caregiving: prendersi cura dei nuovi fragili · 2017. 11. 4. · incapacità di integrazione, oltre...
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Caregiving: prendersi cura dei nuovi fragili
Malvi Cristina*, Trevisani Fausto, Carla De Lorenzo
Paper for the X ESPAnet Italy Conference
“The Welfare and the losers of globalization: social policies facing old and new
q ”
Forlì, 21-23 September 2017
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* Azienda USL di Bologna - [email protected]
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Secondo “P A ” del 2012-2013, che fornisce informazioni su condizioni di
salute, abitudini e stili di vita della popolazione con età maggiore o uguale a 65 anni, in Emilia-
Romagna un sesto della popolazione ultra 65enne (circa 124.000 persone) presenta qualche forma
di disabilità (limitazioni in almeno un’attività funzionale della vita quotidiana – ADL1). Di questa, il
91% riceve sostegno dai familiari e il 52% è accudita a domicilio anche da assistenti privati
(badanti). Tali dati evidenziano un forte bisogno assistenziale e un importante ruolo di cura assolto
dalla famiglia.
Caratteristica del welfare italiano è il cosiddetto welfare mix, ovvero la coesistenza di soggetti
pubblici e privati nell’erogazione dei servizi assistenziali.
Nell’assistenza domiciliare e nella semi-residenzialità (Centri Diurni) i servizi erogati si integrano
con la capacità della famiglia di coordinare tutte le attività necessarie al sostegno della persona
anziana o disabile.
La cultura diffusa vede nella famiglia il principale ente erogatore/coordinatore di cure per la terza
età e lascia in modo prioritario ad essa la responsabilità e l’onere della gestione dei soggetti in
condizione di fragilità. Si verificano, pertanto, fenomeni di assistenza domiciliare mista, a cura di
parenti che assolvono il ruolo di caregiver, spesso affiancati da lavoratori assunti a tempo pieno,
assistenti familari/badanti, generalmente donne straniere e operatori socio-sanitari inviati dagli enti
locali.
Nello svolgimento delle mansioni di cura le famiglie italiane mantengono una forte divisione dei
ruoli contraddistinta dal modello del male breadwinner2, secondo il quale l’uomo è il soggetto
portatore di reddito e titolare dei diritti sociali e la donna colei che, in modo non istituzionalmente
riconosciuto, si occupa della cura familiare. In Emilia-Romagna si è cercato di bilanciare la
presenza di servizi con l’erogazione di contributi economici (assegno di cura) nel tentativo di non
penalizzare il genere femminile nelle scelte lavorative.
Dall’indagine multiscopo dell’ISTAT sulla conciliazione tra lavoro e famiglia del 20103 emerge che
nella nostra Regione sono 289 mila (su 3.329.000 in Italia) le persone che, nel contesto familiare,
prestano regolarmente attività di cura ad adulti anziani, malati, disabili. I caregiver familiari sono
prevalentemente donne, spesso impegnate ad assistere più di una persona (nella combinazione
bambini e anziani).
In Emilia-Romagna i documenti ufficiali riferiti ai caregiver sono:
1 Activities of Daily Living
2 Luppi E., Prendersi cura della terza età. Valutare e innovare i servizi per anziani fragili e non autosufficienti, Franco
Angeli, Milano 2015, p. 15 3 DGR 858/2017 Linee attuative LR 2/2014
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• la Legge Regionale n. 2 del 2014 “Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver
familiare (persona che presta volontariamente cura ed assistenza)”;
• la DGR 858/2017, con cui la Giunta Regionale ha approvato le linee attuative per rendere
pienamente operativa la suddetta Legge
• il Piano Regionale della Prevenzione 2015-2018 (PRP) - Obiettivo 4.2 - Azioni situate di
prevenzione della salute mentale e fisica rivolte a caregiver (badanti straniere e donne precarie).
La Delibera Regionale individua tra i principali fattori di rischio per il benessere psico-fisico del
caregiver familiare: stanchezza fisica, stress emotivo, problemi psicologici, isolamento sociale,
scarsa conoscenza nella gestione della malattia, e limitata capacità di coping (comprensione e
gestione delle situazioni critiche). L’impatto negativo sulle condizioni fisiche del caregiver emerge,
inoltre, da numerosi studi, i quali evidenziano come le persone che prestano un’importante attività
di cura abbiano il doppio di probabilità di incorrere in problemi di salute. A tal proposito, i risultati
dello studio di Elizabeth Blackburn, premio Nobel per la Medicina nel 2009, mostrano che
l'aspettativa di vita di caregiver sottoposti allo stress di curare familiari gravi si riduce dai 9 ai 17
anni, e tale impatto negativo arriva a coinvolgere l’intero nucleo familiare4.
Un aspetto a volte sottovalutato nella riflessione sul lavoro di cura è il senso di inadeguatezza del
caregiver quando il suo atteggiamento nel prendersi cura entra in contraddizione con alcuni dei suoi
valori di base (avere il massimo rispetto del genitore, assisterlo con amore) ponendo così un
problema di coerenza5.
Una verità difficile da ammettere in un contesto sociale che privilegia un’immagine stereotipata
della vecchiaia è che anche gli anziani possono mal-trattare. Il fenomeno del mal-trattamento, o
comunque di comportamenti conflittuali, da parte dell’anziano è anch’esso, invece, una realtà
documentata. Di seguito si riportano alcuni modi in cui si può esprimere il mal-trattamento
psicologico da parte dell’anziano verso il caregiver6:
Ingratitudine
Indifferenza verso le esigenze del caregiver
Ricatti
Gelosie
Messaggi di rifiuto
Negazione del riconoscimento dell’impegno e della fatica
Svalutazione di ogni intervento proposto
Atteggiamento ostile o distruttivo
Lamentosità senza soluzione
4 PNAS, December 7, 2004, vol. 101 n. 49
5 Caritas Ambrosiana, Ferite invisibili. Il mal-trattamento psicologico nella relazione tra caregiver e anziano, Franco
Angeli, Milano, 2011, p. 203. 6Perucci G., Una badante in famiglia: Guida pratica per una buona convivenza, Erickson, Trento, 2015, pp. 178-179.
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Quando si tratta di anziani non più consapevoli, affetti da demenza, il dolore provato dal caregiver
per essere trattato male è accompagnato quasi sempre da un’assoluzione, ma diventa più forte il
senso di perdita del familiare che era un tempo.7
Un’indagine recente finanziata da ACLI Colf evidenzia che esiste una violenza sia di genere sia
interpersonale subita dalle assistenti familiari (badanti) che si ipotizza avere profonde ripercussioni
sul loro benessere. Nella ricerca emerge che il 14,2% delle intervistate afferma di avere subito
molestie sessuali da parte dell’assistito o dei familiari. È però anche importante considerare che una
parte delle intervistate dichiara di avere assistito persone violente verbalmente o fisicamente, le
quali possono causare, benché in modo involontario, danni fisici e favorire l’emersione di disturbi
psichici tra le lavoratrici come è stato dimostrato da alcune ricerche sul personale ospedaliero.
Dall’indagine di ACLI Colf emerge che il 10,1% delle intervistate viene insultato frequentemente, il
2,1% viene picchiato spesso e il 5% è spesso soggetto a lanci di oggetti. In un’analisi sulla salute
delle lavoratrici di questi dati, seppur limitati, occorre tenere conto8.
“I p l ” (burden) percepito dal caregiver si traduce in un disagio psicologico
caratterizzato da ansia, depressione e malessere fisico e in un carico soggettivo che investe gli
aspetti sociali ed economici dell’assistenza. Si tratta di un concetto multidimensionale che si
ripercuote in modo globale sulla qualità della vita delle persone che si occupano di un anziano. Il
caregiving è un’attività difficile e destabilizzante. La tensione del caregiver finisce per manifestarsi
anche sul piano fisico, già provato dalle incombenze pratiche (movimentazione di carichi, lavori
domestici), ed è quindi più facile trovare in queste persone problemi gastrici, mal di testa, dolori
dovuti anche alle manovre pesanti che attuano, e tutta una serie di disfunzioni immunitarie e
problematiche che spesso derivano dal non avere tempo e risorse per poter curare se stessi.
Il mondo dell’associazionismo, in particolare le associazioni di patologia, ha avvertito questo carico
e questo disagio di salute già dagli anni novanta e, cogliendo la richiesta di aiuto dei caregiver e
degli stessi malati consapevoli della difficoltà della gestione dei conflitti interni alla famiglia, hanno
organizzato autonomamente corsi di formazione per la gestione della malattia, gruppi di auto mutuo
aiuto per i caregiver, momenti comuni di socializzazione e svago guidati come ad es. i Caffè
Alzheimer.
In Emilia-Romagna la presenza di Alzheimer Caffè è molto diffusa, anche grazie ad Associazioni
di promozione sociale e di Onlus che si occupano di demenza o di gruppi spontanei di auto mutuo
7 Perucci G., Una badante in famiglia: Guida pratica per una buona convivenza, Erickson, Trento, 2015, pp. 178-179
8 Maioni R., Zucca G. (a cura di), Viaggio nel lavoro di cura. Chi sono, cosa fanno e come vivono le badanti che lavorano nelle famiglie italiane, Roma, Ediesse, 2016, pp. 128-130.
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aiuto legati a strutture residenziali e/o centri di ritrovo come parrocchie e centri sociali. Si tratta di
luoghi dove familiari e malati possono recarsi insieme, non sentirsi isolati e comprendere come altri
nella stessa condizioni fronteggiano la malattia e le sue conseguenze. Coloro che frequentano questi
luoghi provano un sentimento di appartenenza, riconoscimento e accettazione. Condividono
numerose difficoltà pratiche ed esprimono emozioni spesso inascoltate. Questa atmosfera tranquilla
e accogliente in un ambiente “normalizzato” determina una diminuzione del peso assistenziale che
favorisce la partecipazione anche di quei familiari che ancora lavorano. Il merito
dell’associazionismo è quello di scegliere sedi e orari che agevolano la partecipazione degli utenti
in un percorso di progettazione condiviso dal basso.
Nella Città metropolitana di Bologna anche le Istituzioni, Comuni e Distretti, ASP e case residenze
per anziani hanno dato supporto e promosso la costituzione di questi interventi nel tentativo di
sostenere e formare il caregiver familiare.
Quando la famiglia da sola non riesce ad assolvere questo compito è costretta a ripensare al progetto
di assistenza tenendo conto dei bisogni di tutti, anziano e caregiver per primi, rinegoziando
l’impegno di altri familiari e prevedendo l’aiuto di “un’estranea”9. Il ruolo del caregiver familiare si
trasforma quindi nel ruolo di datore di lavoro e di facilitatore dei rapporti fra anziano e badante.
I dati INPS mostrano che il mercato dei lavoratori regolari che assistono anziani e disabili a
domicilio (badanti) si attesta a quasi 400.000 unità, ma altrettanti pare siano i lavoratori privi di
contratto. La presenza complessiva di badanti nel nostro Paese, pertanto, è almeno di 840-850.000
persone10
.
Già dieci anni fa la Regione Emilia-Romagna intervenne per favorire la regolarizzazione delle
badanti da parte delle famiglie che ricevevano un assegno di cura per l’assistenza a domicilio
dell’anziano (DGR 1206/2007). In questi anni le Aziende sanitarie e i Comuni hanno organizzato
corsi di formazione per queste lavoratrici e sono stati costituiti accordi con le agenzie del lavoro per
la selezione e il loro affiancamento al domicilio della persona che necessita di assistenza, nel
tentativo di favorire l’integrazione.
In questo contesto si inserisce il Piano della prevenzione sopra citato che individua correttamente
come target di intervento i caregiver intesi come le badanti e donne precarie perché se i caregiver
familiari vivono una forte situazione di stress psico-fisico, le badanti straniere si trovano anche ad
affrontare una condizione di isolamento sociale e culturale, spesso percepita dalla comunità come
incapacità di integrazione, oltre al fatto che per motivi economici sono costrette a svolgere un
lavoro di cura spesso molto lontano dal loro livello di scolarizzazione e per motivi linguistici e
9 Gallina M., Loddo P., La cura e la tutela dell'anziano. Sostenere le relazioni tra famiglia e assistente familiare,
FrancoAngeli, Milano, 2014, p.24 10
https://welforum.it/le-badanti-non-crescono-piu/
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sociali sono in difficoltà nella comprensione dei percorsi regionali di accesso ai servizi. Si aggiunga
il fatto che nella maggior parte dei casi le badanti straniere sono in regime di co-residenza e questo
sembra essere una delle cause principali del loro “mal da lavoro” che è già stato valutato nella
letteratura scientifica in tutte le situazioni in cui c’è sovrapposizione tra spazio di vita e di lavoro,
come ad esempio i mercantili, le navi da crociera, le fabbriche dormitorio. Nello stato di co-
residenza queste lavoratrici sono sempre a lavoro anche quando riposano. A ciò si aggiunge il fatto
che non disponendo di reti sociali utilizzano il loro eventuale tempo libero con ulteriori impegni
lavorativi. L’ipotesi è dunque che le lavoratrici che non dispongono di ore di riposo per scelta o per
imposizione del datore di lavoro siano esposte al rischio di sviluppare problemi di salute che
possono anche sfociare nella sindrome di burnout11
.
Dato il contesto sociale descritto nella prima pagina risulta imprescindibile riflettere da un lato sui
diritti e dall'altro sulle responsabilità di tre figure coinvolte in questa relazione: assistito, caregiver
familiare e badante nonché sulla formazione specifica e l’adeguata valorizzazione dell’assistenza
fornita.
Nella letteratura anglosassone spesso si utilizza il termine Dual Focus of Caring12
per indicare, in
senso generale, lo sguardo contestuale sui bisogni di chi cura e su quelli di chi è curato, con
l’attenzione alle loro peculiarità, per cercare soluzioni che non pongano in aspro conflitto i soggetti
implicati. In tal senso si specifica che tra le buone pratiche dedicate al sostegno del lavoro di cura
informale, deve essere costantemente presente l’esplorazione degli effetti di qualunque intervento
dei servizi sulla vita della diade, caregiver e cared.
Attualmente ci si trova di fronte ad un tema ancor più complesso di ordine politico, sociale e
sanitario dove vige un sistema di competenze e collaborazioni ripartite fra più soggetti: gli operatori
sociali e sanitari, le Istituzioni, il volontariato, i patronati e le agenzie del lavoro devono tutti fornire
risposte diverse, articolate a bisogni multidimensionali.
La sensibilità al sostegno della fragilità nell’Azienda USL di Bologna deriva dall’esperienza
condotta negli ultimi 10 anni (dal 2007) nell’ambito di un progetto di prevenzione della non
autosufficienza delle persone anziane agito attraverso il servizio e-Care che ha sviluppato diversi
servizi di contatto con quelle persone anziane che vivono sole a domicilio, ancora in grado di
gestire la loro autonomia di vita ma fragili dal punto di vista clinico (patologie croniche),
psicologico e sociale (lutti, problemi economici, difficoltà familiari), funzionale (difficoltà
nell’alimentazione, nel movimento, con deficit sensoriali).
11
Maioni R., Zucca G. (a cura di), Viaggio nel lavoro di cura. Chi sono, cosa fanno e come vivono le badanti che lavorano nelle famiglie italiane, Roma, Ediesse, 2016, pp. 26-27. 12
Taccani P., Famiglie, anziani, lavoro di cura, i Quid Album 3 Supplemento al n. 4/2014 di Prospettive Sociali e
Sanitarie da http://prospettivesocialiesanitarie.it/materiali/Quid-Album-3-presentazione.pdf
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E-Care si compone di diversi servizi:
1. un numero verde gratuito per chiedere aiuto, informazioni, assistenza attivo tutto l’anno,
2. un gruppo di operatori di call center formato nel contatto con le persone anziane che
monitora ogni 10 giorni circa 1.250 persone anziane segnalate dai servizi sociali e sanitari e
delle quali conosce le caratteristiche di vita quotidiana e di salute per la presenza di un
dossier personalizzato
3. un pacchetto di iniziative si socializzazione e sostegno promosse dal terzo settore e
selezionate tramite un bando annuale
4. un portale ricco di informazioni sulle organizzazioni attive in questo campo e aggiornato
rispetto eventi disponibili
Soprattutto tramite i racconti raccolti dagli operatori di call center si sono conosciute situazioni di
difficoltà delle “famiglie caregiver” e delle persone singole a cui vengono affidati gli anziani soli. I
periodi più difficili dell’anno sono sicuramente l’estate quando le ondate di calore mettono a dura
prova tutta la comunità e le reti parentali si allentano e in inverno con la neve e il ghiaccio e il
conseguente rischio di cadute.
Dal 2012 inoltre La Città Metropolitana, su richiesta dell’associazione ANCeSCAO13
ha attivato
laboratori di progettazione e riflessione sui temi caldi che riguardano l’invecchiamento,
coinvolgendo il terzo settore, i sindacati pensionati e le istituzioni sotto il progetto “Anziani
Imprenditori di Qualità della Vita”. In particolare di recente si sono affrontati temi come il
cohousing, la violenza e gli abusi, la valorizzazione del vissuto.
In questo percorso, la Città Metropolitana di Bologna, all’interno del progetto sopracitato con un
gruppo di lavoro a cui hanno partecipato AUSER, ANCeSCAO, ARAD, SPI CGIL, ASP Bologna,
Istituzione Gian Franco Minguzzi e Fondazione Santa Clelia Barbieri, ha presentato nel corso di
Exposanità 2016 una bozza di Carta dei diritti e dei doveri degli anziani fragili, derivante dallo
studio e dall’analisi di quattro documenti di livello nazionale ed europeo14
.
Nella filosofia di un sistema di welfare sempre più partecipato, si è deciso di condurre focus
group15
in 5 ambienti sociali diversi che sono in relazione con gli anziani, al fine di coinvolgere la
comunità nella valutazione dei concetti contenuti nella Carta e testarne l’accettabilità e applicabilità.
I luoghi di conduzione dei focus sono stati:
1) il Centro Sociale Ricreativo Culturale Il Mulino di Bentivoglio (Bologna), 12 partecipanti 13
Associazione Nazionale Centri Sociali Comitati Anziani e Orti 14
Carta Europea dei diritti e delle responsabilità delle persone anziane bisognose di cura e assistenza a lungo termine –
2010; Statuto delle persone anziane fragili (SPI-CGIL) – 2010; Carta dei diritti dell’anziano (EISS) – 1995; Carta dei
diritti della persona fragile e non autosufficiente (FERPA) - 2006 15
Il focus group è una tecnica di rilevazione per la ricerca sociale basata sulla discussione tra un piccolo gruppo di
persone, invitate da uno o più moderatori a parlare tra loro, in profondità, dell'argomento oggetto di indagine da Corrao
S. Il focus Group, FrancoAngeli, Milano, 2013
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2) il Sindacato pensionati SPI-CGIL della Città Metropolitana di Bologna, 8 partecipanti
3) la Casa della Salute di Terre d’Acqua nel Distretto di Pianura Ovest con i volontari AUSER, 8
partecipanti
4) l’ASP di Bologna che ha coinvolto un gruppo di operatori della domiciliarità e gli assistenti
sociali, 8 partecipanti
5) la Fondazione Santa Clelia Barbieri che ha coinvolto gli operatori delle strutture residenziali per
anziani e disabili che essa gestisce nel Distretto Appennino, previsti 10 partecipanti. Al momento
della redazione del presente contributo quest’ultimo focus non è ancora stato condotto.
I risultati dei focus sono attualmente solo parziali, non essendo concluso il percorso, ma sono
emerse alcune sensibilità che si evidenziano di seguito.
1) Per gli utenti del Centro sociale il problema prioritario per gli anziani è la solitudine quindi
hanno priorità di assistenza quegli anziani senza figli per cui è necessario semplificare la
possibilità di accesso alle cure e ai servizi. Tali persone non disponendo di una supervisione
familiare vanno monitorate dalle istituzioni come evidenziano i caregiver familiari presenti al
focus che hanno consapevolezza che una badante non basta per garantire una buona assistenza
ma è necessario un buon sistema di garanzie oltre alla loro costante presenza di mediatori e
facilitatori. La seconda parola chiave emersa è la parola “rispetto”, inteso anche come necessità
di formazione del personale che agisce internamente alle famiglie perché è molto sottile il
confine fra sostegno e imposizione. Il punto di contatto più proficuo fra stranieri e anziani è
risultata la scuola d’italiano organizzata dal centro perché si trova al di fuori dal contesto di
lavoro e cura del singolo e offre un servizio di cui le badanti sentono la necessità. Il contesto
rurale degli anziani residenti non vive di per sé una situazione di parità di genere, le necessità e i
comportamenti della badanti straniere sono giudicati come incapacità e mancanza di volontà di
integrarsi (chiamate frequenti al cellulare, gruppetti di incontro interni a una etnia, ecc.), in
quanto le persone presenti al focus ritengono che l’unica motivazione che hanno gli stranieri per
svolgere questo tipo di lavoro sia quella economica.
2) Il Sindacato dei Pensionati riconosce che molte badanti non sono in regola e svolgono un orario
lavorativo anche sulle 24 ore. Riconosce inoltre che molti anziani, con il forte desiderio di
rimanere a casa e per motivi economici, sono completamente affidati alla badante che risulta
quindi l’unica persona che si relaziona con loro. La famiglia si trova spesso a svolgere un lavoro
di tutoraggio nel confronti di un tale nucleo, con ruoli di responsabilità senza poter contare sulle
Istituzioni e dovendo imparare sul campo vincoli e tutele. Emerge il riconoscimento che i
soggetti coinvolti attualmente sul tema dell’assistenza alle persone fragili sono: badanti,
volontari, famiglie, comunità e istituzioni, dove si auspica una riprogettazione dei servizi e
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un’azione culturale a tutto tondo per la garanzia dei diritti sia della persona fragile sia della sua
assistente.
3) Per i volontari che affiancano le attività della Casa della Salute Terre d’Acqua emergono altre
due parole chiave la sicurezza e il benessere che devono essere garantite a tutti i soggetti in
campo: famigliari, anziani e badanti perché come dice una volontaria “da soli non ce la si fa né
come famigliari né come assistenti”. Emerge che spesso parlando di abusi si pensano cose di
grandi dimensioni come violenza fisica o psicologica, sedazione forzata, contenzione, botte ma
spesso, per entrambe le figure sia persone fragili sia badanti, si tratta di piccole umiliazioni
quotidiane, un pranzo mal preparato, un modo di appellarsi rabbioso, uno scherzo pesante o
soprannomi mortificanti (negretta). L’atteggiamento del gruppo è molto incentrato
sull’empowerment dell’anziano ad invecchiare bene, sulla responsabilità personale di prepararsi
ad affrontare la quarta età anche curando le relazioni famigliari e personali che garantiranno il
benessere futuro. Fra le parole emerge il valore dell’adozione di un ulteriore stile di vita: la scelta
di come invecchiare e di come impostare la relazione con quelli che saranno i nostri assistenti.
4) Per gli operatori dell’assistenza domiciliare c’è bisogno di far emergere i concetti di dignità e
individualità. Molti anziani sono difficili e spesso per questo si decide senza di loro, si indaga la
loro malattia e la loro fragilità ma non la loro storia mentre spesso hanno solo bisogno di essere
ascoltati. A volte il conflitto con le badanti avviene su problemi banali come il consumo di acqua
o sulle spese per il cibo. L’assistenza domiciliare dovrebbe essere in grado di dare risposte veloci
perché le situazioni si modificano in fretta, ma anche di osservare il nucleo assistito-assistente
secondo una sfera più psicologica. Il problema molto grave è che i servizi agiscono per pezzetti
senza mai cercare un’integrazione gli uni con gli altri. L’organizzazione delle cure e
dell’integrazione viene lasciata al caregiver che spesso non ha gli elementi per venirne a capo
soprattutto se è di origine straniera. Tutto risulta frammentato ed erogato secondo le esigenze
dell’organizzazione erogante non della persona assistita.
La seconda iniziativa importante rivolta allo studio delle caratteristiche dei caregiver si è svolta il
25 Maggio 2017 nel Comune di Crevalcore che ha organizzato la Giornata aziendale del Caregiver
prevista dalla LR 2/2014 con l’organizzazione di un World Cafè aperto alla comunità 16
. Il World
Café è un metodo semplice ed efficace nel dar vita a conversazioni informali, vivaci e costruttive,
su questioni e temi che riguardano la vita di un'organizzazione o di una comunità. È particolarmente
utile per stimolare la creatività e la partecipazione, per promuovere sensibilità ed empowerment
16
http://www.dors.it/page.php?idarticolo=1161
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11
sociale. In questo caso si è trattato di un confronto tra caregiver, operatori e cittadini volto a
individuare i bisogni percepiti in termini di lavoro di assistenza.
Tra i risultati degni di nota è emersa la consapevolezza della forte correlazione tra il benessere del
caregiver e quello dell’assistito. Il lavoratore straniero, quasi sempre donna, ha bisogno di
accoglienza e risposte alla necessità di esprimere i propri vissuti, di confronto, di rielaborazione di
una sofferenza legata ad anni di emigrazione e lavoro a distanza dalla propria famiglia e dai propri
contesti di vita. I servizi possono sostenere la persona aiutandola ad uscire dall’isolamento della
cura a domicilio, dal quotidiano incontro silenzioso con la malattia, la sofferenza, la solitudine, la
cultura altra, la morte.
Dagli operatori della psichiatria è emerso il tema della fragilità della famiglia della lavoratrice
straniera che rimane nel paese d’origine e che deve essere in grado di riorganizzarsi per fornire
l’assistenza a figli ed anziani (leftbehind, orfani bianchi) che rimangono privi delle figure femminili
cardine: madri, figlie.
Diverse sono state le ipotesi avanzate in merito agli interventi da attivare, caratterizzati da una
maggiore responsabilizzazione della comunità nei confronti delle figure coinvolte nella relazione di
cura. In particolare sono stati evidenziati ambiti di lavoro diversi:
individuare sul territorio e agganciare caregiver per “far sapere”, pubblicizzare occasioni e
luoghi, per rendere visibile la “vicinanza” e l’importanza dei servizi sul territorio;
organizzare un‘educazione di strada, ovvero un servizio di informazione di base e di aggancio;
individuare le reti informali capaci di collegare, informare, coinvolgere pezzi diversi della
comunità;
sviluppare azioni che implementino la rete sociale di supporto, ascolto, sostegno ai caregiver e
famigliari affinché essi siano accompagnati e non debbano “mai dire ce la faccio da solo”;
identificare una sede, “un luogo facile, agile, per ricevere informazioni”, “che si connoti come
struttura che accoglie comunque”, aperta e ad accesso semplice, aumentando la percezione che
“il bisogno è risolvibile in modo appropriato”.
Conclusioni
Emerge con forza la necessità di creare una cultura del caregiving come una iniezione di realtà,
di senso, utile a tutta la comunità. La formula vincente sempre più si riconosce nella capacità di
creare una cultura che affronti il pregiudizio e gli stereotipi attraverso occasioni di scambio per
superare distanze e paura di “affidare”, lavorando costantemente per migliorare la rete delle
informazioni sui tre livelli: operatori, caregiver e famigliari.
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Un sistema capace ed accogliente costituito da attori di tutte le istituzioni deputate a fornire
assistenza sanitaria e socio sanitaria, tra cui certamente l’Azienda sanitaria, che voglia prendersi
cura dei caregiver stranieri e precari deve assumere una “visione binoculare”: uscire dagli edifici di
erogazione delle prestazioni e ricercare il contatto con i caregiver nei luoghi informali in cui si
aggregano, indurre negli operatori un cambio di prospettiva in cui il soggetto assistito è
indirettamente il beneficiario delle cure che sono offerte a caregiver e badanti. Pertanto, in ogni atto
di assistenza erogato al soggetto “cared” va tenuto conto di colui che è fornitore di cura - caregiver -
la cui fragilità non è così evidente all’operatore ma può portare a conseguenze gravi di salute per
entrambi se viene trascurata.
Si pensi al ruolo dei medici di medicina generale in questo senso, la qualità dell’assistenza erogata
può essere agevolata da un caregiver formato in modo appropriato, al contrario l’effetto delle loro
prescrizioni può essere pericolosamente minato dall’incapacità del caregiver di mettere in atto le
cure prescritte o di rispondere ai bisogni dell’anziano.
Si può rilevare che l’organizzazione dei servizi delle Aziende sanitarie e delle Istituzioni preposte
agiscono direttamente in relazione al proprio obiettivo di cura ed assistenza (es. aumentare
l’adesione agli screening) e faticano ad allargare lo sguardo ad una fascia di popolazione straniera
che direttamente agisce in stretto contatto con la persona non autosufficiente. A ciò si può associare
una carenza nelle strategie di coordinamento degli interventi rivolti agli stranieri: un servizio mette
in atto un’azione specifica per il coinvolgimento di una determinata etnia non condividendola a
sufficienza con gli altri servizi. In altri casi la relazione fra operatore e assistito avviene comunque
attraverso la mediazione di un famigliare che si dà per scontato essere in grado di relazionarsi con
il lavoratore straniero, unico soggetto effettivamente presente nella quotidianità dell’assistito.
Si ritiene indispensabile promuovere un processo di cambiamento innovativo con l’adozione di
metodi partecipativi che creino occasioni di confronto con la comunità professionale, quali focus
group e world cafè.
Nella progettazione di interventi futuri a favore dei caregiver va tenuto conto del know how delle
associazioni e delle organizzazioni che finora si sono adoperare per disseminare queste
problematiche e sostenere questo lavoro di cura domestico che si configura come una “presa in
carico” neanche tanto leggera, rivolta ad entrambi i soggetti, assistiti e assistenti, come ad esempio i
gruppi di auto mutuo aiuto, i Caffè Alzheimer, gli sportelli psicologici, i vari tipi di corsi volti a
favorire l’integrazione, la formazione e la ricreazione delle badanti..
In definitiva si ritiene che Aziende sanitarie e Comuni possano impegnarsi per promuovere con il
Terzo settore e con le Agenzie del lavoro e i patronati, iniziative di carattere culturale, informativo
e formativo nei confronti di tutti i caregiver. Lo scopo è dare valore ad un lavoro di cura
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irrinunciabile, continuamente sottoposto a rinegoziazione all’interno dei nuclei familiari, ripartito
fra più soggetti fragili che necessitano del grande sostegno professionale degli operatori sanitari e
sociali.
Si sottolinea che la Legge 2 del 2014 e le sue linee attuative recentemente emanate (luglio 2017) si
rivolgono esplicitamente solo al sostegno dei caregiver famigliari mentre è evidente il ruolo svolto
dalle assistenti assunte dalle famiglie pertanto ci si auspica il riconoscimento del lavoro di
assistenza svolto a domicilio anche da queste lavoratrici secondo una interpretazione di intervento
più ampia delle norme regionali dal momento che l’assistenza che forniscono è diretta, costante e
quotidiana a domicilio degli anziani e dei disabili.
L’obiettivo 4.2 del PRP ha avuto il merito di porre l’accento sulle badanti intese come lavoratrici e
sul rischio di salute in cui esse possono incorrere. Nell’affrontare questo obiettivo gli operatori
dell’Azienda USL hanno verificato la distanza, solo in parte comprensibile, fra la consapevolezza
che la comunità dei malati e dei loro familiari ha sul bisogno di sostegno e la sottovalutazione dello
stesso bisogno quando riferito ai lavoratori dipendenti. Tanto che nel primo caso sono sorti
spontaneamente da molti anni strumenti di contrasto all’isolamento e promozione del benessere
mentre nel secondo caso essi sono ancora in forma embrionale, come se il fenomeno del badantato
fosse un problema “nuovo” e marginale nelle famiglie italiane.
L’esplorazione delle iniziative promosse dalla comunità in favore delle badanti ha fatto emergere
progetti strutturati e continuativi, come sportelli di ascolto psicologico ad accesso bisettimanale
(ACLI), corsi di formazione al lavoro (Federcasalinghe), disponibilità gratuita di sale a gruppi etnici
che svolgono questa mansione (Filippine, Ucraine) da parte di centri sociali e parrocchie,
dimostrando che anche in questo caso la sensibilità sociale anticipa, e quasi sempre promuove, gli
interventi di carattere istituzionale.
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Bibliografia
- Caritas Ambrosiana, Ferite invisibili. Il mal-trattamento psicologico nella relazione tra
caregiver e anziano, Franco Angeli, Milano 2011
- Cavazza G., Malvi C. (a cura di), La fragilità degli anziani. Strategie, progetti, strumenti
per invecchiare bene, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna (RN), 2014
- Corrao S. Il focus Group, FrancoAngeli, Milano, 2013
- Espanoli L. con la collaborazione di Manzoni M., DE-MENTE? NO! SENTE-MENTE.
Esercizi, intuizioni e nuove idee per vivere la relazione con le persone affette da demenza,
Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna (RN), 2014
- Gallina M., Loddo P., La cura e la tutela dell'anziano. Sostenere le relazioni tra famiglia e
assistente familiare, FrancoAngeli, Milano, 2014
- Luppi E., Prendersi cura della terza età. Valutare e innovare i servizi per anziani fragili e
non autosufficienti, Franco Angeli, Milano 2015
- Maioni R., Zucca G. (a cura di), Viaggio nel lavoro di cura. Chi sono, cosa fanno e come
vivono le badanti che lavorano nelle famiglie italiane, Roma, Ediesse, 2016
- Maluccelli L., Lavori di Cura, Il Mulino, Bologna, 2008
- Martinetto S., Senza la memoria, Pazzini Editore, Verucchio (RN), 2012
- Perucci G., Una badante in famiglia: Guida pratica per una buona convivenza, Erickson,
Trento, 2015
- Saraceno C., Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Il Mulino, Bologna, 2003
- Taccani P., Famiglie, anziani, lavoro di cura, i Quid Album 3 Supplemento al n. 4/2014 di
Prospettive Sociali e Sanitarie
Sitografia
- www.welforum.it
- www.vita.it
- http://www.ingenere.it/en/node/228
- http://www.huffingtonpost.it/2014/05/09/romania-sindrome-italia_n_5295426.html
- http://www.academia.edu/5731722/L_altra_faccia_delle_migrazioni_il_care_drain_nei_paes
i_di_origine
- http://prospettivesocialiesanitarie.it
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- http://www.dors.it
Filmografia
- Amour, Haneke M., 2012
- Julieta, Almodovar P., 2016
- Memofilm, Cineteca di Bologna, ASP Bologna, 2013
- Nebraska, Payne A., 2013
- Pranzo di ferragosto, Di Gregorio G., 2008
- Una sconfinata giovinezza, Avati P., 2010
- Up, Docter P., Peterson B., 2012
- Vi presento Toni Erdmann, Maren Ade, 2016
Ringraziamenti
Si ringraziano:
Daniela Farini, Agenzia Sanitaria e Sociale della Regione Emilia-Romagna, per la conduzione e
l’analisi del World Cafè,
Lorenza Maluccelli, ASP Bologna, per l’organizzazione e la conduzione dei Focus Group,
Danila Guidi e Livia Franchini, Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche dell’AUSL
di Bologna, per le riflessioni, l’entusiasmo e il grande lavoro in corso di svolgimento nell’ambito
dell’obiettivo 4.2 del PRP.