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Cavallino Pavese

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  • Eleonora Cavallini

    Pavese tra gli di: Calvino primo commentatore dei Dialoghi con Leuc1

    Come noto, e come ho gi avuto occasione di sottolineare in altra se-de, Pavese rest profondamente deluso dalla freddezza con cui furono accolti, sia nellambiente letterario che in quello accademico3, i Dialoghi con Leuc, opera cui lo scrittore teneva in modo particolare, al punto da considerarla come il suo biglietto da visita presso i posteri (lettera a Billi Fantini del luglio 1). Lamarezza di Pavese, non disgiunta da un certo sussiegoso orgoglio, emerge pi volte dallepistolario. Cos ad esempio, l11 dicembre 1, egli scrive a Bona Alterocca: Leuc un maledetto libro su cui nessuno osa pronunciarsi: tutti stanno ancora leggendolo. Di analogo tenore una lettera scritta pochi giorni prima (3 dicembre 1) a Tullio e Cristina Pinelli, in cui tuttavia viene evi-denziata unimportante eccezione: [i Dialoghi] non piacciono a nessu-

    1 Desidero ringraziare Mariarosa Masoero del Centro di Studi di Letteratura Italiana in Piemonte Guido Gozzano-Cesare Pavese, la Casa Editrice Einaudi in particolare Roberto Cerati, Laura Piccarolo e Carmen Zuelli , nonch lAvvocato Maurizio Cossa, rappresentante della famiglia Pavese, per avermi permesso di leggere alcuni inediti di Pavese, e in particolare di trascrivere e pubblicare un risvolto di copertina riguardante Luciano di Samosata (cfr. infra).

    Cfr. E. Cavallini, Cesare Pavese e la ricerca di Omero perduto: dai Dialoghi con Leu-c alla traduzione dellIliade, in Omero Mediatico. Aspetti della ricezione omerica nella civilt contemporanea, a cura di E. Cavallini, Dupress, Bologna 1, pp. -13.

    3 Sullatteggiamento di diffidenza assunto dallambiente letterario dellimmediato dopoguerra nei confronti di unopera cos atipica come i Dialoghi con Leuc, cfr. da ultimo A. Falco, La figura di Odisseo nei Dialoghi con Leuc, in Cesare Pavese tra cine-ma e letteratura, a cura di M. Lanzillotta, Rubbettino, Soveria Mannelli 11, pp. 1 s.

    In Lettere 1945-1950, a cura di I. Calvino, Einaudi, Torino 1 (dora in poi citato come Lettere II), p. 3.

    In Lettere II, p. 3. In Lettere II, p. 1. Sulla figura di Tullio Pinelli come drammaturgo, e soprattutto

    come autore di sceneggiature cinematografiche, cfr. Cavallini, Cesare Pavese, cit., p. n. .

  • Eleonora Cavallini1

    no, tranne a un valente professore di greco e studioso delle religioni. Il valente professore era, notoriamente, Mario Untersteiner, che alla fine del 1 avrebbe pubblicato, ne Leducazione politica, una recen-sione nettamente favorevole ai Dialoghi. interessante notare come in questo scritto, breve ma puntuale e penetrante, lillustre studioso tren-tino lasci trapelare la consapevolezza di essere una voce fuori dal co-ro:

    Che i Dialoghi con Leuc di Cesare Pavese siano documento di una singola-re comprensione dei grandi momenti, che costituiscono eterne fonti dango-scia per gli uomini, che questi momenti siano modernamente rivissuti nella sostanza dellesperienze egee preelleniche ed elleniche; che infine londa drammatica della poesia li animi con un impeto di irruente persuasione, io non dubito. Se avr molti consenzienti non so, n mi preoccupo. Per me il li-bro presenta un suo valore singolare.

    Come sempre restio ad adeguarsi alla communis opinio, in particolare allopinione dei filologi classici del tempo, cui verosimilmente Pavese doveva apparire non pi che un dilettante privo di institutio accademi-ca, Untersteiner esprime con chiarezza e onest intellettuale il proprio giudizio, anche a rischio di rimanere, almeno in quel periodo, totalmen-te isolato.

    Senonch, limportante recensione di Untersteiner non , in ordine di tempo, la prima pubblicazione relativa ai Dialoghi con Leuc: gi dal 1 novembre 1 era infatti in circolazione un altro scritto, che forse lo

    M. Untersteiner, rec. a C. Pavese, Dialoghi con Leuc, in Leducazione politica, I, 11-1 (1), pp. 3-3. Sui successivi, fecondi sviluppi dellincontro fra Pavese e Unter-steiner, con particolare riferimento alla traduzione dellIliade di Rosa Calzecchi Onesti (1), cfr. da ultimo Cavallini, Cesare Pavese, cit., pp. 11-13. Sul carteggio fra lo scrit-tore e la traduttrice, cfr. A. Neri, Tra Omero e Pavese: lettere inedite di Rosa Calzecchi Onesti, in Eikasms, 1, , pp. -.

    Cos Untersteiner, rec. a C. Pavese, Dialoghi con Leuc, cit., p. 3 (il corsivo mio). Sullaccidentato percorso che conduce Pavese, liceale deprivato dello studio del

    greco presso listituto DAzeglio di Torino, a recuperare successivamente, con lavoro durissimo e ostinato, la conoscenza della lingua di Omero, cfr. G. Tesio, Augusto Monti e Cesare Pavese: unaffinit dissimilare, in Cesare Pavese tra cinema e letteratura, cit., pp. 33-3. In unintervista rilasciata ad Andrea Icardi per il documentario Cesare Pave-se. Ritratto (), Tullio Pinelli dichiara che Pavese, pur esonerato dallo studio del greco al liceo, si tratteneva volontariamente in classe a sentire gli aoristi.

  • Pavese tra gli di 1

    stesso Pavese non considerava come una pietra di paragone significati-va, in quanto proveniente dallinterno della casa editrice e a firma di un giovane ventiquattrenne che per Pavese era pi un amico e un allievo che non un vero recensore1. Nondimeno questo lavoro generalmente tra-scurato presenta un notevole interesse, in quanto presuppone una co-noscenza personale dello scrittore e del suo percorso culturale e letterario.

    Come si evince dalle bibliografie pavesiane di Sergio Givone e Mo-nica Lanzillotta11 e da quella calviniana di Luca Baranelli1, il primo com-mento ai Dialoghi con Leuc si deve a Italo Calvino, che lo diffuse tra-mite il Bollettino di Informazioni Culturali di Einaudi (n. 1, 1 no-vembre 1, pp. -3): nulla pi che un ciclostile destinato ai librai, dunque una collocazione editoriale del tutto secondaria13. Tuttavia la scheda, puntuale e incisiva, offre spunti di riflessione importanti per la

    1 Cfr. C. Pavese, Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950, a cura di M. Guglielminetti e L. Nay, Einaudi, Torino 1, pp. 3 s.: Dato consigli dallalto dellet al giov. Calvino: mi sono scusato di lavorare molto bene: anchio alla tua et ero indietro e in crisi. Qual-cuno mi ha mai fatto questo discorso quando avevo venticinque anni? No sono cre-sciuto in una wilderness, senza agganci, con lorgoglio di preparare il mio atollo in questo ignoto e scoppiare un giorno e, quando gli altri se ne sarebbero accorti, essere gi gran-dissimo. Come noto, Calvino, insieme con Lorenzo Mondo, oper una prima orga-nizzazione dellarchivio e della biblioteca di Pavese, peraltro gi parzialmente ordinati da Pavese stesso, e pubblic parte dellepistolario (anni 1-1); inoltre, nellarchivio conservata una lettera di Fausto Codino a Calvino, datata febbraio 13, in cui il filo-logo discute il progetto, ideato dallo stesso Calvino, di pubblicare un volume di tradu-zioni dal greco eseguite da Pavese negli anni giovanili e poi tra il 1 e il 1 (Hyperpa-vese, AGP. FE 1., -3). Probabilmente, proprio lamicizia di Pavese indusse Calvino a interessarsi ai miti greci, con significativi sviluppi, tra cui da ricordare almeno la spiaz-zante rivisitazione del mito di Orfeo e Euridice nelle Cosmicomiche (Einaudi, Torino 1; per un confronto tra il dialogo pavesiano Linconsolabile, Laltra Euridice calviniana e lOrfeo vedovo di A. Savinio, cfr. A. Cannas, Lo sguardo di Orfeo. Studi sulle varianti del mito, Bulzoni, Roma ). Sullamicizia tra Pavese e Calvino, e sulle illuminanti esegesi che Calvino dedic ad alcune opere pavesiane, in particolare al romanzo La luna e i fal, cfr. R. Gigliucci, Cesare Pavese, Bruno Mondadori, Milano 1, pp. -.

    11 S. Givone (a cura di), Cesare Pavese, Dialoghi con Leuc, Einaudi, Torino 1, p. 1; M. Lanzillotta, Bibliografia pavesiana, Centro Editoriale e Librario, Rende 1, p. .

    1 L. Baranelli, Bibliografia di Italo Calvino, Edizioni della Normale, Pisa , p. . 13 Lo scritto di Calvino fu ripubblicato, senza modifiche e non firmato (compare la

    sola iniziale c.), nella rivista forlivese Fiamma garibaldina del 1 dicembre 1; poi in inglese, con il titolo Pavese amongst the Gods, in Publishers Monthly, Number , February 1, pp. 1-.

  • Eleonora Cavallini1

    comprensione della genesi dei Dialoghi con Leuc e, in generale, per linterpretazione dellopera di Pavese. Calvino cos esordisce:

    Qualcuno, a leggere i Dialoghi con Leuc (Einaudi, 1), ci rimarr disorien-tato: questa da Pavese non se laspettava. Chi lo conosce, no: sa che questo Pavese dei Dialoghi sempre esistito accanto allaltro, quello dei romanzi; anzi senza questo laltro non sarebbe possibile: sono un Pavese solo, insomma.Prima tuttal pi si discuteva se Pavese fosse pi un narratore o pi un poe-ta. C chi, cio, vedeva muoversi anche nei poemetti di Lavorare stanca le invenzioni e i modi della sua narrativa: o chi, forse pi sottile, vedeva i suoi romanzi e i suoi racconti basarsi su momenti lirici e sapore di paesaggi. Questo nuovo libro pu servire a scoprire quanta fatica, quanta ricerca an-che erudita costi la sua tecnica creativa: scopre cio il Pavese umanista; per-ch l dove qualcuno crederebbe di trovare uno scrittore il pi spregiudica-tamente moderno, i cui interessi si fermano ai Vittoriani e a Melville, c invece un filologo che si traduce e annota il suo pezzo dOmero ogni giorno, e uno scienziato che ha sviscerato tutta la pi avanzata cultura mondiale in fatto dinterpretazione delle religioni primitive. Di questo lavoro gi erano avvisaglie certi capitoli di Feria dagosto in cui Pavese chiariva agli altri e a s i concetti di simbolo, mito, scoperta, infanzia, memoria ecc. come le ragioni prime della narrativa e della poesia in genere, e della sua in particolare.

    Nel presentare i Dialoghi con Leuc, Calvino riprende e al tempo stesso rettifica, mitigandone alcune polemiche asprezze, le parole che lo stesso Pavese aveva scritto per la copertina della prima edizione dellopera:

    Cesare Pavese, che molti si ostinano a considerare un testardo narratore realista, specializzato in campagne e periferie americano-piemontesi, ci sco-pre in questi Dialoghi un nuovo aspetto del suo temperamento. Non c scrittore autentico, il quale non abbia i suoi quarti di luna, il suo capriccio, la musa nascosta, che a un tratto lo inducono a farsi eremita. Pavese si ri-cordato di quandera a scuola e di quel che leggeva: si ricordato dei libri che legge ogni giorno, degli unici libri che legge. Ha smesso per un momen-to di credere che il suo totem e tab, i suoi selvaggi, gli spiriti della vegeta-zione, lassassinio rituale, la sfera mitica e il culto dei morti, fossero inutili bizzarrie e ha voluto cercare in essi il segreto di qualcosa che tutti ricordano, tutti ammirano un po straccamente e ci sbadigliano un bel sorriso. E ne sono nati questi Dialoghi1.

    1 Il breve scritto pavesiano riportato a p. della citata edizione a cura di S. Givone.

  • Pavese tra gli di 1

    Dal punto di vista di Pavese, dunque, i libri incentrati sul mito, sulle sue origini e sulle sue interpretazioni moderne (soprattutto di ambito storico-antropologico e psicanalitico), sono i libri che legge ogni gior-no, anzi gli unici libri che legge. Una rivelazione probabilmente ina-spettata, perfino spiazzante per lambiente letterario in cui lo scrittore aveva fino ad allora militato, e che si atteneva ai dettami del neorealismo e di un irriducibile modernismo apparentemente incompatibile con una narrazione di tipo anti-naturalistico, basata su immagini e simboli, al punto che unopera incentrata su questi ultimi rischiava di apparire frutto di disimpegno e autocompiacimento1. Inoltre, nella temperie cul-turale postbellica, la mitologia, specialmente classica, era vista con dif-fidenza, per il fatto di essere stata strumentalizzata a fini propagandisti-ci dai regimi totalitari di Italia e Germania1.

    Ma Calvino, nel proporre al pubblico i Dialoghi con Leuc, si mostra

    Per un curioso errore (motivato, probabilmente, dal fatto che Pavese parla di se stesso in terza persona), in quarta di copertina le parole dello scrittore sono attribuite a Givone.

    1 Sullargomento, cfr. da ultimo Falco, La figura di Odisseo, cit., p. 1. Le idee di Pavese riguardo al mito, e la stessa collana viola, furono oggetto di polemiche, soprat-tutto da parte di Franco Fortini con cui Pavese ebbe, fra il 1 e il 1, un acceso di-battito. In particolare, nella nota Discussioni etnologiche, scritta nel marzo 1 e pubbli-cata in Cultura e realt, 1, maggio-giugno 1 (ora in C. Pavese, Saggi letterari, Einau-di, Torino 1, pp. 33-3), Pavese risponde ai rilievi mossi da Fortini contro E. De Martino in Il diavolo sa travestirsi da primitivo, in Paese sera, 3, febbraio 1. Scrive Pavese: Dice invece Franco Fortini che linteresse desto in tutto il mondo per le cose etnologiche e la mentalit primitiva, per ogni manifestazione mistica, magica, irraziona-le, lo preoccupano assai, in quanto non si possono facilmente scordare i guasti politici prodotti da una recente cultura irrazionalistica e in fondo folcloristica. Tanto pi lo preoccupa il vedere che propugnatore di un rinnovato interesse per le cose primitive e arcaiche si faccia proprio uno studioso marxista e ci in nome di una santa crociata che nel paese del socialismo si andrebbe combattendo nello stesso senso. Egli teme insomma che la possa del socialismo unita allargomento della mente partorisca un tale mostro di brutale mistico fanatismo attivista, da risuscitare incubi recenti. Che dire? Noi salu-tiamo lietamente linteresse socialista per la mentalit magica e mitica e vorremmo rassi-curare Fortini che il pericolo da lui prospettato non sussiste. Sullargomento, cfr. da ultimo M. Palumbo, Fortini, Pavese e il mestiere di scrivere, in Cesare Pavese tra cinema e letteratura, cit., pp. -.

    1 Sul ruolo svolto da alcuni classicisti vicini al nazismo, come H. Berve e F. Schacher-meyr (questultimo autore, fra laltro, di Alexander, der Grosse. Ingenium und Macht, Pustet, Graz-Salzburg-Wien 1, in cui si ipotizza un legame tra la grandezza di Ales-sandro e la sua nordicit), cfr. L. Canfora, Ideologie del classicismo, Einaudi, Torino 1, specialmente pp. 1-1.

  • Eleonora Cavallini13

    pi obiettivo e conciliante dello stesso Pavese. Non parla infatti n di quarti di luna n di bizzarrie, bens di un Pavese solo. Calvino consapevole del fatto che linteresse di Pavese per la mitologia non un capriccio momentaneo; sa anzi che lo scrittore non solo si dedica allo studio dei miti come immagini archetipiche immutabili e tuttavia capa-ci di dare vita a multiformi interpretazioni poetiche (significative, in questo senso, le riflessioni di Feria dagosto, del 1)1, ma addirittura da molti anni si cimenta in prove di traduzione di lunghi brani di Ome-ro e dei tragici, e perfino di frammenti di poeti lirici come Saffo e Pin-daro1, misurandosi con la divina e terribile1 lingua greca con avida curiosit e tenace pazienza. Una sfida che lo scrittore affronta con le sue sole forze, senza ricorrere a consulenze esterne e nemmeno a sussidi in usum scholarum, quali le traduzioni interlineari, che avrebbero potuto facilmente evitargli alcune sviste banali. Che gi ai tempi dellUniver-

    1 Cfr. in particolare Del mito, del simbolo e daltro, in C. Pavese, Feria dagosto, intro-duzione di E. Gioanola, Einaudi, Torino , pp. 1-1, in cui Pavese giunge a una matura enunciazione della propria poetica proprio partendo da una personale riflessione sul mito: Quel tanto di disciplina formale che si possedeva, crolla sotto lindeterminato del sentimento incontenibile. Sono rari i creatori che sanno far coincidere la profonda esigenza formale implicita nellimpronta del loro pi remoto contatto col mondo e i mezzi espressivi forniti a tutta una generazione dalla cultura. loro compito un compro-messo, un parziale tradimento dellingenuit, un tentativo di vedere, nel gorgo del mito che li afferra, il pi nitidamente possibile ma soltanto fino al punto in cui la bella favola non si dissolva in naturalit (ivi, p. 1).

    1 La traduzione di un noto carme di Saffo (= fr. 1 B Voigt) riportata in una lettera del dicembre 13 alla sorella Maria (in Lettere 1924-1944, a cura di L. Mondo, Einau-di, Torino 1 [dora in poi citato come Lettere I], p. ): Tramontata la luna / e le Pleiadi, mezza / notte, passata lora: / giaccio sola nel letto, che letterale e interli-neare quanto le traduzioni omeriche, e al tempo stesso priva delle spigolosit e delle asprezze che si riscontrano spesso in queste ultime. A. Dughera, a proposito del terzo Quaderno di traduzioni dai classici greci conservato nel Fondo Sini, annota che Sul primo foglio bianco, incollato allinterno della copertina anteriore, sono riportati, a in-chiostro nero, i primi quattro versi in greco della lirica di Saffo: Tramontata la luna (Tra gli inediti di Pavese: la traduzione dai classici greci, in Fra le carte di Pavese, Bulzoni, Roma 1, p. 13). Vale la pena di notare che nella trascrizione di Pavese loriginale del v. sostituito da (Hyperpavese AGP.AP VI.3,). Lo scrittore fa dunque sua la malinconica solitudine notturna della poetessa greca.

    1 La definizione divina e terribile, con riferimento alla lingua greca, nella lettera del novembre 1 a Mario Untersteiner (in Lettere II, cit., p. 1).

    Alcune di queste sviste, seppure ben riconoscibili, non compromettono gravemen-te la comprensione del testo originale (cfr. in proposito E. Cavallini, LInno omerico a

  • Pavese tra gli di 131

    sit, di quella Facolt di Lettere cui era riuscito ad accedere grazie a un escamotage1, Pavese rifiutasse ostinatamente di avvalersi di strumenti scolastici, testimoniato da una lettera del agosto 1, inviata allo scrittore dal suo Maestro liceale, Augusto Monti:

    Carissimo,coraggio Cesarino! Non taffannare. Sono tutte res. Anche Tucidide una res (non fare lo scemo, veh! Compra la traduzione letterale interlineare. Fan cos anche i professori autentici).

    Dioniso nella traduzione di Cesare Pavese, in Pavese: un greco del nostro tempo. Dodicesi-ma rassegna di saggi internazionali di critica pavesiana, a cura di A. Catalfamo, Quader-ni del CE.PA.M, Supplemento a Le Colline di Pavese, 13, 1, pp. -). Altri e pi importanti errori sono presenti nelle traduzioni inedite, a proposito delle quali tuttavia non condivido il giudizio negativo di Fausto Codino (nella lettera citata a n. 1). Le tra-duzioni di Pavese sono s pervicacemente letterali e interlineari, ma tuttaltro che scola-stiche, in quanto arricchite da soluzioni interpretative dense di suggestione poetica e, al tempo stesso, il pi possibile aderenti alloriginale. Lasperit del dettato, unita a una certa pesantezza (che Codino definisce barocca) si deve probabilmente al fatto che Pavese sa di cimentarsi con una lingua artificiale, cristallizzata, ben lontana dal parlato ([Omero] d limpressione di scrivere in una lingua letteraria, con artificio musivo legata, che probabilmente nessuno parl mai: cos egli scrive nella lettera alla Calzec-chi Onesti del novembre 1, in Lettere II, p. . Paradossalmente, le traduzioni omeriche di Pavese hanno ben poco a che vedere con ci che egli scriver nella Prefa-zione alla traduzione einaudiana dellIliade del 1: chi avrebbe detto che Omero cos oggettivo, cos schietto, cos immediatamente parlato e quasi somiglia pi ai nar-ratori neorealisti che non alle sue traduzioni correnti?. In realt, le traduzioni omeriche di Pavese sono molto lontane dai canoni neorealisti; in compenso, si avvertono consi-stenti influssi del neorealismo pavesiano (in particolare quello di Lavorare stanca) in quelle di Rosa Calzecchi Onesti, come gi ho parzialmente illustrato in altra sede (cfr. Cavallini, Cesare Pavese, cit., pp. 13-1).

    1 Essendosi iscritto alla sezione moderna del liceo DAzeglio, Pavese non aveva stu-diato lingua greca bens cultura greca, ma sul diploma e sulla pagella era stato trascrit-to semplicemente greco. Questo permise allo scrittore di iscriversi alla facolt di Let-tere, ripromettendosi tuttavia di sgobbare seriamente su quel greco che non aveva appreso in precedenza (cfr. Dughera, Fra le carte di Pavese, cit., pp. s.).

    Pubblicata da A. Dughera, Fra le carte di Pavese, cit., p. ; cfr. inoltre G. Tesio, Tre premesse e mezzo svolgimento su Pavese editore, in Lezioni pavesiane. Atti del corso di aggiornamento per insegnanti settembre 1996, Quaderni de CE.PA.M, Santo Stefano Belbo 1, pp. 3 s. Che Pavese non facesse uso di traduzioni scolastiche, ma lavorasse direttamente su edizioni scientifiche prive di traduzione a fronte, confermato, nella citata lettera a Calvino (cfr. n. 1), da Fausto Codino, che probabilmente aveva ispezio-nato la biblioteca dello scrittore.

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    Monti forse sottovalutava lallievo, la sua tenacia e soprattutto la sua sensibilit linguistica, che gli permetteva di orientarsi, pur con frequen-ti intoppi, anche nei meandri di una lingua che non padroneggiava pie-namente. Di questo invece ben consapevole Calvino, al punto di defi-nire Pavese un filologo, la cui tecnica creativa nasce da unappro-fondita riflessione sui classici antichi, oltre che dallattenzione rivolta agli scrittori Vittoriani e a Melville (con evidente riferimento alla traduzione pavesiana del romanzo di C. Dickens, David Copperfield, Einaudi, Torino 13, nonch a quella di H. Melville, Moby Dick, Fras-sinelli, Torino 13)3.

    Di seguito, Calvino indaga ulteriormente e approfondisce le modali-t dellapproccio pavesiano al mito, evidenziandone il carattere del tut-to peculiare rispetto ad altre riletture novecentesche dei classici:

    In questi Dialoghi Pavese fa a ritroso il cammino della storia e ricerca, alle origini degli antichi miti greci, gli oscuri motivi umani che in essi si sono espressi. Eccoci dunque a colloquio con Edipo, Prometeo, Orfeo, Calipso, Ermete, Eracle e compagnia bella. Ora, a un moderno che voglia rimaneg-giare i classici restano aperte diverse vie. O rivestire di questi miti un signi-ficato, una moralit moderna, e per questa via si arriva facilmente a una parodia alla Giraudoux, alla Meano. O tornare classici fra i classici e dar sfogo a un proprio bisogno di levigatezza morale e formale. La via di Pavese non n luna n laltra. Lui torna indietro con gli antichi, al momento in cui il mito nasce con la forza delle sue oscure esigenze, ma ci torna con gli strumenti interpretativi del moderno etnologo e sa subito metter le mani su quellinforme travaglio da cui il mito nato: e insieme porta con s il baga-glio di tutta la tradizione, la storia, la fortuna del mito stesso attraverso secoli e secoli di varie letterature, da intendere e contrapporre criticamente e polemicamente.

    Calvino precisa, con lucida chiarezza, che il lavoro di Pavese sul mito molto distante sia dai paradossi satirico-pacifisti di J. Giraudoux (La guerre de Troie naura pas lieu, 13), sia dallestetismo dannunziano di Cesare Meano, autore del fortunato romanzo Quella povera Arianna (13), ma ancor prima librettista di opere liriche come La morte di

    3 Di fatto, gli scrittori americani, a partire da Melville, sembrano rivestire, nella for-mazione culturale di Pavese, un ruolo pi importante rispetto a quello dei Vittoriani come Dickens.

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    Frine ossia un tramonto (11), ispirata alla cortigiana greca del IV seco-lo a.C. e musicata da Lodovico Rocca utilizzando una scrittura musica-le ricca di arcaismi grecizzanti ed esotismi orientali. Naturalmente, nemmeno il levigato classicismo degli scrittori neolatini, seguaci della Musa pascoliana, pu fungere da termine di paragone con larduo, impervio e, in ultima istanza, modernissimo approccio ai classici di Pa-vese, che degli antichi miti aveva fatto sostanza anche dei suoi romanzi e racconti di ispirazione neorealista. Alle spalle dei Dialoghi con Leuc, annota Calvino, ci sono gli strumenti interpretativi del moderno etno-logo e, insieme, il bagaglio di tutta la tradizione, la storia, la fortuna del mito stesso attraverso secoli e secoli di varie letterature. Che tale bagaglio culturale venga affrontato da Pavese con lucido spirito cri-tico, non si pu dubitare (si vedano, in particolare, le penetranti rifles-sioni sul classicismo di Foscolo in Feria dAgosto). Daltra parte, proprio nei Dialoghi che si ravvisano i presupposti della presa di posi-zione che, a partire dal 1, Pavese assumer nei confronti degli studi classici predominanti nellItalia del tempo: dallentusiastico apprezza-mento per lallora minoritaria corrente comparativistica, rappresentata dagli studi di Pettazzoni e Brelich, alla creazione, con Ernesto De Mar-tino, della famosa collana viola einaudiana, fino a quelloperazione fortemente innovativa che la traduzione dellIliade (1), realizzata

    Cfr. A. Scalfaro, I lirici greci di Quasimodo: un ventennio di recezione musicale, Diss. (Universit di Bologna), , p. . Come risulta da una lettera del maggio-giugno 1 (in Lettere I, p. ), Pavese aveva inviato alcune sue liriche a Meano perch le pubblicas-se nella rivista Ricerca di poesia, ma senza successo (cfr. anche Lettere I, pp. s.).

    Sulla produzione poetica moderna in lingua latina, cfr. A. Traina, Poeti latini (e neolatini). Note e saggi filosofici, I, Ptron, Bologna 1, 1).

    Sulla presenza di temi ispirati al mito greco nei romanzi e racconti di Pavese, cfr. M. Lanzillotta, Andare per le strade giorno e notte a modo nostro senza mta. Il mendi-cante nellopera di Pavese, in Cesare Pavese fra cinema e letteratura, cit., pp. 1-1 e, da ultimo, L. Lijoi, Ospitalit e ostilit in tre opere di Cesare Pavese, Diss. (Univ. di Genova), 11.

    Cfr. in particolare il saggio Ladolescenza, in Pavese, Feria dAgosto, cit., pp. 1-1. Sullargomento, cfr. Cavallini, Cesare Pavese, cit., p. e n. . Proprio ad Angelo

    Brelich, futuro autore di saggi come Paides e parthenoi (Edizioni dellAteneo, Roma 1), Pavese affid ledizione italiana del libro di P. Philippson, Origini e forme del mito greco, Einaudi, Torino 1, tratto da due saggi della studiosa: Thessalische Mytho-logie e Untersuchungen ber den classischen Mythos, entrambi originariamente pubblica-ti a Zurigo nel 1.

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    dallallieva di Untersteiner Rosa Calzecchi Onesti, ma fortemente volu-ta, e costantemente seguita, da Pavese stesso. Fino a che punto la di-zione poetica pavesiana, in particolare la prosa poetica dei Dialoghi con Leuc3, abbia influenzato le scelte interpretative della Calzecchi Onesti, un problema complesso che merita di essere ulteriormente approfondito.

    Calvino prosegue:

    Ma da quel che ho detto sembrerebbe che Dialoghi con Leuc fosse unarida ricerca di filologia mitologica: al contrario un appassionato quadro di unu-manit alle soglie della coscienza, che abbandona let della comunanza as-soluta con la natura, let dei mostri e delle metamorfosi, per sentirsi a un tratto come separata dalle cose a trasformare la natura in nomi e in di, e a trovarsi di fronte i dubbi del destino, della libert, della morte. Il motivo dominante del libro un ora nostalgico un ora incombente ricordo di une-poca in cui balzavamo tra le cose come cose cheravamo. A quel tempo la bestia e il pantano eran terra dincontro di uomini e di. La montagna il cavallo la pianta la nube il torrente tutto eravamo sotto il sole. Chi poteva morire in quel tempo? Che cosera bestiale se la bestia era in noi come il dio?31.La graduale separazione degli uomini dagli di, e insieme dalle bestie, e dalle cose, d alla successione dei dialoghi un ordine logico e storico. E a un paganesimo olimpico e statuario vien contrapposto come sostanza dunan-tica verit che ancora vive sotto le nuove forme, il paganesimo animalesco e sanguinario dei primi culti contadini, un paganesimo da pagus, pi panico per , meno stregonesco di quello di Carlo Levi.

    Minimizzando gli aspetti pi propriamente filologici ed eruditi dellopera, Calvino mostra di tenere soprattutto allopinione di narrato-ri e poeti contemporanei, cui i Dialoghi con Leuc rischiavano di appa-rire come un mero esercizio di stile: per questo, egli si sforza di sottoli-neare le implicazioni filosofiche dellopera, lappassionato lavoro

    Sullargomento, si veda da ultimo Cavallini, Cesare Pavese, cit., pp. 11-1.3 Sullambivalenza dei Dialoghi con Leuc, per buona parte almeno poemetti in

    prosa di forte carica ritmica (da avvicinare piuttosto a Lavorare stanca), cfr. G. Contini, Presenze femminili nellopera di Pavese, in Otto/Novecento, I, 1, pp. 1 ss.

    31 Calvino cita dal dialogo I due, ispirato alle figure di Achille e Patroclo, immaginate a conversare nella notte precedente luccisione dellamico e scudiero del pi valente campione acheo (Pavese, Dialoghi con Leuc, cit., pp. -).

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    compiuto dallautore al fine di evidenziare, attraverso unindagine dia-cronica della mitologia greca, limmane sforzo con cui luomo rivendica la propria autonomia nei confronti delle forze della natura e di una di-vinit immortale s, ma anche bestiale, in quanto priva di memoria e di speranza3. Lo scritto di Calvino, pur prescindendo dalle penetranti considerazioni di Mario Untersteiner, destinate ad essere pubblicate poco tempo dopo, ne anticipa tuttavia alcuni aspetti: in particolare, la rilevanza data al tema della graduale separazione degli uomini dagli di prelude allinterpretazione untersteineriana dei Dialoghi, in cui, per usare le parole del filologo trentino, Pavese vuole conquistare alluomo quello che ab origine gli appartene: lumanit, e risale alle radici primigenie della realt, per rintracciarvi allo stato puro alcuni fondamentali valori necessari per lautonomia dellindividuo33. Ma se Untersteiner, dal proprio punto di vista di grecista e filologo classico, riconosce ai Dialoghi con Leuc un valore singolare, tale dunque da rendere lopera degna di considerazione anche nellambiente dei classi-cisti, Calvino dal canto suo prende le distanze dallarido mondo dei filologi, avallando di fatto una frattura che a tuttoggi non sembra esse-re stata sanata. Daltra parte, se ai tempi di Pavese, e del giovane Calvi-no, la filologia classica italiana propendeva per una visione idealizzata del mito greco, minimizzandone gli aspetti pi truci ed efferati, e ten-deva a separare nettamente la cultura greco-romana da quelle orienta-li3, al giorno doggi, in una prospettiva interculturale che riconosce la

    3 Cfr. le parole di Circe nel dialogo Le streghe (ivi, p. 11): Una volta credetti di avergli spiegato perch la bestia pi vicina a noialtri immortali che non luomo intelli-gente e coraggioso. La bestia che mangia, che monta, e non ha memoria. Lui mi rispose che in patria lo attendeva un cane, un povero cane che forse era morto, e mi disse il suo nome. Capisci, Leuc, quel cane aveva un nome; inoltre, quelle di Calipso nel dialogo Lisola (ivi, p. 11): immortale chi accetta listante. Chi non conosce pi un domani [...]. Chi non spera di vivere.

    33 Untersteiner, rec. a C. Pavese, Dialoghi con Leuc, cit., p. 3. Nel ringraziare Un-tersteiner per la recensione, Pavese scrisse il 1 gennaio 1: Certamente il senso di questo groviglio, che sono per me i Dialoghi, sta nella ricerca dellautonomia umana (in Lettere II, p. 11).

    3 In particolare, il concetto di primato dei Greci sugli altri popoli del mondo antico si era affermato con il terzo umanesimo tedesco, per il quale la cultura che sta alla base del mondo civile occidentale trarrebbe origine dalla paideia greca, finalizzata alla formazione di un elevato livello di civilt. Questa corrente, ancora condizionata dalla filosofia idealistica, rappresentata soprattutto dallopera di W. Jaeger, Paideia. Die For-

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    costante presenza di scambi e interazioni fra il mondo greco-romano e le altre civilt del Mediterraneo antico, la ricerca pavesiana sul mito appare ancora attuale e meritevole di essere indagata anche nei suoi ri-svolti storico-antropologici.

    Non a caso, Calvino paragona i Dialoghi con Leuc allopera di un altro scrittore noto per la sua spiccata vocazione per lantropologia: Carlo Levi. Il parallelo probabilmente dettato da quello stesso intento apologetico che pervade le prime righe dello scritto di Calvino: dimo-strare che il Pavese dei Dialoghi non contraddice il Pavese neorealista, anzi tuttuno con questultimo, tanto da far riemergere, dietro il pa-ganesimo olimpico e statuario, il paganesimo animalesco e sanguina-rio dei primi culti contadini. Tuttavia, il contatto di Levi con il mondo arcaico del profondo Sud, intriso di magia e superstizione3, si risolve in pietas, addirittura in empatica sintonia con gli abitanti di quei luoghi; per Pavese, la riflessione sui culti e rituali contadini soprattutto il punto di partenza per unindagine sui misteri dellanimo umano, sulle sue angosce di fronte alle forze della natura, sui meandri dellinconscio. Il paganesimo di Pavese panico, in quanto legato allabisso, al pro-fondo, ma anche alla terra e ai campi, e perfino alla Luna, che gioca un ruolo cos importante nellimmaginario pavesiano, in quanto emblema della dea Artemide/Diana (protagonista, fra laltro, del dialogo La bel-

    mung des griechischen Menschen, Walter De Gruyter, Berlin und Leipzig 133 (trad. it. Paideia. La formazione delluomo greco, La Nuova Italia, Firenze 13), nonch da quella di M. Pohlenz, Der Hellenische Mensch, Vandenhoeck und Ruprecht, Gttingen 1 (trad. it. Luomo greco, La Nuova Italia, Firenze 1). Sui primi tentativi di reazione al neo-umanesimo nel secondo dopoguerra, cfr. E. Cavallini, From Mazzarino until Today: Italian Studies between East and West, in Schools of Oriental Studies and the Development of Modern Historiography, Ravenna, October 13-1, 1, vol. , Mimesis, Milano , pp. -1. Per quanto riguarda alcuni argomenti scottanti, come quello del sacrificio umano in Grecia, vale la pena sottolineare come anche in tempi recentissimi godano di notevole favore alcune tesi che ne negano la storicit: emblematico il caso di D.D. Hu-ghes, I sacrifici umani nellantica Grecia, trad. it., Salerno, Roma 1, secondo cui il sa-crificio umano sarebbe stato presente nellimmaginario greco ma di fatto non praticato; ulteriore bibliografia in A. Beltrametti, Ifigenia e le altre. Archetipi greci del sacrificio femminile o degli incerti confini tra sacrificio, oblazione eroica e crimine politico nella cultura ateniese del V secolo, in Storia delle donne, (), pp. -.

    3 Levi era stato confinato negli anni 3 ad Aliano, nel Potentino, ribattezzato Gaglia-no in Cristo si fermato ad Eboli (Einaudi, Torino 1).

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    va): proprio Pan, nelle Georgiche di Virgilio, era infatti riuscito a sedur-re Selene3.

    La presentazione di Calvino si conclude nel modo seguente:

    Cos questo libro serve a chiarirci un altro volto di Pavese, che a moltissimi sar passato inosservato: un oscuro culto faunesco e arvale che glispir gi liriche come Il dio caprone nonch quella specie di saga contadina, carica di miti sanguinari e incestuosi, che Paesi tuoi. Poi, c nel libro anche unattentissima arte di linguaggio e di ritmo, impa-rata con uno studio di finezze su Luciano o su Leopardi. E c il Pavese liri-co-narrativo che fa capolino spesso, appena pu metter fuori qualche sobria nota di paesaggio, o qualche intimit di racconto (vedi, soprattutto, I Fuo-chi). Tanto che alla fin fine verrebbe voglia di dirgli che i suoi vagabondag-gi per i secoli sono veramente fruttuosi quando gli servono per costruire delle nuove favole per noi, necessarie e semplici come quelle degli antichi.

    In queste ultime righe, Calvino non solo risale alle origini del panismo pavesiano, con il richiamo alla lirica Il dio caprone di Lavorare stan-ca3 e alla bestialit primordiale dei personaggi di Paesi tuoi (11), ma cerca anche di individuare i dotti e raffinati modelli letterari che potreb-bero avere influenzato lo scrittore nella stesura dei Dialoghi con Leuc: fra questi, egli indica Luciano di Samosata, elegante prosatore di et ellenistico-romana, nonch illustre esponente del genere dialogico, gi utilizzato da Platone e Senofonte (e probabilmente ancor prima dal ti-ranno Crizia)3, fino alla diatriba cinico-stoica, a Plutarco e ad Ateneo

    3 Georgiche, III, 31. Della passione di Pavese per le Georgiche testimonianza la lettera del giugno 1 a Fernanda Pivano, in cui lo scrittore afferma: ho capito le Georgiche. Le quali non sono belle perch descrivono con sentimento la vita dei campi [...] ma bens perch intridono tutta la campagna in segrete realt mitiche, vanno al di l della parvenza, mostrano anche nel gesto di studiare il tempo o affilare una falce, la di-leguata presenza di un dio che lha fatto o insegnato (Lettere I, p. ); cfr. inoltre Pa-vese, Il mestiere di vivere, cit., p. : La tua classicit: le Georgiche, DAnnunzio, la collina del Pino. Su genealogia e caratteri del dio Pan, cfr. F. Cssola, Inni omerici, Mondadori, Milano 1, pp. 31-3 e 3-, con riferimenti alle fonti e bibliografia. Ancora sul dio Pan, sempre interessante la lettura visionaria di W.S. Burroughs, Apo-calypse, 1 (http://www.haring.com/cgi-bin/art_search_lrg.cgi?id=&search= Burroughs).

    3 Ora in C. Pavese, Le Poesie, a cura di M. Masoero, introduzione di M. Guglielmi-netti, Einaudi, Torino 1, pp. s.

    3 Sullattribuzione al tiranno ateniese dellopera pseudo-senofontea La Costituzione

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    di Naucrati, autore dei Deipnosofisti3. Che Pavese stimasse Luciano (di cui peraltro era stato diligente traduttore nel periodo del confino), confermato da un breve scritto inedito (senza data), conservato nel Fon-do Einaudi (AGP. FE 1., -), e probabilmente destinato a fungere da risvolto di copertina per un volume lucianeo della PBE:

    Con Apuleio e Petronio, Luciano di Samosata fu dei pochissimi scrittori antichi la cui critica e satira sociale restino a tuttoggi valide. Nessun aspetto della vita ideologica del suo tempo (il II secolo d.C.) sfugge alla sua morda-ce eppur greca ironia: i filosofi, i fondatori di religioni, gli occultisti, gli ac-chiappanuvole. La sua arte del dialogo ne fa un arguto creatore di macchiet-te e di scene. La traduzione che delle sue operette presentiamo quella, celebre, compiuta da Luigi Settembrini nel carcere borbonico1.

    degli Ateniesi, e sul carattere dialogico dello scritto, cfr. L. Canfora, Studi sullAthenaion Politeia pseudoseofontea, in Memorie dellAccademia delle Scienze di Torino, V, , 1, pp. 1-11; Id., Storia della letteratura greca, Laterza, Roma-Bari 1, pp. 3 s.; Id., Una societ premoderna. Lavoro, morale, scrittura in Grecia, Dedalo, Bari 1, p. .

    3 Di cui, negli esercizi (cfr. nota seguente), Pavese aveva tradotto un brano tratto dal libro XIII (ef) e relativo allamicizia di un certo Cerano di Mileto con un delfino. Ateneo era inoltre citato da Pavese nella notizia introduttiva al Dialogo La rupe, che nel manoscritto, riportato da S. Givone nella Nota al Testo dei Dialoghi con Leuc, cit., p. 11, inizia cos: La notizia che Chirone centauro fosse destinato a riscattare col suo sangue la libert di Prometeo ci conservata da Ateneo (, ). La frase risulta poi cancellata dallo stesso Pavese, il quale evidentemente aveva constatato trattarsi di un errore (la notizia non infatti in Ateneo bens nello Pseudo-Apollodoro, II, , 11).

    Cfr. Dughera, Tra gli inediti di Pavese, cit., p. 13. Il Dughera fa riferimento a un quaderno appartenente al Fondo Sini (attualmente catalogato come AGP. AP VI.3: cfr. n. 1), contenente fra laltro alcune traduzioni genericamente denominate Esercizi e con-dotte in gran parte sulledizione del 1 di L. Rocci, Esercizi greci con vocabolario e co-piosa antologia, Societ Editrice Dante Alighieri, Milano 1 e ss., che conservata nella biblioteca di Pavese (FE ), e che lo scrittore aveva richiesto alla sorella Maria nella citata lettera del agosto 13: libri miei dA mAndArmi: [...] Poi, tra le grammatiche, i due voll. del Rocci, Grammatica greca e Esercizi greci (in Lettere I, p. 3). Come an-nota puntualmente Dughera, Tra gli inediti di Pavese, cit., pp. 1-13 e nn., i dialoghi di Luciano tradotti da Pavese con il titolo Esercizi sono: Creso, Mila, Sardanapalo; Menippo Antiloco e Trofonio; Menippo e Mercurio; Vulcano e Giove; Zenofanto e Callidemide; Caronte e Mercurio; Nireo e Tersite; Menippo e Tantalo; Vulcano e Apollo; Giove, Escula-pio e Ercole; Mercurio e Caronte; Diogene e Mausolo; Plutone e Mercurio; Il Ciclope e Nettuno. Lo stesso Dughera aggiunge alla lista anche il brano Arione e il delfino che tuttavia non un dialogo lucianeo, bens un adattamento di Erodoto, I, .

    1 Ora in Luciano di Samosata, Tutti gli scritti, traduzione di L. Settembrini, Bompia-ni, Milano (con testo greco a fronte).

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    Senonch, la mordace e pur greca ironia di Luciano, sebbene ap-prezzata da Pavese, non presente nei Dialoghi con Leuc. Lo scritto-re antico, infatti, si mostra disincantato e perfino irriverente nei con-fronti della religione tradizionale e dei racconti mitici, i quali, persa loriginaria valenza rituale e simbolica, scadono al livello di frivole nar-razioni miranti a dimostrare la futilit e inconsistenza di divinit supe-rate dallormai plurisecolare evolvere della cultura greca verso forme di pensiero razionale. Diversamente, Pavese si sforza di recuperare il signi-ficato originario, ancestrale del mito, in cui le divinit greche scadute di rango, come Circe e Calipso, si relazionano con gli umani in un rapporto condiscendente, benigno, perfino velato di invidia (Lisola, Le streghe), mentre gli di maggiori, come Apollo e Artemide, non rinun-ciano a mostrare il loro volto crudele e terribile (La belva, Giacinto, In famiglia). Calvino sembra tuttavia cogliere nel segno nellaccostare i dialoghi pavesiani a quelli lucianei per le finezze che riguardano le modalit di elaborazione del discorso: entrambi gli autori, infatti, opta-no per un periodare breve, con prevalenza della paratassi, e adottano un linguaggio semplice e colloquiale, pressoch privo di elementi aulici, quasi a sottolineare la familiarit e lintima complicit fra gli interlocu-tori3.

    Pi ampia fortuna (nonostante le perplessit recentemente espresse da Van Den Bossche) toccata allaltro parallelo, quello con Leopardi,

    Lassenza di ironia e di satira sociale differenzia considerevolmente i dialoghi pave-siani da quelli lucianei, cui sono stati tuttavia avvicinati, oltre che da Calvino, anche da U. Mariani, The Sources of Dialogues with Leuc and the Loneliness of the Poets Cal-ling, in Rivista di Studi Italiani, , 1, pp. s. (cfr. B. Van Den Bossche, Nulla veramente accaduto. Strategie discorsive del mito nell'opera di Cesare Pavese, trad. it., Franco Cesati Editore, Firenze 1, p. 3 n. , che non considera il confronto convin-cente).

    3 Sull impronta colloquiale che accomuna i dialoghi di Luciano e quelli di Pavese, cfr. Van Den Bossche, Nulla veramente accaduto, cit., p. 3.

    Ivi, p. 3: I dialoghi pavesiani sono [...] stati avvicinati ad onta dellassenza di elementi satirici e apertamente polemici ad alcuni antecedenti storici appartenenti piuttosto al genere del dialogo mitologico satirico (I Dialoghi di Luciano e Le Operette morali di Leopardi). Sempre secondo il Van Den Bossche, laccostamento dei Dialoghi con Leuc alle Operette morali leopardiane diventato ormai un topos che ha il sapore dellovviet (ivi, p. 3 n. 1). Vale la pena di sottolineare che lo studioso, pur allegando amplissima bibliografia, non tiene conto dello scritto calviniano oggetto della presente discussione.

    CarlesNotaInfluncia de Leopardi

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    che pur essendo a sua volta estimatore dichiarato di Luciano, realizz Le Operette morali in modo pienamente autonomo, scrivendo Dialoghi di ispirazione ora mitologica, ora no, ma sempre improntati a una rifles-sione profonda sul destino delluomo, sulla vita e sulla morte, e soprat-tutto sulla noia, sul male di vivere. Che la precoce, inquietante mo-dernit leopardiana fosse in grado di affascinare Pavese, stato ripetu-tamente sottolineato dalla critica pavesiana a partire dalla fine degli anni , sulla scia di G. Contini, secondo cui i Dialoghi con Leuc sa-rebbero le Operette morali del Neorealismo. Nei documenti di po-etica di Pavese, tuttavia, le tracce leopardiane riconducibili alla compo-sizione dei Dialoghi con Leuc sono scarse e piuttosto generiche, e lo stesso scrittore, in una lettera a Paolo Milano del gennaio 1, a proposito dei Dialoghi, chiama in causa altri nomi: Non le nascondo che mia ambizione, componendo questo libretto, fu pure di inserirmi nella illustre tradizione italiana, umanistica e perdigiorno, che va dal Boccaccio a DAnnunzio.

    Tra il 1 e il 1 Leopardi si era impegnato in un progetto editoriale, mai realiz-zato, per leditore Stella, che prevedeva la traduzione di una Scelta di Moralisti gre-ci (comprendente Isocrate, Plutarco e Luciano).

    G. Contini, Letteratura dellItalia unita 1861-1968, Sansoni, Firenze 1, p. 13. Per gli aspetti pi generali del leopardismo di Pavese, cfr. A. Dolfi, La doppia memoria. Saggi su Leopardi e il leopardismo, Bulzoni, Roma 1; M. Rusi, Le malvage analisi. Sulla memoria leopardiana di Cesare Pavese, Longo, Ravenna 1. Per il rapporto fra le Operette leopardiane e i Dialoghi con Leuc, cfr. D. Thompson, The colloquio tra il di-vino e lumano in Pavese e Leopardi, in Bulletin of the Society for Italian Studies, 1, 1, pp. 1-3; M. Tatti, Il terzo modo: dialogo e ironia tra memoria operettistica e pa-linodia in Cesare Pavese, in Quel libro senza uguali. Le Operette morali e il Novecen-to italiano, a cura di N. Bellucci e A. Cortellessa, Bulzoni, Roma , pp. 3-. Sullipotesi che Leopardi possa essere lintermediario attraverso il quale Pavese si accosta alla vicenda umana e poetica di Saffo, si veda G. Policastro, ...e quei di Saffo obblia: traduzione e invenzione da Leopardi a Pavese, in Semestrale di Studi (e Testi) Italiani, 1 (), pp. 3-.

    Tra i richiami pi significativi, una pagina del Mestiere di vivere (1 luglio 1): Notato che Paesi tuoi e Dialoghi con Leuc nascono dal vagheggiamento del selvaggio-la campagna e il titanismo [...]. Larte del Novecento batte tutta sul selvaggio. Prima come argomenti (Kipling, DAnnunzio ecc.), poi come forma (Joyce, Picasso ecc.). Leo-pardi con le illusioni poetiche giovanili ha vagheggiato questo selvaggio, come forma psicologica (ivi, p. 33).

    Lettere II, p. 1. il caso di sottolineare che la novella del Boccaccio largamente modellata sui dialoghi dei testi medievali: cfr., da ultimo, G. Celati, Lo spirito della no-vella, in Griseldaonline, settembre 1 (http://www.griseldaonline.it/temi/rifiuti-

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    Calvino conclude la sua presentazione (o forse sarebbe meglio dire perorazione), con un suggerimento per lautore dei Dialoghi con Leu-c: che i suoi vagabondaggi per i secoli possano servire per costruire delle nuove favole per noi, necessarie e semplici come quelle degli anti-chi. Al Pavese filologo ed etnologo, dunque, Calvino preferisce il Pa-vese scrittore: nella convinzione che questi sia in grado di costruire per i suoi contemporanei nuove narrazioni, necessarie e semplici e, so-prattutto, non suscettibili di strumentalizzazione. Non a caso, Calvino non parla di miti, bens di favole, nel senso generico di racconti fantastici: poich infatti il mito autentico, che presuppone un com-plesso sistema di credenze, simboli e rituali condivisi, non appare compatibile con la razionale e disincantata civilt moderna e con i suoi sofisticati strumenti comunicativi1, uno scrittore moderno potr appro-

    scarti-esuberi/lo-spirito-della-novella-.html). Quanto a DAnnunzio come punto di ri-ferimento della classicit pavesiana (assieme alle Georgiche di Virgilio), cfr. Pavese, Il mestiere di vivere, cit., p. (e si vedano altres le importanti considerazioni di Gigliuc-ci, Pavese, cit., p. 1).

    In questo caso, evidentemente, il termine favola non usato nel senso tecnico di racconto paradigmatico e moraleggiante, avente come protagonisti animali o cose (come la favola di Esopo, Fedro o La Fontaine).

    Sulla definizione di mito come racconto tradizionale, prodotto senza ausilio della scrittura, nonch strettamente connesso con la sfera religiosa e cultuale, si veda W. Bur-kert, Mito e rituale in Grecia. Struttura e storia, trad. it., Laterza, Roma-Bari 1. Nella prima parte dellopera (pp. 3-), lo studioso offre una lucida e puntuale panoramica delle diverse interpretazioni moderne del mito, soffermandosi in particolare sullanalisi strutturalistica di C. Lvi-Strauss, che a sua volta presuppone gli studi di V. Propp (Mor-fologia della fiaba [trad. it. di Morfologjia Skazki, Leningrad 1], Einaudi, Torino 1). Il fatto che il mito, in quanto narrazione di gesta di di e di eroi civilizzatori e fondatori di citt, fosse considerato dalle societ primitive (nel senso di prive di storia scritta) come veridico e fededegno, non significa necessariamente che i singoli individui vi cre-dessero realmente. In Grecia, la religione olimpica viene difesa strenuamente dalle isti-tuzioni delle varie poleis, in quanto garante dellunit e della stabilit delle citt stesse, anche se di fatto essa posta in discussione gi a partire dal VI e dal V secolo a.C., a causa della concorrenza dei culti misterici prima, e della speculazione sofistica poi. Sullargomento, cfr. P. Veyne, I Greci hanno creduto ai loro miti? (trad. it. di Les Grecs ont-ils cru leurs mythes?, ditions du Seuil, Paris 13), Il Mulino, Bologna .

    1 Che, anzi, del mito tendono a snaturare loriginaria genuinit, manipolandolo a fini politici e/o di potere. Sulla necessit di distinguere il mito genuino [...] che sgor-ga spontaneamente dalla profondit della psiche, dallaltro mito, quello tecnicizzato e asservito ai pi oscuri fini della politica dei dittatori, si veda F. Jesi, Letteratura e mito, Einaudi, Torino 11, pp. 3-3 (che a sua volta riprende la nota distinzione di K.

  • Eleonora Cavallini1

    fondire utilmente la storia dei miti, ma non potr a sua volta crearne. I Dialoghi con Leuc sono dunque favole, non miti, anche se di questi ultimi riprendono temi e personaggi. Lo stesso Pavese, del resto, utiliz-zer il termine favola per designare laspetto affabulatorio del mito, quello che incanta e affascina a prescindere dai suoi pi profondi con-tenuti originari:

    Prima che favola, vicenda meravigliosa, il mito fu una semplice norma, un comportamento significativo, un rito che santific la realt. E fu anche lim-pulso, la carica magnetica che sola pot indurre gli uomini a compiere ope-re3.

    In questo, che fra gli ultimi saggi di Pavese, lo scrittore mette in di-scussione se stesso (cos come qualsiasi poeta), per lincapacit di mantenere integra la sacralit del mito, dopo avere attinto ad esso e al suo mistero. Egli prosegue:

    Il poeta che altro fa se non travagliarsi intorno a questi suoi miti per risol-verli in chiara immagine e discorso accessibile al prossimo? Giacch loro natura demonica che, mentre incantano con lesperienza di un unico, di un assoluto irriducibile, questi miti, che vogliono esser creduti (veri metafisi-ci), inquietano la coscienza come unimportante parola ricordata solo a met, e impegnano tutte le energie dello spirito per rischiararli, definirli, possederli fino in fondo. Ma possedere vuole dire distruggere, si sa. Questa

    Kernyi, Religione antica [trad. it. di Antike Religion, Pantheon, Amsterdam 1], Adelphi, Milano 1, pp. 1-3; Dal mito genuino al mito tecnicizzato, in Id., Scritti ita-liani (1955-1971), Guida, Napoli 13, pp. 113-1). Il concetto era gi stato esposto dello stesso Jesi in Germania segreta. Miti nella cultura tedesca del 900, Silva, Milano 1, Feltrinelli, Milano 1, p. : Nella cultura tedesca degli ultimi centanni il mito sembra essere di volta in volta medicina e veleno, sorgente di rinnovato umanesimo e strumento di barbarie e di delitto. La distinzione fra sorgente e strumento rispecchia quella di Kroly Kernyi fra mito genuino e mito tecnicizzato, luno sgorgato spontaneamen-te dalle profondit delluomo, laltro intenzionalmente evocato dalluomo per consegui-re determinati scopi.

    Cosa di cui del resto sembra consapevole lo stesso Pavese, che nella citata lettera a Fernanda Pivano del giugno 1 (cfr. n. 3), a proposito di un percorso poetico che segua limpostazione fantastica dei miti greci, osserva: Inutile dire che impossibile, dati i tempi di lumi per questo digrigno i denti e mi mangio le unghie.

    3 Cfr. C. Pavese, Il mito, saggio del - gennaio 1, pubblicato in Cultura e re-alt, 1, maggio-giugno 1 (ora in Id., Saggi letterari, cit., pp. 31-31).

  • Pavese tra gli di 13

    distruzione beninteso, una trasformazione toglie al mito violato la sua unicit, la sua misteriosa potenza di simbolo creduto. Il mito che si fa poesia perde il suo alone religioso. Quando si faccia anche conoscenza teorica (umana filosofia), il processo finito.

    Per un poeta moderno che voglia confrontarsi con il mito, si profila un cammino tortuoso e potenzialmente frustrante, soprattutto nellIta-lia del Dopoguerra. Diverse le prospettive della favola, o, pi specifi-camente, della fiaba (il mito in miniatura di Lvi-Strauss). La fiaba infatti, essendo meno condizionata da presupposti religiosi e da obbliganti coordinate spazio-temporali, pu essere continuamente rein-ventata e proposta in qualsiasi momento anche a un pubblico piena-mente consapevole della sua natura di racconto fantastico, e tuttavia disponibile ad apprezzarla per la sua intrinseca capacit di fascinazio-ne nonch per le sue valenze allegoriche. Ma a questo punto, mentre la parabola letteraria di Pavese si avvia a conclusione, si apre quella, altrettanto essenziale e altrettanto necessaria, dello stesso Calvino.

    Cfr. C. Lvi-Strauss, La struttura e la forma. Riflessioni su unopera di V. Propp (trad. it. di La structure et la forme. Rflexions sur un ouvrage de Vladimir Propp, in Cahiers de linstitut de sciences conomiques appliques, , 1, pp. 3-3), in appendice alla traduzione italiana di Propp, La Morfologia della fiaba, cit., p. 13. Si noti che G.L. Bravo, curatore della traduzione italiana del saggio di Propp, dichiara che le parole favola e fiaba sono state usate come varianti dello stesso termine (ivi, p. 3 n. 1).

    Sulla capacit della fiaba di sopravvivere al mito nella civilt moderna, cfr. F. Jesi, Sul Mito e la fiaba, in Tutto fiaba, Atti del Convegno Internazionale di Studio sulla Fiaba, Parma 1, Emme Edizioni, Milano 1, pp. 3-. Jesi fa soprattutto riferimento alla citata traduzione italiana di Propp, La Morfologia della fiaba, in particolare alle pp. 3- dellAppendice, in cui lo studioso russo, appositamente per ledizione italiana, repli-ca al celebre saggio con cui Lvi-Strauss ne riconosceva limportanza anticipatrice (cfr. n. ).

    Calvino, che sperimenter il filone fiabesco/allegorico a partire dal 1 (Il Visconte dimezzato), si dimostrer anche accurato studioso della fiaba, sia con limpeccabile tra-scrizione delle Fiabe italiane, Einaudi, Torino 1, sia con saggi come Sulla fiaba, Mon-dadori, Milano 1. Vale la pena ricordare che, gi alla fine degli anni , Calvino era in grado di attingere a Le radici storiche dei racconti di fate di Propp, pubblicato in russo nel 1, e destinato a uscire nel 1 nella Collana viola einaudiana, nella traduzione italiana di Clara Coisson. Lespressione racconto di fate, con cui la traduttrice rende il russo volebnaja skazka, considerata imprecisa dal Bravo (l.c.), che preferisce tradurre favola di magia.