cassandra - ottobre 2013

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ce piasce er cassandra.

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Benvenuti! Comodi vi prego, comodi signori.

Insieme a tutti voi amati sarpini anche Cassandra inizia finalmente quest’anno scolastico 2013-2014, ma prima di lanciarvi in quella che SICURAMENTE sarà la vostra lettura appassionata ed entusiasta vediamo di fare un po’ di chiarezza riguardo ai concetti base di questo tentativo di giornale. Abbiamo un nuovo direttore (il maschile è colpa della volontà del popolo), una seria e impegnata vicedirettrice (Micaela fai ciao), una segretaria zelante, che può essere acida finché vuole ma non riuscirà mai a farci essere bravi e puntuali, e una sterminata redazione quanto mai variopinta e composita. Variopinto è un aggettivo che solitamente si usa per i vasi, concordo, però lo ritengo particolarmente azzec-cato in questo contesto perché racconta visivamente, quindi con immediata efficacia, le idee e l’atmosfera che vorremmo si respirassero in quello che com-biniamo ogni sabato in sesta ora, a partire dal “prodotto” completo che arriva a tutti, questo. In qualche modo tenteremo, a partire dal presente numero, di barcamenarci all’interno del Sarpi e delle sue numerose lezioni, istituzioni, Donato (!), passaggi segreti e vita studentesca, non esclusivamente scolastica. Attenzione: non pren-deteci come una testata giornalistica seria e andrà tutto bene, ma nemmeno illudetevi di poterci snobbare e buttare in massa in un qualsiasi cestino per la raccolta differenziata della carta. Come voi anche Cassandra getta un occhio sulla scuola, nella sua totalità o in quella parte che concerne per qualche mo-tivo i membri della redazione, quindi ricordatevi della doverosa presenza della sottocommissione “Sarpi” che partirà subito con qualcosa di particolare, ovvero la grande novità dell’anno: un preside (magno gaudio!), che colgo anche l’oc-casione di salutare nuovamente a nome della redazione. Il resto di Cassandra è ciò che il nostro gusto personale e un’attenzione all’attualità ci concedono di poter esprimere scrivendo liberamente. Non ci definirei propriamente un mezzo d’informazione, di base siamo un gior-nalino scolastico, il che significa soprattutto intrattenimento di qualsiasi genere. Cassandra ha infatti l’abilità speciale di insinuarsi fra i banchi una volta al mese durante le ore di lezione e di renderle un po’ diverse, un po’ più focalizzate sulla componente studentesca e sul nostro modo di vedere il mondo, mediato dalle figure dei singoli autori. Mi appello perciò ad una lettura leggera ma attenta anche da parte del corpo docente e del personale ATA, qualora ne abbiano la voglia, per guardare la routine quotidiana da un diverso punto di vista in cui in parte tutti loro possono ritrovarsi, ragazzi lo sono stati tutti. Se non fossi stata abbastanza chiara in precedenza esplicito l’invito alla parte-cipazione, in qualsiasi forma, da parte di chiunque abbia voglia di comunicare qualcosa o di costruirlo all’interno dello spazio che può essere dato dalla scrit-tura e in particolare dal nostro giornale. Saremo lieti di accogliervi e di lavorare insieme, di mangiare alle due e pinzare fino allo sfinimento, purché l’intento sia positivo. Un buon inizio di anno scolastico a tutti e ricordatevi che potremmo venire ad arruolarvi anche domani!

di Marta Cagnin, IIID

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IL SOMM

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SarpiMountain Bike e Sonate di Mozart [Intervista] (p. 4) LSD (p.7) Stage (p. 9) Scuola in pigiama (p.10) Fuso Orario - Argentina (p.13)

Attualità’La ballata della moda (p. 15) Nessuno tocchi caino (p.16) Piccola garzantina Si-riana (p. 17) Siamo tutti della stessa pasta (p.18) Il compagno Berlinguer (p.19)

CulturaIt Never Ends 2 (p. 21) Shingeki no Kyojin (p.23) Justin Biener, presidente dell’Iowa? (p. 24) Mad Donnie Darko World (p.25) Guarda, invece, come siamo belli (p.26)

NArrativaStorie di Wretched Town (p. 27) Tutto è (p.29) A posto(p. 29)

3^ PaginaSarpina Commedia (p. 31) How I Met Your Cotonfioc (p.32) Ipse Dixit (p. 32) Jo-seph The Bunny (p.3/34)

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Forse una delle interviste più piacevoli degli ultimi anni: tanta curiosità, simpatia e sorprese.

[Sigle utilizzate B: Bontempo, T: Testa, R: Raimondi]

1. Curriculum scolastico e lavorativo: dove/che materie ha insegnato?

Ho iniziato il percorso scolastico vincen-do casualmente un concorso come ma-estro di scuola elementare. Ho continua-to a studiare all’università per vincere in seguito un concorso come direttore di-dattico (cioè presso una scuola elemen-tare) e poi come dirigente scolastico. Pertanto nella scuola ho fatto il maestro, il professore, lo psicopedagogista, il di-rettore didattico, il preside nella scuola media e il dirigente nella scuola superio-re (Itc e liceo scientifico). Nel frattempo ho avuto modo di fare esperienze di ricerca e insegnamento in università (sia Università di Bergamo che Cattolica, e ora ho un contratto con il Politecnico di Milano). Ho passato gli ultimi sei anni al ministero, collaborando direttamente con i capi dipartimento, con sottosegre-tari e ministri, in particolare sui curricola scolastici e sulla valutazione.

2. Quale motivo l’ ha spinto ad accetta-re la presidenza del Sarpi?

Per realizzare qualcosa di significativo nella scuola bisogna starci dentro, biso-gna sporcarsi le mani, sentirne l’odore. Nelle segrete stanze ministeriali si pos-sono fare grandi disegni e norme, ma nulla avviene per circolare o per legge, perché, affinché qualcosa avvenga, le

persone ci devono credere, si devono spendere, lo devono realizzare metten-dosi in gioco. Nell’ultimo anno mi sono impegnato per il disegno di legge sul si-stema nazionale di valutazione: ho chie-sto io al capo dipartimento di ritornare nella scuola per realizzare alcuni pas-saggi di quel sistema, tra cui quello della valutazione del dirigente scolastico (che dovrebbe avvenire dal prossimo anno). Mi piacerebbe provarlo su di me. Il Sarpi è un’ottima scuola e una grande oppor-tunità professionale, da questo punto di vista, per me.

3. Quali sono state le sue impressioni ini-ziali al Sarpi? Come si è sentito accolto?

Mi sono sentito bene accolto, con molta fiducia e aspettative. Il Sarpi porta il fa-scino di una storia che si sente, si respira, si vive. Guardate lì: quello è il decreto costitutivo del liceo Sarpi del 1803. C’è un passo, secondo me bellissimo, che dice che questo istituto è stato fatto per il benessere della comunità, per fare in modo che la comunità domani possa progredire, migliorarsi tramite le persone che vengono formate qui. Questo do-vrebbe essere il senso del Sarpi.

4. Quali progetti o novità immediate ha da proporre per la nostra scuola?

Mai lavorare per giorni: nei cambiamenti è determinante avere un’idea e portarla avanti nel tempo. Lasciatemi ascoltare e capire: la fretta è disastrosa. Così come la formazione, i cambiamenti hanno bisogno di tempi lunghi. Bisogna sapere incontrarsi, dialogare. Ad ogni modo, la priorità nei progetti e nelle novità è sugli

Mountain bike e sonate di Mozart

una constatazione amichevole di vita e di scuola con il Preside Previtali

A cura di Pietro Raimondi IID, Giulia Testa IIIb e Paolo Bontempo IID

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studenti; e, negli studenti, la priorità per il Sarpi deve essere posizionata sui buoni esiti formativi ed educativi. Se la scuola ha uno scopo, è costituire il successo formativo degli studenti: noi, anche il Preside, siamo qui per questo.

5. Una domanda nata dalle politiche degli ultimi anni: secondo Lei, è legitti-mo gestire la scuola come un’azienda e considerare gli alunni come un’utenza?

La scuola non è per nulla comparabile ad un’azienda. La scuola è una comu-nità in apprendimento, dove i termini “comunità”, “in” e “apprendimento” hanno un senso e un valore. Voi vivete a scuola tantissimo tempo e come ci vivete diventa propedeutico al livello sociale. Qui costruite un livello di essere comunità attraverso l’apprendimento, perché come vi comportate tra di voi e con i professori fa della scuola un picco-lo laboratorio sociale. Ve lo dico come esperienza da studente: gli anni che im-prontano di più, che danno più forza e che restano maggiormente in memoria, sono gli anni delle superiori. L’appren-

dimento deve avere valore educativo, perché l’apprendimento fine a se stesso è un disastro. Non è un problema di stru-menti: gli strumenti funzionano se avete accanto grandi maestri. Se sganciamo il sapere dalla consapevolezza e dai valori sociali, è un disastro... Perché mi guardate con quello sguardo stupito, vi piace così tanto la predica?

R: No, è che qui al Sarpi siamo abituati a sentirci dire che saremo la futura classe dirigente e bla bla bla, quindi ci stupisce una variazione sul tema.

Preside: Sai, ti dico quello che ho detto ai quartini appena arrivati, cito un pre-side di una scuola americana che in-troduceva l’anno scolastico così: “Io ho avuto la sfortuna di stare in un campo di concentramento: lì c’erano ottimi me-dici, ottimi scienziati, gente che aveva studiato nei posti più prestigiosi: erano la classe dirigente, peccato che fossero tutti degli assassini”. La formazione senza educazione è una vera e propria strage.

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6. Lo studio è una componente decisiva della vita dello studente. Lei pensa che debba essere il centro della nostra gior-nata, oppure che sia da affiancare ad attività sia culturali che di altra natura?

Se trasformate la domanda in un’affer-mazione, è perfetta.

7. Il carico di studenti che frequentano la sede centrale è salito, e l’ATB non sem-bra essersi adeguata. Di conseguenza gli autobus sono letteralmente colmi. È possibile muoversi per un incremento del passaggio di autobus per Città Alta negli orari critici interpellando l’Azienda?

Voi avete segnalato il problema e la scuola lo ha fatto proprio: abbiamo fatto la segnalazione all’azienda ATB. Dovrebbe essere sempre così, perché i problemi degli studenti sono i problemi della scuola. Uno dei compiti del Preside è mettere gli studenti, i professori, tutti quanti nelle condizioni per fare bene il proprio lavoro.

DOMANDE RANDOM ovvero LA PARTE MIGLIORE

B: “Dove è nato?”

Preside: “Sono nato a Bergamo, però adesso vivo a Suisio. Vivo lì dal 1400.”

T: “Be’, li porta bene”.

R: “Ci racconta qualcosa di Lei?”

Preside: “Mi piace andare in bicicletta: il mio massimo è la mountain bike.”

B: “Ma quindi le piace il ciclismo?”

Preside: “Mi piacciono gli sport di fatica”

R: “Ecco perché è venuto qui!”

R: “Qual è la sua musica preferita?”

Preside: “Qui perdo punti… Mi dispiace, scusatemi… Ho dei periodi in cui cambio musica: in questo momento, e in gran parte, ascolto musica classica. Questo è il periodo di Mozart (le sonate per piano, che sono molto rilassanti), due anni fa di Bach. Però da giovane suonavo la chitarra, avevo i capelli lunghi e sapevo tutte le canzoni di De Andre’.”

B: “Be’ allora io le chiedo qual è il suo film preferito.”

Preside: “No dai… Perdo punti di sicuro”

R: “Ormai si è giocato tutto con i capelli”

Preside: “Bene... Il mio film preferito è Frankenstein Junior, che tra l’altro è le-gato ad una storia personale, nella fase di trasgressione adolescenziale, ambien-tata in una fuga a Venezia di notte con un amico ed un freddo cane.”

(Infine gli intervistatori pongono al presi-de varie questioni sull’uso degli spazi nel pomeriggio per attività di vario genere, lui risponde con una frase che ora tenia-mo a ricordare): “Guardate, per me più gli studenti rimangono a scuola meglio è. Se volete anche solo restare a studia-re, la scuola è aperta.”

Intervistatori: “Grazie mille, è stato un piacere.” Preside: “Grazie a voi, buon lavoro.”

a lato: fotografia di Maria Gafforio

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Otto giugno 2013: prima giornata di co-gestione in codesto liceo classico Paolo Sarpi. Sentiamo cosa hanno da dirci due dei relatori che la organizzarono.

Breve resoconto di un divertimento strutturato atto a preparare quello non strutturato

Mi piacerebbe strutturare almeno in par-tenza questo trafiletto come un tema di quelli che si facevano alle elementari e che ora mancano tanto, sicuramente non solo a me. Vediamo cosa si riesce a combinare: cari Ragazzi, Adulti o chiunque legga, la Cogestione o che dir si voglia Concessione di Bordello Le-galizzato svoltasi a fine anno 2012/2013 è stata sicuramente un’esperienza

positiva sia per noi studenti che per noi studenti. Con ciò non voglio certo dire che fu invece una cattiva esperienza per i docenti. Anzi ho potuto constata-re da parte del docente sorvegliante che mi era stato assegnato, il professor Cuccoro che ho sempre stimato e ri-spettato, un interesse ben al di là della mera funzione di guardiano di pietra. Mentre blateravo sul film che stavo per proiettare sulla parete alle mie spalle, ho osservato una certa rispettosa atten-zione nei pochi ma buoni malcapitati presenti nell’aula, attenzione voglio sperare non proporzionale all’ingenza del mio delirio cronenberghiano ma per-fettamente modellata sulla qualità che almeno secondo il sottoscritto la pellico-la offre. “A HISTORY OF VIOLENCE” non

a cura di Giulia Testa, IIIB

LSDlast sarpi days

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è certo un titolo alla portata di tutti, ma quello che invece è alla portata di tutti, adesso aprite bene le orecchie - anzi le palle degli occhi - che arriva la parte importante di tutto sto ambaradan di parole buttate lì a caso, è che è una grandissima figata il fatto che anziché degenerare nel delirio orgiastico - co-munque splendido - perché la preside ti chiude i rubinetti l’ultimo giorno, è bello anche poter fare delle cose carine a gruppi dando spazio a chi ha qualcosa da dire e, perché no?, da insegnare ai suoi compagni. Dai eh, è nell’interesse di tutti. Poi mal che vada si va alla Fara a far bordello — tutti, anche i profe! - sciao nèhhh

PS a me Cronenberg mi fa smattare ma se avessi scelto un altro corso sarei an-dato in quello di yoga urlando come un muezzin su un minareto. Un saluto alle tipe che entravano a caso a fare foto, senza di loro non sarebbe stata la stessa cosa

L’orenzo Teli, ex III C

Riflessione assai personale sulla coge-stione

Giugno 2013. Ultimo giorno di scuola. Cambiando rispetto agli anni passati, si è deciso di impiegare la giornata proponendo delle attività di vario ge-nere curate dagli studenti. Come vari personaggi della scuola, anche io, al mio ultimo anno, ho proposto un’atti-vità particolare, volta a far conoscere ad altri studenti quel filone del genere cinematografico horror particolarmente sanguinolento, sviluppatosi principal-mente durante gli anni ’70-’80. Qualcu-no potrebbe chiedere: “Ma perché hai scelto codesto argomento di bizzarra natura?” (“Ma anche no”, dirà la mag-gior parte dei pochi lettori). Comunque,

rispondo a questa simpatica domanda dicendo che tale scelta è dovuta al mio gusto personale in ambito cinema-tografico: per me l’Horror è il genere che più di ogni altro rende possibile la sperimentazione nella tecnica cinema-tografica, e aggiungerei che, fra tutti i possibili generi, è quello che più di ogni altro indaga, volente o nolente, negli oscuri abissi della psiche umana, che spesso cerchiamo di nascondere a noi e agli altri, poiché in tale parte risiede il nostro personale mr.Hyde che tanto turba le coscienze perbeniste e mora-liste. Dunque spiegai al mio pubblico, aiutandomi con la proiezione di molte clip di film ad alto tasso di emoglobina, alcuni caratteri di questo tipo di cine-ma soffermandomi su alcuni elementi stilistici peculiari di determinati registi, trattando prima la produzione USA (con Romero, Carpenter, Craven e altri), e poi la produzione dei compatrioti, in particolare Argento e il misconosciuto Maestro Lucio Fulci (“Zombi 2”, “…e tu vivrai nel Terrore! L’Aldilà”, “Non si sevizia un paperino”etc.). Le mie impressioni riguardo agli spettatori sono state molto positive: le quasi trenta persone presenti mi sono sembrate sinceramente inte-ressate all’argomento, e sono riuscite a mettermi a completo agio, il che è un risultato sorprendente, vista la mia pro-pensione a farmi prendere dall’ansia. Quindi concludo questo assurdo articolo dichiarando la totale approvazione del sottoscritto verso questo tipo di attività, e spero per voi che questa iniziativa sia riproposta ancora in questo istituto, e magari anche più volte durante l’anno. Ciao a tutti!

Togni Aronne, ex III I

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Nelle prime due settimane di giugno diversi studenti di seconda liceo han-no avuto la possibilità di partecipare a stages in ambienti lavorativi tra loro eterogenei: la scelta era tra studi notarili, cliniche ospedaliere, ospedali, uffici e redazioni. Personalmente, ho avuto la fortuna di sperimentare cinque giorni di vita all’Ospedale Giovanni XXIII. L’ac-coglienza e l’organizzazione sono state il massimo che avremmo potuto trovare ma non il massimo che avremmo potuto aspettarci: forse ci aspettavamo un’or-ganizzazione più rigida e precisa (un paio di volte è capitato che nessun me-dico del tal reparto fosse a conoscenza del nostro arrivo), che non abbiamo riscontrato per ovvi motivi (tagli al perso-nale, emergenze dell’ultimo minuto e chi più ne ha più ne metta), ma abbiamo ricevuto molto comunque, sia in qualità che in quantità. E per amor del vero non posso che sottolineare la straordinarietà del personale che abbiamo incontrato. In primo luogo ho apprezzato il tema che è stato dato al nostro stage: l’ar-gomento generale era “il trapianto e la donazione di organi”, per cui abbia-mo fatto una full immersion nel mondo dell’AIDO e nelle dinamiche che un trapianto presuppone. Non tutti sanno che per ogni organo che viene donato vengono mobilitate 120 persone: si va dai parenti che per primi acconsento-no all’espianto, ai medici chirurgi, agli infermieri e anestesisti, al pilota del tale elicottero che trasporta l’organo, al cen-tralino del tale ospedale che comunica la disponibilità al tal reparto. Sempre per amor del vero, vorrei soffermarmi sul mo-mento forse più commovente di quella settimana: l’incontro con alcuni parenti di donatori. Due sono state le vicende che mi hanno commossa. La prima, quella di una donna il cui padre era

morto a causa di un aneurisma: “Nes-suno poteva restituirmi il mio papà, con cui volevo ancora fare tante cose… Però io so che di lui hanno donato quasi tutto e sono felice. E’ strano pensare che dal suo corpo hanno tolto pelle, ossa, ghiandole… Però io so che altre persone vivono grazie a lui.” La secon-da, quella di una madre, il cui bambino era affetto da una deformazione car-diovascolare fin dalla nascita: “Mio figlio ha subito interventi al cuore dal primo mese di vita fino ai due anni. Non ab-biamo mai avuto quel rapporto intimo che dovrebbero avere madre e figlio, perché lui era sempre, costantemente intubato. Ricordo che era infelice e che io temevo di sfociare nell’accanimento terapeutico. Poi, una sera, ho ricevuto una telefonata: - Abbiamo il cuore per tuo figlio-. Ed è una sensazione bruttissi-ma, davvero terribile, quella di sapere che un bambino è morto per dare il cuore a mio figlio. Però le cose funziona-no così, ed è un bene che la medicina sia arrivata a questo punto, di salvare le persone con i trapianti. Adesso mio figlio ha tre anni ed è felice, ha una voglia di vivere che non ho mai visto in nessun bambino.”

L’aspetto fondamentale dell’informa-zione sui trapianti deriva dal fatto che poche persone sanno esattamente per-ché le liste d’attesa siano così lunghe. In breve, si possono espiantare organi soltanto da un corpo che ha subito una morte cerebrale, ovvero non per infarto: è di vitale importanza che il cuore con-tinui a pompare sangue in tutto il corpo per nutrirne i tessuti. In caso contrario, il corpo va dritto all’obitorio. Da ciò si capisce che il campo di potenziali do-natori si riduce ad un numero davvero esiguo di donatori effettivi.

STAGEin ospedale

di Giulia Testa IIIB

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Passo ora alla parte più didattica dello stage. Il mio gruppo ha potuto visitare i reparti di chirurgia, pneumologia, ria-bilitazione (Casa degli Angeli, Mozzo), gastroenterologia e terapia intensiva. Mi soffermo su quelli che mi hanno colpita maggiormente. Nel reparto di pneumo-logia abbiamo assistito ad una visita ad un malato terminale di tumore al polmo-ne: il medico ha asportato del siero dal polmone destro sotto i nostri occhi (il pa-ziente era consenziente). Nel reparto di gastroenterologia abbiamo assistito ad una gastroscopia ed una colonscopia (pazienti consenzienti). Infine, siamo en-trati in sala operatoria, dove abbiamo assistito all’asportazione di un tumore dal gluteo: un’esperienza indimentica-bile. Spero che questo entusiasmo non venga letto nel modo sbagliato: il punto è che non avremmo mai immaginato di ENTRARE in sala operatoria, ma ce lo hanno permesso (ovviamente con le dovute precauzioni in rispetto della ste-rilità dell’ambiente) e si sono presi dav-vero a cuore la nostra formazione. Sem-brava di stare a scuola, per la ricchezza di informazioni che ci venivano date, ma tutto il personale era così disponibile (perfino il chirurgo a un certo punto si è messo a spiegare con il bisturi in mano),

così chiaro nell’esposizione e così ap-passionato e sicuro del proprio lavoro che noi non potevamo che restarne ammaliati. L’ultimo reparto che cito è quello di terapia intensiva, dove ven-gono ricoverati i pazienti in diversi stadi di coma o che hanno comunque delle funzioni vitali compromesse. L’ambien-te è iper-sterilizzato, i macchinari che controllano ogni parametro vitale sono super-tecnologici e super-monitorati, la tensione sempre alta per via delle emer-genze che possono capitare, ma i nervi sempre saldi e l’autocontrollo sempre al massimo, perché l’emozione non ti permette di salvare le vite. Questo forse è l’aspetto che più mi ha impressionata: accanto alla grande umanità di medici e infermieri, abbiamo visto anche molta professionalità.

Dedico questo articolo a tutti gli studenti che si interrogano su un possibile futuro da medico: se avete la possibilità di partecipare ad iniziative del genere, non tiratevi indietro. Forse questo sta-ge non ha aiutato tutti noi a trovare le risposte per il nostro futuro, però ci ha si-curamente aiutato a porci le domande giuste.

IO e la mia esperienza in ospedaleIl primo “incontro” con l’ospedale nuo-vo di Bergamo è avvenuto passando dal Pronto Soccorso, dove ho pianto, quando mi hanno comunicato che do-vevo essere ricoverata: ho pensato agli incontri coi miei amici che avrei dovuto perdere e alle cose a cui avrei dovuto rinunciare. Poi, appena salita in reparto, dopo aver visto la mia stanza mi sono

detta, per riderci un po’ su, che final-mente avevo una camera tutta per me. Guarda tu cosa dovevo fare: ammalar-mi di tumore per avere una stanza mia, senza quei due fratelli molesti dentro!

Sono venute tante persone a trovarmi in quei giorni di ricovero, durante i quali non mi sentivo ancora ammalata; ero felice di non dover più studiare, perché i professori avevano comunicato a mia mamma che ero a posto con tutti i

Scuola in ospedaleContinua la collaborazione con

la realtà scolastica dell’Ospedale

dei ragazzi della scuola in pigiama

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voti: il mio anno scolastico è finito il 6 di maggio. Al tempo stesso ero dispiaciuta di non frequentare più i miei compagni, alcuni, non tutti.

Dopo le dimissioni, sono tornata a scuo-la, perché a casa mi annoiavo e volevo stare coi miei compagni. L’estate è stata caratterizzata dall’ansia che mi hanno messo alcuni amici che avevano l’esa-me di stato, il terrore di perdere i capelli, la crescente depressione. Anch’io avrò gli esami l’anno prossimo: che stress! Temo che non mi ricresceranno nemme-no i capelli, perché ho sempre sofferto di alopecia in periodi di tensione e sono già molto preoccupata ora.

Ora sto frequentando la scuola in ospe-dale quasi tutte le mattine. All’inizio ero molto sospettosa e diffidente e lo sono ancora, ma sta diventando un percorso più regolare, anche se mi sento “down”, perché sembra che alcuni professori dovranno venire anche a casa mia e la cosa mi mette a disagio. Metti che mi mandino la “Monacci” o il “Pichi”? Cosa faccio: gli offro il thè?

So che tutto ciò non durerà per sempre e poi tornerò a scuola, dovrò recuperare molte cose e rimettermi in pari con gli altri e sarà anche peggio!

Oggi ho iniziato l’ultima chemio: sono attaccata ad una pompa per infusione che fa rumore e non mi lascia nemmeno dormire, ma è la penultima volta. Setti-mana prossima ci sarà l’ultimo ricovero per la terapia e poi si vedrà. Non vedo più in là del mio naso, non riesco ad im-maginarmi un futuro migliore.

Il mio prof. Marco di mate non potrà dire, leggendo questo articolo, che è “carino”, come faceva sfogliando gli altri articoli per il giornale sul suo tablet, perché ho raccontato molte cose nega-tive, però non potrà nemmeno dire che è falso o impersonale.

Martina M., classe V, Liceo Artistico “Manzù”, Bergamo

ARIA NUOVA IN CORSIACon l’entusiasmo di un ragazzino, che finalmente vede realizzato un sogno che porta nel cuore da tempo, oggi vi voglio raccontare del giorno in cui, per la prima volta, riusciremo a far entrare BergamoScienza in ospedale. Avete ca-pito bene, la grande rassegna di divul-gazione scientifica bergamasca, giunta ormai alla sua XI edizione, in quest’anno scolastico varcherà le porte dell’Azien-da Ospedaliera Papa Giovanni XXIII con un laboratorio di matematica.

Ma andiamo con ordine. Com’è stato possibile tutto questo? Quali sono stati gli eventi che hanno permesso una così bella collaborazione?

Gran parte del merito è … del vostro Liceo, che molti anni fa mi ha accol-to come insegnante tirocinante sotto la supervisione di un vostro illustrissimo docente, il prof. Antonio Criscuolo, an-dato in pensione già da qualche anno. Durante quell’anno di tirocinio mi sono messo in gioco, condividendo con il mio tutor moltissimi momenti di attività didat-tica, volti anche alla sperimentazione tecnologica; iniziative affascinanti che mi hanno formato profondamente. In seguito, in un’altra occasione, ho potuto partecipare a un corso di formazione su Geogebra (un software di geometria di-namica) tenuto dal prof. Criscuolo, che ho scoperto collaborare con l’Università degli Studi di Bergamo. Dopo esserci così ritrovati, gli ho lasciato il mio indirizzo di posta elettronica per essere sempre informato sui nuovi corsi e sulle iniziative attuate sul territorio.

E così arriviamo ad oggi, alla grande occasione. Lo scorso 16 settembre rice-vo un’e-mail con le iniziative di ottobre, tra cui il laboratorio “GEOMETRIA FRA LE PIEGHE: costruire e stupirsi con l’origami”, organizzato niente meno che dal prof. Criscuolo. Non ho atteso un attimo: gli ho subito scritto, raccontandogli la mia esperienza di docente in ospedale e esponendogli il desiderio di portare il suo laboratorio in corsia, riorganizzandolo ad hoc per i nostri ragazzi, quegli studenti

Scuola in ospedaleContinua la collaborazione con

la realtà scolastica dell’Ospedale

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che, per ragioni di salute, non possono partecipare ai bellissimi laboratori tenuti nei vari luoghi della città.

La sua risposta non si è fatta attendere, carica di entusiasmo e di grande di-sponibilità. Così il laboratorio si farà, in contemporanea con i grandi eventi di Bergamo Scienze. Questo sarà per tutti noi un momento speciale, che porterà un’aria di sana quotidianità e vita nor-male all’interno delle mura dell’ospeda-le, permettendo agli studenti ricoverati di far parte di BergamoScienza 2013 in modo attivo, partecipativo, vero.

Nelle camere e nei corridoi si respira già un clima di trepidante attesa e di aspet-tativa: si contano i giorni; le prenotazioni per poter partecipare, fioccano.

Da parte mia, non ho resistito un attimo nel comunicarlo a chiunque incontrassi: agli studenti durante le lezioni, alle loro mamme e papà, agli infermieri, a tutti i colleghi. E da tutti ho avuto un riscontro più che positivo.

Mai avrei immaginato che quella cono-scenza di più di dieci anni fa, mi avreb-be permesso di concretizzare una tale, importante, collaborazione.

Nel prossimo numero di Cassandra non mancheremo di rendervi partecipi di questa nuova avventura (e delle altre mille che bollono in pentola) attraverso i nostri racconti, dei nostri ragazzi e delle loro famiglie. A presto!

Profe Marco

p.s. da pochi giorni è attivo anche il nostro blog: andate su www.scuolainpi-giama.wordpress.com, leggeteci e cu-riosate, senza dimenticarvi di lasciare un vostro commento o osservazione!

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Siamo figli della relatività. Essa ci avvol-ge, avvolge ogni ambito della nostra vita. Come il tempo, per esempio. Gli anni delle nostre esistenze possono sem-brarci lunghi, un interminabile susseguirsi di gioie e dolori; non sono in realtà che un battito di ciglia nell’inarrestabile tra-scorrere dell’eternità. Quanto è lungo un anno in Argentina? Un battito di ciglia. Proprio così. Un istante. E oggi, a un anno da quel 26/08/12 in cui arri-vai nella mia amata Ushuaia, nulla mi sembra reale. Mi sembra di non essere mai tornata, di essermi addormentata e di aver sognato tutto quello che suc-cesse da allora. L’Argentina ti travolge, ti abbraccia, ti fa sentire parte di lei, ti succhia tutto quello che hai e te lo restituisce doppio, nel bene e anche nel male. E quando tornerai in Italia, la riporterai indietro con te. Sempre che tu non sia come la sottoscritta. In quel caso rimarrai là per sempre e, anche se fisicamente sarai qui, la tua mente vo-lerà alta sopra las montanas y el mar, si insinuerà nei quinchos de la gente, si nu-trirà di dulce de leche y sonrisas, e non tornerà più. Ciò ti creerebbe non pochi problemi, fidati. Ma è anche vero che

questa è un’altra storia.

Nella migliore delle ipotesi invece tor-nerai e riporterai indietro una persona diversa. Anzi, diversa non è la parola esatta… sarai “solo” più completa, più consapevole, più viva, in tutte le ac-cezioni del termine. Riporterai indietro il ballare fino alle 7 del mattino, il cenare a mezzanotte perché tanto esco alle 2, la magia di quella volta in cui il sole non è mai tramontato (Ushuaia si trova vicino al Polo Sud ndr). Riporterai indie-tro i tredici chili di empanadas e alcol, la chitarra delle notti in spiaggia, quei tacchi da cui sei caduta un milione di volte. Sei ateo, ma riporterai indietro la preghiera a Dio e alla Madonna perché la abuela (la nonna) ci teneva tanto, le serate a carte col nonno, la spesa con la mamma. Riporterai la paura di un’ag-gressione a Buenos Aires e forse stavolta eviterai di andare in giro per la stazione di Milano senza prestare attenzione a quello che ti circonda. Riporterai l’or-rore dei bambini nudi per la strada, ti chiedono da mangiare, non hai nulla da dargli. Il dolore di un amico della tua età che deve mandare avanti una fa-

Argentina, un anno dopo.

Angelica Dal Pin, IIIi

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La ballata della moda

miglia, il padre assente… e quante volte intrattenevi la sorellina di sei anni men-tre lui era fuori a cercare disperato la madre tossicodipendente. Riporterai le cavalcate sulla spiaggia quando esiste-vi solo tu, il cavallo e quel ragazzo che non aveva nient’altro da offrirti se non questo, come se fosse un banale giro in motorino, ma ti è sembrata lo stesso la cosa più romantica al mondo. Riporterai il mate, la condivisione, il comprare un pacchetto di biscotti che poi sarà di tutti quelli che ci sono lì, tanto il prossimo lo comprerà qualcun altro. Riporterai l’or-goglio degli ottimi voti e della domanda: “Ma in Italia sono tutti geni come te?” mentre con modestia scantoni, consa-pevole del fatto che in realtà in Italia arrivi a mala pena al sei. Riporterai le parolacce gridate, la passione delle loro reazioni e el fuego que tienen adentro. Riporterai uno spagnolo perfetto di cui ti sei innamorata e nonostante tutte le figure di merda che hai fatto ti manche-rà da morire parlarlo. Riporterai a casa un’altra famiglia, e forse ringrazierai quel Dio in cui non credi che i tuoi veri geni-tori non siano separati come tus padres argentinos. Li vedrai vecchi, stanchi, ti accorgerai di tutto quello che han fatto per te, e di quello che potevi fare per loro, non l’hai mai fatto, inizierai a far-lo. Riporterai un legame fraterno per il quale, adesso, anche se tua sorella usa le tue cose non ti arrabbi più e a tuo fra-tello dici “ ti amo”. Riporterai a casa più amici argentini di quanti tu ne possa mai avere in Italia o di quanti mai avresti po-tuto averne in una vita intera, e riporterai la loro solarità, apertura, socievolezza, solidarietà. Riporterai quelle notti infinite e quei pomeriggi a dormire fino alle 4. Riporterai l’amore per il tuo corpo, ti sen-tirai sempre bella, sempre apprezzata, perché non conta quello che sei ma chi sei, e solo in Argentina te l’hanno fatto capire. Riporterai indietro la gioia di vive-re, l’entusiasmo, la passione, la rabbia, le grida, le risate, quei sorrisi infiniti, quelle emozioni travolgenti che ti fanno sentire vivo, che VIVI, non che sopravvivi. Tutto questo e molto altro ancora riporterai. A volte verrai capito, a volte no, a volte preso per matto, a volte apprezzato e altre criticato (soprattutto quando arrivi

con un’ora di ritardo perché in Argen-tina la regola è semplice: esci di casa all’ora in cui dovresti essere arrivato all’appuntamento).

E sai cosa succederà? Non ti basterà. Questo punto di arrivo sarà il tuo punto di partenza e continuerai a cercare esperienze che ti arricchiscano tanto quanto quella che hai appena vissuto, perché in fondo è nella natura dell’uo-mo tendere verso un infinito di comple-tezza al quale non arriverà mai. Alcuni lo vedono come una cosa negativa. Io, mi dispiace, sono argentina, la negatività è esclusa dalla mia vita, e non la penso cosi. Il porto di conoscenza ed esperien-za totale al quale non approderò mai non si scorge neppure in lontananza, è vero. Ma mi volto indietro e sorrido, è il percorso quello che importa, e la vista è spettacolare. Ne è davvero valsa la pena. Anche nelle difficoltà e nei dolori quel tricolore argentino de mi vida mi ha dato qualcosa di cui faccio tesoro. E, da brava sudamericana, il mio primo inten-to è quello di condividere il più possibile quello che ho. Con voi. Con chiunque voglia ascoltarmi.

“No tengo todo planeado ni mi vida resuelta, solo tengo una sonrisa y espero una de vuelta.”

“Non ho pianificato nè risolto la mia vita, ho solo un sorriso e spero che venga contraccambiato.”

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Lunedì mattina, ore 7.10, stazione dei pullman, piove. Sto aspettando l’atb, che sicuramente arriverà già pieno di gente che non toglie la cartella (ma questa è un’altra storia). Alzo distratta-mente lo sguardo e la vedo: leggings a fiori, shatush e scarpe con una suola alta come me. Giro la testa e ne vedo altre dieci, cento, mille uguali. Uno sve-nimento dantesco ci starebbe bene. Alle elementari, alle medie e durante la prima lezione di prima liceo della Milesi (santa donna), tutti noi ci siamo sentiti dire che la moda è brutta e cattiva perché annulla la nostra personalità attraverso l’omologazione e propo-ne dei modelli di bellezza fittizi che ci cacciano l’autostima sotto i piedi. A mio parere, però, è troppo comodo dare la colpa della massificazione a un grande orco cattivo che ci vuole man-giare, perché il successo di un determi-nato prodotto dipende dalla nostra ri-sposta al suo lancio sul mercato. Noi non ci affanniamo per possedere qualsiasi cianfrusaglia all’ultimo grido per sentirci accettati, ma perché è molto più facile affidarsi ai gusti e alle scelte del tal stili-sta piuttosto che avere una personalità. Cioè, il problema non è che se mi vesto male la compagna di classe stronza mi prende in giro o non mi considera, ma che farsi dire cosa indossare e cosa pen-sare mi toglie dall’impiccio di riflettere sui miei gusti e sulle mie inclinazioni. E’ la morte della personalità, quindi se stai piangendo dalla tristezza, caro lettore, ti capisco.

Mentre noi siamo assediati da questo pittoresco esercito di fashioniste (senza nulla togliere a chi ama strizzarsi i glutei nella tappezzeria della nonna, avere una ricrescita scura di dieci centimetri sui capelli biondi ed indossare delle

Superga ortopediche), un ragazzo, e come lui altri, ha deciso di ribel-larsi alla logica consumistica e, in particolare, di rinunciare al denaro.

Mark Boyle, trentaquattrenne inglese laureato in economia e finanza, vive da due anni e mezzo senza usare i soldi. La sua dimora è la roulotte di un amico, pratica il baratto coi contadini a cui offre manodopera e si ciba delle verdure del suo orto. Più che mai sicuro della scelta fatta, che gli ha cambiato oltre che lo stile di vita anche la visione dell’esistenza, ha scritto un libro (“The moneyless man”) e ha aperto un sito web su cui dà consigli per resistere sen-za pecunia.

Le persone come Boyle hanno pre-so una decisione tanto drastica una volta accortesi che sottomettendoci alla logica del profitto perdiamo la cognizione della realtà, sminuendo quella grande ricchezza che è il nostro essere unici e sprecando la possibilità di avere dei rapporti umani sinceri. “Stan decidendo per la prossima moda/un pantalone a strisce gialle e nere/basterà fare una gran pub-blicità/ farlo indossare da qualche grande attore/Pasquale tra sè sorride/ahahah, ahahah/ E dice “me ne infi-schio della moda/io porto solo quello che mi va’/Ma io vedo già Pasqua-le/ahahah, ahahah/ chissà come starà male/ coi pantaloni a strisce gialle e nere”, cantava Luigi Tenco. Le fashion-victim non sono vittime del sistema, ma vittime della loro mancanza di voglia e di capacità di ribellarsi ad esso. Prendiamoci le nostre responsabilità e rendiamoci conto che i leggings a fiori fanno pena.

La ballata della moda

di Sara Latorre ID

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«Nella Bibbia non c’è scritto solo “oc-chio per occhio, dente per dente”, c’è scritto anche: “Il Signore pose su Caino un segno, perché non lo colpisse chiun-que l›avesse incon-trato”»: ecco le pa-role con cui si apre la sezione “chi siamo” sul sito uffi-ciale di “Nessuno tocchi Caino”. Già, perché oltre ad es-sere il titolo di una bellissima canzone di Enrico Ruggeri, “Nessuno tocchi Caino” è il nome di una ONG italiana nata a Bruxelles nel 1993 ad opera dei parlamentari Ma-riateresa di Lascia e Sergio D’Elia il cui obiettivo è l’aboli-zione della pena di morte nel mondo. E’ costituita da cittadini e parla-mentari, ed è stata appoggiata da numerosissimi premi No-bel e intellettuali. “Nessuno tocchi Cai-no” è attiva con numerose campagne di sensibilizzazione a livello locale; ogni anno produce un rapporto sulla pena di morte nel mondo, e conferisce il premio “Abolizionista dell’anno” (a proposito, la canzone di Ruggeri è stata scritta ap-posta per promuovere l’associazione). Come dichiarano loro stessi, l’abolizione non può essere imposta per decreto, mentre un ottimo risultato raggiungibile dal loro punto di vista è la moratoria, cioè la sospensione temporanea, della pena di morte, un buon primo passo che permette di salvare migliaia di vite

umane e spesso spinge a procedere verso l’abolizione, com’è avvenuto nell’ex Unione Sovietica, nell’ex Iugosla-via e in Sudafrica.

La questione del-la pena di morte non è e non deve essere considerata attinente alla sfera politica o religiosa, in quanto non è legata a nessuna ideologia; è inve-ce l’espressione di un’idea di giustizia quanto mai rozza e retrograda, che si rifà ai primi rudi-mentali tentativi di legislazione dell’an-tichità, ignorando le migliaia di anni trascorse nel frat-tempo, e con essi il progresso del pen-siero e l’esperienza storica venute con loro. In merito a

dibattiti come questo, dovrebbe essere dovere civico e morale di ciascuno cer-care di prendere una posizione, a fronte di una documentazione e di una rifles-sione personale. Una frase che riassume in modo estremamente semplice ed efficace la mia opinione sull’argomento è un’altra di quelle che si trovano nella sezione “chi siamo” del sito: «“Nessuno tocchi Caino” vuol dire giustizia senza vendetta».

Nessuno tocchi Caino

di Marianna Tentori IIB

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Sulla Primavera Araba si è detto, ridetto e stradetto. Sulla situazione in Egitto si è parlato finchè non è cresciuta la barba ai sassi. E persino ora sulla questione Siria tutti sanno. Ma non si sa bene cosa.

Nemmeno io in verità sapevo dir molto, e quando un amico appena tornato dall’Egitto e fresco fresco di laurea in Scienze Politiche si è offerto di spiegarci qualcosa, io ho accettato con l’ingenua convinzione “bene, così capisco chi sono i buoni e i cattivi.” Inutile dire che non li ho trovati, i buoni e i cattivi, e che tutti hanno la loro ragione, ma nessuna abbastanza forte per giustificare una guerra. Però ecco qui per voi un breve riassunto di quel (poco) che ho capito.

I motivi dello scoppio della guerra in Si-ria sono tanti, primo fra tutti il fatto che Asad padre ha preso il potere con un colpo di stato nel 1970 e l’ha passato ad Asad figlio, che se lo tiene ancora. Poi c’è il profondo odio tra sunniti e sciiti. Non sto qua a spiegarvi la differenza, che risale alla morte di Maometto, leg-getevi il Corano, o cercate su Wikipedia, o chiedete a Don Pasini. Sta di fatto che, fra loro, non si possono vedere. La stragrande maggioranza del mondo mediorientale è sunnita, tranne Iran, Iraq e Bahrein. In Siria sono una minoranza, circa il 13%. Indovinate da dove viene Asad? Esatto, da quel 13%. Questo fatto porta quindi i sunniti a trovarsi in una sco-moda posizione di grande svantaggio nonostante siano in numero maggiore. Ci provarono, nel 1982, a ribellarsi, oc-cupando la città di Hama, ma vennero letteralmente massacrati. Quindi, quan-do è scoppiata la Primavera Araba, i sunniti non hanno perso l’occasione, e sono iniziati i guai. Perché i già pochi paesi sciiti non possono permettersi di

Piccola Garzantina Siriana

perderne un altro, mentre tutti gli altri non vedono l’ora. Si aggiunge pro-Asad anche l’Oman, uno sputo di sabbia che cerca dall’indipendenza di togliersi di dosso l’Arabia Saudita e quindi fa tutto l’opposto di quello che fa lei. E la setta degli Hezbollah che, nati in Libano, vista la situazione si sono buttati al di là del confine ad ingrossare le fila degli aiuti ad Asad, pagati ed armati dall’Iran, che è il più notevole aiuto economico del presidente siriano in questo momento. A completare le cose, contro Asad ci sono i famosi ribelli. E qui dovremmo scri-vere un numero di Cassandra a parte, perché con ribelli intendiamo il mondo: Al-Quaeda, i soldati salafiti (mandati dall’Arabia Saudita, che non li vuole gli sciiti nel suo Medioriente, e non può cer-to farsi mettere i piedi in testa da quello scatolotto che è l’Oman, no?), bande di briganti (tipo quelli che hanno rapito il giornalista de La Stampa Quirico) e intellettuali filo-occidentali che si sono trovati in mano da un giorno all’altro un kalashnikov al posto della penna. E poi ci sono i Fratelli Musulmani, il parti-to (anche se non è del tutto corretto chiamarli così) preferito dalla Turchia, che lo vede come l’esportatore del suo modello politico, cioè quella democra-zia affiancata all’Islam che li ha portati allo sviluppo. Solo che l’Arabia Saudita li odia quasi quanto gli sciiti. Sì, perché ad alleggerire il tutto, quelli che sono i ribelli in realtà non si sopportano tra loro, della serie che se si trovassero vicini con Asad a portata si schioppo, prima si sparano tra loro, e poi girano i fucili verso Asad, come dixit il mio amico neo laureato. E, dulcis in fundo, entrano in scena la Rus-sia, che cerca uno sbocco sul mare da quando è nata, e gli Stati Uniti, che sono praticamente costretti ad intervenire per vari motivi, tra cui la coerenza di Oba-

di Micaela Brembilla IIIC

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ma che disse che sarebbe intervenuto se fossero state usate armi chimiche e l’utilità politica di un governo amico in Siria, molto molto vicina ad Israele.

Ora, sapete perché la posizione del Papa che ha chiesto di pregare per la pace è da considerarsi la più ragio-

nevole? Provate voi a mettere il dito in questo casino! Ma intanto ha scritto una lettera a Putin mentre era al G20 , che l’ha fatto firmare il trattato contro le armi chimiche alla Siria, e Obama ha il suo bel daffare a dire che è merito suo…

Mi sono sempre chiesta perché la pub-blicità scelga come protagoniste fami-glie perfette . Si tratta tendenzialmente di famiglie composte da genitori gio-vani, affascinanti e persino sportivi (ad esempio quella dell’Olio Cuore, nella quale un allegro papà salta una stac-cionata alta quanto un quartino con estrema naturalezza) e da figli-modello, che appena svegli muoiono dalla voglia di fare colazione tutti insieme. Insomma, famiglie inesistenti, frutto della trovata strategico-commerciale di burattinai mediatici che si divertono a manipolarci a tal punto di spingerci a comprare un pacco di Gocciole al posto di uno di Pan di Stelle. Come mi rispondo? Alzo le spalle, deridendo queste scenette fami-gliari che, paragonate alla mia, risultano inverosimili.

Non si è data la medesima risposta la (ci tiene particolarmente all’articolo fem-minile) Presidente della Camera Laura Boldrini, per la quale molti di questi spot negli altri Paesi non andrebbero in onda perché manifesti dell’immagine stereo-tipata e degradante della donna e la quale si è sbilanciata in una frecciatina esplicita allo spot della Barilla, in cui il padre aspetta che la moglie serva la cena seduto a tavola con i figli.

Il re del rigatone, nel programma radio-fonico La Zanzara, le ha risposto che

secondo il suo parere non avrebbe do-vuto permettersi di giudicare la mossa pubblicitaria. La Boldrini però ha sempre dimostrato una spiccata sensibilità per quanto riguarda le forme di informazio-ne e di comunicazione e soprattutto si è esposta sulla questione in occasione di un convegno dal tema “Media e Don-ne” al Senato, quindi io giudico la sua uscita appropriatissima. Ma torniamo a noi, il presidente di questa azienda ban-diera della buona pasta italiana in tutto il mondo ha risposto alle intelligentissime e provocanti domande degli intervista-tori di Radio 24 così:

“La donna in quella pubblicità è madre, nonna, amante, cura la casa, cura le persone a lei care, fa anche altri gesti e attività che ne nobilitano il ruolo.”

[Serve che una donna faccia contem-poraneamente la madre, la nonna, l’a-mante e la buona padrona di casa per far sì che abbia un “ruolo”?]

“ La donna è usata in tutte le pubblicità del mondo.”

[Sì, ha davvero utilizzato il termine USA-TA.]

“Se agli omosessuali piacciono la pasta e la comunicazione della Barilla che la mangino, altrimenti che mangino pasta

Siamo tutti della stessa pasta

di Martina di Noto IE

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di altre marche.”

[Perché una figura che ricopre la ca-rica più rilevante della sua azienda dovrebbe fare dichiarazioni del genere provocando inevitabili manifestazioni di protesta come gli hashtag #boicotta-barilla su twitter? ]

“Rispetto tutti, quindi che gli omosessuali facciano quello che vogliono senza infastidire gli altri; conseguenza diretta di questo ragionamento è che appro-vo il matrimonio omosessuale ma non l’adozione di bambini da parte di una coppia omosessuale.”

[Che fastidio danno gli omosessuali? Perché un bambino, per principio, se ha una mamma e un papà è felice mentre se ha due mamme o due papà non lo è o lo è di meno? ]

“Per la Barilla il concetto di famiglia sa-crale rimane uno dei valori fondamen-tali dell’azienda, la famiglia tipo dell’a-zienda è tradizionale e pertanto non farà mai uno spot con omosessuali.”

[Esistono famiglie “classiche”? Il mio Devoto-Oli, seppur datato, sostiene che la famiglia sia un nucleo di due o più in-dividui che vivono nella stessa abitazio-ne e, di norma, sono legati tra loro col vincolo del matrimonio o da rapporti di parentela o di affinità. Una coppia gay o lesbica che convive non si può defini-re “famiglia”?]

Mi sento di concludere tutto ciò citando il simpatico commento di Flavio Romani, presidente di Arcigay, senza voler ba-nalizzare la questione a un problema di omofobia, bensì a un problema di ca-tegorizzazione sociale: “Siamo tutti della stessa pasta!”.

Enrico Berlinguer… chi era costui? Per tanti giovani è un nome come un altro, che non evoca nulla nella memoria di personaggi studiati a scuola.

Enrico Berlinguer è stato un politico ita-liano militante nelle frange del Partito Comunista Italiano. La sua formazione politica fu influenzata dalla figura pa-terna, un parlamentare socialista, e da altri familiari quali il nonno, che aveva avuto contatti con Mazzini e Garibaldi. Nel 1943 Enrico si iscrisse al P.C.I. e poco tempo dopo il padre lo presentò a Pal-miro Togliatti, suo compagno di scuola. In breve tempo scala la gerarchia del partito divenendo nel 1949 segretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana. Nel 1968 viene eletto deputa-to e l’anno seguente con la nomina a vice-segretario guida una delegazione

Il compagno Berlinguer

di Paolo Sottocasa IIIAdel partito ai lavori della conferenza internazionale dei partiti comunisti che si tenne a Mosca; in tale occasione espresse/continua a cambiare/ una posizione critica nei confronti dell’U-nione Sovietica e dell’entrata dei carri armati sovietici in Cecoslovacchia. «Noi pensiamo che, nelle nostre condizioni, l’egemonia della classe operaia debba realizzarsi in un sistema politico plura-listico e democratico. ». Cosi recitava il suo intervento coraggioso e spregiu-dicato. Il nuovo terreno di scontro tra il pensiero Comunista e le altre ideologie deve essere dunque quello democra-tico. L’affermazione contiene di per sé un messaggio rivoluzionario perché non afferma solo il valore della demo-crazia, ma è al contempo una critica verso l’Unione Sovietica. L’intervento più duro verso la linea sovietica è sicu-

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ramente quello del 2 novembre 1977, durante il sessantesimo anniversario della “gloriosa” Rivoluzione Socialista di Ottobre. «L’esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione che la democrazia è oggi non soltanto il ter-reno sul quale l’avversario di classe è costretto a retrocedere, ma è anche il valore storicamente universale sul quale fondare un’originale società socialista. Ecco perché la nostra lotta unitaria (che cerca costantemente l’intesa con altre forze d’ispirazione socialista e cristiana in Italia e in Europa occidentale) è rivolta a realizzare una società nuova – so-cialista – che garantisca tutte le libertà personali e collettive, civili e religiose, il carattere non ideologico dello Stato, la possibilità dell’esistenza di diversi partiti, il pluralismo della vita sociale, culturale, ideale». Alle celebrazioni sono presenti tutti i dirigenti dei partiti comunisti di tutto il mondo tra cui Brèžnev, Ceaucescu e Honecker. Berlinguer riafferma il valore di uno scontro democratico e lo fa davanti a persone che con l’esperienza demo-cratica non hanno nulla a che fare. Lo schiaffo è duro e l’applauso all’interven-to dura solo 5 secondi. Lo strappo finale con Mosca avviene però nel 1981duran-te un’intervista a Tribuna Politica. «… Par-lo di una spinta propulsiva che si è ma-nifestata per lunghi periodi e che ha la sua data d’inizio nella Rivoluzione socia-lista dell’Ottobre (…). Oggi siamo giunti a un punto in cui quella fase si chiude. (…) Noi pensiamo che gli insegnamenti fondamentali che ci ha trasmesso prima di tutto Marx e alcune delle lezioni di

Lenin conservino una loro validità; e che d’altra parte vi sia tutto un patrimonio e tutta una parte di questo insegnamento che sono ormai caduti e debbono esse-re abbandonati e del resto sono stati da noi stessi abbandonati con gli sviluppi nuovi che abbiamo dato alla nostra elaborazione, centrata su un tema che non era centrale in Lenin. Il tema su cui noi ci concentriamo è quello dei modi e delle forme della costruzione socialista in società economicamente sviluppate e con tradizioni democratiche.». Berlinguer afferma dunque che la spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre si è esaurita. Lo stesso fatto che il Partito Comunista dell’Unione Sovietica eserciti una sorta di egemonia rispetto ai partiti degli altri paesi è per Berlinguer inaccettabile. Bi-sogna cercare soluzioni nuove per affer-mare gli ideali comunisti e la cosiddetta “terza via”, alternativa alla Socialdemo-crazia e alle esperienze dell’est europeo, può essere in definitiva un modo per conciliare il comunismo con l’esperienza democratica. L’ideale comunista non per questo perde vigore, anzi acquista una forza nuova, una forza che il dog-matismo sovietico non poteva assoluta-mente avere. Per formare il nuovo spirito comunista bisogna certamente passare da Marx e Lenin, ma non bisogna pren-dere le loro lezioni come dogmatiche verità da seguire ad ogni costo, bisogna soprattutto tenere conto del periodo storico in cui si vive e delle condizioni in cui ci si muove. Non esiste dunque un solo esempio di società comunista, esistono modi diversi di realizzazione del

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comunismo. Con questo Berlinguer non solo prende le distanze dall’Unione So-vietica, ma soprattutto mostra al mondo che il comunismo non coincide con la sola esperienza sovietica. Le politiche del Partito Comunista Italiano si mossero per creare in Europa l’eurocomunismo, piattaforma che raccoglieva il P.C.I., il P.C.F. (Francia) e il P.C.E. (Spagna), e per l’attuazione del cosiddetto Compro-messo Storico, cioè l’apertura alla De-mocrazia Cristiana di Moro per costituire un governo di coalizione. Queste due esperienza si concluderanno con un fallimento, la prima per un riallineamen-to a Mosca del P.C.F. e la seconda per la morte di Moro, ucciso dalle Brigate Rosse. Questa nuova spinta del popolo comunista può essere ben riassunta con questa frase: «L’avanzata del Partito Co-munista Italiano può far paura soltanto

ai corrotti e ai prepotenti che esistono nel nostro paese.». Quello che rese Ber-linguer un grande leader, probabilmen-te il più amato della storia della sinistra italiana, fu la sua integrità morale, la sua semplicità, la sua riservatezza. Per molti Enrico non fu solo una figura politica distaccata, Enrico era il popolo comu-nista… era la gente che rappresentava, era un amico con cui confidarsi, era una persona che non disdegnava di an-dare a trovare i compagni nelle piccole sezioni comunali, era un comunista che lottava per costruire una nuova Italia dove la politica non fosse corrotta da interessi personali e da clientele, dove il popolo sarebbe stato unito perché libero e non oppresso come invece ac-cadeva nell’est. Era una persona comu-ne, era un compagno… il Compagno Berlinguer.

È un pomeriggio d’estate, precisamente del 10 Giugno. La scuola è finita da due giorni e le vacanze si estendono all’o-rizzonte come un mare calmo in una giornata di sole, inesplorate e pronte per essere vissute nella loro spensiera-tezza. Il sole tramonta lento colorando il cielo di sfumature rossastre e rendendo l’aria calda e accogliente. Il tutto però fa solo da cornice a questa giornata che non potrebbe essere più perfetta. Finalmente, dopo lunghe ore di attesa, all’Ippodromo del Galoppo a Milano, vengono aperti i cancelli. Dandoci gomitate e scalpitando veniamo fatti entrare nell’immensa arena. Corriamo ansimando per la gioia e per l’emozione mentre in lontananza vediamo già er-gersi maestoso il palco. Le guardie cer-cano, con scarsi risultati, di mantenerci tranquilli. Sono cinque lunghi anni che aspettavamo questo momento. Un’e-

ternità. I raggi del sole mi riempiono gli occhi di scintille mentre osservo estasia-ta il palco: è nero, non c’è alcuna de-corazione, se non il simbolo della band che tutti stiamo aspettando con ansia, i Paramore.

Mi guardo attorno e tutte le persone che si trovano attorno a me mi paiono amici, conoscenti. Sono come me, dei rinnegati, ragazzi che ricercano nella musica la comprensione che nessun al-tro potrà mai dargli e io, non so perché, mi sento già a casa. Attendiamo fino a che non fanno la loro comparsa sul palco i membri del gruppo di apertura, i Dutch Uncles. Il loro sound conquista tut-ti e i passi di danza del frontman diverto-no e intrattengono il pubblico. Ma a noi non basta. I nostri cuori si agitano nelle casse toraciche, urliamo e battiamo le mani ogni volta che dietro le quinte

It never endsparte 2

di Giulia Argenziano, IIB

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qualcosa si muove, fino a quando Hay-ley Williams, Taylor York e Jeremy Davis, rispettivamente cantante solista, chitarri-sta e bassista, fanno la loro comparsa sul palco. E la magia ha inizio.

Suonano i loro cavalli di battaglia in-tervallati da brani tratti dal loro nuovo album uscito nel maggio di quest’anno, andando a ripescare persino canzoni del loro primissimo disco, All We Know Is Falling, che risale a otto anni fa.

Alzo le braccia al cielo e mentre canto a squarciagola battendo le mani e bal-lando mi libero di tutta la rabbia, l’odio, la tristezza, la solitudine, dimentico dove sono, chi sono, perdo me stessa. Per un attimo sono un fantasma che vive nei versi di una canzone.

Non riesco a star ferma, mi dimeno come non avevo mai fatto prima, se non tra le mura della mia stanza; pun-to il dito contro il palco e non stacco lo sguardo da Hayley, la quale, come me, non fa altro che saltare e ballare. A volte, per sbaglio, mi sembra che an-che lei mi guardi ed è come se stessimo comunicando, ci raccontiamo la vita l’una dell’altra, ci scambiamo emozioni e adrenalina.

La folla sovrasta la voce della cantante che ci cede addirittura il microfono di-chiarando divertita che probabilmente siamo il pubblico più rumoroso che ab-biano mai avuto in tanti anni di carriera. Ed effettivamente è così, le nostre voci si fondono in una sola per tutta la durata del concerto, ci sentiamo tutti parte di una grande famiglia allargata e quel “WE ARE PARAMORE” urlato da tutti i presenti all’inizio del concerto ne è la prova.

Il tempo vola, ahimè, e dopo averci deliziato con il bis, ci congedano dan-doci la buona notte e uscendo di scena correndo. Rimaniamo tutti lì per un po’ aspettando che accada ancora qual-cosa mentre le luci si spengono piano piano, quasi sperando ingenuamente che non sia tutto già finito. Poi lentamen-te ci avviamo verso casa, ma non siamo tristi, anzi, la nostra felicità è palpabile, ce ne andiamo a testa alta come se durante il concerto ci fossimo ricordati di quanto valiamo, di quanto siamo impor-tanti e quanto anche le nostre opinioni e nostri sogni lo siano. Ma soprattutto ora sappiamo, forse più di prima, che ci sarà sempre qualcuno pronto a credere in noi, pronto ad ascoltarci, consolarci e capirci nelle note di una canzone, nelle

strofe e nei ritornelli di un album.

“We love you, remem-ber that when you lea-ve here tonight, don’t forget you mean so-mething and you’re real important, don’t listen to those who make you feel useless, or like your opinions don’t matter, we believe in you”

Hayley Williams

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Ambientato in epoca medievale, nono-stante le prodezze tecnologiche siano molto più avanzate, Shingeki no Kyojin narra della sopravvivenza del genere umano. Contro alieni o mutanti spaziali? No. Semplicemente contro dei giganti umanoidi alti dai 3 metri in su (anche fino a più di 15) che si sono messi a divo-rare gli umani, quasi come se fossero il predatore naturale dell’uomo. Per nutrir-si? Neanche quello. Infatti i giganti non ne hanno bisogno, basta loro la luce solare (gli umani inghiottiti non li digeri-scono neppure a quanto pare). Eppure nonostante questo danno la caccia agli umani fino quasi all’estinzione. Gli umani rimasti si rifugiano dove quindi? Costrui-scono 3 muri alti 50 metri, il muro Maria, più esterno, il muro Rose e il muro Sina dietro al quale vive il re che governa ciò che rimane dell’umanità.

Ma come fare a difendersi dai giganti oltre a queste cinte difensive? Si è riusciti a costruire un “dispositivo di manovra tridimensionale” che permette agli uma-ni di raggiungere l’altezza dei titani e di colpirli nell’unico punto debole situato dietro la nuca.

L’umanità passa quindi 100 anni di si-curezza e pace all’interno di queste mura, fino a quando il Muro Maria vie-ne distrutto dall’attacco di strani Titani intelligenti e più potenti di quelli allora

conosciuti (infatti i giganti normali sono alquanto ottusi); l’umanità non riesce a difendersi e deve ritirarsi dietro il Muro Rose con migliaia di profughi e vittime.

La storia di per sé parla di Eren Jaeger, un ragazzo che ha la sfortuna di essere presente alla caduta del Muro Maria insieme alla sorella adottiva Mikasa Ackerman e che vuole vendicarsi sui gi-ganti sterminandoli fino all’ultimo. Ricca di colpi di scena, anche se a momenti piuttosto lenta, la trama risulta comun-que avvincente, invitando alla conti-nuazione della lettura/visione.

Il manga di per sé lascia un poco a desiderare nel disegno, coi volti dei personaggi poco tratteggiati; alcuni trovano anche da ridire sulle proporzio-ni tra gigante e uomo perché il primo non sembra essere molto più alto del secondo. Tutt’altra storia è l’anime, in-fatti il disegno è molto più dettagliato, i personaggi più marcati, i colori accesi e le scene d’azione molto più dinamiche in ottime atmosfere che fanno piacere anche all’occhio. Da notare è la carat-teristica del disegno dei giganti, dipinti in modo da sottolineare la loro diversità e insensatezza, sono infatti pratica-mente uguali agli uomini, se non fosse per il tratto quasi infantile dei loro volti, le diverse proporzioni degli arti, la loro asessualità. Stupenda poi la colonna so-

nora di apertura dell’anime che riesce a coinvolgerti già da sola.

“Non so cosa deciderai. Non po-trei mai consigliarti sulla scelta … non importa quali giudizi ti porte-ranno alla soluzione che seguirai, nessuno ti saprà dire se è giusta o sbagliata fino a che riuscirai a conseguire un qualche tipo di risultato dalla tua scelta”

Shingeki no Kyojin(Attacco dei Titani)

di Marcello Zanetti IIB

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Dei rumors ci portano l’ennesima notizia che vede Justin Bieber al centro delle scene internazionali. Pare che il giovane cantante statunitense stia pensando di intraprendere una carriera politica partendo dall’incarico di governatore dell’Iowa. Tuttavia a nessuno interessa ciò, anche perché, fosse interessato a questo argomento rischierebbe, anzi rischia, anzi è assolutamente vittima di una burla. Sì, esatto è tutto uno scherzo, un giuoco, un ludo, un quid totalmente inventato (come che devi aspettare tre ore prima di fare il bagno, se hai man-giato). Questo è un articolo sui Tre Allegri Ragazzi Morti, per gli amici TARM, per gli amici ancora più intimi: Davide Toffolo, Enrico Molteni, Luca Masseroni e Quello con le ali. Dicevamo, è un articolo sui TARM, ossi-morica bend itagliana che è tutta una menzogna: 1) SONO VECCHI, figuria-moci, sono in giro dal ‘94 (come bend ufficiale) 2) SONO VIVI 3) SONO 4 4) SONO 3 5) PISOLO 6)SONO GRAN POCO ALLEGRI, a volte. Proverò a non annoiarvi, male che sia, vi annoio. Ho mentito anche io, come loro. Io oggi parlo de “Nel giardino dei fantasmi”, ossia il loro ultimo disco/album/raccolta di canzoni. Trust me, è un album fiko, un po’ per i disegni di Toffolo, che aggiun-gono un “ti” alla storia; un po’ perché è bello, mica patatine. E’ un bel disco che però ti lascia un po’ di amaro in bocca, sospeso in un purgatorio: chi è che se ne è andato quatto quatto dopo un’e-sperienza edipica? Chi è che aveva i capelli blu? Chi è che sbaglia lato per tornare a casa? SONO FANTASMI! “Oh grazie, giornalista da quattro sol-

di, non ci saremmo mai arrivati”. Ancora un attimo di pazienza, il delirio è quasi finito. Eravamo rimasti che i protagonisti sono fantasmi, fantasmi senza nome; è strano, eppure il nome è l’unica cosa che davvero manca loro. Fantasmi per-fettamente caratterizzati e moderni, fan-tasmi moderni, vivi, fantasmi malinconici. Ombre che svaniscono al coprifuoco di un nuovo ordine, la cosa è che forse es-sere fantasmi non è così male, si va più piano, si ha più tempo per sé stessi. Sul-la morte giocano, scherzano, scrivono canzoni; tutto questo è lecito, ma devi sempre ricordarti che la morte c’è per quanto tu possa essere perfettamente umano, perfettamente vivo. Forse il senso dell’album è proprio que-sto, quantomeno secondo me. Non fac-cio spoiler (non è assolutamente vero, ce ne sono disseminati per tutto l’artico-lo. L’intero articolo a pensarci bene è uno spoiler) ascoltate e giudicate. E’ finito il delirio. Ciao.

JUSTIN BIEBER: Prossimo governatore dell’Iowa?

di Sabetta (batman), IIC

Mad Donnie Darko World

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cultura

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[Se per caso in questo momento avete la possibilità di ascoltare Mad World di Gary Jules, fatelo mentre leggete. E se non capite niente non importa]

“Intorno a me volti conosciuti, posti co-nosciuti, volti scoperti, la verità cola sulle loro guance, lacrime amare, le gambe si muovono, nessuna meta, andando da nessuna parte. Sguardi vuoti, occhi desiderosi di poter osservare, osservare ciò oltre cui la mente non è mai andata, conoscere. Senza un domani. Senza la garanzia di un futuro che potrebbe esse-re migliore. E io lo trovo spiritoso, lo trovo triste. I sogni in cui muoio sono i migliori che abbia mai avuto. È difficile da rac-contare, difficile da accettare. Quando la gente corre in cerchio allora sì, sì che è un mondo matto. I bambini aspettano il giorno per essere felici, auguri. E io mi sento come un bambino, sento emozioni che ognuno di loro dovrebbe provare. Andai a scuola, nervoso, nessuno mi conosceva. Buongiorno maestra, qual è la lezione? Che cosa devo studiare? Che cosa devo fare? Come devo vive-re? Perché devo vivere? Guardi bene attraverso me, vede qualcosa? No, sono trasparente. Non esisto. Sono matto. È spiritoso, triste, la morte è solo un gioco, il miglior gioco a cui abbia mai giocato. L›ho solo sognata, ma non aspetterò che sia lei a raggiungermi. È un mondo matto.”

La colonna sonora della storia di Donnie è il racconto della vita di ogni pazzo. Infantile, non del tutto conscio delle sue azioni e delle loro conseguenze, impul-sivo, prende la vita a paranoie; inna-morato. Muore per lei. Torna indietro nel tempo, rimane in casa quando sareb-be dovuto uscire. Frank lo fece uscire, grosso errore. Donnie vuole morire. La vita di lei è un grazie che il protagonista

non avrà mai il privilegio di sentirsi dire, riconoscenza per averla salvata, perché oltre alla pazzia, c’è anche un cuore.

Sia maledetto quel coniglio.

Di solito non gli cadono motori di aerei sulla camera, di notte, proprio mentre lui è in giro, sonnambulo, per un campo da golf. Sul braccio, 28:06:42:12. La fine del mondo si avvicina. La fine del suo mondo. Di lei. Anche se lei, ancora non l’ha incontrata.

«Perché indossi quello stupido costume da coniglio?» gli chiese.

«Perché indossi quello stupido costume da umano?» Frank gli rispose.

«Ho un nuovo amico» le disse.

«Vero o immaginario?»

«Immaginario». Parlava alla dottoressa. Parlava di lui. Frank, quel mostro che gli salvò la vita solo per costringerlo a mori-re per salvarla. Salvare la sua vita, dico. Perché per lui l’amore è vita. Gretchen è vita. E lui morì per vivere.

di Lucia Marchionne VE

Mad Donnie Darko World

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cult

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Sarebbe davvero ameno un mondo privo di qualsiasi difficoltà, malattia, po-vertà e tristezza. Esiste, si chiama Elysium: pianeta artificiale parallelo alla Terra, dove si vive in ricchezza e allegria. Al contrario della Terra, dove regnano il disoridine, l’abbandono e la fame. Pur-troppo questi due mondi non possono essere uniti e solo un gruppo ristretto e facoltoso di industrie può vivere su Elysium. Max abita sulla Terra e da sem-pre ha un sogno: raggiungere Elysium con la sua migliore amica Frey. Durante il lavoro ha un incidente, a causa del quale rischia di perdere la vita cosicché, per salvarsi, cerca in ogni modo di an-dare via dalla Terra

Il film offre una proiezione dell’universo futuro, in cui esistono due pianeti con-trastanti, ma non è altro che un iperbo-lico dipinto del mondo odierno, il quale concepisce due realtà come la guerra e la pace, che sono presenti in un solo pianeta, mentre nel film si sono espanse a tal punto da occupare due superfici planetarie, che a stento accolgono gli abitanti. Naturalmente i terrestri ambi-

scono a vivere nel posto migliore e per questo combattono come oggi si lotta per la pace, causa paradossale che fa scoccare la scintilla di molte battaglie. Come in natura gli opposti si attraggono e coesistono, anche i due pianeti do-vrebbero seguire questo principio, ma non viene rispettato e si giunge dunque ad un’inevitabile guerra, ovvero l’interru-zione del precario equilibrio in cui essi si controbilanciano. Solo uniti si complete-rebbero creando così un unico mondo migliore, per questo si dovrebbero tra-scurare i pregiudizi e convivere ma, per approdare in questo idillio, ci vuole un’e-sortazione manifesta. Quest’ultima la si ri-trova in Max, il quale, pur sommerso dal-le difficoltà, non si sottomette mai alla sconfitta. Egli è quindi un esempio per tutti, che invita ogni persona a perseve-rare nel rincorrere il proprio obiettivo. Si è nati per essere speciali ed eroi, bisogna solo trovare i propri poteri e, soprattutto, scoprire come e quando farne uso. Max dà valore alla vita e si sacrifica per sal-vare tutti i cittadini della Terra. Questo è stato il suo atto di eroismo.

“Guarda, invece, come siamo belli noi da lassù!”

di Adele Carraro e Giorgia Scotini VC

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Narrativa

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Mi svegliai, anche se non rammento dove. La serata precedente la passai da Harvey, un mio vecchio amico. Bevemmo tanto, ma non mi ricordo a cosa dovevamo i nostri festeggiamenti, se così si possono chiamare. Sua moglie se n’era appena andata di casa, ma non la biasimo. Insomma, Harvey è uno che vive alla giornata, un abulico di prima categoria. L’altra sera venne licenziato per l’ennesima volta, o si licenziò, non ha importanza. La partenza di sua moglie Abigail, che non ne poteva più della sua sregolatez-za, non lo tormentò più di tanto. Se lo aspettava, prima o poi sarebbe succes-so. Dopotutto aveva ancora una televi-sione, un frigo mezzo pieno e 17 dollari in tasca. Niente male. Ma in fondo chissenefrega di Harvey. Avevo altro altro di cui pensare. Sebbene non mi ricordi con nitidezza perché mi trovavo alla fermata del 13, sapevo dove porta quel pullman. A James Park Road, dove ora abita Kel-sie. Me lo disse un tipo sfrontato, non mi ricordo il nome, qualche sera fa da Jimmy’s o in qualche Pub vicino a South Mile. Kelsie era una donna che aveva fatto il suo tempo, col seno cadente e il culo sciupato, che in un altro periodo gode-va di una certa notorietà. Abbiamo abitato per un bel po’ sotto lo stesso tetto. Non eravamo né sposati né fidanzati. Entrambi non credevamo in quelle corbellerie, ma dormivamo assie-me da 20 anni. Condividevamo quelle poche cose a cui il Grande Compagno aveva provvi-sto per noi. Eravamo estremamente miseri, ma ci andava bene così. Da poveri si ama di più, dicono. Probabilmente Kelsie alla fine non la pensava così, e se ne andò

Storie di Wretched Town

di Jacopo signorelli IVCanche lei. Venni a sapere in un altro momento che se la filava con il mio ex datore di lavoro. Un bell’imbusto di New Skene, un quartiere vicino a Kingdom Road. Si chiama Marvin, un completo buono annulla che gira con una Mer-cedes e non si è ancora accorto che ai tempi gli rubai sì e no 320 dollari. In ogni caso decisi di salire sul 13. Riconobbi Elmer, un tronfio concessiona-rio che in quei giorni cercava di rifilarmi una vecchia Ford. Cercai di fare finta di nulla, ma alla fine fu lui a notarmi. “Ehi Caleb!” (sì, mia mamma mi diede il nome di Caleb. Se ne andò prima che io imparassi a leggerlo) “Elmer” -borbottai io-“ come mai da queste parti?” “Devo vedere un cliente” “Un altro ingenuo a cui vuoi rifilare uno dei tuoi catorci?” “Sempre di buon umore vedo, Caleb.” “Sempre” -sbuffai- Scese alla fermata successiva. Era pro-prio un vero buffone. Perché volevo andare da Kelsie, non lo so ancora. Me lo chiedevo anche durante al tragitto. Ma non riuscendo a trovare una risposta, accesi una Camel. In fin dei conti, Marvin aveva un ottimo lavoro, la cravatta ben fatta, una bella auto e un appartamento vero. Io ero un fallito. Vivevo in un decadente motel e le spese le condividevo con uno che puliva i vetri delle auto in Notts Street. Eravamo arrivati al capolinea, due iso-lati più in la c’era l’appartamento di Kelsie. Vicino all’ingresso del condominio c’e-ra un barbone. Sapevo chi fosse, e gli diedi tutto quello che avevo nel porta-foglio: 12 dollari e 32 cents, un buono sconto alla mensa di Capital Road e un chewingum.

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Salii le scale. L’appartamento stava al dodicesimo piano. Ebbi il tempo di farmi un’altra sigaretta.

Quando giunsi sull’uscio, sapevo che la porta fosse aperta. Così, senza chiedere permesso, vi entrai e la vidi.

Lei era lì. Distesa e imperturbabile come suo solito sprofondava su una fatiscente poltrona mentre la luce fioca delle lam-pade a petrolio cercava di allievare il lancinante clima della stanza.

L’apatia aveva preso il totale controllo della sua persona, più per ozio che per filosofia.

Se l’indomani era cosa incerta, su cui la-vorare e magari su cui sperare, oggi era solo un soffio che vagava distante nella sua mente.

Mi notò e mi scrutò. Una strana espres-sione risaltava sul suo viso, e le rughe all’improvviso presero un significato di-verso.

Mi avvicinai e lei, impassibile, non disse nulla.

Con la mia mano incallita dalla solitudi-ne presi il Cognac che stava sul tavolino a lei prossimo.

Accese la televisione. Finimmo assieme il Cognac.

Non una parola echeggiava nell’appar-tamento. Marvin era sufficientemente lontano. Mi adocchiò ancora un attimo.

Allora cominciai a biascicare qualcosa. Se le parole che stavo per dire non veni-vano dal cuore, il fegato aveva comun-que fatto la sua parte.

“Kelsie.. torniamo a casa nostra. Tornia-mo a vivere dove il Grande Compagno vuole che viviamo”

“Il Grande Compagno è stato smasche-rato, è morto. Lo sai bene”

“Chissenefrega”

E ci baciammo come non facevamo da molto tempo. Persino le dita dei miei pie-di risposero a quel bacio.

“Torna Kelsie”

“Lo sai che non posso”

E ci baciammo un’altra volta. Questo durò più a lungo, fu meglio di qualsiasi altra volta.

“Un giorno ragazza, non so quando” -continuai io- “arriveremo in quel po-sto dove davvero vogliamo andare, e cammineremo al sole. Ma fino ad allora, i vagabondi come noi, sono nati per rischiare”

Kelsie questa volta non mi baciò. Ma allungò la mia mano verso la mia e as-sieme uscimmo da quell’appartamento, sin troppo perfetto per gente come noi, e tutto tornò come prima.

Riguardo agli altri, beh, Harvey riuscì a tornare al suo posto di lavoro. Ma lo ri-perse dopo appena mezza settimana.

Elmer dovette chiudere la concessiona-ria. Dissero che il suo socio, un ex bar-biere di Vagrants Hill, prese tutto e se ne andò chissà dove con sua moglie.

Per quanto riguarda Marvin, non lo vide più nessuno.

Dicono che per la disperazione si sia buttato sotto un ponte, ma lo vidi l’altra sera in auto con una ragazza di fama discussa.

Io e Kelsie tornammo al motel, senza un fottuto dollaro e senza mezzo sogno, nel-la nostra mediocrità, nella nostra quoti-diana follia.

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Benvenuti nel delirio di inizio anno, nell’onirico passaggio di volti, di auto-bus, di vita. Le macchinette sono stra-namente tranquille, i bidelli ti chiedono come arrivare in presidenza, la professo-ressa ti dice di andarci, tu urli che non si sente bene dall’ultimo banco, eppure ti ci siedi comunque da sempre. Assumi sembianze robotiche quando vieni interpellato, ehi ma chi cazzo sei diventato? Dove sono finiti Togni Teli e Gritti? Perché Amabile B. non esiste? Quanti giorni son passati dall’ultima volta in cui non ho aperto il quaderno? Di quante persone non sono riuscito a innamorarmi in Porta Nuova? Perché Odisseo viaggia a sirene spiegate? Spie-gatemelo, perché ha così tanta fretta di prendere un bel voto? Di che cosa parla veramente una canzone? La mu-sica è cambiata, non sei poi tanto Indie se ti sveglia tua madre, non sei poi tanto bassa se ti misuri male. Se non capisci tira il dado e fai qualche salto, finisci il gioco dell’oca, arriverai prima, questo è certo. Stai bene solo con le tue scarpe nuove,

stai male se suoni la chitarra. Scordati delle melodie, ama la matematica san-to dio, ama la fisica, diventa Epicureo per un giorno, ma quale calma Stoica. Agostino non si confessa con te. Tom-maso non ti crede. Gli elettroni sono finalmente positivi, usciti dalla depressio-ne defenestrante. Il bancomat è al ver-de, tu punta sul rosso alla roulette russa, rischi di morire. Mi dici che vorresti uscire di casa durante la settimana, che non ti basta un sabato sera. Il tuo condizionale mi condiziona, mi stupisce anche di Do-menica . Cavolo. Il Tour de France non ti fa più paura da quando hai capito che cos’è il Ginnasio. Non chiedermi perché Maria Antonietta non cambia mai, non morirà, tranquilla. Ora vai in classe, è presto per parlare, so che sei entusia-sta del tuo primo voto in Greco, me ne compiaccio. Ma non capisco.

Alla fine trovi sempre un modo per pian-gere. Ma tutto sommato, all’intervallo, ti vedo ridere.

Tutto è

A posto

di Paolo Bontempo, IID

di Pietro Raimondi, IIDRivedrò a lungo il sole fisso, lo scenario statico in fondo alla terrazza e un volto. Tu ti guardi attorno e ripensi alle corse, agli sguardi, ai ritardi e a quando erava-te solo voi. Ti sporgi sulle gambe e fai fin-ta di cercare qualcuno in terrazza. Ma smettila, so che stai guardando qui. Poi ti avvicini e io sussulto. Mi parli di can-zoni e metti in fila nomi e nomi e nomi.

“Quanto mi mancano Togni, Gritti, Teli e tutti gli altri…!” ti sento dire, poi insisti sul-la magnificenza di De’ Grassi, mi chiedi se voglio venire con te a rubare il Tac-cuino dei Disegni alla biblioteca Angelo Mai; ma proprio ora? Io in realtà avrei la mia prima versione di Greco dell’anno! Ti dico che la prima interrogazione è andata benissimo, tu mi guardi dall’alto

[la sottocommissione narrativa prega i gentili signori lettori di considerare in unità i 2 seguenti racconti]

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della tua Scolastica Tomistica e mi sfotti amorevolmente, io so che comunque sono più brava di te in Greco. Ma sai che ho come l’impressione di essere sempre sola? Lo sai che piango tutto il giorno e mi rituffo nelle mie crisi adole-scenziali persino e soprattutto in un liceo del centro? Tu mi dici di smetterla di far-mi immagini mentali su cui sfogare guer-re intestinali e provare a vivere un po’ quello che mi circonda. Tu non lo sai, ma lontano da te trovo sempre un moti-vo per piangere. È che tu mi fai perdere la concezione di me stessa, è che tu hai come tra le mani un nonsoché di unico, vero e buono che mi fa venire voglia di seguire i tuoi passi in Piazza Rosate pur rimanendo distante, tu non corri quan-do suona la campana, non hai paura

di perdere l’Uno, ti concentri piuttosto sul profumo dei cipressi lì vicino. Vorrei che fosse amore, perché siamo come un’iperbole e i suoi asintoti. Perché tu vivi qualcosa di grande, che però non sei tu! Mi vergogno troppo a cercarti al matti-no, sono del tutto occupata a preoccu-parmi di essere chiamata in Latino dalla Rondi. Vorrei parlartene qui ed ora, ma la campanella suona, tutti sfociano nelle classi e tu fai quello che rimane in terraz-za anche se è già suonata. E in verità tu non mi hai mai parlato. E forse sai appena come mi chiamo.

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Un altro dì di scuola è duro!

I’con testa bassa e poca voglia

seggevo al banco freddo e scuro;

il dì addietro fui sulla soglia

di principiare a studiare,

ma millanta crampi e molta doglia

mi vennero soltanto a pensare

di dover passare alquante ore

a sullo cieco Omero ragionare.

Dunque, qual abile copiatore,

scopiazzai l’omerideo passo,

ma in quel mentre entrò lo professore.

Ei disse con animo vile e basso:

“Paludetti, tu se’ interrogato!”

Et in un di tempo minimo lasso

rispuosi io alquanto timorato:

“Voi non programmaste inquisizione,

bensì diceste lo giorno passato

oggidì si farebbe spiegazione!”

Ed ei gaudente pel mio dolore:

“I’mutai pensiero a colazione!

Ora parlami dell’Omer cantore!”

Io gli rispuosi da Giove mosso:

“Egli è dei Simpsoni’l genitore”

Mia risposta il lasciò molto scosso,

la cagion di ciò capisco sol ora:

è l’omero non homo bensì osso.

Sarpina commediacanto 2

di Palu, IIC

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Cotonfioc is a res created ex Tòto Co-tugno, fantastic urlatore in concerti . Tòto desiderabat inventare neo stuzzi-candens (called DensRelax) ut sangue ab gengive non usciret. Ita, rubò orrible pettinato et lavato Barboncino ab ricca signora. Tosò omnia partes of body of little dog, and try to mettere in cima agli stuzzicadens canis pelum. Inde, venit in India et begin to meditare about his life. He became Ghandi et decided to Promuovere Pace in every part of the mundus, also Siria. But, he don’t amabat

the life of dietista(Ghandi Non mangia-bat never)! He want to mangiare! So, he cominciò a mangiare like a Ciccione fin-chè non si trasformò in Giuliano Ferrara! When he sedebat in Funicolare ominis people dobebant stare in piedi! The bilancia says him “Salire uno alla volta”! Ubi dobebat viaggiare in aereo, pre-notabat two biegliettis! Inoltres He non riuscibat plus a passare in porte because rimaneva sempre incastrato!!! Et visset the rest of his life incastrato in Porta san Giacomo! By Jove, “The life is beatiful”.

How I Met Your Cotonfioc

di paolo bontempo, IID

IPSE DIXITEX IVF(con inserti di VF) Messi: Elena di Troia era una bella pule-dra… Messi: (Pagelle) sei è segnato sex, non è un invito a riprodurvi Tobaldo: Hai sbagliato perché sei partito in quarta… invece noi siamo in quinta. Messi: Gli ho detto di fare venti righe di ri-assunto e ne hanno fatte quattro…devo dargli il lassativo Messi: N.B: perché ci sarà sempre un nota bene nella vostra vita

EX 1D (attuale 2D, nooooooo) Milesi: O così Bonti: O pomì Martina: (traducendo sallustio) e così procurava BALDRACCHE… Milesi: (sesta ora) sta farneticando Pietro(urlando): DELIRIO! Bonti(urlando): DERILIO!! In classe c’è un po’ di confusione

Giaconia: chi vuole distrarsi alzi la mano *Silenzio* Pietro: io mi voglio distrarre Giaco: che bravo! Anche io mi unisco, ma non possiamo.

Durante l’ora di religione Annuccia: i miracoli sono in tutte le reli-gioni, anche nella nostra Pietro: parla per te, io musulmano

RUGGERI: alla fine diventerete tutti sve-desi

RUGGERI: l’avete studiato in quarta liceo Pietro: vede, anche lei è stanca, si può anche mangiare una torta

Danny: are you a scout? BOnti: Discou(N)t

Milesi: la copertura è a capriate Bonti: così lontano?

Bonti: “Lei legge io donna?

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ATTENZIONE!

Forse non tutti sanno dell’esistenza di una commissione chiamata “gruppi di studio”. Ecco, questa commissione sta cercando nuovi membri. Potresti essere tu, lettore, il fortunato? Magari vorresti sapere cosa avviene duran-te gli incontri. Ci si vede un giorno a settimana, il giovedì e, in base a quel-lo che preferisci, puoi chiedere aiuto per fare i compiti o studiare una ma-teria, oppure aiutare chi ha bisogno del tuo sapere. La priorità ovviamente sarà quella di costruire insieme un momento di studio collettivo, ma non mancheranno momenti di pausa in cui potrai conoscere nuove persone. I gruppi sono aperti a tutte le classi, dalla 4° ginnasio alla 3° liceo. Ci si riuni-sce dalle 14.30 in poi in sede, aula T6, e chiunque può andare via quando vuole. Vi aspettiamo!

Commissione gruppi di studio

Strocchia: bisogna saper conoscere il nemico!

IPSE DIXIT IIB

Zappoli (parlando dello Spirito Santo e della Pentecoste): ma quand’è che scende sto robo?

Zappoli (a Ravina spaparanzato sul banco): Ravina! Sai cos’è la disciplina prussiana? (dopo) è la pre-condizione del tuo apprendimento!

Zappoli: ma perché Cristo viene fatto coincidere con l’autorità? Elzi: Boh. Zap-poli: altri?

Zappoli: Enrico II muore nel 1559 in un torneo… Non di tennis

Pusi: come avviene nel caso del torchio idraulico… Chi non ne possiede uno?

Milesi: e mentre Abramo sta per sacrifi-care Isacco, sapete che arriva l’angelo e dice: “Scherzone!”

IPSE DIXIT IE Bonasia: Ti faccio diventare elicoidale come il DNA se non la smetti!

Bonasia: Sfrontato! Sfacciato! Peccato-re di ybris!

Alunno X: Ma profe, non capisco come si potesse arrotolare il papiro... non è piuttosto rigido? Bonasia: ma non do-

vete pensare a quelli che vi vendono in Egitto ora, che non si arrotolano! I papiri sono come le piadine, alcune si arroto-lano e altre no.

Alunno X: posso andare in bagno? Moretti: conCESSO.

Moretti: (parlando di Dante) provate voi a fare una rima con ‘zucca’! Alunno X: mucca! Moretti: va beh, mettetecela voi una mucca all’Inferno!

Moretti: qui la donna è paragonata al Sole che illumina... Alunno X: ‘baby you light up the world like nobody else!’: One Direction nel Medioevo! (Sempre meglio nel Medioevo che ora)

Buonincontri: (parlando di Mileto) Ecco, come vedete, questo tempio era in po-sizione... Alunno X: predicativa!

Moretti: Se si pensa ad una cosa dolce e tenera... Alunno X: Un koala! Moretti: Non troppo in là con l’immaginazione... Alunno X: Ah.

Moretti: Sapete che quelli del Medioevo si facevano un sacco di elucubrazioni mentali... anche se voi le chiamereste in un altro modo.

Moretti: chi conosce la storia di Abelar-do ed Eloisa? Mi rivolgo alle ragazze... Marcello: Io!

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LA REDAZIONE

DIRETTRICE: Marta Cagnin, IIID VICEDIRETTRICE: Micaela Brembilla, IIIC SEGRETARIA: Ma-rianna Tentori, IIB CAPOREDATTORI: Attualità: Sara Latorre, ID Cultura: Andrea Sabetta, IIC Narrativa: Pietro Raimondi, IID Sarpi: Giulia Testa, IIIB Sport: Federico Crippa, IIIB Terza Pagina: Paolo Bontempo, IID IMPAGINATORE:Pietro Raimondi IID COPERTINA: Silvia Caldi IIIB ILLUSTRAZIONI: Silvia Caldi IIIB, Lucia Marchionne, Laura Gabellini, Clara Rigoletti, VE REDATTORI: Giulia Argenziano IIB, Silvia Caldi IIIB, Adele Carraro VC, Martina Di Noto IE, Chiara Donadoni ID, Gaia Gualandris VF, Elena Occhino IF, Alice Paludetti VF, Michele Paludetti IIC, Giorgia Scotini VC, Elena Seccia VE, Jacopo Signorelli IVC, Paolo Sottocasa IIIA, Giovanni Testa IVC, Sara Testa VF, Eleonora Valienti VE, Giulia Vitale ID, Sara Zanchi ID, Marcello Zanetti IIB