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Capitolo 4 Calcolo differenziale In questo capitolo introdurremo i concetti fondamentali del calcolo differenziale per funzioni di pi` u variabili, estenderemo cio` e il calcolo delle derivate alle funzioni da R N in R M . 4.1 Le derivate parziali e le derivate rispetto ad un vettore Cominciamo con lo studio delle derivate prime. 1. Consideriamo la funzione f (x,y )= x 2 +3y 3 definita su tutto il piano. Se deriviamo f rispetto alla variabile x considerando la y come un parametro otteniamo la funzione (Derivata rispetto a x)=2x. Derivando rispetto alla variabile y considerando x come un parametro otteniamo invece (Derivata rispetto a y )=9y 2 . Queste due operazioni si chiamano derivate parziali di f rispetto a x e y : si dicono parziali perch´ e f dipendente da due variabili viene derivata rispetto ad una sola di esse, tenendo l’altra fissa. Si usano i simboli ∂f ∂x e ∂f ∂y , cos` ı che ∂f ∂x (x,y )=2x e ∂f ∂y (x,y )=9y 2 . Le derivate parziali in (x 0 ,y 0 ) si ottengono sostituendo x = x 0 e y = y 0 nelle espressioni ottenute: ad esempio ∂f ∂y (1, 2) = 36. Il significato geometrico delle derivate parziali in un punto p =(x 0 ,y 0 ) di una funzione di due variabili f (x,y ) definita su un aperto A R 2 pu`oessere capito nel seguente modo. La derivata parziale rispetto a x si ottiene fissando y = y 0 e derivando la funzione risultante g (x)= f (x,y 0 ) in x = x 0 . g (x) rappresenta la funzione f 97

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Capitolo 4

Calcolo differenziale

In questo capitolo introdurremo i concetti fondamentali del calcolo differenziale per funzionidi piu variabili, estenderemo cioe il calcolo delle derivate alle funzioni da RN in RM .

4.1 Le derivate parziali e le derivate rispetto ad un

vettore

Cominciamo con lo studio delle derivate prime.

1. Consideriamo la funzione f(x, y) = x2 +3y3 definita su tutto il piano. Se deriviamo frispetto alla variabile x considerando la y come un parametro otteniamo la funzione

(Derivata rispetto a x) = 2x.

Derivando rispetto alla variabile y considerando x come un parametro otteniamoinvece

(Derivata rispetto a y) = 9y2.

Queste due operazioni si chiamano derivate parziali di f rispetto a x e y: si diconoparziali perche f dipendente da due variabili viene derivata rispetto ad una sola diesse, tenendo l’altra fissa. Si usano i simboli ∂f

∂xe ∂f∂y

, cosı che

∂f

∂x(x, y) = 2x e

∂f

∂y(x, y) = 9y2.

Le derivate parziali in (x0, y0) si ottengono sostituendo x = x0 e y = y0 nelleespressioni ottenute: ad esempio ∂f

∂y(1, 2) = 36.

Il significato geometrico delle derivate parziali in un punto p = (x0, y0) di una funzionedi due variabili f(x, y) definita su un aperto A ⊆ R2 puo essere capito nel seguentemodo. La derivata parziale rispetto a x si ottiene fissando y = y0 e derivandola funzione risultante g(x) = f(x, y0) in x = x0. g(x) rappresenta la funzione f

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98 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

calcolata lungo la retta per p e parallela all’asse delle x: pertanto la derivata parzialerispetto a x di f in p rappresenta il coefficiente angolare della retta tangente a g(x)in x = x0.

x

y

p = (x0, y0)

g(x) = f(x, y0)

R

y = y0

La funzione g(x) ha inoltre il seguente significato geometrico: essa rappresenta lacurva sezione della superficie z = f(x, y) con il piano y = y0.

x

y

zz = f(x, y0) = g(x)

y = y0

Dunque ∂f∂x

(x0, y0) rappresenta il coefficiente angolare della retta tangente a tale curva

per x = x0. Un significato analogo ha ∂f∂y

(x0, y0).

2. Per le funzioni di tre variabili f(x, y, z) si ragiona in modo simile: occorre tenere contodi una terza derivata parziale, quella rispetto a z. Ad esempio, data la funzione

f(x, y, z) = x2 − yz

si ha∂f

∂x(x, y, z) = 2x,

∂f

∂y(x, y, z) = −z

e∂f

∂z(x, y, z) = −y.

Dunque nel punto (7, 1, 2) le derivate parziali valgono

∂f

∂x(7, 1, 2) = 14,

∂f

∂y(7, 1, 2) = −2

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4.1. LE DERIVATE PARZIALI E LE DERIVATE RISPETTO AD UN VETTORE 99

e ∂f∂z

(7, 1, 2) = −1.

Il significato geometrico di ∂f∂x

(7, 1, 2) e analogo a quanto visto in dimensione due:essa si ottiene fissando y = 1 e z = 2 e derivando la funzione g(x) = f(x, 1, 2) inx = 7. g(x) rappresenta la funzione ottenuta calcolando f sulla retta parallela all’assedelle x passante per (7, 1, 2): il valore ∂f

∂x(7, 1, 2) rappresenta il coefficiente angolare

della retta tangente a g(x) per x = 7.

x

y

z

g(x) = f(x, 1, 2)

R

p = (7, 1, 2)

g(x) puo sempre interpretarsi per analogia con quanto visto al punto precedentecome la curva intersezione del grafico di f con un opportuno (iper)-piano, cosı che∂f∂x

(7, 1, 2) mantiente il significato di coefficiente angolare della retta tangente a talecurva nel punto considerato: viene a mancare una visualizzazione grafica perche ,come visto in precedenza, il grafico di w = f(x, y, z) e ambientato in uno spazioquadridimensionale.

3. Il caso delle funzioni a valori vettoriali non pone alcuna difficolta , perche si ragionacomponente per componente. Se ad esempio f(x, y) = (xy, x2 + 3y), allora si ha

∂f

∂x(x, y) = (y, 2x), e

∂f

∂y(x, y) = (x, 3).

Dunque nel punto (1, 1) si ha

∂f

∂x(1, 1) = (1, 2), e

∂f

∂y(1, 1) = (1, 3).

Il significato geometrico di ∂f∂x

(1, 1) e ancora semplice: considerando y = 1 fissata, siottiene una funzione γ(x) = f(x, 1) a valori in R2, cioe una curva piana. Il vettore∂f∂x

(1, 1) ∈ R2 rappresenta dunque il vettore tangente (velocita ) a γ in (1, 4) = f(1, 1).

(1, 1)

(1, 4)

∂f∂x

(1, 1)

γ(x) = f(x, 1)

f

x

y

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100 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

4. In base a quanto visto, possiamo dare la seguente definizione generale.

Definizione 4.1 (Derivate parziali). Siano A ⊆ RN un aperto, f : A → RM unafunzione, e sia p = (x1, x2, . . . , xN ) ∈ A. Diciamo che f ammette la derivata parzialerispetto a xi nel punto p se la funzione

xi → f(x1, x2, . . . , xi, . . . , xN)

e derivabile in xi, cioe se esiste finito il limite

limt→0

f(x1, . . . , xi + t, . . . , xN) − f(x1, . . . , xi, . . . , xN)

t

Le derivate parziali rispetto a x1, . . . , xN si indicano con il simbolo

∂f

∂x1(p),

∂f

∂x2(p), . . . ,

∂f

∂xN(p)

oppureD1f(p), D2f(p), . . . , DNf(p).

In base a quanto visto nei punti precedenti, il significato geometrico di ∂f∂xi

(p) ∈ RM

e il seguente:

(a) se M = 1, cioe se f e un campo scalare, esso rappresenta il coefficiente angolaredella tangente in xi = xi al grafico della funzione z = g(xi), che si ottienecalcolando f sulla retta per p parallela all’asse xi;

(b) se M ≥ 2, cioe se f e a valori vettoriali, esso rappresenta il vettore tangente perxi = xi alla curva γ(xi) che si ottiene calcolando f sulla retta per p parallelaall’asse xi.

Notiamo che l’ipotesi che A sia aperto e essenziale per avere che il rapporto incre-mentale sia ben definito vicino a t = 0: geometricamente e essenziale affinche esistaun pezzo di grafico di f vicino a p.

5. Notiamo che la derivata parziale rispetto a xi di f nel punto p puo essere espressa informa sintetica in questo modo:

∂f

∂xi(p) = lim

t→0

f(p+ tei) − f(p)

t,

dove ei e il versore dell’asse xi. Dunque il concetto di derivata parziale puo generalizzarsia quello di derivata rispetto ad un generico vettore v nel seguente modo.

Definizione 4.2 (Derivata rispetto a un vettore). Siano A ⊆ RN un aperto,f : A → RM una funzione, x0 ∈ A e sia v ∈ RN . Diciamo che f e derivabile in prispetto a v se esiste il limite

limt→0

f(p+ tv) − f(p)

t.

Tale vettore di RM si indica con ∂f∂v

(p) oppure con Dvf(p).

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4.1. LE DERIVATE PARZIALI E LE DERIVATE RISPETTO AD UN VETTORE 101

Il significato geometrico di ∂f∂v

(p) e analogo a quello visto per le derivate parziali:

(a) se M = 1, cioe se f e un campo scalare, esso rappresenta il coefficiente angolaredella tangente in t = 0 al grafico della funzione z = g(t), che si ottiene calcolandof sulla retta p+ tv passante per p e parallela a v;

(b) se M ≥ 2, cioe se f e a valori vettoriali, esso rappresenta il vettore tangente pert = 0 alla curva γ(t) che si ottiene calcolando f sulla retta p + tv passante perp e parallela a v.

pv

m = ∂f∂v

(p)

z = g(t)

p

f(p)

∂f∂v

(p)

γ(t) = f(p + tv)

f

v

Esempio 4.3. Se f : R2 → R e data da f(x, y) = x2y, la derivata in (1, 2) rispettoa v = (−3, 4) e data da

∂f

∂v(1, 2) = lim

t→0

f(1 − 3t, 2 + 4t) − f(1, 2)

t

= limt→0

(1 − 3t)2(2 + 4t) − 2

t

= limt→0

(1 + 9t2 − 6t)(2 + 4t) − 2

t

= limt→0

−8t− 6t2 + 36t3

t= −8.

Esempio 4.4. Sia f : R2 → R e data da

f(x, y) =

{

x2 se xy ≥ 0

x− y se xy < 0

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102 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

x

y

f(x, y) = x − y

f(x, y) = x2

f(x, y) = x2

f(x, y) = x − y

v

w

Allora la derivata in (0, 0) rispetto a v = (1, 2) vale

∂f

∂v(0, 0) = lim

t→0

f(t, 2t) − f(0, 0)

t= lim

t→0

t2

t= 0.

La derivata in (0, 0) rispetto a w = (1,−2) vale

∂f

∂w(0, 0) = lim

t→0

f(t,−2t) − f(0, 0)

t= lim

t→0

t+ 2t

t= 3.

Esempio 4.5. Se f : R2 → R2 e data da f(x, y) = (x, x + y), la derivata in (1, 1)rispetto al vettore v = (2,−1) si calcola componente per componente. Per la primacomponente si ha

limt→0

f1(1 + 2t, 1 − t) − f1(1, 1)

t= lim

t→0

1 + 2t− 1

t= 2

e per la seconda

limt→0

f2(1 + 2t, 1 − t) − f2(1, 1)

t

= limt→0

(1 + 2t) + (1 − t) − 2

t= 1.

Dunque ∂f∂v

(1, 1) = (2, 1).

6. Riassumiamo quanto visto fin qui. Partendo dalla definizione di derivata in unavariabile

f ′(x) = limt→0

f(x+ t) − f(x)

t,

siamo giunti al concetto di derivata rispetto ad un vettore

∂f

∂v(p) = lim

t→0

f(p+ tv) − f(p)

t.

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4.2. DIFFERENZIABILITA 103

Le derivate parziali sono casi particolari di derivate rispetto ad un vettore. In manieranaturale possiamo pensare che l’analogo in piu variabili delle funzioni derivabili di unavariabile siano le funzioni f : A → RM derivabili in p ∈ A rispetto a tutti i vettoriv ∈ RN . Tali funzioni pero hanno un difetto essenziale: in generale esse possononon essere nemmeno continue in p. Vediamo un esempio esplicito. Consideriamof : R2 → R definita da

f(x, y) =

{

x2yx4+y2

se (x, y) 6= (0, 0)

0 se (x, y) = (0, 0).

f e derivabile in (0, 0) rispetto a tutti i vettori v ∈ R2. Infatti se v = (v1, v2) ∈ R2

con v2 6= 0 si ha

∂f

∂v(0, 0) = lim

t→0

f(tv1, tv2) − f(0, 0)

t

= limt→0

(tv1)2(tv2)(tv1)4+(tv2)2

t= lim

t→0

t2v21v2

t4v41 + t2v2

2

= limt→0

v21v2

t2v41 + v2

2

=v21

v2,

mentre per v = (v1, 0) si ha

∂f

∂v(0, 0) = lim

t→0

f(tv1, 0) − f(0, 0)

t= lim

t→0

0

t= 0.

Per vedere che f non e continua in (0, 0), notiamo che se g : R → R2 e definita dag(t) = (t, t2), si ha f(g(0)) = f(0, 0) = 0 e per t 6= 0

f(g(t)) =t4

t4 + t4=

1

2

cioe

(f ◦ g)(t) =

{

12

se t 6= 0

0 se t = 0.

Tale funzione (di una variabile) non e continua in t = 0. Dunque la funzione fnon e continua in (0, 0). Se infatti lo fosse, f sarebbe continua su tutto R2 (fuoridall’origine coincide con una funzione razionale fratta) e la funzione f ◦ g dovrebbeessere continua da R in R per il teorema di composizione. Ma f ◦g risulta discontinuaper t = 0.

4.2 Differenziabilita

In questa sezione definiamo la classe delle funzioni differenziabili, ed i concetti collegati digradiente e matrice jacobiana.

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104 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

1. Nella sezione precedente, abbiamo visto come dalla definizione di derivata in unavariabile

f ′(x0) = limt→0

f(x0 + t) − f(x0)

t

si arrivi alla definizione di derivata rispetto ad un vettore ed alla nozione di funzionedi piu variabili derivabile in un punto. La “giusta” generalizzazione del concetto diderivabilita al caso multidimensionale si ottiene partendo dalla definizione equivalentedi derivata

limx→x0

f(x) − f(x0)

x− x0

= f ′(x0)

e riscrivendola nella forma

limx→x0

f(x) − f(x0) − f ′(x0)(x− x0)

x− x0= 0.

L’interpretazione geometrica di questa relazione e la seguente: la funzione f vicino ax0 e ben approssimata dalla retta tangente a f in x0.

y

x0 x

f(x) − f(x0) − f ′(x0)(x − x0)

Cercando di imitare questa relazione nel caso di una funzione di due variabili f(x, y),otteniamo l’espressione

(4.1)f(x, y) − f(x0, y0) − ∂f

∂x(x0, y0)(x− x0) − ∂f

∂y(x0, y0)(y − y0)

‖(x− x0, y − y0)‖.

Il fatto che questa espressione tenda a zero per (x, y) → (x0, y0) esprime il fattogeometrico che il grafico di f sia bene approssimato al primo ordine in (x0, y0) dalpiano di equazione

z = f(x0, y0) +∂f

∂x(x0, y0)(x− x0) +

∂f

∂y(x0, y0)(y − y0)

che risulta dunque essere il piano tangente a z = f(x, y) nel punto (x0, y0, f(x0, y0)).

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4.2. DIFFERENZIABILITA 105

xy

z

z = f(x0, y0) + ∂f∂x

(x0, y0)(x − x0) + ∂f∂y

(x0, y0)(y − y0)

z = f(x, y)

2. Supponiamo che f(x, y) sia a valori vettoriali, ad esempio f : R2 → R2

f(x, y) = (f1(x, y), f2(x, y)).

Allora (4.1) e una quantita vettoriale ben definita: la prima componente non e altroche la (4.1) stessa scritta per f1, mentre la seconda componente non e altro che la (4.1)scritta per f2. Notiamo che il numeratore puo essere riscritto nella forma compatta

f(x, y) − f(x0, y0) −Df(x0, y0) · (x− x0, y − y0)

dove Df(x0, y0) e la matrice 2 × 2 definita da

Df(x0, y0) =

(

∂f1∂x

(x0, y0)∂f1∂y

(x0, y0)∂f2∂x

(x0, y0)∂f2∂y

(x0, y0)

)

eDf(x0, y0)·(x−x0, y−y0) indica un prodotto righe per colonne. Dunque il quoziente(4.1) puo essere riscritto nella forma

f(x, y) − f(x0, y0) −Df(x0, y0) · (x− x0, y − y0)

‖(x− x0, y − y0)‖.

Grazie a quanto osservato sulle componenti, il fatto che esso tenda a zero e equivalenteal fatto che tenda a zero la (4.1) scritta per le componenti f1 e f2, cioe che esseammettano il piano tangente in (x0, y0).

3. L’estensione al caso di tre o piu variabili e immediato: ad esempio se f : R3 → R2

f(x, y, z) = (f1(x, y, z), f2(x, y, z)),

p = (x0, y0, z0) e q = (x, y, z), il quoziente puo essere riscritto nella forma

f(q) − f(p) −Df(p)(q − p)

‖q − p‖ .

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106 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

dove Df(p) = Df(x0, y0, z0) e la matrice

(

∂f1∂x

(x0, y0, z0)∂f1∂y

(x0, y0, z0)∂f1∂z

(x0, y0, z0)∂f2∂x

(x0, y0, z0)∂f2∂y

(x0, y0, z0)∂f2∂z

(x0, y0, z0)

)

,

e Df(p)(q−p) indica il prodotto righe per colonne. Come nel caso precedente, il fattoche tale quoziente tenda a zero e equivalente al fatto che tenda a zero la (4.1) scrittaper le componenti f1 e f2, cioe che esse ammettano il piano tangente in (x0, y0, z0).

4. Possiamo ora dare la definizione di funzione differenziabile in un punto p. Ci occorreinnanzitutto la definizione di matrice jacobiana.

Definizione 4.6 (Matrice jacobiana). Siano A ⊆ RN un aperto, p ∈ A e f : A→RM una funzione che ammette le derivate parziali nel punto p. Se f1, f2, . . . , fM sonole componenti di f , diciamo matrice jacobiana Df(p) di f in p la matrice con Mrighe e N colonne data da

∂f1∂x1

(p) ∂f1∂x2

(p) · · · ∂f1∂xN

(p)∂f2∂x1

(p) ∂f2∂x2

(p) · · · ∂f2∂xN

(p)...

......

...∂fM

∂x1(p) ∂fM

∂x2(p) · · · ∂fM

∂xN(p).

La definizione di funzione differenziabile in un punto e la seguente.

Definizione 4.7 (Differenziabilita ). Siano A ⊆ RN un aperto, f : A → RM unafunzione, e sia p ∈ A. Diciamo che f e differenziabile in p se f ammette le derivateparziali in p e se

limq→p

f(q) − f(p) −Df(p)(q − p)

‖q − p‖ = 0.

Diciamo che f e differenziabile su A se e differenziabile in ogni punto di A.

Notiamo che il fatto che A sia aperto garantisce che il rapporto che compare nelladefinizione sia ben definito vicino a p, e che dunque il limite si possa calcolare.Inoltre e chiaro dalla definizione che f e differenziabile in p se e solo se tuttele componenti di f sono differenziabili in p, cioe i loro grafici ammettono ilpiano tangente in p.

5. Essendo giunti alla definizione di differenziabilita partendo dalla nozione di derivataper funzioni di una variabile, abbiamo immediatamente che per funzioni f di una va-riabile reale a valori vettoriali, i concetti di derivabilita e differenziabilita coincidono:essi sono differenti non appena il dominio di definizione di f e multidimensionale,

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4.3. PROPRIETA DELLE FUNZIONI DIFFERENZIABILI 107

cioe Dom(f) ⊆ RN con N ≥ 2. La matrice jacobiana di γ : [a, b] → RN derivabile edunque differenziabile in t e una matrice con N righe ed una colonna data da

Dγ(t) =

γ′1(t)γ′2(t)

...γ′N(t)

.

Si tratta proprio del vettore velocita di γ in t (pensato come matrice anziche comevettore).

4.3 Proprieta delle funzioni differenziabili

In questa sezione ci occupiamo delle proprieta delle funzioni differenziabili: esse sonocontinue, derivabili, e stabili per composizione.

Siano A ⊆ RN aperto, f : A → RM , e sia p ∈ A. Sara utile la seguente rappresentazionedi f . Se per q 6= p indichiamo con ωp,f(q) il quoziente utilizzato nella definizione didifferenziabilita possiamo scrivere

f(q) = f(p) +Df(p)(q − p) + ‖q − p‖ωp,f(q),

dove per la definizione di differenziabilita

limq→p

ωp,f(q) = 0

1. Vediamo che una funzione differenziabile in punto e continua in quel punto.Basta infatti usare la scrittura

f(q) = f(p) +Df(p)(q − p) + ‖q − p‖ωp,f(q)

per cui si ha immediatamente limq→p f(q) = f(p).

Chiaramente esistono funzioni continue che non sono differenziabili, cioe la conti-nuita e una proprieta meno forte della differenziabilita . Ad esempio la funzionef : R2 → R data da f(x, y) = |x| e continua ma non e differenziabile in (0, 0)poiche non ammette la derivata parziale rispetto a x in (0, 0) (se fosse differenziabile,tale derivata dovrebbe esistere per definizione).

2. Vediamo che una funzione differenziabile in un punto e derivabile, cioe chela differenziabilita e una proprieta piu forte della derivabilita . Dunque la differen-ziabilita permette di recuperare l’estensione naturale di derivata in piu dimensionianalizzata all’inizio del capitolo.

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108 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

Proposizione 4.8 (Le funzioni differenziabili sono derivabili). Siano A ⊆RN un aperto, p ∈ A e f : A → RM una funzione differenziabile in p. Allora fe derivabile in p rispetto ad ogni vettore v ∈ RN e vale la seguente formula

∂f

∂v(p) = Df(p)v.

Dimostrazione. Per definizione si ha

∂f

∂v(p) = lim

t→0

f(p+ tv) − f(p)

t,

e dunque il teorema e dimostrato se vediamo che tale limite esiste ed anzi

limt→0

f(p+ tv) − f(p)

t= Df(p)v.

Cio equivale a vedere che

limt→0

f(p+ tv) − f(p) − tDf(p)v

t= 0.

Si ha

f(p+ tv) − f(p) − tDf(p)v

t=f(p+ tv) − f(p) −Df(p)(p+ tv − p)

t

=f(p+ tv) − f(p) −Df(p)(p+ tv − p)

‖p+ tv − p‖

(‖tv‖t

)

.

Se ora t → 0, il primo fattore tende a zero perche f e differenziabile nel punto p. Ilsecondo fattore e una quantita limitata in modulo da ‖v‖. Dunque

limt→0

f(p+ tv) − f(p) − tDf(p)v

t= 0

e la tesi e dimostrata.

Esempio 4.9. Se f : R2 → R2 e data da f(x, y) = (x2 + y,−x), si ha che fe differenziabile (vedremo dopo come fare a verificarlo in modo veloce), e la matricejacobiana e data da

Df(x, y) =

(

∂f1∂x

∂f1∂y

∂f2∂x

∂f2∂y

)

=

(

2x 1−1 0

)

.

Dunque si ha

Df(1, 0) =

(

2 1−1 0

)

,

e se v = (2, 3) si ha

∂f

∂v(1, 0) =

(

2 1−1 0

)(

23

)

=

(

7−2

)

.

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4.3. PROPRIETA DELLE FUNZIONI DIFFERENZIABILI 109

3. L’ultima proprieta delle funzioni differenziabili utile nelle applicazioni e la stabi-lita per composizione: componendo funzioni differenziabili si ottengono funzionidifferenziabili.

Per verificare questa proprieta , e utile la seguente osservazione preliminare: la de-finizione di differenziabilita nel punto p puo essere posta in modo equiva-lente richiedendo semplicemente che esista una matrice L tale che

limq→p

f(q) − f(p) − L(q − p)

‖q − p‖ = 0.

Infatti se cio accade, seguendo la dimostrazione della derivabilita delle funzioni dif-ferenziabili, si vede che f ammette le derivate parziali, ed anzi che L deve esserenecessariamente uguale alla matrice jacobiana Df(p).

Possiamo ora dimostrare la stabilita per composizione della differenziabilita .

Proposizione 4.10 (Stabilita per composizione). Siano A ⊆ RN un aperto,p ∈ A e f : A → RM una funzione differenziabile in p. Sia B un aperto di RM

tale che f(A) ⊆ B, e sia g : B → RK una funzione differenziabile in f(p). Allorag ◦ f : A→ RK e differenziabile in p e

D(g ◦ f)(p) = [Dg(f(p))]Df(p).

Dimostrazione. In base all’osservazione precedente, basta verificare che

limq→p

g(f(q)) − g(f(p)) −EC(q − p)

‖q − p‖ = 0

dove C = Df(p) e E = Dg(f(p)). Sappiamo che

f(q) = f(p) + C(q − p) + ‖q − p‖ωp,f(q)

eg(y) = g(f(p)) + E(y − f(p)) + ‖y − f(p)‖ωf(p),g(y)

e dunque sostituendo si ha che

g(f(q)) =g(f(p)) + E(f(q) − f(p)) + ‖f(q) − f(p)‖ωf(p),g(f(q))

=g(f(p)) + E (C(q − p) + ‖q − p‖ωp,f(q))+ ‖C(q − p) + ‖q − p‖ωp,f(q)‖ωf(p),g(f(q))

=g(f(p)) + EC(q − p) + ‖q − p‖Eωp,f(q)+ ‖C(q − p) + ‖q − p‖ωp,f(q)‖ωf(p),g(f(q)).

Concludiamo che

g(f(q)) − g(f(p))− EC(q − p)

‖q − p‖ = Eωp,f(q) +

Cq − p

‖q − p‖ + ωp,f(q)

ωf(p),g(f(q)).

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110 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

Poiche limq→p ωp,f(q) = 0 e limq→p ωf(p),g(f(q)) = 0, ed essendo∥

Cq − p

‖q − p‖ + ωp,f(q)

una quantita limitata per q → p, si ha la tesi.

La proposizione precedente mostra che la matrice jacobiana della composizione e ilprodotto righe per colonne delle matrici jacobiane Dg(f(p)) e Df(p). Nel caso in cuif : R2 → R2 e g : R2 → R si ha ad esempio

Df =

(

∂f1∂x

∂f1∂y

∂f2∂x

∂f2∂y

)

e

Dg =

(

∂g

∂x

∂g

∂y

)

da cui

D(g ◦ f) =

(

∂(g ◦ f)

∂x

∂(g ◦ f)

∂y

)

= Dg(f)Df

=

(

∂g

∂x(f1, f2)

∂g

∂y(f1, f2)

)

(

∂f1∂x

∂f1∂y

∂f2∂x

∂f2∂y

)

.

Dunque concludiamo che

∂(g ◦ f)

∂x=∂g

∂x(f1, f2)

∂f1

∂x+∂g

∂y(f1, f2)

∂f2

∂x

e

∂(g ◦ f)

∂y=∂g

∂x(f1, f2)

∂f1

∂y+∂g

∂y(f1, f2)

∂f2

∂y.

4. La differenziabilita si comporta rispetto alla somma ed al prodotto scalare come laderivabilita per le funzioni di una variabile. Se A ⊆ RN e aperto e f, g : A → RM

sono differenziabili nel punto p ∈ A, allora le funzioni somma e prodotto scalare

x→ f(x) + g(x) e x→ f(x) · g(x)sono funzioni differenziabili in p ed anzi si ha

D(f + g)(p) = Df(p) +Dg(p)

eD(f · g)(p) = Df(p)g(p) +Dg(p)f(p).

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4.4. TEOREMA DEL DIFFERENZIALE TOTALE E FUNZIONI DI CLASSE C1. 111

4.4 Teorema del differenziale totale e funzioni di clas-

se C1.

Verificare la differenziabilita di una funzione attraverso la definizione e spesso laborioso. Ilseguente teorema fornisce una condizione sufficiente (e pratica) per la differenziabilita .

Teorema 4.11 (del Differenziale totale). Siano A ⊆ RN un aperto, p ∈ A e f : A →RM una funzione. Supponiamo che f ammetta tutte le derivabile parziali ∂f

∂xiin Br(p) per

un qualche r > 0, e che esse siano continue in p. Allora f e differenziabile in p.

Dimostrazione. Poiche la differenziabilita si puo studiare componente per componente,possiamo assumere M = 1. Consideriamo inoltre per semplicita il caso in cui A ⊆ R2.Indichiamo con (x, y) il generico elemento di A, e con (x0, y0) il punto in cui studiamola differenziabilita . Per ipotesi sappiamo che esistono in una palla centrata in (x0, y0) lederivate parziali

∂f

∂x(x, y) e

∂f

∂y(x, y)

e che

lim(x,y)→(x0,y0)

∂f

∂x(x, y) =

∂f

∂x(x0, y0)

e

lim(x,y)→(x0,y0)

∂f

∂y(x, y) =

∂f

∂y(x0, y0).

Indichiamo le derivate parziali in (x0, y0) con a e b. La tesi e dimostrata se vediamo cheper (x, y) → (x0, y0)

f(x, y) − f(x0, y0) −Df(x0, y0) · (x− x0, y − y0)

‖(x, y) − (x0, y0)‖→ 0

e cioef(x, y) − f(x0, y0) − a(x− x0) − b(y − y0)

‖(x, y) − (x0, y0)‖→ 0.

Equivalentemente possiamo vedere che

lim(h,k)→(0,0)

f(x0 + h, y0 + k) − f(x0, y0) − ah− bk√h2 + k2

= 0.

Per definizione di limite, e sufficiente vedere che se (hn, kn) → (0, 0) con (hn, kn) 6= (0, 0)si ha

f(x0 + hn, y0 + kn) − f(x0, y0) − ahn − bkn√

h2n + k2

n

→ 0.

Sia g(t) = f(x0 + hnt, y0 + kn) con t ∈ [0, 1]: applicando la definizione di derivata si ha che

g′(t) =∂f

∂x(x0 + hnt, y0 + kn)hn.

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112 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

Per il teorema di Lagrange si ha che esiste tn ∈]0, 1[ tale che g(1) − g(0) = g′(tn) e cioe

f(x0 + hn, y0 + kn) − f(x0, y0 + kn) =∂f

∂x(x0 + tnhn, y0 + kn)hn.

Similmente esiste sn ∈]0, 1[ tale che

f(x0, y0 + kn) − f(x0, y0) =∂f

∂y(x0, y0 + snkn)kn.

Otteniamo che

f(x0 + hn, y0 + kn) − f(x0, y0) − ahn − bkn

=f(x0 + hn, y0 + kn) − f(x0, y0 + kn) + f(x0, y0 + kn) − f(x0, y0) − ahn − bkn

=∂f

∂x(x0 + tnhn, y0 + kn)hn +

∂f

∂y(x0, y0 + snkn)kn − ahn − bkn

=hn

(

∂f

∂x(x0 + tnhn, y0 + kn) − a

)

+ kn

(

∂f

∂y(x0, y0 + snkn) − b

)

da cui, per la disuguaglianza di Schwarz

|f(x0 + hn, y0 + kn) − f(x0, y0) − ahn − bkn| ≤√

h2n + k2

n

A2n +B2

n

dove

An =∂f

∂x(x0 + tnhn, y0 + kn) − a

e

Bn =∂f

∂y(x0, y0 + snkn) − b.

Notiamo che, essendo tn, sn ∈]0, 1[, e hn → 0, kn → 0, si ha

(x0 + tnhn, y0 + kn) → (x0, y0)

e(x0, y0 + snkn) → (x0, y0).

Dalla continuita di ∂f∂x

e ∂f∂y

in (x0, y0) otteniamo che

∂f

∂x(x0 + tnhn, y0 + kn) →

∂f

∂x(x0, y0) = a

e∂f

∂y(x0, y0 + snkn) →

∂f

∂y(x0, y0) = b

da cui deduciamo che An → 0 e Bn → 0. Allora si ha

|f(x0 + hn, y0 + kn) − f(x0, y0) − ahn − bkn|√

h2n + k2

n

≤√

A2n +B2

n → 0

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4.5. IL GRADIENTE E LE SUE PROPRIETA GEOMETRICHE 113

e dunque il teorema e dimostrato.

Le funzioni che soddisfano alle ipotesi del Teorema del differenziale totale vengono chiamatefunzioni di classe C1.

Definizione 4.12 (Funzioni di classe C1). Siano A ⊆ RN un aperto e f : A→ RM unafunzione. Diciamo che f e di classe C1 se esistono le derivate parziali di f in A ed essesono funzioni continue. L’insieme delle funzioni di classe C1 da A in RM si denota con ilsimbolo C1(A; RM). Nel caso in cui M = 1, si scrive semplicemente C1(A).

Chiaramente f : A → RM e di classe C1 se e solo se tutte le sue componenti lo sono.Dal teorema del differenziale totale, si ha che le funzioni di classe C1 in A sonodifferenziabili in A. Inoltre somme e prodotti scalari di funzioni di classe C1

sono di classe C1. Infine, grazie al teorema della stabilita per composizione, e facilevedere poi che le funzioni di classe C1 sono stabili per composizione.Grazie al teorema del differenziale totale deduciamo che la famiglia delle funzioni di classeC1 (e dunque in particolare differenziabili) e molto ampia. Per esempio sono funzioni diclasse C1 (all’interno del loro dominio d’esistenza)

1. i polinomi come f(x, y, z) = x2 + yz + z3;

2. le funzioni razionali fratte come f(x, y) = x2−y2x+2y

;

3. le composizioni con le funzioni elementari trigonometriche, esponenziali... comef(x, y, z) = esin(x+y) + cos 1

z2+1+ ln(x2 − y2).

Possiamo dare la seguente interpretazione geometrica alle funzioni di classe C1: consideria-mo il caso di una funzione f(x, y) di due variabili a valori reali. Essendo le derivate parziali∂f∂x

(x, y) e ∂f∂y

(x, y) funzioni continue, e fornendo esse i coefficienti del piano tangente π(x,y)

a f in (x, y), abbiamo che se f e di classe C1 allora al tendere di (x, y) a (x0, y0) ilpiano tangente π(x,y) tende al piano π(x0,y0). Per analogia, tale interpretazione sussisteanche nel caso generale f : A→ RM con A ⊆ RN .

4.5 Il gradiente e le sue proprieta geometriche

Sia A ⊆ RN un aperto, e sia f : A → R un campo scalare differenziabile in p ∈ A. Lamatrice jacobiana Df(p) e composta da una sola riga (poiche M = 1), ed e data da

(

∂f

∂x1(p)

∂f

∂x2(p) . . .

∂f

∂xN(p)

)

.

Essa puo essere pertanto identificata con il vettore

∇f(p) =

(

∂f

∂x1

(p),∂f

∂x2

(p), . . . ,∂f

∂xN(p)

)

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114 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

che si dice il gradiente f in p. Essendo poi Df(p)v = ∇f(p) · v, abbiamo la seguenteformula di rappresentazione per la derivata rispetto ad un vettore:

∂f

∂v(p) = ∇f(p) · v.

Esempio 4.13. Per funzioni scalari di due variabili f(x, y) si ha

∇f(x0, y0) =

(

∂f

∂x(x0, y0),

∂f

∂y(x0, y0)

)

.

Ad esempio se f(x, y) = x2 −y, si ha che f e differenziabile per il Teorema del differenzialetotale,

∂f

∂x(x, y) = 2x

∂f

∂y(x, y) = −1

e∇f(1, 2) = (2,−1).

Dunque se v = (5, 7), abbiamo che

∂f

∂v(1, 2) = (2,−1) · (5, 7) = 10 − 7 = 3.

Esempio 4.14. Se f(x, y, z) = xy + z2, si ha che f e differenziabile,

∂f

∂x(x, y, z) = y

∂f

∂y(x, y, z) = x

∂f

∂z(x, y, z) = 2z

e∇f(1, 2, 3) = (2, 1, 6).

Se v = (−3, 5, 4), si ha

∂f

∂v(1, 2, 3) = (2, 1, 6) · (−3, 5, 4) = −6 + 5 + 24 = 23.

Per dare un significato geometrico a ∇f(p), conviene innanzitutto considerare la seguenteformula che da la derivata di un campo scalare lungo una curva γ. Supponiamo chef : A→ R sia differenziabile su A, e sia γ : [a, b] → RN una curva derivabile a valori in A:allora la funzione g : [a, b] → R

g(t) = f(γ(t))

e derivabile in ]a, b[ e vale la formula

g′(t) = ∇f(γ(t)) · γ′(t).

Infatti dal teorema di composizione si ha che g e derivabile e g′(t) = Df(γ(t))Dγ(t):questo prodotto righe per colonne e proprio pari a ∇f(γ(t)) · γ′(t).Cerchiamo ora di dare un significato geometrico al gradiente nei casi di dimensione due etre: questi forniscono per analogia delle intepretazioni geometriche per il caso generale didimensione N . Consideriamo sempre f : A→ R differenziabile su A e p ∈ A.

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4.5. IL GRADIENTE E LE SUE PROPRIETA GEOMETRICHE 115

1. Come visto nelle considerazioni che ci hanno portato alla definizione di differen-ziabilita , nel caso N = 2, con f = f(x, y) e p = (x0, y0), ∇f(x0, y0) fornisce icoefficienti del piano tangente al grafico di f in (x0, y0, f(x0, y0))

xy

z

z = f(x0, y0) + ∂f∂x

(x0, y0)(x − x0) + ∂f∂y

(x0, y0)(y − y0)

z = f(x, y)

2. ∇f(p) e ortogonale all’insieme di livello di f passante per p.

x

y

f(x, y) = c

(x0, y0)

∇f(x0, y0)

w

Consideriamo il caso N = 2. Se p = (x0, y0) e c = f(x0, y0), l’insieme di livello di fpassante per (x0, y0) e dato dalla curva C in forma implicita

f(x, y) = c.

Indichiamo con w il vettore tangente a C in (x0, y0). Sia γ : [a, b] → R2 una para-metrizzazione di C, e supponiamo che γ sia derivabile e tale che γ(t0) = (x0, y0) eγ′(t0) = w per un t0 ∈]a, b[. Poiche per ogni t ∈ [a, b] si ha

f(γ(t)) = c,

se deriviamo rispetto a t, per la derivata di un campo scalare lungo una curva, si haper ogni t ∈]a, b[

∇f(γ(t)) · γ′(t) = 0

che per t = t0 fornisce∇f(x0, y0) · w = 0.

Concludiamo dunque che ∇f(x0, y0) e ortogonale alla curva di livello di f passanteper (x0, y0).

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116 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

xy

z

γ(t)

∇f(x0, y0, z0)

f(x, y, z) = c

w

Consideriamo ora il caso N = 3. Se p = (x0, y0, z0) e c = f(x0, y0, z0), l’insieme dilivello di f passante per (x0, y0, z0) e dato dalla superficie S in forma implicita

f(x, y, z) = c.

Indichiamo con w un vettore del piano tangente a S in (x0, y0, z0). Sia γ : [a, b] → Suna curva derivabile tale che γ(t0) = (x0, y0, z0) e γ′(t0) = w per un t0 ∈]a, b[.Poiche per ogni t ∈ [a, b] si ha

f(γ(t)) = c,

derivando rispetto a t si ha per ogni t ∈]a, b[

∇f(γ(t)) · γ′(t) = 0

che per t = t0 fornisce

∇f(x0, y0, z0) · w = 0.

Poiche w e un vettore generico del piano tangente a S in (x0, y0, z0), concludiamo che∇f(x0, y0, z0) e ortogonale alla superficie di livello di f passante per (x0, y0, z0).

3. Il gradiente indica la direzione lungo la quale f cresce piu velocemente.Consideriamo ∇f(p) 6= 0 (altrimenti ∇f(p) non indica alcuna direzione). Sia v unvettore di norma unitaria. Abbiamo la formula

∂f

∂v(p) = ∇f(p) · v = ‖∇f(p)‖ · ‖v‖ cosα = ‖∇f(p)‖ · cosα,

dove α e l’angolo determinato da ∇f(p) e v. Allora ∂f∂v

(p) e massima quando α = 0,cioe quando v ha la stessa direzione di ∇f(p). Dunque ∇f(p) ci indica la direzionelungo la quale il campo scalare f cresce piu velocemente, essendo la sua derivata inquella direzione massima rispetto a quelle delle altre direzioni ammissibili.

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4.6. DERIVATE DEL SECONDO ORDINE E DI ORDINE SUPERIORE 117

4.6 Derivate del secondo ordine e di ordine superiore

Per lo studio delle derivate seconde, ci restringiamo al caso di campi scalari, cioe consideriamofunzioni f : A → R con A ⊆ RN aperto. Come per la differenziabilita , il caso di funzionia valori vettoriali (cioe a valori in RM), puo essere trattato ragionando componente percomponente.

1. La derivata parziale seconda di f in p ∈ A rispetto alle variabili xi e xj (nell’ordine)e definita nel seguente modo:

(a) ∂f∂xi

esiste in Br(p) per un qualche r > 0;

(b) ∂f∂xi

e derivabile rispetto a xj in p.

Tale derivata seconda si indica con il simbolo ∂2f∂xj∂xi

, e, se le due variabili coincidono,

con ∂2f∂x2

i

. Ad esempio, se

f(x, y, z) = ex2+z2 + sin z + y3

si ha∂2f

∂z∂x=

∂z

(

2xex2+z2

)

= 4xzex2+z2 .

Invece∂2f

∂y2= 6y.

In generale, l’ordine di derivazione e essenziale (vedi esercizio 3): nei casi che mag-giormente ricorrono nelle applicazioni invece, l’ordine di derivazione e ininfluente,come mostra il seguente risultato.

Teorema 4.15 (di Schwarz). Siano A ⊆ RN un aperto, f : A → R un camposcalare, e sia p ∈ A. Supponiamo che esistano in Br(p) con r > 0 le derivate parzialiseconde

∂2f

∂xj∂xie

∂2f

∂xi∂xj

e che esse siano continue in p. Allora si ha

∂2f

∂xj∂xi(p) =

∂2f

∂xi∂xj(p).

Una classe di funzioni che soddisfano alle ipotesi del Teorema di Schwarz e data dallefunzioni di classe C2.

Definizione 4.16 (Funzioni di classe C2). Siano A ⊆ RN un aperto e f : A→ R

un campo scalare. Diciamo che f e di classe C2 se f ammette le derivate parzialiseconde in A ed esse sono funzioni continue. L’insieme delle funzioni di classe C2

da A in R si denota con il simbolo C2(A).

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118 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

Grazie al teorema del differenziale totale, abbiamo che una funzione di classe C2 e diclasse C1 e le sue derivate parziali sono di classe C1.

Per il teorema di Schwarz, abbiamo che le derivate parziali seconde miste diuna funzione di classe C2 sono uguali.

Come per le funzioni di classe C1, somma e prodotti di funzioni di classeC2 sono di classe C2, ed inoltre le funzioni di classe C2 sono stabili percomposizione. Dunque sono funzioni di classe C2 (all’interno del loro dominiod’esistenza) i polinomi, le funzioni razionali fratte, le composizioni con le funzionielementari...

2. La derivata seconda rispetto a due vettori v e w si definisce come per il caso dellederivate parziali tramite la formula

∂2f

∂w∂v(p) =

∂w

(

∂f

∂v

)

(p).

Se v = w, si usa il simbolo ∂2f∂v2

(p): dalla definizione si vede subito che se g(t) =f(p+ tv) e la sezione del grafico di f in p lungo v allora

g′′(0) =∂2f

∂v2(p).

3. Consideriamo un campo scalare f(x, y) di classe C2 su un aperto A ⊆ R2, e siap = (x0, y0) ∈ A. Se v = (v1, v2) e w = (w1, w2) sono due vettori di R2, abbiamo che

∂f

∂v(x, y) = ∇f(x, y) · v =

∂f

∂x(x, y)v1 +

∂f

∂y(x, y)v2.

Dunque ∂f∂v

e una funzione di classe C1 e pertanto derivabile rispetto a w. Essendole derivate parziali seconde indipendenti dall’ordine si ha

∂2f

∂w∂v(x, y) =

(

∇∂f

∂x· w)

v1 +

(

∇∂f

∂y· w)

v2

=

(

∂2f

∂x2(x, y)w1 +

∂2f

∂x∂y(x, y)w2

)

v1 +

(

∂2f

∂x∂y(x, y)w1 +

∂2f

∂y2(x, y)w2

)

v2

=∂2f

∂x2(x, y)v1w1 +

∂2f

∂x∂y(x, y)(v1w2 + v2w1) +

∂2f

∂y2(x, y)v2w2.

Se poniamo

Hf(x, y) =

(

∂2f∂x2

∂2f∂x∂y

∂2f∂x∂y

∂2f∂y2

)

e facile vedere che l’ultima quantita e pari a

(Hf(x, y)v) · w.Hf prende il nome di matrice hessiana di f : si tratta di una matrice che tiene contodelle derivate parziale seconde di f .

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4.6. DERIVATE DEL SECONDO ORDINE E DI ORDINE SUPERIORE 119

4. In base a quanto visto al punto precedente, siamo portati a dare la seguente defini-zione.

Definizione 4.17 (Matrice hessiana). Siano A ⊆ RN un aperto, e sia f : A→ R

un campo scalare di classe C2. Diciamo matrice hessiana o hessiano di f nelpunto p ∈ A la matrice simmetrica Hf con N righe e N colonne tale che

(Hf (p))ij =∂2f

∂xi∂xj(p).

Come visto al punto precedente per il caso f(x, y), le funzioni di classe C2 ed il lorohessiano si legano alla teoria delle derivate seconde nel seguente modo.

Proposizione 4.18 (Matrice hessiana e derivate seconde). Siano A ⊆ RN unaperto, f : A → R un campo scalare di classe C2 e sia p ∈ A. Allora f e derivabiledue volte in p rispetto ad ogni coppia di vettori v, w ∈ RN e si ha

∂2f

∂w∂v(p) = (Hf(p)v) · w.

In particolare, l’ordine di derivazione non e importante, cioe si ha

∂2f

∂v∂w(p) =

∂2f

∂w∂v(p).

Esempio 4.19. Se f(x, y) = sin x+ xy + xy3, si ha

∂f

∂x= cosx+ y + y3 e

∂f

∂y= x+ 3xy2.

Dunque∂2f

∂x2= − sin x,

∂2f

∂x∂y= 1 + 3y2,

∂2f

∂y2= 6xy

e

Hf(x, y) =

(

− sin x 1 + 3y2

1 + 3y2 6xy

)

.

In particolare

Hf(0, 0) =

(

0 11 0

)

e per ogni v = (v1, v2) e w = (w1, w2) si ha

∂2f

∂v∂w(0, 0) = (Hf(0, 0)v) · w =

[(

0 11 0

)(

v1

v2

)]

· (w1, w2)

= (v2, v1) · (w1, w2) = v2w1 + v1w2.

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120 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

5. Le derivate parziali di ordine superiore si definiscono nel modo ovvio. Ad esempio se

f(x, y) = x3y + sin 2y

si ha∂3f

∂x2∂y= 6x

e∂4f

∂y4= 16 sin 2y.

Diremo che f e di classe Ck se ammette le derivate parziali di ordine k edesse sono continue: per tali funzioni, grazie al teorema si Schwarz, abbiamo chel’ordine di derivazione non e importante. Diremo che f e di classe C∞ se e diclasse Ck per ogni k. E’ facile vedere che sono funzioni di classe C∞ (all’internodel loro dominio d’esistenza) i polinomi, le funzioni razionali fratte, le composizionicon le funzioni elementari...

4.7 Punti critici e loro classificazione

In questa sezione introduciamo la nozione di punto critico che sara importante nello studiodei problemi di massimo e di minimo. Il problema della loro classificazione richiede l’usodelle derivate seconde.

1. Poniamo la seguente definizione

Definizione 4.20 (Punti critici). Sia A ⊆ RN un aperto, e sia f : A → R uncampo scalare. Diciamo che p ∈ A e un punto critico di f se f e differenziabile inp e ∇f(p) = 0.

Talvolta i punti critici si dicono anche punti stazionari.

2. L’importanza dei punti critici per una funzione differenziabile risiede nel fatto cheessi sono collegati ai punti di estremo locale.

Definizione 4.21. Siano E ⊆ RN e f : E → R una funzione. Diciamo che p ∈ E

(a) e un punto di minimo locale se esiste r > 0 tale che per ogni q ∈ Br(p)∩E siha f(p) ≤ f(q);

(b) e un punto di massimo locale se esiste r > 0 tale che per ogni q ∈ Br(p) ∩ Esi ha f(p) ≥ f(q).

Se valgono (a) o (b), si dice che p e un punto di estremo relativo o di estremolocale.

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4.7. PUNTI CRITICI E LORO CLASSIFICAZIONE 121

minimo locale

massimo locale

3. Il legame tra punti di estremo locale e punti critici si puo comprendere sezionando ilgrafico di f : A→ R.

p

v

g(t)

Sia p ∈ A un punto di differenziabilita di f . Dato v ∈ R, consideriamo la funzione flungo la retta per p determinata da v, cioe consideriamo la sezione

(4.2) g(t) = f(p+ tv).

Come visto in precedenza,g′(0) = ∇f(p) · v,

e sappiamo che g′(0) rappresenta il coefficiente angolare della retta tangente allasezione g in t = 0. Grazie a questa interpretazione geometrica, abbiamo il seguenterisultato.

Proposizione 4.22 (Condizione necessaria del primo ordine per gli estremirelativi). Sia A ⊆ RN un aperto, e sia f : A → R una funzione. Supponiamo chep ∈ A sia un punto di estremo relativo per f , e che f sia differenziabile in p. Allorap e critico per f .

Dimostrazione. Se p e d’estremo, la sezione g(t) definita in (4.2) deve avere tangenteorizzontale per t = 0, cioe deve essere g′(0) = 0. Dunque per ogni v ∈ RN deve essere

∇f(p) · v = 0.

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122 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

Essendo v arbitrario, si ha che deve essere ∇f(p) = 0, cioe p e critico.

Torniamo alla sezione del grafico di f in p definita in (4.2). Se f e di classe C2 su A,possiamo ottenere delle informazioni studiandone la derivata seconda: si ha

g′′(t) =∂2f

∂v2(p+ tv) = (Hf(p+ tv)v) · v.

La quantita

g′′(0) =∂2f

∂v2(p) = (Hf(p)v) · v

ci da informazioni sulla concavita e convessita della sezione in p. Grazie a questainterpretazione geometrica, abbiamo il seguente risultato.

Proposizione 4.23 (Condizione necessaria del secondo ordine nei punti diestremo relativo). Siano A ⊆ RN un aperto, f : A → R una funzione di classeC2, e sia p ∈ A. Sia Hf (p) la matrice hessiana di f nel punto p. Allora valgono iseguenti fatti:

(a) se p e un minimo locale per f , allora Hf(p) e semidefinita positiva, cioe perogni v ∈ RN

(Hf(p)v) · v ≥ 0;

(b) se p e un massimo locale per f , allora Hf(p) e semidefinita negativa, cioe perogni v ∈ RN

(Hf(p)v) · v ≤ 0.

Dimostrazione. Sia p un minimo locale. Allora il grafico della sezione non puo essereconcavo vicino a p, cioe deve essere

g′′(0) = (Hf(p)v) · v ≥ 0

che e la tesi. Se p e un massimo locale, allora il grafico della sezione non puo essereconvesso vicino a p, cioe deve essere

g′′(0) = (Hf(p)v) · v ≤ 0

che e la tesi.

4. Cerchiamo ora di capire come la matrice hessiana ci permetta di classificare i punticritici di una funzione, cioe di decidere se essi sono massimi oppure minimi locali.Innanzitutto, come in Analisi A, non tutti i punti critici sono in generale punti diestremo locale, perche esiste l’analogo in piu dimensioni dei punti di flesso.

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4.7. PUNTI CRITICI E LORO CLASSIFICAZIONE 123

Definizione 4.24 (Punto di sella). Siano A ⊆ RN un aperto, f : A → R unafunzione differenziabile e sia p ∈ A un punto critico per f . Diciamo che p e un puntodi sella per f se non e ne un minimo locale ne un massimo locale.

Per arrivare ad un risultato di classificazione, l’idea geometrica e di assicurarsi che lesezioni del grafico di f in p rispetto ad ogni direzione v siano strettamente convesseo concave. Questo e collegato al segno della quantita (Hf(p)v) · v. Conviene dunqueporre la seguente definizione.

Definizione 4.25. Data una matrice simmetrica H con N righe e N colonne,diciamo che

(a) H e definita positiva se per ogni v ∈ RN con v 6= 0

(Hv) · v > 0;

(b) H e definita negativa se per ogni v ∈ RN con v 6= 0

(Hv) · v < 0;

(c) H si dice indefinita se esistono v, w ∈ RN tali che

(Hv) · v < 0 e (Hw) · w > 0.

Abbiamo dunque il seguente risultato.

Proposizione 4.26 (Condizione sufficiente del secondo ordine per la classi-ficazione dei punti critici). Siano A ⊆ RN un aperto, f : A→ R una funzione diclasse C2, e sia p ∈ A un punto critico di f . Sia Hf(p) la matrice hessiana di f inp. Valgono i seguenti fatti:

(a) se Hf(p) e definita positiva, allora p e un minimo locale per f ;

(b) se Hf(p) e definita negativa, allora p e un massimo locale per f ;

(c) se Hf(p) e indefinita, allora p e un punto di sella per f .

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124 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

Dimostrazione. Consideriamo nuovamente la sezione del grafico di f in p lungo vdata da

g(t) = f(p+ tv)

e la formulag′′(t) = (Hf(p+ tv)v) · v.

Se supponiamo che ‖v‖ = 1 e che 0 ≤ t ≤ ε, allora p + tv rappresenta il genericopunto della palla Bε(p). Se Hf(p) e definita positiva, allora per ε piccolo, ancheHf(p + tv) lo e (essendo f di classe C2, la matrice Hf(p + tv) approssima Hf(p)):dunque, essendo

g′′(t) > 0

la sezione g(t) e strettamente convessa, e a tangente orizzontale in p (essendo p unpunto critico): dunque p e un minimo per la sezione generica del grafico in Bε(p), epercio p e un minimo locale. Cio dimostra il punto (a).

Il ragionamento per il punto (b) e analogo. Per quanto riguarda il punto (c), abbiamoche p non puo essere ne un minimo ne un massimo, perche la condizione necessariaal secondo ordine ci assicura che in questi due casi Hf (p) e semidefinita positiva onegativa, e dunque non puo essere indefinita. Di conseguenza p e un punto di sella.

Se Hf(p) non rientra nei casi del teorema precedente, cioe Hf(p) e semidefinita po-sitiva o negativa, non abbiamo elementi per classificare p: si parla di caso dubbio.Per classificare p occorre calcolare derivate di ordine superiore oppure fare uno studio“ad hoc” della funzione f vicino a p.

5. Per quanto visto al punto precedente, la classificazione dei punti critici dipende dalcarattere della matrice hessiana. Nel caso di campi scalari di due variabili f(x, y),la matrice hessiana e 2 × 2, e si puo facilmente capire se essa e definita positiva onegativa. Supponiamo che p = (x0, y0) e che

Hf(x0, y0) =

(

a bb c

)

.

Se v = (α, β), si ha

(Hf(x0, y0)v) · v = aα2 + 2bαβ + cβ2.

Dunque capire il carattere di Hf (x0, y0) equivale a capire il segno di un polinomio disecondo grado omogeneo in α, β quando essi non sono entrambi nulli: se e positivo,l’hessiano e definito positivo, se e negativo, l’hessiano e definito negativo, se cambiasegno, l’hessiano e indefinito. Vediamo quando il polinomio e positivo. Possiamoragionare cosı :

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4.7. PUNTI CRITICI E LORO CLASSIFICAZIONE 125

(a) se β = 0, si ottiene aα2, per cui deve essere a > 0;

(b) se β 6= 0, raccogliendo β2 si ha

aα2 + 2bαβ + cβ2 = β2

[

a

(

α

β

)2

+ 2b

(

α

β

)

+ c

]

.

Dunque esso e positivo se il polinomio

at2 + 2bt+ c

e positivo per ogni t: cio accade solo se il delta dell’equazione associata e negativo,cioe 4b2−4ac < 0, cioe ac−b2 > 0: in altre parole se il determinante diHf (x0, y0)e positivo.

Similmente si prova che il polinomio ha segno negativo se a < 0 e detHf(x0, y0) > 0,mentre il polinomio cambia segno se detHf(x0, y0) < 0.

Abbiamo dunque che nel caso di due variabili, la condizione sufficiente al secondoordine puo essere riscritta nel seguente modo.

Proposizione 4.27 (Test del determinante hessiano per la classificazionedei punti critici). Siano A ⊆ R2 un aperto, f : A→ R una funzione di classe C2,e sia (x0, y0) ∈ A un punto critico di f . Sia

Hf(x0, y0) =

(

∂2f∂x2 (x0, y0)

∂2f∂x∂y

(x0, y0)∂2f∂x∂y

(x0, y0)∂2f∂y2

(x0, y0)

)

la matrice hessiana di f in (x0, y0). Valgono i seguenti fatti:

(a) se ∂2f∂x2 (x0, y0) > 0 e detHf (x0, y0) > 0, allora (x0, y0) e un minimo locale per

f ;

(b) se ∂2f∂x2 (x0, y0) < 0 e detHf(x0, y0) > 0, allora (x0, y0) e un massimo locale per

f ;

(c) se detHf(x0, y0) < 0, allora (x0, y0) e un punto di sella per f ;

(d) in tutti gli altri casi, non e possibile classificare (x0, y0) tramite la matricehessiana.

Esempio 4.28. Vediamo che (1, 0) e un punto di minimo locale per

f(x, y) = (x− 1)2 + sin y2 − y4.

Si ha∂f

∂x= 2(x− 1) e

∂f

∂y= 2y cos y2 − 4y3

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126 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

e∂2f

∂x2= 2,

∂2f

∂y2= 2 cos y2 − 4y2 sin y2 − 12y2

e ∂2f∂x∂y

= 0. Dunque si ha che ∇f(1, 0) = (0, 0), cioe (1, 0) e punto critico, e

Hf(1, 0) =

(

2 00 2

)

.

Dunque si ha ∂2f∂x2 (1, 0) = 2 > 0 e detHf(1, 0) = 4 > 0, e quindi (1, 0) e minimo locale

per f .

6. Nel caso di dimensione N ≥ 3, si puo stabilire la natura della matrice hessianastudiandone gli autovalori. Detta A una matrice quadrata N ×N , gli autovalori diA si trovano risolvendo la seguente equazione

p(λ) = det(A− λI) = 0.

Esempio 4.29. Gli autovalori di

A =

(

3 20 2

)

si ottengono da

p(λ) = det

(

3 − λ 20 2 − λ

)

= (3 − λ)(2 − λ) = 0

cioe λ = 3 e λ = 2.

Si puo dimostrare che una matrice simmetrica H ammette solo autovalori reali:inoltre si puo vedere che

(a) H e definita positiva se e solo se tutti gli autovalori sono positivi;

(b) H e semidefinita positiva se e solo se tutti gli autovalori sono maggiorio uguali a zero;

(c) H e definita negativa se e solo se tutti gli autovalori sono negativi;

(d) H e semidefinita negativa se e solo se tutti gli autovalori sono minori ouguali a zero;

(e) H e indefinita se esistono due autovalori di segno discorde.

Dunque il test della matrice hessiana nel caso generale di dimensione N puo riscriversinel seguente modo.

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4.8. ALCUNI OPERATORI DIFFERENZIALI 127

Proposizione 4.30 (Test della matrice hessiana per la classificazione deipunti critici). Siano A ⊆ RN un aperto, f : A → R una funzione di classe C2, esia p ∈ A un punto critico di f . Sia Hf(p) la matrice hessiana di f in p. Valgono iseguenti fatti:

(a) se tutti gli autovalori di Hf (p) sono positivi, allora p e un minimo localeper f ;

(b) se tutti gli autovalori di Hf (p) sono negativi, allora p e un massimo localeper f ;

(c) se Hf(p) ammette un autovalore negativo ed uno positivo, allora p e unpunto di sella per f ;

(d) in tutti gli altri casi, non e possibile classificare p tramite la matricehessiana.

4.8 Alcuni operatori differenziali

Concludiamo il capitolo elencando alcuni operatori differenziali che compaiono spesso nelleapplicazioni. Supporremo che f sia sufficientemente regolare da poter calcolare le derivatenecessarie.

1. Se f e un campo vettoriale tridimensionale

f(x, y, z) = f1(x, y, z)~i+ f2(x, y, z)~j + f3(x, y, z)~k

si dice divergenza di f la quantita

divf =∂f1

∂x+∂f2

∂y+∂f3

∂z.

Se f e bidimensionale, si pone

divf =∂f1

∂x+∂f2

∂y.

2. Si dice rotore del campo vettoriale tridimensionale f il campo vettoriale

rotf =

(

∂f3

∂y− ∂f2

∂z,∂f1

∂z− ∂f3

∂x,∂f2

∂x− ∂f1

∂y

)

.

Se f e bidimensionale, si identifica spesso rotf con il campo scalare

∂f2

∂x− ∂f1

∂y.

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128 CAPITOLO 4. CALCOLO DIFFERENZIALE

3. Si dice laplaciano del campo scalare f(x, y, z) la quantita

∆f = div∇f =∂2f

∂x2+∂2f

∂y2+∂2f

∂z2.

Se f = f(x, y) e bidimensionale si pone

∆f = div∇f =∂2f

∂x2+∂2f

∂y2.

Esercizi

1. Sia data la funzione f : R2 → R tale che

f(x, y) =

{

1 se 0 < y < x2

0 se y < 0 o y > x2.

Dimostrare che f e derivabile in (0, 0) rispetto a tutti i vettori v di R2, e che ∂f∂v (0, 0) = 0.

2. Dimostrare che la funzione f : R2 → R definita da

f(x, y) =

{

x2 sin 1x se x 6= 0

0 se x = 0

e differenziabile in ogni punto di R2 ma f 6∈ C1(R2).

3. Sia data la spirale γ : [0, 2π] → R3 definita da γ(t) = (cos t, sin t, t). Dimostrare che per γ

non vale un analogo vettoriale del teorema di Lagrange, cioe che non esiste c ∈]0, 2π[ taleche

γ(2π) − γ(0) = 2πγ′(c).

4. Sia data la funzione f : R2 → R definita da

f(x, y) =

{

xy x2−y2x2+y2

se (x, y) 6= (0, 0)

0 se (x, y) = (0, 0).

Dimostrare che ∂2f∂x∂y (0, 0) 6=

∂2f∂y∂x(0, 0).

5. Trovare f : R2 → R di classe C1 ma non di classe C2.

6. Sia f : RN → R una funzione α-omogenea, cioe tale che esiste α > 0 tale che per ognix ∈ RN e t > 0

f(tx) = tαf(x)

(ad esempio per N = 2 si puo considerare f(x, y) = x3 − y3 con α = 3).

(a) Supponiamo che f sia differenziabile su tutto R2. Dimostrare che per ogni x ∈ RN

∇f(x) · x = αf(x).

(b) Sia N = 2, e supponiamo che l’insieme di livello E1 = f−1(1) contenga la curvaγ :]−1, 1[→ R2 definita da γ(t) = (t, 1+

|t|). Dimostrare che f non e differenziabilesu tutto R2.