capitolo 1 suono - unipi.it
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Capitolo 1
Suono
Il mezzo che permette la trasmissione della musica e il suono. Il suono consiste nellavibrazione dellāaria: quindi, per comprendere bene il suono, e utile analizzare prima lastruttura dellāaria. Esso e un gas, il che vuol dire che le molecole e gli atomi che lacompongono non sono vicine le une alle altre come accade invece nei solidi e nei liquidi.Ci si e posti il problema di capire come mai queste molecole non sono soggette al principiogalileiano secondo cui ogni oggetto dovrebbe cadere al suolo con la stessa accelerazioneindipendentemente dalle dimensioni e dalla massa. La risposta va trovata nellāestremarapidita di questi atomi e molecole. La velocita media delle molecole a temperaturaambiente e di 400-500 metri per secondo e il cammino libero e 6 Ā· 10ā8 metri: questosignifica che in media una molecola dāaria percorre questa distanza prima di collidere conunāaltra molecola. Lāurto tra esse e completamente elastico, cosicche esso non determinauna diminuzione della velocita.
Possiamo adesso calcolare il numero di collisioni al secondo. La frequenza di collisionee il rapporto tra la velocita media e il cammino libero che corrisponde a circa 1010 collisionial secondo. Dunque, dopo che due molecole si urtano, esse non vanno molto lontano primadi essere urtate nuovamente da altre molecole. Possiamo quindi dire che lāaria consiste inun gran numero di molecole molto vicine tra loro che si urtano continuamente e produconocio che noi percepiamo come pressione dellāaria. Quando un oggetto vibra provoca ondedi pressione nellāaria e tali onde sono percepite dallāorecchio come suono. Il suono viaggiaattraverso lāaria con una velocita di circa 340 metri al secondo: cio non significa peroche ogni molecola si muove nella direzione dellāonda, ma che la perturbazione locale dellapressione si propaga a questa velocita.
Le onde sonore sono un esempio di onde longitudinali: cio significa che le particelledellāaria oscillano lungo la direzione di propagazione. Esse sono determinate da quattrofattori principali:
ā¢ ampiezza: e il āvolumeā della vibrazione che e percepita come rumore;
ā¢ altezza: e la qualita che fa distinguere un suono acuto da uno grave ed e in direttacorrispondenza con la frequenza di vibrazione;
ā¢ timbro: e la qualita che, a parita di frequenza, distingue un suono da un altro, edipende dalla forma dellāonda sonora;
ā¢ durata: e lāintervallo di tempo durante il quale viene emessa lāonda sonora.
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1.1 Lāorecchio umano
Lāorecchio ha il compito di tradurre in stimoli nervosi le variazioni di pressione che locolpiscono. Lāorecchio umano e divisibile in tre parti: lāorecchio esterno, lāorecchio medioo timpano e lāorecchio interno o labirinto.
Lāorecchio esterno
Esso e costituito da una parte esterna visibile di forma ovoidale, detta padiglione, fatta dicartilagine, una media, detta conca auricolare, associata alla messa a fuoco ed allāesalta-zione dei suoni, e una esterna, chiamata anche elica, associata alla separazione spazialeverticale, che ci permette di poter giudicare lāaltezza di una sorgente sonora. La partecentrale spedisce i suoni al canale uditorio, detto anche meato acustico. Esso e un tubolungo circa 2.7 cm e avente diametro pari a 0.7 cm, che termina con una membrana, lamembrana del timpano, sensibile alle onde sonore che vanno a infrangersi su di essa e chedivide proprio lāorecchio esterno da quello medio.
Lāorecchio medio
La membrana del timpano e collegata a tre ossicini, i piu piccoli del corpo umano: ilmartello, con cui e direttamente a contatto lāincudine, e la staffa, che e invece a contattocon il labirinto. Essi formano un sistema di leve di collegamento tra il timpano e unamembrana che copre una piccola apertura presente nellāorecchio interno ,chiamata finestraovale. Queste tre ossa sono contenute in una cavita, la cassa del timpano, che comunicaallāesterno attraverso un piccolo canale lungo 3-4 cm, la tromba di Eustachio, che sboccapoi nella faringe.
Lāorecchio interno
E costituito da un insieme di cavita ossee scavate nellāosso temporale, dette labirinto osseo,allāinterno delle quali sono presenti altre cavita piu piccole, che costituiscono il labirintomembranoso e le cui pareti risultano membranose. Tra le due porzioni di labirinto epresente un liquido, la perilinfa, mentre internamente agli organi del labirinto membranosoe presente un liquido diverso, lāendolinfa. Entrambi i labirinti possono essere a loro voltadivisi in tre parti: una cavita centrale detta vestibolo, tre canali a forma anulare, detticanali semicircolari, che giocano un ruolo fondamentale nellāequilibrio, e un canale aforma di serpente detto coclea o chiocciola. Questāultima ha lo scopo di separare i suoniin diverse componenti di frequenza prima di trasmetterli ai nervi. La coclea, situata inbasso e lateralmente rispetto al vestibolo, sviluppa al suo interno il canale cocleare, cheinizia in corrispondenza del pavimento del vestibolo e si avvolge ad elica, formando circatre giri a partire dalla cassa timpanica fino alla cupola della chiocciola. La chiocciola eformata da una lamina spirale, sottile ed ossea, che attraversa nel senso della lunghezza ildotto cocleare. Dal lato esterno della lamina partono due membrane: quella vestibolareo del Reissner e quella basilare. Entrambe raggiungono la parete laterale del dottococleare. Lāinterno della coclea e quindi diviso in uno spazio al di sopra della lamina diReissner, che corrisponde alla rampa vestibolare, uno al di sotto della membrana basale o
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rampa timpanica ed uno situato in mezzo, chiamato rampa media. Compresa tra la cassatimpanica e la rampa si trova la finestra rotonda, chiusa da una membrana di connettivo,atta a regolare e a garantire la giusta pressione dellāorecchio interno quando si verificanovibrazioni della finestra ovale, che corrisponde alla comunicazione della cassa timpanica conlāorecchio interno. Sulla membrana basilare, rivestita da epitelio, si differenzia lāorganospirale o del Corti, che rappresenta lāorgano acustico vero e proprio, perche contienei recettori dellāudito, e ha una struttura cellulare fatta di un doppio ordine di celluleacustiche ciliate, interne ed esterne, in numero di circa 20.000.
Dunque lāorecchio esterno focalizza e amplifica le onde sonore, che mettono in vibrazioneil timpano auricolare, e le dirige verso lāorecchio medio. Nellāorecchio medio, lāenergia diqueste onde viene trasformata in vibrazioni meccaniche della struttura ossea dellāorecchiomedio (energia cinetica). Uno dei tre ossicini della catena, la staffa, muovendosi avanti eindietro entro la finestra ovale della coclea trasmette lāimpulso cinetico alla perilinfa inessa contenuta; attraverso lāendolinfa del condotto cocleare le onde vengono trasmessedalla rampa vestibolare alla rampa timpanica (e quindi entrano in vibrazione anche lemembrane che separano le rampe, o stanze, della coclea). Il segnale arriva cosı allamembrana basilare, che separa la rampa vestibolare da quella timpanica, e dove si trovalāorgano del Corti. Le cellule acustiche in esso contenute sono in contatto con le cellulenervose che fanno parte del nervo vestibolo cocleare. Di lı il segnale, che nella coclea vienetrasdotto (lāenergia cinetica diventa energia elettro-chimica), giunge allāarea acustica dellacorteccia cerebrale, e poi al lobo temporale del cervello: qui avviene la decodificazionedellāimpulso elettrico, e si giunge cosı alla percezione del suono.
1.1.1 Limitazioni dellāorecchio umano
In musica le frequenze sono misurate in Hertz (Hz). Lo spettro approssimativo dellefrequenze che lāorecchio umano puo udire va da circa 20 Hz fino a 20.000 Hz. Per frequenzeal di fuori di questo intervallo non cāe risonanza nella membrana basilare. Lāintensita del
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suono e misurata in decibel (dB). Zero decibel rappresentano unāintensita di potenza paria 10ā12 watt per metro quadrato, che e quindi in qualche modo il suono piu debole chepossiamo percepire. Aggiungere 10 dB equivale a moltiplicare lāintensita di potenza perun fattore 10. Viceversa moltiplicare lāintensita per un fattore b equivale ad aggiungere2 log10(b) decibel al livello del segnale. Quindi possiamo concludere che la scala permisurare lāintensita dei suoni e logaritmica e n decibel rappresentano una densita dipotenza di 10( n
10)ā12
watt per metro quadrato.
La soglia di udibilita e il livello del suono piu debole che possiamo udire. Il suo valorein decibel varia da una parte dello spettro di frequenze a unāaltra. Le nostre orecchiesono piu sensibili alle frequenze leggermente sopra i 2000 Hz, dove la soglia di udibilitadella maggior parte delle persone e leggermente superiore a 0 dB. A 100 Hz la soglia diudibilita e di circa 50 dB e a 10 Hz e di circa 30 dB. Una conversazione normale avviene acirca 60-70 dB, mentre il bisbiglio e circa 15-20 dB, e la soglia del dolore e a circa 130 dB.
Vi e dunque una relazione stretta, anche se non unāidentita, fra lāintensita del suonoe la percezione di rumorosita. Il grafico seguente, che si deve a Fletcher e Munson,mostra attraverso una serie di curve il rapporto, per tutte le frequenze udibili, tra lapressione acustica e la corrispondente ārumorositaā percepita dallāorecchio, per vari gradidāintensita, dalla soglia di udibilita a quella del dolore. Lāunita di misura per la sensazioneche recepiamo (cioe per la rumorosita) e il phon. Lāascoltatore regola il livello del segnalefino a quando lo si giudica di intensita pari a unāintensita standard di 1000 Hz. Il livellodel phon e definito come livello di pressione del segnale di 1000 Hz della stessa intensita.
Le curve di questo grafico sono chiamate curve isofone.
1.2 Perche le onde sonore
Ci chiediamo perche nella discussione della percezione dellāaltezza usiamo le onde sinusoi-dali. Potremmo ad esempio svolgere questa trattazione utilizzando unāaltra famiglia dionde periodiche? La risposta risiede nello studio dellāequazione differenziale di un moto
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armonico semplice:d2y
dt2= āky
le cui soluzioni sonoy = A cos
ākt+B sin
ākt
o equivalentementey = c sin(
ākt+ Ļ)
Nella figura i parametri sono c = 1, k = 9 e Ļ = 4.Questa equazione descrive i fenomeni elastici, quando un oggetto tende a una posizione
di equilibrio a causa di una forza la cui ampiezza e proporzionale proprio allo spostamentodallāequilibrio. Nel caso dellāorecchio umano tale equazione rappresenta approssimativa-mente il moto di un punto particolare situato sulla membrana basilare o lungo la catena ditrasmissione tra lāaria esterna e la coclea. Ci sono pero tre imprecisioni in tale affermazione:innanzitutto per studiare il moto della superficie della membrana basilare dovremmodisporre di una equazione differenziale di secondo grado, inoltre dovremmo pensare almoto come un moto armonico smorzato, in cui compare un termine di smorzamentoproporzionale alla velocita, che deriva dalla viscosita del fluido in cui ci si trova e dal fattoche la membrana basilare non e perfettamente elastica. Vedremo in seguito che il motoarmonico smorzato e anchāesso sinusoidale ma contiene un fattore che decade rapidamentecon il tempo. Infine lāultima imprecisione consiste nel fatto che per suoni abbastanza fortila forza di richiamo potrebbe non essere lineare, fatto che sembra essere la causa di moltiinteressanti fenomeni acustici.
Osserviamo inoltre che la maggior parte della note musicali non sono costituite dauna singola onda sinusoidale: per esempio, pizzicando la corda di una chitarra si ottieneunāonda periodica che risulta essere la somma di onde sinusoidali di varia ampiezza. Ladecomposizione di unāonda periodica come somma di onde sinusoidali e chiamata analisidi Fourier.
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Capitolo 2
Onde armoniche ed analisi di Fourier
2.1 Moti armonici
Consideriamo una particella di massa m soggetta alla forza di richiamo F verso la posizionedi equilibrio y = 0 e la cui ampiezza risulta proporzionale alla distanza y dallāequilibrio:
F = āky,
dove k e la costante di proporzionalita. Le leggi di Newton ci danno lāequazione
F = ma
dove
a =d2y
dt2
indica lāaccelerazione della particella e t il tempo. Combinando le due espressioni dellaforza otteniamo lāequazione differenziale del secondo ordine
d2y
dt2+ky
m= 0.
Le soluzioni di questa equazione sono le funzioni
y = A cos(ā k
mt)
+B sin(ā k
mt)
Il fatto che queste siano le soluzioni dellāequazione differenziale scritta sopra e la spiegazionedel perche le onde sinusoidali e non qualsiasi altra onda oscillante e periodica siano allabase dellāanalisi armonica delle onde periodiche.
2.2 Corde vibranti
Analizziamo ora il moto di una corda che vibra. Consideriamo una corda ancorata alledue estremita e supponiamo che essa abbia una perlina pesante attaccata nel centro,cosı che la sua massa sia maggiore di quella della corda. Questāultima esercita una forza
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sulla perlina diretta verso la posizione di equilibrio, la cui ampiezza, almeno per piccolispostamenti, e proporzionale alla distanza y dalla posizione di equilibrio:
F = ākyPer quanto visto prima otteniamo lāequazione differenziale
d2y
dt2+ky
m= 0
le cui soluzioni sappiamo essere le funzioni
y = A cos(ā k
mt)
+B sin(ā k
mt)
dove le costanti A e B sono determinate dalla posizione iniziale e dalla velocita dellaperlina.
Se la massa della corda e distribuita uniformemente allora diversi modi vibrazionalisono possibili. Per esempio il punto medio della corda puo rimanere fermo mentre lerestanti meta vibrano con fasi opposte. In una chitarra cio puo realizzarsi sfiorando ilpunto medio di una corda con una mano e pizzicando il resto della corda con lāaltra mano.Lā effetto consiste in un suono allāottava superiore rispetto allāaltezza naturale della corda.Se le due meta della corda vibrano con unāonda sinusoidale pura, allora il moto di unqualsiasi punto, escluso il punto medio, sara descritto dallāequazione
y = A cos(2
āk
mt)
+B sin(2
āk
mt)
Analogalmente se un punto, posto esattamente ad un terzo della lunghezza della corda dauna della due estremita, viene sfiorato mentre si sta pizzicando la corda stessa, si otterraun suono di unāottava superiore rispetto alla sua altezza effettiva e una quinta esattasopra il suono naturale della corda, o equivalentemente con una frequenza che e tre voltequella fondamentale.
Di nuovo, se la terza parte della corda sta vibrando con unāonda sinusoidale pura,allora il moto di un punto non stazionario sulla corda sara descritto dalla funzione
y = A cos(3
āk
mt)
+B sin(3
āk
mt)
In generale una corda pizzicata produrra una miscela di tutti i modi descritti dai multiplidella frequenza naturale, con varie ampiezze.
Le ampiezze coinvolte dipendono dal modo specifico con cui le corde vengono fattevibrare. Per esempio una corda percossa da un martelletto come accade nel pianoforteavra un insieme diverso di ampiezze rispetto a quello di una corda pizzicata. Lāequazionegenerale del moto di un generico punto sulla corda e, almeno in linea teorica,
y =āān=1
(An cos
(n
āk
mt)
+Bn sin(n
āk
mt))
Adesso cercheremo di rispondere alla seguente domanda: come possiamo far vibrare unacorda con un numero diverso di frequenze nello stesso istante? Questo problema haoccupato la mente di molti musicisti e matematici in tutto il XVII e XVIII secolo. Tra imolti che hanno cercato una soluzione ci sono Marin Mersenne, Bernoulli e Jean BaptisteJoseph Fourier.
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2.3 Analisi di Fourier
Discutiamo ora proprio la teoria dellāanalisi di Fourier. Come abbiamo gia accennato essasi concentra sullo studio delle onde periodiche come somma (in genere finita) di seni ecoseni. Le frequenze che entrano in gioco sono interi, multipli della frequenza fondamentaledellāonda periodica e ciascuna di essa ha unāampiezza che puo essere determinata daun intero. Ricordiamo che i suoni emessi dagli strumenti musicali sono il risultato dellasovrapposizione di diversi tipi di onde sonore. Per capire in che modo la teoria di Fouriere strettamente connessa alla comprensione dei suoni partiamo da un esempio. Pensiamodi pizzicare la corda di una chitarra, che iniziera quindi a oscillare e a produrre suoni adiverse frequenze, tutte multiple di una stessa frequenza w detta fondamentale, propriadella corda, che dipende dalle sue proprieta fisiche come lunghezza e tensione. Il suonoemesso dalla corda e dunque descritto da una somma di funzioni periodiche della stessoperiodo T= 1
Ļdel tipo an cos 2ĻnĪø
Toppure bn sin 2ĻnĪø
T.
A meno di unāomotetia, possiamo dunque supporre T = 2Ļ e studiare le principaliproprieta di serie trigonometriche della forma
1
2a0 +
āān=1
(an cosnĪø + bn sinnĪø)
dove an e bn sono numeri reali o complessi e Īø ā R.Prima di dare la definizione di serie e coefficienti di Fourier ricordiamo cosa si intende
per spazi Lp(D).
Definizione 2.3.1. Fissiamo p ā [1,ā[ e un sottoinsieme misurabile D ā RN . Sia Lp(D)lo spazio vettoriale delle funzioni misurabili tali che |f |p e sommabile su D. Lāinsiemequoziente Lp(D)ļæ½ ' si indica con Lp(D).
Definizione 2.3.2. Se f ā L1(āĻ, Ļ) definiamo la serie di Fourier di f la seguente serie:
1
2a0 +
āān=1
(an cos(nĪø) + bn sin(nĪø)) (2.1)
e chiamiamo i numeri
am =1
Ļ
ļæ½ Ļ
āĻcos(mĪø)f(Īø)dĪø, bm =
1
Ļ
ļæ½ Ļ
āĻsin(mĪø)f(Īø)dĪø
coefficienti di Fourier di f .
Per indicare le somme parziali della serie di Fourier di una certa funzione f useremo,nelle pagine succesive, la notazione Sn(f, x) se ci serve valutare la somma in un determinatopunto x, o piu semplicemente Sn, dove non sono necessarie altre specificazioni.
2.3.1 Convergenza della serie di Fourier
Dunque data una funzione in L1 possiamo sempre scriverci i coefficienti di Fourier e laserie di Fourier ad essa associata seguendo la definizione data. Inoltre, come si notera in
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seguito, essendo diretta conseguenza del lemma di Fejer che verra affrontato tra qualchepagina, vale la proprieta:
am = bm = 0 ām ā N =ā f = 0 q.o.
Ci poniamo ora il problema inverso: date due successioni {am}, {bm} ā C quando possiamodire che la serie trigonometrica a0
2+āā
n=1 am cosmx+ bm sinmx e la serie di Fourier diuna qualche funzione f?
Se la serie trigonometrica e uniformemente convergente allora vale quanto appena detto.In caso contrario cercheremo delle condizioni o dei casi particolari in cui cio continua adaccadere.
Partiamo analizzando lo spazio L2(āĻ, Ļ). Ricordiamo che in questo spazio sono definiti
il prodotto scalare naturale f ļæ½ g =ļæ½ ĻāĻ f(t)g(t)dt e la norma indotta ||f ||2 =
āļæ½ ĻāĻ |f |2dt.
Introduciamo la famiglia dei polinomi trigonometrici :
Definizione 2.3.3. Un polinomio trigonometrico e una funzione della forma
P (x) =a0
2+
Nān=1
(an cosnx+ bn sinnx)
dove N ā N+, a0, ai e bi per i = 1, ..., N sono numeri reali o complessi. Si definisce gradodi P il massimo N tale che |an| + |bn| > 0 e indichiamo con ĪN la classe dei polinomitrigonometrici di grado non superiore a N .
Teorema 2.3.1. (Proprieta di miglior approssimazione) Sia f ā L2(āĻ, Ļ) e indichiamocon SN la somma parziale N-sima della serie di Fourier di f, ossia
SN(t) =a0
2+
Nān=1
(an cosnt+ bn sinnt)
Allora si ha
āf ā SNā22 = min
PāĪN
āf ā Pā22 = āfā2
2 ā Ļ[ |a0|2
2+
Nān=1
(|an|2 + |bn|2)]
Il sistema trigonometrico e completo, nel senso che le combinazioni lineari finite dielementi di questo sistema approssimano qualunque funzione di L2(āĻ, Ļ) nel senso dellanorma di L2.
Teorema 2.3.2. Per ogni f ā L2(āĻ, Ļ) e sia SN la somma parziale N-sima della seriedi Fourier di f. Allora
limNāā
ļæ½ Ļ
āĻ|f(x)ā SN(x)|2dx
Enunciamo ora un noto teorema sulla convergenza puntuale delle serie di Fourier sottoopportune ipotesi:
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Teorema 2.3.3. (di Dirichlet) Sia f : R ā R una funzione periodica di periodo 2Ļ taleche |f |2 sia sommabile in (āĻ, Ļ). Se in un punto x ā [āĻ, Ļ] esistono finiti i limiti destroe sinistro di f :
f(x+) = limhā0+
f(x+ h), f(xā) = limhā0ā
f(xā h)
ed esistono finite anche la derivata destra e la derivata sinistra di f :
fā²(x+) = lim
hā0+
f(x+ h)ā f(x+)
h, f
ā²(xā) = lim
hā0ā
f(x+ h)ā f(xā)
h
allora la serie di Fourier di f e convergente nel punto x e si ha
1
2a0 +
āān=1
(an cosnx+ bn sinnx) =f(x+) + f(xā)
2
.
Dirichlet si pose il problema se la serie di Fourier di una qualunque funzione integrabileo almeno continua convergesse: egli riteneva che la risposta a questa domanda dovesseessere affermativa. Durante tutta la prima meta dellāOttocento questa idea fu supportatanel corso dagli anni da altri matematici come Riemann, Weierstrass e Dedekind. Ci fudunque un enorme stupore quando Du Bois-Reymond esibı un controesempio che noi cilimiteremo ad enunciare sotto forma di teorema.
Teorema 2.3.4. Esiste una funzione f : R ā R continua e 2Ļ-periodica, tale che
limnāā
supxā[āĻ,Ļ]
|Sn(f, 0)| = ā.
Un teorema di rilievo su questo argomento e stato fornito dal matematico Fejer. Lāideasulla quale si baso fu che se la somma parziale sm definita da
sm(Īø) =1
2a0 +
mān=1
(an cosnĪø + bn sinnĪø)
converge, allora le corrispondenti medie aritmetiche
Ļm(Īø) =s0 + . . .+ sn
m+ 1
convergono allo stesso limite. Puo capitare invece che Ļm converga senza che sm converga.Questāidea era gia presente prima che Fejer si avvicinasse a tale problema. Era gia statausata da Eulero e approfondita da Cesaro e infine prese il nome di sommabilita di Cesaro.
Definizione 2.3.4. Una serie di Fourier si dice sommabile secondo il metodo di Cesaro,o Cesaro-sommabile, se esiste finito il limite
limmāā
Ļm(x).
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Sappiamo che la somma parziale puo essere espressa nel seguente modo
sm(x) =1
Ļ
ļæ½ Ļ
āĻf(Īø)Dn(Īø ā x)dĪø
dove Dn(Īø) e il nucleo di Dirichlet. Possiamo allora riscrivere la somma di Cesaro nellaforma
Ļm(x) =1
Ļ
ļæ½ Ļ
āĻf(Īø)
1
m+ 1
nāk=0
Dk(Īø ā x)dĪø =1
Ļ
ļæ½ Ļ
āĻf(Īø)Km(Īø ā x)dĪø
dove
Kn(u) =1
n+ 1
nāk=0
Dk(u).
Dunque
Ļm(x) =1
Ļ
ļæ½ Ļ
āĻf(x+ u)Km(u)du.
La funzione Km(u) prende il nome di nucleo di Fejer.Poiche
Dm(u) =sin(m+ 1
2)u
2 sin u2
=cosmuā cos(m+ 1)u
4 sin2 u2
si ha
Km(u) =1
m+ 1
māk=0
cos kuā cos(k + 1)u
4 sin2 u2
=1ā cos(k + 1)u
(m+ 1)4 sin2 u2
=
=1
2(m+ 1)
(sin(m+ 1)u
2
sin u2
)2
.
Riusciamo adesso a dare alcune proprieta del nucleo di Fejer:
1. Km(u) ā„ 0.
2. Km(u) ā¤ 12(m+1) sin2 u
2
ā¤ Ļ2
2(m+1)u2 per 0 < |u| ā¤ Ļ.
3. Km(u) ā¤ Ļ2
2(m+1)Ī“2per 0 < Ī“ ā¤ |u| ā¤ Ļ e dunque, ponendo
Mm(Ī“) = maxĪ“ā¤uā¤Ļ
Km(u),
abbiamolimnāā
Mm(Ī“) = 0.
4. 1Ļ
ļæ½ ĻāĻKm(u)du = 1, il che si dimostra semplicemente osservando che
1
Ļ
ļæ½ Ļ
āĻDk(u)du = 1, k = 0, 1, 2....
11
5. Se 0 < Ī“ < Ļ si ha
limmāā
1
Ļ
ļæ½ Ī“
āĪ“Km(u)du = 1.
Teorema 2.3.5 (Fejer). Sia f una funzione 2Ļ-periodica. Se x e un punto di continuita odi discontinuita di prima specie per f , allora in tale punto Ļm(f) converge a f(x) oppurea [f(x+ 0) + f(xā 0)]/2, rispettivamente; se (a, b) e un intervallo in cui f(x) e continua,allora Ļm(f) converge uniformemente a f in ogni sottointervallo [Ī±, Ī²] ā (a, b). Inoltre sef(x) e ovunque continua allora Ļm converge uniformemente a f in [āĻ, Ļ].
Dimostrazione. Per affrontare questa dimostrazione dobbiamo introdurre un
Lemma 2.3.1. Consideriamo la funzione
fn(x) =1
Ļ
ļæ½ Ļ
āĻf(x+ t)Ļn(t)dt,
dove Ļn(t) possiede le seguenti proprieta:
1. Ļn e una funzione pari;
2.ļæ½ ĻāĻ |Ļn(t)|dt ā¤ C per n = 1, 2, ..., dove C e una costante;
3. definendo per Ī“ > 0Mn(Ī“) = sup
Ī“ā¤|t|ā¤Ļ|Ļn(t)|
si halimnāā
Mn(Ī“) = 0;
4. 1Ļ
ļæ½ ĻāĻ Ļn(t)dt = 1;
allora, se x e un punto di discontinuita del primo tipo di f si ha
limnāā
fn(x) =f(x+ 0) + f(xā 0)
2
e fn(x) ā f(x) per ogni punto di continuita di f(x). Se poi f(x) e continua in (a, b) allorafn ā f uniformemente in [Ī±, Ī²] per ogni [Ī±, Ī²] ā (a, b).
Per dimostrare questo lemma osserviamo innanzitutto che per la proprieta (4) dellafunzione Ļn abbiamo
f(x+ 0) + f(xā 0)
2=
1
Ļ
ļæ½ Ļ
āĻ
f(x+ 0) + f(xā 0)
2Ļn(t)dt =
=2
Ļ
ļæ½ Ļ
0
[f(x+ 0) + f(xā 0)]Ļn(t)dt
per la parita della funzione Ļn(t). Possiamo anche scrivere
fn(x) =1
Ļ
ļæ½ Ļ
āĻ[f(x+ t) + f(xā t)]Ļn(t)dt =
2
Ļ
ļæ½ Ļ
0
[f(x+ t) + f(xā t)]Ļn(t)dt
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Unendo le ultime due espressioni scritte otteniamo
fn(x)āf(x+ 0) + f(xā 0)
2=
2
Ļ
ļæ½ Ļ
0
[f(x+ t) + f(xā t)ā f(x+ 0)ā f(xā 0)]Ļn(t)dt
Dimostreremo ora che lāintegrale che si trova nel membro di destra tende a zero pernāā e che se f e continua in (a, b) allora esso tende uniformemente a zero in [Ī±, Ī²], sea < Ī± < Ī² < b. Per fare cio scegliamo un numero Ī“ tale che per 0 ā¤ x ā¤ Ī“ si abbia
|f(x+ t)ā f(x+ 0)| < Īµ, |f(xā t)ā f(xā 0)| < Īµ :
cio e possibile per ogni x fissato; se pero f e continua in (a, b) (in tal caso f(x + 0) =f(xā 0) = f(x)), allora e possibile scegliere un Ī“ indipendente da x ā [Ī±, Ī²] che soddisfale disuguaglianze scritte sopra. COn questa scelta di Ī“, dividiamo lāintegrale che stiamostudiando in due parti: lāintegrale I1 nellāintervallo (0, Ī“) e lāintegrale I2 nellāintervallo(Ī“, Ļ). Otteniamo allora
|I1| < 2Īµ
ļæ½ Ļ
0
|Ļn(t)|dt < 2ĪµC
per la proprieta (2) della funzione Ļn.Per I2 abbiamo invece
|I2| ā¤Mn(Ī“)
ļæ½ Ļ
Ī“
{|f(x+ t)|+ |f(x+ 0)|+ |f(xā t)|+ |f(xā 0)|}dt.
Per ogni x fissato lāintegrale appena scritto tende a zero per la proprieta (3) della funzioneĻn, ossia I2 ā 0. Inoltre se x ā [Ī±, Ī²] ā (a, b) allora per ogni x il nostro integrale nonsupera la quantita ļæ½
āĻĻ|f(t)|dt+ 2Ļ|f(x)|
e poiche f e continua in (a, b) ed e limitata in [Ī±, Ī²], allora I2 ā 0 uniformemente.A questo punto poniamo fn(x) = Ļn(x), e dunque per dimostrare il teorema di
Fejer sara sufficiente provare che il nucleo di Fejer Kn soddisfa le ipotesi del lemma.La proprieta (1) e automaticamente soddisfatta per la parita del nucleo di Dirichlet(Dn(t) = 1
2+ cosx + .... + cosnx); le (3), (4) sono gia state dimostrate e (2) segue dal
fatto che per il nucleo di Fejer vale, come sappiamo,
ļæ½ Ļ
āĻ|Kn(t)|dt =
ļæ½ Ļ
āĻKn(t)dt = Ļ.
Possiamo interpretare questo teorema dicendo che ogni funzione continua puo esserericostruita partendo dai suoi coefficienti di Fourier.
Esponiamo adesso il teorema di Fejer per le funzioni in Lp.
Teorema 2.3.6. Sia f ā Lp(āĻ, Ļ) una funzione 2Ļ-periodica. Allora Ļm ā f inLp(āĻ, Ļ).
13
Dimostrazione. Si ha
I = ||Ļm ā f ||pp =
ļæ½ Ļ
āĻ
ā£ā£ā£ 1Ļ
ļæ½ Ļ
āĻf(y)Km(xā y)dy ā f(x)
ā£ā£ā£pdx,ed essendo
1
Ļ
ļæ½ Ļ
āĻKm(y)dy = 1
deduciamo che
I =
ļæ½ Ļ
āĻ
ā£ā£ā£ 1Ļ
ļæ½ Ļ
āĻ(f(xā y)ā f(x))Km(y)dy
ā£ā£ā£pdx ā¤ā¤
ļæ½ Ļ
āĻ
[1
Ļ
ļæ½ Ļ
āĻ|f(xā y)ā f(x)|Km(y)
1p+ 1
q dy
]pdx ā¤
ā¤ļæ½ Ļ
āĻ
[1
Ļ
[ ļæ½ Ļ
āĻ|f(xā y)ā f(x)|pKm(y)dy
] 1p[ ļæ½ Ļ
āĻKm(y)dy
] 1q
]pdx =
=Ļ
pq
Ļp
ļæ½ Ļ
āĻ
[ ļæ½ Ļ
āĻ|f(xā y)ā f(x)|pdx
]Km(y)dy.
Poiche, fissato Īµ, esiste Ī“ tale che āf(xā y)ā f(x)āLp(āĻ,Ļ) < Īµ per ogni |h| < Ī“, possiamodividere lāintegrale in due pezzi e dire che
I ā¤ 1
Ļ
ļæ½|y|ā¤Ī“
āf(Ā· ā y)ā f(Ā·)āLp(āĻ,Ļ)Km(y)dy +1
Ļ
ļæ½Ī“ā¤|y|ā¤Ļ
2āfāLp(āĻ,Ļ)Km(y)dy;
utilizzando la definizione e le proprieta del nucleo di Fejer, possiamo concludere che
I ā¤ Īµ+ 2||f ||pĻ
(m+ 1) sin2 Ī“2
< 2Īµ
per m ā„ mĪµ,Ī“Īµ = mĪµ.
Ci sono diversi modo in cui puo essere interpretata la convergenza della serie di Fourier,il piu importante e quello riguardante lo scarto quadratico medio.
Teorema 2.3.7. Sia f ā L2(āĻ, Ļ) una funzione periodica con periodo 2Ļ. Tra tutte lefunzioni g che sono combinazioni lineari di cosnĪø e sinnĪø con 0 ā¤ n ā¤ m, la sommaparziale sm verifica ļæ½ 2Ļ
0
|f(Īø)ā sm(Īø)|2dĪø ā¤ļæ½ 2Ļ
0
|f(Īø)ā g(Īø)|2dĪø.
Inoltre lo scarto quadratico medio tende a 0 per māā, vale a dire sm ā f in L2(āĻ, Ļ).
Concludiamo questo paragrafo con un altro teorema sulla convergenza della serie diFourier.
Teorema 2.3.8. (di Jordan) Se f e una funzione a variazione limitata1 in un sottointer-vallo [a, b] di [āĻ, Ļ], allora la sua serie di Fourier e convergente in ogni punto di taleintervallo. La sua somma e f(x) nei punti in cui f e continua e [f(x+ 0) + f(xā 0)]/2nei punti di discontinuita. Inoltre se [Ī±, Ī²] ā (a, b) e f e continua in [Ī±, Ī²], allora la seriedi Fourier converge uniformemente in [Ī±, Ī²].
1Una funzione si dice a variazione limitata se la sua āvariazione totaleā e finita. Per le funzioni di unavariabile, cio vuol dire che la distanza percorsa da un punto che si muove lungo il suo grafico e finita.
14
2.4 Il fenomeno di Gibbs
Nel 1871 Kelvin ideo un meccanismo che, data una funzione periodica, riproduceva lacorrispondente serie di Fourier e, viceversa, ricostruiva una funzione periodica avendocome input la corripondente serie. Una macchina di questo tipo fu costruita anche daMichelson. La prima funzione che Michelson utilizzo per mettere alla prova la sua nuovamacchina fu la funzione h(x) = x ā (āĻ, Ļ) e h(Ā±Ļ) = 0. Sorprendentemente la macchinanon riprodusse perfette approssimazioni della funzione h: i grafici presentavano piccoleoscillazioni che non approssimavano il grafico di h attorno ai due punti di discontinuitaĀ±Ļ.
Michelson provo allora a regolare meglio la macchina, pensando che essa avesse qualchedifetto, ma nonostante questo le discrepanze persistevano. Alla fine, mediante calcoli fattia mano si dimostro effettivamente che le somme parziali Sn della serie di Fourier di hhanno effettivamente queste oscillazioni in prossimita dei punti di discontinuita. Si osservoanche che, con lāaumentare di n, le oscillazioni sono sempre piu concentrate nellāintornodei punti di discontinuita, ma che la loro altezza, in valore assoluto, e fra il 117% e il118% rispetto al valore corretto della funzione, sempre inteso in valore assoluto. Ci si eposto il problema di studiare le proprieta di convergenza delle serie di Fourier di funzionisimili a questa. Quello che si e scoperto e che la condizione di convergenza puntualeSn(h, t) ā h(t) non garantisce che anche il grafico di fn approssimi il grafico di f . Gibbsapprofondı questo argomento.
Teorema 2.4.1. Consideriamo la funzione h(x) = x per x ā (āĻ, Ļ) e h(Ā±Ļ) = 0,prolungata poi con periodicita. Allora
limnāā
Sn
(h, Ļ ā Ļ
n
)= AĻ, lim
nāāSn
(h,āĻ +
Ļ
n
)= āAĻ,
dove A = 2Ļ
ļæ½ Ļ0
( sinxx
)dx ā]1.17, 1.18[.
Questo teorema mostra appunto che vi e uno scarto strettamente positivo in normauniforme, nellāintorno del punto di discontinuita, fra la funzione e la sua serie di Fourier.
15
Dimostrazione. Partiamo calcolando le somme parziali della serie di Fourier associata adh. Essendo h una funzione dispari, i coefficienti an sono tutti nulli mentre i coefficienti bnvalgono:
bn =2
Ļ
ļæ½ Ļ
0
x sinnx dx.
Integrando per parti otteniamo
bn =[ 2
Ļ
āx cosnx
n
]Ļ0
+2
nĻ
ļæ½ Ļ
0
cosnx dx = 2(ā1)nā1
n.
Dunque la serie di Fourier associata ad h e
āān=1
2(ā1)nā1 sinnx
n,
e la somma parziale n-sima della serie di Fourier sara
Sn(h, x) =nāk=1
2(ā1)kā1 sin kx
k.
Valutiamo tale somma nei punti Ā±Ļ ā Ļn:
Sn
(h, Ļ ā Ļ
n
)=
nāk=1
2
k(ā1)kā1 sin
(kĻ ā kĻ
n
);
utilizzando le formule di addizione e sottrazione
Sn(h, x) =nāk=1
2
k(ā1)2n sin kĻ
n=
nāk=1
2
ksin
kĻ
n= 2Ļ
nāk=1
1
n
( nkĻ
sinkĻ
n
).
Osservando che la funzione sinxx
e limitata e continua in [0, 2Ļ] possiamo concluderebanalmente che per nāā
Sn
(h, Ļ ā Ļ
n
)ā 2
ļæ½ Ļ
0
sin x
xdx.
Con lo stesso procedimento otteniamo anche, per nāā, che
Sn
(h,āĻ +
Ļ
n
)ā ā2
ļæ½ Ļ
0
sin x
xdx.
Abbiamo cosi dimostrato la prima parte del teorema. Resta da far vedere che
2
Ļ
ļæ½ Ļ
0
sin x
xdx ā]1.17, 1.18[.
Ma poichesin x
x=
āān=0
(ā1)nx2n
(2n+ 1)!
16
con convergenza uniforme sui limitati di R, integrando termine a termine otteniamo
ļæ½ Ļ
0
sin x
xdx =
āān=0
(ā1)nĻ2n
(2n+ 1)!(2n+ 1).
La serie appena scritta e una serie a segni alterni: per il criterio di Leibniz, lāerrore dovutoal troncamento dei termini della serie e minore, in valore assoluto, del primo terminetrascurato, cioeā£ā£ā£ā£ā£ 1Ļ
ļæ½ Ļ
0
sin x
xdxā
nāk=0
(ā1)kĻ2k
(2k + 1)!(2k + 1)
ā£ā£ā£ā£ā£ ā¤ Ļ2n+2
(2n+ 3)!(2n+ 3).
E allora sufficiente scegliere k = 3 per ottenere, con lāausilio di una buona calcolatrice,
1.17 <2
Ļ
ļæ½ Ļ
0
sin x
xdx < 1.18.
Supponiamo adesso di avere una funzione 2Ļ-periodica f , e sia h la funzione definitacome sopra, cioe h(x) = x per x ā (Ļ, Ļ) e h(Ā±Ļ) = 0, e poi prolungata con periodicita.Supponiamo che f abbia N punti di discontinuita di prima specie x1, x2, ....xN e siaderivabile negli altri punti con f ā² ā L2(āĻ, Ļ); proveremo che per ognuno di questi puntixi e possibile trovare un opportuno Ī»i tale che la funzione g(x) = f(x)ā
āNi=1 Ī»ih(xāxi+Ļ)
non solo soddisfa le ipotesi del teorema di Dirichlet ma e anche continua, il che ci garantiscela convergenza. Dimostriamo adesso lāesistenza di questi Ī»i. Per la funzione g sopradefinita possiamo calcolare
limxāx+
i
g(x) = f(xi + 0) + Ī»iĻ, limxāxāi
g(x) = f(xi ā 0)ā Ī»iĻ,
e imponendo che questi due limiti siano uguali (cosicche g e continua) si ha
f(xi + 0)ā f(xi ā 0) = ā2ĻĪ»i,
da cui si ricava infine il valore di Ī»i:
Ī»i = āf(xi + 0)ā f(xi ā 0)
2Ļ.
Pertanto la funzione g cosi costruita e tale che Sn(g) ā g uniformemente su [āĻ, Ļ].Ne segue che anche in questo caso il fenomeno or ora descritto si presenta: infatti, perj = 1, . . . , N valgono le relazioni
Sn
(g, xj ā
Ļ
n
)= Sn
(f, xj ā
Ļ
n
)ā
Nāi=1
Ī»iSn
(h, xj ā xi + Ļ ā Ļ
n
),
Sn
(g, xj +
Ļ
n
)= Sn
(f, xj +
Ļ
n
)ā
Nāi=1
Ī»iSn
(h, xj ā xi ā Ļ +
Ļ
n
),
17
da cui per nāā
f(xj ā 0)ā Ī»jĻ āāi6=j
Ī»ih(xj ā xi + Ļ) = g(xj) =
= limnāā
Sn
(f, xj ā
Ļ
n
)ā Ī»jAĻ ā
āi6=j
Ī»ih(xj ā xi + Ļ),
f(xj + 0) + Ī»jĻ āāi6=j
Ī»ih(xj ā xi + Ļ) = g(xj) =
= limnāā
Sn
(f, xj +
Ļ
n
)+ Ī»jAĻ ā
āi6=j
Ī»ih(xj ā xi + Ļ),
e semplificando si trova
limnāā
Sn
(f, xj ā
Ļ
n
)ā f(xj ā 0) = āf(xj + 0)ā f(xj ā 0)
2(Aā 1),
limnāā
Sn
(f, xj +
Ļ
n
)ā f(xj + 0) = +
f(xj + 0)ā f(xj ā 0)
2(Aā 1).
Quanto appena descritto e noto con il nome di fenomeno di Gibbs, anche se sarebbe piucorretto chiamarlo fenomeno di Gibbs-Wilbraham: Wilbraham, infatti, aveva gia scopertoquesta particolarita, ma i suoi risultati apparvero quasi solo una curiosita e passaronopressocche inosservati. Solo sessantāanni dopo, per progredire nello sviluppo dei radar, sirese necessario studiare nel dettaglio la funzione h definita nella pagine precedenti e ilfenomeno venne definitivamente chiarito.
2.5 Funzioni di Bessel
2.5.1 La funzione Ī di Eulero
Prima di iniziare la descrizione delle funzioni di Bessel introduciamo qualche concetto checi sara utile nelle pagine successive, soprattutto nella dimostrazione della forma integraledelle funzioni di Bessel.
Definizione 2.5.1. La funzione Ī e definita da
Ī(x) =
ļæ½ ā
0
eāttxā1dt āx ā C con Rex > 0.
Elenchiamo adesso alcune delle proprieta fondamentali di questa funzione.
1. La funzione Ī e analitica sul semipiano Rex > 0 e, integrando per parti, si trova
Ī(1) = 1, Ī(x+ 1) = xĪ(x);
dunque quando x e un numero naturale si ha
Ī(x+ 1) = x! .
18
Questa formula permette di estendere la Ī analiticamente su C\{ān : n ā N},ponendo
Ī(x) =Ī(x+ 1)
xse Rex ā]ā 1, 0], x 6= 0
e in generale
Ī(x) =Ī(x+ k)
x(x+ 1) . . . (x+ k ā 1)se Rex ā]ā k,āk + 1], x 6= āk + 1, k ā N.
2. Si ha
Ī(x) = limnāā
n!nxā1
x(x+ 1) . . . (x+ nā 1)āx ā C\{ān, n ā N}.
Infatti, integrando n volte per parti si prova inizialmente che
ļæ½ 1
0
txā1(1ā t)ndt =n!
x(x+ 1) . . . (x+ n)ān ā N,āRex > 0.
Poi con t = un
si ricava
n!
x(x+ 1) . . . (x+ n)=
ļæ½ n
0
(un
)xā1(1ā u
n
)n dun
=1
nx
ļæ½ n
0
uxā1(1ā u
n
)ndu.
Quindin!nx
x(x+ 1) . . . (x+ n)=
ļæ½ n
0
uxā1(1ā u
n
)ndu
e per nāā si ha, per Rex > 0,
limnāā
n!nxā1
x(x+ 1) . . . (x+ n)=
ļæ½ ā
0
uxā1eāudu = Ī(x).
Questa relazione vale in effetti per ogni x ā C\{ān : n ā N}: infatti, utilizzando laproprieta (1), se Re x ā]ā k,āk + 1[ si puo scrivere
n!nxā1
x(x+ 1) . . . (x+ nā 1)(x+ n)=
=n!nx+kā1
(x+ k)(x+ k + 1) . . . (x+ n+ k)
(x+ n+ 1) . . . (x+ n+ k)
x(x+ 1) . . . (x+ k ā 1)nk
e dunque si deduce, per nāā,
limnāā
n!nxā1
x(x+ 1) . . . (x+ nā 1)(x+ n)=
Ī(x+ k)
x(x+ 1) . . . (x+ k ā 1)= Ī(x).
3. Si osserva anche che
Ī(x) =1
e2Ļix ā 1
ļæ½Ī³Īµ
eāzzxā1dz, Rex > 0,
ove Ī³Īµ e la curva descritta in figura.
19
Per verificare questo fatto, notiamo che la funzione integranda e olomorfa nellaregione esterna a Ī³Īµ, e tende a 0 quando |z| ā ā mantenendo Re z > 0. Quindisi verifica facilmente che se Īµā² 6= Īµ lāintegrale curvilineo non cambia. Dāaltra parte,lāintegrale
ļæ½Ī³Īµeāzzxā1dz puo essere calcolato spezzandolo in tre integrali lungo i tre
cammini, indicati nel disegno, in cui abbiamo diviso Ī³Īµ. Risulta
I1 = āļæ½ ā
Īµ
eāteiĪµ
txā1eiĪµ(xā1)eiĪµdt = āeiĪµxļæ½ ā
Īµ
eāt(cos Īµ+i sin Īµ)txā1dt
ed osserviamo che si ha
I1 ā āļæ½ ā
0
eāttxā1dt per Īµā 0.
Inoltre
I2 =
ļæ½ 2ĻāĪµ
Īµ
eāĪµeiĪø
Īµxā1eiĪø(xā1)ĪµieiĪødĪø =
= Īµxļæ½ 2ĻāĪµ
Īµ
eāĪµ cos ĪøāiĪµ sin ĪøeiĪø(Rexā1)āĪøImxieiĪødĪø,
ed anche in questo caso si ricava
I2 ā 0 per Īµā 0.
Infine
I3 =
ļæ½ ā
Īµ
eātei(2ĻāĪµ)txā1ei(2ĻāĪµ)(xā1)dt =
= ei(2ĻāĪµ)xļæ½ ā
Īµ
eāt cos(2ĻāĪµ)āit sin(2ĻāĪµ)txā1dt,
e risulta anche
I3 ā ei2Ļxļæ½ ā
0
eāttxā1dt per Īµā 0.
Dunque, per la costanza dellāintegrale curvilineo rispetto a Īµ, si haļæ½Ī³Īµ
eāzzxā1dz = limĪµā0
ļæ½Ī³Īµ
eāzzxā1dz = limĪµā0
[I1 + I2 + I3] =
= (e2Ļix ā 1)
ļæ½ ā
0
eāttxā1dt = (e2Ļix ā 1)Ī(x),
20
e possiamo cosı concludere.
4. E valida la formula
Ī(x)Ī(1ā x) =Ļ
sin Ļxāx ā]0, 1[.
Dimostriamola: si ha
Ī(x)Ī(1ā x) =
ļæ½ ā
0
sxā1eāsds
ļæ½ ā
0
tāxeātdt =
ļæ½ ā
0
ļæ½ ā
0
sxā1tāxeā(s+t)dsdt.
Eseguiamo il cambiamento di variabili{Ļ = st
Ī· = st;
il determinante dello Jacobiano e
det
(Ļs ĻtĪ·s Ī·t
)= det
(1 11t
āst2
)=
s
t2+
1
t=
1
t(Ī· + 1),
per cui dsdt = tĪ·+1
. Quindi otteniamo
ļæ½ ā
0
ļæ½ ā
0
Ī·xeāĻt
s
dĻdĪ·
Ī· + 1=
ļæ½ ā
0
ļæ½ ā
0
Ī·xā1 eāĻdĻ
Ī· + 1dĪ· =
ļæ½ ā
0
Ī·xā1
1 + Ī·dĪ·.
Calcoliamo questāultimo integrale, suppondo 0 < x < 1. Consideriamo
ļæ½C
zxā1
1ā zdz,
dove C e la curva in figura:
21
tenendo conto del residuo dellāintegrando nel suo polo z = 1, si haļæ½C
zxā1
1ā zdz = ā2Ļi.
Percio
ā2Ļi =
ļæ½ ĻāĪ±
āĻ+Ī±
Rxā1eiĪø(xā1)
1āReiĪøiReiĪødĪø +
ļæ½ Īµ cos Īµ
R cosĪ±
(t+ ib)xā1
1ā tā ibdt+
+
ļæ½ ĻāĪµ
āĻ+Īµ
Īµxā1eiĪø(xā1)
1ā ĪµeiĪøiĪµeiĪødĪø +
ļæ½ R cosĪ±
Īµ cos Īµ
(tā ib)xā1
1ā t+ ibdt,
dove Ī± = arcsin( ĪµR
sin Īµ) e b = R sinĪ± = Īµ sin Īµ. Il primo integrale e maggiora-to da 2Ļ Rx
Rā1, mentre il terzo e maggiorato da 2Ļ Īµx
1āĪµ , quindi entrambi tendonoa 0 per R ā ā e Īµ ā 0+. Nel secondo integrale, scrivendo (t + ib)xā1 co-
me exp (xā 1)[log(āt2 + b2 + i arg(t+ ib)], lāintegrando tende a exp (xā1)[log(|t|+iĻ]
1āt =
eiĻ(xā1) |t|xā1
1āt ; ne segue, per convergenza dominata,
ļæ½ Īµ cos Īµ
R cosĪ±
(t+ ib)xā1
1ā tā ib)dtā eiĻ(xā1)
ļæ½ 0
āā
|t|xā1
1ā tdt = eiĻ(xā1)
ļæ½ ā
0
s1āx
1 + sds.
Analogamente si ottiene per il quarto integrale
ļæ½ R cosĪ±
Īµ cos Īµ
(tā ib)xā1
1ā t+ ibdtā eāiĻ(xā1)
ļæ½ āā
0
|t|xā1
1ā tdt = āeāiĻ(xā1)
ļæ½ ā
0
s1āx
1 + sds.
Pertanto al limite si conclude che
ā2Ļi =[eiĻ(xā1) ā eāiĻ(xā1)
]ļæ½ ā
0
s1āx
1 + sds =
= ā(eiĻx ā eāiĻx)
ļæ½ ā
0
sxā1
1 + sds = ā2i sin Ļx
ļæ½ ā
0
sxā1
1 + sds,
da cui ļæ½ ā
0
sxā1
1 + sds =
ā2Ļi
ā2i sin Ļx=
Ļ
sin Ļx,
il che prova quanto volevamo, cioe che
Ī(x)Ī(1ā x) =Ļ
sin Ļxāx ā]0, 1[.
Adesso estendiamo questa relazione, per prolungamento analitico, alla striscia
{z ā C : Re z ā]0, 1[}
e per continuita anche a
{z ā C : Re z ā [0, 1], z 6= 0, 1}.
Supponiamo ora, induttivamente, di aver esteso la nostra relazione alla fascia
{z ā C : Re z ā [0, k], z 6= 0, 1....k} (k ā N);
22
allora se Re x ā]k + 1, k + 2[ si ha Re (xā 1) ā]k, k + 1[ e quindi
Ļ
sin Ļx= ā Ļ
sin Ļ(xā 1)= āĪ(xā 1)Ī(2ā x) =
= ā Ī(x)
xā 1Ī(1ā x)(1ā x) = Ī(x)Ī(1ā x).
Adesso, per prolungamento analitico e continuita possiamo estendere alla striscia
{z ā C : Re z ā [0, k + 1], z 6= 0, 1, ....k + 1}.
Quindi vale
Ī(x)Ī(1ā x) =Ļ
sin Ļxāx ā C con Re z ā„ 0, z /ā N.
Analogamente, se abbiamo esteso la relazione alla striscia
{z ā C : Re z ā [āk, 0], z 6= 0,ā1, ....,āk},
allora per Re x ā]ā k ā 1,āk[ si ha Re (x+ 1) ā]ā k,āk + 1[ e quindi
Ļ
sin Ļx= ā Ļ
sin Ļ(x+ 1)= āĪ(x+ 1)Ī(āx) = āxĪ(x)
Ī(1ā x)
āx= Ī(x)Ī(1ā x).
Quindi lo stesso vale per Rex ā [āk ā 1,āk] e x 6= āk,āk ā 1. In definitiva laformula vale in C\N.
5. Infine possiamo dimostrare, utilizzando le proprieta (3) e (4) gia dimostrate, che
1
Ī(x+ 1)=eiĻx
2Ļx
ļæ½Ī³Īµ
eāzzāxā1dz,
dove Ī³Īµ e la stessa figura del punto 3. Usando prima la proprieta (4) della funzioneĪ, poi la (3), e successivamente la rappresentazione esponenziale per le funzioni senoe coseno, nonche le note proprieta trigonometriche, possiamo scrivere
1
Ī(x+ 1)=
sin Ļ(x+ 1)
ĻĪ(āx) =
sin Ļ(x+ 1)
Ļ
1
eā2Ļix ā 1
ļæ½Ī³Īµ
eāzzāxā1dz =
=1
2Ļi
eāiĻx ā eiĻx
(eā2Ļix ā 1)
ļæ½Ī³Īµ
eāzzāxā1dz =
=1
2Ļi
( i
sin Ļx+ i cos Ļx
) ļæ½Ī³Īµ
eāzzāxā1dz =eiĻx
2Ļx
ļæ½Ī³Īµ
eāzzāxā1dz.
2.5.2 Equazioni di Bessel
Possiamo adesso introdurre le funzioni di Bessel.
23
Definizione 2.5.2. Si definisce equazione di Bessel di ordine n la seguente equazionedifferenziale ordinaria:
d2y
dx2+
1
x
dy
dx+(1ā n2
x2
)y = 0,
ossia1
x
d
dx
(xdy
dx
)+(1ā n2
x2
)y = 0.
Andiamo a vedere da dove nasce lāinteresse per queste equazioni. Tra i problemicanonici che si riconducono alle equazioni di Bessel ci sono i problemi ai limiti perlāequazione
āu+ k2u = 0
allāesterno o allāinterno del cerchio B(0, R) (o del cilindro x2 + y2 = R2, se si lavora contre variabili indipendenti). Questa equazione, come vedremo meglio in seguito, modellizzale vibrazioni proprie di una membrana circolare e quindi e importante nellāambito deglistrumenti a percussione.Introduciamo le coordinate polari e riscriviamo lāequazione nella forma:
1
r
ā
ār
(rāu
ār
)+
1
r2
ā2u
āĻ2+ k2u = 0
Ponendo u(r, Ļ) = R(r)Ī¦(Ļ) e separando opportunamente le variabili, otteniamo il sistema{1rddr
(r dRdr
)+(k2 ā Ī»
r2
)R = 0
Ī¦ā²ā² + Ī»Ī¦ = 0.
La condizione di periodicita per Ī¦(Ļ) ci porta a concludere che Ī» = n2, dove n e un numeronaturale. Se poniamo adesso x = kr e y(kr) = R(r), otteniamo facilmente lāequazione diBessel
1
x
d
dx
(xdy
dx
)+(1ā n2
x2
)y = 0,
o equivalentemente
yā²ā² +1
xyā² +
(1ā n2
x2
)y = 0.
Nel caso di soluzioni dotate di simmetria radiale (o cilindrica), si ottengono le equazionidi Bessel di ordine zero, cioe della forma
1
x
d
dx
(xdy
dx
)+ y = 0,
ovvero
yā²ā²
+1
xyā²+ y = 0.
Consideriamo adesso, piu generalmente, lāequazione di Bessel di ordine Ī½
yā²ā²
+1
xyā²+(1ā Ī½2
x2
)y = 0
24
o, analogamente,x2y
ā²ā²+ xy
ā²+ (x2 ā Ī½2)y = 0,
ove Ī½ e un numero reale o complesso qualsiasi, la cui parte reale si puo supporre nonnegativa. Cercheremo le soluzioni di questa equazione sotto forma di serie di potenze.
Osserviamo che in x = 0 lāequazione si abbassa di grado, dunque ci aspettiamo che lasoluzione che troveremo sia sotto forma di una serie del tipo:
y(x) = xĻ(a0 + a1x+ a2x2 + ....+ akx
k + ....),
ove Ļ e un esponente caratteristico da determinare. Sostituendo questa espressionenellāequazione di Bessel otteniamo un sistema di equazioni per determinare Ļ e tutti icoefficienti ak:
a0(Ļ2 ā Ī½2) = 0,
a1[(Ļ + 1)2 ā Ī½2] = 0,
ak[(Ļ + k)2 ā Ī½2] + akā2 = 0, k > 1.
Se a0 e diverso da 0, possiamo ricavare banalmente Ļ = Ā±Ī½, e di conseguenza nella secondaequazione deve essere a1 = 0. La terza equazione fornisce allora una formula ricorrenteper determinare i coefficienti ak in funzione di akā2:
ak = ā akā2
(Ļ + k + Ī½)(Ļ + k ā Ī½),
dalla quale si ricava subito che tutti i coefficienti di indice dispari sono nulli.Se invece assumiamo a0 = 0, dalla seconda equazione con a1 6= 0 segue Ļ = ā1 Ā± Ī½ evale ancora la formula ricorrente sopra scritta, dalla quale si ricava stavolta che tutti icoefficienti di indice pari sono nulli. Tuttavia la soluzione, quando a0 = 0, diventa
y(x) = xĻ(a1x+ a2x2 + ....+ akx
k + ....) = xĻ+1(a1 + a2x+ ....+ akxkā1 + ....) =,
e quindi si ricade nel caso precedente con Ļ + 1 al posto di Ļ e a2k+1 al posto di a2k.Dunque e sufficiente considerare il caso dei coefficienti di indice dispari tutti nulli.Analizziamo il comportamento della soluzione, considerando dapprima prima il caso Ļ = Ī½:possiamo esprimere ogni coefficiente di indice pari in funzione del precedente come segue
a2k = ā a2kā2
22k(k + Ī½),
ed applicando questa formula ripetutamente possiamo scrivere
a2k =(ā1)ka0
22kk!(Ī½ + 1)(Ī½ + 2) . . . (Ī½ + k).
Ogni soluzione e quindi definita a meno della costante arbitraria a0. Ricordando cheRe Ī½ ā„ 0, scegliamo
a0 =1
2Ī½Ī(Ī½ + 1).
Utilizzando la proprieta (1) della funzione Ī, precedentemente enunciata, possiamoriscrivere lāespressione di a2k nel seguente modo:
a2k =(ā1)k
22k+Ī½Ī(k + 1)Ī(k + Ī½ + 1).
25
Indichiamo con JĪ½(x) la soluzione dellāequazione di Bessel di ordine Ī½ per la qualeJĪ½(0) = 1
2Ī½Ī(Ī½+1); inserendo i coefficienti appena determinati, otteniamo:
JĪ½(x) =āāk=0
(ā1)k
Ī(k + 1)Ī(k + Ī½ + 1)
(x2
)2k+Ī½
.
Questa soluzione prende il nome di funzione di Bessel di prima specie di ordine Ī½.Una seconda soluzione si otterra in corrispondenza di Ļ = āĪ½; vediamo allora cosa
succede in questo caso: chiaramente la soluzione sara infinita per x = 0. Supponiamoanche Ī½ /ā N. Allora ponendo stavolta
a0 =1
2āĪ½Ī(āĪ½ + 1)
otteniamo
a2k =(ā1)k
22kāĪ½Ī(k + 1)Ī(k ā Ī½ + 1)
e procedendo analogamente a prima otteniamo la seguente soluzione
JāĪ½(x) =āāk=0
(ā1)k
Ī(k + 1)Ī(k ā Ī½ + 1)
(x2
)2kāĪ½.
Facciamo un poā di osservazioni: innanzitutto si vede subito che JĪ½(x) e JāĪ½(x) rappre-sentano due serie convergenti nellāintero piano complesso. Notiamo poi che la formula chedefinisce JāĪ½(x) e stata definita solo per valori non interi di Ī½. Vogliamo adesso dimostrareche questa limitazione puo essere superata: in effetti, se prolunghiamo lāespressione chedefinisce il valore di JāĪ½(x) a Ī½ = n con n ā N, poiche Ī(kān+1) = ā per k ā¤ k0 = nā1,in realta la sommatoria che stiamo calcolando inizia solo dal valore k = k0 + 1 = n. Conla nuova variabile kā² = k ā n otteniamo la nuova formula
Jān(x) = (ā1)nāākā²=0
(ā1)kā²
Ī(kā² + n+ 1)Ī(kā² + 1)
(x2
)2kā²+n
= (ā1)nJn(x).
Dunque per n ā N le funzioni Jn(x) e Jān(x) sono linearmente dipendenti, al contrariodi quanto accade per JĪ½(x) e JāĪ½(x) quando Ī½ non e intero: infatti JĪ½(x) ha uno zeroe JāĪ½(x) un polo di ordine Ī½ nel punto x = 0. Dunque per concludere possiamo direche se Ī½ non e intero ogni soluzione yĪ½(x) dellāequazione di Bessel di ordine Ī½ puo essererappresentata sotto forma di combinazione lineare delle funzioni JĪ½(x) e JāĪ½(x):
yĪ½(x) = c1JĪ½(x) + c2JāĪ½(x), c1, c2 ā C,
e se si cerca una soluzione limitata dellāequazione di Bessel allora, essendo Re Ī½ > 0, sideve porre c2 = 0 e la soluzione sara yĪ½(x) = c1JĪ½(x).
2.5.3 Rappresentazione integrale delle funzioni di Bessel
Fissato Ī½ ā N, vogliamo ora rappresentare JĪ½(x) in forma integrale: il nostro obiettivosara dimostare che si ha
JĪ½(x) = ā 1
2Ļ
ļæ½C0
eāix sinĻ+iĪ½ĻdĻ =1
2Ļ
ļæ½ Ļ
āĻeāix sinĻ+iĪ½ĻdĻ.
26
dove C0 e la figura qui sotto.
Consideriamo
I = ā 1
Ļ
ļæ½C0
eāix sinĻ+iĪ½ĻdĻ.
Poniamor =
x
2eāi(ĻāĻ) = āx
2eāiĻ :
allora
dr = āx2(āieāiĻ)dĻ =
ix
2eāiĻdĻ = āirdĻā
Vediamo adesso che valori assume r al variare del valori di Ļ lungo il percorso C0:
Ļ Ļ + iā Ļ Ļ2
0 āĻ2
āĻ Ļ + iār +ā x
2ix2
āx2
ā ix2
x2
+ā
Quindi C0 si trasforma nella curva Ī³ descritta nella figura che segue:
e poiche vale
āix sinĻ = āix2i
(eiĻ ā eāiĻ) = āx2
(ā x
2r+
2r
x
)=x2
4rā r,
27
il nostro integrale riscritto in funzione di r diventa:
I = ā 1
Ļ
ļæ½Ī³
eār+x2
4r
(āx2r
)Ī½idr
r=āi(ā1)Ī½
Ļ
(x2
)Ī½ ļæ½Ī³
eār+x2
4r1
r1+Ī½dr =
= āi(ā1)Ī½
Ļ
(x2
)Ī½ ļæ½Ī³
āāk=0
(x/2)2krākeār
k!
dr
r1+Ī½=
=āiĻ
āāk=0
(ā1)Ī½
k!
(x2
)2k+Ī½ļæ½Ī³
eārrā1ākāĪ½dr =
= 2āāk=0
(ā1)Ī½(ā1)k(x2
)2k+Ī½(ā1)Ī½k!(k + Ī½)!
= 2āāk=0
(ā1)k
k!(k + Ī½)!
(x2
)2k+Ī½
= 2JĪ½(x),
dove abbiamo usato la proprieta (5) della funzione Ī.Adesso calcoliamo di nuovo lāintegrale con un metodo diretto, dividendo il cammino
lungo il quale integriamo in tre parti Ī1, Ī2, Ī3, come gia indicato nella figura precedente:le prime due illimitate, la terza limitata. Lāidea e di dimostrare che il contributo datoda Ī1 e uguale e opposto a quello dato da Ī2 e dunque al calcolo del nostro integralecontribuira effettivamente solo lāintegrale lungo Ī3.
Eseguiamo innanzitutto il calcolo dellāintegrale lungo Ī1: dunque vogliamo risolvere
I1 = ā 1
Ļ
ļæ½Ī1
eāix sinĻ+iĪ½ĻdĻ.
Eseguendo il cambiamento di variabile iĪ¾ + Ļ = Ļ con Ī¾ ā [0,ā[ otteniamo
I1 =1
Ļ
ļæ½ ā
0
eāix sin(iĪ¾+Ļ)+iĪ½(iĪ¾+Ļ)i dĪ¾ =
=
ļæ½ ā
0
eāix(ā sin(iĪ¾))āĪ½Ī¾(ā1)Ī½dĪ¾ =i
Ļ(ā1)Ī½
ļæ½ ā
0
eāx sinh Ī¾āĪ½Ī¾dĪ¾,
dove nel secondo passaggio abbiamo usato la relazione sin(iĪ¾+Ļ) = ā sin iĪ¾ = ā ei(iĪ¾)āeāi(iĪ¾)
2i
e nel terzo ā sin iĪ¾ = ā (eāĪ¾āeĪ¾)2i
= sinh Ī¾i
= āi sinh Ī¾.Svolgiamo adesso lāintegrale lungo Ī2: procedendo analogamente otteniamo
I2 =ā1
Ļ
ļæ½Ī2
eāix sinĻ+iĪ½ĻdĻ = ā i
Ļ(ā1)Ī½
ļæ½ ā
0
eāx sinh Ī¾āĪ½Ī¾dĪ¾.
Possiamo cosı concludere che I1 + I2=0. Resta allora lāintegrale lungo Ī3:
I3 = ā 1
Ļ
ļæ½Ī3
eāix sinĻ+iĪ½ĻdĻ =1
Ļ
ļæ½ Ļ
āĻeāix sinĻ+iĪ½ĻdĻ.
Dunque utilizzando le due formule trovate per I concludiamo che:
I = ā 1
Ļ
ļæ½C0
eāix sinĻ+iĪ½ĻdĻ = I3 =1
Ļ
ļæ½ Ļ
āĻeāix sin Īø+iĪ½ĪødĪø = 2
āāk=0
(ā1)k
k!(k + Ī½)!
(x2
)2k+Ī½
.
28
Abbiamo cosi provato che la forma integrale per le funzioni di Bessel e:
JĪ½(x) =1
2Ļ
ļæ½ Ļ
āĻeāix sinĻ+iĪ½ĻdĻ.
Sviluppiamo lāesponenziale:
JĪ½(x) =1
2Ļ
ļæ½ Ļ
āĻcos(Ī½Ļā x sinĻ)dĻ+
i
2Ļ
ļæ½ Ļ
āĻsin(Ī½Ļā x sinĻ)dĻ.
Notiamo che, essendo il seno una funzione dispari ed essendo lāintegrale su un intervallosimmetrico, possiamo dire che il secondo termine a secondo membro e nullo: dunquescopriamo che possiamo scrivere la funzione di Bessel JĪ½ in modo diverso: per ogni Ī½ ā Nsi ha
JĪ½(x) =1
2Ļ
ļæ½ Ļ
āĻcos(Ī½Ļā x sinĻ)dĻ =
1
Ļ
ļæ½ Ļ
0
cos(Ī½Ļā x sinĻ)dĻ.
Separiamo adesso il caso di Ī½ pari da quello di Ī½ dispari, ossia calcoliamo separatamenteJ2Ī½(x) e J2Ī½+1(x). Si ha
J2Ī½(x) =1
Ļ
ļæ½ Ļ
0
cos(2Ī½Ļā x sinĻ)dĻ =1
Ļ
ļæ½ Ļ
0
[cos 2Ī½Ļ cos(x sinĻ) + sin 2Ī½Ļ sin(x sinĻ)]dĻ,
maļæ½ Ļ
0
sin 2Ī½Ļ sin(x sinĻ)]dĻ =
ļæ½ Ļ
0
sin 2Ī½(Ļ ā Ļ) sin(x sin(Ļ ā Ļ))dĻ =
= āļæ½ Ļ
0
sin 2Ī½Ļ sin(x sinĻ)dĻ = 0,
e dunque
J2Ī½(x) =1
Ļ
ļæ½ Ļ
0
cos(2Ī½Ļ) cos(x sinĻ)dĻ.
Similmente,
J2Ī½+1(x) =1
Ļ
ļæ½ Ļ
0
cos((2Ī½ + 1)Ļā x sinĻ)dĻ =
=1
Ļ
ļæ½ Ļ
0
[cos(2Ī½ + 1)Ļ cos(x sinĻ) + sin(2Ī½ + 1)Ļ sin(x sinĻ)]dĻ,
maļæ½ Ļ
0
cos(2Ī½ + 1)Ļ cos(x sinĻ)dĻ =
ļæ½ Ļ
0
cos(2Ī½ + 1)(Ļ ā Ļ) cos(x sin(Ļ ā Ļ))dĻ =
= āļæ½ Ļ
0
cos(2Ī½ + 1)Ļ cos(x sinĻ)dĻ = 0
e dunque
J2Ī½+1(x) =1
Ļ
ļæ½ Ļ
0
sin(2Ī½ + 1)Ļ sin(x sinĻ)dĻ.
29
Abbiamo cosı scoperto che le funzioni J2Ī½(x) costituiscono tutti e soli i coefficienti diFourier non nulli della funzione f(Ļ) = cos(x sinĻ), mentre le J2Ī½+1(x) sono tutti e soli icoefficienti di Fourier non nulli di g(Ļ) = sin(x sinĻ). Allora, utilizzando le proprieta notesulle serie di Fourier per funzioni pari e per funzioni dispari, possiamo scrivere le serie diFourier di f e g ottenendo:
cos(x sinĻ) = 2āāĪ½=0
J2Ī½(x) cos 2Ī½Ļ, sin(x sinĻ) = 2āāĪ½=0
J2Ī½+1(x) sin(2Ī½ + 1)Ļ.
Quanto appena descritto mette alla luce un aspetto molto importante delle funzioni diBessel; abbiamo dimostrato che esse sono i coefficienti di Fourier per certe funzioni ecome tali costituiscono delle frequenze. Le funzioni di Bessel infatti non sono altro che lefrequenze fondamentali delle percussioni. In molti strumenti musicali, tipicamente nellepercussioni e soprattutto nei timpani e nei tamburi, la membrana costituente e circolare.Lāequazione, in coordinate polari, dellāonda che attraversa una membrana circolare e,ricordando quanto abbiamo visto allāinizio del paragrafo,
ā2z
ār2+
1
r
āz
ār+
1
r2
ā2z
Ī“Ļ2=
1
c2ā2z
āt2
e possiamo cercare una soluzione della forma
z(r, Ļ, t) = R(r)Ī¦(Ļ) cos(wt);
sostituendo nellāequazione dellāonda, le variabili possono essere separate e lāequazione perla funzione R e unāequazione di Bessel che determina il profilo radiale della membrana.
2.5.4 Proprieta delle funzioni di Bessel
Cerchiamo ora di determinare relazioni tra le funzioni di Bessel di diversi ordini e le loroderivate. Dimostriamo, per cominciare, che
d
dx
(JĪ½(x)
xĪ½
)= āJĪ½+1(x)
xĪ½.
Questa formula si puo provare derivando direttamente le serie di potenze che esprimonole funzioni di Bessel. Infatti
xĪ½d
dx
(JĪ½(x)
xĪ½
)= xĪ½
d
dx
āāk=0
(ā1)k
k! Ī(k + Ī½ + 1)
(x2k
22k+Ī½
)=
āāk=1
(ā1)k
Ī(k)Ī(k + Ī½ + 1)
(x2
)2k+Ī½
,
Posto kā² = k ā 1, si ha
xĪ½d
dx
(JĪ½(x)
xĪ½
)= ā
āākā²=0
(ā1)kā²
Ī(kā² + 1)Ī(kā² + Ī½ + 2)
(x2
)2kā²+Ī½+2
= āJĪ½+1(x).
In modo analogo si dimostra che
d
dx(JĪ½(x)x
Ī½) = xĪ½ JĪ½ā1(x).
30
Stabiliremo ora due formule ricorrenti che legano le funzioni JĪ½(x), JĪ½+1(x) e JĪ½ā1(x).Risulta
Ī½ JĪ½(x)
xā J ā²Ī½(x) = JĪ½+1(x),
Ī½ JĪ½(x)
x+ J ā²Ī½(x) = JĪ½ā1(x).
Infatti
J ā²Ī½(x) =āāk=0
(ā1)k(2k + Ī½)x2k+Ī½ā1
Ī(k + 1)Ī(k + 1 + Ī½)22k+Ī½,
mentreĪ½
xJĪ½(x) =
āāk=0
(ā1)kĪ½x2k+Ī½ā1
Ī(k + 1)Ī(k + 1 + Ī½)22k+Ī½,
da cui
J ā²Ī½(x)āĪ½
xJĪ½(x) =
āāk=0
(ā1)k2kx2k+Ī½ā1
Ī(k + 1)Ī(k + 1 + Ī½)22k+Ī½=
=āāk=1
(ā1)kx2k+Ī½ā1
Ī(k)Ī(k + 1 + Ī½)22k+Ī½ā1=
=āāh=0
(ā1)h+1x2h+Ī½+1
Ī(k)Ī(k + 1 + Ī½)22h+Ī½+1= āJĪ½+1(x);
similmente
J ā²Ī½(x) +Ī½
xJĪ½(x) =
āāk=0
(ā1)k(2k + 2Ī½)x2k+Ī½ā1
Ī(k + 1)Ī(k + 1 + Ī½)22k+Ī½=
=āāk=0
(ā1)kx2k+Ī½ā1
Ī(k + 1)Ī(k + Ī½)22k+Ī½ā1= JĪ½ā1(x).
Cio prova le due formule.Da queste due relazioni si deduce subito, per somma, che
2Jā²
Ī½(x) = JĪ½ā1(x)ā JĪ½+1(x),
mentre, per differenza,2Ī½
xJĪ½(x) = JĪ½ā1(x) + JĪ½+1(x).
31
Capitolo 3
I paradossi musicali
Questo avrebbe dovuto essere, allāinizio, il tema dominante di questa tesi; purtoppopero, oltre alla difficolta di trovare materiale su questi argomenti, gran parte di cioche siamo riusciti a recuperare riporta qualche esperimento di tipo musicale, riportatosenza troppi dettagli e soprattutto senza adeguate motivazioni. Gli esperimenti, che inalcuni casi siamo anche riusciti a riprodurre, creano sı un certo effetto nellāorecchio di chiascolta, ma sembrano non avere ne una spiegazione logica, ne tantomeno una spiegazionematematica approfondita. Cercheremo comunque di trattare questo argomento, nel modopiu dettagliato e piu matematico possibile.
3.1 Paradosso di Shepard
La scala senza fine visibile in questa immagine di Escher e un classico paradosso visivo:alcuni vedono gli uomini disegnati salire le scale, altri li vedono scendere, e una stessapersona puo a un primo sguardo vedere gli uomini salire le scale e in un secondo momentovederli invece scendere, senza riuscire a capire dove sia il tranello visivo. Simili paradossisi possono trovare nei suoni: tra i piu famosi cāe quello di Shepard. Allāinizio del 1960Roger N. Shepard nei Bell Telephone Laboratories produsse un esempio piuttosto notevole.Egli prese una sequenza di toni in una certa ottava e ripete questa sequenza ogni voltaaumentando di unāottava. Invece di sentire il modello stopparsi per poi ripartire gliascoltatori sentirono il modello crescere indefinitamente, e quando Shepard invertı ladirezione dei suoni si sentı il modello diminuire, sempre indefinitamente.
32
Parliamo ora della percezione delle altezze dei suoni. Come si ricava dallāanalisi diFourier, lāaltezza di un suono puro, avente cioe forma dāonda sinusoidale, e caratterizzatabanalmente dalla sua frequenza. E allora interessante studiare la percezione dellāaltezzadi suoni composti, costituiti cioe dalla sovrapposizione di onde armoniche. Il matematicoolandese Schouten attorno al 1939 pubblico i risultati dei suoi esperimenti sulla perce-zione dellāaltezza dei suoni. E stato dimostrato che lāidea generalmente accettata chele componenti della frequenza fondamentale di un tono complesso determinino lāaltezzadel suono prodotta dal tono e insostenibile. Ascoltando un tono complesso, Schoutenosservo che, a parte le armoniche piu basse, udibili a tutti, cāera un altro suono piudifficile da udire, con unāaltezza corrispondente alla frequenza fondamentale. Egli concluseche lāaltezza di questo nuovo elemento percettivo che aveva scoperto dovesse giungeredallāazione combinata delle onde armoniche piu alte. Egli chiamo la sensazione collettivadovuta a questo gruppo di armoniche il residuo (āthe residueā). Questa conclusione fusupportata dagli studi di Boer (1956) sui complessi non armonici. Secondo la sua opinioneil numero piu piccolo di frequenze necessarie per ottenere un residuo stabile e chiaro e 5,al contrario di quanto afferna Ritsma, secondo il quale ne bastano 3.Sembra esserci una grossa disparita nella percezione dellāaltezza di un tono complesso.Alcuni recepiscono il suono complesso come un unico suono, altri invece recepiscono altezzedi diversi suoni distinti. Per dare una spiegazione a questo fenomeno 42 soggetti sonostati sottoposti al seguente esperimento: attraverso auricolari posti a un livello di 40 dB,vennero fatti ascoltare due toni ciascuno della durata di 160 ms, il primo consistente nellefrequenze f1, f2 = 1750, 2000 Hz e il secondo 1800, 2000 Hz. I soggetti che recepironoquesto suono come un tuttāuno sentirono una caduta dellāaltezza corrispondente allefrequenze fondamentali (f1 e f2) rispettivamente di 250 Hz e 200 Hz. Gli altri invecesentirono un aumento dellāaltezza corrispondente a un cambiamento nelle frequenze piubasse.Lāesperimento mostra che esattamente la meta sente il tono complesso come un tuttomentre lāaltra meta sente il suono come parte di qualcosa. La ripetizione dello stessoesperimento un mese dopo da di nuovo lo stesso risultato.
33
LāSPL (livello di pressione sonora) di ciascuna delle due componenti dei due toni e dicirca 40 dB sopra la soglia di udibilita. A questo livello non e immaginabile che il tonocorrispondente alla differenza f1 ā f2 giochi un ruolo nella percezione del suono. Inoltreil risultato per stimoli con una frequenza costante, per esempio pari a 200 Hz, mostrauna variazione nellāaltezza che indica che non puo essere la differenza di tono a causarelāaltezza recepita.Soffermiamoci un attimo su una peculiarita importante del nostro apparato uditivo: lāo-recchio umano e un amplificatore non lineare ad alta distorsione. Quindi, in generale,dati due segnali (supposti di uguale ampiezza) e frequenza f1, f2, si generano dei prodottidi intermodulazione, dovuti appunto alla non linearita, di diverso ordine: del secondoordine, a frequenze f1āf2 e f2āf1, del terzo ordine a frequenze 2f1āf2 e 2f2āf1 e degliordini successivi, oltre alle armoniche 2f1, 2f2, 3f1, 3f2, eccetera, multiple delle frequenzefondamentali.Prendiamo due tra gli osservatori che nel primo esperimento hanno udito il suono comeun tuttāuno a facciamo ascoltare loro una serie di coppie di toni fi, fj, ciascuno con unadifferenza di frequenza costante e per esempio pari a 200 Hz, dunque tali che fj ā fi = 200Hz. Lāaltezza espressa in funzione della frequenza fondamentale P del segnale armonicorecepito sembra essere indipendente dai diversi segnali, inarmonici, che si ottengono, edunque possiamo disegnare lāarea in cui ci aspettiamo di trovare lāaltezza in questione.
Unāaltezza pari a 200 Hz si trova anche quando le frequenze f1, f2 sono interi multiplidella frequenza f2 ā f1 e cioe dunque se f2 ā f1 = k; questa situazione si presenta quandof1 = mk e di consequenza f2 = (m+ 1)k con m intero positivo. Ci metteremo proprioin questāultimo caso e analizzeremo cosa succede quando si spostano le frequenze deinostri toni rispetto a questa situazione centrale. La periodicita dello stimolo che stiamostudiando corrisponde esattamente a 200 Hz; dunque le altezze uguali in questo caso sonofacilmente comprensibili sulla base di una teoria della periodicita delle altezze dei suoni.Lo stimolo e descritto da:
S(t) = A cos 2Ļf1t+ A cos 2Ļf2t = 2A cos 2Ļf2 ā f1
2t cos 2Ļ
f2 + f1
2t.
Possiamo interpretare il segnale come unāonda sinusoidale di frequenza 12(f1 + f2) di
ampiezza |2A cos 12(f2 + f1)t| e con una fase che cambia di 180o ogni volta che lāampiezza
e zero. Se le frequenze sono multipli della frequenza fondamentale g, per esempio f1 = ng
34
e f2 = (n+ 1)g, lo stimolo e:
S(t) = 2A cos1
22Ļgt cos
(n+
1
2
)2Ļgt
Qui di sotto presentiamo cosa accade per n = 7. La periodicita e data da g perchenellāintervallo di tempo Ļ = 1
gavvengono 71
2oscillazioni e la fase passa da 180o a 0o.
La periodicita g si perde quando entrambe le frequenze vengono spostate rispetto allasituazione armonica centrale f1 = ng e f2 = (n+1)g. Lāaltezza sembra essere strettamentecorrelata allāintervallo di tempo che intercorre tra due picchi dellāonda. Diversi intervallidi tempo sono ottenuti prendendo diversi picchi. Per esempio lāaltezza corrispondenteallāintervallo di tempo Ļ e determinata da (n + 1
2) oscillazioni di una frequenza pari
a (n + 12)g. Se spostiamo di āf la nostra frequenza, lāintervallo di tempo sara allora
determinato sempre da n + 12
oscillazioni ma stavolta con frequenza (n + 12)g + āf .
Dunque quello che ci aspettiamo e un picco traslato di āfn+1
rispetto al precedente. Questasupposizione e vera, ma vale solo per componenti con la stessa ampiezza. In generale none detto che le due frequenze che costituiscono il tono complesso abbiano la stessa ampiezzae quello che generalmente accade e che lāaltezza che si recepisce e alla fine determinata soloda una delle due frequenze componenti. Cio corrisponde ad uno spostamento dellāaltezzadi āf
no di āf
n+1, a seconda di quale sia la componente che determina lāaltezza recepita.
Tutto cio ci porta a concludere che in realta lo spazio, in cui, secondo la nostra primasupposizione, vive lāaltezza del suono complesso, non e individuato in modo del tuttocorretto: la differenza tra lāarea in cui si trova realmente lāaltezza e quella in cui era stataprevista e, in generale, di circa 1.2 Hz e spesso dipende da |āf |.
3.2 Paradosso dei frattali
Partiamo di nuovo di un paradosso visivo per descrivere poi un analogo paradosso mu-sicale. Lāimmagine sottostante e un frattale, cioe un oggetto geometrico che si ripetenella sua struttura allo stesso modo su scale diverse; in altre parole e una figura che eunione di un numero di parti che, ingrandite di un certo fattore, riproducono la figurastessa. Questa caratteristica e spesso chiamata auto-similarita. Il termine frattale venneintrodotto nel 1975 da Mandelbrot. Si usa il termine frattale anche per funzioni che sonoovunque continue ma non derivabili in tutto lo spazio in cui sono definite. Lāimmaginesottostante e formata da sette esagoni in cui ogni lato, di lunghezza L, viene spezzato intre segmenti lunghi L/
ā7 ' 0.37796. Ripetendo questo procedimento allāinfinito su ogni
bordo otteniamo una figura frattale auto-simile. Il perimetro dellāintera figura e ugualea 3 volte il perimetro di una delle sette componenti mentre lāarea totale e solo 7 volte
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quella di ogni sua parte e non 9. Questo e un paradosso, dovuto ai bordi frattali, checontrasta con la teoria euclidea. I contorni di questa figura sono localmente grafici difunzioni ovunque continue ma non ovunque derivabili, e la loro dimensione di Hausdorff ecompresa tra 1 e 2. Infatti d = log 3/ log
ā7 ' 1.12915, il valore necessario per risolvere il
paradosso menzionato.Facciamo una breve parentesi sul significato di dimensione di Hausdorff. Dato unsottoinsieme E di RN si definisce dimensione di Hausdorff il numero
dimH(E) = inf{p > 0 : Hāp (E) = 0},
dove Hāp (E) e la dimensione esterna di Hausdorff, la cui definizione e:
Hāp (E) = lim
Ī“ā0+Hāp,Ī“(E) = sup
Ī“>0Hāp,Ī“(E),
ove
Hāp,Ī“(E) = inf
{ānāN
(diamUn)p : E ā
ānāN
Un, Un aperti, diamUn < Ī“
}.
Si puo verificare che per un insieme E la funzione p 7ā Hāp (E) ha il seguente andamento:
esiste p0 ā [0, N ] tale che
Hāp (E) =
+ā se p ā [0, p0[
Ī» se p = p0
0 se p ā]p0, N ],
ove Ī» e un opportuno numero non negativo, finito o infinito. Tale p0 e appunto ladimensione di Hausdorff dellāinsieme E.
Passiamo ora al paradosso musicale: consideriamo la funzione di Weierstrass
w(t) =āāk=0
Ī³k cos(Ī²kt)
Al variare dei parametri Ī² e Ī³, Weierstrass dimostro che esistono funzioni ovunque continuema mai differenziabile. A noi interessa il caso in cui la funzione che stiamo studiando
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rappresenta un suono udibile: dobbiamo quindi imporre che k ricopra solo la gamma audio
e dunque che 20 ā¤ 2k 1312
2Ļā¤ 20000 Hz, avendo supposto di misurare t in secondi. Dunque la
nostra e una sommatoria finita e, in questo caso, possiamo supporre che lāampiezza siacostante, e prendere Ī³ = 1. Si osserva che allora w(Ī²t) = w(t) e cioe che la funzione eauto-simile.Se consideriamo, infatti
w(t) =āāk=0
cos(Ī²kt)
(dove, qui e nel seguito, i termini della somma sono da considerare nulli quando k assumevalori corrispondenti a frequenze non udibili) e diminuiamo la grandezza del tempo tnellāequazione della funzione di un fattore Ī², otteniamo
w(Ī²t) =āāk=0
cos(Ī²k+1t) =āāk=0
cos(Ī²kt) = w(t)
e dunque w(t) e auto-simile. La auto-similarita di questa funzione e illustrata nella figurasottostante che illustra un periodo di w con Ī³ = 1, Ī² = 2 e k = 1, ...., 6.
Supponiamo adesso Ī² = 21312 : avremo
w(t) =āāk=0
cos(2k1312 t),
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avendo supposto di misurare t in secondi. Raddoppiando la velocita di esecuzione siottiene
w(2t) =āāk=0
cos(2k1312
+1t) =āākā²=1
cos(2kā² 1312 Ā· 2ā
112 t) = w(2ā
ā112 t)
dove kā² = k + 1. Se la frequenza copre lāintera gamma audio quello che riesce a sentirelāorecchio umano e
w(t) = w(2ā112 t).
Cosı il raddoppiare della velocita produce un suono con unāaltezza abbassata di un fattore2ā1/12, e lāaccordo verra emesso circa un semitono piu in basso anziche unāottava sopra.Esaminiamo questo paradosso nel dettaglio. Consideriamo w(Ī²t) con 11 frequenze che
vanno da 10.0 Hz fino a 2130/12 Ā·10 ' 18245.6 Hz. Raddoppiando la velocita di riproduzione
la sesta componente, per esempio, subisce un cambio di frequenza passando da 427.15 a854.3 Hz. Confrontando i due accordi, quello iniziale e quello con la velocita raddoppiata,lāorecchio umano identifica la ānuovaā sesta componente come la settima dellāaccordooriginale, la cui frequenza e 905.1 Hz. Osserviamo che la nota la cui frequenza e 854.3 Hz(la sesta componente del ānuovoā accordo) e esattamente un semitono piu basso rispettoa quella la cui frequenza e 905.1 Hz (la settima componente dellāaccordo originale), edunque cio che si percepisce, in conclusione, e unāaltezza ridotta.
Usando un diverso fattore, per esempio Ī² = 21412 , e ripetendo lo stesso esperimento,
quello che si sente e un accordo suonato due semitoni piu basso; similmente Ī² = 21512
produrra un accordo tre semitoni piu basso rispetto allāoriginale, e cosi via. Se pero Ī²cresce troppo avvicinandosi al valore 2
2412 = 4, la percezione inizia a diventare ambigua e
per Ī² = 4 si sente un accordo che e considerato ugualmente unāottava sopra o unāottavasotto.
3.3 Parodosso di Risset
Risset presento tre diversi esempi di paradossi musicali. Il primo consiste in una varia-zione del paradosso di Shepard, il secondo consiste in un battito che viene velocizzatoindefinitamente e il terzo consiste in un suono che dura 40 secondi e che presenta moltecaratteristiche paradossali.
Risset sintetizzo tramite il programma MUSIC V un suono che āscende la scalaā mafinisce in un passo piu alto.
3.3.1 Effetto dellāaltezza
Esso e ottenuto aggiungendo 9 componenti sinusoidali con frequenze f , 2f , 22f , ..., 28f .Allāinizio del suono si ha f = 31.25 Hz, cosı che le frequenze componenti il suono sono31.25 Hz, 62.5 Hz, 125 Hz, ...., 8000 Hz. La frequenza fondamentale diminuisce di dueottave seguendo una curva esponenziale discendente che diminuisce di un ottava ogni 20secondi. Quindi tutte le componenti scivolano lungo la scala mantenendo mantendo perolāuna dallāaltra le distanze iniziali. Allo stesso tempo lāampiezza di ogni componente econtrollata separatamente al fine di spostare il picco dello spettro verso le alte frequenze.La figura sottostante, in cui lāampiezza di ogni componente viene vista come una funzionedella sua frequenza, mostra quanto appena detto.
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La scala con cui misuriamo le frequenze e una scala logaritmica; lāinviluppo spettrale euna curva a forma di campana con valori estremi di circa 80 dB sotto il picco. Le lineecontinue che vediamo nellāimmagine mostrano le componenti del suono allāinizio, mentrequelle tratteggiate le rappresentano dopo 10 secondi; le frequenze di tutte le componentisono diminuite di mezza ottava, mentre lāinviluppo spettrale si e spostato verso lāaltodi unāottava. Cosı tutte le dieci componenti scivolano due ottave in basso ārestando aintervalli di unāottavaā, mente i picchi salgono di circa 4 ottave.
3.3.2 Effetto ritmico
Il paradosso del ritmo e molto simile al paradosso del passo enunciato prima. Si realizzamodificando lāampiezza del suono attraverso una successione di battiti. Diversi battiti,dunque, a distanze di āottave ritmicheā, si sovrappongono uno allāaltro. Con āottavaritmicaā intendiamo che i loro rispettivi tassi di riproduzione, supponendo che il primosia r, sono: r, 2r, 4r, 8r, eccetera.Nellāesempio riportato da Risset, e che siamo riusciti a riprodurre attraverso un programmain C, i battiti rappresentati sono 5: allāinizio del suono si ha r = 1.25 Hz, cosı che ilnumero dei battiti per secondo e rispettivamente 1.25, 2.5, 5, 10 e 20 per ognuno dei cinquebattiti suonati simultaneamente. Inizialmente il battito piu lento e quello con lāampiezzadominante. Diminuiamo ora r regolarmente dividendolo per 8 in 40 secondi, e notiamo cheil picco della distribuzione dellāampiezza e una curva a forma di campana che garantisceun passaggio graduale da una battuta dominante a una con un tasso di ripetizione duevolte piu veloce. I picchi si spostano da una componente allāaltra battendo due volte piuveloce in meno tempo di quello impiegato da r per essere dimezzato. Nel nostro esempio,per il tasso fondamentale ci vogliono 13 secondi per diminuire di un fattore 2, mentre perla distribuzione dellāampiezza ci vogliono solo 6.5 secondi per passare da una componentea una che e due volte piu veloce. Cosı, mentre i battiti rallentano, tutti quelli piu velocidiventano dominanti; durante i 40 secondi in cui cāe il suono, r si rallenta di un fattore 4e alla fine il battito dominante e quattro volte piu veloce di quello iniziale.
3.3.3 Effetto spaziale
Dato un suono, parte di esso (il 15% della sua ampiezza) viene inviato a un riflettore disuoni, e il suono stesso e alimentato in egual misura dal canale destro e da quello sinistro,
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cosı da produrre uno ā stereo suonoā. Entrambi i canali sono modulati in ampiezza dadue diverse funzioni del tempo come mostrato in figura:
La linea tratteggiata controlla lāampiezza del suono diretto nel canale destro, mentrequella continua rappresenta il suono diretto presente nel canale sinistro. La linea parallelaallāasse x indica il livello del riverbero del suono, che e approssimativamente costante. Altempo t1 il suono arriva solo dal canale destro ed il suo livello e minore del livello delriverbero del suono: questo fa sı che il suono sembri arrivare da una sorgente situata sullato sinistro, piu lontana rispetto alla posizione reale. Poi il suono diretto aumenta e altempo t2 esso supera il livello di riverbero e da lāidea che il suono sia generato da unasorgente sempre piu vicina. Avvicinandoci al tempo t3, il livello del suono che arriva dalcanale destro diminuisce drasticamente e aumenta invece quello che proviene dal canalesinistro, e sembra che la sorgente del suono si sposti rapidamente da sinistra verso destracon una velocita che dipende dalla pendenza degli inviluppi del canale destro e sinistro.Successivamente al tempo t4 il livello del suono diretto proveniente dal canale destrodiminuisce e si trova al di sotto del livello del riverbero, e cosı al tempo t5 dal canalesinistro viene generato un suono ed esso inizia a crescere. Al tempo t6 esso supera illivello del suono diretto generato dal canale destro, cosı che la sorgente del suono sembramuoversi da destra verso sinistra, ma molto piu lontano rispetto alla posizione reale,perche il livello del suono in entrambi i canali e molto piu basso rispetto al suono delriverbero.
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Capitolo 4
Illusione: errore dei sensi, veritadella percezione
4.1 Destri e mancini
Concludiamo questa discussione descrivendo alcune differenze molto interessanti nellapercezione dei suoni.
Per esempio, e stato scoperto, tramite un esperimento condotto dalla psicologa DianaDeutsch, che destri e mancini percepiscono le illusioni musicali in modo diverso. Pereseguire lāesperimento un computer e stato programmato per controllare due generatoridi onde sinusoidali in modo che il tono potesse sempre essere regolato in ampiezza,durata e frequenza, e le sequenze di toni vennero presentate agli ascoltatori tramiteauricolari, cosi che quando un orecchio, per esempio il destro, ascoltava un tono, il sinistrocontemporaneamente udiva lāaltro tono. La sequenza che venne fatta ascoltare durava20 secondi ed era costituita dallāalternarsi di due toni, ciascuno suonato per un quartodi secondo, uno di frequenza 800 Hz, lāaltro 400 Hz. Questa sequenza di toni vennepresentata simultaneamente a entrambe le orecchie, e alla stessa ampiezza. Nonostantequesto, la sequenza recepita da un orecchio risultava comunque fuori fase rispetto quellapercepita dallāaltro: quando, infatti, un orecchio sentiva il tono piu alto, lāaltro sentivaquello piu basso e viceversa. Solo una persona su cento riuscı a descrivere correttamente idue toni presenti nella sequenza, mentre la maggior parte sentı un unico singolo suonopassare da un orecchio allāaltro, cioe sentı alternativamente il tono alto in un orecchioe quello basso nellāaltro e cosi via. Si provo poi a invertire gli auricolari e quasi tutticontinuarono a sentire i suoni esattamente come prima: lāorecchio che prima udiva il tonoalto continuava a udire il tono alto e cosı per lāaltro orecchio, pero la sensazione fu chelāauricolare che prima emetteva il suono alto ora emettesse quello basso e viceversa.Nonostante, come appena detto, la maggior parte delle persone tende a localizzare untono in un orecchio e lāaltro tono nellāaltro orecchio puo capitare, ed anzi spesso capita,che dopo un poā questa situazione venga capovolta, e che dopo un altro poā di tempola situazione possa capovolgersi di nuovo, tornando cosı a quella iniziale. Un analogoparadosso visivo che chiarisce questo fenomeno e il cubo di Necker, dove la faccia posteriorediventa periodicamente la faccia frontale.
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I destri sentirono il suono alto nellāorecchio destro e quello basso in quello sinistroe mantennero questa percezione anche dopo il cambio degli auricolari; i mancini invecelocalizzarono il suono alto indifferentemente nellāorecchio destro o sinistro. Questadifferenza puo essere spiegata osservando che per i destri lāemisfero dominante del cervelloe il destro, e che lāimput primario sonoro arriva dunque dallāorecchio destro, mentreal contrario per i mancini entrambi gli emisferi sono dominanti. Quindi sembra che lepersone sentano il tono alto arrivare dallāorecchio che manda i segnali piu forti allāemisferodominante, e il tono basso giungere dallāorecchio che invia invece i segnali piu fortiallāemisfero non dominante.
4.2 Il paradosso del tritone
Descriveremo adesso il cosidetto āparadosso del tritoneā, e come esso venga sentito inmaniera diversa da due gruppi di persone con culture diverse. Scoperto dalla psicologaDiana Deutsch, questo paradosso si trova su alcune riviste scientifiche, quali āMusicPerceptionā e āPerception & Psycophisicsā. Il paradosso del tritone consiste in due toniche distano meta di unāottava (detta anche tritone) presentati uno di seguito allāaltro.Ogni tono e composto da una insieme di armoniche tutte distanti tra di loro esattamenteunāottava, le cui ampiezze sono determinate da un inviluppo spettrale a forma di campana.Quando agli ascoltatori viene fatto sentire questo paradosso, viene chiesto loro di dire sesentono il modello salire o scendere, e le loro risposte mostrano come essi sentano i toni inrelazione alla loro posizione lungo il ācerchio della classe delle altezzeā, che illustriamoqui di seguito:
In base alla regione del cerchio in cui si trovano i toni, essi vengono sentiti come i piualti o i piu bassi, e corrispondentemente, i suoni nella parte del cerchio opposta a questa
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regione saranno recepiti come, rispettivamente, i piu bassi o i piu alti. Nonostante ciovi e pero una sostanziale disparita nelle risposte degli ascoltatori: qualcuno sente questoinsieme di suoni salire, altri scendere e ci sono discordanze anche su quale dei due toni siaquello piu alto e quale quello piu basso. Per esempio alcuni sentono il modello cosistuitodai due toni Do#-Sol come un modello ascendente e il modello Sol-Do# come discendente,e dunque sentono il Sol come il suono con unāaltezza piu alta, e il Do# come quello con iltono piu basso. Viceversa altre persono sentono Do#-Sol come un modello discendentee Sol-Do# come discendente, e di conseguenza essi sentiranno il Sol come il suono conaltezza piu bassa e Do# come quello piu basso.La psicologa Diana Deutsch, nel 1987, dimostro che questo esperimento vale in largamisura su tutta la popolazione, e non e un fenomeno ristretto solo alle persone che si sonosottoposte allāesperimento. Lāidea fu quella che la percezione del paradosso del tritonepotrebbe essere correlata allāelaborazione del suono vocale, o meglio, si suppose che gliascoltatori sviluppino una rappresentazione a lungo termine della gamma di tonalita dellapropria voce, e insieme ad essa creino una limitazione della ābanda di ottaveā nella qualerecepiscono il maggior numero di valori delle altezze dei suoni. Si suppose inoltre che leclassi di altezza che delimitano questa banda di ottava per quanto riguarda i suoni prodottidurante un normale discorso definiscano la posizione piu alta del cerchio delle classi dellealtezze. Per dimostrare questa ipotesi Diana Deutsch eseguı il seguente esperimento:seleziono delle persone, e registro per ciascuno di loro 15 minuti di una loro conversazionespontanea e da questo seleziono la banda di ottava corrispondente. Confrontando i risultatiottenuti, si osservo che cāera effettivamente una forte corrispondenza tra le classi di altezzache delimitano la banda di ottava e quelle che definiscono la posizione piu alta nel cerchiodelle altezze. Questo supporta lāidea che la percezione del paradosso del tritone sia basatasulla rappresentazione del cerchio delle altezze, la cui orientazione (in base alla qualecambia il modo di sentire un determinato modello) e correlata al range delle altezze delsuono della voce dellāascoltatore. La Deutsch dimostro che questo range di altezze, cheogni individuo crea, e determinato dallāesposizione ai discorsi degli altri. Dunque, per lacapacita di determinare le altezze dei suoni si da molta importanza ai discorsi fatti dallepersone che circondano un individuo, e quindi anche alla lingua parlata da queste persone.Possiamo adesso descrivere lāesperimento. Le persone sottoposte a tale esperimento, tuttesenza problemi di udito, sono state scelte sulla base del numero di errori, non piu di6 su un massimo di 48, da esse compiuti durante un precedente esperimento nel qualedovevano dire quando una coppia di toni distanti meta di un ottava erano ascendenti equando discendenti. Il primo gruppo era fatto da 24 persone, tutte cresciute in Californiae che avevano passato gli ultimi anni in California. Il secondo gruppo era invece formatoda 12 persone cresciute nel sud dellāInghilterra, ma la maggior parte di essi al momentodellāesperimento viveva in California. Nessuno del primo gruppo aveva parenti cresciuti inInghilterra e viceversa.I toni costituenti lāesperimento erano fatti da sei onde sinusoidali a distanza di unāottavae le cui ampiezze erano determinate da un inviluppo spettrale a forma di campana.Lāequazione generale che descrive un inviluppo di questi tipo e:
A(f) = 0.5ā 0.05 cos[2ĻĪ³
logĪ²
( f
fmin
)]fmin ā¤ f ā¤ Ī²Ī³fmin,
dove A(f) e lāampiezza relativa a unāonda sinusoidale data di frequenza f Hz, Ī² e il
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rapporto tra la frequenza di una sinusoide e la frequenza di una sinusoide ad essa adiacente,Ī³ e il numero di Ī² cicli compiuti. La frequenza minima per ottenere unāampiezza diversada zero e fmin, mentre la frequenza massima e Ī³Ī² cicli sopra fmin. Nellāesperimento si haĪ² = 2 e Ī³ = 6, e dunque lāinviluppo spettrale corrispondente copre esattamente sei ottave,che vanno da fmin a 25fmin = 32fmin.Per essere sicuri di poter controllare gli effetti delle ampiezza o della rumorosita delleonde sinusoidali, la coppia di toni e stata creata sotto diversi invilippi spettrali che sonostati posizionati in quattro regioni distinte lungo lo spettro; precisamente questi quattroinviluppi sono stati centrati in: 262 Hz (Do4), 370 Hz (Fa#4), 523 Hz (Do5) e 740 Hz(Fa#5), e quindi sono posizionati a distanza di mezza ottava lāuno dallāaltro. Possiamoinoltre osservare che le ampiezze relative delle componenti sinusoidali dei toni generatidagli inviluppi centrati in Do4 e Do5, considerati in una qualsiasi classe di altezza, sonoidentici a quelli generati dagli inviluppi centrati in Fa#4 e Fa#5, considerati nella classedi altezza mezza ottava sopra rispetto alla precedente. Per esempio, le componenti deltono Re-Sol#, generati dagli inviluppi centrati in Do4 e Do5, sono identiche a quelle deltono Sol#-Re generati dagli inviluppi centrati invece in Fa#4 e Fa#5. Dodici coppie ditoni sono state generate sotto ognuno dei quattro inviluppi, corrispondenti alle coppie dialtezze Do-Fa#, Do#-Sol, Re-Sol#, Re#-La, Mi-La#, Fa-Si, Fa#-Do, Sol-Do#, Sol#-Re,La-Re#, La#-Mi e Si-Fa. Quindi in tutto ci sono 48 toni, ed ognuno di questi ha duratapari a 500 msec, senza spazi tra due toni costituenti la stessa coppia. Tutti i toni hannola stessa ampiezza. Essi sono presentati in 12 blocchi, ed ogni blocco e formato da tonigenerati sotto uno dei quattro inviluppi e contenenti una delle dodici coppie dellāaltezzaappena elencate. Allāinterno di questi blocchi, i toni sono presentati in un ordine qualsiasi,con la sola condizione che la stessa coppia di altezze non puo comparire in due toniconsecutivi. In questo modo, 16 blocchi vengono creati tutti assieme.Ogni tono viene presentato agli ascoltatori, che devono capire se il modello sale o scende.Allāinterno dei blocchi ogni tono e suonato separatamente a distanza di 5 secondi e cāe unminuto di pausa tra ogni blocco. Inoltre ci sono 5 minuti di pausa tra lāottavo e il nonoblocco. Vediamo i risultati: si fa ascoltare un modello discendente, che e funzione delleclasse dellāaltezza del primo tono della coppia. Si prendono sei persone, tre nel primogruppo, quindi californiani, tre nel secondo, quindi inglesi e si rappresenta graficamentela classe dellāaltezza del primo tono della coppia. Come si vede dalla figura, anche se inmodo diverso, gli inglesi sembrano ricevere il suono in maniera diversa tra loro, ma comesi vede, lāandamento della curva e molto simile. Anche dal grafico dei tre californianipossiamo arrivare alla stessa conslusione, ma confrontando tra di loro questi due gruppi digrafici si vede a colpo dāocchio una netta differenza, anzi sembrano proprio uno lāoppostodellāaltro (intuitivamente, si puo dire che molti dei minimi locali presenti nei grafici inalto corrispondono a massimi locali nel corrispondente grafico in basso).
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Vogliamo adesso far vedere che in tutto cio gioca un ruolo fondamentale la posizionedel tono lungo il cerchio delle altezze. Per far cio il cerchio delle altezze e stato divisoa meta, e sono stati valutati nuovamente i risultati ottenuti. Inoltre il cerchio e statoorientato in modo che la classe piu a sinistra della meta superiore del cerchio prenda laposizione centrale nel cerchio, e tutte le altre classi si posizionano conseguentemente a cio,seguendo il verso orario.
Dai grafici disegnati sopra possiamo rappresentare il cerchio delle altezze, osservandoche per i californiani il āpiccoā del cerchio sara costituito dalla coppia Do-Do0#, mentreper gli inglesi sara Fa#-Sol.Adesso generalizziamo questo risultato, cercando di capire quali sono i toni, nel cerchiodelle altezze, che i due gruppi sentono come centrali.
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Come si vede dal grafico, per gli inglesi i toni che risultano piu spesso sono Fa#, Sol eSol#, mentre per lāaltro gruppo sono Si, Do, Do#, Re e Re#. Per confrontare i risultati,sono stati presi da ognuno dei due gruppi solo le persone che sentivano il āpiccoā nella metasuperiore del cerchio, e si scoprı che ben 22 delle 24 persone del primo gruppo rientravanoin questa categoria, mentre il numero degli inglesi che vi rientravano era di solo 3 su 12.Per concludere Diana Deustch volle dimostrare che questo esperimento e caratterizzatosolo ed esclusivamente dal background culturale dei gruppi che si sottopongono ad esso, enon e minimamente influenzato da fattori esterni, come lāabilita in musica o lāeta. Per farcio divise i due gruppi in due sottogruppi, uno con persone esperte in musica, lāaltro no, eripetendo esettamente lo stesso esperimento dimostro che i risultati finali non cambiano.Provo anche a dividere i due gruppi in due sottogruppi, quelli con piu di 22 anni e quellicon meno di 22 anni. Anche qui nessuna differenza sostanziale nei risultati. Infine, provoa dividere donne e uomini, ma anche qui non riscontro nessuna differenza.
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