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2.1 RUOLO DELL’ENERGIA NUCLEARE 2.1.1 L’energia nucleare nel mondo L’energia nucleare riveste nei paesi industrializzati un ruolo fondamentale nel soddisfacimento del fabbisogno di energia elettrica in condizioni di sostenibilità economica e ambientale. Attualmente (dati IAEA al 30.05.2008) nel mondo ci sono 439 reattori in funzione in 32 paesi, 36 reattori in costruzione in 14 paesi (tra cui 11 in Europa), 93 reattori in progetto in 14 paesi e 218 reattori in opzione in 23 paesi. Situazione mondiale dell’energia nucleare al 30.05.2008 (fonte: ONU-IAEA, 2008). La maggior parte dei paesi industriali continua a ricavare dal nucleare quote consistenti della produzione elettrica. Il contributo nucleare alla produzione elettrica è stato nel 2007 del 33% in Europa (dove il nucleare è la prima fonte di produzione, davanti al carbone), del 24% nei paesi dell’OCSE (l’organizzazione della quale fanno parte i 27 paesi più industrializzati del mondo) e del 16% a livello mondiale. Quota nucleare (%) nella produzione nazionale 2007 di energia elettrica (fonte: ONU-IAEA, 2008).

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2.1 RUOLO DELL’ENERGIA NUCLEARE 2.1.1 L’energia nucleare nel mondo L’energia nucleare riveste nei paesi industrializzati un ruolo fondamentale nel soddisfacimento del fabbisogno di energia elettrica in condizioni di sostenibilità economica e ambientale. Attualmente (dati IAEA al 30.05.2008) nel mondo ci sono 439 reattori in funzione in 32 paesi, 36 reattori in costruzione in 14 paesi (tra cui 11 in Europa), 93 reattori in progetto in 14 paesi e 218 reattori in opzione in 23 paesi. Situazione mondiale dell’energia nucleare al 30.05.2008 (fonte: ONU-IAEA, 2008).

La maggior parte dei paesi industriali continua a ricavare dal nucleare quote consistenti della produzione elettrica. Il contributo nucleare alla produzione elettrica è stato nel 2007 del 33% in Europa (dove il nucleare è la prima fonte di produzione, davanti al carbone), del 24% nei paesi dell’OCSE (l’organizzazione della quale fanno parte i 27 paesi più industrializzati del mondo) e del 16% a livello mondiale. Quota nucleare (%) nella produzione nazionale 2007 di energia elettrica (fonte: ONU-IAEA, 2008).

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Il disastro di Chernobyl, pur motivando approfondite riflessioni in tutti i paesi che avevano impianti nucleari in esercizio, non ha avuto effetti particolari sull’evoluzione dei programmi. Dal 1986 (anno del disastro) al 2008 la potenza nucleare in funzione nel mondo è passata da 250 a 372 GWe, con una crescita di circa il 49%. Potenza nucleare (MWe) in esercizio, in costruzione, in progetto e in opzione nel mondo al 30.05.2008 (fonte: ONU-IAEA, 2008).

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2.1.2 Posizioni politiche La consapevolezza del ruolo che l’energia nucleare svolge per assicurare il soddisfacimento dei fabbisogni energetici in modo sostenibile sul piano economico e ambientale è riflessa in alcune recenti prese di posizione in ambito politico internazionale.

― Nel marzo 2007 l’Unione Europea ha sottoscritto una risoluzione sulla limitazione delle emissioni di gas serra con orizzonte 2020 nel cui ambito l’energia nucleare, insieme alle fonti rinnovabili, è indicata come mezzo per il conseguimento degli obiettivi di riduzione.

― Nell’aprile 2007 il vertice dei Ministri delle finanze del G7 ha sottoscritto una dichiarazione congiunta nella quale si stabilisce quanto segue: “Al fine di assicurare la sicurezza delle forniture di energia e di contrastare i cambiamenti climatici (…) le azioni di diversificazione possono fondarsi su tecnologie energetiche avanzate come le rinnovabili, il nucleare e il carbone pulito”.

― Nel giugno 2007 il vertice G8 di Heiligendamm ha emanato una dichiarazione congiunta nella quale si legge quanto segue: “Alcuni membri del Gruppo - in realtà tutti i paesi del G8 con la sola eccezione dell’Italia - ritengono che la prosecuzione dello sviluppo dell’energia nucleare possa contribuire alla sicurezza degli approvvigionamenti riducendo contemporaneamente l’inquinamento atmosferico e contrastando i cambiamenti climatici”.

― Nell’ottobre 2007 il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza un documento nel quale si dichiara che l’energia nucleare sarà indispensabile nel medio termine “per ragioni economiche e ambientali” al soddisfacimento del fabbisogno di energia dell’Europa.

― L’International Panel on Climate Change (IPCC) dell’ONU, nel rapporto di sintesi conclusivo approvato a Valencia il 17 novembre 2007, ha dichiarato che per soddisfare la domanda energetica mondiale, e in particolare quella dei paesi emergenti, è necessario un mix produttivo che includa anche l’energia nucleare. 2.2 CARATTERISTICHE ECONOMICHE 2.2.1 Costo di produzione del kWh

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Il costo del kWh prodotto in una centrale elettrica deriva dalla somma di diverse componenti: - il costo di costruzione dell’impianto - il costo del combustibile utilizzato nell’impianto - il costo di esercizio e manutenzione dell’impianto - il costo delle emissioni di CO2 (“carbon tax”) La componente dovuta al costo di impianto si calcola dividendo il costo di realizzazione (capitale più interessi) per il numero di kWh che la centrale produrrà nel corso della sua vita.

Il costo di produzione del kWh di fonte nucleare è stato valutato fra il 1997 e il 2007 nei seguenti studi nazionali e internazionali.

― 1997: Studio condotto dall’industria elettrica europea (UNIPEDE) ― 1999: Studio svolto da Siemens, oggi Framatome ANP (Germania) ― 2000: Studio dell’Institute for Public Policy, Rice University (USA) ― 2000: Studio della Lappeenranta University of Technology (Finlandia, aggiornato nel 2003) ― 2002: Studio della UK Performance and Innovation Unit (Regno Unito) ― 2002: Studio svolto da Scully Capital (USA) ― 2003: Studio della Lappeenranta University of Technology (Finlandia) ― 2003: Studio del Segretariato all’Energia (Francia) ― 2003: Studio del MIT - Massachusetts Institute of Technology (USA) ― 2004: Studio della Royal Academy of Engineers (Regno Unito) ― 2004: Studio della University of Chicago, finanziato dall’US-DOE (USA) ― 2004: Studio del CERI - Canadian Energy Research Institute (Canada) ― 2005: Studio congiunto OCSE-NEA / ONU-IAEA ― 2005: Business Case for Early Orders of New Nuclear Reactors, OXERA ― 2006: Studio OCSE-NEA ― 2007: Studio della Commissione Europea ― 2007: Studio del World Energy Council

I risultati di alcuni degli studi citati sono riportati graficamente nella figura seguente,dove la retta di interpolazione consente di quantificare il costo medio del kWh di origine nucleare fra 1,6 e 4,7 c€/kWh (al cambio 1 £ = 1,261 €) al variare del tasso di sconto (costo del denaro) fra il 4% e il 13%. Valutazioni del costo di produzione dell’energia elettronucleare al variare del tasso di sconto (centesimi di lira sterlina per kWh).

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Lo studio svolto dalla Lappeenranta University of Technology (Finlandia) nel 2000 e aggiornato nel 2003 è stato commissionato dal governo finlandese al fine di orientare le proprie scelte di politica energetica. Le risultanze dello studio mostrano la convenienza del nucleare rispetto alle altre fonti di produzione elettrica prese in esame, convenienza che si accentua se si considera il costo delle emissioni e l’incremento del costo delle fonti fossili intervenuto dal 2003 ad oggi. Costi di produzione dell’energia elettrica e variazioni al variare del costo del combustibile (fonte: Finlandia, Lappeenranta University of Technology 2003, prezzi 2003, tasso di sconto 5%, costo delle emissioni 20 €/t CO2, eolico 2.500 ore/anno di funzionamento).

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Lo studio OCSE 2006 è uno studio comparativo su nucleare, carbone e gas che fa riferimento alle condizioni locali in una quindicina di paesi, prendendo in considerazione i costi dei combustibili 2004.. Costi di produzione dell’energia elettrica in 14 paesi dell’OCSE a prezzi dei combustibili 2004 (fonte: OCSE, 2006).

Considerando un tasso di sconto pari al 5% (condizioni più favorevoli al nucleare, caratterizzato da alti costi di investimento) e le tre principali componenti di costo (impianto, esercizio e manutenzione, combustibile), i costi di produzione sono i seguenti (l’intervallo di variazione è legato alle particolari condizioni del mercato locale):

― nucleare: 2,3-3,6 c$/kWh

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― carbone: 2,2-4,8 c$/kWh ― gas (ciclo combinato): 3,9-5,7 c$/kWh

Considerando un tasso di sconto del 10% (condizione più sfavorevole al nucleare) i costi di produzione si modificano come segue:

― nucleare: 3,1-5,4 c$/kWh ― carbone: 2,7-5,9 c$/kWh ― gas (ciclo combinato): 4,3-6,0 c$/kWh

Dalle valutazioni dell'OCSE emerge una sostanziale equivalenza del costo del chilowattora nucleare rispetto a quello prodotto con centrali a carbone o a gas a ciclo combinato (che sono le più economiche fra le centrali termoelettriche). Ma la competitività del nucleare si accentua ancora una volta se si considerano gli effetti della “carbon tax” e gli aumenti del costo delle fonti fossili intervenuti dal 2004 ad oggi. Un confronto fra i costi di produzione del kWh dalle diverse tecnologie tenendo conto di tutti i costi delle diverse filiere ("all-in") è stato condotto nel 2006 da ABN AMRO . Il risultato mostra ancora una volta una marcata convenienza dell'energia nucleare,soprattutto se si tiene conto del fatto che i prezzi dei combustibili fossili considerati nello studio sono quelli del 2006. Costo di produzione del kWh "all-in" (fonte: ABN AMRO 2006). 2.2.2 Peculiarità economiche Le centrali nucleari sono caratterizzate da costi di impianto molto più elevati di quelli tipici delle centrali termoelettriche convenzionali. Ad esempio, la centrale EPR da 1.600 MW in costruzione in Finlandia ha un costo complessivo di circa 3,2 miliardi di euro. Gli alti costi di impianto non costituiscono tuttavia un deterrente economico per i paesi che non hanno fonti energetiche proprie. Infatti, poiché l’88% del costo del kWh nucleare è dato dai costi di impianto e dai costi di esercizio, questa componente rappresenta un investimento fatto in sede nazionale. Viceversa, per il kWh di origine fossile il 72% nel caso del gas e il 45% nel caso del carbone è dato dal costo del combustibile, e quindi, per i paesi che importano le fonti fossili, costituisce un esborso netto verso l’estero.

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2.2.2 Peculiarità economiche Le centrali nucleari sono caratterizzate da costi di impianto molto più elevati di quelli tipici delle centrali termoelettriche convenzionali. Ad esempio, la centrale EPR da 1.600 MW in costruzione in Finlandia ha un costo complessivo di circa 3,2 miliardi di euro. Gli alti costi di impianto non costituiscono tuttavia un deterrente economico per i paesi che non hanno fonti energetiche proprie. Infatti, poiché l’88% del costo del kWh nucleare è dato dai costi di impianto e dai costi di esercizio, questa componente rappresenta un investimento fatto in sede nazionale. Viceversa, per il kWh di origine fossile il 72% nel caso del gas e il 45% nel caso del carbone è dato dal costo del combustibile, e quindi, per i paesi che importano le fonti fossili, costituisce un esborso netto verso l’estero.

Fonti fossili (petrolio, gas, carbone)

Fonte eolica e fotovoltaica Fonte nucleare

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Un altro vantaggio associato al nucleare rispetto alle fonti fossili è la scarsa sensibilità del costo del kWh rispetto alle variazioni del prezzo del combustibile. Il costo dell’uranio influisce poco (12% nel caso della Finlandia, che come l’Italia importa tutte le fonti fossili) sul costo del kWh, che è determinato essenzialmente dai costi di impianto e di esercizio (88%). Di conseguenza, mentre per una centrale termoelettrica il raddoppio del costo del combustibile comporta un aumento del 45-72% del costo del kWh, per una centrale nucleare il raddoppio del costo dell’uranio comporta un incremento del costo del kWh pari al 12% (fig. 5). Variazioni del costo del kWh al variare del costo del combustibile (fonte: Finlandia, Lappeenranta University of Technology).

Altre componenti di costo che riguardano specificamente le centrali nucleari sono date dai costi relativi alla gestione dei rifiuti radioattivi (combustibile irraggiato, rifiuti di esercizio) e allo smantellamento dell’impianto al termine della vita utile. In attuazione delle direttive emanate in ambito internazionale, questi costi sono finanziati attraverso l’accantonamento di una quota parte del ricavato dalla vendita dell’energia elettrica prodotta. Ciò si traduce in un incremento del costo di produzione del kWh da fonte nucleare quantificabile 0,1 c$/kWh per la gestione dei rifiuti radioattivi e di altri 0,1-0,2 c$/kWh per lo smantellamento dell’impianto a fine vita. Non si tratta quindi di costi particolarmente significativi. 2.2.3 Efficienza degli impianti Negli ultimi decenni la produzione di energia da fonte nucleare ha continuato ad aumentare più rapidamente di quanto siano aumentati il numero e la potenza complessiva degli impianti in esercizio.

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Ciò è dovuto all’aumento dell’efficienza complessiva degli impianti in esercizio e al prolungamento della loro vita utile che, progettata inizialmente per un periodo di 30 anni, è stata successivamente estesa a 50-60 anni. Un indicatore dell’efficienza di funzionamento degli impianti nucleari è il cosiddetto “fattore di carico” (o “fattore di utilizzazione”), definito come rapporto fra l’energia elettrica effettivamente prodotta in un impianto in un anno e l’energia teoricamente producibile dal medesimo impianto nell’ipotesi di funzionamento continuo a piena potenza. Grazie ad accorgimenti di tipo impiantistico e gestionale (allungamento dei cicli di irraggiamento, diminuzione delle fermate per manutenzione programmata, diminuzione della durata delle fermate) il fattore di carico medio degli impianti nucleari è passato dal 53% medio mondiale nel 1970 all’85% nel 2007. Circa un terzo dei reattori in funzione nel mondo presenta oggi fattori di carico superiori al 90%, mentre i restanti due terzi hanno comunque fattori di carico superiori al 75%. Particolarmente sensibile è stato il miglioramento negli ultimi quindici anni della performance dei 104 reattori statunitensi, con un fattore di carico medio che è passato dal 65% nel 1990 al 91,5% nel 2006. Aumento del fattore di carico degli impianti nucleari (media mondiale)

Fra il 1990 e il 2006 (dati ONU-IAEA 2007) la potenza nucleare installata nel mondo è cresciuta del 13,5% mentre la produzione di energia elettrica dagli impianti nucleari in esercizio è cresciuta del 40%. I contributi relativi a questa crescita sono venuti per il 36% dalle nuove costruzioni, per il 7% dall’aumento della potenza degli impianti esistenti e per il 57% dall’aumento del fattore di carico degli impianti. Aumento dell’efficienza degli impianti elettronucleari (fonte: ONU-IAEA, 2008).

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Il basso costo dell’energia nucleare rende conveniente esercire gli impianti costantemente alla massima potenza, utilizzando l’energia elettrica prodotta nelle ore di bassa richiesta per pompare acqua (ovvero accumulare energia idraulica) nei bacini idroelettrici, che sono poi impiegati per produrre energia elettrica nelle ore di elevata richiesta. Questa tecnica rende possibile massimizzare l’uso degli impianti nucleari riducendo ulteriormente il costo medio del chilowattora. Delle tre componenti del costo del kWh nucleare (capitale investito, costi di esercizio e manutenzione, costo del combustibile) quella di gran lunga prevalente è il costo del capitale (58% nello studio finlandese). In pratica, trascorso il periodo di ammortamento dell’impianto (20-30 anni), il costo del kWh si riduce del 58%. Vi è quindi un grande interesse a prolungare la vita operativa dei reattori ben oltre i trenta anni inizialmente previsti nei progetti. In genere ciò è possibile attraverso la sostituzione di alcuni componenti, l’ammodernamento della strumentazione e una verifica approfondita dello stato di conservazione dell’impianto. Negli USA l’autorità di controllo nucleare (NRC) ha finora concesso un prolungamento di 20 anni della licenza di esercizio alla metà dei 104 reattori in funzione ed ha attualmente all’esame analoghe richieste per i restanti reattori. Il sensibile miglioramento del tasso di sfruttamento del combustibile ha portato la produzione elettronucleare (negli impianti PWR, i più diffusi) da valori di circa 500 kWh per grammo di combustibile nel 1970 a valori di 1.000 kWh per grammo di combustibile nel 2006 (dati ONU-IAEA 2007). Ciò significa che da una stessa quantità di combustibile si produce oggi il doppio dell’energia elettrica che si produceva nel 1970. Sulla base degli sviluppi industriali in atto, il tasso di sfruttamento del combustibile raggiungerà probabilmente i 1.500 kWh/g entro una decina d’anni. Produrre più energia per unità di massa del combustibile comporta due benefici: migliore sfruttamento delle risorse uranifere, riduzione dei costi del combustibile e periodi di funzionamento più prolungati fra una ricarica e l’altra, con un miglioramento del fattore di utilizzazione dell’impianto: si è già passati da una ricarica all’anno a una ogni 18 mesi (ad esempio, nel reattore EPR) e si conta di arrivare entro qualche anno a una ricarica ogni due o più anni. Miglioramenti nell’utilizzazione del combustibile nucleare (fonte: ONU-IAEA, 2008).

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2.3 IL COMBUSTIBILE NUCLEARE E I MATERIALI RADIOATTIVI 2.3.1 Disponibilità di combustibile nucleare L’edizione 2006 del “Red Book”, pubblicato in collaborazione da ONU-IAEA e OCSE-NEA, che costituisce la pubblicazione di riferimento a livello internazionale sulle riserve di uranio, indica che le risorse uranifere estraibili a costi non superiori a 130 $/kg (risorse commerciali) attualmente accertate a livello mondiale ammontano a 4,7 milioni di tonnellate, mentre le risorse estraibili a costi di poco superiori a 130 $/kg sono stimate in 9,7 milioni di tonnellate. Al tasso attuale di utilizzazione (il fabbisogno mondiale di uranio nel 2006 è stato di 66.529 tonnellate) e senza utilizzare i materiali in giacenza, le risorse minerarie commerciali (estraibili a costi non superiori a 130 $/kg) basterebbero per 70 anni e quelle totali per 220 anni. Occorre tuttavia considerare che esistono attualmente in giacenza uranio depleto, uranio ad alto arricchimento e plutonio in grado di alimentare per 20 anni il funzionamento dei reattori attualmente in esercizio (attraverso l’uso di combustibili a ossidi misti di uranio e plutonio). Utilizzando le risorse minerarie esistenti e i materiali in giacenza la durata delle risorse all’attuale tasso di utilizzazione è dunque quantificabile in circa 240 anni. Un prolungamento sostanziale della durata delle risorse è legato alla prossima introduzione (2030) dei reattori della quarta generazione. I reattori a spettro neutronico termico attualmente in funzione nel mondo utilizzano infatti come combustibile l’uranio-235, che rappresenta solo lo 0,7% dell’uranio naturale. L’entrata in funzione dei reattori a spettro neutronico veloce basati sulla fissione dell’uranio-238 (la cui tecnologia è stata già sviluppata negli anni Ottanta con il reattore Superphénix e che costituiscono il principale riferimento per lo sviluppo dei nuovi reattori di quarta generazione) avrà l’effetto di consentire lo sfruttamento dell’uranio-238 (99,3% dell’uranio naturale) moltiplicando teoricamente per un fattore 60 la durata delle riserve di uranio accertate. L’uso di combustibili a base di uranio e torio (il cui ciclo è stato studiato in molti paesi, fra cui l’Italia) avrà l’effetto di ampliare ulteriormente le riserve di combustibile nucleare, essendo il torio 3,5 volte più abbondante in natura dell’uranio. Il nucleare da fissione ha dunque un orizzonte temporale teorico di

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sfruttamento pressoché illimitato, e comunque superiore a quello di ogni altra fonte energetica impiegabile su vasta scala. La durata delle risorse fissili si prolunga praticamente all’infinito se si considera che l’uranio è presente in soluzione nell’acqua degli oceani con una concentrazione di circa 13 mg/mc. Si valuta che in questa forma sia disponibile un quantitativo di uranio pari a 1.000 volte le risorse minerarie esistenti. I ricercatori giapponesi (Nature, 2008) hanno già messo a punto una tecnica di separazione mediante la quale sono riusciti a ricavare in un anno l’uranio necessario per il funzionamento di due centrali nucleari da 1.000 MWe ciascuna. Negli ultimi due decenni è gradualmente aumentato l’impiego di combustibile ad ossidi misti di uranio e plutonio (MOX). La crescente adozione del combustibile MOX risponde all’esigenza di valorizzare sul piano energetico gli stock di plutonio accumulati attraverso il ritrattamento del combustibile esaurito, ma anche di eliminare definitivamente il plutonio derivante dallo smantellamento delle testate nucleari, che solo in questo modo può essere definitivamente distrutto. Per ragioni connesse con l’ottimizzazione dello sfruttamento del combustibile nucleare e con la riduzione della produzione di materiali ad alta attività, si va affermando in tutto il mondo l’adozione del ciclo chiuso del combustibile, in alternativa allo smaltimento del combustibile esaurito tal quale. Il concetto del ciclo chiuso prevede il ritrattamento del combustibile scaricato dai reattori, processo finalizzato al recupero dell’uranio 238 (95% del combustibile scaricato), dell’uranio 235 non fissionato (1%) e del plutonio prodotto nel reattore (1%). Uranio e plutonio sono riutilizzati per fabbricare combustibile fresco (di tipo MOX) e in tal modo il problema dello smaltimento di materiali ad alta attività si pone solo per i prodotti non riutilizzabili (3%), che costituiscono le cosiddette “scorie ad alta attività”, mentre il 97% del combustibile nucleare esaurito è riciclato per fabbricare nuovo combustibile. Bilancio delle risorse di combustibile nucleare.

2.3.2 Gestione dei materiali radioattivi Il problema dei rifiuti radioattivi si pone per quantitativi molto limitati, inferiori di diversi ordini di grandezza ai quantitativi di rifiuti prodotti nelle centrali termoelettriche convenzionali:

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Inoltre, contrariamente a quanto avviene per le emissioni chimiche delle centrali convenzionali, la pericolosità dei materiali radioattivi decresce nel tempo fino ad annullarsi. Per alcune sostanze il tempo di decadimento è molto rapido (qualche giorno), per altre è invece molto lungo (centinaia di migliaia di anni). Smaltire i materiali radioattivi significa pertanto sottoporli a trattamento adeguato e isolarli dalla biosfera per il tempo necessario a consentire il decadimento della radioattività in essi presente fino a livelli confrontabili con quelli del minerale di uranio originale.

2.3.3 Gestione dei materiali a bassa e media attività I materiali a bassa e media attività (il 95% dei materiali radioattivi prodotti negli impianti nucleari) subiscono un trattamento di concentrazione, compattazione e stabilizzazione all’interno di fusti di acciaio mediante colaggio di una matrice cementizia. I fusti condizionati sono inseriti all’interno di cassoni in calcestruzzo (moduli di deposito) che sono a loro volta impilati all’interno di vasche in

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calcestruzzo (unità di deposito). Quando le unità di deposito sono riempite vengono chiuse con coperchi in calcestruzzo, impermeabilizzate e coperte con uno strato di terreno. Deposito di materiali radioattivi a bassa e media attività (L'Aube, Francia).

I depositi definitivi per materiali a bassa e media attività sono di tipo superficiale (Francia, Spagna) o sotterraneo (Germania, Svezia). Depositi di questo tipo sono in esercizio in quasi tutti i paesi industriali. Essi sono progettati per isolare i materiali dalla biosfera per 300 anni; trascorso questo periodo si può perdere memoria del deposito, in quanto i materiali in esso ospitati hanno raggiunto livelli di radioattività analoghi a quelli del fondo naturale.

Svezia. Deposito di Forsmark Svezia. Deposito di Oskarshamn Germania. Deposito di Gorleben

Germania. Deposito di Konrad

Germania. Deposito di Morseleben

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Spagna. Deposito di El Cabril Francia. Deposito di L'Aube 2.3.4 Gestione dei materiali ad alta attività I materiali ad alta attività (il 5% dei materiali radioattivi prodotti negli impianti nucleari) derivano principalmente dal ritrattamento del combustibile nucleare esaurito. Dopo la separazione delle componenti riutilizzabili (95% del combustibile esaurito) la parte residua (5%) è inglobata a caldo in una matrice di vetro minerale all’interno di un contenitore in acciaio (flask). Il contenitore è chiuso mediante saldatura ed è avviato al deposito temporaneo. I flask sono successivamente inseriti all’interno di contenitori cilindrici corazzati (cask) aventi diametro di 2,5 m e altezza di 4,5 m, adatti al trasporto e allo stoccaggio di lungo termine all’interno di depositi idonei.

Per lo smaltimento definitivo è in fase di studio in molti paesi lo smaltimento geologico, in cui la funzione di isolamento dei materiali è affidata a formazioni geologiche profonde (di argilla, salgemma o granito) stabili per milioni di anni. L’unico deposito geologico attualmente in funzione si trova nel New Mexico (USA) ma ha lo scopo di ospitare i materiali derivanti dai programmi militari, non quelli derivanti dalle centrali nucleari. Il motivo per il quale nessun paese ha finora realizzato depositi geologici per i materiali provenienti dalle centrali nucleari è che al momento non sono necessari, dato che i materiali ad alta attività prodotti negli impianti nucleari continuano ad essere agevolmente stoccati

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presso gli stessi impianti. Per dare un’idea della reale dimensione del problema, le scorie ad alta attività derivanti da tutto il combustibile nucleare utilizzato in Italia impegneranno complessivamente 20 cask. 2.3.5 Sviluppi della ricerca Il problema delle scorie ad alta attività è in via di soluzione sistematica attraverso le ricerche in corso sulla separazione e sulla trasmutazione delle componenti ad alta attività e a lunga vita. Le tecniche in fase di sviluppo in Francia, Regno Unito e Stati Uniti consentiranno di ridurre il tempo di decadimento degli attinidi a circa 300 anni, analogo a quello dei materiali a media attività. Il tempo nel quale la radioattività del combustibile nucleare irraggiato - così come è scaricato dal reattore - si riduce a quella del minerale di uranio originale è quantificabile in circa 200 mila anni. Se tuttavia si separano e si riutilizzano l’uranio e il plutonio, il tempo di decadimento si riduce a circa 10 mila anni. Se inoltre si riesce a trasformare gli attinidi in elementi più leggeri il tempo di decadimento si riduce ulteriormente a circa 300 anni. In tal modo è possibile trasformare le scorie ad alta attività in materiali caratterizzati da un tempo di decadimento analogo a quello dei rifiuti a bassa attività.

Nell’ambito del Progetto Atalante i ricercatori francesi hanno già dimostrato la fattibilità tecnica di questo processo, che si articola nelle seguenti fasi:

― separazione spinta degli attinidi durante il ritrattamento del combustibile; ― fabbricazione di elementi di combustibile speciali contenenti gli attinidi; ― trasmutazione degli attinidi mediante irraggiamento neutronico in un reattore veloce.

Il problema della gestione dei materiali radioattivi è dunque in via di soluzione definitiva e non è comunque tale da rappresentare un ostacolo all’uso dell’energia nucleare.

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2.4 LA SICUREZZA DEGLI IMPIANTI NUCLEARI 2.4.1 L’evoluzione tecnologica Dagli anni Cinquanta ad oggi sono stati realizzati in tutto il mondo oltre 500 reattori per la produzione di energia elettrica. L’evoluzione della tecnologia ha dato finora vita a tre diverse generazioni di impianti. Gli impianti della prima generazione, alla quale appartengono le centrali italiane di Trino, Latina e Garigliano, sono caratterizzati da una potenza limitata a qualche centinaio di MW. Ad essi hanno fatto seguito negli anni Settanta gli impianti della seconda generazione, alla quale appartiene la centrale italiana di Caorso, caratterizzati da una potenza unitaria di 400-800 MW. Negli anni Ottanta sono stati sviluppati i reattori di terza generazione, aventi una potenza di 1.000-1.200 MW, realizzati e tuttora in corso di realizzazione. Sulla base dell’esperienza condotta negli impianti in esercizio, l’evoluzione tecnologica ha progressivamente incorporato caratteristiche di efficienza e di sicurezza sempre più avanzate, finché nella prima metà degli anni Novanta le società elettriche europee da un lato e quelle statunitensi da un lato, in collaborazione con le autorità di controllo nazionali e internazionali, hanno elaborato nuovi requisiti avanzati di sicurezza e di efficienza, dando luogo allo sviluppo dei reattori di “terza generazione avanzata” (III+). 2.4.2 I nuovi impianti nucleari Gli impianti nucleari in funzione nel mondo hanno dimostrato standard di sicurezza molto elevati. Sulla base delle verifiche condotte dalle autorità per la sicurezza ambientale e dalle autorità di controllo nazionali e internazionali, in condizioni di normale esercizio l’impatto ambientale delle centrali nucleari è praticamente nullo. A parte il disastro di Chernobyl (65 vittime accertate dal 1986 al 2006), che ha interessato un reattore di concezione e fabbricazione sovietica che non è mai stato adottato nel mondo occidentale, l’unico incidente significativo occorso ad una centrale nucleare occidentale si è verificato nel 1976 a Three Mile Island (Pennsylvania, USA). In quella occasione, alla fusione del 60% del reattore ha corrisposto la fuoriuscita dall’impianto di quantitativi di radioattività privi di significato sanitario. I reattori della terza generazione avanzata attualmente in costruzione sono progettati in modo tale da evitare conseguenze esterne all’impianto anche in caso di fusione completa del nocciolo. Questa caratteristica fa parte dei requisiti standard adottati a metà degli anni Novanta da tutte le società elettriche europee nell’ambito dell’iniziativa EUR (European Utilities Requirements) e da tutte le società elettriche USA nell’ambito dell’iniziativa URD (Utility Requirement Document) e costituisce quindi una condizione vincolante. L’analisi di sicurezza sviluppata per il reattore EPR quantifica la probabilità di fusione del nocciolo con fuoriuscita di radioattività all’esterno dell’impianto in meno di un evento ogni 10 milioni di anni di funzionamento del reattore. 2.4.3 Il controllo della sicurezza La sicurezza di un impianto nucleare è verificata e controllata in tutte le fasi di progetto, autorizzazione, realizzazione ed esercizio. La progettazione dell’impianto segue prassi che sono proprie di questo settore e che sono improntate in primo luogo alla sicurezza. Negli impianti nucleari è diffusamente applicata la filosofia della difesa in profondità, che si attua attraverso la scelta opportuna dei materiali, l’efficienza, l’efficacia e la ridondanza di componenti e sistemi, che sono interamente realizzati in regime di garanzia di qualità. La realizzazione di un impianto nucleare è subordinata a un iter autorizzativo particolarmente complesso che si articola in due diverse componenti: l’autorizzazione dal punto di vista della sicurezza nucleare e quella relativa all’impatto ambientale. Il settore nucleare è un settore internazionale per definizione. Le normative sulla sicurezza e sulla radioprotezione che lo regolano sono sviluppate da organismi internazionali e sono applicate a livello nazionale in un contesto di controllo continuo.

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Oltre alla sorveglianza delle autorità di controllo nazionali, gli impianti nucleari in esercizio in tutto il mondo, sono sottoposti al regime di controllo ispettivo dell’ONU-IAEA che ha la duplice finalità di verificare le condizioni di sicurezza degli impianti e di impedire eventuali impieghi distorti dei materiali nucleari. Nei paesi europei il regime di controllo ispettivo dell’ONU-IAEA è affiancato da quello previsto dal trattato Euratom, che si articola in analoghi meccanismi di controllo. Qualunque malfunzionamento o evento anomalo si verifichi presso un qualsiasi impianto nucleare deve essere immediatamente notificato all’IAEA, che ha il potere di disporre accertamenti indipendenti da quelli disposti in forma autonoma dall’esercente dell’impianto e dall’autorità di controllo nazionale. Per i paesi dell’Unione Europea gli eventi anomali devono essere segnalati tempestivamente anche al sistema ECURIE (European Community Urgent Radiological Information Exchange), organismo dell’Unione Europea incaricato di ricevere e ritrasmettere ai 27 paesi membri le informazioni su eventuali incidenti nucleari. 2.5L’IMPATTO SANITARIO E AMBIENTALE 2.5.1 L’impatto sanitario La produzione di energia nucleare, in tutte le sue fasi, comporta la produzione di materiali radioattivi, ma è anche l’attività più controllata dal punto di vista dell’impatto radiologico sui lavoratori, sulla popolazione e sull’ambiente. Rischi di esposizione alla radioattività esistono nell’industria estrattiva del minerale uranifero, negli impianti di arricchimento dell’uranio, negli impianti di produzione del combustibile nucleare, nelle centrali nucleari, negli impianti di ritrattamento del combustibile nucleare e negli impianti di trattamento, condizionamento e stoccaggio temporaneo e definitivo dei materiali radioattivi. Le esposizioni della popolazione alla radioattività prodotta dagli impianti nucleari sono tuttavia minime e di gran lunga inferiori a quelle dovute a tutte le altre cause, naturali e antropiche. Esposizione media alla radioattività per la popolazione italiana. Sorgente Dose annuale media

(mSv/anno) Fondo naturale 3,1 raggi cosmici 0,30 radioisotopi cosmogenici 0,01 radiazione terrestre 2,81 Attività antropiche 1,1 pratiche sanitarie, radiologia 1,00 televisori e computer 0,01 impianti nucleari 0,001 viaggi aerei 0,002 altre esposizioni 0,01 fall-out di esperimenti nucleari 0,01 Totale esposizione 4,2 2.5.2 L’impatto ambientale Il funzionamento di una centrale nucleare determina il rilascio nell’ambiente di modesti quantitativi di effluenti liquidi (acqua) e aeriformi che contengono tracce di radioattività molto inferiori alla radioattività naturale. Gli effluenti liquidi (provenienti dalla depurazione dell’acqua di ciclo, dal trattamento dell’acqua della piscina del combustibile, dal drenaggio delle apparecchiature e da varie operazioni di lavaggio) sono raccolti in serbatoi di stoccaggio e trattati al fine di ridurre al minimo la radioattività scaricata nell’ambiente. Gli affluenti aeriformi (aria di ventilazione degli edifici, gas derivanti dal trattamento

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dell’acqua di ciclo) sono scaricati attraverso il camino della centrale, previo monitoraggio continuo con strumentazione appropriata per garantire il rispetto dei limiti imposti. Lo scarico nell'ambiente degli effluenti liquidi ed aeriformi è regolamentato da apposite prescrizioni tecniche che, attraverso la cosiddetta “formula di scarico” autorizzata, limitano la quantità dì radioattività scaricabile su base annuale, trimestrale e giornaliera. Lo scarico effettivo degli effluenti delle centrali nucleari in esercizio nei paesi occidentali non va comunque oltre una percentuale minima (qualche %) delle quantità autorizzate. In effetti, le centrali nucleari sono progettate per contenere e controllare tutti i materiali radioattivi prodotti, che sono trattati, condizionati e immagazzinati in depositi controllati. L'impatto radiologico delle centrali nucleari è continuamente sorvegliato mediante una rete di monitoraggio interna ed esterna all’impianto integrata da stazioni meteorologiche. La distribuzione (fra qualche centinaio di metri e qualche chilometro dall’impianto) dei punti di misura diretta e di prelievo delle matrici ambientali esterne (acqua, aria, suolo, sedimenti, vegetazione, fauna) è tale da fornire una immagine significativa dello stato della radioattività nell’area circostante l’impianto. I risultati delle misure sono costantemente verificati dall’autorità di controllo nucleare. 2.5.3 I “costi esterni” del nucleare Una valutazione oggettiva dell’impatto complessivo associato all’uso delle diverse fonti di energia può essere condotta calcolando i cosiddetti “costi esterni” (externalities) associati all’uso delle diverse fonti energetiche, ovvero dei costi derivanti dalla monetizzazione degli impatti sulla salute, sull’ambiente e sulle attività economiche, inclusi gli effetti di possibili incidenti, tenendo conto di tutto il ciclo produttivo. Nell’ambito del progetto europeo Externe è stato elaborato uno studio che valuta come segue i costi esterni medi in 15 paesi europei:

― carbone 8,5 c €/kWh ― olio combustibile 7,0 c €/kWh ― gas 2,5 c €/kWh ― biomassa 1,5 c €/kWh ― fotovoltaico 0,6 c €/kWh ― nucleare 0,5 c €/kWh ― idroelettrico 0,5 c €/kWh ― eolico 0,1 c €/kWh

Come si vede, i costi esterni dell’energia nucleare sono da 5 a 17 volte inferiori a quelli delle fonti fossili, si collocano allo stesso livello di quelli associati all’energia idroelettrica, sono inferiori a quelli dell’energia fotovoltaica e sono superiori solo a quelli dell’energia eolica. 2.6 EVOLUZIONE DELLA TECNOLOGIA NUCLEARE 2.6.1 L'evoluzione storica L'evoluzione della tecnologia nucleare ha portato al succedersi di diverse generazioni di impianti nucleari.

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Le centrali nucleari della prima generazione sono sorte tra la fine anni Cinquanta e l’inizio anni Sessanta. Si tratta in genere di prototipi caratterizzati da una potenza ridotta (200 MWe) e da caratteristiche di sicurezza ampiamente superate dalle concezioni successive. Per questo hanno subito nei decenni numerosi interventi di adeguamento alle norme di sicurezza più recenti. Esempi di centrali della prima generazione sono dati in Italia dalle centrali di Trino (Vercelli), Borgo Sabotino (LT) e Garigliano (Sessa Aurunca, CE), equipaggiate rispettivamente con un reattore PWR Westinghouse, un reattore GCR Magnox e un reattore BWR General Electric. Le centrali della seconda generazione hanno dato luogo al "boom" nucleare degli anni Settanta e Ottanta. Si tratta di impianti evoluti caratterizzati da una potenza di 600 - 1.000 MWe. Le caratteristiche di sicurezza sono fondate sull'analisi probabilistica sviluppata all'inizio degli anni Settanta. Anche queste centrali hanno subito nel corso degli anni interventi di adeguamento alle norme di sicurezza più recenti. Un esempio di centrale della seconda generazione è dato dalla centrale italiana di Caorso (PC), equipaggiata con un reattore BWR General Electric.

Le centrali nucleari della terza generazione sono state realizzate negli anni Novanta sulla base dell'esperienza di esercizio maturata con gli impianti della prima e della seconda generazione. Sono caratterizzate da una potenza di 1.000-1.400 MWe e da un ulteriore sostanziale miglioramento dei livelli di sicurezza rispetto alle generazioni precedenti. Nella progettazione sono presi in considerazione anche incidenti limite, quali la fusione del nocciolo, e provvedimenti atti a minimizzarne le conseguenze. Un esempio di

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impianto nucleare della terza generazione è dato dal reattore ABWR della General Electric, che equipaggia attualmente le unità n. 6 e 7 della centrale di Kashiwazaki (Giappone).

L'impianto AP1000, caratterizzato da una potenza di 1.000-1.250 MWe, è basato su una drastica semplificazione impiantistica e su un esteso ricorso a sistemi di sicurezza di tipo passivo. Ha ricevuto la certificazione finale di sicurezza negli USA ed è in corso di certificazione nel Regno Unito. Due impianti AP1000 sono attualmente in costruzione in Cina e altri quattordici reattori sono in opzione da parte di alcune utilities statunitensi.

L'impianto EPR, caratterizzato da una potenza di 1.650 MWe, è stato sviluppato nel quadro di un’iniziativa di cooperazione franco-tedesca. Ha ricevuto la certificazione finale di sicurezza in Francia e in Germania ed è attualmente in fase di certificazione negli USA e nel Regno Unito. Due reattori EPR sono attualmente in costruzione in Europa a Olkiluoto (Finlandia) e Flamanville (Francia). Altri due reattori di questo tipo sono in costruzione in Cina e altri cinque saranno realizzati in Francia entro il 2020.

2.6.2 I reattori della terza generazione avanzata Nella prima metà degli anni Novanta è iniziato negli USA e in Europa lo sviluppo dei reattori della terza generazione secondo linee evolutive che tendono a privilegiare caratteristiche quali

― la semplificazione impiantistica ― la modularità costruttiva e la riduzione dei tempi di costruzione ― il miglioramento dell'efficienza complessiva dell'impianto e dello sfruttamento del combustibile ― la riduzione della produzione di rifiuti radioattivi ― l'aumento dell'inerzia e delle caratteristiche di modulazione dell'impianto ― l'adozione di sistemi di sicurezza di tipo passivo ― la capacità di controllare incidenti severi, quali la fusione del nocciolo, senza conseguenze

all'esterno dell'impianto I progetti di impianti della terza generazione avanzata giunti allo stadio industriale sono attualmente due: l'EPR (Areva-Siemens) e l'AP1000 (Toshiba-Westinghouse). 2.6.3 Le attività di ricerca e sviluppo in corso Il miglioramento della tecnologia, dell’efficienza e della sicurezza dei reattori procede tuttora a livello internazionale con obiettivi di breve, medio e lungo termine.

― Gli obiettivi a breve termine (0-5 anni)riguardano la realizzazione di reattori di terza generazione avanzata, la cui concezione punta a valorizzare al massimo l’esperienza industriale

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dei reattori di III generazione attualmente in esercizio attraverso l’adozione di configurazioni impiantistiche finalizzate ad aumentare la sicurezza, a migliorare lo sfruttamento del combustibile, a migliorare l’efficienza e ad allungare la vita media degli impianti. I reattori di questo tipo comprendono impianti già offerti sul mercato internazionale, come l’EPR (Areva-Siemens) e l’AP1000 (Toshiba-Westinghouse).

― Gli obiettivi a medio termine (5-10 anni) sono oggetto dell’iniziativa Global Nuclear Energy

Partnership (GNEP) finalizzata allo sviluppo a medio termine di reattori multiscopo di piccola taglia esportabili nei paesi emergenti e con ciclo del combustibile gestito centralmente dal paese esportatore, al fine di garantire la sicurezza ed evitare ogni rischio di proliferazione nucleare. All’iniziativa GNEP hanno finora aderito una ventina di paesi, fra i quali l’Italia. L’ONU ha offerto di sovrintendere e controllare, attraverso l’IAEA, la correttezza degli scambi al fine di prevenire impieghi distorti e proliferanti del nucleare.

― Gli obiettivi a lungo termine (20-25 anni) sono oggetto dell’iniziativa Generation IV International

Forum (GIF) finalizzata allo sviluppo di reattori di quarta generazione in grado di migliorare lo sfruttamento del combustibile (si tratta essenzialmente di reattori veloci, in grado di utilizzare l’uranio 238), aumentare il rendimento degli impianti (reattori ad alta temperatura) e ridurre la produzione di scorie ad alta attività (separazione e trasmutazione delle scorie mediante irraggiamento negli stessi reattori). All’iniziativa GIF hanno finora aderito dodici paesi, oltre all’Euratom. L’investimento totale a preventivo per lo sviluppo dell’iniziativa GIF è attualmente stimato in 6 miliardi di euro.