì il sacerdote con gli occhi bassi e il fare compunto, s’inginocchiò e chiese al padre di perdonarle i molti peccati.Parlò a lungo, confessando solo banali peccatucci e, quando Don Franco le diede l’assoluzione, s’inginocchiò sola in un angolino della chiesa e iniziò a pregare con fervore.Il sacerdote pensò che Betta non fosse una cattiva ragazza; così, vestita semplicemente, sembrava proprio una principessina ed era ancora bella, aveva un non so che di misterioso e di affascinante.Don Franco pensò a lungo a lei, anche dopo che se ne fu andata; le avrebbe trovato un marito, conosceva tanti bravi giovani a cui presentarla e lo avrebbe fatto certamente.Betta uscì dalla chiesa che odorava d’incenso, salutando Don Franco con un sorriso e, lentamente, attraversò le vie del paese, con la testa bassa. Tutte le donne di Palagiano la guardavano, alcune le sorridevano e la salutavano.Molte persone si stupirono, quando videro Betta passeggiare tranquillamente; anche Antonio e Sara la videro camminare dalle parti di casa loro.- Hai visto? - disse Sara al marito - Betta si è decisa ad uscire! Era da parecchio che non si vedeva in paese. L’hai guardata bene? Non è brutta come la ricordavo, certo che con la nostra Rosi… - e gli occhi si riempirono di lacrime.- Sara, anche la nostra bambina tra un po’ tornerà a casa e la vedremo passeggiare felice come sta facendo Betta ora. Mi ha detto il maresciallo che ci sono buoni indizi, si sospetta di un venditore ambulante, che gira tanti paesi e che, una volta, ha molestato la figlia di Vincenzo. Tutti dicono che sia stato lui a rapire nostra figlia, anche io ne sono convinto, se vedessi che brutta faccia che ha! -

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- Dio volesse… Vorrei tanto riabbracciare la mia bambina! Non riesco a pensare ad altro, non posso più aspettare. Se vedessi il fidanzato, quel poverino, com’è ridotto! Si torce le mani dal dispiacere! -- Sara, il maresciallo sta facendo di tutto per ritrovarla, ha anche ordinato ai carabinieri di pedinare il venditore ambulante… Tra un po’ riavremo nostra figlia. -Insieme, marito e moglie rientrarono in casa, lanciando un ultimo sguardo a Betta che, ormai lontana, non si girò indietro neanche una volta.Betta tornò a casa, felice come non lo era da tempo.Il fratello notò in lei il cambiamento: gli occhi erano più belli e il viso aveva assunto un’aria serena che prima non aveva.Gino la fissò per molto tempo, senza parlare, a bocca aperta, mentre lei sbrigava le faccende di casa.- Dove sei stata? - le chiese con aria dura e timorosa al contempo, - Ti ho aspettato per molto tempo! -- Sono stata in paese, prima in chiesa, poi a passeggio. Sapessi quanta gente ho incontrato! E come mi guardavano! Don Franco poi è stato gentilissimo, credo di avergli fatto una buona impressione… -- Ma sei impazzita? - gridò il fratello, fuori di sé, afferrandole con violenza una mano. - Tu a passeggio? Non può essere vero, hai sempre criticato quei quattro morti di fame che sono in paese e ora ci vai e torni tutta contenta? Non dimenticarti che prima ti salutano, ti parlano e poi ti pugnalano alle spalle, ti faranno soffrire… Da oggi in poi tu non esci più!- Gli occhi di Betta, prima ridenti, si offuscarono.Con uno strattone si liberò della mano di suo fratello, che le stringeva il polso con violenza.- Tu non sai nulla, non puoi capire! Non posso vivere sempre con te, ho bisogno di uscire, di vedere gente! - sibilò con cattiveria.- Tu sei impazzita… - disse il fratello – E’ meglio per te fare attenzione, non giocare con me. -Betta si girò di spalle e, senza ascoltare ancora suo fratello, uscì da casa velocemente.Si diresse all’ovile dove Giovanni il Rosso era ancora legato. Giovanni la vide entrare, la guardò in viso e non disse una parola.La trovava diversa; qualcosa doveva essere successo, il suo volto, la sua espressione erano più rilassati.- Sono venuto da te - disse Betta - per farti qualche domanda. Dimmi tu che ne pensi di me? Come mi trovi? Cosa credi che io ti tenga a fare legato qui… -Giovanni piegò il capo; non era facile per lui parlare, non lo faceva abitualmente, figurarsi ora di fronte ad una donna.Con voce rotta dall’imbarazzo, con lo sguardo rivolto verso il basso, disse: - Io non so se sei bella o brutta, non so giudicare, ma credo che tu sia una ragazza strana, ancora più strana di me… Io ho paura di te, non mi fido. Vorrei tanto che tu mi lasciassi andare per la mia strada, non dirò niente a nessuno e lascerò Palagiano. -- Ma secondo te - chiese Betta - qualcuno può volermi come moglie? - - Non lo so, ma credo di sì… Si sposano tutti, anche quelli più brutti di te, solo che dovresti uscire di più, farti qualche amica... -Betta sorrise tutta contenta e quella sera portò a Giovanni, per la prima volta, un piatto d’orecchiette fatte da lei; poi, quando lo lasciò solo, gli rivolse un sorriso e gli chiese di non dir nulla a suo fratello, altrimenti gliel’avrebbe fatta pagare.Giovanni era stupito, non capiva più niente: in Betta aveva trovato un sostegno, una compagna che gli avrebbe alleviato i dispiaceri derivanti dalla prigionia e dalla lunga immobilità.Quella sera, come già era capitato, Giovanni sentì i due fratelli litigare aspramente.

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La mattina seguente Betta si svegliò di buon ora e, quando il fratello uscì per andare nei campi, si vestì con il suo abito più bello e, felice come una bambina, andò a farsi vedere da Giovanni che, quando la guardò vestita a quel modo, rimase sbigottito e arrossì violentemente.Betta indossava un abito azzurro come il cielo e portava una piccola borsetta rossa.Abbigliata a quel modo a Giovanni non sembrò brutta, anzi gli parve addirittura carina, con quello sguardo imbarazzato e quell’aria ingenua che aveva assunto.Giovanni non le disse nulla ma, in cuor suo, fece a quella ragazza, a cui si andava piano piano affezionando, i migliori auguri.Betta s’incamminò verso il paese e vi giunse che era oramai giorno fatto.Andò immediatamente in chiesa, guardata da tutte le paesane e, silenziosa e timida, vicino ad un’alta colonna, seguì la messa, pregando a bassa voce.Angelo, il figlio di Mastro Vito, muratore come il padre e ormai quarantenne, non smise per un attimo di fissarla.Quell’aria timida e quel fare imbarazzato colpirono al cuore il muratore, che da anni non vedeva Betta in paese.Anche lei notò il suo sguardo; Angelo non era un brutto ragazzo e lei si sentì orgogliosa di essere guardata a quel modo.Quando la messa finì, lei uscì lentamente dalla chiesa e, quando passò affianco al ragazzo, lui le rivolse un sorriso e la salutò con un cenno del capo.Betta, dopo una lunga passeggiata in paese, tornò a casa.Il fratello non era ancora tornato dal lavoro e lei ebbe il tempo di cambiarsi e di cucinare.Gino tornò a casa molto tardi, stanco; non disse una parola alla sorella e, dopo aver cenato, andò a coricarsi.Betta era felicissima: Angelo le piaceva molto, ed erano anni che non provava nulla di simile.Non aveva sonno e passò molto tempo a fantasticare.Angelo si svegliò molto presto la mattina e, prima di andare al lavoro, parlò con il padre e la madre .- Sai mamma, ho incontrato Betta in chiesa ieri e non è affatto brutta come ricordavo, anzi, mi è parsa molto dolce e carina. -- Figlio mio, che gioia che mi dai! Se Betta ti piace tanto, puoi mandare Don Franco a farle la proposta di matrimonio! -La mamma d’Angelo era felicissima, le pareva di toccare il cielo con un dito!Suo figlio era ormai grande e il fatto che ancora non fosse sposato la preoccupava molto.Anche il padre fu contento; quel suo figlio non sposato era ormai un cruccio continuo.- Sai cosa devi fare? - disse Mastro Vito - Oggi non venire a lavorare, faremo tranquillamente a meno di te, ma va’ da Don Franco e chiedigli se vuole andare a parlare con il fratello di Betta. È meglio non perdere tempo, ormai hai una certa età ed è meglio per te fare le cose in fretta... Se Betta ti vuole, possiamo organizzare il matrimonio, tanto, grazie a Dio, il lavoro non manca ed avrai abbastanza da mantenere una famiglia. -Angelo si fece tutto rosso: in effetti Betta gli piaceva molto e sia il padre che la madre lo incoraggiavano.Si lavò il viso e le mani e, indossato l’abito della festa, con in mano il berretto nuovo, si avviò verso la chiesa del paese.Trovò Don Franco solo in sacrestia.Il sacerdote si stupì molto quando lo vide e immediatamente intuì il motivo della sua visita.- Vieni figliolo, entra, sono sicuro che hai un favore da chiedermi… - disse con un sorriso furbo - Sono a tua disposizione! Oggi ti vedo diverso, sei più allegro, non è che ti sei finalmente innamorato? -

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Angelo aveva gli occhi bassi, era evidentemente imbarazzato.- Sì Padre, sono innamorato di Betta, da quando l’ho rivista in chiesa. Vorrei chiederle la cortesia di andare a parlare con il fratello, se lei mi vuole voglio sposarmi subito. -- Figlio mio, certo che ci vado! Andrò da Gino oggi stesso, sono felice per te, immagino tua madre che gioia! -Don Franco, dopo aver salutato Angelo, si avviò verso casa di Betta.Strada facendo incontrò il maresciallo Piepoli e si fermò un attimo a parlare con lui.- Avete qualche notizia? Si sa qualcosa di Rosi? Sono molto preoccupato, tutti questi eventi stanno scuotendo la tranquillità del paese. Le ragazze hanno paura persino di venire da sole in chiesa! Crede che Rosi sia stata uccisa? Quei poveri genitori sono inconsolabili!- - Don Franco - disse il maresciallo - della giovane non sappiamo niente, ma crediamo che forse sia scappata con qualcuno. Il fidanzato ci ha detto che molti ragazzi, anche forestieri, le giravano attorno. -- Queste giovani - sospirò Don Franco - che bisogno hanno di scappare! Non è la prima volta che una mia pecorella fa una cosa simile… Sa maresciallo che oggi ho avuto una bella notizia? Angelo, il figlio del muratore, mi ha detto che vuole sposare Betta e io, sono tanto felice! I giovani devono sposarsi prima di vivere insieme, devono essere timorati di Dio! -Il maresciallo ascoltò con pazienza i discorsi di Don Franco. Lui non era credente, non credeva né in Dio né nei Santi, ma in chiesa ci andava e rispettava il religioso.Quando finì di parlare, il sacerdote, salutato il maresciallo, riprese il cammino verso casa di Betta.Faceva molto caldo quel giorno e il sudore colava copioso dalla sua fronte.Quando raggiunse l’abitazione, vi trovò il fratello e la sorella intenti a pranzare.Gino sussultò e Betta impallidì notevolmente, ma fecero ugualmente accomodare il sacerdote al desco imbandito.Don Franco mangiò qualche cosa e, preso il discorso alla larga, disse a Gino di essersi recato lì per chiedergli se lui fosse d’accordo che Betta sposasse il figlio di Mastro Vito.- Sai Gino, - diceva il sacerdote facendo l’occhiolino alla giovane che sedeva di fronte a lui, tutta imbarazzata, - Angelo è un bravo ragazzo, un gran lavoratore e se poi vedessi come ci tiene a tua sorella! È innamorato cotto di lei! Se tua sorella dovesse accettare e tu non hai nulla in contrario, vado immediatamente da lui per dargli la risposta. -- Non mi piace Angelo - disse Gino guardando di sott’occhi la sorella - non è adatto a Betta e poi è anche vecchio. -- Ma figlio mio, che dici! È una bravissima persona, famiglia timorata di Dio! Betta non può sperare di meglio! Ma tu che dici, figliola? - disse rivolto alla giovane che, muta, continuava a guardarlo a bocca aperta - A te piace Angelo? Dimmi se lo vuoi, poi con tuo fratello me la vedo io, lo convincerò! -Betta non sapeva cosa dire; avrebbe tanto voluto sposarsi, ma il fratello non sembrava d’accordo.In quel momento Betta odiò Gino; lo detestava con tutto il cuore, non poteva impedirle di farsi una vita sua, di avere una famiglia e una vita normale.Da sempre il fratello era stato geloso di lei, molto possessivo e questa era stata la causa della rottura del precedente fidanzamento.Le aveva rovinato la vita, non poteva tenerla legata a sé per sempre.Agli omicidi fatti da lui, con la sua partecipazione, non pensava minimamente.Erano cose normali, era giusto che il fratello assecondasse i desideri della sorella.Sì, Betta voleva sposarsi, e guardando con aria cattiva il fratello, disse al sacerdote: - Padre, ho pensato alla domanda di Angelo. Può dirgli che lo voglio, che desidero sposarmi con lui. -

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- O Betta, figliola cara, - disse il sacerdote prendendole la mano - non sai che gioia mi dai! Sono felice che tu acconsenta. Andrò da lui subito e domani verrò a trovarti con Angelo! -Gino guardò prima la sorella, poi il sacerdote.Non disse neanche una parola, chiuso in un ostinato mutismo, e aspettò che il prete andasse via.Quando Don Franco decise di incamminarsi era pomeriggio inoltrato; il sacerdote, tutto contento, salutò il giovane e promise di tornare l’indomani.Rimasti soli, Gino prese per le spalle la sorella e, gridando come un ossesso, la rimproverò aspramente.- Sei impazzita! Tu sposarti… e io che farò da solo? Sta tranquilla che te lo impedirò, fin quando io sono vivo tu resterai con me! -- Tu non comandi su di me, non puoi impedirmi di sposarmi! A me Angelo piace e io sarò sua moglie! Non insistere, non dire altro! -- Sei tu che devi stare zitta! Non te n’andrai mai, io sono tuo fratello e tu resterai con me!- - Gino, non costringermi ad andarmene ora, non costringermi a parlare! Se insisti, io dirò quello che hai fatto a tutti, così io sarò libera e tu andrai in galera!- No, cara Betta, tu sei mia complice, non credere di cavartela tanto facilmente! -Betta si divincolò e, urlando a più non posso, lasciò il fratello in casa e andò nell’ovile.Giovanni era sempre lì, legato con una lunga catena.Stava dormendo, quando si sentì scuotere per le spalle.Si trovò di fonte Betta tutta sconvolta e in lacrime.- Cosa ti è successo? - domandò a bassa voce - Perché piangi? -- Mi hanno chiesto in moglie e mio fratello non vuole assolutamente che mi sposi. - disse tra le lacrime.Giovanni rimase molto stupito e, buono com’era, si commosse a vedere la giovane così triste.- Tuo fratello non può impedirti nulla, sei adulta e libera di fare quello che vuoi. -- Ma tu che ne pensi? Posso io essere una brava moglie? Posso avere una vita normale? Io non ho mai fatto del male a nessuno, è mio fratello che uccide, è mio fratello che vuole tenerti prigioniero, vuole che tu mi faccia compagnia, che rimanga sempre con me. -Giovanni rimase sconvolto: non poteva credere che lo tenessero lì legato solo per far compagnia a Betta.- Betta, - disse Giovanni guardandola negli occhi - liberami, lasciami andare via! Te ne sarò per sempre grato. -- Non posso farlo, se lo facessi mio fratello mi ucciderebbe… E’ molto geloso, mi tiene legata a lui, è sempre stato così! -- Betta, - la supplicò Giovanni - liberami, non tenermi qui chiuso con le pecore, non ce la faccio più… Voglio muovermi, camminare… lasciami andare! -Aveva gli occhi pieni di lacrime, implorava Betta, ma lei non gli prestava ascolto.Era chiusa nel suo dolore, pensava solo a sé stessa e alla sua sorte.Betta rientrò in casa, passò una notte agitata, sognò i suoi genitori e suo fratello.L’indomani mattina si svegliò di buon’ora; era il giorno in cui sarebbe venuto Don Franco con Angelo.Gino non andò a lavorare e, chiuso nel suo mutismo, osservava Betta con aria cattiva.Ben presto giunsero i due ospiti, Angelo, rasato di fresco e vestito elegantemente, e Don Franco, sempre sudato.Betta li invitò ad accomodarsi e ben presto, dopo i primi convenevoli, iniziarono a parlare di matrimonio.Gino non si mostrò contrario, anzi sembrò favorire l’unione dei due giovani in tutte le maniere.

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- Credo che sia opportuno che si sposino presto. Non voglio un lungo fidanzamento, non è il caso, sono entrambi grandi. I tuoi genitori - disse rivolto ad Angelo - sono d’accordo? Ti daranno qual cosa? Io darò a mia sorella la terra e il corredo, altro non posso mettere. -Angelo era molto soddisfatto ma Betta, pensierosa, non riusciva a capire cosa passasse per la testa a suo fratello.Il giorno precedente era stato assolutamente contrario alla loro unione e ora, invece, sembrava addirittura favorirla; non credeva a quello che stava sentendo.Parlarono per molto tempo e Don Franco in cuor suo benedisse i due giovani che, in effetti, facevano una bella coppia.Quando i due ospiti furono andati via, Gino pregò sua sorella di seguirla nell’ovile.Betta non disse nulla, troppo felice per pensare ad altro, e seguì il fratello, allegra come una bambina.Quando giunsero nell’ovile, Gino prese il polso della sorella e, con violenza, la spinse a terra.Senza che Betta riuscisse a dire una parola, il fratello le legò i polsi ad una lunga catena che pendeva da un anello sito nel muro.Betta si rabbuiò, non disse nulla, non pianse, e rimase lì immobile ad aspettare che il fratello la lasciasse sola.- Ora voglio vedere come farai a sposarti! - disse Gino - Cosa credevi, di poter fare tutto quello che vuoi? Quell’uomo non ti avrà mai, tu sei mia, sei destinata a stare sempre con me! -- Vedrai che mi cercheranno e tu andrai in galera, non mi rovinerai di nuovo la vita! -- Sta zitta, stupida! Io lo faccio per te… Tu non ti rendi conto, con lui sarai infelice, con me non ti manca nulla, hai tutto quello che vuoi, sei la mia regina. -Betta girò il volto dall’altra parte e non rispose nulla al fratello che, borbottando, si allontanò.Quando Angelo tornò, trovò in casa solo il fratello, la sua amata non c’era.- Devi scusarla - disse Gino mordendosi il labbro – ma ci ha ripensato ed è andata dai parenti per un po’ di tempo. Tra un mese, se ancora la vorrai, ti darà una risposta. -Angelo ci rimase malissimo: era per lui cosa certa, come fare a dirlo ai genitori ora? -- Se mi dici dov’è andata, vado a trovarla. Non può avermi fatto una cosa simile! -- Non vuole vederti, altro non ha detto. Abbi pazienza, sono certo che avrai al suo ritorno una risposta positiva. Lei ti vuole bene, ma devi capire che ha un po’ di timore, non è certa che tu la ama veramente. -- Ma io la amo! Mi sono innamorato di lei dal primo momento che l’ho vista, e pensavo che lei ricambiasse! -Gino fissava il suo interlocutore; i suoi occhi verde mare erano più chiari del solito, solo un leggero movimento agli angoli della bocca tradiva il suo nervosismo.- Tornerà, non dubitare. Ti vuole bene, te l’ho già detto. -Angelo tornò a casa tutto dispiaciuto; la madre, quando lo vide arrivare mogio mogio, capì e non gli fece alcuna domanda.Si buttò sul letto e, fissando il soffitto, pregò che Betta non lo rifiutasse.I giorni passavano velocemente; ogni tanto Gino portava da mangiare a sua sorella, tenuta sempre prigioniera nell’ovile che era situato lontano da casa.Quando entrava tra le quattro mura basse, trovava Betta seduta sulla paglia, con le mani sulle gambe, sempre nella stessa posizione.- Ora che hai avuto tempo di riflettere, vuoi sempre sposarti? - le domandò il fratello.- Lasciami in pace! - disse Betta con aria cattiva - Sai quello che voglio, lasciami andare altrimenti te ne pentirai! -

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- Tu rimarrai qui per molto tempo, non ti permetto di dirmi certe cose. Sei molto ostinata, ma vedrai che tra un po’ cambierai idea… Io ti farò ragionare, piccola stupida che non sei altro! -- Ti odio con tutto il cuore! Non sei un essere umano, sei peggio degli animali! Hai le mani lorde di sangue, hai ucciso e dici pure che lo hai fatto per me! Vattene, lasciami stare! Non cambierò mai idea, voglio sposarmi e lo farò! -Giovanni assisteva impotente ai continui litigi tra fratello e sorella e non sapeva neanche che dire per consolare la giovane.Rimaneva lì, ore ed ore a guardarla, con la bocca aperta e un sorriso ebete sul volto.Un giorno di pioggia, quando meno se lo aspettava, Giovanni vide comparire da sotto la paglia un grosso chiodo.Sorrise a Betta e, senza dire nulla, le mostrò il grosso chiodo.- Certo Giovanni che sei proprio strano - disse la ragazza rivolta al compagno di prigionia - Che me ne faccio di un chiodo? Ho bisogno di ben altro. -- Betta, questo chiodo servirà a liberarti. Io ti aiuterò e, quando tu sarai libera, aiuterai me, promettimelo. -Senza troppa fiducia, Betta, per non dispiacere il compagno, promise.Giovanni allora, con il chiodo tra le mani, si mise a grattare il muro in cui era inserito l’anello da cui pendeva la catena.Lavorò per molto tempo, senza mai stancarsi e senza degnare d’alcuna attenzione Betta che, cullata dal rumore che il chiodo faceva contro il muro, si addormentò.Era ancora notte fonda quando Giovanni le pose le mani sulla spalla e la svegliò.Aveva nella mano la catena, libera dal muro in cui era in precedenza fissata.Con gli occhi ancora pieni di sonno, Betta guardò il Rosso.- Sei libera! Vai via, fuggi, ma non dimenticarti di me. -- Grazie, - disse la giovane, ancora assonnata, - tornerò, sta tranquillo. -

Capitolo 4

Senza salutare, si alzò e iniziò a correre, sola, di notte, nelle terre arate da poco.Aveva l’affanno, era molto stanca e le gambe le facevano male.Portava ancora con sé la catena che le pendeva dalla gamba e le impacciava i movimenti.Giunse ben presto in paese e, senza perdere tempo, andò in caserma.Suonò per molto tempo prima che qualcuno le aprì.Il maresciallo Piepoli si trovò di fronte una donna che, a prima vista, gli parve un fantasma.Betta, con i capelli scapigliati e il vestito sbottonato, entrò nella stanzetta buia con la furia di una pazza.Iniziò a parlare, velocemente, senza mai interrompersi; narrò della morte di Giuseppa, della prigionia di Rosi, di suo fratello e delle sue violenze, di Giovanni ancora prigioniero.Il maresciallo la ascoltò senza dire una parola; non credeva alle sue orecchie, era molto scosso.Quando Betta finì di parlare, Piepoli chiamò i suoi uomini e, lasciando la donna con l’appuntato, uscì nella notte.Si diresse verso la casa di Gino, vi arrivò che era ancora tutto buio.Gino dormiva, non si accorse di nulla e, quando si risvegliò, aveva le manette ai polsi.Fu portato via e, dopo un veloce processo, fu condannato all’ergastolo.

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I giudici credettero all’innocenza di Betta, anche perché Gino non la accusò mai di complicità; disse di aver fatto tutto lui e che la sorella era all’oscuro, fino a poco tempo prima, delle sue manovre.Giovanni fu liberato quella stessa notte e nel processo fu chiamato come testimone; era molto dimagrito e neanche i suoi stretti parenti sembravano riconoscerlo.In paese non si parlava d’altro. La sera, quando l’aria era più fresca, le comari non facevano altro che tessere le lodi della Betta, descritta da tutti come una donna coraggiosissima ma sfortunata.Questo, però, non bastò.Angelo non volle più sposarla e il suo amore svanì nel nulla, così com’era nato.La povera Sara era ormai l’ombra di sé stessa quando seppe dal maresciallo, che la chiamò in caserma, dell’orribile fine della figlia.Anche suo marito era irriconoscibile; nella piccola casetta dei due coniugi l’allegria era ormai bandita.Quando tutto fu finito e i discorsi sulla triste vicenda terminarono, Betta, che aveva vissuto per lungo tempo con le suore, fece ritorno a casa.Trovò tutto come lei l’aveva lasciato. Il letto ancora disfatto aveva mantenuto la forma del corpo del fratello.Sola, in quella casa, aveva da pensare a come fare per andare avanti.Il lavoro delle terre era troppo duro per lei che non era abituata a farlo.Guardandosi intorno con aria spaurita, decise di lasciare quel posto e di andare via da quella zona isolata, piena di tristi ricordi.Quando Angelo le aveva fatto sapere che non aveva più intenzione di sposarla, lei aveva pianto molto. La sua vita, diceva a se stessa, era finita.Non aveva più nulla, neanche i sogni le rimanevano.Aveva ragione il fratello, avrebbe sofferto e così fu.Betta passò in quella casa qualche giorno; la notte non riusciva a dormire, aveva paura di tutto, di ogni rumore, di ogni verso di animale.Quando rimanere lì le diventò insopportabile, lasciò la casetta e, con una valigia contenente le sue cose, si diresse in paese da Don Franco.Il sacerdote la vide venire verso di lui, lentamente, invecchiata di venti anni e con qualche capello bianco.Piangendo Betta gli chiese: - Padre, mi aiuti! Vorrei trovare qualche lavoro, anche come domestica, basta che vada via da quella casa, ho paura a rimanere sola! -Don Franco, che era veramente una brava persona, s’impietosì.- Figliola – le disse - conosco una famiglia rispettabile, sono molto ricchi e mi hanno detto che cercavano una domestica. Posso presentarti a loro questa mattina stessa, vieni con me che ti ci accompagno. -Insieme si avviarono verso il centro del paese.Tutti quelli che vedevano passare Betta con il sacerdote si facevano il segno della croce e, qualcuno, addirittura si voltava dall’altra parte con aria disgustata.Don Franco si sentiva stringere il cuore; non era contento per la povera ragazza che, d’altronde, non aveva fatto nulla.Giunsero ben presto ad un palazzo signorile, sito al centro del paese, e Don Franco bussò al gran portone.Aprì un cameriere, vestito decentemente e, visto Don Franco, li fece accomodare, andando a chiamare la padrona.La stanza in cui il cameriere li aveva accompagnati era riccamente ammobiliata.C’erano enormi poltrone di velluto rosso e grandi specchi con cornici dorate.Tutto era lindo e brillante, neanche un filo di polvere era posato sui mobili.

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I proprietari del palazzo erano ricchi proprietari terrieri; la signora aveva origini nobili e ne andava molto fiera.Era un donnone non indifferente, vestiva sempre riccamente, con lunghe vesti che coprivano il suo enorme corpo.Aveva due figli, una ragazza sposata da poco con un ricco commerciate del paese e un giovanotto che frequentava l’università.La signora parlò a lungo con Betta e, conquistata dalla modestia della giovane, la assunse come cameriera.In quella ricca casa i giorni passarono velocemente.Betta puliva, andava a far la spesa e, qualche volta, dava una mano anche alla figlia della padrona, incinta di quattro mesi.Giovanni il Rosso viveva ora in quella che era stata la casa della nonna.La vecchia era morta e aveva lasciato quella sua unica proprietà al nipote che tirava avanti ormai d’elemosina.Mangiava, infatti, solo quando qualche vicino, impietosito, gli portava un piatto di minestra calda.Spesso Giovanni pensava a Betta.L’aveva incontrata il giorno che lei era andata a far la spesa, e l’aveva trovata invecchiata, triste, e non ebbe il coraggio neanche di salutarla.Lei, d’altronde, quando lo vide si girò dall’altra parte. Della loro amicizia non era rimasto assolutamente nulla.La vigilia di Natale la figlia della padrona mise al mondo un bel bambino.In casa era festa e le visite alla famiglia si erano triplicate.Betta non faceva altro che pulire e cucinare per i molti ospiti.Quando la sera ritornò la calma, mentre la sua padrona era intenta a parlare con la figlia, Betta, curiosa, s’introdusse nella camera dov’era situata la culla del neonato.Vide un bambino grassottello, che tendeva le manine come per afferrare qualcosa.Le lacrime le rigarono il volto; anche lei ora avrebbe potuto avere un figlio, una casa, magari bella come quella della sua padrona.Allungò la mano e, con un dito, accarezzò la guancia del bambino.Era così piccolo, così indifeso e Betta se ne innamorò.Ogni volta che aveva un po’ di tempo libero, correva a vederlo e, qualche volta, lo prendeva in braccio.La padrona era sempre molto gentile con Betta, non la trattava male e, ogni tanto, le regalava i vestiti dismessi della figlia.Non sapeva neanche lei perché ma, a quella cameriera silenziosa e obbediente, si era ormai affezionata.Pensò anche che lei potesse sposare un giovane contadino che lavorava ormai da anni per loro e ne parlò con Don Franco.Il sacerdote rimase molto stupito a vedere l’affetto che la padrona nutriva per la giovane cameriera e, quando Donna Lia gli confidò il suo proposito, Don Franco le prese le mani e, ringraziando il Signore, la benedisse.In una bella giornata di sole, mentre Donna Lia leggeva seduta su una soffice poltrona della sua casa, sentì un rumore dietro le sue spalle.Si girò di colpo e vi trovò Betta tutta imbarazzata.- Signora, mi ha mandata a chiamare? - - Sì. - - Betta, - disse Donna Lia - vuoi sposare Gianni, il nostro contadino, quello che lavora le terre vicino al fiume? È un bravo ragazzo e un onesto lavoratore. Se mi dici di si, farò in modo che tu mantenga il posto con noi e lui lo faccio venire a lavorare in casa. Dimmi, che ne pensi? -

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- Signora, disse Betta tutta imbarazzata, conosco Gianni ed è sicuramente un bravo giovane, ma non credo che vorrà sposarmi, con mio fratello in carcere. Anche se io ci terrei tanto..- Figlia mia, con Gianni me la vedo io. Accetterà, sta tranquilla. Ti farai una famiglia tua e avrai tanti bambini… Domani ti faccio sapere. -Il giorno del matrimonio di Betta pioveva dalla mattina. Lei indossava un semplice vestito bianco, aveva i capelli raccolti e in mano portava un piccolo mazzolino di fiori; il suo sposo, invece, era vestito elegantemente, non era particolarmente bello o giovane, ma in paese, avendo un lavoro sicuro, le comari lo definivano un buon partito.In chiesa era accorsa molta gente, poveri contadini e signori benestanti, tutti incuriositi dal matrimonio.Mancava Donna Lia e la sua famiglia che avevano fatto le felicitazioni a Betta durante la mattinata regalandogli una modesta quantità di denaro.Il matrimonio fu celebrato da Don Franco che, felice come non lo era da molto tempo, si produsse in una predica che lasciò di stucco le molte persone che erano accorse lì: parlò della sposa e delle sue virtù, la definì una persona ammodo e una gran lavoratrice.Quando tutto fu concluso, i due sposini andarono a vivere in una casa non troppo lontana da quella di Donna Lia.Era una casetta piccolina, una stanza e cucina, ma ai due sposi non mancava nulla.Gianni voleva molto bene a Betta, la trattava con tutti i riguardi e, spesso, quando andava in viaggio, le portava piccoli regalini.Anche Betta era sinceramente affezionata al suo sposo. La vita con lui le piaceva, cucinava, puliva e andava a lavorare nella casa della padrona.Unico cruccio dei due sposi era che i figli tardavano a venire, cosa di cui entrambi erano molto dispiaciuti.L’attaccamento di Betta per il nipote di Donna Lia andava intanto aumentando sempre più; quel bambino era per lei un figlio, gli voleva molto bene e spesso, di nascosto, andava a trovarlo.Donna Lia non notò mai nulla di strano nella sua cameriera, anzi, per lei, era una brava ragazza, un po’ sfortunata con quel fratello che si trovava, ma onesta e sincera.Il giorno in cui il nipote di Donna Lia sparì era un giorno di festa.La figlia della signora era andata a pranzare da lei e, come faceva di solito, aveva lascito il bambino a dormire in una cameretta sita al secondo piano.Il pranzo fu molto allegro, Betta portava in tavola prelibatezze su prelibatezze.Si rise, si scherzò e, a pranzo concluso, tutte le persone presenti si ritennero soddisfatte.Quando la giovane mamma andò a trovare il bambino, la culla era vuota e di suo figlio nessuna traccia.Iniziò a piangere e a gridare; accorsero tutti i parenti, furono chiamati i carabinieri.Il maresciallo Piepoli, colpito molto dalla notizia, anche perché era da parecchio tempo che a Palagiano non succedeva nulla, mandò i suoi uomini a perlustrare la campagna circostante.Del bambino non c’era nessuna traccia, nessuno aveva visto nulla.In paese la notizia suscitò molto scalpore; tutti conoscevano Donna Lia e la sua famiglia.Si formularono mille ipotesi, si parlò di Betta, del marito; Antonio e Sara erano sconvolti come il giorno della sparizione della figlia.Avevano visto quel giorno passare Betta con una gran cesta, ma la cosa non gli parve strana, dato che lo faceva spesso.La figlia di Donna Lia fu ascoltata per molte ore dai carabinieri.Gli chiesero se avesse nemici, se avesse fatto qualche dispetto a qualcuno.Dall’interrogatorio non emerse nulla.La sera era ormai giunta quando Betta, anche lei interrogata, tornò a casa.

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Il marito la aspettava con ansia, era da parecchio tempo che non si vedevano.- Betta, che ne pensi? Io non ci capisco nulla… Mi hanno interrogato, mi hanno fatto mille domande, che ne so io del bambino! -- Anche a me è successa la stessa cosa, ti capisco. Sicuramente la signora aveva nemici, con tutte le arie che si da! -- Non lo so, a me mi hanno trattato sempre bene, quando era il momento di pagare, pagavano. Non mi hanno mai rimproverato senza motivo. Degli altri dipendenti non so nulla ma, se non mi sbaglio, hanno tra le persone assunte anche qualche brutto ceffo… - disse Gianni grattandosi la testa.Betta era molto pallida, sembrava scossa dalle vicissitudini della giornata.Il marito notò quella sua stanchezza.- Betta, forse è meglio che ti corichi un po’, ti vedo molto pallida! Ti sei stancata oggi, va a riposarti. Io mi farò qualcosa da mangiare, non preoccuparti. -- Hai ragione, è meglio che mi corico un pochino, sono veramente stanca. -Betta, in silenzio, s’infilò sotto le coperte senza neanche togliersi il vestito.L’alba arrivò ben presto, e sia Gianni che Betta si alzarono che non era ancora giorno fatto.Il giovane andò a lavorare e Betta, rimasta sola, si vestì in fretta.Faceva ancora molto freddo quando uscì da casa.Portava un semplice vestito nero e in testa aveva un fazzoletto con i fiori, dono del marito.Camminava velocemente, senza guardare dove metteva i piedi.Giunse ad un piccolo fiume che scorreva nelle vicinanze del paese.Lì, nascosta in un cespuglio, c’era una grossa cesta.Betta la prese e, tolta la tovaglia che la copriva, guardò dentro.Un bambino, ancora vivo, piangeva disperatamente, agitando le manine.Betta lo prese in braccio, lo cullò, gli cantò una triste canzoncina.Sola in quel posto, Betta si sentì, per la prima volta in vita sua, madre.Senza pensare a nulla, con il bambino in braccio, entrò nell’acqua gelida del fiume.Non riusciva a sopportare che il neonato piangesse: con lei doveva per forza essere felice e, preso il bambino per i piedi, lo immerse nell’acqua a testa in giù.Senza far alcun rumore, Giovanni il Rosso si avvicinò alla giovane donna.Quella mattina era uscito molto presto in cerca di qualcosa da mangiare.Girava nelle terre da molto tempo quando sentì il pianto disperato di un bambino.Guardò verso il fiume e vide Betta che, bianca come un fantasma, immergeva il bambino nel fiume.Senza pensarci due volte, Giovanni le strappò il bambino dalle mani e lo posò, con molta delicatezza, sulla sponda del fiume.Non distolse mai lo sguardo da Betta e, allungando le mani, senza dir nulla, senza alcuna espressione, la soffocò.Rimase molto tempo lì fermo, vegliò il cadavere di Betta per tutta la giornata.Non pensò a nulla, non chiamò aiuto.Il suo cuore batteva lentamente, la sua mano stringeva la manina del bambino.Lo trovarono lì fermo che era ormai sera inoltrata.Non disse nulla e si lasciò arrestare senza opporre resistenza.

Capitolo 5

Quando Gianni seppe della morte della moglie, iniziò a piangere e a urlare.

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Le voleva molto bene, l’amava con tutto sé stesso.Diceva a quelli che erano andati a portargli la notizia: - Mia moglie era una persona eccezionale! Avrà scoperto Giovanni con il bambino, non ha avuto pietà, l’ha uccisa come se niente fosse... –Le lacrime rigavano il suo volto, stringeva le mani quasi fino a farle sanguinare.Faceva pena a vederlo, un uomo distrutto.- Non lo perdonerò mai! Dovevano arrestarlo prima, è pazzo, non potevano farlo girare liberamente. Ora se ne rendono conto! Ora che ha ucciso la mia povera Betta! Quanto bene voleva a quel bambino, come se fosse figlio suo! Spero che quel delinquente marcirà in carcere, non devono farlo uscire più! La mia povera moglie… quanto era buona e dolce! -Nessuno riusciva a consolare Gianni, pianse disperato per molto tempo.Il bambino fu portato alla madre dal maresciallo Piepoli.Quando la signora rivide suo figlio, si sciolse in lacrime.- Dov’era? - domandò piangendo al maresciallo - Chi l’ha portato via? -- Supponiamo che sia stato il Rosso. Betta, poverina, deve averlo visto al fiume col bambino e lui, per non farla parlare, l’ha uccisa. -- Quella povera ragazza, era tanto buona! E come ci teneva a mio figlio! Difficilmente troveremo una cameriera tanto onesta. La mamma stravedeva per lei, non faceva altro che parlarne! -- Anche io sono molto dispiaciuto della morte di Betta… Giovanni non le ha dato via di scampo. Sicuramente la odiava da molto tempo, sicuramente era complice del fratello di Betta... Dovevamo arrestarlo subito, ma non c’erano prove a suo carico. Ma ora rimarrà in galera per molto tempo, quel criminale! -- Sono contenta che non abbia fatto in tempo a far del male al mio bambino! Meno male che l’avete trovato subito! -- Era lì fermo, affianco al cadavere di Betta, - disse Piepoli - la guardava senza dir nulla, sembrava che la vegliasse. Quando ci ha visti, non ha provato nemmeno a scappare, non ha detto neanche mezza parola. Si è fatto mettere le manette e ci ha seguito senza opporre resistenza. Ora signora devo andare, abbiamo molti impegni e, mi raccomando, non lasci più il bambino da solo, non si può mai sapere! -Il processo fu celebrato in fretta, Giovanni non disse nulla a sua discolpa.Stava lì, impalato, ascoltando a bocca aperta quello che si diceva durante il processo.Tutto il paese era andato ad assistere alla causa; Antonio e sua moglie erano seduti in prima fila.Guardavano Giovanni con odio, lo ritenevano colpevole della morte della figlia.Furono felici, quando a Giovanni diedero vent’anni di carcere.In paese non si parlava d’altro; Don Franco, sconvolto dalla morte di Betta, andava spesso a trovare Gianni.Con il rosario in mano, si sedeva nella povera casetta del contadino e parlava della defunta, come se fosse ancora viva.Narrava del giorno in cui era andata in chiesa per la prima volta dopo tanto tempo, della sua bellezza e della grande onestà.Insieme a Gianni ricordava il tempo in cui lavorava dalla signora Lia; Betta era proprio una brava ragazza e il parroco non la finiva più di vantarla.Il dolore di Gianni passò in fretta; un giorno di Settembre, quando ancora l’aria era calda, sposò una contadina di Massafra che gli diede molti figli e, si può dire, che passò una vita felice.Le giornate di Giovanni erano sempre identiche.In prigione non c’è molto da fare.Si svegliava la mattina presto e passava il tempo cercando di imparare a leggere.

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Era sempre gentile con tutti, mai Giovanni aveva avuto a che ridire con le guardie o con gli altri prigionieri.C’era anche chi lo trovava molto simpatico e credeva nella sua innocenza; tutti, infatti, sapevano la storia della sua conoscenza con Betta.Passarono gli anni, Giovanni il Rosso imparò a leggere e a scrivere e, dopo aver ottenuto la licenza elementare, decise di continuare gli studi.Gli piaceva molto studiare, iniziò a capire molte cose della vita e il giorno in cui prese il diploma tutti i carcerati gli fecero festa.Ora Giovanni era geometra; una volta uscito, se qualcuno lo avesse aiutato, avrebbe svolto quella professione.La sua condotta fu esemplare, mai un litigio, mai un diverbio, passava il tempo chino sui libri e la pena gli fu notevolmente abbreviata.Quando uscì di galera nessuno oramai si ricordava di lui.Andò, per prima cosa, a Palagiano e, seduto in un bar fu preso per un gran signore, dai modi molto raffinati e dalla notevole cultura.Passò da quella che era stata la sua casa, e gli occhi gli brillarono di lacrime alla vista del portone sgangherato.Si ricordò di sua nonna, della sua famiglia, di Betta, che ferma immergeva il bambino nell’acqua come se niente fosse.Il ricordo era molto penoso, l’aveva soffocata per impedirle di fare ancora del male.Quella donna era per lui la cattiveria in persona; non aveva riflettuto un momento e, quando lei aveva cessato di vivere e i suoi occhi si erano chiusi per sempre, lui aveva tirato un sospiro di sollievo.Ora, passati molti anni, pensava a lei con un sentimento misto di pena e d’amore.Forse, e se ne rese conto in quel momento, l’aveva amata, forse aveva voluto bene a Betta più di quanto credesse.Quando aveva saputo del suo matrimonio, Giovanni era rimasto sconvolto: non immaginava mai che qualcuno potesse ancora sposarla, così trascurata e invecchiata com’era.Si allontanò dalla casetta, col cuore gonfio si rese conto che Palagiano non faceva più per lui.Andò alla fermata dell’autobus e salì sul pulman che l’avrebbe condotto a Roma.Man mano che il paese spariva, Giovanni si rasserenava; aveva ancora molta strada da fare, molte persone da conoscere e, un giorno, sarebbe ritornato nel luogo dov’era nato.Quando giunse a Roma era notte ormai inoltrata.La città eterna lo colpì con le sue bellezze, con i suoi monumenti e le enormi vie piene d’alberi.Passò la notte camminando per le vie della città, solo con i suoi pochi bagagli nelle mani.Quando giunse l’alba, il cielo si tinse di rosa.Le case, i volti dei pochi passanti, gli alberi riflettevano il colore del cielo.Mai Giovanni aveva visto nulla di simile e tutto gli parve meraviglioso: Roma sarebbe stato il posto in cui avrebbe iniziato una nuova vita.Trovò lavoro non senza difficoltà e s’impegnò come mai aveva fatto prima.Era un dipendente solerte, sempre pronto, sempre disponibile.Mai una volta giunse in ritardo; si guadagnò la fiducia e la stima dei superiori e il rispetto di quelli che da lui dipendevano.Viveva in una linda casetta di proprietà di una ricca famiglia di Milano che passava a Roma il periodo estivo.Giovanni non fece molte amicizie; oltre ad avere discreti rapporti con i padroni di casa, si vedeva solo con qualche collega e con qualche cliente della società presso la quale lavorava.

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Quando lo invitavano ad una festa indossava il suo miglior vestito e, come un gran signore, si recava nella casa indicata, né troppo tardi né molto presto.Nonostante non fosse più giovane, era diventato un buon partito.Molte signorine lo corteggiavano e le madri di famiglia lo adulavano.Giovanni, però, non era molto felice: la sua nuova vita gli piaceva, anche il suo lavoro lo interessava, ma i ricordi e i lunghi anni di carcere erano un passato non facile da dimenticare.Spesso pensava al suo paese, a suo padre e alla sua matrigna, ormai morti da anni.Quando era solo in casa, leggeva o scriveva; gli era venuta la mania di scrivere, raccontava della sua vita e delle sue esperienze, parlava anche di Betta, della sua casa, del tempo in cui era stato legato nell’ovile.Nessuno a Roma conosceva il suo passato, si diceva che in precedenza aveva vissuto in una grande città, si sussurrava che possedesse enormi proprietà.Lui non diceva mai nulla, non gli piaceva parlare della vita passata.Ora nessuno rideva più di lui, nessuno lo additava più quando passava.Portava i capelli sempre lunghi, legati in un semplice codino.Il rosso della chioma si era ormai sbiadito, l’unica cosa che era rimasta invariata era il suo sguardo, sempre mite, sempre rivolto verso il basso.Conobbe, ad una della feste in cui si era recato, una signorina ben educata, di bell’aspetto.Aveva gli stessi occhi di Betta e lui, senza pensarci, iniziò a frequentarla.La sera spesso suonava al campanello della casa in cui Luisa viveva con i genitori e con il cuore in gola, saliva gli scalini che lo portavano alla porta della ragazza.Quando era con lei cercava d’essere amabile, spesso le portava regalini e, le rare volte in cui rimanevano da soli, le parlava a bassa voce del suo affetto per lei.Il matrimonio fu fissato per la primavera e così, in una bella giornata di sole, Giovanni prese moglie.Il matrimonio era felice; i due sposi vivevano d’amore e d’accordo ma ben presto Giovanni si rese conto che qualcosa mancava in quell’unione.La nostalgia del suo paese si fece sentire molto forte e un giorno Giovanni, preso il coraggio a due mani, disse alla moglie: - Luisa, ho un affare da sbrigare lontano da Roma, mancherò per un po’ di tempo. Tu puoi andare da tua madre, se non vuoi rimanere sola. -- Dove devi andare? - chiese Luisa - Perché non posso venire anch’io? -- Mi allontano per lavoro, sarò occupato per molto tempo… Tu rimarresti sola, non ti conviene venire con me. -- Va bene - sospirò la donna - andrò forse a stare da mia madre che è da parecchio che non la vedo. Tu, però, devi promettermi che quando torni, mi porti qualche regalo. Sai che ci tengo, non te ne scordare. -- Luisa, ti porterò qualcosa di molto carino, sarà una vera sorpresa per te. Tu, piuttosto, ricorda a tua madre di fare quella torta che a me piace tanto. È da parecchio che non la fa e, solo al pensiero, ho l’acquolina in bocca! -- Va bene, - disse Luisa - al tuo ritorno troverai la torta. -Giovanni partì il giorno dopo; portò con sé pochi bagagli e, vestito come un gran signore, giunse a Palagiano.Alloggiò nell’unico albergo del paese; usciva spesso, soprattutto di sera, faceva lunghe passeggiate, guardava tutti i posti in cui era stato in precedenza.Nessuno lo riconobbe e lui non disse a nessuno il suo nome.Il paese era rimasto come lui lo ricordava, la sera la gente si sedeva sempre fuori a chiacchierare e le voci risuonavano allegre nell’oscurità della notte.L’aria profumava di fiori e le piccole casette si accendevano della luce che da poco era stata messa.

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In quel posto Giovanni si sentiva felice. Ora che i ricordi lo tormentavano un po’ di meno, poteva visitare anche la casa che era stata di Betta e del fratello.La casetta era abbandonata, ovunque cresceva erbaccia e l’ovile era quasi crollato.Giovanni passò molto tempo in quel posto, chiuso nei suoi ricordi, contento di essere tornato.Luisa, nel frattempo, sola in casa, pensava a suo marito. Gli voleva bene, ma non l’amava ardentemente.Era stato un matrimonio di convenienza, voluto dalla sua famiglia e lei aveva accettato per non contraddire i suoi genitori.Con Giovanni si era trovata bene, non le mancava nulla, aveva tutto quello che voleva.Certo è che avrebbe preferito un marito più giovane, più simpatico, come quell’ufficiale che aveva conosciuto il giorno prima al compleanno di sua sorella.Luisa, sola in casa, rovistò nella camera di Giovanni.In un cassetto della scrivania del marito, nascosto in fondo, trovò un quaderno tutto liso. S’incuriosì e, seduta su un divano, iniziò a leggere.Era il manoscritto a cui Giovanni si era dedicato per molto tempo, lasciato lì per dimenticanza o per sbadataggine.Luisa leggeva, leggeva senza mai fermarsi.Passò molto tempo e, quando sollevò la testa dallo scritto, il suo volto era cambiato.Lei, una signorina di buona famiglia, che avrebbe potuto sposare un gran signore, moglie di un carcerato, accusato d’omicidio!Scoppiò in un pianto disperato e, non sapendo cosa fare, con le lacrime che ancora le rigavano il volto, rimise il manoscritto nel posto in cui l’aveva trovato.

Ora aveva orrore del marito, così vecchio, così poco attraente, un assassino per giunta.Si vestì in fretta e, con i capelli sciolti, come una pazza corse dalla madre e le narrò tutto.La signora, con molto buon senso, ascoltò tutto quello che la figlia le raccontava, mentre parlava senza interrompersi un secondo, con le lacrime agli occhi, torcendosi le mani.- E’ un assassino, mamma, ho sposato un delinquente! Non so che fare, aiutami, non voglio più rimanere con lui! -- Figlia mia, non dire certe cose neanche per scherzo! Hai sposato un gran signore, quello che ha fatto in precedenza non ha importanza, certe cose non le devi neanche dire e, poi, nessuno sa nulla. Tu hai letto qualcosa che lui, preso dalla mania di scrivere, può avere anche inventato. -- Ma mamma, pensaci, non ha parenti, non conosce nessuno della sua famiglia, nessuno lo viene a trovare o gli scrive mai. Ora ho paura di lui… Voglio lasciarlo, tu mi devi aiutare.- - Non puoi coprire casa nostra di vergogna! Non dire sciocchezze, torna a casa tua a fa felice tuo marito! - disse la madre con aria di una che non accettava repliche.

Capitolo 6

Giovanni tornò a casa di mattina presto; l’aria era fresca e Roma era ancora soffusa dei colori dell’alba.Quando entrò in casa, trovò la moglie ancora addormentata e, per fargli una sorpresa, lasciò il dono che le aveva comprato sul cuscino e, silenziosamente, uscì.Luisa si svegliò a giorno inoltrato, di mal umore, come spesso le accadeva.Si stropicciò gli occhi e notò sul cuscino un pacchetto incartato.Capì che il marito era tornato e, aprendo il regalo con disgusto, vi trovò un bell’anello.

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La cosa però non le fece piacere: aveva deciso di rimanere con Giovanni perché non poteva fare altro.La famiglia non l’avrebbe appoggiata, anzi la madre l’aveva minacciata di ripudiarla.Si alzò di mala voglia e, dopo essersi vestita e pettinata, aspettò il ritorno del marito.Quando Giovanni tornò a casa trovò la sua signora notevolmente diversa; non l’accolse con un sorriso, com’era solita fare, né gli saltò al collo per ringraziarlo del regalo.Con aria laconica, si limito a chiedere: -Com’è andato il viaggio? Tutto bene? -

- Sì, - rispose Giovanni un po’ stupito - tutto bene. Tu sei stata da tua madre? -- No, sono rimasta a casa. Ti ho aspettato tutto questo tempo, sola, ma tu non t’interessavi a me! -- Non è vero, sono tornato il prima possibile. - balbettò Giovanni, stupito oltre misura.Non capiva che aveva sua moglie, sempre così dolce e carina.- Ti sei annoiata da sola? Ti sono un po’ mancato? -- Certo che mi sono annoiata, nessuno è venuto a farmi visita! - e scoppiò a piangere.Giovanni era stupito, arrivò a pensare che la moglie fosse incinta e, dolcemente, le chiese: - Luisa, c’è qualcosa che non va? Aspetti un bambino, forse? -Luisa sollevò di scatto la testa: gli stessi occhi di Betta fiammeggiavano.- Non dire sciocchezze! Sono stata poco bene, ho avuto dolor di testa molto spesso e ora ritengo opportuno che io e te dormiamo in camere separate, per un certo tempo. -- Va bene, farò come vuoi tu, non preoccuparti. -- Il tuo lavoro è andato bene? Te lo dicevo, dovevi portarmi con te! Ma tu non hai voluto, avevi da fare... -- Non potevo portarti cara, lo sai. -- Ora scusami, - disse Luisa - vado a casa di mia madre, ci rivediamo tra qualche ora. -Giovanni non ci capiva niente; la sua Luisa era diversa, cambiata, la trovò decisamente più fredda, ma attribuì il tutto alla sua lunga assenza e alla noia.Decise di portare la sua sposa ad ogni festa in cui era invitato, per farla distrarre, per farle fare amicizia.Luisa non diceva mai di no; si vestiva scegliendo abiti molto costosi e molto appariscenti, cosa che prima non faceva, e si truccava con cura.Quando entrava in una sala tutti si voltavano a guardarla, trovandola molto bella.Luisa aveva fatto molte amicizie, le signore se la contendevano e i giovanotti erano con lei molto galanti.La invitavano a ballare e lei, volteggiando come una piuma, tra le braccia di qualche damerino, appariva al marito radiosa come non lo era mai stata.Spesso Luisa la sera usciva senza il marito, adducendo come scusa quella di andare a trovare le amiche.Giovanni non diceva mai nulla, la lasciava fare, ma molte chiacchiere giunsero alle sue orecchie.Si diceva che ci fosse del tenero tra Luisa e il figlio di un ricco industriale conosciuto ad una delle tante feste.Giovanni, triste e stanco, smise ben presto di accompagnare la moglie e, un giorno che lei tornò più tardi del solito, quando ormai l’alba era arrivata, Luisa trovò il marito dietro la porta, seduto su una sedia, ad aspettarla.- Luisa, - disse con calma Giovanni - ho bisogno di parlarti. Ti trovo diversa, cambiata e poi dicono di te… -Non finì di parlare che Luisa iniziò ad urlare, stravolta.- Nessuno può dire niente di me! Sono invidiosi della mia bellezza e della mia giovinezza, non devi credere a queste chiacchiere! -- Ma Luisa, ti rendi conto che è l’alba? Sei stata fuori tutta la notte, io non so come fare con te... -

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- Sta zitto, delinquente, assassino! - sibilò Luisa – Vattene, mi fai schifo! -Giovanni sbiancò di colpo: il mondo gli cade addosso in un momento, capì che sua moglie sapeva tutto.Si ricordò del suo manoscritto, delle cose che, senza pensarci, aveva narrato.Non poteva negare e non poteva dire che fossero tutte invenzioni.Non ci voleva nulla alla moglie per informarsi.Rimase in silenzio, mentre Luisa, bianca come una morta, continuava a parlare con cattiveria: - Quando ho letto quello che hai scritto, avrei voluto lasciarti, ma mia madre me lo ha impedito! Ti odio, mi fai schifo! Ti sei presentato come una brava persona, invece le tue mani sono lorde di sangue! Ho paura a stare con te e tu pensi al fatto che io esco, che ho gli amici? Tu non puoi parlare, non puoi neanche nominare le mie conoscenze, non ne hai il diritto! Sei una nullità, ti disprezzo con tutto il cuore! -- Ma Luisa, non dire così… Io ti ho voluto sempre bene, non puoi lasciarmi, andare via senza darmi alcuna speranza! Io ci tengo a te, sei tutto quello che ho… -- Sta zitto mostro! Non andrò via, ma con te non voglio avere più nulla a che fare. Dormiremo sempre in camere separate e tu non potrai dir nulla della mia vita e delle persone che frequento. -Giovanni non voleva perderla, ci teneva molto a lei e quella soluzione, pur di non vederla andar via, gli sembrò accettabile; poi forse, con il tempo, le cose si sarebbero potute sistemare.Iniziò una nuova vita per Giovanni; lavorava più del solito e, quando tornava a casa, trovava la moglie intenta a prepararsi per uscire.Non le diceva nulla, non aveva neanche il coraggio di parlarle.Una sera, quando Giovanni tornò a casa, stanco della giornata lavorativa, trovò Luisa in cucina, seduta ad aspettarlo.- Giovanni, - disse lei - ho da dirti una cosa. - E, senza perdere tempo in inutili preamboli, disse che era incinta.- Luisa, - disse Giovanni - ma non può essere mio figlio! Avrei tanto voluto che lo fosse… - bisbigliò.La moglie, con fare sprezzante, sorda alla dolcezza con la quale il marito aveva parlato, continuò: - Mio figlio, quando nascerà, si chiamerà Luigi. Sono sicurissima che è maschio, già gli voglio bene. Tu non avrai nulla a che fare con lui, non voglio che ti chiami neanche padre. Non lo devi neanche toccare! -Giovanni piangeva, la notizia l’aveva sconvolto.La sua Luisa avrebbe avuto un bambino, lui l’avrebbe visto crescere e questo gli bastava.La gravidanza procedeva regolarmente e molte persone venivano a congratularsi con i due sposi.Alla presenza della gente Luisa era più che amabile con il marito ma, quando tutti andavano via, tornava in camera sua e, chiusa a chiave, vi passava la notte.Il giorno in cui Luisa partorì, Giovanni era andato al lavoro e tornò solo a sera inoltrata.La mamma di Luisa lo attendeva nel salone e, appena lo vide, gli fece le sue congratulazioni.Il poverino volle allora vedere il bambino e la signora, anche se riluttante, lo introdusse nella camera della moglie.Luisa giaceva a letto, con il volto pallido e i capelli arruffati.A fianco al comodino c’era una culletta.Giovanni, senza pensarci due volte, si avvicinò al neonato e, guardatolo a lungo, disse ad alta voce, come soprappensiero, che era la cosa più bella che avesse mai visto.Avrebbe voluto tanto prenderlo in braccio ma lo sguardo della moglie, la sua aria cattiva, lo fecero desistere.

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Il bambino era bellissimo, sempre allegro, sempre giocherellone e cresceva che era una bellezza.Luigi non aveva paura di Giovanni; spesso gli si arrampicava sulle gambe e, con le sue braccine, si stringeva a lui.Luisa non poteva fare nulla per impedirglielo, il bambino era troppo piccolo per obbedire e per capire.Quando il bambino poté rimanere da solo con la governante, Luisa riprese ad uscire.Non era più bella come prima, le sue linee si erano arrotondate e questo a lei non andava bene per niente.Prese a stringersi in corsetti improbabili, ad indossare abiti assurdi.Era la caricatura della donna che un tempo era stata.Il marito la vedeva cambiare giorno per giorno, la vedeva involgarirsi, carica di trucco: gli sembrava una maschera.La sera Luisa tornava sempre più tardi, a volte ubriaca, altre Giovanni sentiva chiaramente voci d’uomini entrare in camera sua.Non poteva dire nulla, non poteva ribellarsi, aveva paura che lei portasse via il bambino.Il giorno di Natale Giovanni aspettò invano che la moglie si svegliasse e, visto che lei tardava, mandò la cameriera a chiamarla.La giovane scese le scale, bianca come un cencio e, balbettando, disse a Giovanni che la signora era riversa sul letto, mezza nuda e con un profondo taglio alla gola.Vennero di nuovo i carabinieri a sconvolgere la vita di Giovanni.S’indagò, scoprirono facilmente che Luisa si prostituiva, trovarono testimoni che giurarono d’averla vista quella notte entrare in casa con un giovane.Anche la cameriera di Giovanni confessò che quella sera aveva spiato la sua padrona, e quando era tornata a casa aveva visto salire con lei un ragazzo vestito molto elegantemente.Conclusero che Luisa fosse stata uccisa da uno dei molteplici uomini che trattava.Una sera d’inverno, Giovanni, con il piccolo Luigi seduto sulle ginocchia, pensava alla sua vita, alle sue esperienze, a Betta.Le ore passavano velocemente e, quando il bambino si addormentò, Giovanni chiuse gli occhi per sempre.La cameriera trovò Giovanni e il bambino addormentati; provò a svegliare il suo padrone, ma non ci fu nulla da fare.La mamma di Luisa rifiutò di crescere il bambino che finì in un orfanotrofio abbastanza dignitoso.Il bambino cresceva ombroso, chiuso, raramente scambiava qualche parola con qualcuno.Spesso, quando i suoi insegnanti volevano offenderlo, gli parlavano della mamma chiamandola puttana, senza fare troppi misteri.Luigi non capiva nulla, ma quella parola gli pareva brutta e misteriosa.Il giorno che raggiunse la maggiore età iniziò a lavorare da un falegname.Parlava poco, ma lavorava molto, tanto che il padrone prese, ben presto, a volergli bene.Di suo padre e sua madre Luigi non parlava mai, anche se il suo datore di lavoro si faceva a volte insistente.Luigi sposò Annina, l’unica figlia dell’anziano falegname e, alla morte dell’uomo, ereditò la bottega che, anche grazie a lui, era molto ben avviata.Un giorno Luigi e sua moglie decisero di andare a Palagiano, il paese del padre.Presero di buon’ora il treno e, dopo molte ore di viaggio, giunsero al paese.Palagiano gli fece una strana impressione: ovunque casette basse, addossate le une sulle altre, le donne poi erano sedute in piccoli gruppi davanti alle porte aperte.Ovunque si sentiva parlare, ridere, scherzare.

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Parecchie anziane stringevano tra le mani lavori a maglia o all’uncinetto e le giovinette, vestite poveramente, parlavano di cose importanti come se fossero adulte.Luigi e la moglie chiesero a molta gente se si ricordassero di suo padre Giovanni; solo un vecchietto si ricordò di lui e non ne disse gran bene, anzi narrò al giovane dell’omicidio compiuto da suo padre, dei lunghi anni di galera e aggiunse che sicuramente in cella c’era morto.Luigi, poverino, non aveva mai pensato una cosa simile e, dato che la moglie lo guardava con aria interrogativa, si fece rosso come un peperone.Scoprì che suo padre gli aveva lasciato una piccola casetta che non era andata alla nonna, come il resto della proprietà.Vi andò con la moglie e su di una tavola trovò un manoscritto tutto impolverato che l’uomo doveva aver portato chissà quando.Si sedette sull’uscio dell’umile casetta e passò molto tempo a leggere.Man mano che andava aventi nella lettura, la fronte gli si corrugava, le mani gli tremavano.Scoprì tante cose, anche di un’eredità che suo padre aveva lasciato per lui in banca.Un conto corrente molto cospicuo era intestato a suo nome.Luigi scoprì così d’essere ricco, lui che da molti anni lavorava duramente per andare avanti.Chiamò sua moglie e le disse dell’eredità che suo padre gli aveva lasciato.Annina quando seppe dell’enorme somma che le spettava, prima sbiancò, poi iniziò a piangere come una bambina, abbracciando tra le lacrime il marito.Tornarono in fretta a Roma e comprarono una casa in pieno centro che fu l’invidia di tutte le amiche della giovane.Luigi non smise di lavorare, continuò a portare avanti la bottega del suocero, orgoglioso di quell’onesto lavoro.Spesso la domenica, quando non aveva nulla da fare, andava a pregare sulla tomba del padre.Di quell’uomo ormai sapeva tutto, sapeva anche di non essere suo figlio, ma gli voleva bene, era affezionato alla sua memoria.Si ricordava ancora di, quando, bambino, gli si arrampicava per le gambe e delle favole che lui gli raccontava.Luigi viveva serenamente, possedeva una bella casa, una brava moglie e il suo lavoro.Una sera, andato ad una festa senza la moglie, conobbe una giovinetta di buona famiglia.Luigi era un uomo serio, una persona rispettabile, ma di quella ragazza se ne innamorò già alla prima occhiata.Le fece la corte per molto tempo, le inviava a casa dei magnifici fiori, le comprava regalini e spesso, quando la incontrava, con modi galanti, le baciava le mani.Annina non era al corrente della passione del marito; certo è lo vedeva un po’ diverso, più distratto e meno affettuoso, ma nel complesso non aveva nulla a che ridire.La passione di Luigi per la giovinetta, che non aveva più di diciassette anni, crebbe con il tempo e diventò un’ossessione.Luigi avrebbe voluto sposarla, questo era il suo maggiore desiderio, ma con la moglie, come fare?Pensò alla cosa per molto tempo; quando tornava a casa si chiudeva in una stanza a riflettere.Che la moglie morisse non c’erano speranze, né credeva di potersi liberare di lei, mandandola semplicemente via.Decise allora di avvelenarla, di somministrarle di nascosto, ogni giorno, qualche preparato che la portasse alla morte.

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Pensò così di metterle nel caffé, che da anni le portava la mattina, un prodotto che aveva in falegnameria e che usava per levigare il legno.Luigi era cambiato da quando aveva conosciuto la ragazza; era più attento nel vestire, si vergognava del lavoro in falegnameria e, spesso, usava arricciarsi i capelli con il ferro della moglie.Era diventato un damerino, sempre attento alle nuove mode e profondo conoscitore dei profumi e dei belletti di cui alcuni uomini erano soliti abbondare.Da quando Luigi amava, pensava spesso a Giovanni il Rosso, all’omicidio che aveva commesso, alla riuscita che aveva avuto ugualmente nella vita.Ora capiva che per amore, si può fare di tutto, anche uccidere.Man mano che la moglie manifestava i sintomi dell’avvelenamento, da lei presi per un’indisposizione di stomaco passeggera, Luigi risorgeva.Era sempre più felice, più contento.In presenza d’Annina si comportava come un uomo triste e sconsolato, afflitto dal dolore di vedere la moglie stare poco bene, ma quando usciva era più brillante del solito.Annina deperiva giorno per giorno, sempre più magra, con il volto scavato e il colorito giallognolo, e non aveva neanche la forza di alzarsi dal letto.Il dottore che la visitò disse a Luigi che molto probabilmente si trattava di tumore, allora lui, alla presenza del medico, scoppiò in un pianto disperato ripetendo tra le lacrime il nome di sua moglie.Il dottore non aveva parole per consolarlo, raramente aveva visto un uomo amare tanto la sua donna.- Le prometto che farò di tutto per salvarla. C’è ancora qualche speranza, qualche strada da percorrere… -- Faccia tutto quello che è in suo potere per aiutare la mia Annina, non baderò a spese! -diceva tra le lacrime Luigi.- Possiamo ancora tentare con un’operazione. La eseguirò il prima possibile, se sua moglie è d’accordo domani la ricovero in ospedale. -Luigi sbiancò di colpo, il mondo gli cadde addosso: se avessero operato sua moglie avrebbero capito tutto! Cosa fare ora? Quale strada percorrere?Quando il medico andò via, Luigi, solo in cucina, preparò alla moglie una camomilla.Senza pensarci due volte, versò nella tazza una quantità enorme di veleno.La camomilla cambiò colore, diventò rosata e assunse un odore strano.Non ci badò per nulla e portò la bevanda ad Annina che, straziata dai dolori, nella speranza di trarne beneficio, iniziò a berla.Le condizioni della donna peggiorarono notevolmente; i dolori diventarono sempre più forti e il vomito toglieva alla poverina anche la forza di respirare.Luigi la vegliò tutta la notte, come ogni buon marito deve fare ma, quando giunse il medico, la trovò ancora viva.- Signora, - disse il dottore - sono del parere che lei debba operarsi ugualmente. -- Voglio morire in pace, non voglio operarmi. -- Signora lei deve operarsi. Oggi stesso si ricovera, lei che ne dice? - E si rivolse al marito, che, livido, non parlava.- Mia moglie può decidere da sola, io voglio fare tutto quello che a lei va bene. -- Non può dire questo! Noi faremo di tutto per aiutare la signora. -- Ma se lei non vuole operarsi… - disse Luigi.- Non è in grado di intendere e di volere e, questo, lei lo deve capire! -Annina fu portata in ospedale; il viaggio la stancò molto.Sembrava che le fosse rimasto veramente poco da vivere.Luigi era in ansia, sperava che la moglie spirasse da un momento all’altro, e anche in quell’occasione non faceva altro che pensare alla ragazza amata.

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Sognava un futuro con lei, voleva sposarla, avere una famiglia con lei.Annina, poveretta, stava passando le pene dell’inferno.Quando il dolore era troppo forte da sopportare, stringeva le mani del marito, sempre seduto al suo capezzale.- Quando sarò morta, giurami che non prenderai moglie, promettimelo! -- Non dire sciocchezze, Annina, tu non morirai affatto. – rispose, addirittura felice, Luigi.La donna lo notò e capì che il marito non aspettava altro, se ne rese conto con certezza.- Ma tu… tu sei felice… tu vuoi che muoia, te lo leggo in viso! Cosa ti ho fatto io? Non mi ami più, lo vedo… - e, tendendo la mano bianca per schiaffeggiare il marito, svenne.Come già aveva fatto suo padre, Luigi avrebbe voluto soffocare la moglie, ma non ci fu il tempo; un infermiere entrò e portò Annina in sala operatoria.Capirono immediatamente che c’era qualcosa che non andava.Furono fatti tutti gli esami del caso e quando Annina si svegliò fu interrogata.Lei stessa riferì dei sospetti che aveva nei confronti del marito e non fu difficile scoprire la passione che Luigi aveva per una giovane signorina.Senza che l’uomo poté mai rivedere sua moglie, fu arrestato e portato in carcere.La vita in galera non fu facile per Luigi; ormai abituato al lusso e consumato dalla sua passione per la ragazza che ora sarebbe stata certamente di un altro, Luigi deperiva.Aveva smesso di mangiare e non parlava con nessuno.Si vergognava di essere in galera e non riusciva a perdonarsi di non aver agito prima e meglio.Poteva uccidere Annina in qualsiasi momento e non l’aveva fatto.Questo non riusciva a perdonarselo.Un giorno di pioggia, quando dalla finestrina con le sbarre non si vedeva altro che acqua cadere dal cielo, Luigi prese le lenzuola del letto e, legatele ad una sbarra della finestra, incapace di andare avanti, s’impiccò.Lo trovarono morto, non si poté far nulla per salvarlo.Della sua dipartita non si dispiacque nessuno; in carcere, come fuori, non era ben voluto.Quando Annina seppe delle morte del marito, scoppiò in un pianto dirotto.A quell’uomo lei aveva voluto veramente bene e non l’aveva assolutamente dimenticato, anzi si era di recente convinta della sua innocenza.Il feretro fu portato al cimitero, dietro la bara c’era solamente Annina che non aveva neanche la forza di piangere.Le poche lacrime che ogni tanto scendevano sul viso si mischiavano con le gocce di pioggia che, copiose, cadevano dal cielo.Luigi fu seppellito accanto a suo padre, la sua tomba affianco a quella tomba.Per molti anni Annina andò al cimitero a portare fiori freschi; rimasta padrona di tutto, aveva passato una vita tranquilla, ritirata.Quando andava a portare i fiori al marito, spesso tornava a casa piangendo.Luigi non era stato, non l’aveva mai avvelenata, ne era convinta.

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