carla m. solivetti la vita da cani

32
1

Upload: tatiana-polomochnykh

Post on 28-Oct-2015

89 views

Category:

Documents


3 download

DESCRIPTION

L'acuta e divertente analisi dei cani parlanti nel Diario di un pazzo di Gogol'

TRANSCRIPT

1

2

La vita da cani di uno schizofrenico

Il diario di un pazzo di Gogol’

di Carla Solivetti

“Due idee fisse non possono esistere insieme nella natura morale, così come due corpi non possono nel mondo fisico occupare lo stesso posto”.1 Così Puškin nella Donna di Picche giustifica la futura pazzia di Hermann, il protagonista. La stessa motivazione è applicabile ad Aksentij Ivanovič Popriščin, il quarantenne consigliere titolare2 protagonista del Diario di un pazzo pubblicato nel 1835 in Arabeschi.3 Unico racconto di Gogol’ in prima persona e considerato quasi una cronologia della perdita di senno di un modesto burocrate, il Diario (spesso tradotto con Memorie di un pazzo4), registra il dialogo interiore dell’impiegato mettendone in scena la misera esistenza, la desolante solitudine, il rapporto conflittuale con l’ambiente e le frustrate aspirazioni a un grado gerarchicamente superiore che gli permetterebbe di conquistare Sophie, figlia del direttore generale e oggetto del suo segreto amore. In un casuale incontro in strada con la fanciulla, Popriščin apprende dalla conversazione della cagnetta di lei, Maggie, con un’amica a quattro zampe, Fidèle, che le due bestiole intrattengono una corrispondenza epistolare. Desideroso di avere notizie sull’amata e Il testo costituisce la prima parte di un saggio in corso di stesura in collaborazione con Ol’ga Revzina.

1 A. S. Puškin, La donna di picche in Tutte le opere di Aleksandr S. Puškin in tre voll., vol. I, Opere in prosa, Milano 1986, Mursia, p. 299. 2 Secondo la “Tabella dei ranghi”, istituita nel 1722 da Pietro il Grande per classificare i funzionari del servizio civile e di quello militare, il grado (čin) più basso (XIV) è attribuito al registratore di collegio – corrispondente al grado militare di portinsegna – mentre al vertice (I) troviamo il generalissimo-cancelliere (o, nell'esercito, il feldmaresciallo). Il consigliere titolare (IX) si trova in una posizione intermedia, ma più vicina alla base. Cfr. N. Gogol', Opere, in 2 voll., Milano, 1944, Mondadori, vol. I, Tabella dei ranghi, pp. CXXXVII-CXXXVIII. 3 Scritto tra il 1833-34, appare nel 1935 nella eterogenea raccolta che riunisce saggi e scritti (sulla storia, la geografia, l’arte e la letteratura) e tre racconti: La prospettiva Nevskij, Il ritratto e, appunto Il diario di un pazzo, spesso tradotto in italiano come Le memorie di un pazzo. Per un’ampia e dettagliata presentazione della personalità e dell’opera gogoliana, cfr. A. d’Amelia, Introduzione a Gogol’, Roma-Bari 1995, Laterza. 4 Cfr. per esempio l’edizione Mondadori, N.V. Gogol’, Opere, cit., v. I, pp. 800-828.

3

sulla vita dei “signori”, il consigliere titolare sottrae a Fidèle le lettere di Maggie e dalla loro lettura viene a conoscenza delle prossime nozze della giovane e del disprezzo che questa e il suo altolocato padre nutrono nei suoi confronti. Il poveretto finisce per impazzire, si convince di essere il re di Spagna e di trovarsi a corte quando, invece, è internato in manicomio.

A differenza dei racconti “romantici” sulla follia, incentrati sul genio-artista5, dilaniato dal contrasto tra l’ideale e la prosaica realtà nella quale è costretto a vivere, Gogol’6 – come già in precedenza Puškin7 – sceglie per protagonista il piccolo impiegato, introverso, alienato, ripiegato su se stesso, prototipo del Sosia dostoevskiano.

La follia di Popriščin è di solito ascritta al conflitto interiore tra la sua effettiva nullità e l’eccessiva ambizione, tema ricorrente nei racconti di quegli anni e in scritti apparsi sui periodici degli anni Venti del XIX secolo8. Considerata la difficile e contraddittoria personalità dell’autore e l’efficacia espositiva delle varie fasi dell’impazzimento, la critica ha di solito letto Il Diario in termini psicanalitici e autobiografici9, pur

5 Nella Russia del tempo, incarnazione del genio-artista diventa il poeta melancholicus Torquato Tasso la cui tormentata parabola esistenziale costituisce il soggetto di alcune opere del tempo.. 6 Il tema della pazzia, già presente nelle Veglie della fattoria presso Dikan’ka di solito come perdita momentanea della ragione per amore o per aver accettato un patto con il demonio, esploderà nei Racconti di Pietroburgo come risultato della mercificazione dell’arte nel Ritratto, come incapacità di superare la delusione tra l’apparenza e la realtà nella Prospettiva Nevskij. 7 Cfr. p.e. Il Cavaliere di Bronzo, incentrato sull’infelicità di un povero impiegato che perde la fidanzata durante un’inondazione di Pietroburgo e la sua ribellione contro il potere, rappresentato dalla Statua di Pietro I, responsabile di aver creato Pietroburgo in un luogo impervio sfidando la natura. Nella Donna di di picche, invece, Herman è un ufficiale russo di origine tedesca, che, irretito dal miraggio della ricchezza, giocherà a carte solo quando avrà la certezza di vincere. Suggestionato dal sogno di una vecchia contessa defunta che gli rivela il segreto per vincere al gioco, perderà tutto e impazzirà, ossessionato dalla “dama di picche” che, uscita al posto dell’asso, assume ai suoi occhi il volto beffardo della vecchia. 8 Cfr. V.V. Gippius, Gogol’, Providence 1971, pp. 90-93; Cfr. anche O.G. Dilaktorskaja, Chudožestvennyj mir peterburgskich povestej, in N. Gogol’, Peterburgskie povesti, SPb, 1995 e, in italiano S. Garzonio, N.V. Gogol’. Le memorie di un pazzo, in Poetica della follia ( a cura di A. Carotenuto), “Rivista di psicologia analitica”, 1984, n. 30, pp. 32-33 e nello stesso volume M. Pignatelli, Umiliazione sociale e malattia, pp. 37-45cit; e G. Strano, Gogol’. Ironia. Polemica. Parodia (1830-186), Soveria Mannelli 2004, Rubbettino Editore, pp. 142-158. 9 Non possiamo qui dilungarci sulle differenti interpretazioni, prese tuttavia in considerazione nella stesura del nostro testo. Ci limitiamo a citare la lettura di Vajkopf

4

evidenziando i condizionamenti dell’ideologia sociale del tempo che, in accordo con la “Tabella dei ranghi”10, definiva rigide norme di comportamento secondo una precisa piramide gerarchica11. L’assunzione da parte del protagonista dell’identità del Re di Spagna sarebbe la risposta “megalomane” all’arroganza e alla prepotenza dei superiori da parte di un “borghesuccio”, anche lui schiavo della gerarchia e dei pregiudizi del mondo circostante. I dubbi e le certezze del suo ininterrotto dialogo interiore, quando eccessivamente stravaganti, ironiche e grottesche, rappresenterebbero espressioni deliranti di un suo progressivo distaccamento dal reale. Si nega così a Popriščin ogni benché minimo approccio “filosofico” al problema che lo assilla, né si approfondisce il gioco tipicamente gogoliano col linguaggio che, come quello dei sogni, è surreale e intessuto di simboli e spesso ricorre, oltre a modi di dire, proverbi e metafore inusuali, anche al “non detto” e all’implicito12. All’interno delle sue opere, infatti, Gogol’ crea un arabesco di rimandi sia ai propri testi sia ad altri modelli letterari. Intesse, inoltre, un ordito di legami lessicali sui due livelli, letterale e metaforico, che sottolineano la polisemicità e il contenuto associativo di parole comuni, richiedendo al lettore una complessa opera di decodificazione.13 Si ritiene opportuno interpretare questo racconto alla luce della concezione della “Grande catena dell'essere” (The Great

che ha incentrato il proprio discorso sull’influenza in Gogol’ di reminiscenze gnostiche, massonico-teosofiche, sulla parodia della medicina umorale e della fisiognomica mistica (Cfr. M. Vaijskopf, Sjužet Gogolja, Mosca 1993, Radiks, pp. 289-301) e quella di Kovač sulla narrazione personale (Cfr. A. Kovač, Povest’ N.V. Gogolja “Zapiski sumasšedšego i problema personal’nogo povestvovanija, in “Studia Slavica Hungarica”, 1987, 33, n. 1-4, pp. 183-206. Cfr. anche D. Ferrari-Bravo, Per una tipologia del personaggio folle, in Letteratura e psicologia L’introspezione come elemento narrativo nella letteratura russa dell’ottocento (a cura di R. Platone), Napoli 1990, pp. 87-102 e e nella stessa raccolta A. d’Amelia, N.V. Gogol’:opacità e trasparenza, pp. 53-86. 10 Cfr. nota 2. 11 Cfr. nota n. 3.

12 In realtà esistono saggi con approcci linguistici piuttosto complessi. In particolare sull’etimologia e il significato dei nomi cfr. A. Kovač, Popriščin, Sofi e Medži (K semantičeskoj kontrukcii “Zapisok sumašedšego”), in Gogolevskij sbornik, Sank-Peterburg 1993, pp.123-135. 13 Malgrado l’elevata enigmaticità dei suoi testi, Gogol’ assegna grande importanza all’aspetto pragmatico della comunicazione e il suo linguaggio si rivolge innanzitutto alla coscienza linguistica, alle conoscenze e alla capacità di riconoscere e decodificare i suoi giochi di parole di un russo medio. E’ infatti agli strati profondi della lingua che si rivolge lo scrittore per dare forma artistica all’inconscio e tematizzare e universalizzare i suoi problemi esistenziali. Ovviamente, nella lettura in traduzione si perde gran parte dei giochi di parole e associazioni.

5

Chain of Being) – modello culturale e filosofico di lunga tradizione, indispensabile per comprendere se stessi e il mondo – raffrontandola con la citata “Tabella dei ranghi”. In quest’ottica il nonsense, lungi dall’essere privo di significato, risulta invece pregno di allusioni e la carica umana che l’autore assegna alla tragica fine di Popriščin, si disvela più dolente e profonda. Specchio delle contraddizioni e delle ossessioni di Gogol’, l’opera è, nello specifico, una chiara indicazione al lettore dell’alto compito che l’autore poneva agli scrittori, a se stesso, a tutte le cariche dello stato e, in generale, a tutti gli uomini: il dovere di vedere e denunciare i problemi politici e sociali della Russia, l’obbligo morale di essere “utile” alla patria anche a costo dell’autoannientamento.

“La Grande Catena dell’essere”

Nell’esposizione di Lakoff e Turner14, la “Grande Catena dell’essere” si articola in tre punti principali:

1. Tutti gli oggetti presenti nel mondo si dividono in classi: uomini, animali, vegetali, artefatti, oggetti fisici naturali.

2. Ognuna delle classi è caratterizzata da qualità che definiscono il comportamento dei rispettivi membri.

3. Le classi presentano una gerarchia dal basso verso l’alto: ogni classe, superiore gerarchicamente, presenta tutte le proprietà della classe inferiore più una proprietà e un comportamento distintivi che caratterizzano solo quella classe.

Ne consegue che gli uomini hanno proprietà superiori (la ragione, la coscienza) e forme superiori di comportamento, mentre gli istinti e un comportamento istintivo caratterizzano gli animali; i vegetali possiedono qualità biologiche, e il loro comportamento è biologico; gli artefatti (oggetti complessi) hanno caratteristiche strutturali che stabiliscono il loro comportamento funzionale; gli oggetti fisici naturali hanno proprietà naturali e pertanto un comportamento fisico naturale.

Lakoff e Turner aggiungono alla “Grande catena dell’essere” due ulteriori livelli, la società e il cosmo, che si concettualizzano metaforicamente in termini di forme di essere a livelli inferiori. Si parla così di “società giusta”, di “nazione amante della pace”, di “impero del male” come se fossero “qualità equivalenti al carattere dell’uomo”15, o

14 Cfr. G. Lakoff e M. Turner, More than Cool Reason. A field Guide to Poetic Metaphor, Chicago-London 1989, pp. 170-171. 15 Ivi, p. 204.

6

ancora in termini di classe di animali o di oggetti naturali. Allo stesso modo noi concepiamo il cosmo: parliamo infatti di “universo indifferente”, “benevolo”, “malevolo”, etc16.

Il tratto più importante della grande catena dell’essere è il rapporto gerarchico: “Le forme d’essere più elevate dominano su quelle inferiori grazie alle loro proprietà più elevate. Questo è l’ordine stabilito dal Signore, questo è il modello culturale del macrocosmo e del microcosmo”17. Al suo interno, quindi, ogni singolo livello ne riproduce l’intera struttura e lo stravolgimento di tale ordine può portare a conseguenze profonde in quanto “la gerarchia non è solo quello che è, ma quello che deve essere […]; alterare o sconvolgere questo ordinamento in un qualsiasi microcosmo significa sfidare l’ordine giusto del macrocosmo”18.

Alla luce di questo modello del mondo, ciò che accade a Popriščin può spiegarsi con la coesistenza nella sua coscienza di due idee fisse e contrastanti: il rispetto dell’ordine gerarchico della “Tabella dei ranghi” e la sfida a tale sistema, nella inconscia esigenza di una scala di valori più giusta.

È noto che il Dario di un pazzo è strettamente legato ai realia russi dell’epoca e non soltanto all’irreale, oppressivo mondo di Pietroburgo19 e alla “Tabella dei ranghi” (entrambe creazioni di Pietro il Grande), che aveva sempre più burocratizzato il sistema statale riducendo l’impiegato a un numero e a una funzione. In un articolo del 1976, Zolotusskij20 ha dimostrato come il racconto pulluli di notizie d’attualità apparse sulla rivista “Severnaja Pčela” (l’Ape del Nord)21 nonché – come suggerisce Vajskopf – su altri periodici degli anni trenta del XIX secolo22. In fondo, il Diario sarebbe potuto rimanere un pamphlet sul giornalismo e sulla 16 Ivi, pp. 204-205.

17 Ivi, p.208. 18 Ivi, p. 19 A. d’Amelia, Introduzione a Gogol’, Roma-Bari 1995, Laterza, pp. 93-94. 20 I. Zolotusskij, “Zapiski sumasšedšego” i “Severnaja Pčela” , S. Bočarov (curatore), Gogol’ v russkoj kritike. Antologija, Mosca 2008, “Formula El”, pp. 538-553. 21 Gogol’ non perde occasione per manifestare, in maniera diretta o indiretta, la propria disistima nei confronti dei giornali popolari, e in particolare di questa rivista, sia perché diretta da F. Bulgarin, conformista e interessato principalmente al profitto, sia per il giudizio negativo ivi espresso sulla sua opera giovanile Hans Küchelgarten. 22 M. Vajskopf, Slučaj, kotoryj povtorilsja. K proischoždeniju gogolevskich “Zapisok sumašsedšego, in Poetika russkoj literatury. Sbornik statej k 75-letiju professora Ju. Manna, Mosca 2006, RGGU, pp. 124-130.-

7

società russa del tempo se, al pari del Naso, più ancora della Mantella 23 e delle Anime morte, non si presentasse come un racconto paradossale, assurdo e criptico, scenario espositivo dei giochi verbali più estrosi dello scrittore. Dal Diario traspare, come da tutta l’opera gogoliana, l’ironia e la polemica nei confronti dell’informazione giornalistica, della letteratura e della società russe contemporanee in termini qui più sottilmente pessimistici e amaramente tragici. Come Il Naso, La Mantella e le Anime Morte, Il Diario di un pazzo ha così valicato i confini della Russia per entrare a far parte della letteratura mondiale e aprire la strada ai personaggi di Kafka24, Ionesco e, in generale, all’uomo comune che, come Popriščin , può dire di sé “forse non so neanch'io chi sono.”25

Uomini-animali “Tutti siamo folli. È

folle chi non lo riconosce.” (Pascal)

La critica ha rilevato l’abilità di Gogol’ di rendere sulla carta, in modo espressivo, conseguente e logico, l’evoluzione progressiva della pazzia, marcata esplicitamente, dal sesto frammento in poi, dal travisamento delle date e dalla prosa delirante. Fino a tale momento le memorie di Popriščin sono coerenti, benché l’episodio delle cagnette parlanti e della sottrazione delle lettere, le avvilenti frustrazioni del protagonista, il suo rimuginare sui gradi e sulla fanciulla amata testimonino un’instabilità

23 Di solito tradotto con Il cappotto, il racconto è stato tradotto da N. Marcialis e C. G. De Michelis appunto con La mantella (in russo šinel’ è femminile) per sottolineare come l’indumento diventi per il protagonista quasi “una fidanzata”. 24 Per un accostamento tra Gogol’ e Kafka cfr. Ju. Mann, Vstreča v labirinte (Franc Kavka i Nikolaj Gogol’), in Ju. Mann, Tvorčestvo Gogolja. Smysl i forma, SPb, 2007, pp. 682-704. Vajskopf sottolinea l’influenza sul Diario del Werther goethiano, che serve da “commento simbolico al soggetto principale del romanzo”, l’amore del protagonista per la figlia del suo superiore (M. Vajskopf, Sjužet Gogolja. Morfologija. Ideologija. Kontekst, Mosca 1993, pp. 299).

25 N. Gogol', Il diario di un pazzo in Racconti di Pietroburgo, Milano 1995, Biblioteca Universale Rizzoli, p. 419. D’ora in poi le pagine delle citazioni dal Diario saranno riportate tra parentesi nel testo. Per rendere più chiaro il significato abbiamo, a volte, modificato il testo della traduzione citata. Si ricorda inoltre che le vicende dell'infelice travet, in una variante ironica giocata su un registro basso, sono entrate in una nota canzone di Veindenberg (“Lui era un consigliere titolare, lei la figlia di un generale”).

8

psichica che, di fronte al contrasto tra desiderio e realtà, tra idealizzazione e sarcasmo distruttivo, esplode nella follia.

Parallelamente al progredire del delirio di Popriščin, nel Diario di un pazzo si attua un sovvertimento integrale dell’ordine costituito attraverso la neutralizzazione del rapporto gerarchico fra la classe degli uomini e quella degli animali. Vale notare che l’accostamento esplicito uomo-animale si dissolve lentamente dopo l'autoproclamazione del modesto burocrate a re di Spagna e, difatti, nell'ultima pagina del diario, quando lui stesso, sofferente, per un attimo si rivela in tutta la sua umanità, l'ordine gerarchico si ristabilisce.

Presente già dall’esordio della narrazione, la somiglianza esteriore uomo-animale, che si estende più tardi anche al comportamento, costituisce il motivo di fondo del racconto e si esprime sia a livello di lessemi comparativi, similitudini, metafore predicative, sia a livello di fabula – gli animali parlano e scrivono lettere. Il lessico del consigliere titolare Proprisčin è infatti vivacizzato da invettive e appellativi che fanno ricorso a un “bestiario familiare” per categorizzare, negli uomini, schemi di comportamento, tipologie caratteriali e fisiche sia in positivo sia in negativo.

“Maledetto uccellaccio (“gruaccia” in russo)” (387) Così Popriščin apostrofa il caposezione che è solito rimproverarlo per l’inesattezza del suo lavoro di copista. E, a proposito di un collega che invece di recarsi al dipartimento corre dietro a una ragazza per guardarle le gambe, esclama: “Che bestiaccia il nostro fratello impiegato!” (389).

“Bestiacce” sono anche i lacchè che non gli mostrano il dovuto rispetto e “stanno sempre stravaccati e neanche si sforzano di farti un cenno col capo”(397)26. E “si imbestialisce” lo stesso Popriščin ad un ennesimo insulto del caposezione (397).

Nell’incontro con Sophie, il consigliere titolare usa una similitudine ornitologica che ne mette in luce la grazia e la levità: “Un lacchè ha aperto lo sportello, e lei è volata fuori dalla carrozza come un uccellino”(389). Più tardi, quando la fanciulla irrompe nell’ufficio cercando il padre, registra nel diario: “Santi del paradiso, com'era vestita! Portava un abito bianco come un cigno” (395). E a proposito della voce ricorre a un paragone dello stesso genere: “Ha salutato e ha detto: ‘Papà non è stato qui?’. Ahi, ahi, ahi, che voce! Un canarino, davvero, un canarino!”( 395).

26 In italiano il termine “bestia” è tradotto nel testo da noi citato con “cialtroni” (397).

9

Nel parlare dei colleghi che, al contrario di lui, non apprezzano il teatro, Popriščin marca la propria superiorità intellettuale che nessuno, peraltro, sarebbe disposto a riconoscergli: “Ma ecco, fra noialtri impiegati ci sono certi maiali; a teatro non vogliono andarci, i cafoni” (399). In seguito il copista, ormai re di Spagna, rinuncia a servirsi di un artigiano per la confezione di un manto regale con la motivazione che “quelli sono dei perfetti somari” (27).

Su un piano analogo è la conversazione di Sophie con l'innamorato, riportata dall’“aristocratica” cagnetta Maggie nella lettera a Fidèle: “Ah, ma chère, di che sciocchezze parlavano![...] Parlavano […] di un certo Bobov che col suo jabot assomigliava moltissimo a una cicogna...” (413)27.

Sempre nella stessa missiva la cagnolina accosta, in un ingeneroso paragone, il fidanzato della padrona al suo corteggiatore, il cane Trésor, definito “un cavaliere”:

Che abisso […] se si paragona il gentiluomo di camera con Trésor! Cielo! Che differenza!| […] il gentiluomo di camera ha una faccia larga completamente liscia […] mentre Trésor ha un musetto fine fine [...] Il vitino di Trésor non si può neppure paragonare a quello del gentiluomo di camera. E gli occhi, i gesti, le maniere, sono completamente diversi. Che differenza! (413-415).

Di fatto, nella valutazione dei propri corteggiatori, Maggie assegna loro caratteristiche umane28:

Se sapessi che mostri ci sono fra loro. C'è uno goffissimo, un bastardaccio, tremendamente stupido...se ne va per la strada tutto tronfio e s'immagina d'essere un gran pezzo grosso […] E che orrendo alano si ferma sotto la mia finestra! Se si alzasse sulle zampe posteriori […] supererebbe di tutta la testa il papà della mia Sophie, […] Questo imbecille dev'essere uno sfrontato tremendissimo ( 411-413).

E a proposito di Propriščin, lo definisce “una vera tartaruga in un sacco…” (415)

Non sorprende la sufficienza con la quale Maggie parla degli uomini. Lo stesso Popriščin riconosce alle cagnette non solo la facoltà di parlare e di scrivere, ma intelletto e “fiuto politico” superiori a quelli degli esseri umani. Nel leggere le comunicazioni epistolari di Maggie, il consigliere

27 In russo aist (cicogna) è maschile. 28 Si possono rilevare anche accostamenti indiretti tra uomini e animali, ad esempio quando riferendosi a Sophie Popriščin sospira: “Guardare quel panchetto su cui posa il suo piedino alzandosi dal letto, come si tende su quel piedino una calza bianca come la neve…” (403) E più tardi Maggie scrive di sé: “[…]spesso, sollevata la zampetta [in russo piedino] mi fermo per qualche minuto, tendendo l’orecchio verso la porta” (411).

10

titolare commenta il buon senso e la perspicacia dei cani: “Da tempo sospettavo che il cane fosse molto più intelligente dell’uomo; ero persino convinto che potesse parlare [...]. È un politico straordinario : nota tutto, ogni mossa dell’uomo” (403). Tale apprezzamento è ribadito qualche riga più avanti: “I cani sono tipi intelligenti [in russo letteralmente “un popolo intelligente”], conoscono tutti i rapporti politici” (405).

La valutazione delle capacità mentali (e conseguentemente della pazzia) dei personaggi è un motivo che attraversa tutto il racconto dove, in un graduale ribaltamento della “normalità”, si privilegia l’elemento animale rispetto a quello umano, le cui capacità cognitive, peraltro, vengono progressivamente messe in discussione.

Inizialmente è il caposezione, consigliere di corte, a dubitare delle facoltà intellettive di Popriščin:

“Come mai hai tanta confusione in testa, figliolo?” (387), e più tardi sarà apertamente insultante:

Be’, rifletti bene! Hai già passato i quaranta: sarebbe ora di mettere la testa a posto.[…] Fai la corte alla figlia del direttore, vero? Ma guardati un po’, pensa solo: chi sei? Sei uno zero e nient’altro. Non hai il becco di un quattrino. Guardati almeno la faccia allo specchio, come puoi pensare a una cosa del genere!” (397).

In un gioco di rimandi che coinvolge di nuovo “la testa” il consigliere titolare difende la propria dignità di nobile, benché squattrinato, contro il disprezzo del caposezione:

Me ne infischio di lui! Sai che importanza consigliere di corte! […] Io sono un nobile.[…] Che ti sei messo in testa, che oltre a te non ci siano persone perbene? Lascia che mi faccia confezionare un frac alla moda da Ruč e allora non varrai neppure la suola delle mie scarpe. Non ho mezzi – ecco il guaio (399).

La ribellione di Propriščin al modello gerarchico del tempo si estende anche al direttore per il quale, dapprincipio, è pieno di ammirazione: “dev’essere un uomo molto intelligente […]che importanza gli brilla negli occhi!” (393-395)29, concetto da lui ribadito qualche pagina avanti in modo sineddochico: “Dev’essere una testa! Tace sempre, ma credo che nella sua testa giudichi tutto. Vorrei proprio sapere a cosa pensa di più; che cosa macina in quella testa” (401).

29 Nel riferire dello studio pieno di scaffali di libri in francese e tedesco, Popriščin riconosce al direttore una cultura cosmopolita e elevata, inaccessibile alla propria classe (393).

11

È lampante l’inconfutabilità del precedente apprezzamento di Popriščin sull’intelligenza dei cani rispetto al carattere ipotetico del giudizio sull’“uomo di stato” suo superiore, che non tarda a essere radicalmente capovolto con il ricorso alla diffusa espressione idiomatica glup kak probka (stupido come un turacciolo). All’interno della “Grande catena dell’essere” anche la “testa” rientra in una gerarchia che le assegna il “posto” più alto nel corpo umano, posizione che non sempre corrisponde alla sostanza: quando l’uomo è “una bottiglia” la “testa” funziona da semplice “turacciolo”30. Vale ricordare che in russo golova deriva dall’antico slavo glava, che oggi indica sia un il “capo”, colui che sta in testa nella scala gerarchica, sia il capitolo di un libro31.

Nel suo monologo interiore Popriščin segue, ormai, una personale “nuova logica” la cui accettazione o rifiuto da parte degli altri personaggi è alla base del suo giudizio sulla loro intelligenza. Ciò si esplicita nelle concise battute scambiate con la ragazza che gli apre la porta quando lui va a cercare le lettere di Maggie: “‘Che cosa desidera?’ Ha domandato. ‘Devo parlare con la sua cagnetta’. Quanto era stupida la ragazzina. Ho capito subito che era stupida!” (405).

Un uguale commento lo riserva a Mavra, la domestica, che si stupisce quando le si presenta vestito da re di Spagna: “[…], ha battuto le mani e per poco non è morta dallo spavento. La stupida non aveva mai visto un re di Spagna” (423).

“Stupidi” per Popriščin sono anche il popolo francese – a causa della rivoluzione e delle sue conseguenze –, il direttore dell’ufficio postale – dal quale si reca per informarsi “se fossero mai arrivati i deputati spagnoli”(429)32 –, il bottaio zoppo di Amburgo – che fabbrica “malissimo” la luna (431) – e infine, persino l’odiato Polignac – che “lo perseguita” (“Ha giurato di rovinarmi fino alla morte” [435]). Considera, invece, “molto intelligenti” i pazienti del manicomio, dalla testa rasata e da lui scambiati per Grandi (cappuccini) di Spagna. “Stupida” è definita da Popriščin anche la cagnetta Maggie, della quale, tuttavia, giudicandola alla stregua di un uomo, mette in discussione non la presenza dell’intelletto, bensì la sua qualità.

30 Ma quale direttore? Che io debba alzarmi dinnanzi a lui: mai. Che razza di direttore è? E’ un turacciolo, non un direttore. Un comune turacciolo, un semplice turacciolo e nient’altro. Di quelli con cui si tappano le bottiglie (425). 31 Cfr. 32 Ivi, p. 429. “I Grandi rasati, che ho trovato numerosissimi nella sala del consiglio di stato, erano gente molto intelligente ..” (433).

12

In tal modo nel Diario di un pazzo l’opposizione “uomini-animali” è di fatto annullata. Gli uomini che circondano Popriščin sono straordinariamente simili alle “bestie” e gli animali rivelano prerogative umane: intelletto, parola e scrittura.

L’alternativa di Popriščin “Imprigionando i matti non ci

togliamo il dubbio di esserlo a nostra volta” (Dostoevskij)

La critica ha motivato l’introduzione dei cani parlanti e della loro corrispondenza con l’espediente di assicurare a Popriščin l’accesso a informazioni delle quali altrimenti sarebbe privo. È altresì ovvio che le stesse informazioni sarebbero potute entrare nel testo in modo meno stravagante se tale artificio non svelasse una funzione essenziale: consentire al protagonista la scoperta di un’alternativa al rigido modello gerarchico della “Tabella dei ranghi”. La liceità di tale opzione è convalidata dalle notizie pubblicate dal citato periodico “Ape del Nord” nella rubrica Smes' (Miscellanea), dalle quali il consigliere titolare trae conforto per sostituire – in un’inversione tipicamente gogoliana – all’iniziale sorpresa di sentir parlare dei cani, la constatazione della propria superiorità “intellettuale” di individuo al corrente dei fatti scientifici:

“...quando ho ben considerato tutto quanto, ho smesso di meravigliarmi . Infatti al mondo si sono già verificati molti casi simili. Dicono che in Inghilterra è venuto a galla un pesce che ha detto due parole in una lingua talmente strana, che gli scienziati cercano di individuarla già da tre anni e non hanno ancora scoperto nulla. Sui giornali ho letto anche di due vacche che sono entrate in un negozio e hanno chiesto una libbra di tè.(391)33

A tale proposito, è indicativo che il discorso si riferisca all’Inghilterra, perché nel Diario di un pazzo l’alterazione dei parametri comunemente accettati riguarda non solo il piccolo mondo del consigliere titolare e non solo la Russia, ma il mondo intero; e tale globalizzazione è sottolineata dalla “scomparsa” del re di Spagna e dal coinvolgimento nelle faccende iberiche dei vari paesi europei.

33 Ivi, p. 391. Se nel testo le notizie inverosimili riferite dall’ “Apetta” (come la chiama ironicamente Gogol’) sono un’altra prova della pazzia del mondo, è chiaro che nel riportare maliziosamente queste assurdità lo scrittore intende attaccare direttamente la rivista.

13

All’ammissione del proprio stupore per il fatto, ancora più insolito, che un cane intrattenga una corrispondenza con un altro cane (“In vita mia non avevo mai sentito che un cane sapesse scrivere” [393]), Popriščin fa seguire un’altra dichiarazione rilevante: “Confesso che negli ultimi tempi ho cominciato a udire e vedere talvolta delle cose che nessuno ha ancora mai visto né sentito” (393). Le parole offrono diverse letture legate sia al contesto – la conversazione delle cagnette – sia al soggetto – la segnalazione della sua perdita di senno. Nell’ottica della “Grande catena dell’essere” il ragionamento si legge come la conferma, per lo stesso Popriščin, di una superiorità non legata al grado ma a una percezione del mondo da una prospettiva differente.

Ciò che fa scattare la collera e, quindi, la ribellione del consigliere titolare è il peso che il direttore generale dà al rango, volendo assolutamente maritare Sophie, come rileva dalla lettera di Maggie, “con un generale o un gentiluomo di camera, o un colonnello dell’esercito”:

Sempre un gentiluomo di camera o un generale. Tutto quello che c’è di meglio al mondo tocca ai gentiluomini di camera o ai generali. Ti trovi un povero tesoro, credi di toccarlo con la mano – e te lo porta via un gentiluomo di camera o un generale. Dannazione! […] Che rabbia! Ho strappato la lettera della stupida cagnetta a pezzettini (417).

Da qui il suo desiderio di salire di grado che è, però, solo un moto di rivalsa nei confronti di coloro che lo trattano con alterigia e sono al contempo servili nei confronti dei superiori34:

Vorrei anch’io diventare generale: non per ottenere la sua mano e il resto, no, vorrei essere generale solo per vedere quanti salamelecchi farebbero e come ordirebbero tutti quei vari intrighi ed equivoci di corte, e poi dir loro che sputo in faccia a tutti e due (417).

Nell’intuire gradualmente l’insensatezza umana che giudica una persona dall’importanza del titolo, dai segni ufficiali della funzione

34 Commenta Gogol’ nelle Anime Morte a proposito dell’arroganza e del servilismo dei russi: “E’ impossibile enumerare tutte le gradazioni e sfumature del nostro modo di rivolgerci gli uni agli altri.[…] Supponiamo per esista un ufficio […] e che in quell’ufficio ci sia, supponiamo così un capufficio. Vi prego di osservarlo mentre siede tra i suoi sottoposti: dal terrore non riesci a dire una parola! Alterigia, nobiltà, cosa non esprime il suo volto?[…] E’ Prometeo, un vero Prometeo! Volge attorno uno sguardo d’aquila, incede con eleganza e misura. Quella stessa aquila, non appena esce dalla sua stanza e si avvicina allo studio di un superiore, affretta il passo, zampettando come una pernice con le carte sotto il braccio. In società e alle serate mondane, se tutti sono di rango non elevato Prometeo resta Prometeo, ma se qualcuno è appena superiore a lui, Prometo subisce una metamorfosi che Ovidio neanche se la sogna: un moscerino, ma nemmeno un moscerino, si è ridotto a un granello di sabbia” N. Gogol’, Le anime morte, (trad. di N. Marcialis), Roma 2004, Gruppo Editoriale L’Espresso. Divisione La Repubblica, pp. 54-55.

14

pubblica (divisa, onorificenze, mostrine), dalla ricchezza, Popriščin esprime dubbi, si pone domande e, maniacalmente, si arrovella per giorni sull’effettiva consistenza di quella che per lui è un’incomprensibile astrazione:

Che significa se è un gentiluomo di camera. Non è nient’altro che un titolo : non è mica una cosa visibile che si possa prendere in mano. Per il fatto che è un gentiluomo di camera non gli cresce mica un terzo occhio sulla fronte. […]. Già diverse volte ho cercato di comprendere da dove provengano tutte queste differenze. (417)

Inconsciamente, il modesto consigliere titolare percepisce, senza tuttavia comprendere, che i criteri su cui si basa la gerarchia della “Tavola dei ranghi”, istituiti per una società ancora ignorante e violenta, sono del tutto arbitrari e artificiali in quanto non prendono in considerazione il riscontro che dovrebbe esserci tra le effettive qualità e capacità dell’individuo e il grado cui appartiene. Da qui nascono in lui dubbi sulla propria reale identità, a suo parere non corrispondente al titolo, che lo inducono a riflettere sugli esempi della “storia”, dove persino un contadino si scopre “un alto dignitario e talvolta persino un sovrano”, chiedendosi perché anche lui non possa, in realtà, essere un personaggio importante: “Perché io sono consigliere titolare e in che senso sono consigliere titolare? Forse sono un conte o un generale e sembro soltanto un consigliere titolare? Forse non so neanch’io chi sono.” (417-419)

Nel ribaltamento della logica tradizionale, Popriščin, scopertosi re di Spagna, vede ormai con assoluta chiarezza tutto quello che all’inizio era per lui “insolito” e “strano”, mentre “strano” e “incomprensibile” gli sembra, invece, tutto ciò che è nell’ordine abituale delle cose:

Confesso che l’illuminazione è stata come un lampo. Non capisco come abbia potuto credere e immaginarmi di essere un consigliere titolare . Come è potuta saltarmi in mente quest’idea pazzesca? Fortuna che nessuno ha pensato di rinchiudermi in manicomio. Adesso dinanzi a me è tutto chiaro. Ora per me ogni cosa è un libro aperto. Mentre prima, non capisco perché, prima vedevo tutto annebbiato. E tutto ciò accade, penso, perché la gente s’immagina che il cervello umano si trovi nella testa: niente affatto: viene portato dal vento che soffia dal mar Caspio (423).

La motivazione addotta dal “re di Spagna” alla precedente “incomprensione” sua, e degli uomini in generale, è di solito interpretata come il segno inequivocabile del suo delirio. Se consideriamo i precedenti frequenti riferimenti alla “testa” come sede dell’intelletto, non sembra del tutto inverosimile l’ipotesi prospettata dal folle Popriščin

15

che “il cervello umano […] viene portato dal vento che soffia dal mar Caspio” . Associazione e trasformazione delle espressione u nego veter v golove (ha il vento in testa, cioè pensa solo a sciocchezze), e di sobaka laet, veter nosit (proverbio tradotto letteralmente “il cane abbaia il vento porta via” e corrispondente al nostro “can che abbaia, non morde) la frase è un’accusa di superficialità e frivolezza lanciata al genere umano, che parla a vanvera, non dà peso alla sostanza delle cose. 35

A differenza delle “bestiacce” che lo circondano, Popriščin si pone domande, riflette, e arriva più o meno consciamente a capire che oltre alla “testa” – la ragione, che si può “perdere” per ambizione, amore, invidia, brama di denaro – esiste anche “l’anima”, il cuore, ciò che rende umano l’essere vivente, entrambi spesso repressi e soffocati proprio dal raziocinio.

Riflettendo sulle lettere di Maggie, e in contrasto con le sciocchezze e le lunghe disquisizioni sul cibo che le caratterizzano,36 Popriščin commenta: “Che scemenze!...Ma come si fa a riempire una lettera con simili stupidaggini. Mostratemi l’uomo! Io voglio vedere l’uomo: esigo un nutrimento che sazi e diletti la mia anima; e invece certe insulsaggini….” (413).

Il desiderio di capire, di conoscere, l’indecifrabile sensazione dell’ingiustizia imperante nel mondo di Pietroburgo, che differenzia Poprišcin dagli altri personaggi, si svelano nella reiterazione di espressioni indicanti il suo “voler sapere”, “voler capire” ma, purtroppo, “non comprendere”. Inizialmente l’impulso alla “conoscenza” è l’amore per Sophie, e l’ammirazione verso il padre, nonché la curiosità di vedere cosa accade nel loro appartamento, nel salotto, intravisto dalla porta dell’ufficio e descritto come sfarzoso e pieno di specchi e, soprattutto, di sbirciare nella stanza da letto di Sophie, dove s’immagina “ci sono meraviglie, là penso, è un paradiso come non ce n’è neppure in cielo.” (403) È infatti per “sapere”, per “scoprire” che intercetta la corrispondenza delle cagnette:

35 I testi di Gogol’ così come le sue lettere abbondano di proverbi e giochi di parole, in particolare, con il “vento” e con il “naso”. 36 “Io prendo il tè e il caffè con la panna. Ah, ma chère, devo dirti che non ci trovo alcun gusto in quei grossi ossi spolpati che divora in cucina il nostro Polkan. Sono buoni solo gli ossi di selvaggina, e solo se nessuno ne ha ancora succhiato il midollo. E’ un’ottima cosa mescolare salse insieme, purché non ci siano capperi e erbe. […]Se non mi dessero il mio fragolino con la salsa o l’arrsto di alucce di pollo, io::: io non so cosa potrebbe succedermi. E’ buona anche la kaša con la salsa. Mentre le carote, o le rape, o i carciofi non saranno mai buoni… (409-411)

16

ora saprò tutto […] Lì, certo, scoprirò qualcosa.[…] Ora finalmente conoscerò tutti i loro affari e le loro intenzioni, tutti gli ingranaggi, e scoprirò finalmente tutto. Queste lettere mi riveleranno ogni cosa. […] Là ci sarà ogni cosa: tutto il ritratto e le imprese di quell’uomo. Là ci sarà qualcosa anche su colei che …niente, silenzio! (403)

La lettura del giornale con le notizie sulle lotte per la successione in Spagna spinge il consigliere titolare a spostare le proprie ossessioni sull’impossibilità che un trono sia vacante o che vi salga una donna. Il fobico dialogo, costruito sempre su domande e risposte a se stesso, sembra interrompersi quando, scopertosi Ferdinando VIII, tutto gli appare chiaro e lampante: “Adesso dinnanzi a me è tutto chiaro. Ora per me ogni cosa è un libro aperto. Mentre prima, non capisco perché, prima vedevo tutto come annebbiato.” (421) Ma si tratta solo di uno spostamento: “strani” e “sorprendenti” diventano per lui il lentezza dei deputati – senza i quali ritiene sconveniente recarsi a corte – , la velocità con la quale arriva in Spagna – grazie alle nuove strade ferrate -, i pazzi con la testa rasata – che prende per i Grandi –, la brusca e violenta accoglienza del “cancelliere di stato” e le sue bastonate – ritenute “l’uso cavalleresco nel momento di accedere a un’alta dignità”, ancora operante in Spagna –, nonché l’imminente schiacciamento della luna da parte della terra, fatto che lo inquieta e addolora, perché così si ridurranno “in farina i [nostri] nasi” che abitano lassù.

Nel riferire delle torture inflittegli in manicomio (“hanno cominciato a calarmi acqua fredda sulla testa” [433]), il pover'uomo riconosce di “essere pronto a montare su tutte le furie” (433), cioè uscire di senno per la sofferenza. Proprio questa crudeltà spinge il sedicente re di Spagna a meditare sulla cecità e dissennatezza dei sovrani che non hanno abolito questa usanza e, quindi, sulla follia del mondo: “Non capisco affatto il significato di questa strana usanza. Un’usanza stupida, insensata! Per me è incomprensibile l’ irragionevolezza dei re che finora non l’hanno abolita” (393)

Attraverso la sofferenza Popriščin acquista uno sprazzo di lucidità, ritrova, paradossalmente, la propria vera identità prima di perdere completamente il lume della ragione. La verità del folle – privo ormai di remore e inibizioni – disvela aspetti della realtà differenti: i sentimenti, il significato autentico di essere uomo, il senso profondo della vita.

Dal diario di Popriščin alle lettere canine Fa dire Asor Rosa alla sua Cana narratrice:

17

“Quel che io porto agli umani non è l’essere simili a loro: è piuttosto la zona d’ombra dove non c’è né umano, né animale, bensì le due cose confuse insieme”37

I cani parlanti e il loro carteggio rappresentano una manifestazione evidente di un'alternativa alla “Tabella dei ranghi”. Nell’incontro di Propriščin con le cagnette, “l’osservatore e l’osservato vengono a far parte di una strana simbiosi in cui, a un certo punto, si scambiano le proprie marche: di animalità e di umanità”38. La metafora animale, che vivacizza il linguaggio tipicamente orale dell’autore del Diario, permette all’impiegato di proiettare sui cani il proprio inconscio, di esplicitare e rendere visibili aspetti della realtà e di se stesso da lui conosciuti ma rimossi e che la stessa produzione della metafora aiuta a costruire. Attivato il meccanismo metaforico, che si articola secondo una sua rigida logica interna, Popriščin non è più in grado di fermarlo. Il mondo animale “non funziona soltanto come schermo su cui l’uomo proietta le proprie passioni, ma si costituisce a sua volta come interpretante che dà origine ad un altro processo semiotico, questa volta di ritorno verso l’uomo”39. Da quel momento Popriščin comincia a vedere tutto secondo una prospettiva “canina”.

Numerosi sono gli indizi a sostegno della possibilità di attribuire al copista lo stato di “cane”. Nel Diario di un pazzo si stabiliscono tratti di somiglianza tra la scrittura del consigliere titolare e quella di Maggie. Le considerazioni espresse dal caposezione nel rimproverargli di scrivere in modo disordinato e impreciso, come dire “da cani” (“ ingarbugli tanto una pratica […] non scrivi né la data, né il numero”[387]), ricadono, infatti, come un boomerang, su una lettera di Maggie. Se Popriščin-lettore in un primo tempo si meraviglia della correttezza della scrittura della bestiola (“La punteggiatura e [...] la lettera jat sono ovunque al proprio posto. Ma così, davvero, non scrive neanche il nostro caposezione […]”[407])40, in seguito, deluso dal contenuto della missiva, ne criticherà innanzitutto lo stile, trasferendo sulla corrispondenza della cagnolina – con l’esplicitazione anche del “non

37 A. Rosa, Storie di animali e di altri viventi, Torino 2005, Einaudi, p. 83. 38 P. Magli, La metafora animale, in P. Magli, Il volto e l’anima. Fisiognomica e passioni, Milano 1995, Bompiani, p. 134. 39 Ibidem.

40 Il suono della lettera “jat’”- poi soppressa - dall’inizio del XIX secolo non si distingue più da quello della “e” creando difficoltà nella scrittura.

18

detto” – le rimostranze del proprio superiore: “ Lo stile è oltremodo disuguale. Si vede subito che non l'ha scritta un uomo. Comincia come si deve, e poi finisce in modo canino. Guardiamo un po' un'altra letterina. Hmm! Non c'è nemmeno la data.” (411)

La perdita del normale orientamento temporale è il tratto distintivo del protagonista come autore del Diario che, dopo l’8 dicembre, prosegue la datazione in maniera sempre più delirante: “Giorno 43 aprile dell’anno 2000” (421); “86 martobre. Fra il giorno e la notte” (423); “Nessuna data. Il giorno era senza data” (427); “Non ricordo il giorno. Anche il mese non c'era. C'era il diavolo sa che roba (429); “Madrid. Trenta februarius”. (429)

Tipicamente “canina” è la sensibilità olfattiva del consigliere titolare che emerge durante l'incursione di Sophie nello studio: le sue narici aspirano voluttuosamente il fazzolettino caduto alla fanciulla, “finissimo [...] ambra, autentica ambra!”, che emana “proprio un profumo generalesco” (429). La strada che conduce all'epistolario delle due cagnette è invece una dura prova per il suo naso, pronto a rilevare il disgustoso odore di cavolo proveniente “da tutte le bottegucce” e da tutti i portoni della via, senza contare “una quantità di fuliggine e fumo” così soffocante da rendere impossibile una passeggiata – di “un gentiluomo” come di un cane – da quelle parti.

Anche nella fase acuta della follia, il sedicente Ferdinando VIII si comporta e viene trattato “da cane” (come, denuncia Gogol’, gli altri internati): il “cancelliere di stato” lo bastona come un cane e, quando ormai il povero demente crede che si tratti del Grande inquisitore, lo cerca e lo stana con un “maledetto bastone” da sotto la sedia, dove si era riparato, proprio come fanno i cani e molti fanno con i cani.

Su richiesta di Fidèle, Maggie descrive gli avvenimenti che si svolgono in casa Zverkov, – cioè “Delle belve”41 – (i balli ai quali si reca Sophie, il suo fidanzato, l’onorificenza concessa al padre etc..), soddisfacendo così anche il ben noto desiderio di Poprisčin di introdursi nella vita sfarzosa di “questi signori” e, in particolare, in quella “intima” di Sophie. Qui il punto di vista canino coincide, anticipandola, con l’incomprensione da parte del copista dell’importanza attribuita al titolo: a Maggie risulta inspiegabile l’esultanza dell’ambizioso “papà-direttore” per un “nastrino” del tutto privo di aroma, e “un pochino salato” per la sua lingua, così come Popriščin non capisce l’alta considerazione

41 In Russia si usava dare il nome del proprietario all’edificio di sua proprietà. Il Palazzo Zverkov (delle bestie) era allora l’unico edificio a cinque piani di Pietroburgo, abitazione di un amico di Gogol’.

19

comunemente attribuita al grado, al titolo, che “non è mica una cosa visibile che si possa prendere in mano. Per il fatto che è gentiluomo di camera, non gli cresce mica un terzo occhio sulla fronte. E il suo naso non è certo fatto d’oro, ma uguale al mio e a quello di chiunque altro.” (417)

Rilevante è, inoltre, che l’espressione preferita dallo stesso Propriščin sia kanal’stvo (canaglia) - un branco di cani, usata metaforicamente in senso dispregiativo - con la quale l’impiegato stigmatizza senza eccezioni l’ambiente che lo circonda, e testimonia inoltre il gioco di Gogol’ con la radice latina di “cane”42. Un’ultima curiosità: nel gergo dei padroni di cani, almeno ai giorni nostri, è in uso un gioco di parole tra i verbi pìsat’ (orinare) e pisàt’ (scrivere), che si differenziano solo per l’accento; così, spesso, al posto del primo termine si usa l’eufemismo ostavit’ pis’mo (lasciare una lettera, scrivere una noterella) alludendo al fatto che questi animali, prima di lasciare il segno del loro passaggio, annusano (leggono) alla ricerca delle tracce (letterine) dei loro simili. Nel titolo russo è importante il termine Zapiski, tradotto solitamente in italiano con Diario o Memorie, che significa anche “noterelle”, “messaggi”, e contiene la radice di pisat’ (scrivere). Gogol’ infatti allude con questo termine a qualcosa di minuto per collegare lo scrivere il diario, formato da frammenti, annotazioni, con i messaggi-letterine che si scambiano i cani.

Se nel mondo gogoliano del Naso – tutto giocato sull’inversione naso-sogno (nos-son)” – questo dettaglio anatomico, risultato della perdita d’identità e della scissione dell’“io” di un assessore di collegio, può assumere il grado di consigliere di stato, andare in carrozza per Pietroburgo e mostrarsi sprezzante nei confronti del subalterno Akakij Akakevič, è lecito considerare le “letterine” di Maggie come la metafora realizzata del modo di scrivere “da cani” del povero copista, che oltretutto, privo di mezzi, vive un’esistenza miserevole, “da cani”, è solo “come un cane”, si comporta e viene trattato “da cane”43.

Tale ipotesi trova sostegno nell’adagio riportato da Gogol’ in un frammento dei Passi scelti dalla corrispondenza con gli amici dove,

42 A questo proposito, ma senza giungere all’identificazione Popriščin-cani e proponendo ipotesi alquanto arrischiate, A. Kovač dedica un intero paragrafo alla “generatio canina” Cfr. A. Kovač, Poprisčin, Sofi i Medži (K semantičeskoj interpretacii “Zapisok sumasšedšego”, cit., pp. 114-119. 43 Sulla realizzazione della metafora, artificio usato molto spesso, da Gogol’ cfr. il nostro C. Solivetti, “La paura ha gli occhi grandi (ma non vedono nulla), in Il corpo del mostro. Metamorfosi letterarie tra classicismo e modernità ( a cura di E: Ettorre, R. Gasparro, G. Micks), Napoli 2002, Liquori, pp. 5-39.

20

parlando dei compiti delle varie cariche dello stato, attacca i segretari e gli scrivani che, nella loro smodata ambizione, pretendono di svolgere mansioni più elevate rispetto al loro grado e alle loro capacità e si permettono addirittura di scrivere testi al posto dei loro capi. Ne viene fuori così “una carta stupidissima […] uscita da un qualche angoletto di cui nessuno avrebbe sospettato, e come dice l’adagio: ‘L’ha scritta uno scrivano e botolo lo chiamo’” . 44

Vale sottolineare che le lettere di Maggie, piene di “stupidaggini”, vengono scovate da Popriščin proprio in un angoletto nella cuccia di Fidèle, e quando, tra il disprezzo e l’invidia, riferisce di un impiegato del tribunale civile dall’abbigliamento dimesso, che “scribacchia rattrappito in fondo a un angoletto” ma vive “in una villa sontuosa” grazie “alle bustarelle”in fondo il consigliere, titolare descrive se stesso facendo però una differenza sostanziale tra se e l’altro per quanto riguarda il denaro.

Si ricorda, inoltre, che il termine “angolo” (ugol) in russo, come in italiano, assume un significato metaforico in espressioni tipo čelovek sidit v uglu (persona che sta in un angolo) e indica un individuo silenzioso che si isola, o che nessuno nota, oppure che si nasconde. Infatti, quando Popriščin entra in ufficio, il caposezione fa finta di non vederlo, quasi fosse “un cane” (411); d’altra parte lo stesso impiegato si chiude in una sua presunta superiorità quando, convocato al dipartimento, si siede al proprio posto “come se non si [mi] accorgesse [accorgessi] di nessuno” (423). E non si nasconde, forse, Popriščin, vergognandosi, come Akakij Akakievič nella Mantella, del proprio cappotto logoro e fuori moda, quando incontra Sophie davanti al negozio? “Mi sono stretto al muro.[…]Non mi ha riconosciuto, e poi io stesso cercavo apposta di imbacuccarmi il più possibile perché avevo addosso un cappotto molto sudicio e inoltre di foggia antiquata […] e anche il panno non era decatizzato.” (391)

Le scissioni di Popriščin Scegliendo di introdurre nella narrazione le lettere “canine”, Gogol’

opta per un genere simile a quello del diario, che riproduce un tipo reale di comunicazione scritta in prima persona, di solito datata, così che il testo si suddivide in frammenti “ognuno dei quali è legato a un tempo

44 N. Gogol’, Passi scelti dalla corrispondenza con amici, in Idem, Opere in 2 voll., Milano 1996, Mondadori, v. II, p. 968.

21

definito e organizzato di conseguenza.”45 Con l’inserimento nel diario di ritagli di lettere (non datate), le differenti funzioni dei due generi si interrelazionano, accrescendo l’espressività e la complessità del testo che descrive, anche da punti di vista esterni e straniati (“canini”), il contrasto totalmente interiorizzato del consigliere titolare tra l’accettazione della mentalità gerarchica della “Tabella dei ranghi” – causa del suo complesso di inferiorità e delle aspirazioni a salire di rango – e il suo progressivo rifiuto. Poiché il diario intimo, quale ricerca della verità su se stessi, non può essere veridico – in quanto, oltre al “non detto”, non regge l’urto della mediazione verbale ed è, quindi, “in ogni caso e senza eccezioni, il diario di uno sconosciuto”46 –, Popriščin ricorre alla corrispondenza epistolare delle cagnette per proiettare all’esterno il proprio conflitto interiore: la divergenza tra l’immagine che ha o che vorrebbe avere di se stesso e quella degli altri. Da una parte, l’adozione della prima persona permette al copista di sdoppiarsi in scrittore-autore e protagonista del diario, dall’altra le lettere di Maggie – che Popriščin stesso, per dar loro una parvenza di autenticità, afferma di aver rubato – lo trasformano in lettore-commentatore-oggetto del dialogo fra mittente e destinatario. Entrambe le cagnette rappresentano l’esteriorizzazione e la concretizzazione simbolica dei suoi contrasti inconsci, il confronto dialettico con i differenti “io” e con l’altro da sé, conflitti che Popriščin, in realtà, ha sempre rimosso. Il suo reiterare il verbo “confessare” al presente e alla prima persona47, esplicita soltanto le oscillazioni tra lo stupore per avvenimenti “straordinari” e l’accettazione di fatti altrettanto “incredibili” per la logica comune: le sue reali contraddizioni e il conflitto tra il sé e il collettivo, tra l’io e il sé vengono soffocati. La conoscenza dell’“io” – ha dimostrato Bachtin – si

45 M. Di Fazio, La lettera e il romanzo. Esempi di comunicazione epistolare nella narrativa, “I quaderni di Igitur. Testi & Studi”, Roma 1996, Nuova Arnica Editrice, pp. 83-91. 46 Il titolo di Jean Cocteau, è citato da Secchieri per contestare l’ingenua equazione che si stabilisce tra le scritture afferenti al regime autobiografico, cioè il parlare di sé e la sincerità e veridicità (cfr. F. Secchieri, Segreto e finzione nelle scritture dell’io, “ Strumenti critici”, anno XVI (2001), fasc. 1, n. 95, p. 5. 47 Popriščin ripete “confesso” (387, 389, 391, 393, 403, 421, 431) ammettendo circostanze e intenzioni tutto sommato prevedibili in quel contesto, mentre chi realmente mette a nudo la propria anima non è una persona, bensì la cagnetta Maggie che si “confessa” con una propria simile come farebbe una signorina della buona società. Si realizza così un transfert molto significativo tra il consigliere titolare e il suo alter ego a quattro zampe.

22

realizza nell’attività comunicativa e in particolare nel dialogo, quando “l’uomo guarda se stesso con gli occhi dell’altro”48.

In questo gioco di specchi che “prevede l’animale come momento di mediazione”49 e insieme personificazione delle classi di un mondo burocratizzato, il consigliere titolare arriva a conoscere e riconoscere se stesso e gli altri. Nella società “canina” sembrano vigere le stesse regole gerarchiche del mondo degli uomini che, anche lì, generano superficialità, arroganza, umiliazione. In realtà la classe dei cani, che tra gli animali dovrebbe trovarsi, secondo “la Grande catena dell’essere”, al livello più vicino a quella degli uomini, sceglie un “solo capobranco” e presenta una sua scala gerarchica basata su attitudini comportamentali che distinguono le varie razze. Esiste infatti una differente predisposizione caratteriale tra il cane da salotto (il carlino in Russia), il cane da guardia, da lavoro, da difesa, da caccia, e il molosso. Il cane, in generale, è considerato, tra gli animali domestici, il miglior amico dell’uomo, e oltre alla fedeltà si caratterizza per altre qualità fisiche e affettive: è abitudinario e istintivo, è socievole e soffre la solitudine, abbisogna di affetto e coccole da parte del padrone con il quale entra in empatia e, di solito, è pronto a difenderlo anche sacrificandosi per lui. Se la comunicazione dei cani si esplica esclusivamente a livello non verbale – a differenza di quella degli uomini, essenzialmente di tipo verbale e solo coadiuvata dalla prossemica – queste bestiole, grazie anche all’olfatto particolarmente sviluppato, hanno la capacità di decodificare i minimi segni inviati dai loro compagni umani, anche quelli, di natura chimica connessi allo stato d’animo. Per sviluppare l’attitudine ad adottare atteggiamenti di buona convivenza e a stabilire una comunicazione interspecie efficace, i cani hanno la necessità di conoscere l’organizzazione operativa dei membri del gruppo, cioè i diritti e doveri, e a chi fare riferimento. Non abbiamo notizie di Gogol’ quale cinofilo ma è probabile che nella prima giovinezza in Ucraina sia stato a contatto con questi animali, presenti anche in altre opere.50

48 M. Bachtin, Estetika slovesnogo tvorčestva, Mosca 1979, Iskustvo, p. 132. 49 P. Magli, op. cit., p. 134. 50 Cfr. la descrizione dei cani di Nozdrev : “Entrati nel cortile videro una grande quantità di cani di razza e nin di razza, a pelo corto e a pelo lungo, con mantelli e colori di ogni genere: fulvi, tigrati, pezzati di nero, pezzati di rosso, pezzati di bianco, con le orecchie nere, con le orecchie grigie…Erano lì raccolti tutti i nomignoli, tutti gli imperativi venatori: Cartuccia, Linguaccia, Fiamma, Ardito, Frulla, Fruga, Rosola, Brusca, Saetta, Rondine, Campione, Padrona. Nozdrev si muoveva fra loro come un vero oadre di famiglia: e tutti, drizzate le code, che i cinofili chiamano timoni, volarono incontro agli ospiti per dare loro il benvenuto” (N. Gogol’, Le anime morte, cit., p. 84). Gogol’ conosceva bene anche i diversi tipi di cavalli, come risulta dalle differenziazioni

23

Nell’incontro fortuito di Popriščin con le cagnette, la prima a far sentire la propria voce – per poi non parlare più – è Fidèle che, evidentemente offesa perché l'amica “aristocratica” non si è curata di rispondere alle sue lettere, apre bocca soltanto per esplodere con un vibrante “Vergognati, Maggie!” (391). L’inveire contro tutto e tutti è la consueta reazione “segreta” di Popriščin quando è umiliato dai rimproveri o dalla mancanza di rispetto nei suoi riguardi, oppure quando, incapace di manifestare a parole e sulla carta l’effettiva natura della propria frustrazione, si trincera dietro la reiterazione di imprecazioni e di espressioni che negano la verbalizzazione: “eh, canaglia! niente, niente...silenzio"(401,111). Il consigliere titolare è infatti “un cane che abbaia e non morde”: in russo il verbo lajat’ (abbaiare) significa anche “imprecare”, “inveire”, “lanciare insulti” e la stessa cosa significa sobačit’ (letteralmente “fare come fa il cane”).

La scelta gogoliana di un nome “parlante”, Fidele, che evoca la tipica qualità canina di fedeltà, allude al monomaniaco attaccamento del consigliere titolare a Sophie e alla sua deferenza verso il padre di lei, il direttore generale, per compiacere il quale il copista si impegna a far la punta a tutte le matite dell’ufficio. Il susseguente silenzio di Fidele riflette l’incapacità di comunicare dello stesso Popriščin che ammette: “Ho pensato diverse volte di attaccar discorso con sua eccellenza, solo che, accidentaccio, la lingua non vuole obbedirmi: dico solo se fa freddo o caldo fuori, e non riesco a spiccicar nient'altro.” (401)

Tanto più il complessato impiegato vorrebbe parlare quando, intento a temperare le matite nel suo ufficio, si trova improvvisamente davanti Sophie: “‘Eccellenza’, volevo dire, ‘non mi faccia punire, ma se vuole punirmi, lo faccia con la sua manina generalizia’. E invece, al diavolo, non so come, la lingua non mi si è mossa” (395). La timidezza dell’impiegato, la sua desolante alienazione – a casa, in ufficio, nel mondo –, l’introversione che lo porta a parlare solo con se stesso, trovano un riscontro, ribaltato, nell’ammissione di Maggie che ribadisce alla propria corrispondente la necessità del dialogo con i propri simili:

“Sono molto contenta che abbiamo avuto l’idea di scriverci. Mi sembra che scambiare idee, sentimenti e impressioni con un altro sia uno dei beni più preziosi a questo mondo”. (407)

Maggie, la cagnetta “loquace” e altezzosa, che quasi si vergogna di avere rapporti con una bestiola dal nome “volgare” e piccolo borghese di Fidèle, e nelle lettere – parodia della corrispondenza femminile del tempo – spettegola, usa francesismi, è schizzinosa nei riguardi del cibo e

a proposito della trojka di Čičikov, specchio delle caratteristiche dei tre personaggi che trasporta.

24

disprezza i corteggiatori “rozzi”, rappresenta Sophie, l’altezzoso, irraggiungibile amore di Poprisčin, superficiale e sicura di sé, il cui nome francese sottolinea, ironicamente, la sua raffinatezza. In Maggie, peraltro, troviamo anche tracce della “presunzione” del consigliere titolare ( in realtà un atteggiamento di difesa) che crede di meritare una posizione superiore al proprio grado, tale da consentirgli di suscitare l’attenzione della fanciulla e la deferenza degli altri impiegati.

I commenti di Popriščin-lettore – ora nelle vesti di censore – sulle futilità delle lettere che lo disgustano, esprimono l’esigenza di trovare nella corrispondenza qualcosa di più spirituale. L’accorata richiesta di vedere “l’uomo” (“Mostratemi l'uomo! Io voglio vedere l'uomo” [413]) viene subito esaudita, ma non nel senso sperato. L'uomo descritto da Maggie è lui stesso, “l’impiegato che sta nello studio di papà”, una figura patetica che sfiora il ridicolo – “Sophie non può proprio trattenersi dal ridere quando lo guarda” (415) –, definito in termini che non lasciano dubbi: “.. se tu sapessi che mostro è quello. Una vera tartaruga in un sacco...[...] Ha un cognome stranissimo. Sta sempre lì a temperare le penne. In testa ha dei capelli che assomigliano molto al fieno. Papà manda sempre lui a far commissioni al posto del cameriere.” (415) E, in effetti, nel suo diario Popriščin sottolinea più volte che ha passato molte ore immobile, “sdraiato a letto”, una mancanza d’azione ascrivibile a uno stato depressivo.

Di fronte a una “verità”, a livello consapevole inaccettabile e insostenibile, il bistrattato impiegato reagisce prendendosela con la “linguaccia” mendace della cagnolina (“Menti, maledetta cagnetta! Brutta linguaccia! [415]) e con l'invidia del caposezione che gli “ha giurato un odio implacabile” e lo “danneggia a ogni piè sospinto” (415). Se Popriščin rimuove lo sprezzante giudizio di Maggie e di Sophie nei propri riguardi, nonchè l’accenno all’essere usato come sostituto del cameriere, il lettore è tenuto ad associare la sua figura sia con il domestico di casa Zverkov, Grigorij, che “spazza il pavimento e quasi sempre parla da solo” (417), sia con Polkan, il servo-postino delle cagnette.

Nello scusarsi con Fidèle che le rimprovera di aver interrotto la corrispondenza, Maggie adduce a giustificazione la propria malattia e la scarsa diligenza del servo a quattro zampe: “Ti ho scritto, Fidèle. Scommetto che Polkan non ti ha portato la mia lettera” (391-393). Entra, così, in scena in questo teatro dell’inconscio un'altra figura dimessa, quella del cameriere silenzioso, ma in fondo ribelle come ogni cane maltrattato. O meglio, come un “mezzo cane” se consideriamo che pol in russo indica una metà, e kan riprende l'etimologia latina nel citato

25

sostantivo russo kanal'stvo.51 Da Popriščin-cane-fedele-non corrisposto (com'è Fidèle, priva di corrispondenza) a Poprišcin-servitore-mezzo cane, che, al contrario di Maggie, si deve accontentare di mangiare in cucina ossa già spolpate.

In tal modo, a questo tipico personaggio gogoliano “irrisolto”, che non viene percepito compiutamente come uomo, non si riconosce nemmeno la dignità di un vero cane, assimilandolo alla figura “dimezzata” di Polkan, anch’esso inaffidabile e incapace di svolgere correttamente il proprio compito.

Obiettivamente, lo status del nostro impiegato dipende dalla sua abilità nella copiatura di documenti: se è “nobile”52 lo deve all’accuratezza delle sue trascrizioni. Più di una volta egli stesso sottolinea quest’interconnessione:

“Sì, lo confesso, se non fosse per la nobiltà dell’impiego, da un pezzo avrei lasciato il dipartimento.”(389) “Solo un nobile sa scrivere correttamente. Certo, anche alcuni mercanti e bottegai e persino i servi della gleba scribacchiano qualche volta; ma la loro scrittura è per lo più meccanica: senza virgole, né punti, né stile.” (393)

Lo scrivere automaticamente e la mancanza di stile sono proprio i rilievi che il caposezione muove al consigliere titolare, mettendo in discussione la sua efficienza come copista; gli errori non rilevanti (confusione, maiuscole al posto di minuscole, omissione di date e numeri) indicano un’assenza della precisione e della metodicità richieste dalle sue mansioni (oltre ad essere segni premonitori di quell’incipiente follia che poi si manifesterà nella datazione del diario). Da qui il più modesto compito di temperare le penne del direttore, circostanza umiliante, ma che Popriščin “deve” considerare di una certa importanza (nella sua ottica susciterebbe addirittura l’invidia del caposezione)53 in modo da sentirsi qualcuno, avere un’identità ufficiale pur se non sufficientemente elevata per ottenere il rispetto altrui. Quella di “consigliere titolare” è, del resto, l’unica identità che il lettore conosce di lui, poiché se il suo nome, Aksentij Ivanovič è pronunciato solo una volta e da un servo – che lo “invita” a lasciare l’ufficio – il cognome compare solo nel finale, insieme a tutti gli altri titoli da lui assunti

51 Ovviamente questo è un altro gioco con il linguaggi in quanto in russo il “kan” di Polkan è legato a kon’ cavallo, ed è il nome di un animaletto per bambini metà cavallo e metà 52 Il consigliere titolare appartiene alla cosiddetta “nobiltà personale” o a vita, non trasmissibile ai discendenti [ličnoe dvorjanstvo], conferitagli dalla “Tabella dei ranghi”. 53 “E’ invidioso perché sto nell’ufficio del direttore e tempero le matite per sua eccellenza (387)

26

quando, nascosto sotto la sedia per paura di altre torture, non risponde, peraltro, ai ripetuti, diversi appellativi usati dal presunto Grande inquisitore:

Visto che non c’ero si è messo a chiamarmi. All’inizio ha gridato: “Popriščin” e io neanche una parola. Poi: Aksentij Ivanov! Consigliere titolare! Nobile!” Io sempre zitto. “Ferdinando VIII, re di Spagna!” Io volevo sporger fuori la testa, ma poi ho pensato: ‘No, caro, non me la fai! Ti conosciamo: mi verserai di nuovo acqua fredda in testa (435).

Popriščin, la società, lo stato “ La ragione è un’altra forma

di follia. Quest’altra follia parla il linguaggio spietato della non follia”(Foucault)

La rigida differenziazione di classi e sottoclassi su base gerarchica propria della “Tabella dei ranghi” e il suo confronto con la “Grande catena dell’essere”, mette in luce il rapporto di Popriščin con lo stato e con la società.

È significativo che il racconto, benché piuttosto breve (20 pagine circa), sia popolato da molti personaggi dei quali solo alcuni hanno un nome: Aksentij Ivanovič Poprišcin, la domestica Mavra, la figlia del direttore Sophie, le cagnette Maggie e Fidèle, il “mezzo cane” Polkan, nonché un certo Bobov e il servo Grigorij. Sono nominati anche Puškin (397), il “babbeo russo Filatka” (399) che si esibiva a teatro, Filippo II (423), “il famoso chimico inglese Wellington”54 (sic!) (431), lo “stupido” Polignac (435). Gli altri, invece, vengono indicati con il titolo loro assegnato nella piramide gerarchica: direttore, consigliere di corte, tesoriere, consigliere titolare, segretario di collegio, intendenti, protocollisti di collegio; (nella gerarchia militare) generale, colonnello, gentiluomo di camere; (nell’aristocrazia) czar, conte, dame e infine proprietari terrieri, letterati, giornalisti, farmacisti, attrici, mercanti, bottegai, artigiani, sarti, barbieri, levatrici, cuoche, servi della gleba. Anche nell’immaginata Spagna, intorno a Ferdinando VIII, sovrano, vengono nominati i Grandi, i deputati, il grande inquisitore, il cancelliere.

54 Wellington è stato, in effetti, un chimico inglese ma con il suo nome evoca a ogni lettore russo il famoso duca, vincitore a Waterloo, che a suo tempo aveva messo in fuga i francesi in Spagna nella così detta guerra peninsulare (1808-1814) mentre regnava Ferdinando VII.

27

Il modesto copista ragiona e si comporta secondo i criteri propri della classe impiegatizia cui appartiene: non è privo di servilismo (si riferisce al direttore e a Sophie con “Eccellenza”), né di negligenza, e non può non invidiare i ricchi altolocati che possono riscuotere l’attenzione di Sophie. Popriščin, peraltro, esprime giudizi e presenta il mondo burocratico nei suoi aspetti deteriori, denunciandone appunto la corruzione, l’avidità, la negligenza, la piaggeria e l’invidia. Riconosce infatti:

“E tutti quelli lì, i loro padri funzionari , tutti loro che intrigano a corte e dicono di essere patrioti e questo e quello: rendite, rendite vogliono questi patrioti ! La madre, il padre, Dio venderebbero per denaro, quegli ambiziosi, quei Giuda traditori!” (427)

Nelle sue oscillazioni tra moralismo e invidia non risparmia i piccoli impiegati di uffici a diretto contatto con il pubblico, che si arricchiscono con cospicue “elargizioni” forzose ripulendo il postulante e lasciandogli “indosso solo la camicia” (389)55.

Nella visione oggettiva di tutta la “canaglia” cancelleresca, Popriščin proietta sugli altri anche i propri difetti che percepisce solo dalle lettere delle cagnette. Tuttavia, dall’ottica del mondo “canino” – che reggendosi su un modello gerarchico all’apparenza simile a quello degli uomini produce gli stessi risultati (superficialità, arroganza e disprezzo verso gli inferiori) –, gli astratti “idoli” umani sono incomprensibili. Anche per Popriščin diventano man mano inspiegabili l’importanza attribuita al rango, ai titoli e i criteri su cui si basano le differenze gerarchiche. Attraverso le lettere, il consigliere titolare riscontra la propria diversità rispetto agli altri impiegati e sente vagamente di condividere con i fedeli amici dell’uomo altre qualità: sensibilità, fedeltà, capacità di amare. Nel suo rovello interiore, le domande che si pone e le conseguenti riflessioni a questo riguardo – sebbene in maniera poco chiara perché poco chiare a lui stesso sono le cause della propria rabbia e ribellione – svelano una lucidità e un significato più profondo di quanto non appaia ad una prima lettura del testo. Quando Popriščin si chiede: “ Perché sono consigliere titolare? E perché proprio consigliere titolare?”, il modesto impiegato non si riferisce al grado, ma si interroga, piuttosto, se sia giusto valutare una persona dall’apparenza, dal titolo, dalle funzioni.

55 L’ossessiva brama di denaro, al pari della sua mancanza, porta, per differenti motivi, molti personaggi gogoliani alla pazzia, alla fuga o alla morte: Petr nella Sera della Vigilia di San Giovanni nelle Veglie, Čartkov nel Ritratto, Čicikov nelle Anime Morte.

28

Qui entra in gioco un’altra caratteristica di Popriščin, la sua nobiltà. Tale termine, in russo blagorodie, ripetuto più volte nel testo e non solo nei suoi riguardi, si riferisce, come in italiano, non solo all'aristocrazia – di nascita o per meriti di servizio – ma alla nobiltà d'animo. Anche in questo caso, non si tratta di essere consigliere titolare – cioè nobile in senso gerarchico – ma di essere nobile d’animo, onesto, generoso e solidale.

Si annullano così nel racconto sia l’opposizione uomini-animali, sia la gerarchia alla base dell'organizzazione statale russa.

Resta, allora, da stabilire perché Poprišcin dichiari di essere Ferdinando VIII, re di Spagna, e quale sia il suo rapporto con lo stato.

Del coinvolgimento nei fatti di Spagna, che diventano per il consigliere titolare un’ossessione56, sono responsabili gli articoli dell'“L'Ape del Nord”, che si dilungano sulle ingarbugliate vicende della successione spagnola, sulla lotta tra i sostenitori di Don Carlos e quelli di Donna Isabella, sottolineando anche l’intromissione negli avvenimenti di altri paesi, innanzitutto la Francia e l’Inghilterra, la Russia e l’Austria. Il ragionamento di Popriščin è del tutto conseguente: se sceglie di salire su quel trono, anziché autoproclamarsi zar in patria, lo fa perché la Russia ha già un sovrano, lui stesso l'ha “visto” e riverito mentre passeggiava “in incognito” sulla passeggiata Nevskij57. Il trono spagnolo, invece, è vacante e l’incoronazione di una donna va contro il rispetto dell’ordine gerarchico della “Grande catena dell’essere” in quanto se il mondo umano è un mondo “canino” solo un “maschio” può essere capobranco. Afferma infatti:

“Dicono che una certa doña deve salire al trono. Una doña non può salire al trono. Sul trono dev'esserci un re. Sì, dicono che non c'è un re: ma è impossibile che non ci sia un re. Uno stato non può stare senza un re. Il re c'è, solo che si trova da qualche parte in incognito.” (419)

Quando decide di essere lui Ferdinando VIII, è convinto di immolarsi per la “causa” e afferma soddisfatto:“ Oggi è un giorno di grandissimo tripudio! La Spagna ha un re. È stato ritrovato. Questo re sono io.” (421)

La lettura della sua autoproclamazione a sovrano di Spagna come “sacrificio” affinchè si ristabilisca la corretta struttura gerarchica, trova

56 (“Mi ero quasi deciso ad andare al dipartimento, ma diversi motivi e considerazioni mi hanno trattenuto. Non mi uscivano proprio dalla testa gli affari spagnoli” [421]) 57 E’ passato sua maestà l’imperatore. Tutta la città si è tolta il cappello e anch’io; però non ho lasciato vedere in nessun modo di essere il re di Spagna. Ho ritenuto sconveniente rivelarmi lì, dinnanzi a tutti: perché per prima cosa bisogna presentarsi a corte. Mi ha trattenuto solo il fatto che non ho ancora un abito regale” (427)

29

un sostegno – e al contempo giustifica – la presenza della parola “martire” (mučenika) nel titolo autografo del racconto (Diario di un martire pazzo), tradizionalmente interpretato come muzykanta (musicista). G. Strano, legge appunto, il termine come “martire” in quanto più consono “al finale e alla psicopatologia dell’eroe” e fa notare anche la sinonimia tra terzat’ (torturare, straziare) e mučit’ (tormentare martirizzare), riferendosi però soltanto alle sofferenze psicologiche e fisiche del consigliere titolare-re di Spagna e non al suo “eroismo”.58

Con la salita al trono di Popriščin, e dopo il suo gesto emblematico di “tagliuzzare tutta la stoffa” della sua nuova uniforme da burocrate per farne un manto regale (come riduce a pezzettini le lettere delle cagnette) si ristabilisce l’ordine gerarchico, e si risolve il conflitto fra le “due idee fisse e contrastanti” che lo hanno portato alla follia. Ferdinando VIII accetta l'alta responsabilità di un sovrano che non può sottrarsi al proprio dovere e, mentre tutti fuggono all’entrata del grande inquisitore temendo altre torture, il consigliere titolare è costretto a riconoscere: “Io, in quanto re, sono rimasto solo” (433).

Nel nuovo altissimo rango, il presunto Ferdinando VIII incarna il re delle fiabe giusto, compassionevole ed eroico, che come compito primario si prefigge di salvare la luna – astro di “straordinaria mollezza e fragilità” – a detta dei giornali destinata a essere schiacciata dalla terra, una “materia pesante” (431), alterando l’ordine del cosmo. Il sovrano mostra così di dare il proprio sostegno ai deboli e agli indifesi contro la prepotenza dei forti e dei violenti.

Su questo pianeta opprimente e spietato, sotto le torture che gli infliggono in manicomio, l’umanità latente di Popriščin si rivela nella definitiva ribellione all’alienante realtà gerarchica russa, alla pervasiva corruzione e disumanità, agli insani valori del mondo che lo hanno fatto precipitare nella follia. Scopre, così, l'unica, vera, immutabile gerarchia, quella di chi soffre e di chi fa soffrire.

Il “nobile” Popriščin, ovviamente, è tra coloro che soffrono e, tra le mura del manicomio, in mezzo ai pazzi, pronti con lui a salvare la luna, ritrova la dignità di uomo ma, al contempo, si rende conto della propria umana debolezza e impotenza, anche come sovrano, a trasformare, da

58 Sulla lettura di questa parola vi è discordanza tra i critici, che rimanderebbero il racconto alle novelle di Hoffmann (Kreisleriana [1813] e I dolori musicali del Maestro di cappella Johannes Kreisler [1815]), nonché all’Ultimo quartetto di Beethoven, L’improvvisatore e Sebastian Bach di Odoevskij. G. Strano sostiene che le parole-chiave “mučit’ e terzat’ permettono di legare la novella gogoliana a tre racconti di Polevoj, usciti fra il 1829 e il ‘33” (G. Strano, Gogol’. Ironia. Polemica. Parodia, cit., pp. 142-143).

30

solo, un mondo oppressivo e opprimente in una società armonica e felice. Popriščin è sano, benché abbia “la testolina malata”, ma il suo “calvario” è ormai insopportabile. Il consigliere titolare ha ritrovato la propria vera identità di Aksentij Popriščin59, e ha realizzato il destino al quale lo predestinava il suo nome di “santo” e martire” del dovere. Aksentij è un nome ricorrente nelle agiografie e il cognome, derivato da poprišče (compito, dovere)60, si riscontra in Gogol’ nei Passi scelti della corrispondenza con gli amici con il significato di “alto compito”. Si capisce, così, anche la difficoltà dei critici a decifrare il termine del titolo autografo che riflette, forse, l’indecisione iniziale dello stesso Gogol. Se non musicista, Popriščin è tuttavia un artista, uno scrittore, anzi, il re della scrittura: Ispanija (in russo Spagna) è l’anagramma di pisanija (scrittura) e il modesto consigliere titolare è riuscito a rendere sulla carta, attraverso il linguaggio non verbale delle cagnette, la tragedia intraducibile a parole di un “io”scisso.

Al culmine della disperazione, Popriščin implora l’aiuto della madre, icona dell'amore sacro, il solo autentico, capace di confortare e lenire ogni pena, al contrario di quello di Sophie che, in quanto donna (“Oh, perfida creatura, la donna|!”), “è innamorata del diavolo” (425).

Salvatemi|! Portatemi via!. Datemi una trojka di cavalli veloci come il vento! Monta, mio postiglione, suona, mia campanella, impennatevi, cavalli, e portatemi via da questo mondo! Lontano, lontano, che non veda più nulla, nulla. Ecco laggiù il cielo vortica davanti a me; una stellina brilla in lontananza; il bosco vola con gli alberi scuri e la luna; una nebbia azzurrina si stende sotto i miei piedi; una corda vibra nella nebbia; da una parte il mare, dall’altra l’Italia; laggiù si vedono anche delle isbe russe. E' la mia casa quell'ombra azzurra, lontano? E' mia madre che siede alla finestra? Mamma, salva il tuo povero figlio! Versa una lacrima sulla sua testolina malata! Guarda come lo tormentano! Stringiti al petto il tuo povero orfanello! Non c'è posto per lui nel mondo! Lo perseguitano! Mamma abbi pietà del tuo bambino malato! 61

59 E’ indicativo che tale cognome “parlante” per altri evochi, qualcosa di umile e ridicolo, ricordando un foruncolo, priš (Cfr. W.W. Rowe, The Diary of a Madman, New York 1976, New York University Press, p. 91) Ciò a mio avviso dà la possibilità di spiegare, grazie a un gioco di sinonimi e di metafore, la strana frase a proposito del bey di Algeria e il legame di quest’ultimo con Popriščin. 60 Con questo significato il termine è ricorrente nei Passi scelti dalla corrispondenza con amici, cit., v. II, pp. .

61 Ivi, p. 437. Se, come osiamo proporre, il corpo martoriato di Popriščin realizza la locuzione “povero cristo”, conoscendo l’inclinazione al misticismo di Gogol’, al di là di ogni confine temporale, con Iacopone da Todi possiamo trovare nel “pianto” della madre celeste il controcanto alle invocazioni del povero innocente: “ Figlio, l’alma t’è uscita, - figlio de la smarrita/Figlio de la sparita, - figlio attossicato!/[….]Figlio bianco e biondo – figlio, volto iocondo,/figlio, perché t’ha el mondo, - figlio, così

31

Si è soliti interpretare il grido finale del maltrattato Popriščin come il desiderio di fuga dalla sofferenza e da questo mondo, di ritorno all’infanzia: invoca l’invio di una trojka “veloce come il vento” - come quella di Čičikov - che lo conduca lontano, si libri in alto sull’azzurrità della Russia, sorvoli il luogo natio e lo trasporti fino all’assolata Italia – terra della libertà per ogni russo e “patria dell’anima” di Gogol’62. In effetti non può neanche sperare di rifugiarsi sulla luna, perché l’astro è “una palla così molle che la gente non ci può vivere e ci vivono solo i nasi”. Quelli dei cani insieme a quello di Popriščin si sono rifugiati in quel “globo” per sfuggire ai maleodoranti effluvi della terra (431) e per ritrovare un calore femminile, la tenerezza: la luna è fragile, sensibile come il naso canino, con il quale la madre accarezza i cuccioli dopo la nascita. Gli organi olfattivi degli umani, invece, sono lì perché inutilizzati da uomini senza “fiuto”, che oltre che “insensati” sono anche ciechi: “non vedono oltre il proprio naso” e, pertanto, se il naso è sulla luna non vedono nulla63.

L’invocazione del sofferente impiegato esterna i suoi sogni (e quelli di Gogol’), mai riconosciuti a se stesso, ciò che avrebbe sempre voluto avere nella vita, e l’accenno di Popriščin a se stesso come “povero orfanello” chiarisce i motivi dell’insicurezza ontologica che ha segnato il consigliere titolare già dalla nascita. Come molti orfanelli gogoliani64, il povero impiegato non ha conosciuto la madre, è, osiamo dire riprendendo l’imprecazione più usata in Russia, un “figlio di una cagna” (suchin syn); è cresciuto, come Čičikov, senza amore, senza casa, raggiungendo con fatica e sacrifici il grado di consigliere. Quanto al padre, se anche fosse stato presente, si intuisce dal patronimico che era o rigido e violento, come Ivan IV il Terribile, o stolto come Ivan, lo sciocco delle favole sprezato?/Figlio, dolce e piacente, - figlio de la dolente,/figlio, hatte la gente – malamente trattato!” Cfr. Jacopone da Todi, Laudi – Pianto de la Madonna de la passione del figliuolo Iesu Cristo in L. Russo, I classici italiani, vol. I, Dal Duecento al Quattrocento, Firenze, 1955 Sansoni editore, p. 392. 62 Su Gogol’ e l’Italia, in particolare Roma, cfr. R. Giuliani, La meravigliosa Roma di Gogol’, Roma. 63 Per questo a detta di Popriščin “non possiamo vedere i nostri nasi perché si trovano tutti sulla luna. E quando ho immaginato che la terra è una materia pesante e può, posandovisi, ridurre in farina i nostri nasi, mi ha preso una tale inquietudine, che mi sono infilato calze e scarpe e sono corso nella sala del consiglio di stato, per dare alla polizia l’ordine di non permettere alla terra di posarsi sulla luna ” (431-433) 64

32

(dal quale avrebbe potuto ereditare la durezza di comprendonio), o insignificante come un russo qualsiasi, al quale ci si riferisce di solito con questo nome. Nella sua morale, Gogol’ vuole andare contro i pregiudizi (“tale il padre e tale il figlio”) e dimostrare che, come per i cani, più dei geni, è l’ambiente e l’educazione che forma il carattere dell’uomo. Al pari del protagonista del Vij e dello stesso Gogol’, Popriščin potrebbe essere stato educato in seminario (nel suo caso per orfani, la bursa) e potrebbe aver assorbito gli insegnamenti delle Sacre Scritture, come alluso dal suo rifiuto di farsi rasare perché non ha intenzione di diventare monaco.

“Schizofrenia” è la diagnosi fatta al poeta Bezdomnyj dal medico che lo accoglie in manicomio nel romanzo Il maestro e Margherita di M. Bulgakov. Anche lui legato da fili misteriosi alla luna, Bezdomnyj impazzisce davanti alla morte annunciata dell’amico Berlioz, e a conclusione della malattia, subisce una radicale trasformazione: smette di scrivere i soliti pessimi versi, si libera per sempre (salvo nelle notti di plenilunio) dei ricordi della sua precedente inconfessabile vita legata al regime, per riprendere il suo vero nome, Ivan Nikolaevič Ponyrev, e diventare uno storico. Anche le questioni che travagliano il consigliere titolare riguardano ciò che realmente accade in una rigida società burocratizzata, che valuta l’uomo esclusivamente sulla base dell’esteriorità, del denaro, dei pregiudizi e non dei valori morali. La follia di Popriščin è la proiezione della follia del mondo (che, del resto, avanza sempre più) nella coscienza di un uomo, il quale finalmente capisce che per lui non c'è posto su questa terra “pesante”, in un mondo insano e insensato dal quale, infatti, lo cacciano.

Il suo dubitare “Forse io stesso non so chi sono” non si riferisce al grado gerarchico, ma alla sfera morale. Seguire l’istinto delle “bestiacce” o realizzare la propria umanità? Popriščin ha fatto la propria difficile scelta, una scelta che prima o poi si pone ad ogni uomo.