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CECIMA, LOCALITA’ S. PIETRO: ABITATO DEL NEOLITICO ANTICO Fotografia di scavo della capanna Il sito più antico finora ritrovato nell’Oltrepò Pavese è quello di Cecima, situato su un terrazzo del torrente Staffora. In seguito allo scavo del 1982 questo insediamento ha restituito materiale ce- ramico che trova stringenti confronti con le ceramiche del Vho di Piadena (CR). Le genti portatrici di questa cultura devono quindi aver risalito il corso del Po e poi quello dello Staffora alla ricerca di nuovi territori da colonizzare, forse anche attirate dalla presenza di un giacimento di “pietra verde” da sfruttare per la co- struzione di accette, indispensabili per disboscare e rendere i terreni abitabili e coltivabili. A Cecima doveva abitare un solo nucleo familiare. Della capanna restava soltan- to una buca a forma di rene che probabilmente costituiva una specie di sotto- struttura di bonifica per il drenaggio dell’acqua di infiltrazione. Su tale buca doveva poggiare il pavimento della capanna, costituita da tronchi coperti di terra; nel lato sud della capanna vi era un ampio focolare. Dai carboni di questo focolare, tramite l’analisi del Carbonio 14, si è ottenuta la data di 3980±130 anni a.C.

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CECIMA, LOCALITA’ S. PIETRO:ABITATO DEL NEOLITICO ANTICO

Fotografia di scavo della capanna

Il sito più antico finora ritrovato nell’Oltrepò Pavese è quello di Cecima, situatosu un terrazzo del torrente Staffora.In seguito allo scavo del 1982 questo insediamento ha restituito materiale ce-ramico che trova stringenti confronti con le ceramiche del Vho di Piadena (CR).Le genti portatrici di questa cultura devono quindi aver risalito il corso del Po epoi quello dello Staffora alla ricerca di nuovi territori da colonizzare, forse ancheattirate dalla presenza di un giacimento di “pietra verde” da sfruttare per la co-struzione di accette, indispensabili per disboscare e rendere i terreni abitabili ecoltivabili.A Cecima doveva abitare un solo nucleo familiare. Della capanna restava soltan-to una buca a forma di rene che probabilmente costituiva una specie di sotto-struttura di bonifica per il drenaggio dell’acqua di infiltrazione.Su tale buca doveva poggiare il pavimento della capanna, costituita da tronchicoperti di terra; nel lato sud della capanna vi era un ampio focolare.Dai carboni di questo focolare, tramite l’analisi del Carbonio 14, si è ottenuta ladata di 3980±130 anni a.C.

GODIASCO, LOCALITÀ MONTE ALFEO:ABITATO DEL NEOLITICO ANTICO

Il monte Alfeo

Nel 1993 la Soprintendenza Archeologica della Lombardia ha condotto uno sca-vo in un sito in cui numerose ricerche di superficie avevano permesso di recu-perare abbondanti esemplari di industria litica databile al Neolitico Antico (IVmillennio a.C.). Si mise alla luce un fondo di capanna che misurava m 4.40x4con una profondità massima di m 1.90 dal piano attuale. La ceramica era piut-tosto scarsa e in condizioni non buone. Si è ricostruita comunque parte di unagrande scodella.Le analisi effettuate sull’ossidiana ne hanno stabilito la provenienza dal MonteArci in Sardegna: la sua presenza testimonia, quindi, l’avvenuto contatto escambio, probabilmente, con i Neolitici della costa ligure, dove l’ossidiana ap-prodò per prima. La selce proviene dalle zone alpine, mentre non è ancora ac-certata la provenienza del quarzo jalino.Una piccola accetta, un percussore e scarti dilavorazione di pietra verde documentano comeci fosse una relazione tra questo insediamentoe la vicina “officina” di Rivanazzano.La perizia nella lavorazione della pietra è di-mostrata dal rinvenimento di piccolissime per-line in steatite, che, come dimostra una lastri-na in corso di lavorazione, venivano prodotte“in casa”. Asce in pietra verde

RIVANAZZANO: SITO NEOLITICODI PRODUZIONE DELLA PIETRA VERDE

A Rivanazzano, durante varie ricerche di superficie condotte su un terrazzo sul-la riva sinistra del torrente Staffora, si sono raccolte varie centinaia di ciottolifluviali a diversi stadi di lavorazione che documentano come in quella zona esi-stesse una “officina” per la produzione di asce-accette in pietra verde. Questooffre la possibilità di studiare l’aspetto tecnologico di produzione, a partire dalciottolo grezzo che presentava già una forma naturale “asciforme”, che venivapoi successivamente sbozzato tramite scheggiatura e parzialmente rifinito me-diante una martellinatura operata con ciottoli-percussori rotondi. La rifinitura fi-nale, cioè la levigatura delle superfici o almeno del tagliente non è rappresen-tata: evidentemente i prodotti finiti erano poi commercializzati e non si trovanotra il materiale di scarto di lavorazione.La materia prima era costituita sia da rocce verdi di tipo duro, come l’eclogite,sia più tenere come le serpentiniti. Sembra provenire dal bacino idrografico del-lo Staffora.È probabile che gli insediamenti neolitici di Cecima e di Godiasco in Valle Staf-fora e di Brignano Frascata in Val Curone fossero in relazione con lo sfruttamen-to di questo giacimento di pietra verde.Invece i prodotti finiti sono stati esportati in un’area più vasta: si sono infatti tro-vate accette a Casteggio, Salice Terme, Varzi, Montù Beccarla, Pietra de’ Gior-gi, Montesegale.

Torrente Staffora

Raccolta della pietra verdeImmagini da “Alla conquista dell’Appennino. Le prime comunità delle valli Curone,

Grue e Ossola”, a cura di M. Venturino Gambari; pp. 19-20.

VOGHERA, LOCALITÀ MEDASSINO:SEPOLTURA ENEOLITICA

Ipotetica ricostruzione di cerimonia funebre preistorica

L’Eneolitico, o età del Rame, in Lombardia è caratterizzato in gran parte dallacultura di Remedello che prende il nome dal sito omonimo della pianura sudorientale, dove, alla fine dell’Ottocento venne alla luce un sepolcreto con 124tombe di inumati, rannicchiati su un fianco e accompagnati da un “corredo fu-nebre” cioè da una serie di oggetti posti vicino ai defunti: lame di pugnale epunte di freccia in selce, asce in pietra, perle e bottoni in osso.Nel 1978 a Voghera, località Medassino, alcuni operai rinvennero in un cantie-re edile i resti di tre scheletri umani, posti sul fianco sinistro e una lama di pu-gnale in selce indubbiamente confrontabile con quelle della necropoli di Reme-dello. Le ossa appartenevano a un uomo e a una donna, entrambi di circa 30anni, e a un’altra donna deceduta in età più avanzata.Non si hanno ulteriori dati sulla struttura della tomba e anche la posizione di unodegli scheletri, qui esposto, è stata arbitrariamente ricostruita per analogia conquanto noto circa le usanze funerarie della cultura di Remedello.Si propone per essi una datazione generica tra il 2500 e il 2000 a.C.

Due inumati della necropoli di Remedello

VERRETTO,LOCALITÀ CAVA FRATELLI BIANCHI:

INSEDIAMENTO DEL BRONZO ANTICO

Museo dei Grandi Fiumi di Rovigoricostruzione di uno spaccato di capanna dell’età del bronzo

I lavori in una cava nei pressi di Verretto hanno messo in luce (1983) un depo-sito archeologico intagliato nelle argille sterili di alluvione del torrente Coppa aoltre 10 metri di profondità: in tale deposito si sovrapponevano tre strati diffe-renti per colore e composizione, di pochi centimetri di spessore.I primi due strati, per l’intenso colore rossastro, sembravano distrutti da un in-cendio, mentre il terzo strato aveva un colore nerastro.Lo scavo ha restituito materiale appartenente alla prima età del Bronzo, carat-terizzato da vasi a forma di boccale, di tronco di cono, ornati da cordoni lisci.Gli strati appartenevano probabilmente a una capanna anche se i confronti conle strutture di questo periodo non sembrano calzanti: gli uomini dell’età delBronzo, infatti, abitavano preferibilmente su palafitte poste in zone umide, men-tre il terreno di Verretto non sembra suggerire la necessità di questo tipo di in-tervento.Si trattava quindi forse di una capanna assai simile a quella neolitica di Cecima.

Riproduzione di una palafitta dell’età del Bronzo a Molina di Ledro

ZAVATTARELLO:SITO DELL’ETÀ DEL BRONZO

E DEL FERRO

La collina di Zavattarello con il castello Dal Verme

I materiali di Zavattarello provengono da uno strato di terreno carbonioso, lun-go diversi metri, che venne alla luce nel 1990 in seguito al crollo del murettodi contenimento di un tornante della strada che porta al castello Dal Verme.Si poté operare solo un recupero di quanto affiorava sulla sezione di quellostrato.Pur se non è sempre possibile attribuire a specifiche caratteristiche di un abi-tato quanto è stato ritrovato, è comunque certo che la sommità della collina fufrequentata nell’età del Bronzo Medio Recente (XIV-XIII sec.a.C.) e rioccupatonell’età del Ferro (dal VI al III sec.a.C.).Per l’età del Bronzo Medio-Recente sono presenti frammenti di vasi con deco-razioni e anse tipiche di quel periodo, vasi colatoi, una statuina a forma di ani-male e uno spillone.La fase finale della prima età del Ferro (fine VI-V secolo a.C.) è rappresentatada materiale di tipo golasecchiano: coppe a stralucido, un vasetto situliforme,e fibule di diverso tipo.Infine vi sono frammenti ceramici databili alla seconda età del Ferro (IV-IIIsec.a.C.) che trovano confronti con materiali di tipo sia ligure sia insubre: ollet-te con decorazione a tacche poste a zig-zag, coppe troncoconiche con piededecorato, olle dal lungo collo svasato.La vicinanza con l’analogo sito di Valverde, in una posizione strategica che con-sentiva il controllo delle vie di traffico, è una ulteriore conferma del ruolo attivoma guardingo che gli abitanti dell’Oltrepò Pavese ebbero nei commerci pre-pro-tostorici che collegavano la Liguria, il piacentino e l’alessandrino con le idroviedel Po e del Ticino.

PONTE NIZZA,LOCALITÀ GUARDAMONTE

Una immagine degli scavi recenti a Guardamontecondotti dall’Università degli Studi di Milano

Il sito di Guardamonte si trova sulla sommità del Monte Vallassa dove corre at-tualmente un tratto del confine tra Lombardia e Piemonte ed è posto in posi-zione strategica tra le valli dei torrenti Staffora e Curone.Negli anni Cinquanta la Soprintendenza Archeologica del Piemonte vi condussedegli scavi, considerando piemontesi anche strutture in realtà poste sul suololombardo.I reperti qui esposti provengono da occasionali ricerche effettuate da AlfredoLentini. Attualmente sono in corso nuove campagne di scavo da parte dell’UniversitàStatale di Milano e i materiali risultanti sono in questo museo.Il sito sembra essere stato sporadicamente frequentato dal Neolitico e nell’etàdel Bronzo.Nell’età del Ferro fu sede di un castelliere. Vi si sono ritrovati frammenti di buc-chero etrusco e resti della cultura di Golasecca che testimoniano come, nel VI-V secolo a.C., il Guardamonte fosse un centro di smistamento delle merci chedall’Etruria Padana e dall’emporio di Genova raggiungevano, anche attraverso leminori valli fluviali, il corso del Ticino e i siti d’Oltralpe.In epoca gallica (III sec.a.C.) il sito fu fortificato. Sporadici frammenti di età romana documentano una sua frequentazione finoal I-II secolo d.C.

Il sito del Guardamonte

VALVERDE:SITO DELL’ETÀ DEL FERRO

La più recente scoperta (1997) nell’Oltrepò Pavese si riferisce a materiali recu-perati fortuitamente a Valverde, al bordo di una spianata su cui sorge la chiesa,sottostante le rovine del Castello Verde.Malgrado le condizioni del ritrovamento non siano ben chiare (pare che tutto ilmateriale esposto, oltre a numerosi frammenti meno significativi fosse conte-nuto in una buca di un metro di diametro per altrettanto di profondità), le cera-miche testimoniano una occupazione del sito tra il VI e il III secolo a.C.Sono infatti presenti frammenti a stralucido e un bicchiere con la forma tipicadi VI-V sec. a.C.I rinvenimenti più importanti sono però costituiti da una serie di vasi di ottimaqualità databili al IV-III sec.a.C. che trovano confronti con esemplari presenti nel-le tombe celtiche della necropoli di Garlasco in Lomellina, con materiali liguri econ materiali celtici di Marzabotto (BO).Un piccolo saggio di scavo, eseguito nei pressi della “buca”, non ha purtroppofornito informazioni più chiare.Resta comunque importante il significato di questo ritrovamento che confermaquanto già intravisto a Zavattarello e cioè che non solo il castelliere di Guarda-monte ha conservato testimonianze di insediamento dell’età del Ferro, ma cheprobabilmente anche diverse altre alture dell’Oltrepò furono siti abitati, da cuisi potevano dominare le vie di traffico restando prudentemente al riparo, intempi evidentemente non del tutto pacifici.

Panorama di Valverde

VERRETTO,LOCALITÀ CAVA FRATELLI BIANCHI:

ELEMENTI DI CORREDO DA SEPOLTUREDELLA PRIMA ETÀ DEL FERRO

A Verretto, località cava fratelli Bianchi, vennero recuperati i corredi di almenotre tombe della prima età del Ferro (prima metà del VI sec.a.C.). Il numero del-le sepolture si può dedurre da quello delle ciotole coperchio usate per coprirealtrettante olle cinerarie in ceramica comune.Non si sa nulla della tipologia delle tombe di Verretto: in genere in epoca gola-secchiana i resti della cremazione erano posti in olle con coperchio e quindi intombe a fossa.Si tratta di un ritrovamento importante che documenta la presenza di rapporticon genti di tradizione golasecchiana nell’Oltrepò Pavese, già indiziata da vec-chie scoperte e confermato da quelle più recenti (Verretto, Zavattarello e Guar-damonte). Lo studio della ceramica ha rivelato stretti rapporti con prodotti ana-loghi di ambito ligure. Le fibule in bronzo sono del tipo a sanguisuga e ad arcoserpeggiante, talora con disco fermapieghe.

Cerimonia funebre golasecchianaIl rito funerario prevalente era quello dell’incinerazione, soprattutto nella formaindiretta: il cadavere veniva portato sulla pira e quindi cremato. I suoi resti era-no raccolti nell’urna cineraria, coperta da una ciotola.Nelle tombe femminili si trovano in genere fusaiole, fibule a sanguisuga e di-schi fermapieghe, quelle maschili si differenziano per la presenza di fibule adarco serpeggiante e servizi per la toilette personale.

LE TOMBE ROMANEDI CASTELLETTO DI BRANDUZZO

Vassoio in vetro fuso in stampo (Castelletto di Branduzzo, tomba 1)

Molte tombe di età romana sono state rinvenute, in momenti diversi, in comu-ne di Castelletto di Branduzzo, specialmente nel corso delle escavazioni di ar-gilla nelle numerose cave che costellano il territorio.I rinvenimenti più considerevoli sono localizzati nell’area della vasta cava d’ar-gilla intorno alla cascina Bronzina (cava ex Gallotti, ora Branduzzo Laterizi). Qui,già negli anni Sessanta-Settanta, un gruppo di appassionati, seguendo le esca-vazioni, aveva individuato e recuperato un consistente nucleo di sepolture acremazione e a inumazione dotate di pregevoli corredi, in cui spiccavano parti-colarmente bellissimi vetri. Purtroppo non si è più in grado di ricostruire moltiaspetti del rito funerario, come le tipologie tombali e la composizione dei cor-redi. I materiali conservati sono cronologicamente collocabili fra il I e il II seco-lo d.C.. Quanto alle tipologie sepolcrali sembrano prevalenti le incinerazioni innuda terra, ma risultano documentate anche le cremazioni in cassa di laterizi,con nicchie per la deposizione del corredo, che frequentemente ricorrono a Ca-steggio e nel territorio circostante (Redavalle).Un piccolo gruppo di tombe a incinerazione, con un solo esempio di inumazio-ne destinata a un bambino, venne ritrovato nel 1989, sempre a seguito diescavazioni della cava. In questo caso i corredi, databili al I secolo d.C., eranopiù modesti e per lo più composti da materiale ceramico. La struttura preva-lente era quella a cassa di tegole. Vennero rinvenute anche le tracce di unustrino.Un altro nucleo di tombe fu messo in luce nel 1994 a non molta distanza (cir-ca 70 m.) da una villa rustica di età imperiale, da cui era separato da un anticocorso d’acqua. I corredi sono di scarsissima entità e gli oggetti poco significa-tivi ai fini di una precisazione cronologica.La frequentazione dell’area sembra comunque databile dal I secolo d.C. all’etàtardoantica. Le tipologie tombali sono varie: un’inumazione di un adulto in cas-sa lignea, presumibilmente tardoantica, un’inumazione di neonato posto tradue coppi, un’incinerazione in cassetta di laterizi con copertura alla cappuccina,tre cremazioni in fossa in nuda terra e un’incinerazione in cassa di laterizi, pur-troppo molto danneggiata. Le cremazioni sono tutte indirette; in vicinanza del-le tombe è stata individuata un’ampia zona di ustrino, costituita da uno stratodi terreno nerastro con molti frammenti di carboni e di ossa combuste.Altre sepolture sono state rinvenute, negli anni Sessanta-Settanta, in localitàBassini, Fornace Candiani e cascina Cantausignolo: di esse purtroppo restascarsissima documentazione, ma alcuni dei materiali conservati, come i vetrisono veramente notevoli.

LA NECROPOLI ROMANA DI REDAVALLE

Una tomba di Redavalle in fase di scavo

L’esistenza di una grande necropoli di età romana in località Vigna Gragnolate,nel territorio di Redavalle, fu segnalata già nel 1908-1909 da Giovanni Patroni,in seguito al rinvenimento di numerose tombe. Molti anni dopo, nel 1984, ven-nero scavate, negli stessi terreni, altre sepolture, in parte già danneggiate da-gli scassi profondi operati dall’impianto di un vigneto e dagli smottamenti delsuolo.Le tombe, a cremazione (sempre indiretta) e a inumazione, in prevalenza data-bili fra il I e il II secolo d.C., ma con tracce di frequentazione fino al tardoantico,presentano tipologie strutturali diversificate.Per quanto riguarda il rito della cremazione, accanto alle semplici deposizionidelle ceneri e del corredo in una fossa in nuda terra, compaiono le casse for-mate da tegole, con copertura piana, e le più complesse casse costruite in la-terizi legati da malta con copertura a mattoni sovrapposti in modo scalare, chepresentano nelle pareti interne una o due nicchie per la deposizione del corre-do. Quest’ultimo tipo di struttura ha ampia diffusione a Casteggio (area Pleba,via Torino, fornace Locatelli) e nelle località limitrofe (Castelletto di Branduzzo).Fra le sepolture a inumazione, oltre alle deposizioni di scheletri in fosse in nu-da terra, si sono evidenziate tombe alla cappuccina, a cassa di tegole (anchecon due scheletri) e un caso di fossa comune delimitata da un muretto di late-rizi frammentari, priva di copertura.Si è riscontrato anche il fenomeno del riutilizzo di una tomba più antica, a cre-mazione, per una nuova sepoltura, a inumazione, che ha probabilmente com-portato anche la parziale asportazione del corredo associato alla prima deposi-zione.Tutte le incinerazioni in cassa di laterizi e una fossa in nuda terra presentavanoun vaso, in prevalenza un’anfora, collocato all’esterno della tomba: il recipientecostituiva certamente un segnacolo, ma era utilizzato anche come contenitoreper le offerte funebri, poiché in alcuni casi recava all’interno resti di ossa di vo-latile. Per alcuni esemplari la foratura del fondo ne attesta, inoltre, la funzionedi condotto per le profusiones di liquidi e profumi versati sulla tomba. Si trattadi una testimonianza delle cerimonie funebri che si svolgevano, in particolari ri-correnze, nell’area cimiteriale, secondo consuetudini largamente attestate nel-la civiltà romana.I corredi sono generalmente modesti o di media entità. La necropoli era certa-mente collegata a un insediamento, che doveva sorgere lungo il tracciato del-la via Postumia, ma finora non sono stati trovati elementi per identificarne la po-sizione né, tanto meno, la denominazione antica.

L’AREA CIMITERIALE ROMANADI VIA TORINO A CASTEGGIO

Tombe dell’area Pleba di Via Torino (foto di scavo)

Nel 1974, durante alcuni lavori edilizi, in via Torino - condominio del Console(ex proprietà Cignoli) -, furono rinvenute due tombe romane a inumazione, da-tabili tra la fine del I e gli inizi del II secolo d.C. Una sepoltura era una semplicedeposizione in cassa di laterizi, l’altra era suddivisa in due parti, con nicchie in-terne per il corredo e copertura alla cappuccina. I materiali rinvenuti all’esternodelle tombe rivelano una continuità di utilizzo del sito fino al IV secolo d.C.Nel 1987, in occasione dei lavori di costruzione della Banca Popolare di Milano,uno scavo condotto dalla Soprintendenza Archeologica della Lombardia, portòall’individuazione di un più vasto cimitero (Area Pleba, Via Torino).Furono scavate 33 tombe, con ricchi corredi. La necropoli era stata utilizzataper un arco cronologico compreso tra la metà del II secolo d.C. e il IV secolod.C. Nel I secolo l’area aveva avuto utilizzo agricolo.A un primo gruppo di sepolture (seconda metà del II secolo d.C.) sono asse-gnabili diciotto tombe di cui quindici a inumazione e tre a cremazione; al secon-do (III-IV secolo d.C.) altre quindici deposizioni, otto a inumazione e sette a in-cinerazione.Sono documentati tre tipi di inumazione: in fossa in nuda terra, in fossa in nu-da terra con copertura alla cappuccina, in cassa di laterizi.Altrettanti i tipi di incinerazione riscontrati: in anfora, in cassoni di laterizi connicchie laterali e coperture di embrici sovrapposti e in nuda terra, con corredoe ceneri del defunto deposti entro cassette in legno.In alcuni casi sono stati evidenziati segnacoli funerari e tracce di cerimonie fu-nebri, quali libagioni ai defunti, effettuate tramite canalette formate da coppi oanfore segate.I corredi più ricchi accompagnavano in genere le cremazioni, soprattutto nellafase più tarda. La presenza, nelle tombe, di prodotti di un certo pregio, talorapersino di importazione, è un segnale della floridezza di Casteggio e della suaapertura ai commerci, in un momento in cui, nel resto dell’Italia settentrionale,si riscontra un calo economico pressoché generalizzato.Gli studi condotti sulle ossa di alcuni defunti della necropoli dell’area Pleba a Ca-steggio hanno inoltre evidenziato che gli abitanti della zona si nutrivano bene.Piuttosto, un dato curioso, rilevato da queste indagini, è stato l’esercizio di pra-tiche violenta (una donna è stata trovata priva della testa, un uomo recava sulcranio segni evidenti di una ferita con un’arma contundente).I due rinvenimenti di via Torino dovevano fare parte di un’unica vasta area fune-raria, comprendente venticinque sepolture di I-II secolo d.C. ritrovate nel 1872in viale Giulietti.

IL COMPLESSO ABITATIVODI CASTEGGIO, AREA QUAGLINI

Immagine di scavo dell’area Quaglini di Casteggio

Nel 1992, a seguito di lavori edili, venne esplorata, in via Torino, una zona del-l’abitato antico di Casteggio. I resti, che si trovavano sotto un deposito di argilla alluvionale spesso più di 3metri, sono riferibili a un complesso edilizio, a carattere prevalentemente resi-denziale, che, con varie fasi di occupazione, interessa un lungo arco cronologi-co, dalla fine del I secolo a.C. alla fine del V secolo d.C. Non è da escludere, pe-rò, una frequentazione precedente (forse più sporadica e comunque non defi-nibile), databile intorno alla fine del II-inizi I secolo a.C., sulla base della presen-za di materiale di risulta di tipo celtico. Dopo la distruzione dell’abitato, a causadi violente esondazioni dei torrenti locali, l’area viene riutilizzata per sepoltureisolate in epoca altomedievale.Gli edifici occupano uno spazio che nell’antichità era delimitato a nord dalla zo-na di necropoli e a sud dall’antico alveo del torrente Coppa. Lo scavo, ha rive-lato una complessa stratigrafia.Le condizioni delle abitazioni erano purtroppo pessime. Nelle fondazioni nellozoccolo dei muri prevale l’uso dei laterizi, talora con commistione di ciottoli; illegante è principalmente l’argilla, molto meno frequente la malta, in genere discarsa qualità. L’alzato vero e proprio era certamente in argilla con intelaiaturee tramezzi lignei rivestiti di intonaco dipinto.Il materiale trovato nello scavo è invece spesso di gran pregio. L’arredo dome-stico comprendeva, infatti, oltre all’abbondante vasellame in ceramica e aglistrumenti metallici, anche oggetti decorativi in marmo e in bronzo, indici di untenore di vita piuttosto elevato. Particolarmente abbondante l’oggettistica inbronzo: si segnalano le statuette di Mercurio e di Giove e i numerosi elementidecorativi di mobili o di oggetti d’arredamento.Di notevole rilievo una testina celtica (forse decorazione di una spada o di uncoltello), rinvenuta, insieme ad alcune fibule dello stesso periodo in uno stratodi livellamento delle prime fasi, probabilmente in deposizione secondaria: sitratta di un pezzo di grande importanza.

LE VILLE RUSTICHEDELL’OLTREPÒ PAVESE

Numerose sono le ville rustiche individuate o individuabili nel territorio dell’Ol-trepò Pavese. Alcune sono state parzialmente esplorate negli ultimi anni: lemeglio conosciute sono quelle di Castelletto di Branduzzo e Rovescala.

L’edificio di Castelletto di Branduzzo (cascina Bronzina), è circondato da muriperimetrali muniti di contrafforti, posti a intervalli regolari, ed è articolato all’in-terno in vani di forma quadrangolare (per quanto è dato di vedere nella parteesplorata). Ha avuto più fasi di costruzione, in un periodo che va dal I al IV se-colo d.C. I muri sono stati rinvenuti a livello di fondazione; i pavimenti sono co-stituiti da battuti d’argilla, ma sono stati riscontrati anche resti di cocciopestodecorato (con tessere di mosaico disposte a crocette), distrutto già in antico.All’esterno del perimetro dell’edificio è stata constatata la presenza di aree dilavorazione (“forni” scavati nella terra). Alla costruzione era collegata una zonasepolcrale, separata nell’antichità da un corso d’acqua.

La villa di Rovescala, collocata in posizione panoramica sulla cima di un’altura,è di dimensioni notevoli e ha avuto anch’essa un lungo periodo di frequentazio-ne (I-IV secolo d.C.). Al suo interno sono stati identificati al momento dieci va-ni di diverse dimensioni. E’ nettamente distinguibile la parte rustica, posta ameridione, con murature dalla tecnica poco accurata e pavimentazioni costitui-te da battuti, da quella urbana, posta sul lato nord, dotata di pavimenti durevo-li (cocciopesto, battuti di malta, cocciopesto decorato a reticolo di rombi) e mu-rature più accurate, originariamente rivestite di intonaco. Non sono conservatigli elevati, probabilmente costruiti in materiale deperibile. All’esterno, sul latoovest, è stata riconosciuta un’area di cortile, pavimentato con battuto di ghiai-no e frustali di laterizi, con tracce di utilizzo probabilmente produttivo.

Un’altra villa rustica sorgeva in località Sorino a Broni: da essa proviene il gran-de dolium, conservato al piano terreno del museo, esempio di contenitore perderrate posto nei magazzini.

Immagine di scavo della villa di Rovescala

EDIFICI RESIDENZIALI DI CASTEGGIO,VIA EMILIA-CORALLI

Probabile drenaggio di anfore (scavo via Emilia-Coralli, Casteggio)

Nel 1985 la costruzione di due palazzine tra la via Emilia e la via Coralli permi-se di evidenziare alcune strutture riferibili a edifici residenziali di età romana.L’indagine archeologica, per esigenze di cantiere, venne limitata ad alcuni son-daggi stratigrafici.Furono individuati i resti di un edificio, di considerevoli dimensioni, di epoca tar-doromana, databile al IV secolo d.C., che si sovrapponeva a un edificio prece-dente, di I-II secolo d.C. (che non è stato completamente indagato).La costruzione più antica doveva essere di tipo lussuoso, considerato il ritrova-mento di resti di pavimentazioni musive (a decorazioni geometriche), purtrop-po già distrutte, e di numerosi frammenti di intonaco dipinto a vivaci colori. Mat-toni cilindrici per suspensurae e tubuli fittili, rinvenuti nel crollo, testimoniava-no la presenza di impianti di riscaldamento.Gli intonaci, che hanno un notevole spessore, rivestivano certamente muratu-re in argilla cruda, intervallate da pilastri in laterizi.Fra l’abbondante materiale ceramico recuperato si segnalano particolarmente leanfore presenti in grande quantità e riferibili al I-II d.C. In una buca, probabilmen-te un drenaggio, furono rinvenuti diversi esemplari quasi integri: la maggior par-te di essi, proveniva dalla zona adriatica, a testimonianza della vitalità dei com-merci a Casteggio.Fra i reperti più notevoli spiccano per la loro rarità, nell’ambito del territorio, ilframmento di decorazione in stucco, con motivo a ovoli, e il frammento di unacoppetta in vetro decorata a mola, che reca l’immagine di un tempietto eun’iscrizione lacunosa (IS).Curioso è invece il frammento di intonaco, di colore violaceo, su cui è graffito(evidentemente dopo la messa in opera) il volto di una figura, una sorta di pic-colo diavolo.L’aspetto più rilevante del ritrovamento è la testimonianza di una continuità diutilizzo dell’area urbana di Clastidium, con attività costruttive considerevoli, an-che nel tardoantico, cioè in un periodo solitamente ritenuto di crisi e di impo-verimento.

Frammento di mosaico (scavo via Emilia-Coralli, Casteggio)

I RITROVAMENTI TARDOANTICHIIN OLTREPÒ

Ritrovamenti isolati di epoca tardoantica sono stati effettuati nell’Oltrepò Pave-se sia alla fine del Novecento, sia in epoche più vicine alla nostra.Attestazioni di sepolture tardoantiche si hanno a Salice Terme, mentre da Riva-nazzano proviene materiale di età longobarda, riferibile, pur con qualche incer-tezza, a un contesto funerario.Fra gli insediamenti isolati si segnala quello di Borgo Priolo, dove è stata mes-sa in luce una necropoli con due livelli di occupazione, il primo dei quali era pro-babilmente collegato a strutture residenziali, presumibilmente di tipo rustico.Le tombe, anche plurime, erano prive di corredo.L’impoverimento dei corredi e l’utilizzo di una struttura per più deposizioni so-no caratteri distintivi delle sepolture tardoantiche, che si accentueranno nellesuccessive epoche altomedievale e medievale. Significativa in questo senso èuna tomba rinvenuta, nel 1968, a Castelletto di Branduzzo, località Bassini: unacassa formata da laterizi frammentari e disposti senza cura, con copertura allacappuccina, conteneva quattro scheletri, due dei quali risultavano spostati eammucchiati per far posto ai due successivi. Unici elementi di corredo un’armil-la bronzea, una fusaiola e alcuni vaghi di collana, probabilmente pertinenti a unasola deposizione, certamente quella di una donna.Per quanto riguarda il resto del territorio, gli indizi di insediamenti sparsi si rica-vano dagli sporadici rinvenimenti di materiali tipicamente tardoantichi (come laterra sigillata chiara, la pietra ollare, l’invetriata tarda) o di monete dell’epoca,queste ultime singolarmente abbondanti, talora intenzionalmente occultate.Un importante ripostiglio monetale è quello di Oliva Gessi, composto da 542monete, prevalentemente coniate nella zecca della vicina Ticinum, deposto nelprimo ventennio del IV secolo all’interno di una brocca bronzea: anche il conte-nitore metallico appartenente a una tipologia particolarmente diffusa in età tar-doromana (Blechkannen), con una significativa concentrazione di esemplariproprio nell’Oltrepò.La brocca di Voghera (III-IV sec.d.C.), proviene dalla necropoli della Fornace Ser-vetti (scavata nel 1914) e precisamente da una tomba a cassa “marmorea”.L’esemplare di Codevilla (III sec.d.C.), rinvenuto nel 1936-1937, è formato dal-l’assemblaggio di più parti unite mediante ribattini. All’interno, alla giunzione fraspalla e ventre, è presente una riparazione antica. Inoltre, si notano spesse in-crostazioni calcaree, specialmente sul collo, che ne fanno supporre l’impiegocome contenitore d’acqua calda.Per tutti e tre i pezzi è ipotizzabile la produzione in officine dell’Italia settentrio-nale.

Immagini dello scavo di Borgo Priolo

ELEMENTI ARCHITETTONICIDA BORGO PRIOLO

I tredici pezzi esposti provengono dalla Chiesetta di S. Maria del Monte di Bor-go Priolo (attualmente inglobata in un’abitazione privata dove furono rinvenutiall’inizio degli anni Ottanta durante lavori al campanile e alle parti civili confi-nanti).Essi sono tutti in arenaria, una roccia calcarea cavata nei colli dell’Oltrepò, im-piegata negli edifici romanici come pietra di rivestimento di murature in matto-ni e per gli elementi decorativi.Nelle sculture di Borgo Priolo si riconoscono capitelli, parti di cornici, fregi o sti-piti e un archivolto per finestra. La decorazione, non completata e solo in alcu-ni casi estesa all’intera superficie a vista, è simile a quella impiegata nelle chie-se pavesi tra XI e XII secolo: prevalgono nastri intrecciati a due o più capi, ripre-si dalla tradizione altomedievale, tralci vegetali, foglie di palma e animali (unleoncino nell’atto di mordersi la coda sull’archivolto). I motivi sono realizzati conaccuratezza nella resa del dettaglio, che rimanda alle tecniche dell’oreficeria edell’intaglio in avorio.Lo studio della chiesa (attualmente ancora in corso) non ha per ora consentitodi stabilire la pertinenza originaria del materiale giunto al Museo.La frammentarietà e l’incompletezza dell’ornamento inducono a ipotizzare il re-cupero dei pezzi allo stato di “non finito” da un vicino cantiere e l’utilizzo nellacostruzione della chiesetta.La decorazione e la tecnica esecutiva avvicinano i frammenti di Borgo Priolo al-la scultura architettonica pavese della prima metà del XII secolo, per esempioquella delle chiese di S. Pietro in Ciel d’Oro, S. Michele Maggiore e S. Giovanniin Borgo.

Disegno ricostruttivo di arco di monofora da S. Maria di Torre del Monteda “Memoriola - Mormorala. Riscoperta di una pieve dell’Oltrepò Pavese”,

a cura di S. Lusuardi Siena, p. 198, Varzi (PV), 2006.

S. Michele Maggiore (PV) S. Pietro in Ciel d’Oro (PV)

TOMBA LONGOBARDADA RIVANAZZANO

Esempio di tomba longobarda

Le notizie sul ritrovamento, effettuato a Rivanazzano, località Germana nel1939, sono assai limitate. Non sono state fornite, nella scarna documentazio-ne che accompagnava gli oggetti, indicazioni sul tipo di sepoltura, il che indu-ce a pensare che i reperti siano stati trovati al di fuori della loro collocazione ori-ginaria.Dal punto di vista cronologico sono omogenei, essendo databili alla prima me-tà del VII sec.d.C.; questo dato potrebbe costituire una parziale conferma circal’appartenenza allo stesso contesto.Si tratta di un ritrovamento molto importante poiché consente di provare ar-cheologicamente quanto si conosceva prima sull’Oltrepò Pavese solo sulla ba-se di alcuni toponimi. Presenze longobarde erano infatti supposte sulla base deinomi dei torrenti Staffora e Bardonezza, delle località Martinasca e Garivalda, diBosnasco e di Zavo.La prima metà del VII sec. è tra i momenti più dinamici dell’espansione longo-barda: anche il tortonese è, nello stesso periodo, interessato da insediamentidell’età di Agilulfo tra il VI e il VII secolo d.C.Problematica, come per tutti i ritrovamenti dello stesso tipo effettuati nel nordItalia, l’appartenenza del materiale trovato: al popolo longobardo vero e proprioo a locali che ne avevano assunto usi e costumi?

Tomba e corredo longobardi

LA FORNACE DI VOGHERA

Planimetria della città di Voghera all’inizio del XVIII sec.

Tra la fine del 1980 e i primi mesi del 1981, durante i lavori di ristrutturazionedi un edificio affacciato sull’attuale piazza Vittorio Emanuele II, vennero rinvenu-te due fosse, di cui una colma di numerosi frammenti di ceramica tardomedie-vale relativi a una discarica di fornace, mentre l’altra che conteneva, oltre aframmenti ceramici anche vetri, metalli, pietra ollare è stata identificata comediscarica domestica. Mancano purtroppo testimonianze relative alla strutturache produceva questa ceramica, ma è probabile che non fosse molto distantedallo scarico dei pezzi malriusciti.Se così fosse la fornace si sarebbe trovata nel pieno centro cittadino, ovvero inuna posizione insolita, poiché i forni erano di solito collocati in periferia per evi-tare incendi nell’abitato. Tuttavia le numerose ordinanze, emesse appunto persollecitare la localizzazione delle fornaci in periferia, potrebbero indicare che,nel costruirle, la tendenza fosse proprio contraria.I reperti consentono di datare la discarica al XV secolo. Trattandosi di residui dilavorazione essi possono fornire indicazioni principalmente sulle ceramiche pro-dotte e sugli errori di cottura e non sulla diffusione sul mercato delle varie clas-si ceramiche attestate. Resta da stabilire se gli scarti provengano da uno o dapiù vasai: i disegni sui piedi di gallo (i distanziatori da forno) potrebbero esse-re serviti a distinguere la produzione di diversi tornitori, che utilizzavano la stes-sa fornace.Poiché dall’analisi dei censimenti fiscali del periodo emerge un’alta concentra-zione di vasai rispetto alla popolazione, che utilizzava anche stoviglie in legno,si pensa che la produzione di ceramiche di Voghera fosse destinata non solo almercato locale, ma anche all’esportazione.

Fornace per la cottura della ceramica

MONETE DA VARIE COLLEZIONIDI CASTEGGIO

BESTETTI BORELLA BRELLA CALLEGARI-GIULIETTI DI FAZIO

Le monete esposte provengono da diverse collezioni private, donate in passa-to al comune di Casteggio. Alcune tra esse sono di epoca romana (donazioneDi Fazio), la maggior parte sono da riferire all’età romana imperiale (Bestetti,Borella, Brella, Callegari-Giulietti).Soltanto tre sono più tarde, della seconda metà del XV sec. d.C. e sono stateemesse da Ferdinando I e Federico III di Aragona, in Italia Meridionale.Come la maggior parte del materiale di collezione, la scelta delle monete cor-risponde a un gusto estetico-antiquario; così tra il materiale donato al Comunedi Casteggio non si trovano serie complete, ma solo alcuni esemplari scelti sul-la base dei gusti personali del collezionista, o in base a ciò che si trovava sulmercato.Non si sa esattamente la provenienza delle monete qui esposte. Si suppone,per quelle della collezione Callegari-Giulietti, che siano state trovate a Casteg-gio alla fine dell’Ottocento.

Monete romane imperiali

CARLO GIULIETTI 1825-1909E LE DONAZIONI DI PRIVATIAL COMUNE DI CASTEGGIO

“…lo scopo del libro è, narrando le cose del passato, di affezionare i propri com-paesani al paese, e a volerne seriamente il maggior bene presente e a venire.”

Così scriveva Carlo Giulietti, illustre studioso e politico dell’Oltrepò Pavese.Nato a Casteggio nel 1825 da una famiglia di origini piemontese, intraprese glistudi di Giurisprudenza all’Università di Pavia, dove fu alunno del Collegio Ghi-slieri, e dove si laureò nel 1850. Tornato al paese d’origine, vi iniziò una fervi-da attività politica che lo portò a rivestire diverse cariche tra cui quella di Sin-daco tra il 1856 ed il 1860. Gran parte della sua attività fu dedicata al miglio-ramento del benessere sociale dei cittadini.Di particolare interesse in rapporto alla sua attività collezionistica è la carica diIspettore agli Scavi, che si svolsero durante la sua amministrazione per la ret-tifica del Coppa e per la costruzione della stazione ferroviaria, mettendo in lucenumerosi reperti di età romana e pre-romana. Il materiale recuperato confluì incollezioni locali e nella sua raccolta personale oggi divisa tra i musei di Pavia edi Casteggio, che comprende materiali diversi, dalla preistoria alla tarda roma-nità.Pur con un approccio dilettantesco, il Giulietti scrisse numerose opere riguar-danti Casteggio, il Vogherese e la storia dell’Oltrepò in genere, fermo al princi-pio secondo il quale il culto del passato non dovesse essere privilegio di stu-diosi, ma “compito di tutti i cittadini, perché ognuno deve concorrere nella pro-pria sfera di azione all’opera di conservazione dei monumenti patrii”.

Qui è esposta una parte della Collezione Giulietti, donata dagli eredi Callegari alComune di Casteggio. La sua importanza, così come quella di altri lasciti fattida privati nel corso degli anni, sta nel fatto che si tratta di oggetti romani di pro-venienza locale.

Le altre collezioni, Patrucco, Cavagna e Lainati comprendono, invece, materialitra loro diversissimi. Questo dipende dagli interessi personali dei singoli, chehanno raccolto, forse durante i loro viaggi, i manufatti archeologici che maggior-mente rispondevano al loro gusto personale. Così si sono formati nuclei parti-colari: uno composto esclusivamente da pesi da telaio e oscilla in ceramica co-mune, un altro da oggetti di un certo pregio provenienti dall’Italia centrale e me-ridionale, un altro ancora costituito quasi interamente da balsamari, interi oframmentari, in ceramica a vernice nera.

Una tavola dal libro di C. Giulietti, “Casteggio: notizie storiche. Parte II.Avanzi di antichità”, Voghera, 1893.

LE VILLE RUSTICHE

La villa rustica fu un modello insediativo molto importante per le campagna nelmondo romano. Ebbe diffusione vastissima specialmente nelle zone periferichee provinciali dell’impero. Anche in Italia settentrionale l’impianto delle ville rusti-che, generalmente poste all’interno delle maglie della centuriazione e comun-que collegate da percorsi viari ai centri principali, rappresentò un fenomeno im-portante sia per l’economia che per il popolamento.Dal punto di vista architettonico la villa rustica si articola in due parti, denomi-nate con i termini latini di pars urbana o dominica, cioè il quartiere residenzia-le, e pars rustica, cioè la zona produttiva.La pars urbana è l’abitazione del dominus; presenta quindi raffinati caratteri re-sidenziali. Rispetto a quella rustica è edificata con materiali più pregevoli e du-raturi. Si articola in ambienti di rappresentanza e vani a destinazione privata,comprende stanze per gli ospiti. Talora si arricchisce di terme, complete di tut-ti i servizi, e di edifici per il culto.La pars rustica comprende tutte le strutture necessarie al funzionamento pro-duttivo della villa, spesso distribuite in blocchi separati attorno a una grandecorte (su un lato della quale poteva affacciarsi anche la pars urbana). Vi sono idepositi per gli attrezzi agricoli, i magazzini per i prodotti lavorati e semilavora-ti, gli impianti di lavorazione per i prodotti stessi (per la macinazione del grano,la spremitura delle olive e dell’uva), le stalle e i recinti per gli animali, le infra-strutture per il rifornimento idrico (pozzi, cisterne, vasche), talora piccole forna-ci o fucine, per sopperire alle più immediate esigenze interne. Vi sono poi glialloggi per gli schiavi; un’abitazione più confortevole è talvolta riservata al pro-curator, figura corrispondente al nostro fattore. Concettualmente e funzional-mente, infatti, la villa rustica può essere paragonata alle grandi tenute agricoleche dominavano in tempi non molto lontani le campagne, che comprendevanola casa padronale, le abitazioni per i contadini, le stalle, i magazzini e gli am-bienti di servizio.Dal punto di vista costruttivo la pars rustica corrisponde a criteri di economia epraticità: è quindi edificata con materiali non pregiati e con tecniche povere.

Ricostruzione del cortile di una villa rustica romana.Si notino i dolia interrati e la macina

LA CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTINEL MONDO ROMANO

Il problema della conservazione degli alimenti fu molto sentito nell’antichità. Inassenza di sofisticati mezzi di refrigerazione, furono trovati diversi espedientiche garantivano che i prodotti della terra, una volta raccolti, non si deterioras-sero e fossero protetti dall’umidità e dall’azione degli agenti atmosferici.Nel mondo romano esistevano luoghi nei quali venivano poste derrate alimen-tari in grossa quantità, di tipo diverso in base agli alimenti che vi erano conser-vati. Il grano e i cereali, per esempio, una volta essiccati, si mantenevano piut-tosto bene ed erano abbastanza protetti dai parassiti. Nelle città principali esi-stevano dei granai, probabilmente muniti di veri e propri silos a fossa, che ser-vivano anche come luoghi di distribuzione alla popolazione.Dallo storico Livio sappiamo che, all’arrivo di Annibale in Italia Settentrionale,Casteggio era un horreum, cioè un deposito granario, dei Romani e che il con-dottiero cartaginese se ne impossessò per sfamare le sue truppe di stanza alTrebbia. Ma di questo non abbiamo tracce archeologiche.Nelle fattorie, nelle ville rustiche e nelle abitazioni private, esistevano magazzi-ni di dimensioni ridotte e proporzionati alle esigenze. Spesso ci si serviva dicontenitori in argilla, i dolia, di dimensioni notevoli, che venivano interrati e che,una volta chiusi, garantivano la protezione del cibo. Non è raro il rinvenimentodi questi grossi recipienti in Oltrepò. Nella maggior parte dei casi sono stati tro-vati frammentari, in qualche circostanza fortunata interi e proprio nel luogo nelquale erano stati interrati in età antica, come nel caso del dolio di Broni. Per leloro caratteristiche di robustezza e anche poiché erano interrati nel terreno cheli proteggeva, non si rompevano tanto facilmente ed erano usati per lunghi pe-riodi di tempo, talvolta anche per secoli.

Dolia interrati

IL TRASPORTO DEGLI ALIMENTI

Esempio di anfore impilate: il carico della nave di Albenga

I contenitori da trasporto per eccellenza delle derrate alimentari nel mondo ro-mano, erano le anfore. Si trattava di “vuoti a perdere”, in quanto i recipienti, unavolta svuotati del loro contenuto, non venivano restituiti ai loro produttori.Frammenti o, nei casi più fortunati, esemplari interi, si trovano comunementenegli scavi. Spesso le anfore venivano riutilizzate nella parte interna delle mu-rature delle case, nei drenaggi di spazi coperti o scoperti, o addirittura comesepolture nelle necropoli.Sono manufatti fondamentali per ricostruire la storia dei commerci nel mondoantico in quanto spesso è possibile individuarne la zona di provenienza, se nonaddirittura, nel caso di esemplari recanti il bollo di fabbrica, l’officina di produ-zione. Inoltre, in diversi casi, è stato possibile associare una forma a un parti-colare tipo di contenuto (generalmente vino, olio o salse di pesce, ma anchecereali): quindi dal tipo di anfora è possibile riconoscere il prodotto che vi eratrasportato.Le anfore erano lavorate al tornio, generalmente in impianti di produzione vici-ni a fondi agricoli. Il contenuto di ciascuna anfora doveva rispettare le unità dimisura vigenti all’epoca (in media tra i 19 e i 26 litri cioè un quadrantal o am-phora); la parte finale a punta consentiva la stabilità dei recipienti nelle cantinee nelle navi da carico. Talvolta all’interno si trovano tracce di resine di pino, unasorta di impeciatura che tappezzava le pareti, le rendeva impermeabili e davaprofumo al vino. Dopo essere state riempite le anfore erano chiuse con tappidi argilla e sigillate con calce. Questi contenitori erano trasportati per via mari-na o fluviale, meno frequentemente per quella terrestre: le stive delle imbarca-zioni, potevano contenere un maggior numero di anfore rispetto ai carri, inoltrei commerci via terra erano molto meno economici.A Casteggio e in Oltrepò, come in quasi tutta l’Italia Settentrionale, durante l’etàromana, la maggior parte dei prodotti proveniva dalla zona adriatica e quella tir-renica. Il trasporto avveniva verosimilmente tramite il Po e i suoi affluenti, na-vigabili in epoca antica, e la via Postumia. Sono attestati anche trasporti di pro-dotti da terre più lontane: le salse di pesce dalla Spagna, alcuni vini pregiati dal-le isole greche e, nel periodo tardo antico, olio dall’Africa e vino dall’Oriente.Invece i prodotti agricoli del territorio, consumati in zona, venivano posti all’in-terno di contenitori in materiale deperibile (quali botti in legno) o di anforette dipiccole dimensioni a fondo piatto.

LE CASE DI ETÀ ROMANALe murature degli edifici di età romana nella zona dell’Oltrepò Pavese erano pre-valentemente costruite in laterizi, interi o frammentari, con l’impiego di pietrelocali e ciottoli.Negli scavi archeologici i muri si rinvengono per lo più a livello di fondazioni; so-lo in qualche caso sono conservati resti dell’elevato, che ha subito gli effetti del-le spoliazioni antiche e della distruzione del tempo.In molti casi poi l’alzato dell’edificio era costituito da intelaiature lignee rivesti-te da argilla cruda, materiali deperibili che lasciano scarse tracce. Recenti sca-vi provano un’ampia diffusione nell’area padana di questa tecnica edilizia.La parete era rivestita di intonaco, talora colorato e decorato, o di lastre mar-moree, negli edificio più lussuosi. A Casteggio e nell’Oltrepò Pavese è abbon-dantemente documentato l’utilizzo dell’intonaco colorato. Rare, invece, sono leattestazioni di decorazioni in stucco, solitamente usato per le corniciature.Vari sono i tipi di pavimentazioni testimoniati nella zona: il materiale impiegatoha una stretta relazione con l’utilizzo dell’edificio o dell’ambiente.Negli edifici rustici o nei vani di servizio delle case sono documentati prevalen-temente semplici battuti di argilla o battuti più compatti, formati da minuti fram-

menti di laterizi misti a ghiai-no. All’interno delle case, especialmente nei vani dirappresentanza e di presti-gio, si riscontrano pavimentirealizzati con materiali dure-voli e spesso pregiati: mat-tonelle rettangolari dispostea spinapesce, piastrelle esa-gonali, cocciopesto (uncomposto di calce e di fram-menti di laterizio), tessere dimosaico.

GLI IMPIANTI DI RISCALDAMENTOIl sistema di riscaldamento nelle case faceva largo uso di elementi fittili. Mat-toncini di forma quadrata o cilindrica (con un diametro di circa 20 cm. e altez-za variabile), impilati a formare colonnine, sorreggevano un pavimento sospe-so (suspensurae): gli spazi vuoti tra le colonnine consentivano la circolazioned’aria calda, che veniva immessa da un focolare sotterraneo (praefunium). Ilpassaggio dell’aria calda, e del fumo, attraverso le pareti avveniva mediantecondotti formati da elementi fittili rettangolari (tubuli), con solchi incisi sulla su-perficie per favorire l’adesione della malta. Lo stesso sistema di riscaldamentoera utilizzato negli edifici termali.

Pavimento a mattonelle esagonali

Impianti di riscaldamento: fotografie di scavo e ricostruzione di un impianto termale

Città di Casteggio Culture Identità e Autonomie Soprintendenza Archeologicadella Lombardia della Lombardia

Civico Museo Archeologico di Casteggio e dell’Oltrepò Pavese

Coordinamento scientifico:Rosanina Invernizzi, Laura Vecchi, Raffaella Fasani

Restauri:Lucia Miazzo, Patrizia Schievano, Restauri Formica, Ambra,

Laboratorio della Soprintendenza Archeologica della Lombardia

Fotografie:Eugenio Marchesi,

Archivio della Soprintendenza Archeologica della Lombardia,Oreste Ricci

Testi a cura disezione paleontologica:

Giacomo Anfossi, Giuseppe Brambilla, Ferruccio Stellasezione preistorica:

Laura Simonesezioni romana, tardoantica, medioevale e collezionismo:Maria Grazia Diani, Raffaella Fasani, Maria Elena Gorrini,

Rosanina Invernizzi, Silvia Marchese, Marta Spini, Laura Vecchi,Gruppo Archeologico Milanese

Hanno reso possibile l’allestimento:Mario Losardo, Paolo Pasotti, Edoardo Riccardi, Oreste Ricci,

Vittorio Bottazzi, Carla Morini, Pierluigi Girani

Grazie per i contributi a:

Sistema Bibliotecario Integrato dell’Oltrepò Pavese

Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia ONLUS

1º piano

piano terra

PERCORSOESPOSITIVO