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AURIGA Lingue, Formazione, Cultura All’alba del XVI secolo l’egocentrismo europeo si trovò di fronte ad una magnificenza umana inaspettata e sorprendente: il Nuovo Mondo si presentò agli occhi dei conquistatori come un ricco e variegato mosaico di tribù, lingue, costumi e modelli culturali i quali, seppure esotici e così diversi, potevano comunque essere compresi e rispettati dall’Europa di allora, già ricca di grandi espressioni artistiche. Le civiltà del Messico e del Perù, come ebbero a riferire i conquistadores spagnoli, avevano raggiunto un livello pari al loro, se si considerano le grandi città e i templi edificati in pietra, l’arte e l’architettura, così come i luoghi di mercato dove venivano venduti prodotti “strani” (come mais, patate, cacao, tabacco, ananas e pomodori) e merci “bizzarre”, come i copricapo lavorati con preziose piume di uccelli tropicali. Gli Aztechi, i Maya e gli Inca possedevano propri stati e imperi governati da capi il cui splendore poteva essere paragonato a quello dei sovrani europei; tale splendore si mostrava agli Europei anche sotto forma di tribunali democratici ed efficienti amministrazioni statali responsabili della tassazione, del governo locale e della contabilità generale. I conquistatori rilevarono anche la presenza di comunità agricole che vivevano ai margini di tanta grandezza urbana, sulle terre dominate dai boschi del Nord America e dalle foreste tropicali del bacino del Rio delle Amazzoni e dell’Orinoco. Alcune tribù del nord-ovest non conoscevano l’agricoltura ma praticavano la pesca del salmone, mentre gli abitanti dell’attuale California si sostentavano con abbondanti risorse di pesce e di ghiande. Nell’Artico e in Patagonia persistevano antichi modi di vivere e gli Europei si imbatterono in un clima particolarmente rigido che non consentiva un popolamento abbondante, né forme complesse di società: qui vivevano tribù di cacciatori nomadi, pescatori e raccoglitori di piante selvatiche; gli Eschimesi si erano acclimatati alle condizioni impervie del suolo e avevano sviluppato un sistema di vita la cui efficienza poteva essere posta sullo stesso piano di quella dei Maya, ormai adattati alle foreste pluviali del Guatemala, e a quella degli Inca, già integrati con l’ambiente andino. L’essere umano non è statico, lo sappiamo, e subisce continue modificazioni; il Nuovo Mondo si presentava dunque come la sintesi di migliaia di anni di cambiamenti e trasformazioni il cui processo ebbe inizio forse ventottomila anni fa, quando il primo essere umano attraversò la Siberia: fu così che, nel corso di una lenta propagazione dall’Alaska alla Terra del Fuoco, piccoli gruppi di persone colonizzarono deserti, foreste, coste marine e catene montuose, e svilupparono laboriose tecniche agricole dando origine dapprima alla mite vita di villaggio, poi alla sontuosa vita urbana la quale, in assoluto isolamento rispetto al Vecchio Mondo, seguì la propria evoluzione che agli Europei sembrò affascinante, seppure singolare. Immaginiamo il Nord America ventottomila anni fa. I primi cacciatori e pescatori che qui si insediarono scoprirono una terra per loro idonea, almeno se si pensa al clima, più mite rispetto a quello della Siberia, e alla vegetazione e alla fauna molto simili a quelle che si lasciarono alle spalle: la tundra, infatti, ricopriva il retroterra della valle del fiume Yukon ed era ricca di betulle, salici e ontani che abbondavano lungo gli argini. Però Il clima mutò e il livello del mare diminuì lasciando che i ghiacciai avanzassero nelle valli montane, ma molte famiglie delle antiche tribù si erano già spostate altrove, dove ambienti più favorevoli, sebbene affini come l’Alaska e le Ande, potessero consentire la sopravvivenza di quelli che rappresentano per noi i primi abitatori dell’America: gli Eschimesi e gli Indiani Algonchini. Queste popolazioni non erano però dedite all’agricoltura, né riuscirono a sviluppare una forma sociale complessa, viste le impervie condizioni ambientali in cui scelsero di vivere: capanne poste su alture i cui terreni era impossibile coltivare, praterie troppo asciutte e foreste tropicali umide, coste nord-occidentali caratterizzate da clima freddo. Eppure la vita che conducevano sulle montagne, nei boschi e vicino all’oceano era talmente soddisfacente che la coltivazione della terra risultava secondaria rispetto ad altre forme di sostentamento alimentare, come la caccia, la pesca e la raccolta di frutti e piante spontanee che venivano anche impiegate per scopi medicamentosi e per la tessitura. Gli Amerindi riuscirono anche ad addomesticare alcune specie di mammiferi e di uccelli.

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AURIGA Lingue, Formazione, Cultura

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All’alba del XVI secolo l’egocentrismo europeo si trovò di fronte ad una magnificenza umana inaspettata e sorprendente: il Nuovo Mondo si presentò agli occhi dei conquistatori come un ricco e variegato mosaico di tribù, lingue, costumi e modelli culturali i quali, seppure esotici e così diversi, potevano comunque essere compresi e rispettati dall’Europa di allora, già ricca di grandi espressioni artistiche. Le civiltà del Messico e del Perù, come ebbero a riferire i conquistadores spagnoli, avevano raggiunto un livello pari al loro, se si considerano le grandi città e i templi edificati in pietra, l’arte e l’architettura, così come i luoghi di mercato dove venivano venduti prodotti “strani” (come mais, patate, cacao, tabacco, ananas e pomodori) e merci “bizzarre”, come i copricapo lavorati con preziose piume di uccelli tropicali. Gli Aztechi, i Maya e gli Inca possedevano propri stati e imperi governati da capi il cui splendore poteva essere paragonato a quello dei sovrani europei; tale splendore si mostrava agli Europei anche sotto forma di tribunali democratici ed efficienti amministrazioni statali responsabili della tassazione, del governo locale e della contabilità generale. I conquistatori rilevarono anche la presenza di comunità agricole che vivevano ai margini di tanta grandezza urbana, sulle terre dominate dai boschi del Nord America e dalle foreste tropicali del bacino del Rio delle Amazzoni e dell’Orinoco. Alcune tribù del nord-ovest non conoscevano l’agricoltura ma praticavano la pesca del salmone, mentre gli abitanti dell’attuale California si sostentavano con abbondanti risorse di pesce e di ghiande. Nell’Artico e in Patagonia persistevano antichi modi di vivere e gli Europei si imbatterono in un clima particolarmente rigido che non consentiva un popolamento abbondante, né forme complesse di società: qui vivevano tribù di cacciatori nomadi, pescatori e raccoglitori di piante selvatiche; gli Eschimesi si erano acclimatati alle condizioni impervie del suolo e avevano sviluppato un sistema di vita la cui efficienza poteva essere posta sullo stesso piano di quella dei Maya, ormai adattati alle foreste pluviali del Guatemala, e a quella degli Inca, già integrati con l’ambiente andino. L’essere umano non è statico, lo sappiamo, e subisce continue modificazioni; il Nuovo Mondo si presentava dunque come la sintesi di migliaia di anni di cambiamenti e trasformazioni il cui processo ebbe inizio forse ventottomila anni fa, quando il primo essere umano attraversò la Siberia: fu così che, nel corso di una lenta propagazione dall’Alaska alla Terra del Fuoco, piccoli gruppi di persone colonizzarono deserti, foreste, coste marine e catene montuose, e svilupparono laboriose tecniche agricole dando origine dapprima alla mite vita di villaggio, poi alla sontuosa vita urbana la quale, in assoluto isolamento rispetto al Vecchio Mondo, seguì la propria evoluzione che agli Europei sembrò affascinante, seppure singolare.

Immaginiamo il Nord America ventottomila anni fa. I primi cacciatori e pescatori che qui si insediarono scoprirono una terra per loro idonea, almeno se si pensa al clima, più mite rispetto a quello della Siberia, e alla vegetazione e alla fauna molto simili a quelle che si lasciarono alle spalle: la tundra, infatti, ricopriva il retroterra della valle del fiume Yukon ed era ricca di betulle, salici e ontani che abbondavano lungo gli argini. Però Il clima mutò e il livello del mare diminuì lasciando che i ghiacciai avanzassero nelle valli montane, ma molte famiglie delle antiche tribù si erano già spostate altrove, dove ambienti più favorevoli, sebbene affini come l’Alaska e le Ande, potessero consentire la sopravvivenza di quelli che rappresentano per noi i primi abitatori dell’America: gli Eschimesi e gli Indiani Algonchini. Queste popolazioni non erano però dedite all’agricoltura, né riuscirono a sviluppare una forma sociale complessa, viste le impervie condizioni ambientali in cui scelsero di vivere: capanne poste su alture i cui terreni era impossibile coltivare, praterie troppo asciutte e foreste tropicali umide, coste nord-occidentali caratterizzate da clima freddo. Eppure la vita che conducevano sulle montagne, nei boschi e vicino all’oceano era talmente soddisfacente che la coltivazione della terra risultava secondaria rispetto ad altre forme di sostentamento alimentare, come la caccia, la pesca e la raccolta di frutti e piante spontanee che venivano anche impiegate per scopi medicamentosi e per la tessitura. Gli Amerindi riuscirono anche ad addomesticare alcune specie di mammiferi e di uccelli.

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L’alimentazione era il fattore dominante nella scelta di uno stile di vita e di un luogo dove insediarsi, da ciò si comprende facilmente come possa avvenire il passaggio da gruppo nomade a tribù stanziale: finché non si è in grado di approvvigionarsi cibi per un intero corso di stagioni, una popolazione è costretta a spostarsi nei periodi di carestia alla ricerca di nuove risorse. Anche le tribù precolombiane seguirono le sorti del resto del genere umano e fu così che, circa cinquemila anni fa, un particolare sistema agricolo, quello della semina di radici, permise alle famiglie di “fermarsi” e di dare inizio alla vita di villaggio: ecco dunque l’apparizione della manioca (forse dal Venezuela) e della patata dolce che andavano ad aggiungersi al mais, la maggiore fonte di energia e di proteine disponibile allora, ai fagioli, e ai prodotti della caccia e della pesca. Da ciò si comprende che questi ultimi non rappresentavano più l’elemento nutritivo dominante per cui, circa tremila anni fa, gli “americani” antichi poterono contare su una dieta stabile e sufficiente che permise loro di sviluppare una struttura sociale organizzata. I villaggi erano primariamente situati in prossimità delle risorse: le famiglie dei pescatori di salmone si stanziarono lungo la costa nord-occidentale dando origine ad una vita sedentaria non agricola che perdurò fino alla conquista europea. I cacciatori e i raccoglitori di prodotti spontanei si stabilirono lungo la costa centrale del Perù i cui fondali marini, appena fuori della riva, potevano essere sfruttati per la pesca dei crostacei; qui le famiglie impararono anche ad impiegare sistemi agricoli più remunerativi della pesca stessa. In questi agglomerati permanenti le abitazioni erano costruite con materiali difficilmente smantellabili e trasportabili, soprattutto pietra e ossa di balena, le cui forme erano variegate, da quelle circolari a quelle rettangolari, come pure le dimensioni, dal minuscolo “monolocale” alla più ampia unità abitativa familiare; particolare non secondario: ogni casa disponeva di un locale per il magazzinaggio, prova della stanzialità ormai sedimentata. La vita comune diede spazio anche ad un’altra forma di socialità che permise di sviluppare alcune sapienti tecniche artigiane e artistiche, come la tessitura, la fabbricazione di vasellame e la lavorazione del metallo.

Da tribù del villaggio a società complessa imperiale: questo in sintesi è il processo di trasformazione che hanno subito anche le civiltà precolombiane. Le società tribali presentavano delle caratteristiche comuni, come il villaggio di piccole dimensioni, seppure autosufficiente, e una struttura sociale semplice rappresentata da gruppi legati da parentela che possedevano la terra, quindi non di proprietà di una singola famiglia. Più che il ceto, era dunque la parentela che determinava le relazioni sociali, per cui gli artigiani potevano partecipare alla vita rurale, così come i capi partecipavano alla vita del villaggio senza assumere un ruolo autoritario o elitario. Molte tribù riuscirono a mantenere questa struttura fino all’arrivo degli Europei, ma altre ripudiarono la quiete sociale a scapito della solidarietà e della comunione dei beni per far prevalere la distinzione di classe e la sempre più avvertita separazione dalla gente comune. Nacque così la figura del capo che controlla la terra, che ha un seguito personale di assistenti, che impone tasse e stabilisce regole e leggi e che, spesso, diventa sommo sacerdote rivestendo importanti ruoli pubblici nei cerimoniali e nelle attività religiose in genere. Questo passaggio segnò anche l’inizio del commercio su lunghe distanze di giada, conchiglie ed altre materie preziose; non solo, l’artigianato si specializzò in lavori per il mercato di lusso costituito dalla classe dominante e dalle divinità; esempio ne è un sepolcro ritrovato a La Venta, in Messico, destinato a due bambini che furono qui coperti di pigmento rosso brillante e circondati di oggetti di giada intagliata: il fatto che la tomba più ricca del luogo fosse stata assegnata a due fanciulli fa pensare che, nella società degli Olmechi, una nascita illustre fosse più importante della ricchezza acquisita.

statuina olmeca: I due amanti

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Lo stato fondato dagli Inca era centralizzato e autoritario, sia nella struttura interna che nei rapporti con i popoli conquistati, quindi tutta l’amministrazione era organizzata come una piramide alla cui sommità imperavano i capi delle province, ciascuna con una propria capitale, sotto ai quali vi erano gli alti funzionari a cui era demandato il controllo degli affari di 10000 ayllus, ossia i gruppi di famiglie. Agli alti funzionari facevano capo i funzionari subalterni responsabili di 5000 famiglie e, sotto di essi, gli amministratori minori che si occupavano di unità più ridotte: 1000, 500, 50 o 10 famiglie. L’impero inca era tutto ben collegato da una rete stradale efficiente e da un “servizio celere” di messaggeri che portavano notizie, informazioni e ordini provenienti dalle province e destinati alle zone periferiche. L’attività censoria era altamente avanzata tanto che il governo registrava costantemente i movimenti demografici e il numero di terre coltivate e disponeva di un elenco di provviste necessarie alla sussistenza. L’amministrazione centrale imponeva le tasse e stabiliva le regole del sistema lavorativo, oltre che dei commerci; non solo, provvedeva che le richieste di aiuto fossero soddisfatte e quindi si assicurava che tutta la popolazione ricevesse assistenza se necessaria. Restava un “piccolo dettaglio” da risolvere: le barriere linguistiche rappresentavano un ostacolo alla diffusione delle notizie e alla comprensione della volontà centrale pertanto si decise di imporre la lingua del governo, chiamata Quechua, tramite l’istruzione obbligatoria dei signori locali e l’invio di sudditi leali presso le province di nuova conquista: tutto questo accelerò la dominazione inca su un territorio di notevoli dimensioni e determinò il crollo delle antiche frontiere tribali. Nonostante l’accentramento del potere e a parte alcune eccezioni, il fenomeno dell’urbanizza- zione non alterò mai il sistema di vita degli Inca i quali non intendevano costruire delle grandi città, per cui la maggior parte della popolazione viveva in villaggi o in piccoli insediamenti rurali. Eppure con Machu Picchu diedero ampia dimostrazione dell’abilità nel costruire ed esempio ancora visibile dell’alta ingegneria di cui furono capaci.

Nell’America centrale e nelle Ande queste società si stavano trasformando in stati costituiti da centinaia ed anche migliaia di abitanti e caratterizzati da una struttura governativa rigida. Le professioni si stavano specializzando dando origine alle figure degli amministratori, sacerdoti, giuristi, burocrati, mercanti e artigiani. La classe dirigente riscuoteva in tributi oltre la metà del prodotto interno e controllava la distribuzione di merci e dei prodotti della terra ma aveva ben pochi contatti con la comunità la quale doveva sottostare a dei codici molto restrittivi, come quello di Montezuma I, uno dei primi imperatori degli Aztechi: «Soltanto il re e il primo ministro possono calzare sandali all’interno del palazzo. Nessun grande condottiero può fare ingresso al palazzo indossando calzature, pena la morte … La gente comune non sarà autorizzata ad indossare abiti di cotone, pena la morte, ma soltanto capi di vestiario di fibra di cactus di agave». Eppure il sistema azteco concedeva più ampie libertà personali rispetto ad altre organizzazioni statali, come ad esempio era per gli artigiani che potevano lavorare in proprio e potersi procacciare propri clienti, e per le città che possedevano un proprio libero mercato per lo scambio di merci; gli stessi mercanti erano in parte autonomi poiché non erano posti sotto il diretto controllo statale. Come le città-stato della Grecia classica e dell’Italia rinascimentale, le città azteche erano costantemente e reciprocamente in conflitto. Ciascuna città poteva però associarsi in confederazioni così da poter dominare e sfruttare i più deboli, proprio perché divenute numericamente più potenti delle altre città. La più importante fu Tenochtitlan, la capitale azteca che, con i suoi 150000 abitanti e in alleanza con Texcoco e Tlacopan, poté pretendere i tributi da 489 città-stato minori diffuse in tutto il Messico. Ma la confederazione dominante non intendeva imporre la propria lingua e i propri costumi, né la religione; ciò che esigeva era esclusivamente il pagamento dei tributi; le popolazioni subordinate che pagavano le tasse venivano lasciate indisturbate, sebbene non provassero nemmeno il sentimento di lealtà verso i capi: ciò che le teneva sottomesse era soltanto la minaccia della forza e della distruzione.

serpente a mosaico azteco

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Che cosa pensavano di trovare i nostri antenati europei quando si imbatterono nel Nuovo Mondo? Nuovo per chi? Non certo per coloro che da millenni vi abitavano a buon diritto. Il Messico fu il primo fra i più grandi territori ad essere invasi dai vari conquistadores, fra cui Hernan Cortes e Bernal Diaz che giocarono un ruolo strategico nella distruzione definitiva delle popolazioni indigene. Con dovizia di dettagli, a volte truci, ci hanno tramandato le loro nefandezze: testimonianze oculari della loro dominazione sulla capitale azteca, Tenochtitlan, prima che fosse rasa al suolo con l’assedio del 1521, per poi risorgere come Città del Messico. E il Perù? Già sofferenti per la conquista messa in atto precedentemente dagli Aztechi scesi dal Messico, gli Inca si videro usurpare quelle poche terre che erano rimaste intatte. Fra il 1526 e il 1527 Francisco Pizarro vagò dal centro al sud del continente alla ricerca di ricchezze da mostrare al proprio sovrano: smeraldo, oro e argento, tessuti di lana e di cotone … fu così che nel 1531 ottenne il consenso a conquistare il Perù. Con i suoi 170 uomini decise di incontrare il capo inca al quale fu chiesto di cedere l’intero impero e tutte le sue ricchezze al re di Spagna. Il capo tentò la via della trattativa: una stanza piena d’oro e due piene di argento in cambio della libertà per il suo popolo. Invano: i templi furono completamente spogliati e il capo fu ucciso. Così ebbe inizio l’era coloniale. Non è necessario andare oltre, scavando nella disperazione di chi pagò con la propria vita la fortuna di possedere delle risorse naturali. In fondo oggi quella storia si ripete per quei popoli ricchi di petrolio ed altre risorse energetiche, segno che la storia non insegna a migliorarsi e che la memoria col tempo si affievolisce.

Parte del fenomeno dell’urbanizzazione caratterizzò i Maya il cui stile di vita si distingueva per ordine gerarchico alla cui sommità vi erano le poche capitali, ricche di stele e di edifici eleganti, da dove si diffondevano gli usi e le mode; questi grandi centri erano destinati soprattutto al culto religioso e alla gestione amministrativa, quindi retti da funzionari e sacerdoti. Seguivano alcuni centri secondari caratterizzati da tante abitazioni rurali dove vivevano gli agricoltori che si recavano “in centro” soltanto nei giorni di mercato o per andare presso gli uffici pubblici, ma anche in occasione delle festività religiose. Ultimi, in ordine gerarchico, i piccoli agglomerati dove si ergevano templi privi di iscrizioni e altari. I Maya seppero fare un uso saggio dell’agricoltura impiegando tecniche che risolsero definitivamente il problema dei periodi improduttivi; non solo, con il sistema della rotazione diedero avvio ad un tipo di agricoltura intensiva ad alto insediamento permanente e con una più elevata produttività. L’irrigazione consentì infine l’aumento della popolazione fino a raggiungere numeri per noi inimmaginabili nelle pianure tropicali. Si potrà obiettare che i Maya non conoscevano il ferro e l’acciaio, né facevano comunemente uso di utensili di rame e di bronzo (eppure l’oro e l’argento venivano impiegati per la realizzazione di gioielli la cui qualità tecnica sorprese gli orefici europei del XVI secolo), ignoravano la polvere da sparo, la coniazione di monete, la stampa, il vetro e la ceramica: ciò nonostante i Maya ancora oggi sono il grande esempio di vita vissuta senza il bisogno di una tecnologia progredita e senza la necessità di quelle condizioni ambientali che noi consideriamo essenziali: la loro grandezza insegna che il successo di una civiltà non dipende dalle tecniche impiegate, bensì dalla sua organizzazione efficiente, dall’uso consapevole del lavoro e dall’intelligenza umana posta al servizio della società.