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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA

Centro di Ricerca C.R.I.Be.Cu.M.

L’approccio multidisciplinareallo studio e alla valorizzazione

dei Beni Culturali

a cura del C.RI.BE.CU.M.

Atti del workshopSiracusa, 28–29 ottobre 2005

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Copyright © MMVIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 a/b00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 88–548–0917–9

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: dicembre 2006

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CRIBeCuM (Centro di Ricerche sulle cause di degradoper il recupero dei Beni Culturali e Monumentali) -

Direzione c/o Università di Catania - Dipartimento di Scienze GeologicheCorso Italia 57, 95129 Catania - Tel. +39 095 7195746 – Fax. +39 095 7195760

E-m@il: [email protected] – Web site: http://www.unict.it/cribecum/

Comitato ScientificoA. Pezzino (Direttore CRIBeCuM)L. Andreozzi (Dipartimento Architettura e Urbanistica)S. Cascone (Dipartimento Architettura e Urbanistica)E. Ciliberto (Dipartimento Scienze Chimiche)A. Failla (Dipartimento Ingegneria Agraria)I. Fragalà (Dipartimento Scienze Chimiche)G. Giaccone (Dipartimento Botanica)A. Guglielmo (Dipartimento Botanica)P. Mazzoleni (Dipartimento Scienze Geologiche)P. Militello (Dipartimento Studi Archeologici, Filologici e Storici)E. Poli (Dipartimento Scienze Agronomiche Agrochimiche Prod. Animali)R. Rizzo (Dipartimento Economia e Metodi Quantitativi)F. Tomasello (Dipartimento Studi Archeologici, Filologici e Storici)S.O. Troja (Dipartimento Fisica e Astronomia)

Comitato OrganizzatoreC. Altavilla (Dip. Scienze Chimiche)L. Barnobi (Dip. Architettura e Urbanistica)A. Giuffrida (Dip. Architettura e Urbanistica)A. Gueli (Dip. Fisica e Astronomia)A. Manera (Dip. Fisica e Astronomia)A. Mignosa (Dip. Economia e Metodi Quantitativi)A. Pezzino (Dip. Botanica)S. Porto (Dip. Ingegneria Agraria)R. A. Punturo (Dip. Scienze Geologiche)F. Trapani (Dip. Studi Archeologici, Filologici e Storici)A. Zuccarello (Dip. Fisica e Astronomia)

Comitato EditorialeAnna Gueli, Rosalda Punturo

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7

INDICE

Premessa ...................................................................................................................... 13

Altavilla C., Ciliberto E., Trigilia M.La Protezione delle Superfici Vetrose ........................................................................ 15

Altieri A., Guidetti V., Malagodi M., Nugari M.P., La Russa M.F.Formulati idrorepellenti e antivegetativi miscelabili a malte in uso nel restauro:valutazione dell’efficacia su provini............................................................................ 24

Andreozzi L.I modelli digitali nella rappresentazione per i Beni Culturali. La scientificità del rilevamento e del rilievo .............................................................. 27

Azzaro E., Montana G., Pisciotta G.T., Cau Ontiveros M.A., Portillo Ramirez M.Studio petrografico di macine protostoriche dai siti di Alorda Park e di Barranc de Gafols (Spagna)............................................ 33

Bahain J.J., Burrafato G., Dolo J.M. , Falguères C., Gueli A.M., Lahaye C., Leonardi R., Occhipinti A., Placenti G., Stella G., Troja S.O., Zuccarello A.R.L’apporto della Risonanza Paramagnetica Elettronica (EPR) nello studio dei Beni Culturali: caso delle calciti ...................................................... 52

Barca D., Crisci G.M., De Francesco A.M.Caratterizzazione archeometrica delle ossidianedel Monte Arci tramite ICP-MS-LA .......................................................................... 63

Barnobi L., Colaiacovo L., Di Gregorio G., Galizia M.,Giuffrida A., Grasso S., Liuzzo M., Santagati C.Rilievo geometrico ed architettonico della Chiesa di San Nicolò L’Arena, Catania* .......................................................... 72

Barone G., Belfiore C.M., Lo Giudice A., Mazzoleni P.,Pezzino A., Spagnolo G., Ingoglia C., Tigano G., Albanese R.MLocalizzazione dei centri di produzione anforica nell’occidente greco:dati archeometrici su anfore “corinzie B”, “ionico-massaliote”,“pseudo-chiote” e “greco-italiche” rinvenute in Sicilia ............................................ 83

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Barone G., Crisci G.M., La Russa M.F., Malagodi M., Ruffolo S.Studio preliminare dei parametri termoigrometrici e delle loro variazioniall’interno della Chiesa di S. Adriano in S. Demetrio Corone (CS) ........................ 93

Bellezza S., Volpini M., Bruno L., Albertano P.Effetto di luci monocromatiche sulla composizione in specie, morfologia e pigmenti di biofilm a cianobatteri in ipogei romani ............................ 100

Bultrini G. Fragalà I., Ingo G.M., De Caro T.Microchemical and micromorphological investigationof lustre painted ceramic from Sicily and Sardinia (Italy) ........................................ 103

Bultrini G., Fragalà I., Ingo G.M., Lanza G.Caratterizzazione minero-petrografica, microchimica e microstrutturaledi malte storiche usate a Catania durante il XVII secolo .......................................... 106

Burrafato G., De Vincolis R., Greco V., Gueli A.M., Lahaye C., Occhipinti A., Stella G., Troja S.O., Zuccarello A.RColorimetria con tecniche spettrofotometriche e radiometriche sui dipinti del Minniti ...................................................................... 118

Burrafato G., Gueli A.M., Lahaye C., Manera A., Stella G., Troja S.O., Zuccarello A.R.Datazione di strutture architettoniche mediante TermoLuminescenza:La Chiesa di San Nicolò La Rena e la Cuba di Fontane Bianche* .......................... 129

Buscemi F., Tomasello F., Trapani F. Un ninfeo romano a Leptis Magna. Sinergie multidisciplinari ................................ 140

Campolo D.Progetto di valorizzazione di un centro storico: il caso Pentedattilo ........................ 150

Caneva G., Pacini A., Nugari M.P., Pietrini A.M.Il biodeterioramento della cripta del Peccato Originale nella gravina di Matera e la sua analisi ecologica per il biomonitoraggio dei parametri ambientali.............. 160

Caponetto R., Chisari W., Gulisano G., Lo Faro A.,Margani G., Moschella A., Napoleone A., Sanfilippo G., Sapienza V.L’apparecchiatura tecnico-costruttiva della chiesa di San Nicolò l’Arena (CT)* .... 169

Cascone S. M., Porto S. M. C.Repertorio delle tecniche costruttive negli edifici rurali tradizionali nel comprensorio etneo ............................................ 170

Indice8

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Catra M., Giaccone G., Pezzino A.Individuazione dei decadimenti causati dai biodeteriogeni algalinell’involucro esterno della Chiesa di S. Nicolò L’Arena(Catania, Monastero Benedettini)* ............................................................................ 171

Chisari W., Lo Faro A., Moschella A., Napoleone A., Sanfilippo G.Analisi multidisciplinare per l’individuazione dei degradipresenti nella chiesa di San Nicolò l’Arena* ............................................................ 180

Cicala Campagna F.Spunti Caravaggeschi nella pittura siciliana del Seicento.......................................... 181

Cirrincione R., Crisci G.M, De Vuono E, Lo Giudice A, Miriello D., Pezzino A., Punturo R.Caratterizzazione e Provenienza dei materiali litoidi impiegatinella costruzione delle colonne dell’Emiciclo Teatrodel Parco del Cavallo di Sibari (Calabria) .................................................................. 183

Corrao M., Licitra M.Il terremoto di Santa Venerina del 29 ottobre 2002:aspetti sismologicie applicazioni diagnostiche propedeutiche ai sistemi di intervento .......................... 185

Crisci G. M., Gattuso C., Macchione M., Miriello D.Analisi dei meccanismi di degrado dei materiali calcareniticidovuti all’azione dei licheni ........................................................................................ 187

Failla A., Cascone G., Porto S. M. C.Valutazione della suscettività al riuso per fini agrituristicidei fabbricati rurali tradizionali. Confronto tra due casi studio ................................ 198

Finocchiaro Castro M., Rizzo I.Misurazione della performance e tutela dei beni culturali: il caso della Sicilia ...... 211

Greco V.Il prezioso ruolo della ricerca nei Beni Culturali ......................................................2231

Guglielmo A, Pavone P., Spampinato G., Tomaselli V.Analisi della flora e della vegetazione delle aree archeologiche della Siciliaorientale finalizzata alla tutela e valorizzazione dei manufatti architettonici .......... 226

Guglielmo A., Pavone P., Salmeri C.Su alcuni giardini storici della Sicilia Orientale ........................................................ 229

Indice 9

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Imposa S., Gresta S.Stima della risposta di sito ed indagini Georadar:un caso studio applicato alla Chiesa dei “Minoritelli” (Catania) .............................. 245

Incatasciato S.Il museo del mare di Pozzallo: uno studio preliminare.............................................. 254

La Rosa V.Il valore di un’esperienza multidisciplinare: il caso di Festòs (Creta) ...................... 256

La Russa M.F., Barone G., Mazzoleni P., Pezzino A.,Crisci G. M., Malagodi M., Areddia G., Vindigni A.Il Duomo di S. Giorgio a Ragusa Ibla: individuazione dei materiali liticiutilizzati, implicazioni architettoniche ed analisi delle forme di degrado ................ 267

Lamagna R.La ricostruzione settecentesca del monastero di San Benedettoin via dei Crociferi a Catania. Fabbriche e libri di spesa .......................................... 275

Martini M.Datazione con Termoluminescenza: recenti sviluppi e nuove prospettive ................ 281

Matteini M.L’approccio multidisciplinare alla conoscenza scientifica delle opere d’arte .......... 289

Mazzoleni P., Punturo R., Russo L.G., Censi P., Lo Giudice A., Pezzino A.La geoarcheometria applicata alla Conoscenza e alla Conservazione dei Beni Culturali.Un caso di studio: la facciata della Chiesa di S. Nicolò L’Arena di Catania*................ 296

Mignosa A.Devoluzione e beni culturali: il caso della Sicilia e della Scozia .............................. 305

Montana G, Triscari M.Campionari in “marmi” e pietre dure del barocco siciliano:un esempio a Siracusa. ................................................................................................ 316

Mottana A., Massacci G.A.M.Conoscenza, progetto e tutela del complesso edilizio fortificato “Castello di Pitino” sito nel comune di San Severino Marche (MC)........................ 319

Poli Marchese E., Grillo M., Stagno F.Biodeteriogeni vegetali della Chiesa di S. Nicolo’ L’Arena (Catania)* .................... 332

Indice10

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Poli Marchese E., Grillo M., Stagno F.Colonizzazione vegetale in monumentie siti archeologici della Sicilia orientale .................................................................... 344

Punturo R., Russo L. G., Lo Giudice A., Mazzoleni P.,Pezzino A., Trovato C., Vinciguerra S.I materiali lapidei utilizzati nei monumenti d’epoca tardo baroccadel centro storico di Catania: caratterizzazione e stato di degrado .......................... 347

Romano M.Disegno e pittura nella fisiognomica del Seicento in Sicilia:Mario Minniti e Filippo Paladini ................................................................................ 357

Russo M.I musei nella Provincia di Catania .............................................................................. 360

Salemi A.L’approccio multidisciplinare come atto preliminareper la salvaguardia dei Beni Culturali: la chiesa di San Nicolò l’Arena* ................ 371

Sgariglia S.L’Athenaion di Siracusa e il suo duomo, una storia di pietra.Metodologie verso la conoscenza. .............................................................................. 373

Spagnolo D.Mario Minniti tra maniera e naturalismo caravaggeschi in Sicilia............................ 376

Urzì C., De Leo F.Utilizzo di tecniche di campionamento non distruttiveper lo studio di microrganismi biodeteriogeni da superfici di interesse storico-artistico .................................................................... 378

Indice 11

* Lavoro realizzato nell’ambito del progetto “Il recupero e la valorizzazione delpatrimonio architettonico della Sicilia orientale: l’emergenza architettonica urbana el’edilizia rurale. Conoscenza, interventi e formazione” (T3 CLUSTER C 29), finan-ziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica

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PREFAZIONE

Le discipline scientifiche si stanno affermando sempre più comestrumento di indagine insostituibile nella ricerca, nella conoscenza,nella protezione e conservazione, nella valorizzazione dei BeniCulturali. Se da un canto è oggetto di sempre maggiore attenzione l’in-dividuazione delle metodologie di indagine, innovative e necessarie peruna corretta conoscenza del Bene, dall’altro appare comunque vincen-te, un nuovo modo di affrontare ogni problematica caratterizzato da unapproccio che veda l’opera sinergica di ricercatori di varia estrazionedisciplinare che interferiscano costruttivamente nel pieno rispetto dellecompetenze specialistiche possedute.

Con la consapevolezza dell’importanza del Bene Culturale in quan-to preziosa eredità del passato e risorsa per lo sviluppo futuro, nonchédella rilevanza dell’approccio multidisciplinare nella diagnostica e con-servazione del Bene stesso, si è tenuto a Siracusa, nei giorni 28 e 29ottobre 2005, il Workshop dal titolo “L’approccio multidisciplinare allostudio ed alla valorizzazione dei Beni Culturali”. Tale iniziativa è stataorganizzata dal CRIBeCuM (Centro di Ricerche sulle cause di degradoper il Recupero dei Beni Culturali e Monumentali) in collaborazionecon il Corso di Laurea in Tecnologie applicate alla conservazione ed alrestauro dei Beni Culturali della Facoltà di Scienze Matematiche,Fisiche e Naturali dell’Università di Catania.

Il Workshop, del quale il presente volume raccoglie gli Atti, è statoarticolato, nelle due giornate, in altrettante sessioni: la prima incentra-ta sullo stato dell’arte; la seconda sugli interventi di tutela e valorizza-zione.

Ha fatto parte integrante del Workshop il seminario satellite relativoall’esperienza di collaborazione portata avanti dal Museo di PalazzoBellomo e dal Corso di Laurea in Tecnologie Applicate alla Conserva-zione e Restauro dei Beni Culturali che ha avuto come occasione di

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incontro l’opera del Minniti e della sua Bottega durante una recentemostra.

È infine da sottolineare che, a testimonianza della validità dell’ap-proccio multidisciplinare nel campo dei Beni Culturali, diverse relazio-ni presentate hanno riguardato i risultati ottenuti nell’ambito del proget-to “Il recupero e la valorizzazione del patrimonio architettonico dellaSicilia orientale: l’emergenza architettonica urbana e l’edilizia rurale.Conoscenza, interventi e formazione” (T3 CLUSTER C 29), finanziatodal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica che ha visto lacollaborazione fattiva di gruppi di ricercatori di varia estrazione.

Relazioni ad invito e comunicazioni su tutte le tematiche affrontate,si sono rivelate una preziosa occasione di confronto e di dibattito pergli addetti ai lavori e per quanti interessati a nuove prospettive di studiosui Beni Culturali.

Prefazione14

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LA PROTEZIONE DELLE SUPERFICI VETROSE

ALTAVILLA C., CILIBERTO E., TRIGILIA M.

Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Catania, viale A. Doria 65125 Catania,tel 0039 095 7385054, fax 0039 095 580138, e-mail [email protected]

1. Introduzione

I vetri sono materiali solidi amorfi generalmente silicatici. Nel caso deivetri antichi, l’azione delle piogge acide e basiche ha innescato nel tempoforti processi degradativi della matrice vetrosa attraverso meccanismi dilisciviazione e di corrosione che hanno colpito gravemente molte opere invetro esposte all’azione degli agenti atmosferici [1].

≅≅Si -O- Na + H2O ¨̈

≅≅Si- OH + Na + + OH-

Aggressione in ambiente neutro-acido

≅≅Si- O- Si≅≅ + OH-¨̈

≅≅Si -OH + - Si - O-

≅≅Si- O - + H2O ¨̈

≅≅Si- OH + OH-

Aggressione in ambiente alcalino

Lo scopo di questo lavoro è stato quello di mettere a punto, utilizzan-do la tecnica Self Assembled Monolayer, la deposizione di film protetti-vi, dello spessore di pochi angstrom costituiti da molecole organosilani-che bifunzionalizzate, in grado di modificare l’angolo di contatto acqua-vetro e di garantire al contempo grande resistenza chimica, così da ren-dere idrorepellente la superficie vetrosa, limitando l’attacco del vetro daparte degli agenti atmosferici.

Il termine self-assembly indica la spontanea tendenza alla formazione, indeterminate condizioni, di complesse strutture da blocchi predeterminati checoinvolgono diverse scale di energia e diversi gradi di libertà. In altre parole,i self-assembled monolayers (SAM) sono aggregati molecolari ordinati, natispontaneamente a seguito dell’adsorbimento di opportune catene organiche,

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la cui testa presenta una particolare affinità con il substrato su cui deve esse-re eseguita la deposizione.

Le molecole comunemente depositate sono molecole organiche lunghemediamente una decina di atomi di carbonio e tra le più usate citiamo le cate-ne tioliche e ditioliche e gli idrossimercaptani, per substrati di oro e alchiltriclo-rosilani e gli alchiltrimetossisilani per substrati a base di silicio ossido o vetro,sistemi questi ultimi di cui ci siamo occupati in modo specifico.

Le molecole indicate sono tra le più usate con la tecnica SAM in quantosono capaci di generare monostrati altamente impaccati ed ordinati graziealla loro struttura costituita da uno scheletro molecolare alchilico di lunghez-za variabile (backbone), recante o meno gruppi funzionali che conferisconospecificità al film, da un gruppo terminale (endgroup) e da un gruppo di testa(headgroup), responsabile del legame chimico con la superficie (v. Fig.1).

In particolare, l’ancoraggio delle molecole di alchilsilani al substrato divetro è dovuto alla condensazione tra la testa del precursore ed i gruppi fun-zionali (silanoli) emergenti dal substrato stesso, mentre il corretto allinea-mento, che dispone le molecole in modo quasi parallelo, è reso possibiledalle interazioni idrofobiche tra le catene alifatiche [2].

La tecnica Self Assembled Monolayer permette quindi, senza alterarel’estetica del manufatto, di creare film nanostrutturati trasparenti, in grado, sescelto un opportuno precursore, di invertire le proprietà di bagnabilità di unasuperficie; si può rendere così idrofobo lo strato trattato del vetro, limitando,per un periodo pari alla durata del coating, l’interazione tra l’acqua e la super-ficie stessa.

Altavilla, Ciliberto, Trigilia16

Fig. 1. Rappresentazione schematica della struttura di un SAM

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Nel nostro lavoro abbiamo scelto molecole che potessero offrire un’otti-ma adesione chimica alle superfici vetrose nonché una buona resistenzaall’attacco di specie aggressive. In particolare l’attenzione è stata posta sullemolecole di octadeciltriclorosilano (OTS) e su alcune molecole fluoruratedella famiglia degli alchilfluorosilani (FAS). [3, 4, 5].

Lo studio della resistenza chimica di tali film è stato, per i nostri scopi,eseguito ideando cicli di invecchiamento che simulassero le possibiliaggressioni causate dalle piogge, dall’irraggiamento solare e dagli stresstermici cui andrebbero soggetti i vetri protetti da FAS negli anni, se espo-sti in ambienti esterni.

È noto che, in assenza di agenti inquinanti, le piogge sono leggermenteacide per la presenza di anidride carbonica nell’atmosfera (pH=5.6); la for-mazione, in regioni particolarmente industrializzate, di vapori di SOx ed NOx

induce invece la caduta di piogge acide (pH=4), responsabili negli ultimi annidi forti processi degradativi di una serie di manufatti artistici diversi, dai vetriai bronzi. Studi recenti, infine, hanno dimostrato, in diverse regioni d’Europa(Spagna, Turchia, Grecia, Francia e Italia ), l’esistenza, accanto a precipita-zioni acide, di piogge basiche (pH 8) [6, 7, 8]. Le piogge rosse o basiche sonoassociate a masse di aria provenienti dalle regioni aride del Nord d’Africa,contenenti una quantità superiore al 30% di calcite (CaCO3): la presenza delparticolato di carbonato di calcio nell’atmosfera incrementa significativa-mente il pH [9].

A partire da questi dati, sono stati pensati opportuni cicli settimanali diinvecchiamento ed un protocollo che potesse tenere conto delle varie tipolo-gie di stress ambientale. Il protocollo messo a punto ha previsto un invecchia-mento complessivo di quattro settimane con controllo dei parametri di degra-do realizzato ogni settimana.

Le condizioni scelte per stimare la resistenza dei film sono state partico-larmente drastiche in quanto il ciclo acido è stato eseguito a pH=2, mentre ilvalore più basso di pH registrato in condizioni reali è di appena 4. Inoltre,essendo stato eseguito ciascun ciclo per immersione del campione in soluzio-ne, si è simulato un degrado di tipo statico, in cui la soluzione rimane per uncerto tempo in contatto con la superficie del manufatto, procurando dannisuperiori a quelli registrabili in un degrado di tipo dinamico, più frequente neicasi reali, in cui le gocce di acqua scivolano continuamente, allontanandosidalla superficie. È stato infatti dimostrato che il degrado dinamico favorisceprocessi di lisciviazione, mentre il degrado statico innesca processi ben piùgravi di corrosione [10].

La protezione delle superfici vetrose 17

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Risulta evidente, per quanto detto, che stimare l’efficacia o meno delmetodo conservativo proposto equivale, in qualche modo, a stimare sial’idrorepellenza del film, sia la capacità di mantenere inalterate le proprietàidrofobe anche a seguito dei cicli di invecchiamento. Per verificare la bontàdel metodo e studiare i sistemi ottenuti, è sembrato opportuno avvalersi, inparticolare, della tecnica di misura dell’angolo di contatto, per indagare sulleproprietà di bagnabilità della superficie vetrosa, modificata ed invecchiata, edella spettroscopia XPS (X ray Photoelectron Spectroscopy), per conoscerelo stato chimico della superficie.

In particolare, le indagini XPS sono state effettuate sia allo scopo di caratte-rizzare il vetro scelto come substrato di deposizione sia per valutare di volta involta la bontà ed il grado di ricopertura ottenuto sui vetrini, a seguito della depo-sizione e dei trattamenti di invecchiamento sia per verificare eventuali relazionitra le proprietà di superficie e la bagnabilità dei campioni.

2. Aspetti Sperimentali

Pulitura dei vetrini modello. I campioni di vetro utilizzati per la depo-sizione sono stati normali vetrini portaoggetto, delle dimensioni di18mm18mm, prodotti dalla Carlo Erba. Ogni vetrino è stato tagliato conuna punta diamantata in due parti, ciascuna avente dimensioni pari a18mm9mm.

Prima di ogni deposizione è stato necessario sottoporre a processi di puli-tura il campione, allo scopo di sgrassarlo totalmente, garantendo così condi-zioni ottimali per la formazione del film sulla superficie vetrosa.

I vetrini sono stati sottoposti a processi sequenziali di pulitura, delladurata di 15 minuti ciascuno, utilizzando tre diversi solventi con polaritàcrescente, toluene anidro, acetone al 99.99% (prodotti dalla Aldrich) edacqua bidistillata.

Il campione successivamente è stato trattato, per trenta minuti a tempera-tura ambiente, con una soluzione “piranha”, costituita da acido solforico al98% ed acqua ossigenata al 30%, in rapporto volumetrico 3:1.

Infine il substrato è stato sciacquato con acqua bidistillata, asciugato incorrente di azoto e conservato in provette con gel di silice.

Deposizione di Alchilsilani e Fluoroalchilsilani su vetro. Le molecoleorganiche bifunzionalizzate usate in questo lavoro allo scopo di creare filmidrorepellenti sulla superficie vetrosa sono state: l’octadeciltriclorosilano

Altavilla, Ciliberto, Trigilia18

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(OTS), e l’eptadecafluorodeciltrimetossisilano (HFTS), prodotto e commer-cializzato dalla ABCR.

I ricoprimenti sono stati realizzati utilizzando una apparecchiatura proget-tata in modo da assicurare, per l’intero ciclo di deposizione, una atmosferainerte di azoto, risolvendo così il problema legato all’umidità dell’aria; si èdeciso inoltre, prima di ciascuna deposizione, di sottoporre la vetreria adessiccamento in stufa per 14 ore alla temperatura di 70° C, allo scopo diallontanare l’acqua adsorbita sulle pareti; il solvente di deposizione è statoanidrificato, così come il prelievo della molecola da depositare è stato esegui-to in atmosfera inerte, in box di azoto. I vetrini con SAM depositato, sono staticonservati in provette di vetro, con gel di silice, e posti in essiccatore.

Indagini XPS. Le misure di spettroscopia di fotoelettroni di raggi Xsono state effettuate mediante l’uso di uno spettrometro di fotoelettroniPE-PHI ESCA/SAM 5600 Monocromator System, operante in condizionidi vuoto base di 510-10 torr all’interno della camera di misura. È statausata una sorgente Al Kα monocromatica. Lo spettrometro è stato calibra-to facendo riferimento alla regione di emissione 3d dell’argento. La scaladi energie (B.E.) è stata tarata ponendo il picco relativo alla ionizzazionedell’orbitale C 1s corrispondente al carbonio avventizio di contaminazio-ne superficiale a 285,0 eV.

I curve fitting sono stati ricavati mediante programmi a minimi quadratinon lineari facenti uso di combinazioni lineari di funzioni Gaussiane-Lorenziane.

Determinazione del valore di angolo di contatto. Le misure di angolodi contatto sono state eseguite utilizzando come strumento di misura unContact Angle System OCA. Ciascuna misura è stata effettuata con meto-do statico (sessile drop) ed a temperatura ambiente; su ognuno dei vetrinila stima del valore dell’angolo di contatto è stata calcolata depositando,con una velocità di cinque microlitri al secondo, gocce di acqua distillatadel volume ciascuna di due microlitri.

Su ognuno dei campioni, le misure sono state eseguite in tre punti diversidella superficie, utilizzando tre gocce e la media statistica è stata fatta utiliz-zando i valori di angolo di contatto, ottenuti per i tre punti della superficie,considerando il lato destro e sinistro del profilo di ciascuna goccia. Le misu-re di angolo di contatto sono state effettuate lasciando il campione in contat-to con l’aria, ne segue che le tre fasi coinvolte nella determinazione del valo-re dell’angolo sono state il substrato vetroso ricoperto come fase solida, l’ariacome fase vapore e l’acqua distillata quale fase liquida.

La protezione delle superfici vetrose 19

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Cicli di invecchiamento. L’ invecchiamento è durato quattro settimane.Di seguito vengono riportati i cicli settimanali realizzati:1. trattamento acido a pH 2 - da lunedì a lunedì (misura dell’angolo di

contatto ogni lunedì)2. trattamento basico a pH 8 - da lunedì a lunedì (misura dell’angolo di

contatto ogni lunedì)3. trattamento acido a pH 2 + irraggiamento UV (350 nm) - da lunedì

a venerdì trattamento acido, sabato e domenica irraggiamento UV(misura dell’angolo di contatto ogni lunedì)

4. trattamento basico a pH 8 + irraggiamento UV (350 nm) - da lune-dì a venerdì trattamento basico, sabato e domenica irraggiamentoUV(misura dell’angolo di contatto ogni lunedì)

5. trattamento di una settimana con luce UV (350 nm) - da lunedì alunedì (misura dell’angolo di contatto ogni lunedì)

6. trattamento termico a 50 °C + irraggiamento UV (350 nm) - dalunedì a venerdì trattamento termico, sabato e domenica irraggiamentoUV (misura dell’angolo di contatto ogni lunedì)

7. shock termico 50 °C – 4 °C + irraggiamento UV (350 nm) - da lunedì avenerdì trattamento termico (di giorno caldo e di notte freddo), sabato edomenica irraggiamento UV (misura dell’angolo di contatto ogni lunedì)

3. Discussione dei risultati

I campioni di vetro sono stati puliti, con successo, in ultrasonicatore, uti-lizzando toluene, acetone e acqua bidistillata e successivamente immersi insoluzione “piranha” per mezz’ora a temperatura ambiente, così da ottenereun buon etching del substrato. Infatti, la caratterizzazione attraverso misuredi angolo di contatto (q≤10°) [13] e le indagini XPS (assenza di segnali rela-tivi ad agenti inquinanti, elevato segnale delle O1s e Si2p, basso segnale delcarbonio avventizio) hanno confermato questo dato. L’ottimizzazione delmetodo di pulitura (v. Fig.2) e l’adeguata scelta del sistema di deposizionehanno permesso di creare film self-assembled di OTS e FAS. Inoltre, la carat-terizzazione dei SAM di alchilsilani e di fluoroalchilsilani, attraverso misuredi angolo di contatto, ha dimostrato adeguata la scelta delle molecole ai finidi generare le volute proprietà di idrorepellenza (v. Fig.3).

La caratterizzazione XPS dei campioni in esame ha indicato un poterecoprente maggiore per la molecola del fluoroalchilsilano, rispetto alla mole-

Altavilla, Ciliberto, Trigilia20

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cola di alchilsilano, come dimostra l’alta percentuale di fluoro in superficie,il basso valore del segnale di O1s e la totale assenza dei segnali di boro,sodio e potassio, caratterizzanti la matrice vetrosa.

La diversa capacità di ricopertura è stata giustificata in base alla tenden-za della molecola di FAS, a differenza della molecola di OTS, a formare,durante la deposizione, doppi e tripli strati, capaci di garantire una più densae compatta ricopertura superficiale. Inoltre la lunga molecola di HFTS pre-senta una conformazione elicoidale, rispetto alla conformazione transplana-re della molecola di OTS, che giustifica la sua capacità di ricoprire aree piùvaste, una volta ancorata al substrato.

L’approccio sperimentale eseguito ha permesso anche di dimostrare lacapacità delle molecole di OTS e di HFTS di resistere ad attacchi acidi,blandamente acidi e basici fino a pH 8 essendo variato l’angolo di contattonel peggiore dei casi di appena il 6%. Nessun effetto hanno invece avuto glistress termici e i cicli di irraggiamento UV.

La protezione delle superfici vetrose 21

Fig.3. Profili delle gocce di acqua su vetro trattato: C) HFTS, D) OTS.

Fig.2. Profili di gocce di acqua su vetro. A) vetro non sgrassato; B) vetro pulito con meto-do proposto.

A B

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Riferendosi a casi reali e considerando una esposizione del campionetrattato a 100 ore di pioggia ogni anno [6,8] è stata stimata una durata mini-ma del ricoprimento dei vetrini di circa dieci anni. Durante tale periodo, icoatings sono in grado di esplicare la loro azione protettiva, impedendo ognicontatto tra il vetro e l’acqua.

In realtà i campioni in laboratorio se esposti a cicli di invecchiamentodella durata superiore ad un mese potrebbero rivelare la capacità di mante-nere per tempi più lunghi le loro proprietà idrofobe, garantendo una duratasuperiore a dieci anni.

In tal caso il metodo di conservazione proposto per la protezione deimanufatti in vetro contro il degrado atmosferico potrebbe richiedere cicli dimanutenzione meno frequenti e costi di applicazione inferiori. Studi succes-sivi in tale direzione si dovranno effettuare per stimare con più precisione ladurata di rivestimenti SAM.

BIBLIOGRAFIA

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La protezione delle superfici vetrose 23

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FORMULATI IDROREPELLENTI E ANTIVEGETATIVI

MISCELABILI A MALTE IN USO NEL RESTAURO:VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA SU PROVINI

ALTIERI A. (1), GUIDETTI V. (2), MALAGODI M. (1), NUGARI M.P. (1), LA RUSSA M.F. (2)

(1) Istituto Centrale per il Restauro; (2) Syremont SpA

Nella conservazione in situ di strutture murarie antiche, spesso è neces-sario effettuare interventi conservativi al fine di rallentare l’azione dei fat-tori ambientali e quindi il naturale processo di degrado del manufatto.Diverse sono le tipologie di intervento, delle quali alcune vedono il ricor-so a consolidanti e protettivi per creare una barriera alla infiltrazione del-l’acqua nei materiali costitutivi, soprattutto sulle creste murarie. L’in-dustria ha reso disponibili sistemi di protezione dei manufatti edilizi, tec-nologicamente sempre più avanzati e studiati per sopperire anche alle pro-blematiche conservative nelle aree archeologiche e monumentali.

Con tale ricerca si è voluta valutare, su provini artificiali, l’efficacia dimalte miscelate a formulati con proprietà idrorepellenti e antivegetative,da impiegare su beni culturali. In particolare, è stato utilizzato il “formu-lato 16” (Syremont SpA)1, nato nell’ambito del Progetto “Sviluppo emessa a punto di sistemi avanzati di conservazione e di protezione deimanufatti edilizi delle aree archeologiche e monumentali” finanziato dalMIUR e che ha visto coinvolte le società Syremont, Sipcam e C.S.T.insieme alle Università del Molise della Calabria e alla Soprintendenza diPompei. Tale formulato è stato miscelato a calce e sabbia, in quantitativitali da ottenere due differenti concentrazioni. Il protocollo sperimentale hainoltre previsto la realizzazione di differenti tipologie e serie di provinicon malta tal quale (come testimone) e malta addizionata con i singolicomposti del formulato (erbicidi: triazine e composti dell’urea; idrorepel-lenti: polimeri fluorurati), alle stesse concentrazioni. Ulteriori provinisono stati allestiti miscelando alla malta due biocidi (un microbicida e unerbicida), diversi rispetto a quelli presenti nel “formulato 16”.

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L’efficacia di tali materiali è stata testata nei confronti di alcune pianteruderali e infestanti e nella prevenzione di colonizzazioni da parte di bio-deteriogeni, eterotrofi e autotrofi, esponendo le diverse serie di provini incondizioni controllate di laboratorio e in situ - in un ambiente della DomusAurea (Roma) caratterizzato da condizioni microclimatiche favorevoliallo sviluppo dei microrganismi biodeteriogeni.

In particolare, si è potuta verificare l’efficacia antivegetativa in labo-ratorio seminando sui differenti provini di malta, realizzati con canalisuperficiali, semi di Parietaria diffusa, Antirrhinum majus e Setaria viri-dis; contemporaneamente, come ulteriore testimone, i semi sono statiseminati in terra.

La sperimentazione sui provini in laboratorio ha avuto una duratacomplessiva di 23 giorni durante i quali si è potuto osservare e quantifi-care tempi e percentuale di germinazione, sviluppo e appassimento dellepiante seminate sui provini e in terra. Dalle prime elaborazioni dei dati sipuò mettere in evidenza la maggiore efficacia del “formulato 16”, misce-lato alla più alta concentrazione (4 %), soprattutto nei confronti di P. dif-fusa e di A. majus, rispetto a quella del formulato a concentrazione piùbassa (1,5%), al testimone e agli altri principi attivi usati singolarmente.

Ulteriori approfondimenti si stanno elaborando per interpretare i datiottenuti in tale sistema sperimentale in relazione alla modalità di azio-ne dei diversi principi attivi, ad attività biocida, nei confronti delle spe-cie vegetali e delle caratteristiche fisiche della malta a cui sono statimiscelati.

L’efficacia antimicrobica è stata invece sperimentata attraverso l’espo-sizione in situ di alcuni supporti, preparati con il “formulato 16” e i pro-dotti antivegetativi e biocidi, prevedendo una serie di controlli ad interval-li regolari per il monitoraggio di eventuali colonizzazioni.

La valutazione dell’efficacia antimicrobica è stata effettuata per 120giorni, durante i quali sono state condotte indagini microclimatiche (tem-peratura e umidità relativa). Il sito è stato scelto in base alle condizionitermo-igrometriche favorevoli allo sviluppo dei microrganismi biodeterio-geni, in particolare funghi eterotrofi, cianobatteri e alghe. L’intera area èinfatti interessata da estese colonizzazioni microbiche per l’elevata umidi-tà; la presenza di un impianto di illuminazione acceso continuativamenteha inoltre favorito lo sviluppo, sia su pareti tal quali (laterizi) che policro-me (affreschi), di muschi e microrganismi fotosintetici, quali alghe fila-mentose e cianobatteri.

Formulati antirepellenti e idrovegetativi a malte in uso nel restauro 25

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I risultati della sperimentazione dell’efficacia antimicrobica hannomostrato un principio di colonizzazione da cianobatteri e la crescita diprotonemi di muschio sulla superficie di alcuni dei provini esposti; il for-mulato, ad entrambe le concentrazioni, ha evidenziato una migliore effi-cacia inibente sia rispetto ai singoli principi attivi utilizzati da soli cherispetto ai nuovi prodotti impiegati nella sperimentazione.

Altieri , Guidetti, Malagodi, Nugari, La Russa26

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I MODELLI DIGITALI NELLA RAPPRESENTAZIONE

PER I BENI CULTURALI.LA SCIENTIFICITÀ DEL RILEVAMENTO E DEL RILIEVO

ANDREOZZI L.

Dipartimento di Architettura e Urbanistica Università di CataniaViale A. Doria, 6 – 95126 Catania, Tel. 095 7382525, Fax. 095 330309, [email protected]

1. La rappresentazione per modelli: una svolta epocale

Nei convegni come questo organizzato dal C.R.I.Be.Cu.M. con l’obietti-vo dell’approccio multidisciplinare, come sollecita lo stesso Ministero deiBeni Culturali, è opportuno mobilitare tutte le competenze e le energie perfavorire la più capillare diffusione di una solida e critica cultura tecnico-scientifica; per stimolare l’apertura di efficaci canali di comunicazione e discambio tra l’universo della società civile da un lato, e l’articolato comples-so del Sistema Ricerca (Università, Enti di ricerca pubblici e privati, Musei,Aziende, Associazioni, ecc.) dall’altro.

Nell’ambito del coacervo di discipline utili per la salvaguardia dei BeniCulturali risulta fondamentale la Rappresentazione, il Segno, il Disegno:disciplina che da sempre ha consentito di documentare, conoscere, analiz-zare, comunicare.

L’assunto è sempre valido, tanto che la disciplina viene proposta comedottrina tra le scienze della comunicazione, fidando nella capacità dell’uo-mo di immagazzinare più facilmente un segno, una figura, un’immagine,più che un testo, una tabella o altro.

Da sempre si è documentato attraverso il segno, l’immagine grafica, lafotografia; la lettura di questa permette di conoscere l’oggetto, con la con-siderazione che, se le immagini sono diverse ma riferite alla stesso ogget-to, la conoscenza risulta più approfondita, tanto che lo si può analizzare estudiare in modo differente di quanto proposto tradizionalmente; ne con-segue che l’immagine grafica, intesa come sintesi rappresentativa, o quel-la fotografica risulta il supporto necessario per le indagini che si possono

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eseguire sull’oggetto stesso; soprattutto quando l’interesse è rivolto aiBeni Culturali sia essi architettonici, archeologici o anche a quelli mobili.

Con le tecnologie informatiche in questi ultimi si è assistito ad una tra-sformazione epocale, esse hanno modificato il modo di operare nell’ambi-to della documentazione, nonché della rappresentazione e di conseguenzanella conoscenza in genere.

Questa evoluzione ha consentito uno sviluppo delle tecniche di rileva-mento che consente una maggiore precisione nella misurazione da un latoe dall’altro di graficizzazione, permettendo una documentazione piùampia, esaustiva e realistica, rispetto alle tecniche tradizionali (piante,prospetti e sezioni) e quindi una più facile lettura di quanto analizzato: uncambiamento radicale nel concetto e nelle modalità di documentare e dirappresentare la realtà esistente. In questo ambito l’Università assume ilruolo di informare e formare quanti operano nel settore del rilievo dai rap-presentanti delle istituzioni nazionali, regionali e locali, ai liberi professio-nisti e quanti sono chiamati a prestare la loro opera, a qualsiasi titolo, nel-l’ambito della salvaguardia e della conservazione del nostro patrimonio,per poter poi eseguire il progetto d’intervento.

In accordo con la comunità scientifica, si ritiene che il rilievo debba averela caratterizzazione di scientificità, connotando con questo termine l’ipotesigalileana, in cui la ripetizione di un esperimento deve produrre gli stessi risul-tati; questo implica che il rilevamento deve essere prodotto in modo oggetti-vamente esatto da un punto di vista metrico, scevro da implicazioni persona-li ottenute da interpretazioni diverse di uno stesso fenomeno. In quest’otticaanche l’altro aspetto, quello della rappresentazione, derivando dal primo,deve avere la precisione richiesta e quindi una rappresentazione metricamen-te esatta, così come oggi viene richiesta da più parti.

La ricerca tecnologica, che mette a disposizione strumentazioni cherisolvono il problema del rilevamento scientifico con alta precisione metri-ca e le possibilità di elaborazioni informatiche che riescono a gestire unanotevole quantità di dati, consentono oggi di costruire modelli tridimen-sionali di oggetti. Applicando tutto ciò ad oggetti architettonici e/o a quel-li archeologici, oggi è possibile utilizzare lo spazio del monitor di un com-puter, ove hardwares e softwares rendono possibile la costruzione dimodelli tridimensionali, che vanno sotto il nome di “simulazioni virtuali”,analizzabili da punti di vista differenti è facile trarre misure, quantificarnee qualificarne alcune superfici sia piane che curve, cosa che la rappresen-tazione piana di tipo tradizionale non consente.

Andreozzi28

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Oggi si rappresenta attraverso modelli tridimensionali; per la lorocostruzione è necessario conoscere una sempre più crescente quantità dipunti, la cui definizione rende sempre più aderente alla realtà la cosa rile-vata, creando il presupposto per definire il risultato scientificamente esat-to; una risposta a queste esigenze la fornisce la tecnologia del laser scan-ner 3D.

2. Il rilievo scientifico con Laser Scanner 3D

Negli anni scorsi il modello si costruiva attraverso una serie di punti,che venivano rilevati e collegati gli uni agli altri attraverso ipotesi geome-triche che modellavano parti di superfici agli elementi architettonici oarcheologici. L’attendibilità dell’esattezza del modello, della sua rispon-denza con la realtà, derivava dalla quantità di punti e dalla intuizione geo-metrica di porzioni di superfici, che venivano tra di loro assemblate.

Oggi attraverso l’applicazione dello scanner laser 3D è possibile rileva-re per ogni scansione una notevole quantità di punti, definita “nuvola dipunti”, che raffrontati con il numero di punti rilevati con altri sistemi codi-ficati risulta nettamente a favore di questa ultima metodica, dipendendoquesto dalla piccola distanza tra un punto ed il limitrofo (pochi millime-tri), con il risultato che l’insieme dei punti: la nuvola di punti, da sola èatta a descrivere la porzione di superficie rilevata.

La precisione che il raggio laser consente nel calcolo della distanza trail centro dello strumento ed il punto collimato, ottenuto attraverso la misu-razione del così detto “tempo di volo”, consente di ottenere le coordinatecartesiane di ogni singolo punto rispetto ad un sistema di riferimento fis-sato nel centro dello strumento.

Le caratteristiche dello strumento influenzano il modo di operare. Nelcaso in cui lo strumento non è dotato di motorizzazione la scansione avvienetramite il movimento in senso verticale ed orizzontale del pennello di raggiolaser. Per scansionare un’intera superficie è necessario procedere a più scan-sioni, posizionando lo strumento in punti differenti, il numero delle qualidipende dalle caratteristiche angolari del movimento del pennello. In questocaso si deve procedere all’assemblaggio delle diverse scansioni, le singoleimmagini composte, aggregate nella sequenza in cui sono state eseguite e, infase di progetto, si devono prevedere le sovrapposizione necessarie per ilmontaggio. Tutte le scansioni, pulite dai punti sovrabbondanti, e assemblate

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rendono percepibile un modello nella tridimensionalità formale e nella suacomplessità spaziale, un modello virtuale, molto aderente alla realtà, quasitangibile nella sua definita forma geometrica.

Se lo strumento è dotato di motorizzazione il pennello di luce polariz-zata può muoversi in senso verticale con un’apertura angolare, che lasciascoperta solo la zona della propria base, e in senso orizzontale di un ango-lo giro. Una attrezzatura di questo tipo permette di rilevare, con un solopunto stazione, tutta la superficie interna di un singolo ambiente o unavasta zona di quella esterna; la nuvola di punti senza altra elaborazioneconsente di creare uno pseudo modello.

Questa metodica è stata utilizzata nelle riprese per il rilevamento dellaCappella Bonaiuto [8], della volta della Torre Pisana al Castello diLombardia di Enna [8], o nel rilievo delle volte del Refettorio Piccolo [10]o del Vestibolo del Sacrario dei Caduti [8,9] presso il Monastero deiBenedettini a Catania.

Le operazioni richieste risultano numerose, la complessità di aggrega-zione tra modelli diversi si deve avvalere di metodologie integrate, i sin-goli spazi devono essere definiti geometricamente e documentabili trami-te interventi di modifica abbastanza celeri. L’aggregazione di più modellisi ottiene attraverso poligonazioni o per sovrapposizioni di punti omologhiche consentono la creazione di un unico modello dell’intera struttura.

Questa metodica è stata utilizzata per il rilevamento della facciata e del-l’interno della Badia di Sant’Agata a Catania; l’assemblaggio è stato rea-lizzato con la sovrapposizione delle diverse scansioni attraverso il riscon-tro di punti comuni all’una con l’altra.

Una fase di elaborazione con algoritmi di filtraggio ed ottimizzazionedelle informazioni rilevate consente, attraverso mesh o nurbs, un collega-mento dei singoli punti trasformando la serie di punti in una superficiecontinua che può considerarsi, per forma, identica alla superficie reale. Loscarto dipende dall’intervallo tra punto e punto, più questo tanto la super-ficie può essere assimilata a quella reale, e quindi considerata come invo-lucro dell’oggetto di cui ne è garantita la metricità.

La critica più corrente che viene posta in essere a questa metodica èquella che il rilevamento avviene per superfici, limitate solo all’aspettoesteriore, epidermico, e nulla o poco si può ipotizzare sulla struttura chesottende l’oggetto. Premesso che in ogni operazione di rilevamento siopera solo documentando la parte visibile e che eventuali ricerche sullatipologia strutturale, ove non si intervenga con analisi di altro tipo, si ottie-

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ne per assemblaggio di parti diverse, allo stesso modo si opera nel caso delrilevamento tramite laser. Così l’assemblaggio di più scansioni quelle chedelimitano lo spazio interno dell’oggetto e quelle che ne documentano lasuperficie esterna collegandole, con le menzionate poligonali, ad un unicosistema di riferimento, consentono di evidenziare attraverso sezioni lastruttura sottesa tra le due superfici estreme e ricavare sezioni e profili dacui ottenere grafici di tipo tradizionale.

Il lavoro di rilevamento della struttura archeologica delle Termedell’Indirizzo [11, 12] eseguita dal nostro gruppo di lavoro ne è un esem-pio; l’avere associato il modello esterno con quello interno ha consentitodi sezionare con una grande quantità di piani verticali l’oggetto e dato lapossibilità di ricavare tutte le sezioni necessarie a comprendere la struttu-ra dell’edificio termale.

Quanto fin qui esposto è sufficiente per definire la forma dell’oggetto,poco o quasi nulla può essere determinato dal punto di vista materico ecolorimetrico, e per l’individuazione delle parti degradate, o delle partisoggette a patologie.

Questa incertezza può essere superata con un rendering fotografico;infatti l’immagine fotografica offre una definizione superiore a quellaofferta dall’immagine ricavata dalla scansione. Nel nostro laboratorio cisiamo posti l’obiettivo di spalmare la foto sulle superfici ricavate conside-rando queste come schermi su cui proiettare l’immagine fotografica, dopoaver relazionato punti omologhi sia sulla scansione che sulla foto.

Attraverso l’interpretazione dell’immagine ottenuta, immagine metri-camente esatta, si riesce a definire ed individuare lo stato fessurativo o didegrado il cui si trovano le varie parti e quindi perfettamente definibile perla valutazione di alcune opere d’intervento. Questi sono i criteri con cui inquesti anni prendono avvio le nostre esperienze con l’applicazione dellametodologia del laser scanner 3D.

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11. A. Giuffrida, M. Liuzzo, C. Santagati, L. Andreozzi. «The laser scanner forarcheological survey: “le terme dell’Indirizzo” in Catania», in Proceedings of theXX Cipa International Symposium International cooperation to save the world’scultural heritage. Torino 26 settembre - 2 ottobre 2005

12. A. Giuffrida, M. Liuzzo, C. Santagati, L. Andreozzi. «Il laser scanner per il rilie-vo di opere archeologiche: le terme dell’Indirizzo a Catania», in Atti 9aConferenza Nazionale ASITA, Catania, 15 - 18 novembre 2005

Andreozzi32

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STUDIO PETROGRAFICO DI MACINE PROTOSTORICHE

DAI SITI DI ALORDA PARK E DI BARRANC DE GAFOLS (SPAGNA)

AZZARO E.(1), MONTANA G.(1), PISCIOTTA G.M.(1),CAU ONTIVEROS M.A.(2), PORTILLO RAMIREZ M.(3)

(1) Dipartimento di Chimica e Fisica della Terra ed applicazioni alle georisorse e ai rischi naturali, Università degli Studi di Palermo, via Archirafi, 36 – 90123 Palermo,

tel. 091 6161516, fax 091 6168376, [email protected], [email protected]; (2) ICREA/ERAUB, Departament de Prehistòria, Història Antiga i Arqueologia,

Universitat de Barcelona, Fac. Geografia i Història, Baldiri i Reixac s/n, 08028 Barcelona; (3) Departament de Prehistòria, Història Antiga i Arqueologia, Universitat de Barcelona,

Fac. Geografia i Història, Baldiri i Reixac s/n, 08028 Barcelona

1. Introduzione

Questo studio, che rientra in un progetto di ricerca condotto in collabo-razione con l’Equipe di Ricerca Archeometrica dell’Università diBarcellona (ERAUB), attività presso il Dipartimento di Preistoria, StoriaAntica e Archeologica dell’Università di Barcellona (Spagna), ha comeoggetto la caratterizzazione mineralogico-petrografica e la determinazionedi provenienza di macine protostoriche ritrovate in due importanti parchiarcheologici della Catalogna.

L’interesse archeometrico per questo genere di manufatti scaturisce daalcune semplici considerazioni:– la produzione di macine implica l’acquisizione di nozioni tecnologiche

(come la scelta dei parametri morfologici, la ricerca dei materiali piùadatti, etc.) che si evolvono nel tempo in funzione delle varie esigenzedelle comunità antiche;

– le macine sono diffuse in vari contesti del Mediterraneo occidentale edunque possono permettere interessanti correlazioni crono-spazio-tem-porali.Dallo studio delle macine è possibile ottenere:

– una caratterizzazione morfologica in funzione dell’uso specifico, del-l’età e delle differenti aree geografiche di ritrovamento;

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– una caratterizzazione composizionale che consenta la definizione accu-rata del tipo litologico e, pertanto, favorisca il confronto con oggetti ana-loghi da altri siti ed, eventualmente, l’individuazione dell’area di prove-nienza del materiale litoide.

Questo contributo rappresenta un primo apporto preliminare ad unaricerca archeologica più ampia, avente l’obiettivo di ricostruire la dinami-ca d’approvvigionamento e di esportazione delle risorse naturali, connes-sa allo scambio di macine, relativamente alla popolazione del sud dellaCatalogna in un intervallo cronologico compreso tra il VI e il III secoloa.C. In questo ambito generale lo studio archeometrico si propone di for-nire una corretta caratterizzazione delle materie prime e di ipotizzare perle singole macine una possibile area di provenienza. I due aspetti sono fon-damentali per il conseguimento degli obiettivi archeologici e la metodolo-gia analitica è stata già accreditata sufficientemente in archeologia [1 - 6].In questa fase si propongono la caratterizzazione composizionale dellerocce utilizzate ed una prima ipotesi di provenienza che sarà successiva-mente meglio verificata con l’acquisizione di ulteriori dati sulla geologiaregionale.

2. Ubicazione dei siti e cenni storico-archeologici

I campioni di macine provengono dai parchi archeologici di AlordaPark (Calafell, Baix Penedès) e di Barranc de Gàfols (Ginestar, Riberad’Ebre), nella provincia di Tarragona al sud della Catalogna nel nord-estdella Spagna, in prossimità del foce del fiume Ebro. Il complesso di mate-riale studiato è formato da mulini che sono stati recuperati durante lediverse fasi di un intervento archeologico realizzate nel giacimento finoall’anno 2002 (v. Figg. 1 e 2).

Tra i vari tipi di mulini e mortai possono identificarsi tre grandi gruppitipologici: mulini di vaivè (dondolamento), mulini rotativi (di tipo passivoo attivo) e mortai (Fig. 2).

I 17 campioni studiati (11 da Alorda Park e 6 da Barranc de Gafols)sono frammenti prelevati da mulini di vaivè (V) e da mulini rotativi (R) ditipo passivo e attivo.

Il giacimento di Barranc de Gàfols (Ginestar) si trova situato in una pia-nura delimitata dal torrente Gàfols nel punto in cui questo si immette nellapiana alluvionale del fiume Ebro. Gli scavi archeologici hanno messo in evi-

Azzaro, Montana, Pisciotta, Cau Ontiveros, Portillo Ramirez34 Azzaro, Montana, Pisciotta, Cau Ontiveros, Portillo Ramirez34

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Studio petrografico di macine protostoriche 35

denza la presenza di strutture databili alla fine dell’Età del Bronzo ovvero allaprima dell’età del Ferro. La fase meglio documentata è quella da primo terzodel VI secolo a.C. (Fase 2). In questa fase la struttura generale dell’insedia-mento è quella d’un piccolo villaggio protourbano configurato da 13 recintirettangolari che formano almeno quattro gruppi di costruzioni [7]. Tutte lemacine prelevate a Gafols (6 campioni) hanno la medesima cronologia(primo terzo del VI secolo a.C.).

Alorda Park (Calafell, Baix Penedès), si trova in una piccola altura a 15metri sopra il livello del mare alla sinistra della foce del torrente Cobertera.Si tratta di un piccolo insediamento di circa 3000 m2, che è stato scavatosistematicamente dal 1983. Almeno 6 fasi differenti sono state individuatenel giacimento, che vanno dal periodo iberico antico con una cronologia dametà del VI secolo a.C. a metà del V secolo a.C., fino alla fase 5, che corri-sponde a una occupazione della cittadella iberica distrutta dai romani nellaseconda metà o alla fine del I a.C. [8]. Le cronologie delle macine prelevatead Alorda Park sono riportate in Tabella 1; invece in Tabella 2 vengono ripor-tate le cronologie delle macine prelevate a Barranc de Gafols.

3. Metodologie d’indagine

Per la caratterizzazione e la classificazione dei campioni sono state ese-guite indagini mineralogiche, petrografiche e chimiche utilizzando ilmicroscopio polarizzatore, il diffrattometro a R.X. e lo spettrometro per

Studio petrografico di macine protostoriche 35

Fig. 1 - Mappa con ubicazione dei parchi Fig. 2 - Tipologia di mulini

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Azzaro, Montana, Pisciotta, Cau Ontiveros, Portillo Ramirez36 Azzaro, Montana, Pisciotta, Cau Ontiveros, Portillo Ramirez36

sigla campione

rif. scavo US tipo parte cronologia

SPG 1 29 422 V indet. VI a.C.

SPG 2 10 81 V-P/A a / p VI a.C.

SPG 3 1 13 V-P1 passiva VI a.C.

SPG 4 26 280 V-P/A a / p VI a.C.

SPG 5 14 268 V-P1 passiva VI a.C.

SPG 6 4 43 V-P/A a / p VI a.C.

sigla campione

rif.scavo

US tipo parte cronologia

ALP 1 51 10408 R2-A3-32°-R2-A2-

12e

attiva 500-400 a.C.

attiva 500-400 a.C.ALP 2 52 10408

ALP 3 53 10408 V-P1 passiva 500-400 a.C.

ALP 4 13 7113 V-P2 passiva 300-200 a.C.

ALP 5 20 1030 R1-P3-1 passiva 425-400 a.C.

ALP 6 37 210 R2-A3-31c attiva 250-200 a.C.

ALP 7 23 7088 R2-P3-2 passiva 300-200 a.C.

ALP 8 12 7113 V-P1 passiva 300-200 a.C.

ALP 9 15 7088 V-P/A a / p 300-200 a.C.

ALP 10 6 8608 V-P/A a / p fine IV a.C.

ALP 11 7 8608 V-P/A a / p fine IV a.C.

Tab. 2. Macine prelevate a Barranc de Gafols e relativa cronologia.

Tab. 1. Macine prelevate ad Alorda Park e relativa cronologia.

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fluorescenza a R.X. Per l’analisi modale delle rocce intrusive è stato usatoil point-counter Swift model F.

4. Risultati e discussione

L’osservazione delle sezioni sottili al microscopio petrografico e le ana-lisi chimiche mediante XRF hanno consentito di identificare la naturapetrografica delle macine oggetto di studio: i campioni provenienti daAlorda Park (Tab. 3) sono costituiti prevalentemente da rocce sedimenta-rie e, subordinatamente, da rocce magmatiche; i campioni prelevati aBarranc de Gafols, (Tab. 4) invece, sono per lo più di natura magmatica.

Di seguito vengono riportate le caratteristiche mineralogiche e petro-grafiche dei campioni osservati in sezione sottile al microscopio ottico econfermate tramite diffrattometria a raggi X.

Campione ALP 1Roccia sedimentaria con tessitura isotropa e struttura granulare pavimen-

tosa. E’una roccia concrezionata, costituita da calcite, caratterizzata da formefossili probabilmente riconducibili a spugne, oppure ad alghe. Sono talorapresenti anche cavità da impronta di forma pseudo-circolare riempite da sedi-menti arenacei. Tra i minerali accessori individuati quarzo monocristallino eplagioclasio. Si tratta di una Biomicrite [9], ovvero Boundstone [10].

Campione ALP 2Roccia sedimentaria, costituita da calcite. Il cemento è costituito da micri-

te parzialmente ricristallizzata in microsparite con dimensione generalmenteentro i 5 micron. I frammenti bioclastici prevalenti sono rappresentati dapeloidi di forma prevalentemente irregolare, senza traccia di struttura inter-na, con dimensioni ricadenti nella classe della sabbia media-grossolana.Subordinatamente sono stati individuati molluschi, resti di gusci di bivalvi,briozoi ramificati con cavità riempite da cemento spatico. Tra i mineraliaccessori vi sono cristalli di plagioclasio e quarzo. La roccia è classificabilecome biomicrite sparsa [9], ovvero come wackestone [10].

Campione ALP 3Roccia sedimentaria a grana molto fine, con una scarsa presenza di

allochimici, fango-sostenuta. La compagine è costituita da cristalli didolomite, frequentemente con habitus romboedrico regolare e talora con

Studio petrografico di macine protostoriche 37Studio petrografico di macine protostoriche 37

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Azzaro, Montana, Pisciotta, Cau Ontiveros, Portillo Ramirez38 Azzaro, Montana, Pisciotta, Cau Ontiveros, Portillo Ramirez38

SPG 1 Roccia magmatica ipoabissale – Porfido

SPG 2Roccia silicoclastica – Subarenite liticafeldspatica

SPG 3Roccia magmatica intrusiva – Tonalite-granodiorite

SPG 4Roccia magmatica intrusiva –Granodiorite

SPG 5Roccia magmatica intrusiva –Granodiorite

SPG 6Roccia magmatica intrusiva – Granito

ALP 1 Roccia carbonatica – Biomicrite/Boundstone

ALP 2 Roccia carbonatica – Biomicrite sparsa/Wackestone

ALP 3 Roccia carbonatica – Micrite/Mudstone

ALP 4 Roccia magmatica effusiva – Basalto

ALP 5 Roccia silicoclatica – Arenite litica feldspatica

ALP 6 Roccia silicoclatica – Arenite litica feldspatica

ALP 7 Roccia silicoclatica – Arenite litica

ALP 8 Roccia silicoclatica – Arenite litica

ALP 9 Roccia magmatica intrusiva – Granodiorite-Tonalite

ALP 10 Roccia magmatica intrusiva – Granodiorite

ALP 11 Roccia magmatica intrusiva – Granito

Tab. 3. Classificazione petrografica dei campioni da ALORDA PARK

Tab. 4. Classificazione petrografica dei campioni provenienti da BARRANC DEGÀFOLS.

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evidenti zonature. Sono presenti delle strutture fossili di forma allungata,probabilmente riconducibili a dei frammenti di guscio di lamellibranchi.Sporadicamente presenti anche foraminiferi e peloidi. La roccia vieneclassificata come micrite [9] o mudstone [10].

Campione ALP 5Roccia sedimentaria a grana molto grossolana il cui costituente più

abbondante è il quarzo sia nella forma monocristallina che policristallina,con cristalli subarrotondati; è presente anche calcedonio. Individuateanche notevoli quantità di K feldspato per lo più fortemente alterato eframmenti litici areniti quarzose, calcari compatti a grana fine, biocalcare-niti, micascisti quarzo, quarzosiltiti, frammenti con quarzo a struttura mir-mekitica. Da comuni a sporadici o rari granuli di selce, glauconite, musco-vite e plagioclasio. Il fango terrigeno che costituisce la matrice a granafine è di natura prevalentemente carbonatica, sindeposizionale, talora consegregazioni di ossidi di ferro ai bordi di contatto matrice-granulo. Ilcemento non particolarmente abbondante è di natura carbonatica e, inmisura subordinata, è costituito anche da quarzo microstallino. La rocciapuò essere classificata come arenite litica feldspatica [9].

Campione ALP 6Arenaria a grana molto grossolana con composizione mineralogica costi-

tuita da abbondante quarzo, con cristalli subarrotondati, che si presentacome monocristallino, policristallino ed anche microcristallino. Sono pre-senti K-feldspato, pertitizzato ed alterato, selce, raro plagioclasio, e nume-rosi frammenti litici (areniti quarzose, calcari compatti a grana fine, mica-scisti quarzosi, quarzosiltiti, biocalcareniti, frammenti con quarzo a struttu-ra mirmekitica). Il fango terrigeno che costituisce la matrice a grana fine èdi natura prevalentemente carbonatica sindeposizionale e con presenza aibordi del contatto matrice-granulo di ossidi di ferro. Il cemento è di naturacarbonatica e in misura subordinata è costituito anche da quarzo microcri-stallino. La roccia è classificabile come arenite litica feldspatica [9].

Campione ALP 7Roccia sedimentaria con grana da grossolana a media caratterizzato da

abbondanti cristalli di quarzo monocristallino, policristallino e microcristal-lino. Sono presenti K-feldspato (pertitizzato ed alterato), glauconite, fram-menti litici di varia natura (quarzosiltiti, calcareniti, calcari compatti a grana

Studio petrografico di macine protostoriche 39Studio petrografico di macine protostoriche 39

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fine, metamorfiti acide, frammenti con quarzo mirmekitico), abbondantiresti di microfossili, selce, raro plagioclasio e muscovite. Il fango terrigenoche costituisce la matrice a grana fine è di natura calcarea. Il cemento è for-mato prevalentemente da calcite spatica e subordinatamente da quarzomicrocristallino. La roccia è classificabile come arenite litica [9].

Campione ALP 8Roccia sedimentaria con grana da grossolana a media con abbondanti

cristalli di quarzo monocristallino, policristallino e microcristallino. Sonopresenti anche frammenti litici silicoclastici, K-feldspato pertitizzato edalterato, muscovite, sporadica selce e plagioclasio. Il fango terrigeno checostituisce la matrice a grana fine è di natura prevalentemente carbonati-co-argillosa. Il cemento è costituito quasi totalmente da quarzo microcri-stallino. La roccia può essere classificata come arenite litica [9].

Campione SPG 2Arenaria con grana da grossolana a media costituita da abbondante quar-

zo monocristallino, policristallino e microcristallino. Sono presenti fram-menti litici per lo più di natura silicatica, selce, glauconite, muscovite e K-feldspato pertitizzato ed alterato. Il cemento non particolarmente abbondan-te è di natura silicatica e, in misura minore, anche di tipo carbonatico. Laroccia è classificabile come subarenite litica feldspatica [9] (v. Fig. 3).

Azzaro, Montana, Pisciotta, Cau Ontiveros, Portillo Ramirez40 Azzaro, Montana, Pisciotta, Cau Ontiveros, Portillo Ramirez40

Fig. 3 - Diagramma classificativo per le arenitit non carbonatiche. [9]

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Campione ALP 4Roccia magmatica effusiva con struttura porfirica olocristallina inter-

sertale. La pasta di fondo è costituita da microfenocristalli di plagioclasioidiomorfo (disposti a feltro), clinopirosseno, olivina e magnetite. Tra ifenocristalli abbiamo: olivina fratturata, plagioclasio spesso zonato dicomposizione labradorite-bytownite, clinopirosseno diopsitico-augiticofortemente fratturato, talora zonato e magnetite. La roccia può essere clas-sificata come basalto.

Campione SPG 1Roccia magmatica effusiva felsica con tessitura granofirica e struttura

porfirica caratterizzata da fenocristalli abbastanza sviluppati immersi inuna pasta di fondo olocristallina. Si riconoscono cristalli di plagioclasio(geminati e spesso zonati ed alterati), quarzo (che presenta spesso lobi diriassorbimento), K-Feldspato alterato e pertitizzato. Sono presenti altresìepidoto (spesso associato a plagioclasio e a clorite), biotite, muscovite,ematite, apatite e anfibolo (subordinato, presente in pasta di fondo). Laroccia può essere classificata come un porfido.

Campione ALP 9Roccia magmatica intrusiva felsica con tessitura isotropa e struttura olo-

cristallina ipidiomorfa granulare. La roccia appare, complessivamente, for-temente alterata e i cristalli si presentano spesso fratturati. Abbondante è ilplagioclasio di composizione oligoclasio-andesina, talora zonato e alterato.Sono presenti anche quarzo, K-feldspato (fortemente alterato e pertitizza-to), biotite (cloritizzata con inclusioni di magnetite) e, come accessori,apatite ed epidoto. La roccia è classificabile come granodiorite-tonalite.

Campione ALP 10Roccia magmatica intrusiva fortemente alterata con cristalli spesso

fratturati. Sono presenti plagioclasio (abbondante, talora zonato e spessoalterato), quarzo, K-feldspato (fortemente alterato e pertitizzato), biotite(spesso fortemente ossidata e cloritizzata, con inclusioni di magnetite ezircone). Come accessori si rinvengono apatite, epidoto e magnetite. Laroccia può essere classificata come granodiorite.

Campione ALP 11Roccia magmatica intrusiva fortemente alterata con cristalli spesso

Studio petrografico di macine protostoriche 41Studio petrografico di macine protostoriche 41

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fratturati. Il minerale più abbondante è il quarzo seguito da minori quanti-tà di plagioclasio (di composizione oligoclasio-andesina, talora zonato ealterato) e K-feldspato (alterato e pertitizzato). E’ presente anche biotite(ossidata e cloritizzata, con inclusioni di magnetite e zircone). Tra i costi-tuenti accessori abbiamo apatite, epidoto, zircone e magnetite. La rocciapuò essere classificata come granito.

Campione SPG 3Roccia magmatica intrusiva fortemente alterata caratterizzata da cri-

stalli spesso fratturati. Il minerale più abbondante è il plagioclasio di com-posizione oligoclasio-andesina (talora zonato e alterato). Seguono quarzoe K-feldspato (fortemente alterato e pertitizzato). Presente anche biotitespesso fortemente ossidata e cloritizzata, con inclusioni di magnetite e zir-cone. Tra i minerali accessori sono stati individuati zircone, magnetite edematite. La roccia può essere classificata come tonalite-granodiorite.

Campione SPG 4Roccia magmatica intrusiva nell’insieme alterata e contraddistinta da

cristalli spesso fratturati. Il minerale più abbondante è il plagioclasio concomposizione oligoclasio-andesina, talvolta zonato e alterato. Seguono,con abbondanze leggermente minori ma pur sempre elevate, quarzo e K-feldspato (estesamente alterato e pertitizzato). Individuata anche biotite(ossidata e cloritizzata, con inclusioni di magnetite e zircone). Comeminerali accessori si segnalano apatite, epidoto, magnetite ed ematite. Laroccia è classificabile come granodiorite.

Campione SPG 5Roccia magmatica intrusiva alterata e con cristalli molto fratturati. Il

minerale più abbondante è il plagioclasio caratterizzato da una composi-zione di tipo oligoclasio-andesina, alle volte zonato e alterato. Seguono ilquarzo ed il K-feldspato, quest’ultimo fortemente alterato e pertitizzato. Èpresente anche la biotite per lo più alterata, con inclusioni di magnetite ezircone. Tra i costituenti accessori si segnalano apatite, epidoto, magneti-te ed ematite. La roccia può essere classificata come granodiorite.

Campione SPG 6Roccia magmatica intrusiva fortemente alterata e con cristalli spesso

fratturati. Plagioclasio (con composizione oligoclasio-andesina, talora

Azzaro, Montana, Pisciotta, Cau Ontiveros, Portillo Ramirez42 Azzaro, Montana, Pisciotta, Cau Ontiveros, Portillo Ramirez42

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Studio petrografico di macine protostoriche 43Studio petrografico di macine protostoriche 43

Fig. 4. Classificazione modale delle rocce plutoniche [11]

Foto 1. Microfotografia del campioneALP 1 Nicol incrociati; barra dimensio-nale=0.4mm

Foto 2. Microfotografia del campioneALP 5 Nicol incrociati; barra dimensio-nale=0.4mm

zonato e alterato), quarzo e K-feldspato (alterato e pertitizzato) sono pre-senti in quantità pressoché uguali, insieme a minori quantità di biotite(ossidata e cloritizzata, con inclusioni di magnetite). Tra i minerali acces-sori abbiamo zircone, magnetite ed ematite. La roccia è classificabilecome granito (v. Fig. 4, Foto 1, 2, 3, 4).

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Fig. 5. Diagramma T.A.S. [12] [13]

Azzaro, Montana, Pisciotta, Cau Ontiveros, Portillo Ramirez44 Azzaro, Montana, Pisciotta, Cau Ontiveros, Portillo Ramirez44

Foto 3. Microfotografia del campioneSPG 1 Nicol incrociati; barra dimensio-nale=0.4mm

Foto 4. Microfotografia del campioneSPG 3 Nicol incrociati; barra dimensio-nale=0.4mm

5. Chimismo

Le analisi chimiche degli elementi maggiori minori ed in tracce, ese-guite tramite spettrometria di fluorescenza X (XRF), riportate in tabella 4e 5, si accordano ragionevolmente con le paragenesi rilevate mediantemicroscopia ottica e XRD. Al fine di una classificazione geochimica deicampioni ALP4 (basalto) e SPG1 (porfido) sono stati utilizzati alcuni tra iprincipali diagrammi classificativi (v. Fig. 5, 6 e 7).

In tabella 6 sono riportate le analisi normative per i campioni a compo-sizione granitica-granodioritica e la relativa classificazione è rappresenta-ta in Fig 8.

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Studio petrografico di macine protostoriche 45Studio petrografico di macine protostoriche 45

Camp. SiO2 TiO2 Al2O3 P2O5 Fe2O3 MgO MnO CaO Na2O K2O LOI

ALP 1 7.53 0.11 2.07 0.09 1.03 1.84 0.11 47.07 0.26 0.65 39.24

ALP 2 1.21 0.03 0.21 0.19 0.17 0.41 0.10 54.79 0.01 0.08 42.79

ALP 3 1.26 0.03 0.41 0.64 0.22 19.44 0.07 32.57 0.06 0.11 45.19

ALP 4 45.27 2.55 15.58 0.50 11.58 6.52 0.18 12.32 3.77 0.96 0.77

ALP 5 69.73 0.11 8.46 0.06 1.55 0.45 0.07 8.58 0.19 2.63 8.17

ALP 6 61.35 0.14 10.11 0.09 1.81 0.43 0.08 13.02 0.09 3.09 9.79

ALP 7 62.14 0.16 10.08 0.09 1.35 0.73 0.08 12.16 0.35 3.42 9.44

ALP 8 86.07 0.12 5.46 0.02 0.42 0.41 0.05 1.32 0.64 3.26 2.22

ALP 9 66.71 0.54 14.00 0.22 4.09 2.48 0.10 4.30 3.45 2.76 1.35

ALP10 65.77 0.52 14.68 0.18 3.80 2.53 0.10 4.32 3.65 2.61 1.83

ALP11 73.35 0.25 12.47 0.07 2.32 0.97 0.09 2.32 3.82 3.62 0.73

SPG 1 63.28 0.62 14.28 0.12 4.88 3.15 0.11 3.12 1.97 5.27 3.21

SPG 2 93.92 0.11 2.11 0.04 0.49 0.39 0.05 0.87 0.06 0.97 0.98

SPG 3 64.68 0.74 14.30 0.17 5.10 3.30 0.11 3.57 2.69 4.06 1.48

SPG 4 66.11 0.57 14.22 0.13 4.07 2.49 0.09 3.48 2.88 3.87 2.09

SPG 5 66.41 0.65 14.21 0.16 4.69 1.96 0.08 2.82 2.17 4.49 2.36

SPG 6 73.89 0.11 14.03 0.03 1.29 0.27 0.02 1.41 2.92 4.78 1.25

Tab. 4. Concentrazione degli elementi maggiori e perdita per calcinazione (% in peso).

Fig. 6. Diagramma di SiO2 vs Nb/Y [14]

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Azzaro, Montana, Pisciotta, Cau Ontiveros, Portillo Ramirez46 Azzaro, Montana, Pisciotta, Cau Ontiveros, Portillo Ramirez46

Fig. 7. Diagramma T.A.S. [12] [13]

Camp. Rb Sr Y Nb Zr Cr Ni Ba La Ce V

ALP 1 17 1032 6 n.d. n.d. 19 29 594 9 n.d. 20

ALP 2 n.d. 55 3 n.d. 5 10 24 64 6 n.d. 5

ALP 3 n.d. n.d. 5 n.d. 40 17 3 48 6 n.d. 9

ALP 4 15 514 23 33 106 193 84 628 43 82 295

ALP 5 97 173 17 n.d. 39 19 17 371 16 32 28

ALP 6 122 210 22 n.d. 36 19 17 487 16 18 35

ALP 7 127 277 20 n.d. 36 22 16 519 13 28 28

ALP 8 116 122 16 n.d. 4 15 8 4710 13 n.d. 20

ALP 9 99 277 35 8 121 20 16 827 47 72 76

ALP10 94 358 33 9 116 19 12 700 32 53 70

ALP11 125 142 30 6 94 20 11 636 29 41 26

SPG 1 110 206 27 6 129 22 17 786 52 87 86

SPG 2 37 34 9 n.d. 38 27 10 128 41 37 20

SPG 3 153 222 35 12 152 37 17 769 53 84 80

SPG 4 135 212 35 8 136 29 14 713 49 72 68

SPG 6 218 110 55 n.d. 232 11 29 974 46 100 41

Tab. 5. Concentrazione degli elementi in traccia (ppm); n.d. = al di sotto del limite dirivelabilità strumentale.

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Studio petrografico di macine protostoriche 47Studio petrografico di macine protostoriche 47

ALP 9 ALP 10 ALP 11 SPG 3 SPG 4 SPG 5 SPG 6

AP 0.42 AP 0.34 AP 0.14 AP 0.33 AP 0.25 AP 0.37 AP 0.08

IL 0.89 IL 0.86 IL 0.41 IL 1.23 IL 0.95 IL 1.23 IL 0.21

OR 15.43 OR 14.7 OR 15.17 OR 22.9 OR 21.96 OR 26.56 OR 28.22

AB 29.32 AB 31.24 AB 32.19 AB 23.07 AB 24.83 AB 18.34 AB 24.7

AN 13.78 AN 15.22 AN 8.61 AN 14.28 AN 13.87 AN 12.97 AN 6.77

MT 0.76 MT 0.79 MT 0.57 MT 0.95 MT 0.85 MT 1.6 MT 0.37

CPX 5.18 CPX 4.2 CPX 1.81 CPX 1.67 CPX 1.87 CPX 10.09 CPX 2.21

QZ 25.12 QZ 23.41 QZ 37.31 QZ 21.15 QZ 24.84 QZ 25.71 QZ 34.61

Tab. 6. Norme CIPW

Fig. 8. Classificazione geochimica per le rocce intrusive in base a valori normativi di An-Ab-Or

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Azzaro, Montana, Pisciotta, Cau Ontiveros, Portillo Ramirez48

6. Ipotesi di provenienza dei materiali litoidi individuati

In questa fase preliminare, a causa dell’oggettiva difficoltà riscontratanel reperire dati chimici utili per un confronto, le ipotesi di provenienzasono state formulate ricorrendo, per lo più, alla consultazione della lette-ratura geologica relativa al territorio in esame [15] [16].

Su questa base, pur tenendo conto dei sopraccitati limiti e basandosi per lopiù sui dati derivanti dalle osservazioni microscopiche, le macine realizzate conrocce sedimentarie possono essere considerate, con grande probabilità, tutte dimanifattura locale. Infatti, per quanto riguarda le macine di natura carbonatica,ritrovate esclusivamente nel sito di Alorda Park, un materiale litologicamenteconforme è presente nelle Formazioni Culm (Siluriano-Devoniano) ed Imon(facies Keuper del Trias superiore) estesamente affioranti nel territorio limitro-fo. Considerazioni analoghe possono essere fatte per le macine di natura silico-clastica, rinvenute in entrambi i siti; in questo caso il materiale usato è presen-te nell’associazione di Facies del Buntsandstein (Trias) e nei conglomerati flu-viali depositati dall’Ebro pliocenico affioranti nel territorio circostante il sito diBarranc de Gafols.

Difficoltà maggiori sono state incontrate nel tentativo di individuare unaprobabile provenienza per i litotipi utilizzati nella manifattura delle macine rea-lizzate con rocce magmatiche. Infatti, anche se nella zona immediatamente cir-costante i due siti archeologici oggetto di studio sono presenti limitati affiora-menti di tonaliti e granodioriti (area Tarragona), questi litotipi locali, in base aidati riportati in letteratura [15], si differenziano da quelli con cui sono state rea-lizzate le macine, sia dal punto di vista mineralogico (per la presenza di abbon-dante orneblenda, assente nelle macine oggetto di studio) che dal punto di vistadel chimismo (diversi contenuti in Al2O3 e MgO) (v. Fig. 9). Pertanto, per que-ste macine può essere considerata al momento puramente attendibile l’ipotesidi importazione dalla zona costiera a nord-est di Barcellona (area di Gerona)[17] dove affiorano estesamente graniti e granodioriti di serie calc-alcalina,che, tuttavia, non sono stati ancora confrontati composizionalmente con i nostrireperti.

Altrettanto complessa risulta la definizione di ipotesi di provenienzaammissibili per i reperti di natura vulcanica (basalto e porfido). Per ciò cheriguarda la macina in basalto alcalino siglato ALP4 il confronto più logico ediretto può essere fatto con gli affioramenti di vulcaniti basaltiche di seriealcalina di età neogenico-quaternaria affioranti nel nord-est della Catalogna(area di Gerona) [17], anche se, almeno a priori, non possono essere escluse

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altre provenienze in area mediterranea [18]. Per ciò che concerne la macinacomposta da porfido il confronto con i materiali assimilabili, rappresentatimolto sporadicamente solo nell’area di Tarragona, può essere fatto, almomento, in modo puramente qualitativo e limitatamente alla composizionemineralogica, che, peraltro, mette in luce alcune differenze (presenza di orne-blenda come fenocristalli nella pasta di fondo).

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Fig. 9. Diagramma di Harker. Correlazione degli elementi maggiori (Al2O3 e MgO vsSiO2) riportante i campioni da noi studiati e il campione di riferimento presente inbibliografia.

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L’APPORTO DELLA RISONANZA PARAMAGNETICA ELETTRONICA

(EPR) NELLO STUDIO DEI BENI CULTURALI:CASO DELLE CALCITI

BAHAIN J.J. (1), BURRAFATO G. (2), DOLO J.M. (3), FALGUÈRES C. (1), GUELI A.M. (2), Lahaye C. (2), Leonardi R. (4), Occhipinti A. (2), Placenti G. (2), Stella G. (2), Troja S.O. (2), Zuccarello A.R. (2)

(1) Département de Préhistoire, Muséum National d’Histoire Naturelle, UMR 5198 du CNRS, 1 rue René Panhard, 75013 Paris, France

(2) LDL&BBCC, Laboratorio di Datazione tramite Luminescenza edi Metodologie Fisiche applicate ai Beni Culturali del Dipartimento di Fisica e Astronomia,

Centro Siciliano di Fisica Nucleare e di Struttura della Materia, Università di Catania & INFNSezione di Catania, via Santa Sofia 64, I - 95123 Catania

(3) Laboratoire National Henri Becquerel, CEA - Saclay, 91191 Gif sur Yvette Cedex, France(4) Dipartimento di Scienze Geologiche, Università di Catania, Corso Italia, 57, I - 95129 Catania

1. Introduzione

La Risonanza Paramagnetica Elettronica (EPR) è una tecnica spettrosco-pica nata per la caratterizzazione dei materiali. Dalla scoperta di Zavoisky,nel 1945, tale tecnica è stata adoperata in vari campi della fisica, della chimi-ca, della biologia. Negli ultimi decenni, in seguito alla proposta di Zeller nel1967, e alla prima applicazione pratica avvenuta con la datazione di una sta-lagmite (Ikeya, 1975), la metodologia ha mostrato tutte le sue potenzialità inambito dosimetrico, geocronologico ed archeometrico. Da qualche anno, talelinea di ricerca è stata anche inserita tra le attività del Laboratorio diDatazione tramite Luminescenza e di Metodologie Fisiche applicate ai BeniCulturali (LDL&BBCC) del Dipartimento di Fisica e Astronomiadell’Università di Catania, grazie alle competenze acquisite da parte deiricercatori afferenti al laboratorio e all’acquisto della strumentazione neces-saria. Disporre di tale metodologia al laboratorio LDL, leader nel campo delladatazione tramite luminescenza stimolata, rappresenta sicuramente una cre-scita. L’interesse è duplice. Come si sa, infatti, ogni metodologia di datazio-ne è peculiare di determinati tipi di materiali. La metodologia EPR viene

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dunque a colmare la lacuna relativa alla datazione di depositi carbonatici,denti, materiali organici. Tali tipologie di materiali infatti sono spesso presen-ti nei siti di interesse ma non sono databili tramite le tecniche di luminescen-za stimolata o, meglio, la datazione mediante queste metodologie pone deiproblemi. D’altra parte l’EPR, se applicata su cristalli di quarzo, permette diottenere dei risultati indipendenti, da mediare con i risultati forniti dallemetodologie TL e/o OSL applicate sugli stessi campioni. Di fondamentaleimportanza, infatti, per risolvere problemi legati alla origine e provenienzadei campioni ma anche per rispondere a quesiti di tipo cronologico, è il poterdisporre di dati ottenuti dall’applicazione di più metodologie tra loro indipen-denti: poter incrociare i risultati rappresenta un indubbio guadagno per la pre-cisione del dato di interesse.

Allo scopo di voler testare le potenzialità della spettroscopia EPR perla caratterizzazione e per la datazione di materiale carbonatico, sono stateeffettuate delle misure su cristalli di calcite estratti da una stalagmite pro-veniente dalla grotta Zinzulusa (Le). In questo lavoro ne vengono presen-tati i risultati preliminari che mostrano le potenzialità della metodologianello studio di questo tipo di materiali di interesse geologico/ambientale.

2. Analisi EPR

L’analisi tramite risonanza paramagnetica elettronica assume, per moltimateriali organici ed inorganici e per i cristalli in particolare, la funzione dicaratterizzazione microscopica strutturale, permettendo l’individuazione didifetti paramagnetici la cui presenza ed il cui comportamento possono esse-re messi in relazione a caratteristiche riguardanti il cristallo stesso. La carat-terizzazione non è un’operazione semplice da effettuare nel caso di un cri-stallo naturale, il quale, dal momento della sua formazione, può essere statointeressato da fenomeni a volte non controllabili e/o ricostruibili.

In alcuni casi e per alcuni particolari stati, a questa possibilità si associaquella di poter utilizzare il segnale EPR e la sua ampiezza per ottenere infor-mazioni sulla età di formazione degli stessi campioni o di eventi da essi subiti.

La prima applicazione è correlabile alla esistenza di elettroni spaiati innumero tale da fornire segnali EPR sufficientemente intensi. La secondaè invece strettamente correlata alla presenza di tali elettroni disaccoppiatiesclusivamente a causa di un fenomeno dipendente dal tempo e con unalegge sperimentalmente ricostruibile.

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Per una dettagliata descrizione dei principi fisici alla base della meto-dologia si rimanda alla bibliografia esistente (Marfunin, 1979; Abragamand Bleaney, 1970).

2.1. Datazione EPR

Il principio di datazione tramite risonanza paramagnetica elettronica sibasa sull’accumulo di elettroni non accoppiati, per effetto della radioatti-vità naturale, in difetti paramagnetici presenti nei cristalli naturali inesame. Nel momento in cui si forma il minerale, tutti gli elettroni si trova-no nello stato fondamentale di energia. In seguito, a causa della radiazio-ne naturale, costituita principalmente da particelle α, β, radiazione γ eraggi cosmici, gli elettroni possono essere trasferiti al livello energeticopiù alto (Fig.1). Dopo un breve periodo di propagazione, questi elettronieccitati possono essere intrappolati in stati metastabili realizzando così unprocesso di formazione di elettroni spaiati il cui numero è in continua cre-scita nel cristallo.

La risonanza paramagnetica elettronica permette di ottenere una infor-mazione quantitativa proporzionale alla concentrazione di elettroni spaia-ti così realizzatasi e, se la rate di riempimento, legata alla quantità di ener-gia assorbita e quindi alla intensità di irraggiamento, si è mantenutacostante nel tempo, tale informazione può essere messa in relazione altempo durante il quale è avvenuto il fenomeno di riempimento.

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Fig.1. Principio di cattura degli elettroni nei difetti del reticolo cristallino per azionedella radiazione (adattato da Falguères and Bahain, 2002). Ea rappresenta l’energia diattivazione.

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In teoria la metodologia di datazione tramite risonanza paramagneticaelettronica può essere applicata a tutti i minerali che contengono difettiparamagnetici indotti da radiazione. In pratica, però, un segnale EPR puòessere utilizzato a scopi cronologici solo se soddisfa determinate caratte-ristiche (Falguères and Bahain, 2002). In particolare:– l’intensità del segnale deve aumentare con la dose d’irradiazione

secondo una legge descritta da una espressione analitica (lineare, espo-nenziale o polinomiale);

– l’intensità del segnale deve essere nulla all’istante “zero” corrisponden-te all’istante da datare. Tale istante può corrispondere con la formazio-ne del minerale studiato, o con il momento in cui le trappole sono statesvuotate completamente. Questo svuotamento può esser stato provoca-to da un riscaldamento ad alte temperature (pietre da focolare, ossacotte, sedimenti arsi da lava…), da una forte pressione (materiale trafaglie), o ancora dall’azione del sole (il cosiddetto “bleaching” ottico);

– il segnale deve essere termicamente stabile, e la sua vita media superio-re all’età stimata del campione da datare;

– il segnale deve essere ben risolto e non disturbato da altri segnali. Lasua intensità deve essere sufficiente da permettere studi quantitativi.Nella datazione EPR, il campione in esame funge da dosimetro, assorben-

do l’energia ceduta dalle particelle α e β, e dalla radiazione γ provenienti dafonti radioattive naturali; un contributo non trascurabile proviene inoltre dairaggi cosmici. L’età EPR viene dunque determinata dalla relazione:

PaleodoseEtà = –––––––––––––

Dose annua

in cui la paleodose, misurata in Gy, è la dose totale di radiazione che ilcampione ha accumulato dalla sua formazione o dal suo ultimo evento di“azzeramento”, mentre la dose annua è la quantità media di energia di origi-ne radioattiva, assorbita per unità di massa annualmente dal campione, e simisura in Gy/a.

Per il calcolo della paleodose è indispensabile ricostruire la legge concui la concentrazione di elettroni spaiati aumenta in funzione della doseassorbita. Ciò si effettua a partire da misure quantitative dell’intensità delsegnale EPR relativa ad un dato difetto paramagnetico. Il metodo più fre-quentemente adottato per la valutazione della dose totale assorbita dal

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campione è quello della dose aggiunta o metodo “added dose” (Ikeya,1993). L’estrapolazione della curva dell’intensità del segnale scelto in fun-zione della dose aggiunta, a intensità nulla (corrispondente all’istante dadatare), permette di determinare il valore di paleodose. In effetti, poichél’irradiazione in laboratorio non è identica all’irradiazione naturale, ladose così ottenuta non corrisponde esattamente alla paleodose. Si preferi-sce così utilizzare il termine dose equivalente “DE”.

3. Studio di una stalagmite

La stalagmite analizzata è stata rinvenuta spezzata nelle acque della grot-ta Zinzulusa (Le). Di essa dunque non si conosce né l’esatta ubicazione diprovenienza né l’istante in cui ha avuto termine il processo di cristallizzazio-ne e di crescita. L’osservazione della sezione longitudinale ha permesso dievidenziare tre diverse fasi di accrescimento, caratterizzate da due livelli didiscontinuità nella deposizione calcitica, e uno spostamento dell’asse dideposizione probabilmente dovuto ad un basculamento del piano di appog-gio o ad uno spostamento del punto di stillicidio situato sulla volta, alla basedella stalagmite (Leonardi, 1997).

La metodologia di analisi tramite risonanza paramagnetica elettronica èstata in questa occasione applicata, come già detto, per testare le potenzialitàdella EPR nello studio dei carbonati. Sono state effettuate misure con lo scopodi ottenere dati che confermino o meno la diversità delle fasi di accrescimen-to, e che diano indicazioni sulla età di formazione della stalagmite. È peròimportante sottolineare che già la sola assenza di dati relativi al ristretto intor-no in cui la stalagmite si è accresciuta lascia molti margini di incertezza sullacollocazione cronologica assoluta essendo non valutabile la componente didose gamma ambientale indispensabile per un corretto calcolo della doseannua. La misura, in questa direzione, assume quindi più la caratteristica ditest per la determinazione della paleodose che di effettiva determinazione cro-nologica, fornendo piuttosto una indicazione di massima sulla età.

3.1. Caratterizzazione della stalagmite

Le misure sono state effettuate su campioni prelevati a quote diverse lungol’asse verticale della stalagmite, per ognuna delle tre probabili fasi evidenzia-te. In figura 2 è possibile notare le regioni meglio evidenziate dalla immagi-

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ne di una sezione sottile della stalagmite. In essa vengono esattamente ripor-tati i punti di campionamento con la relativa denominazione del campioneanalizzato.

Le misure sono state effettuate utilizzando uno spettrometro EPR in banda X.Le figure 3,4,5 riportano gli spettri EPR acquisiti, regione per regione, per

alcuni dei diversi punti in cui è stato effettuato il campionamento. Nelle rispet-tive legende vengono indicati i parametri di misura utilizzati. Gli spettri hanno

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Fig. 2. Sezione della stalagmite proveniente dalla grotta Zinzulusa (Le).

Fig. 3. Segnali EPR acquisiti su aliquote di campione della zona 3. Condizioni di misu-ra: frequenza=9.45GHz, P=3mW, Modulation Width=1mT, Amplitude=200, Time con-stant=0.03 sec, Sweep time=2min.

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Fig. 5. Segnali EPR acquisiti su aliquote di campione della zona 1. Condizioni di misu-ra: frequenza=9.45GHz, P=3mW, Modulation Width=1mT, Amplitude=200, Time con-stant=0.03 sec, Sweep time=2min.

Fig. 4. Segnali EPR acquisiti su aliquote di campione della zona 2. Condizioni di misu-ra: frequenza=9.45GHz, P=3mW, Modulation Width=1mT, Amplitude=200, Time con-stant=0.03 sec, Sweep time=2min.

messo in evidenza la presenza dei contributi tipici provenienti dalla presenzadi Mn2+, la sua caratteristica struttura iperfine a sei picchi (Ikeya, 1993), macon comportamenti complessivi dello spettro differenti anche nell’ambito

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della stessa regione. La ampiezza del segnale del Mn2+, presente nei campio-ni analizzati, non è utilizzabile per la datazione. La sua intensità risulta infat-ti indipendente dalla dose ricevuta dal campione anche per irraggiamenti arti-ficiali intensi ed ha quindi la caratteristica di interferire, coprendoli, con even-tuali deboli segnali naturali riportati in letteratura come utili alla datazione.

I segnali utilizzabili per scopi cronologici sono infatti rivelabili in unaregione di campo magnetico più ristretta rispetto a quella utilizzata neglispettri precedenti; in particolare la loro posizione è al centro dei sei picchidel manganese.

Per due dei campioni analizzati, denominati S2 e S3 in quanto provenien-ti rispettivamente dalla zona 2 e dalla zona 3, è stato estratto materiale appe-na sufficiente alla realizzazione, oltre che della caratterizzazione, anchedelle aliquote necessarie per la applicazione della metodologia di datazioneEPR. Le dimensioni della stalagmite, infatti, non hanno permesso lo stessosu tutte le altre aliquote analizzate. Su questi campioni sono stati registratigli spettri (v. Fig. 6 e 7) sul campione naturale (Dnat, non irraggiato artifi-cialmente in laboratorio) e su quello irraggiato a 1500 Gy (D10). Le intensi-tà dei segnali naturali sono basse per entrambi i campioni: è per questo che

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Fig. 6. Segnali EPR del campione S2, naturale (Dnat) e irraggiato a 1500 Gy (D10), otte-nuti con le seguenti condizioni di misura: frequenza=9.85GHz, P=5mW, ModulationWidth=0.05mT, Time constant=0.01 sec, Sweep time=84 sec. Lo spettro relativo al cam-pione naturale è stato ottenuto con 30 accumulazioni.

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gli spettri naturali sono il risultato di acquisizioni accumulate. A partire dallealiquote irraggiate è stato possibile riconoscere segnali tipici delle calciti erispondenti ai criteri di databilità. In particolare sono stati messi in eviden-za i segnali h3 (g = 2.0007, Yokoyama et al., 1981, 1985) e BL (g = 2.0040,Apers et al., 1981). Il campione S2 mostra inoltre la presenza del picco h1(g = 2.0057, Yokoyama et al., 1981, 1985) che si sovrappone al segnale BLed al complesso A (Barabas et al., 1992).

3.2. Determinazione della paleodose

Per la determinazione della paleodose, utilizzando la tecnica addeddose, le misure sono state effettuate presso il Départment de Préhistoiredu Muséum National d’Histoire Naturelle di Parigi. Nel caso in esame icampioni S2 e S3 furono separati in 10 aliquote alle quali furono aggiun-te dosi crescenti da 63 a 1500 Gray. I campioni, come già detto, presenta-no un debolissimo segnale EPR che ha comunque permesso di utilizzareil picco h3 a g = 2.0007 per il campione S2 ed il picco BL a g = 2.0040 peril campione S3.

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Fig. 7. Segnali EPR del campione S3, naturale (Dnat) e irraggiato a 1500 Gy (D10), otte-nuti con le seguenti condizioni di misura: frequenza=9.85GHz, P=0.1mW, ModulationWidth=0.5mT, Time constant=0.01 sec, Sweep time=84 sec. Lo spettro relativo al cam-pione naturale è stato ottenuto con 30 accumulazioni.

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L’assenza di qualunque indicazione utile sulla età assoluta della calcite hacondotto alla utilizzazione di irraggiamenti artificiali standard ai fini delladeterminazione della dose equivalente. Malgrado gli elevati valori di doseaggiunta, la regolare crescita delle risposte alla added dose permette di otte-nere, dal fit necessario alla determinazione della legge di crescita, valori didose equivalente molto bassi rispetto alle dosi artificiali utilizzate ma comun-que con buona correlazione. I dati estratti dalle intercette per le due regioni,indistinguibili quando considerati con il loro errore sperimentale, danno unrisultato pari a (9.81 ± 0.81) Gy per il campione S2 mentre per S3 il valore è(10.15 ± 0.93) Gy (Figg. 8-9 rispettivamente). Tali valori di paleodose, assie-me alla valutazione dei valori di dose interna ottenuti tramite ICP-MS e inassenza dei necessari contributi di dose ambiente, indicano un’età chedovrebbe essere compresa fra poche migliaia e qualche decina di migliaia dianni, età comunque molto recente.

4. Conclusioni

Malgrado le condizioni di ritrovamento, le dimensioni della stalagmite e irelativi prelievi effettuati non abbiano consentito di avere tutti i dati utili allaottimizzazione della metodologia EPR per la caratterizzazione e per la datazio-ne delle diverse campionature effettuate sulla calcite, alcune indicazioni impor-tanti sono state ottenute. Esse mettono in evidenza le potenzialità della meto-dologia EPR, quando applicata nelle condizioni richieste, per la datazione dicarbonati anche nel caso di età recenti. Per quanto riguarda la caratterizzazio-ne sarebbe interessante correlare i dati con quelli ottenuti tramite analisi chimi-co-fisiche più strettamente connesse alle caratteristiche “ambientali” della grot-ta. Il lavoro presentato ha quindi caratteristiche di studio preliminare, ma certa-mente induce a riformulare il progetto di ricerca su campionamento di stalag-miti e stalattiti che fornisca quantità di materiale più adeguato.

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Bahain, Burrafato, Dolo, Falguères, Gueli, Lahaye, Leonardi, Occhipinti, Placenti, Stella, Troja, Zuccarello

62 Bahain, Burrafato, Dolo, Falguères, Gueli, Lahaye, Leonardi, Occhipinti, Placenti, Stella, Troja, Zuccarello

62

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CARATTERIZZAZIONE ARCHEOMETRICA DELLE OSSIDIANE

DEL MONTE ARCI TRAMITE ICP-MS LA

BARCA D., CRISCI G.M., DE FRANCESCO A.M.

Dipartimento di Scienze della Terra Università Della Calabria Ponte P. Bucci, 87036 Arcavacatadi Rende (Cs) Tel. 0984 493571, Fax. 0984 493577, [email protected]

Riassunto:Nel presente lavoro vengono illustrati i risultati di uno studio geochimico effettuato su campionigeologici di ossidiana, utilizzando uno spettrometro di massa abbinato ad un’ablazione laser (ICP-MS LA). Tale metodologia analitica si è rivelata particolarmente indicata per studi di caratterearcheometrico, difatti la minima distruttività e la possibilità di ottenere analisi estremamente pre-cise (in ppm) di elementi in tracce e terre rare, la rendono particolarmente efficace per la caratteriz-zazione delle ossidiane al fine di individuarne le aree di provenienza.La metodologia è stata testata su campioni geologici di ossidiana provenienti dal Monte Arci inSardegna già descritti e distinti chimicamente con metodi differenti da altri autori.Il buon accordo tra i risultati ottenuti nel presente lavoro e i dati bibliografici ha confermato lavalidità della metodologia utilizzata.

1. Introduzione

L’importanza dell’ossidiana nella storia dell’uomo è testimoniata intutti i continenti da reperti archeologici che ci documentano come culturee civiltà di diverse epoche storiche, prima della scoperta della metallurgia,estraevano e lavoravano l’ossidiana per ottenere lame, rasoi, coltelli, armied anche preziosi monili.

L’individuazione delle aree di provenienza delle ossidiane archeologiche haconsentito di tracciare le linee di diffusione di questo materiale nel periodopreistorico; riuscire a collegare il sito di provenienza rispetto al luogo di ritro-vamento archeologico ha permesso di ricostruire le vie di trasporto e quindi ladiffusione, i collegamenti, ed indirettamente, le consuetudini socio – economi-che delle popolazioni preistoriche. Tale motivo ha indotto numerosi studiosi aproporre varie metodologie analitiche in grado di caratterizzare e distinguerechimicamente i vari affioramenti di ossidiana.

Tra i siti di provenienza nell’area Mediterranea l’ossidiana del MonteArci è stata particolarmente apprezzata e commerciata, nella preistoria

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rappresentava uno degli insediamenti estrattivi piu’ importanti delMediterraneo; attorno ad esso sorsero centri di raccolta della roccia edofficine di lavorazione con numerosi insediamenti.

Hallam et al. [1] e Mackey & Warren [2] hanno riconosciuto nelcomplesso vulcanico del Monte Arci, quattro possibili fonti di ossidia-na, caratterizzate da composizioni diverse: Conca Cannas (SA), SantaMaria Zuarbara (SB), Perdas Urias (SC) e Sonnixeddu (SD). Thorpe etal. [3] hanno ritrovato solo i primi tre gruppi: SA, SB, SC. Tykot [4] eDe Francesco et al. [5, 6, 7], con metodologie differenti, hanno distintogeochimicamente da quattro a cinque gruppi nelle ossidiane del MonteArci.

La tecnica analitica utilizzata nel presente lavoro risulta estremamentevantaggiosa in quanto abbina la minima distruttività alla possibilità dideterminare la maggior parte degli elementi chimici, Terre Rare compre-se, con elevata precisione (ppm).

2. Metodologia Analitica

Le analisi sono state eseguite presso il Dipartimento di Scienze dellaTerra dell’Università degli Studi della Calabria utilizzando uno spettrome-tro di massa (ICP-MS) della Perkin Elmer /SCIEX modello Elan DRCeabbinato ad una sorgente laser (LA) della New-Wave Research.

Un sistema ICP-MS-LA consente di analizzare campioni solidi, didimensione centimetrica, senza che su di essi venga eseguito alcun pro-cesso di polverizzazione e successiva digestione. L’ablazione del campio-ne avviene in un’apposita cella attraverso un raggio laser che ha una lun-ghezza d’onda di 213 nm ed ha una risoluzione spaziale (spot) che puòvariare da 4 a 100 micron; una volta avvenuta l’ablazione il materialeviene trasportato da un flusso continuo di Argon ed Elio allo spettrome-tro dove viene atomizzato e ionizzato per la quantificazione.

Un ICP-MS-LA consente di analizzare un grande numero di elementiin tracce in un tempo relativamente breve, l’unica limitazione è rappresen-tata dalle dimensioni del campione che devono essere compatibili conquelle della cella di ablazione.

Tali peculiarità rendono la metodologia estremamente interessante perla caratterizzazione e la determinazione della provenienza dei frammentidi ossidiana archeologici che necessitano di tecniche analitiche non

Barca, Crisci, De Francesco64 Barca, Crisci, De Francesco64

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distruttive. L’ossidiana inoltre, essendo un vetro vulcanico afirico, si pre-senta chimicamente omogenea e ben si presta ad analisi puntuali.

Per ogni campione studiato sono state effettuate circa 8 analisi puntua-li al fine di minimizzare eventuali errori correlabili ad eterogeneità o pre-senza di microliti. Le sequenze analitiche sono state effettuate su una odue schegge di ossidiana per volta, con spot variabili da 50 a 80 micron;all’inizio di ciascuna sequenza è stata effettuata la Calibrazione dello stru-mento utilizzando come materiale standard il vetro NIST612-50ppm [8]mentre all’interno della sequenza è stato analizzato come campione inco-gnito il vetro standard BCR2 per valutare l’attendibilità del dato e per cal-colare la percentuale di errore confrontando le concentrazioni ottenute conquelle riportate in letteratura [9].

La rielaborazione degli spettri analitici forniti in uscita dall’ICP-MS-LA è stata effettuata con il programma “Glitter” e come standard internoè stata utilizzata la concentrazione del Ca ottenuta da dati di fluorescenzaX [10].

3. Risultati

Le analisi sono state eseguite su 12 campioni di ossidiana (v. Tab.1). Su ciascun campione sono state effettuate da 6 a 10 analisi puntuali

relative a 15 elementi in tracce e 14 terre rare, con precisione dell’ordinedei ppm. In tabella 1. sono riportate per ciascun campione due analisi rap-presentative.

I dati sono stati plottati sui diagrammi binari riportati in fig.1; in cia-scun diagramma lo stesso simbolo si riferisce ad uno stesso campionementre ogni punto corrisponde ad una sola analisi puntuale.

In tutti i diagrammi appare evidente la netta distinzione in quattro grup-pi composizionali, riconducibile ai gruppi SA SB1, SB2, SC già distinticon altre metodologie [1,4, 6, 7, 11, 12].

Esistono differenze significative tra le concentrazioni degli elementi intracce nei diversi gruppi; gli elementi maggiormente discriminanti sono:Zr, Sr, Ba, Nb, Y, Ta, (Fig 1a, 1b, 1c). In particolare le ossidiane del grup-po SA mostrano bassi contenuti in Zr, Sr, Ba e alti contenuti in Nb, Y, Ta,al contrario delle ossidiane del gruppo SC che mostrano contenuti elevatidi Zr, Sr, Ba e bassi contenuti in Nb, Y, Ta; infine valori intermedi ma suf-ficientemente distintivi, mostrano le ossidiane dei gruppi SB1 e SB2.

Caratterizzazione archeometrica delle ossidiane del Monte Arci 65Caratterizzazione archeometrica delle ossidiane del Monte Arci 65

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Anche alcune Terre Rare: Ce, Sm, Pr, Ho, Lu (Fig. 1d, 1e, 1f) , seppur inmaniera meno netta, consentono di differenziare i quattro gruppi .

4. Conclusioni

Attraverso il confronto tra le caratteristiche geochimiche dell’ossidianadei manufatti con quelle delle possibili fonti di questa materia prima, èpossibile identificarne la provenienza e tracciarne le linee di diffusione nelperiodo preistorico.

L’utilizzo di un sistema ICP-MS-LA, è risultato estremamente vantag-gioso sia per la minima distruttività sia perché ha consentito di determina-re la maggior parte degli elementi chimici, Terre Rare comprese, e di effet-tuare analisi di alta precisione e sensibilità (ppm) in tempi relativamentebrevi, su un numero rappresentativo di campioni geologici di ossidianaprovenienti dal M.te Arci in Sardegna.

I risultati ottenuti confermano la distinzione delle ossidiane del MonteArci nei quattro gruppi SA, SB1, SB2 e SC già evidenziati con altre meto-dologie analitiche [1,4, 6, 7, 11, 12], nonché l’affidabilità della tecnicaanalitica utilizzata che risulta particolarmente versatile per la determina-zione della provenienza delle ossidiane archeologiche.

Barca, Crisci, De Francesco66 Barca, Crisci, De Francesco66

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Caratterizzazione archeometrica delle ossidiane del Monte Arci 67Caratterizzazione archeometrica delle ossidiane del Monte Arci 67

Gruppo SA

Campioni Ox425 Ox426 Sc25 Sc8

Sc 5.67 5.23 4.17 4.86 4.60 4.20 4.72 5.21

V 0.78 0.87 0.92 0.94 0.60 0.93 0.73 1.36

Zn 88.51 83.42 81.00 78.20 80.86 87.95 57.40 73.95

Rb 321.12 284.15 308.73 291.13 255.97 263.93 214.74 251.01

Sr 23.35 22.54 30.58 32.48 19.44 19.61 20.09 22.62

Y 38.66 35.55 38.08 37.22 31.24 31.23 28.24 30.69

Zr 87.65 79.05 87.27 81.87 73.81 72.93 64.79 71.61

Nb 56.71 48.93 54.77 49.19 48.06 50.09 41.64 49.64

Cs 5.00 5.09 6.00 5.68 4.17 4.37 3.59 4.40

Ba 121.50 121.79 172.08 189.19 92.47 103.02 96.26 116.41

La 25.07 30.06 29.80 29.48 19.92 21.17 18.36 19.97

Ce 59.35 73.15 72.87 70.11 48.09 51.72 43.82 48.42

Pr 7.32 8.58 8.89 8.50 5.79 6.09 5.23 5.74

Nd 27.82 32.59 32.86 31.51 21.86 24.29 19.77 21.72

Sm 7.87 9.25 7.31 8.88 6.67 6.66 5.54 6.71

Eu 0.30 0.34 0.44 0.47 0.24 0.22 0.17 0.29

Gd 6.50 8.26 7.38 8.07 5.75 5.54 4.72 6.09

Tb 1.16 1.28 1.38 1.36 0.98 1.01 0.82 0.89

Dy 8.10 7.88 8.13 8.86 6.41 6.52 6.15 6.56

Ho 1.46 1.38 1.48 1.59 1.09 1.12 1.01 1.13

Er 3.75 3.89 4.16 4.39 3.12 3.62 2.85 2.78

Tm 0.52 0.48 0.51 0.60 0.43 0.43 0.44 0.46

Yb 3.05 4.09 4.60 4.07 2.67 2.75 2.72 3.08

Lu 0.39 0.43 0.50 0.54 0.38 0.36 0.30 0.34

Hf 3.51 4.10 4.46 4.98 2.82 3.43 2.91 4.22

Ta 5.21 4.82 5.09 4.91 4.13 4.27 3.49 3.59

Pb 44.60 39.02 45.05 43.95 30.42 34.37 28.62 33.67

Th 19.88 21.65 22.18 22.84 16.17 17.19 15.32 14.82

U 7.00 6.70 7.90 7.59 5.76 6.20 5.23 5.51

Tab. 1a. Analisi rappresentative espresse in ppm.

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Barca, Crisci, De Francesco68 Barca, Crisci, De Francesco68

Sc 3.98 3.72 4.42 4.15 4.42 3.95 4.24 3.79

V 1.71 1.59 1.10 1.15 1.32 1.41 2.08 2.24

Zn 40.08 39.27 47.45 41.85 46.04 38.80 33.57 30.65

Rb 228.04 236.85 282.43 248.45 286.51 273.74 223.91 220.06

Sr 36.52 37.22 35.85 27.5 25.49 31.18 43.22 43.90

Y 18.02 17.84 19.50 19.58 21.64 20.93 18.6 18.3

Zr 94.76 98.92 92.08 94.70 104.42 101.35 105.02 103.85

Nb 24.77 25.95 30.52 26.12 30.36 29.18 24.96 24.17

Cs 6.69 6.95 8.60 7.42 7.95 7.93 6.40 6.25

Ba 212.41 219.54 228.34 135.78 147.37 157.59 265.33 268.76

La 29.18 28.70 26.71 26.98 29.43 28.44 33.10 33.65

Ce 62.22 63.51 66.23 58.72 64.92 61.72 68.58 69.28

Pr 6.90 6.73 6.83 6.46 7.25 7.00 7.55 7.66

Nd 24.89 25.43 24.5 24.01 27.31 25.15 26.96 27.61

Sm 5.20 5.50 5.59 5.26 6.15 5.79 6.32 6.53

Eu 0.44 0.41 0.40 0.39 0.34 0.41 0.59 0.53

Gd 4.25 4.02 4.29 4.49 4.87 4.06 4.77 4.03

Tb 0.68 0.72 0.65 0.67 0.75 0.70 0.73 0.71

Dy 3.99 3.88 3.89 4.11 4.43 4.19 3.95 3.66

Ho 0.71 0.66 0.69 0.75 0.85 0.69 0.70 0.75

Er 1.73 1.81 1.73 1.99 2.06 2.15 2.32 2.04

Tm 0.22 0.22 0.29 0.27 0.31 0.27 0.23 0.29

Yb 1.39 1.72 1.61 1.62 1.93 2.00 1.29 1.89

Lu 0.21 0.19 0.20 0.22 0.25 0.22 0.24 0.24

Hf 3.55 3.65 3.23 3.55 3.63 3.98 4.08 3.62

Ta 2.31 2.53 2.69 2.63 2.88 2.89 2.47 2.42

Pb 26.20 26.59 33.12 27.56 30.90 29.53 28.74 29.60

Th 18.01 17.31 17.38 18.13 19.65 18.35 21.42 20.15

U 5.26 5.59 6.77 5.84 6.56 6.33 5.60 5.25

Gruppo SB1

Campioni Mar7 Pau15 Ox423 Ox424

Tab. 1b. Analisi rappresentative espresse in ppm.

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Caratterizzazione archeometrica delle ossidiane del Monte Arci 69Caratterizzazione archeometrica delle ossidiane del Monte Arci 69

Gruppo SB2 SC

Campioni Ox421 Ox422 Ox419 Ox420

Tab. 1c. Analisi rappresentative espresse in ppm.

Sc 5.87 4.86 4.33 4.15 4.88 4.37 4.07 4.34

V 5.00 4.83 4.52 4.27 12.93 12.86 12.78 12.93

Zn 79.06 66.05 65.7 56.24 70.29 68.95 71.5 57.36

Rb 259.88 260.46 240.55 238.32 199.91 183.95 178.46 177.45

Sr 78.26 80.25 74.39 72.57 132.76 120.5 117.91 113.26

Y 24.45 25.79 22.45 21.21 24.79 24.21 22.33 21.8

Zr 155.36 160.92 141.39 135.63 230.67 229.99 223.96 226.92

Nb 34.18 35.22 32.16 32.25 31.54 28.21 27.55 26.49

Cs 4.07 4.24 3.84 3.61 2.61 2.17 2.12 1.97

Ba 492.26 502.37 456.37 450.39 1121.36 912.11 942.23 898.49

La 42.84 43.25 37.84 36.31 74.99 63.37 60.68 58.89

Ce 87.94 90.38 81.64 80.58 159.09 130.29 125.61 117.74

Pr 10.32 10.7 9.16 9.29 17.77 14.89 14.26 13.89

Nd 39.64 40.25 34.70 33.98 67.01 55.88 54.1 53.01

Sm 8.49 9.09 7.63 7.10 11.64 10.23 9.74 9.72

Eu 0.76 0.87 0.73 0.57 1.37 1.06 1.11 0.90

Gd 6.63 6.40 5.47 5.67 9.34 6.82 6.79 6.55

Tb 0.91 0.97 0.79 0.86 1.11 0.99 0.86 0.81

Dy 5.44 5.74 4.67 4.43 6.17 5.12 4.82 4.26

Ho 0.87 0.91 0.78 0.85 1.03 0.89 0.78 0.86

Er 2.94 2.78 2.13 1.84 2.77 2.29 2.27 2.14

Tm 0.27 0.33 0.28 0.28 0.37 0.32 0.26 0.25

Yb 2.05 2.77 2.02 1.73 2.6 1.86 1.78 1.84

Lu 0.34 0.32 0.23 0.28 0.35 0.28 0.24 0.24

Hf 5.00 4.99 4.70 4.20 7.53 6.16 5.86 5.88

Ta 2.92 2.79 2.63 2.62 2.77 2.17 2.01 1.80

Pb 37.36 38.15 32.93 32.38 43.43 35.10 34.71 32.51

Th 25.44 24.78 21.94 20.83 32.72 26.88 25.43 24.44

U 5.40 5.56 5.08 4.64 4.76 3.62 3.41 2.95

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Barca, Crisci, De Francesco70 Barca, Crisci, De Francesco70

Fig. 1. Diagrammi binari discriminanti i quattro gruppi di ossidiana del Monte Arci.

Gruppo SA: Ox425, Ox426, Sc8, Sc25.

Gruppo SB1: Ox423, Ox424, Pau15, Mar7.

Gruppo SB2: Ox421, Ox422.

Gruppo SC: Ox419, Ox420

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Caratterizzazione archeometrica delle ossidiane del Monte Arci 7171

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72

RILIEVO GEOMETRICO E ARCHITETTONICO

DELLA CHIESA DI S. NICOLÒ L’ARENA, CATANIA*

BARNOBI L., COLAIACOVO L., DI GREGORIO G., GALIZIA M., GIUFFRIDA A.,GRASSO S., LIUZZO M., SANTAGATI C.**

Dipartimento di Architettura e Urbanistica, Università degli Studi di Catania, Viale AndreaDoria, 6 – 95125 Catania, Tel. 095 7382525, Fax. 095 330309, [email protected]

1. Il rilievo integrato della chiesa di San Nicolò L’Arena, Catania

Le metodiche di rilevamento subiscono nel tempo innovazioni, sia perl’utilizzo di nuovi sistemi operativi sia per l’evoluzione delle strumentazioni,che permettono di eseguire misurazioni e rappresentazioni sempre più ade-renti alla realtà. La ricerca condotta in campo nazionale dalla comunità scien-tifica e le accelerazioni tecnologiche impongono a coloro che operano nelsettore di divenire specialisti puntuali, in modo da presidiare le capacità diconnettere conoscenze e competenze diversificate, per sostenere quantoormai è diventato di dominio di tutti gli operatori del settore.In queste note vengono descritti sinteticamente i risultati relativi al rileva-mento della chiesa di San Nicolò l’Arena e alla rappresentazione grafica nonsolo degli aspetti iconico-formali dell’organismo architettonico ma anchedegli esiti delle indagini effettuate dalle altre aree disciplinari. Quanto attuato, dal rilievo alla rappresentazione, è stato realizzato dal grup-po che opera presso il Laboratorio di Fotogrammetria Architettonico e Ri-lievo del Dipartimento di Architettura ed Urbanistica, che ha partecipato

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* Lavoro realizzato nell’ambito del progetto «Il recupero e la valorizzazione del patrimonioarchitettonico della Sicilia orientale: l’emergenza architettonica urbana e l’edilizia rurale. Co-noscenza, interventi e formazione» (T3 CLUSTER C 29), finanziato dal Ministero dell’Universitàe della Ricerca Scientifica

** La responsabilità redazionale dell’articolo risulta così suddivisa: G. DI GREGORIO: par. 1.Il rilievo integrato della chiesa di San Nicolò L’Arena, Catania; L. BARNOBI, A. GIUFFRIDA: par 2.Il rilievo della facciata; M. GALIZIA, M. LIUZZO: par 3. Il rilievo per una lettura interpretativa deiprospetti laterali; S. GRASSO: par 4. Il rilievo della pavimentazione; L. COLAIACOVO, C. SANTAGATI:par 5. La rappresentazione grafica come momento di sintesi per le indagini multidisciplinari

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come attività 2 del workpackage 1 prevista nel progetto iniziale del Cluster29 dal titolo «Il recupero e la valorizzazione del patrimonio architettonicodella Sicilia orientale: l’emergenza architettonica urbana e l’edilizia rurale.Conoscenza, interventi e formazione».

La suddivisione del lavoro, affidato ad operatori diversi, ha reso possi-bile operare in maniera coordinata, consentendo durante le varie elabora-zioni il confronto e l’interscambio dei risultati che ogni gruppo ha realiz-zato utilizzando metodiche integrate.

Strumento indispensabile per la conoscenza approfondita dell’edificioè stato il rilevamento integrato, che avendo come base semplici operazio-ni mensorie, affronta numerose modalità di indagine, ottenendo graficiz-zazioni prettamente geometriche, architettoniche, costruttive, tecniche etematiche. Questi elaborati sono serviti a proporre successivamente infor-mazioni diverse ed aggiuntive ottenute da analisi e studi scientifici parti-colari appartenenti ad altre attività.

2. Il rilievo della facciata

Il rilevamento della facciata della Chiesa di San Nicola è stato eseguitoal fine di realizzare elaborati grafici diversi che costituiscono il supporto persuccessive elaborazioni, per documentare le tecniche costruttive e le patolo-gie edilizie presenti allo stato attuale sull’oggetto.

Il rilevamento, documentazione che mette in evidenza gli aspetti geo-metrico formali, propedeutica agli studi ed approfondimenti specialisticidei diversi settori disciplinari, è stato affrontato con l’ausilio delle tecni-che di rilievo diretto, topografico e fotogrammetrico, al fine di ottenereuna elevata precisione metrica e raccogliere un gran numero di informa-zioni riguardanti sia l’aspetto architettonico e decorativo, che le caratteri-stiche cromatiche, delle patologie e dello stato di degrado (v. Fig. 1).

Seguendo la logica sequenziale per una documentazione completa,sono stati prodotti i seguenti elaborati grafici: – una tavola di rilievo geometrico, la quale rappresenta i volumi e le

superfici determinanti la conformazione spaziale dell’oggetto, ovverosia gli elementi auotoportanti di facciata, che l’apparecchiatura lapideadecorativa;

– una tavola di rilievo architettonico, nella quale si è sovrapposta la rap-presentazione della pezzatura dei conci, della disposizione dei fori

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all’interno dei quali, durante la costruzione erano alloggiate le testatedelle travi dei ponteggi, con l’aggiunta della sezione ribaltata dellecolonne disposte lateralmente al portale principale;

– tre tavole tematiche, redatte in collaborazione con altri settori discipli-nari specialistici, sulle quali, mediante raddrizzamento da singola im-magine, sono state individuati e rappresentati sulla facciata i dannidovuti ai dissesti ed all’umidità, nonché le croste nere e le infestazionivegetali, generate dalle interazioni dei materiali da costruzione conl’ambiente esterno.In questa disamina si vogliono sottolineare, mediante osservazioni cri-

tiche, alcune peculiarità dimensionali dell’oggetto che il rilievo ha eviden-ziato e che trovano riscontro nelle complesse fasi progettuali e realizzati-ve della facciata, documentate dal materiale d’archivio e dalle notizie sto-riche consultate.

È stata individuata la perfetta simmetria dell’intero prospetto, nelle di-mensioni e nella disposizione dei partiti e delle aperture.

Si è osservato che i basamenti su cui poggiano le colonne aggettanonotevolmente rispetto al piano principale; ciò probabilmente consegue alfatto che essi risalgano al progetto originario per San Nicola, redatto nel1702 da Antonino Amato, in base al quale furono realizzati degli enormi“zoccoloni” in pietra lavica su cui far poggiare le colonne, successiva-mente rivestiti in pietra calcarea.

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Fig.1. Facciata della chiesa di San Nicola.

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L’interasse tra le colonne binate disposte al lato del portale principale èmaggiore, rispetto a quello delle colonne laterali al prospetto, di circa 22cm, misura che, date le maestose dimensioni dell’oggetto, non può ritener-si significativa; tuttavia tale difformità non si può attribuire ad un errore infase di realizzazione in quanto si presenta simmetricamente su entrambi ilati. “Ciò potrebbe addebitarsi a vincoli di misure preesistenti oppurepotrebbe attribuirsi ad una particolare cura prestata agli effetti di percezio-ne visiva” [1].

L’analisi del rivestimento lapideo, interamente in calcarenite di Melilli,mostra omogeneità di gradazione cromatica e di trattamento superficialeed una pezzatura di dimensioni variabili in larghezza, ma uniformi inaltezza, per consentire regolarità nei ricorsi.

In effetti, nonostante le travagliate vicende che hanno caratterizzato lacostruzione della Chiesa, le notizie d’archivio documentano che il rivesti-mento in pietra bianca, sovrapposto alla muratura rustica già completa nel1775, fu realizzato in unica fase, iniziata nel 1795 e interrotta definitiva-mente nel 1801, a causa della mancanza dei fondi, rimanendo nella stessaconfigurazione in cui si trova oggi (v. Fig. 1 e 2).

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Fig. 2. Tavola di rilievo geometrico.Fig. 3. Tavola di rilievo architettonico:dettaglio della facciata.

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3. Il rilievo per una lettura interpretativa dei prospetti laterali

Lo studio dettagliato dell’organizzazione formale dei prospetti lateralidella Chiesa di San Nicolò l’Arena, affrontato per mezzo di un rilievo integra-to, topografico e fotogrammetrico da immagini singole, ha consentito di con-frontare in termini qualitativi e quantitativi i due fronti, mettendo in luce pecu-liarità, analogie e differenze non evidenziate dalla semplice analisi visiva.

L’apparente diversità delle due facciate, meridionale e settentrionale, èsmentita dal confronto metrico: la sovrapposizione speculare delle restitu-zioni grafiche, a meno di piccoli scostamenti dimensionali, attribuibili aderrori costruttivi e/o a difficoltà operative nel rilevamento, ha evidenziatocome la simmetria dell’impianto chiesastico interno trovi coerente confer-ma negli esterni, anche nella zona absidale e del transetto.

A conclusione della fase grafico-interpretativa, l’esame delle fontiarchivistico-iconografiche, memorie di eventi accaduti che hanno determi-nato e trasformato nel tempo l’aspetto formale e l’impianto costruttivodella fabbrica, ha consentito un riscontro delle logiche progettuali e delleincongruenze rilevate.

I due prospetti presentano un’analoga architettura dalle semplici superficipiane, movimentate dall’innesto dei volumi delle cappelle che concludono lenavate laterali. Unici elementi architettonico-decorativi sono le ampie fine-stre rettangolari ad arco fortemente ribassato che, con chiare cornici in pietracalcarea, disegnano i muri perimetrali delle navate e delle cappelle.

Le lesene binate su alti piedistalli poste ad angolo con il prospetto prin-cipale, coerenti conclusioni della incompleta facciata semplicemente ac-costata a posteriori ai paramenti murari, sebbene ripropongano l’uso dellapietra bianca, restano elementi estranei alla conformazione dei fronti chedelimitano.

È nel mutuo rapporto con il vicino organismo architettonico del comples-so dei Benedettini che, invece, nascono le diversità. La fabbrica della Chiesa,in gran parte isolata rispetto al monastero, si addossa, infatti, con le strutturemurarie meridionali al corpo di fabbrica del chiostro orientale (v. Fig. 4, 5, 6).

Il raccordo tra il sobrio prospetto sud del tempio e la ricca facciata estdi accesso al monastero è irrisolto in termini sia formali sia volumetrici,quasi che le due fabbriche, sebbene ideate in un unico grandioso progetto,procedendo quasi coeve ma autonomamente, si siano casualmente incon-trate in corrispondenza di un punto intermedio del corpo aggettante delcampanile, creando anche una serie di spazi interni di risulta.

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Nella sua intera maestosità si mostra, invece, il lato settentrionale dellaChiesa, con le possenti mura e corpi di fabbrica rimasti a vista per l’incom-piuta realizzazione dei due chiostri settentrionali che, secondo il progetto ori-ginario, dovevano completare l’impianto monastico disponendosi simmetri-camente rispetto all’asse longitudinale di San Nicolò (v. Fig. 7).

La presenza isolata di due possenti muri in pietrame lavico, addossatiortogonalmente al transetto nord, denuncia accadimenti costruttivi che hannotrovato risposta dalla lettura delle fonti archivistiche. Dai registri contabili dei

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Fig. 4. Veduta del complesso monastico dei Benedettini in Catania.

Fig. 6. Prospetto nord della Chiesa di San Nicolò l’Arena.

Fig. 5. Prospetto sud della chiesa di San Nicolò l’Arena

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Benedettini, relativi ai lavori di edificazione della Fabrica Nova [2], risultache nel 1755 il cedimento di un’estesa porzione della parete settentrionaledella Chiesa, tra l’abside ed il transetto, comportò il rifacimento della partecrollata con l’aggiunta di rinforzi in fondazione e dei due muri “a delfino”con funzione di contrafforti, ancora oggi visibili all’esterno del transetto. Talestruttura, secondo Librando [3], avrebbe dovuto anticipare parte delle fabbri-che settentrionali del monastero, mai realizzate, anche se fortemente volutedai Benedettini, come si evince dalle numerose viste settecentesche ed otto-centesche che propongono idealmente l’impianto simmetrico completato.

Oggi, il complesso monastico appare, come afferma Dato, “più unasommatoria di unità tipologiche, raccordate tra loro da soluzioni architet-toniche non sempre felici, che un’opera unitariamente concepita e coeren-temente risolta” [4].

In quest’ambito, il rilievo si pone quale insostituibile strumento di “dialo-go” con l’architettura, per carpirne l’unitarietà di progetto, le matrici sottese,le salienti fasi realizzative, gli eventi che nel tempo ne hanno determinato letrasformazioni, i significati intrinseci e le inesplorate potenzialità attuali, ele-menti di conoscenza imprescindibili per un attento progetto di salvaguardia evalorizzazione del Patrimonio Culturale.

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Fig. 7. Il monastero ed il tempio dei Benedettini nell’incisione di A. Vacca (1780).

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4. Il rilievo della pavimentazione

La pavimentazione della Chiesa è realizzata in marmi policromi, con dise-gni geometrici che segnano le singole campate, ciascuna delle quali è delimi-tata da quattro pilastri, che lungo il perimetro della fabbrica sono in parteinglobati nella muratura e formano nicchie con relativi altari (v. Fig. 8 e 9).

Il disegno della pavimentazione della navata centrale ha come matrice il cer-chio, presente su tre campate e ripreso anche nei quattro nodi in corrisponden-za degli altari laterali di fronte le absidi (una centrale e due ai capi del transet-to). Viceversa lungo le campate delle navate laterali la matrice geometrica èdata da un rettangolo con un rombo iscritto, la stessa matrice si ripete su unacappella della navata centrale, ma con il disegno ruotato di 90° e deformato peradattarsi al diverso spazio. Infine altri tre decori sono riportati nelle sei cappel-le ai lati degli altari (centrale e laterali).

Il rilievo è stato realizzato tramite il raddrizzamento digitale di singolifotogrammi, con i quali sono stati realizzati dei fotomosaici sui cui si è dise-gnata la pavimentazione. Questa tecnica oltre che darci la possibilità di rea-lizzare un fotomosaico dell’intera pavimentazione della Chiesa, ha consenti-to un rilievo preciso e puntuale sul quale sono stati realizzati studi relativi allageometria che sottende il disegno della pavimentazione stessa.

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Fig 8. Immagine di una parte della pavi-mentazione della cappella a sinistra del-l’abside.

Fig 9. Restituzione grafica su fotogrammaraddrizzato

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5. La rappresentazione grafica come momento di sintesi per le indagi-ni multidisciplinari

Dalle tecniche fotorealistiche di simulazione all’utilizzo fotogrammetrico peril rilievo dell’esistente, l’immagine occupa oggi un ruolo irrinunciabile per larappresentazione sia nell’ambito architettonico che in tutti gli aspetti conosciti-vi ad esso correlati.Un importante momento della ricerca dell’attività 2 ha com-preso l’obiettivo di comunicare visivamente in maniera intelligibile i risultatidelle indagini condotte dagli altri laboratori sulla base degli elaborati grafici dirilievo al fine di ottenere delle rappresentazioni al tempo stesso di sintesi e diimmediata comprensione che consentissero una lettura sincronica dei decadi-menti riscontrati nella fabbrica e di cogliere le correlazioni tra degradi, difetticostruttivi e interazioni manufatto ambiente circostante.

Sollecitati dall’entusiasmo del Prof. L. Andreozzi, responsabile del laborato-rio di fotogrammetria architettonica e rilievo del DAU di Catania, l’Ing. LucaColaiacovo e l’Ing. Cettina Santagati hanno realizzato un’integrazione di tecni-che grafiche fotorealistiche, comunicazione, computer grafica, disegno e rilievotradizionale per la rappresentazione visiva al tempo stesso qualitativa e quanti-tativa delle indagini diagnostiche preliminari concernenti aspetti di degrado,manifestazioni organiche vegetali sia microscopiche che macroscopiche, carat-teristiche petrografiche e chimico-fisiche condotte sulla facciata della Chiesa diS. Nicola l’Arena, evidenziate dalle attività 3, 5, 9, 10, 11(v. Fig. 10 e 11).

Per effettuare dette elaborazioni si è interagito a stretto contatto con i ricerca-tori afferenti all’attività 3 – osservatorio delle patologie edilizie – resp. Prof. A.Salemi, attività 5 - Laboratorio di mineralogia, petrografia e geochimica - resp.Prof. A. Lo Giudice, attività 9 – Laboratorio di Biologia e di Ecologia vegetale– resp. prof. E. Poli Marchese, attività 10 – Laboratorio di algologia, resp. Prof.G. Giaccone e all’attività 11 – Laboratorio analisi non distruttive – resp. Prof. G.Pappalardo. La tecnica grafica ha permesso, tramite opportuna collocazione didati vettoriali e raster insieme a grafici numerici e tabelle riassuntive, di riassu-mere le analisi graficamente in tavole metriche e simboliche al tempo stesso,arricchendo il tutto di tabelle riassuntive e legende esplicative atte a rendere laricerca comprensibile e leggibile in maniera più efficace anche da parte di unpubblico di non addetti ai lavori.

Le immagini, manipolate con tecniche fotogrammetriche, insieme a rese afalsi colori o ad applicazioni di tipo “pattern”, sono state utilizzate per una cam-pitura continua metrica e/o simbolica delle superfici analizzate rendendo ladescrizione al tempo stesso universale e dettagliata (v. Fig. 12 e 13).

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Fig. 12 e 13. Le immagini si riferiscono alle tavole grafiche realizzate dall’Ing. CettinaSantagati nell’ambito dell ’Attività 2 del Laboratorio di Fotogrammetria architettonica e rilie-vo, resp. Prof. L. Andreozzi:a sinistra, studi condotti dall’Attività 9, Laboratorio di Biologia edEcologia vegetale, resp. Prof. E. Poli Marchese; a destra, studi condotti dall’Attività 11,Laboratorio Analisi non Distruttive (LANDIS), resp. Prof. G. Pappalardo.

Fig. 10 e 11. Le immagini si riferiscono alle tavole grafiche realizzate dall’Ing. Luca Co-laiacovo nell’ambito dell’Attività 2 del Laboratorio di Fotogrammetria architettonica e rilie-vo, resp. Prof. L. Andreozzi: a sinistra, studi condotti dall’Attività 5 del Laboratorio di minera-logia, petrografia e geochimica, resp. Prof. A. Lo Giudice; a destra, studi condotti dall’Attività10 del Laboratorio di algologia, resp. Prof. G. Giaccone.

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Sono così stati prodotti degli elaborati grafici informatizzati finalizzatialla stampa ed all’esposizione, rappresentazioni di sintesi dei risultatidelle indagini condotte, in grado di essere letti ed utilizzati anche dallealtre aree disciplinari.

Attraverso l’adozione di un linguaggio iconico comune, quello della rap-presentazione grafica mutuato dalle tecniche di grafica computerizzata, si ècercato di sopperire a quel gap che spesso si viene a creare nella trasmissio-ne di informazioni tra addetti ai lavori dovuto all’adozione di linguaggi emetodiche molto diversificati tra di loro, in genere comprensibili solo agliafferenti ad una determinata area disciplinare.

Tutto ciò nella consapevolezza di avere aggiunto un tassello in più inquel complesso processo di conoscenza integrata del bene che si avvale dicompetenze multi-disciplinari e che è alla base di qualunque interventorivolto allo studio e alla valorizzazione dei Beni Culturali.

BIBLIOGRAFIA

1. R. Caponetto, «La Facciata», in Aa.Vv., Quattro studi sulla chiesa di San Nicolòl’Arena. Indagini storico-costruttive, Documento DAU n. 27, Università degliStudi di Catania, Catania, 2004.

2. Archivio di Stato di Catania, Fondo Benedettini, vol. 822, vacchetta 1755-1757.3. V. Librando, «Notizie storiche sul monastero di San Nicolò l’Arena», in G. De

Carlo, Un progetto per Catania. Il recupero del Monastero di San Nicolò l’Arenaper l’Università, Sagep Ed., Genova, 1988.

4. G. Dato, La città di Catania. Forma e struttura 1693-1833, Officina Ed., Roma,1983, p. 73.

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LOCALIZZAZIONE DEI CENTRI DI PRODUZIONE ANFORICA

NELL’OCCIDENTE GRECO: DATI ARCHEOMETRICI SU ANFORE

“CORINZIE B”,“IONICO-MASSALIOTE”, “PSEUDO-CHIOTE”E “GRECO-ITALICHE” RINVENUTE IN SICILIA

BARONE G.(1), BELFIORE C.M. (1), LO GIUDICE A.(1), MAZZOLENI P.(1), PEZZINO A.(1), SPAGNOLO G.(2), INGOGLIA C. (3),

TIGANO G. (3), ALBANESE R.M. (4)

(1) Dipartimento di Scienze Geologiche, Università di Catania,Corso Italia 57, 95129 Catania, Tel. 095 7195755, Fax. 095 7195760, [email protected]

(2) Dipartimento di Scienze dell’Antichità, Università di Messina, Polo Universitario dell’Annunziata, 98168 Messina

(3) Soprintendenza Beni Culturali ed Ambientali di Messina,Sezione Archeologica, Viale Boccetta, Messina

(4) Dipartimento di Studi Archeologici, Filologici e Storici, Università di Catania, P.zza Dante 32, 95100 Catania

1. Introduzione

Nel presente lavoro vengono affrontate alcune problematiche relative al-l’individuazione dei centri di produzione di anfore commerciali nel-l’Occidente greco, attraverso le analisi archeometriche di campioni prove-nienti da vari siti archeologici della Sicilia. Le anfore erano contenitoridestinati al trasporto di derrate alimentari – come l’olio, il vino, ecc. – epertanto erano molto diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo. Oggi essesono ritenute dagli studiosi i più importanti indicatori della vita economi-ca delle città antiche ed occupano un ruolo di primo piano negli studi suitraffici commerciali. Tuttavia, specialmente per i periodi più antichi, leconoscenze sulle anfore da trasporto presentano ancora molte lacune, poi-ché di molti tipi non sono noti né l’origine né il luogo di produzione.L’individuazione delle fabbriche è fondamentale ai fini di una correttaricostruzione storica dei contatti e degli scambi tra le comunità antiche. Intal senso, recentemente, alla classificazione tradizionale, basata sui datimorfo-tipologici, si è affiancato un approccio multidisciplinare che preve-de l’apporto delle analisi archeometriche.

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2. Materiali analizzati e obiettivi

Sono stati presi in esame 90 reperti anforici, databili in un arco ditempo compreso tra l’età arcaica e quella ellenistica (dal VI al III sec. a.C.)e provenienti dagli scavi di alcune tra le più importanti colonie greche diSicilia, come Messina (Messana), Milazzo (Mylai), Agrigento (Akragas),Gela e Selinunte, nonché da Ramacca, sito indigeno dell’entroterra cata-nese.

I manufatti analizzati appartengono alle seguenti tipologie: 1. anfore ”corinzie B” o di “forma corinzia B” (VI-V secolo a.C.), rin-

venute a Messina, Gela e Ramacca;2. anfore “ionico-massaliote” (VI-V secolo a.C.), rinvenute a Messina,

Agrigento, Gela, Selinunte e Ramacca; 3. anfore”pseudo-chiote” (V secolo a.C.), rinvenute a Messina,

Agrigento, Gela, Selinunte e Ramacca;4. anfore “corinzio-corciresi” (V secolo a.C.), rinvenute a Gela;5. anfore “greco-italiche” (IV-III secolo a.C.), rinvenute a Milazzo.Si tratta di tipologie diverse e tuttavia in qualche modo connesse tra

loro da rapporti di filiazione. Le definizioni sono espresse tra virgolette inquanto corrispondono alle denominazioni convenzionali con cui questitipi vengono indicati nella letteratura archeologica non essendo state anco-ra localizzate con precisione le fabbriche.

Gli obiettivi dello studio sono stati i seguenti:– individuare i centri di produzione delle tipologie anforiche investigate;– individuare un eventuale rapporto tra i centri di produzione delle forme

più antiche e quelli delle forme più recenti;– fornire dati agli archeologi al fine di ricostruire le dinamiche di circo-

lazione.

3. Considerazioni storico-archeologiche

Le tipologie anforiche prese in esame sono legate, come si è detto, da rap-porti, ora più ora meno certi, di filiazione. Secondo gli studi più recenti [15;16], le anfore dette “corinzie B”, databili a partire almeno dalla metà del VIsec. a.C., possono essere ritenute per così dire le capostipiti delle produzionigreco-occidentali. Per imitazione di queste, infatti, nella seconda metà del VIsec. a.C. venne elaborata la forma “ionico-massaliota”, da cui, a sua volta, nel

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corso del V sec. a.C., si sviluppò la forma “pseudo-chiota”. Parallelamente,sempre dalla forma “corinzia B” arcaica, nel secondo quarto del V sec. a.C.ebbe origine la forma detta “corinzio-corcirese” e, probabilmente, per imita-zione di quest’ultima, più tardi, nel IV sec. a.C., furono elaborate le prime“greco-italiche”.

Di tutte queste “famiglie” di anfore non si conoscono con precisione lefabbriche, tranne nei pochi fortunati casi in cui sono state rinvenute trac-ce degli impianti produttivi (come per esempio nel caso delle anfore “ioni-co-massaliote” e “pseudo-chiote” di Locri).

Nella sua classificazione delle anfore corinzie, Koehler [8] denominò“tipo corinzio B” sia la forma di età arcaica, che tuttora chiamiamo “corinziaB” (oppure “ionio-corinzia”), sia la forma di età classica, che oggi viene indi-cata preferibilmente come “corinzio-corcirese”. La Koehler attribuì entram-be le forme alla città di Corinto, ma accennò anche alla possibilità di altrefabbriche: per la variante arcaica, avanzò l’ipotesi di una eventuale fabbricagreco-occidentale [8; 9], mentre per la variante classica suggerì la presenzadi una fabbrica a Corfù (antica Corcyra), sulla base dei risultati di alcune ana-lisi archeometriche [Jones-Simopoulos-Kostikas, appendice in 8]. Altre inda-gini di laboratorio, però, condotte su anfore del medesimo tipo e su cerami-ca di Corinto e di Corfù, evidenziarono la difficoltà di distinguere chimica-mente i due centri di produzione, a causa delle affinità composizionali delleargille [6; 17 pp. 264-268]. Whitbread, per di più, basandosi sia su indaginipetrografiche sia su considerazioni di carattere storico-archeologico, miseconvincentemente in dubbio l’attribuzione del tipo a Corinto, pur senza avan-zare vere e proprie ipotesi alternative.

Nel frattempo, fu scoperta a Corfù un’officina ceramica in cui si pro-ducevano anfore della variante di età classica: ciò fornì la conferma defi-nitiva dell’esistenza di una fabbrica corcirese di tale variante, che fu per-tanto definita “corinzio-corcirese”, ma non sciolse tuttavia i dubbi sullapaternità della variante più antica e sull’eventualità di una produzioneparallela a Corinto o altrove [16 e bibliografia ivi citata].

Più recentemente il dibattito archeologico si è riacceso in riferimentoalla forma arcaica ed è stata ribadita l’ipotesi di un centro di produzionegreco-occidentale [15; 16]. La fondatezza di tale ipotesi è stata finalmen-te rivelata dai risultati delle analisi mineralogico-petrografiche e chimico-fisiche condotte su alcuni campioni provenienti dagli scavi di Zancle-Messana e di Gela [2; 3]. Tali analisi hanno permesso infatti di riconosce-re un’area di produzione nell’ambito dell’Arco Calabro-Peloritano ed

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hanno consentito di distinguere da questa un’altra area di produzione piùpropriamente greca, con caratteristiche del tutto simili a quelle già note inletteratura ed attribuite a Corinto o a Corfù.

Quindi, per le anfore “corinzie B” e “corinzio-corciresi” oggi si ipotizza-no due ambiti di provenienza, uno greco (forse Corfù) e l’altro localizzabilenell’ambito dell’Arco Calabro-Peloritano, verosimilmente nella fascia ionicadella Calabria. Qui, il sito maggiormente indiziato come centro creatore dellaforma anforica più antica, è senz’altro Sibari. Questa città, infatti, era bennota nell’antichità per la sua straordinaria prosperità economica, legata aduna fiorente agricoltura e, in particolare, ad una abbondante produzione divino, destinata anche all’esportazione [16].

Passando alle altre produzioni anforiche oggetto di questo studio, le “ioni-co-massaliote” costituiscono un gruppo ben nutrito. Nell’insieme, la forma èassai simile a quella delle anfore “corinzie B”, da cui probabilmente essa haavuto origine. Nella letteratura archeologica recente sono state segnalatediverse fabbriche di anfore “ionicomassaliote” localizzabili nell’Occidentegreco, ma l’attribuzione di provenienza è raramente supportata da dati dilaboratorio. Fanno eccezione gli accurati studi condotti sulle produzioni diMarsiglia [14] e di Locri [5; 12]. Secondo ricerche archeometriche recenti[4], la più antica e florida fabbrica potrebbe riferibile proprio a Locri, doveperaltro è stata rinvenuta una fornace arcaica [10]; tuttavia, numerosi altri sitidell’Italia meridionale e della Sicilia hanno prodotto sicuramente contenitoridi forma molto simile [16].

Nella prima metà del V secolo a.C., la forma “ionico-massaliota”, cheera stata ormai adottata da un gran numero di centri dell’Occidente greco,si evolve in quella detta “pseudo-chiota”, caratterizzata dal collo rigonfio,forse per imitazione delle coeve anfore chiote, diffuse in tutto il Me-diterraneo ma assai diverse petrograficamente [17]. Anche della forma“pseudo-chiota” si ipotizza l’esistenza di diverse fabbriche nell’Italia me-ridionale e nella Sicilia [16].

Per quanto riguarda infine le anfore “greco-italiche”, importanti indica-tori dell’economia nell’Italia meridionale e nella Sicilia tra il IV e il IIsecolo a.C., i pochi dati archeometrici di laboratorio esistenti non consen-tono di determinarne le aree di origine sino ad ora ipotizzate solo su basetipologica ed epigrafica [13 e bibliografia ivi citata]. Sulla base di studiarcheologici, alcuni autori suggeriscono una prima manifattura greca eduna successiva riproduzione nelle officine dell’Italia meridionale, preva-lentemente nelle aree campana e siciliana [13].

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4. Metodi d’indagine

Al fine di ottenere informazioni inerenti ai centri di produzione deireperti anforici in esame, su ciascuno dei campioni sono state effettuateindagini di tipo:– petrografico, mediante microscopia ottica su sezioni sottili (OM);– mineralogico, attraverso diffrattometria (XRD);– geochimico, mediante fluorescenza X (XRF), spettrometria di massa

(ICP-MS) e/o spettroscopia di emissione ottica (ICP-OES).Lo studio mineralogico-petrografico e geochimico dei reperti è stato

naturalmente affiancato da analisi tipologico-stilistiche e da considerazio-ni storico-archeologiche che hanno contribuito in maniera sostanziale allaindividuazione di alcune delle fabbriche anforiche coloniali.

5. Risultati e discussione

Per quanto riguarda le anfore “corinzie B” e “corinzio-corciresi”, leindagini petrografiche hanno messo in evidenza due differenti tipologied’impasto: l’impasto I (campioni di Messina, Gela e Ramacca), caratte-rizzato dalla presenza di inclusi di selce di forma da sub-arrotondata a spi-golosa, insieme a quarzo, feldspati e plagioclasi; l’impasto II (campioni diMessina e Gela), con impronte di microfossili e inclusi dati da frammentidi metamorfiti, insieme a quarzo, plagioclasio, raro feldspato e muscovite,compatibili con una provenienza dall’area Calabro-Peloritana.

In termini chimici, i campioni relativi all’impasto 1 presentano conte-nuti più alti in MgO (5-6%) e più bassi in Al2O3 (10-12%) rispetto a quel-li dell’ impasto II (MgO=2.5-4.5% e Al2O3=14-17%). Inoltre, dall’osser-vazione del diagramma Ni vs. Cr, si può notare come i primi ricadano nel-l’area ad alti tenori in Ni in cui sono riportati campioni di confronto dicerta produzione corinzia [6; 2], mentre i secondi, caratterizzati da bassitenori in Ni, ricadono nel campo composizionale delle ceramiche di pro-duzione sibarita [7; 11] (v. Fig. 1).

Anche per quanto concerne le anfore “ionico-massaliote” e “pseudo-chio-te” sono stati distinti petrograficamente 2 gruppi principali: il gruppo A (com-prendente tutti i campioni di Messina e alcuni di Ramacca) è caratterizzato dapasta di fondo micacea, impronte di microfossili ed inclusi metamorfici com-patibili con una provenienza dall’area Calabro-Peloritana; il gruppo B (com-prendente anfore di Agrigento, Gela, Selinunte e Ramacca), invece, con inclu-

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si quarzosi a grana molto fine e rare impronte di microfossili, non mostra carat-teri petrografici che consentano di discriminare le differenti produzioni.

Dal punto di vista chimico, i campioni del gruppo A sono caratterizza-ti da tenori più alti in K2O (2.4-3%) e più bassi in CaO (5-13%) rispettoal gruppo B (K2O= 1.3-2.4% e CaO=13-25%). I contenuti in TiO2, MgOe Al2O3 sono variabili. All’interno dello stesso gruppo, sulla base dei teno-ri in Ni e Cr (v. Fig. 2), si possono inoltre distinguere manufatti che rica-dono nell’area individuata da campioni di confronto di sicura produzionelocrese e altri che ricadono nell’area delle ceramiche di confronto di pro-duzione sibarita o messinese. I campioni del gruppo B ricadono invece nelcampo delle ceramiche di produzione dei siti di Gela, Agrigento e Se-linunte [3; 1 in corso di stampa], anche se il campo si sovrappone in partea quello di Messina. Si può inoltre osservare come sia possibile distingue-re tra loro le tre produzioni principalmente sulla base del diverso tenore inNi e Cr, oltre che del diverso contenuto in Al2O3 e TiO2 (v. Fig. 2).

Infine, relativamente alle anfore “greco-italiche” sono stati individuati treimpasti differenti: impasto I, a prevalenti quarzo e frammenti di metamorfiti;impasto II, a prevalenti inclusi quarzosi e metamorfici e rari inclusi vulcani-ci; impasto III, a prevalenti inclusi di natura vulcanica.

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Fig. 1. Diagramma Ni vs. Cr (in ppm) relativo alle anfore “corinzie”.Fig. 1. Diagramma Ni vs. Cr (in ppm) relativo alle anfore “corinzie”.A). Dati determina-ti in ICP-MS; B) dati determinati in ICP-OES.

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Dal punto di vista chimico, è stato possibile distinguere due gruppisoprattutto sulla base del diverso contenuto in CaO e SiO2 (v. Fig. 3). Inparticolare, i campioni appartenenti all’impasto III mostrano alti contenu-ti in CaO e bassi in SiO2; viceversa, le anfore con inclusi di natura preva-

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Fig. 2. Diagramma Ni vs. Cr (in ppm) relativo alle anfore “ionico-massaliote” e “pseudo-

chiote”.Fig. 2. Diagramma Ni vs. Cr (in ppm) relativo alle anfore “ionico-massaliote” e “pseu-do-chiote”.

Fig. 3. Diagramma SiO2 vs. CaO (in %) relativo alle anfore “greco-italiche”.

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lentemente metamorfica (impasti I e II) sono caratterizzate da bassi conte-nuti in CaO (> 6%) e alti in SiO2.

6. Conclusioni

L’integrazione dei dati mineralogico-petrografici e geochimici ha con-fermato la presenza di molti centri produttori di anfore nell’Italia meridio-nale e nella Sicilia, relativamente alle tipologie prese in esame. Soltantoper alcune delle anfore “corinzie B” e “corinzio-corciresi” (impasto I) èstata individuata una provenienza diversa, probabilmente localizzabile inGrecia (Corfù?/Corinto?).

Le anfore più antiche, vale a dire le “corinzie B” riferibili all’impastoII, mostrano evidenze di una provenienza dall’attuale Calabria ionica, pro-babilmente dall’area dell’antica Sibari, dato questo che ha forti implica-zioni da un punto di vista storico-archeologico.

Per quanto concerne i campioni relativi alle tipologie “ionico-massalio-ta e “pseudo-chiota”, si ipotizzano numerosi centri di produzione nell’Ita-lia meridionale e nella Sicilia. In particolare, si possono distinguere unaproduzione nell’area dello Stretto di Messina (Messina e Locri), caratte-rizzata dalla presenza di inerte metamorfico, ed una produzione nellaSicilia meridionale (Agrigento, Gela e Selinunte), con prevalente inertequarzoso. Locri rappresenterebbe il primo centro produttore delle anfore“ionico-massaliote” [16].

Infine, per quanto riguarda le anfore “greco-italiche”, sulla base dei pochidati di confronto a disposizione allo stato attuale [13], possiamo escludereuna provenienza dall’area campana (sia da Napoli che da Ischia) per i cam-pioni caratterizzati dalla presenza di inclusi vulcanici: non è stata infattiriscontrata la stessa associazione mineralogica. Si tratta di stabilire se la pro-venienza è associata a Lipari [18] o all’area etnea [4]. Per i campioni coninclusi metamorfici si ipotizza invece una provenienza dall’area peloritana.

In generale, quindi, dai dati ottenuti emerge un quadro abbastanza comples-so della produzione anforica nel Mediterraneo, a testimonianza della vitalitàdei contatti e degli scambi commerciali. Da un punto di vista quantitativo appa-re netta la predominanza delle produzioni occidentali rispetto a quelle egee.

La ricerca avviata richiede comunque uno studio più dettagliato com-prendente un maggior numero di siti archeologici e di campioni da inve-stigare.

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STUDIO PRELIMINARE DEI PARAMETRI TERMOIGROMETRICI

E DELLE LORO VARIAZIONI ALL’INTERNO DELLA CHIESA

DI S. ADRIANO IN S. DEMETRIO CORONE (CS)

BARONE G.(1), CRISCI G.M. (2), LA RUSSA M.F.(3), MALAGODI M.(4), RUFFOLO S. A.(4)

(1) Università di Messina, Dip. Scienza della Terra; (2) Università della Calabria, Dip. Scienzadella Terra; (3) Università di Catania, Dip. Studi Geologici; (4) Syremont SpA

1. Introduzione

Lo studio dei parametri di temperatura e umidità relativa in ambientiindoor è fondamentale per comprendere i fenomeni principali di degradodelle opere d’arte, in particolare nei dipinti murali, quali ad esempio con-densa sulle superfici o incrementi di risalita capillare con possibili deposi-ti salini, sia come efflorescenze che subflorescenze. In quest’ottica diven-ta importante l’analisi dei singoli parametri rilevati in punti significatividello spazio analizzato che consentono di misurare le variazioni termo-igrometriche sia nell’arco delle 24 ore che stagionali, con un confronto trai periodi più freddi e quelli più caldi. È così possibile evidenziare le prin-cipali cause di alterazione dei parametri microclimatici, come ad esempiouna maggior esposizione di un’area dell’ambiente alla luce solare, in par-ticolare alla componente U.V., o l’analisi dei flussi di aria calda o freddaattraverso lo spazio.

Obiettivo di questo lavoro è l’analisi dei parametri microclimaticiall’interno della chiesa Bizantina di S. Adriano a S. Demetrio Corone, sitodi grande interesse storico e architettonico della Calabria e significativo daun punto di vista conservativo, sia per i materiali costitutivi che per la suaesposizione a forti variazioni di temperatura in inverno e in estate, alloscopo di estrapolare una metodologia analitica (v. Fig. 1 e 2).

La chiesa fu edificata intorno al 955 per opera di S.Nilo da Rossano,prestigiosa figura del monachesimo basiliano. All’edificio è annessol’omonimo monastero, che dal 1794 fu convertito in Collegio. Dal 980 al

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1088, chiesa e monastero passarono alle dipendenze dell’abbazia benedet-tina della SS Trinità di Cava dei Tirreni (SA): questo periodo ebbe unaeccezionale importanza nella storia edilizia della chiesa, che allora assun-se le caratteristiche romane-normanne sull’impianto convenzionale bizan-tino. In seguito la chiesa ritornò alle dipendenze dei monaci basiliani, iquali la abbellirono con mosaici e affreschi in stile bizantino. In seguitoalla caduta dell’impero bizantino intorno alla metà del quindicesimo seco-lo, il governo del monastero cadde nelle mani degli abati commendatari.In questo periodo la chiesa subì profondi e dannosi rifacimenti che ne alte-rarono le caratteristiche originarie [1] (v. Fig. 3).

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Fig. 2. Mosaico.

Fig. 1. Chiesa di S. Adriano (S. DemetrioCorone, CS)

Fig. 3. Affresco.

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2. Obiettivi

Il tradizionale studio delle condizioni microclimatiche si rivolge allamisurazione di temperatura e umidità relativa in un punto specifico del-l’ambiente come rilevazione rappresentativa della situazione microclima-tica. Gli obiettivi specifici di questa analisi microclimatica sono stati quel-li di determinare gli andamenti di temperatura e umidità relativa all’inter-no della chiese di S. Adriano. Le differenze dei parametri misurati nelcorso del tempo dovrebbero consentire successivamente di misurare levariazione tra l’ambiente e i manufatti, considerando che questi gradientisono la principale causa di degrado delle opere d’arte, con conseguenteformazione di flussi di calore e di vapore tra manufatto e ambiente ester-no [2]. Le modalità operative, in genere, consistono nell’effettuare campa-gne di misura significative per ogni stagione, tenendo conto che i dativanno poi messi in correlazione ai periodi di rilevamento e, nelle 24h, inrelazione all’ora in cui si effettua la misura. In questo studio si è preso inconsiderazione il periodo invernale, con rilevazioni che iniziano nel mesedi novembre e che si concludono nel mese gennaio. Il range temporale quiriportato è di circa trenta giorni, considerando che i dati saranno poi inte-grati con le misure ancora in fieri nei siti in esame. Dai dati rilevati è statopossibile seguire gli andamenti dei parametri di temperatura e umiditàrelativa sia nell’arco delle 24h (come misure puntuali e come medie dellemisure su tutto il periodo in esame) che in tutto il periodo di rilevazione,con le medie calcolate giorno per giorno. In base all’elaborazione di que-ste misure, è stato possibile elaborare dei tracciati su sezione orizzontaledelle chiese che visualizzano l’andamento dei parametri in esame.

3. Metodologia

Le misure sono state effettuate utilizzando due tipologie di strumenti. Permisure prolungate nel tempo sono state utilizzate le sonde Rotronic Hydroclip(Rotronic, Svizzera), dotate di memoria interna, ed è stato impostato il valoredi un’ora come intervallo di campionamento. Esse sono dotate di termoresisto-ri al platino (Pt100) per la misura della temperatura e sensore capacitivoHygromer per la misura dell’umidità. Le misure puntuali sono state effettuateutilizzando lo psicrometro interfacciato allo strumento Babuc M (LSI, Italia).Lo psicrometro è dotato di due Pt100, uno a bulbo secco che misura l’effettiva

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temperatura dell’aria e l’altro a bulbo umido, che misura una temperatura piùbassa rispetto al primo. La temperatura di bulbo umido e la temperatura dibulbo secco, determinate contemporaneamente affiancando due termometri,permettono di determinare il punto di rugiada e l’umidità relativa. Gli errori dimisura sono ± 0,1 °C per la temperatura e ± 1 % per l’umidità relativa. Lesonde sono state programmate con un intervallo di campionamento di un’ora.Ad intervalli di tempo regolare, i dati misurati dalle sonde sono scaricati ed ela-borati attraverso la costruzione di mappe in sezione orizzontale in grado divisualizzare gli andamenti di temperatura e umidità relativa, sia nelle 24 ore chenel confronto con periodi stagionali differenti (v. Fig. 4).

4. Risultati.

La chiesa di S. Adriano non è dotata di impianto di riscaldamento e nondispone di un sistema di illuminazione interno; inoltre è anche scarso l’afflus-so di fedeli e visitatori: queste condizioni pur non essendo particolarmentepositive per quanto riguarda la fruibilità del bene artistico, risultano esseredelle buone condizioni per quanto riguarda la sua conservazione. Le unicheforzanti in grado di provocare delle “perturbazioni” al normale equilibrio ter-moigrometrico sono quelle esterne come la radiazione solare, che penetraattraverso le vetrate, oppure i flussi di aria provenienti dalle due porte di acces-so alla chiesa. Di tutta l’indagine, peraltro ancora in fieri, sono solo riportati irisultati relativi al periodo di campionamento invernale. In figura 5 è riportatauna rappresentazione delle differenze di T ed UR% in accordo con le normeUNI 10829 ed UNI 10969 [3, 4]. Tali norme considerano le escursioni gior-naliere di T ed UR % tollerabili dal punto di vista conservativo solo se ricado-no in determinati intervalli che nel caso della norma UNI 10829 sono 0-1,5°C per la temperatura e 0-4 % per l’umidità, mentre per la UNI 10969 vi è unapiù ampia tolleranza di 0-3,2 °C e 0-7 %. Le escursioni termoigrometriche nel

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Fig. 4. Posizione delle sonde.

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breve periodo rappresentano un potenziale fattore di degrado in quanto posso-no dare origine a cicli di adsorbimento e desorbimento sulle superfici interne:infatti i fenomeni di condensazione ed evaporazione di vapore acqueo in mate-riali porosi si verificano anche a temperature lontane dal punto di rugiada [5].Tali valori sono strettamente dipendenti dalla caratteristiche fisiche del mate-riale (la porosità in primo luogo). In base a queste considerazioni, sono incorso diverse analisi per la caratterizzazione dei materiali dal punto di vistafisico e petrografico: tale lavoro, insieme all’elaborazione dei dati microclima-tici ancora in fieri dovranno essere integrati con i dati qui presentati. La quasitotalità dei punti ricade nell’intervallo di tolleranza più restrittiva dettata dallanorma UNI 10829, denotando una buona condizione microclimatica per laconservazione nel periodo invernale (v. Fig. 5, 6 ).

Un’altra informazione fondamentale ai fini della valutazione del micro-clima è la valutazione dei gradienti termici ed igrometrici all’interno del-l’ambiente indoor: a tal fine sono state elaborate delle mappe di tempera-tura, umidità relative e umidità specifica in cui vengono messe in rilievole differenze di tali grandezze esistenti tra i vari punti. Sono stati scelti duegiorni campione significativi da un punto di vista dei dati registrati ed è

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Fig. 6. Mappe di temperatura, umiditàrelativa ed umidità specifica, registrate il26 novembre alle ore 12.

Fig. 5. Escursioni di T ed UR%. Il riquadrotratteggiato rappresenta l’intervallo di tolle-ranza secondo la UNI 10969, mentre lalinea continua rappresenta il medesimointervallo secondo la UNI 10829.

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stata “fotografata” la situazione alle ore 12:00. In figura 6 sono riportatele mappe termoigrometriche relative al giorno 26 novembre. Nella mapparelativa alla temperatura si nota che la zona delle porte di entrata alla chie-sa risulta essere più fredda rispetto alla zona absidale: questo si verifica inquanto la temperatura esterna è minore di quella interna. Si apprezza inol-tre un gradiente termico in direzione Nord-Sud anche se di minore entitàdovuto probabilmente all’esposizione: l’area esposta a sud presenta unatemperatura più alta. La mappa dell’umidità relativa mostra un più altogrado di saturazione igrometrica proprio nelle zone a più bassa tempera-tura, mentre la mappa di umidità specifica ci mostra che la zona a più altaumidità relativa è accompagnata anche da una maggiore presenza di acquanello stato gassoso: questo potrebbe essere causato da fenomeni di evapo-razione o, più verosimilmente, dall’apporto di umidità dall’esterno. Infigura 7 è mostrata la situazione microclimatica registrata nel giorno piùcaldo, cioè l’otto di dicembre, ed in questo caso la situazione è opposta.La zona absidale questa volta è a più alta temperatura in quanto la tempe-ratura esterna è maggiore di quella interna: tale differenza è sottolineata in

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Fig. 8. Mappe di temperatura registrate neigiorni 26/11/2004 e 8/12/2004 entrambi alleore 12:00.

Fig. 7. Mappe di temperatura, umiditàrelativa ed umidità specifica, registratel’8 dicembre alle ore 12.

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figura 8 in cui si rappresentano le due dinamiche attraverso una rappresen-tazione tridimensionale. Anche gli andamenti di UR ed US riscontrati mo-strano un comportamento opposto rispetto al 26 novembre, con una piùbassa umidità sia relativa che specifica nella zona delle entrate, che per lestesse ragioni esposte precedentemente sono imputate all’ingresso di aria,questa volta più calda e secca.

5. Conclusioni

Da questa prima analisi, che ovviamente andrà integrata in modo daottenere un quadro generale, si può affermare che le condizioni di conser-vazione a livello microclimatico si presentano in modo soddisfacente, inparticolare si presentano molto contenute le escursioni giornaliere di tem-peratura ed umidità relativa. I gradienti termici risultano invece esseresignificativi, in quanto l’ingresso di aria con diversa umidità e temperatu-ra perturba la stabilità termoigrometrica all’interno della chiesa: questainstabilità, seppur non eccessivamente marcata, provoca dei flussi di ariala cui dinamica dovrà essere oggetto di ulteriori studi.

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EFFETTO DI LUCI MONOCROMATICHE SULLA COMPOSIZIONE

IN SPECIE, MORFOLOGIA E PIGMENTI DI BIOFILM A CIANOBATTERI

IN IPOGEI ROMANI*

BELLEZZA S., VOLPINI M., BRUNO L., ALBERTANO P.

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Dipartimento di Biologia, Via della Ricerca Scientifica 1, 00133 Roma

Le comunità fototrofe biodeteriogene che si sviluppano nelle catacom-be cristiane di Roma sono dominate da cianobatteri sciafili che, insieme abatteri, diatomee, alghe verdi e muschi formano biofilm su substrati lapi-dei quali tufo, mattoni, malta, intonaco e affreschi in prossimità di unafonte luminosa [1]. Negli ipogei la luce bianca fornita dalle lampade, uti-lizzate per consentire le visite turistiche, è il fattore limitante la crescitadei fototrofi, essendo l’irradianza in media molto bassa, tuttavia i ciano-batteri sono in grado di usare la poca radiazione emessa in modo estrema-mente efficiente grazie al loro corredo pigmentario [2]. Per limitare, allo-ra, lo sviluppo dei biofilm fototrofi sono state avviate ricerche sul possibi-le uso di sorgenti luminose alternative [3, 4], nel cui ambito il presente stu-dio ha previsto l’applicazione di metodi per monitorare lo sviluppo in situe in laboratorio di biofilm esposti a luci monocromatiche. A tal fine, pia-strine di intonaco provenienti dalle stesse catacombe venivano utilizzate,previa sterilizzazione, per inoculare frammenti di biofilm e collocate inparte in due siti di origine e in parte in laboratorio, sottoposte a condizio-ni controllate di umidità e temperatura, a illuminazione blu, verde e aran-cione, provvista da lampade le cui caratteristiche di emissione nel visibileerano determinate mediante spettroradiometria portatile [5, 6].

Osservazioni in microscopia ottica ed elettronica dei biofilms cresciuti per18 mesi in situ con luce bianca mostravano una maggiore colonizzazione

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* Questo lavoro è stato svolto con il contributo della Unione Europea, nell’ambitodel Programma EESD, Progetto “Cyanobacteria attack rocks-CATS” contratto n°EVK4-CT-2000-00028, e del MIUR, PRIN 2003.

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delle piastrine lasciate in un cubicolo aperto al pubblico rispetto a quelle col-locate in un cubicolo chiuso al passaggio di visitatori. Infatti, nel primo casoerano presenti sia cianobatteri coccali e filamentosi, calcificanti e non, siadiatomee e protonemi di muschi, mentre nel secondo si osservavano solopochi filamenti di una specie di Stigonematales. Osservazioni in microscopiaottica accoppiata ad analisi dei pigmenti mostravano che, in laboratorio, lepiastrine esposte per 10 mesi a illuminazione monocromatica arancioneerano interessate da una crescita evidente di Leptolyngbya sp., che apparivaridotta in luce verde e assente in luce blu. Modificazioni nella organizzazio-ne e nella morfologia dei filamenti e nella proporzione dei pigmenti fotosin-tetici erano inoltre apprezzabili sia in luce verde dove le cellule apparivanopiù allungate rispetto ai campioni sottoposti a illuminazione bianca, sia inluce blu dove le cellule apparivano depigmentate e ricche di inclusi citopla-smatici. Tali osservazioni qualitative erano confermate dall’analisi della bio-massa, espressa come variazione del contenuto in clorofilla a dei biofilm, cheevidenziava, dopo 90 giorni dall’inoculo, una riduzione di circa il 53% neicampioni in luce blu e 5% in luce verde rispetto a quelli cresciuti in luce aran-cione. L’insieme dei dati così ottenuti consentiva di installare in via sperimen-tale una lampada blu all’interno del Cubicolo di Oceano nelle Catacombe diS. Callisto per verificare in situ il grado di efficacia di tale tipo di illumina-zione nel contrastare la crescita dei biofilm e saggiarne l’accettabilità da partedei visitatori. Dopo 10 mesi di sperimentazione condotta con lo stessoapproccio metodologico, le osservazioni in microscopia ottica su un terzo setdi piastrine calcaree non evidenziava la presenza di filamenti di cianobatteri.

Gli studi sull’effetto di luci monocromatiche permettono di delinearenuove strategie di controllo e monitoraggio per la prevenzione del dannoa superfici lapidee di interesse [6]. Questo tipo di approccio è stato ancheben accolto dal pubblico dei visitatori che si sono dichiarati disponibili auna visione monocromatica delle catacombe pur di conservare i dipinti inesse contenuti [7].

Effetto di luci monocromatiche in ipogei romani 101Effetto di luci monocromatiche in ipogei romani 101

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Bellezza, Volpini, Bruno, Albertano102 Bellezza, Volpini, Bruno, Albertano102

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MICROCHEMICAL AND MICROMORPHOLOGICAL INVESTIGATION

OF LUSTRE PAINTED CERAMIC FROM SICILY AND SARDINIA (ITALY)

BULTRINI G. (1), FRAGALÀ I. (1), INGO G.M. (2), DE CARO T. (2)

(1) Dipartimento Scienze Chimiche, Università di Catania, v.le Doria 6, 95125 Catania, Italy(2) Istituto per lo Studio dei Materiali Nanostrutturati del CNR, CP 10,

Monterotondo Stazione, 00016 Rome, Italy

Hispano-Moresque lustre-painted pottery, manufactured from thirteento fifteenth century, has been found during archaeological excavations atSiracusa (southern Italy) and at Fenughedu (Cagliari, Sardinia). By meansof scanning electron microscopy (SEM+EDS), optical microscopy (OM)and X-ray diffraction (XRD), the ceramic body, the glaze and the surfacedecoration layer of these materials have been studied. The results havebeen also compared and discussed with the results obtained from Hispano-Moresque and Deruta materials found at Formello (Central Italy).

In particular, each analysis provides information about provenance andtechnological aspects of the manufacturing processes:

– the mineralogical data of the ceramic bodies, obtained via XRD,emphasize that the majority Hispano-Moresque samples found in Sicily,Sardinia and Central Italy are very similar and they may be well groupedin a restrict area thus suggesting the same production centre (likely theValencia district, Spain). Furthermore, the same data indicate that severalHispano-Moresque samples found in Sicily show three different groupingswith peculiar mineralogical features indicating at least other three notdefined production sites (Islamic world ?). Finally, the mineralogicalresults of Deruta samples, found at Siracusa and Formello (Rome), indi-cate a well defined area clearly distinct with respect the Hispano-Moresque pottery emphasizing that the analysis and the elaboration ofXRD data allow to identify the provenance of the different lustre-paintedceramics.

– the microchemical and microstructural investigation of the glazecoatings and the relative data processing, using an empirical formula (set-ting-up by Lengersdorf) to determine the firing and maturing temperatures

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reached during the second firing, reveal a very good skill of the ancientcraftsmen in the control of the manufacturing process parameters to tunefiring temperatures with the required “maturing” values.

– the data of the microchemical characterisation of the decorative layerindicate on the outermost layer of the gold-like lustre-painted surfaces, thepresence of a complex microchemical structure constituted by smallrounded particles of silver metal mixed with silver oxide, whose sizeranges from 0,1 mm to 0,7 mm. These nano-particles are responsible forthe specular and diffuse reflection of the light even though they are notuniformly distributed on the surface of the lead silicate coating where cas-siterite (SnO2) and quartz crystals are also present. Furthermore, theresults obtained from the reddish copper lustre, show the occurrence of theabove described structure with the presence also of copper and Cu (I)oxide particles. The comparison between Hispano-Moresque and CentralItaly decoration layers discloses some difference about the size and thecomposition of the nano-particles responsible of the lustre denoting theadoption of different recipes and manufacturing processes.

Bultrini, Fragalà, Ingo, De Caro104

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Microchemical and micromorphological investigationof lustre painted ceramic from Sicily and Sardinia (Italy)

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CARATTERIZZAZIONE MINERO-PETROGRAFICA, MICROCHIMICA

E MICROSTRUTTURALE DI MALTE STORICHE

USATE A CATANIA DURANTE IL XVII SECOLO

BULTRINI G.(1), FRAGALÀ I.(1), INGO G.M.(2), LANZA G.(3)

(1) Dipartimento di Scienze Chimiche, Università di Catania, v.le Doria 6 - 95125 Catania, Tel. 095 7385053, Fax. 095 580138, [email protected]

(2) Istituto per lo Studio dei Materiali Nanostrutturati, CNR, Via Salaria km. 29,100 Monterotondo Stazione, 00016 Roma, [email protected]

(3) Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Potenza, Via Nazario Sauro 85, 85100 Potenza, [email protected]

1. Introduzione

Verso la fine del XVII secolo, la città di Catania (Sicilia Orientale) fuinteressata da diversi devastanti fenomeni naturali. Nel 1669 varie colatelaviche, eruttate dall’Etna, attraversarono la città coprendo e distruggendovaste zone edificate del centro urbano. Tale evento rappresenta sicuramen-te il più imponente e disastroso fenomeno vulcanico della storia diCatania.

Soltanto pochi anni dopo, nel 1693, un devastante terremoto investìCatania e distrusse sia gran parte di quelle strutture risparmiate dalle cola-te laviche della precedente eruzione sia quelle nel frattempo ricostruite.Rappresentativa di questo tragico periodo è l’evoluzione costruttiva delMonastero dei Benedettini, dal XVI secolo uno dei più maestosi edifici diCatania [1-3]. La sua edificazione cominciò nel 1558 e già verso la metàdel Seicento era annoverato tra i più imponenti e distintivi monumenti diCatania. Nel 1669 l’eruzione dell’Etna non risparmiò l’area da esso occu-pata distruggendo la Chiesa di S. Nicola, una struttura annessa alMonastero. I monaci benedettini, tuttavia, non si scoraggiarono e pronta-mente iniziarono la ricostruzione apportando anche sostanziali modificheedili ed allargamenti del monastero. Sfortunatamente, solo ventiquattroanni dopo, il disastroso terremoto del 1693 distrusse nuovamente il mona-stero ma anche questa volta, nel 1703, la ricostruzione ripartì e fu portataa compimento, ad esclusione di alcune strutture lasciate incomplete, nei

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successivi vent’anni. Nel corso di quest’ultima ricostruzione il monasterofu arricchito di fantastiche varietà di sculture Barocche.

In questo scenario diviene fondamentale un approccio di tipo archeo-metrico per la pianificazione di qualsiasi intervento di restauro riguardan-te il monastero. Infatti, è essenziale prima d’ogni intervento avere una det-tagliata conoscenza dei materiali adottati nelle varie fasi costruttive susse-guitesi nel tempo e delle diverse tecniche di produzione e messa in operaimpiegate.

In questo lavoro sono riportati i risultati preliminari della caratterizza-zione di varie malte ed intonaci distintivi dei diversi stadi costruttivi delmonastero dei Benedettini e dell’annessa Chiesa di S. Nicola. In partico-lare, per questo studio sono state usate differenti tecniche analitiche: dif-frattometria dei raggi X (XRD), microscopia ottica a luce polarizzata(MO) e microscopia elettronica a scansione abbinata a microanalisi EDS(SEM+EDS).

L’obiettivo dell’insieme di tutte queste ricerche, oltre le considerazionidi tipo archeometrico, riguarda gli aspetti tecnologici associati alla produ-zione delle malte poiché tali materiali sono compositi essendo costituiti dauna componente inerte e da un legante. Tuttavia, le differenti interazioniche possono verificarsi tra loro possono dare origine a malte puramenteaeree o a malte con vari gradi di idraulicità (attitudine a far presa ed indu-rirsi anche in presenza di acqua). Nelle malte antiche, le principali diffe-renze dipendono soprattutto dalla natura della componente inerte e dallasua reattività con il legante che determina in esse differenti proprietà fisi-co-meccaniche. In particolare, tali proprietà influenzano la durata in eser-cizio delle malte e la loro “idraulicità”.

2. Metodologie analitiche

Campioni rappresentativi delle differenti malte ed intonaci appartenen-ti a strutture architettoniche, edificate nel corso delle varie fasi costruttivedel Monastero dei Benedettini e dell’annessa Chiesa di S. Nicola, sonostati prelevati con l’ausilio di micro-attrezzi d’acciaio e di bisturi chirur-gici sterili e non contaminati.

Le operazioni di campionamento sono state condotte dopo un’accurataindagine preliminare al fine di evitare il prelievo in aree particolarmente degra-date o restaurate. In particolare, i campioni siglati con la lettera F provengono

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da strutture presenti nelle fondamenta del monastero mentre le altre malte sonostate prelevate da alcune strutture architettoniche della Chiesa di S. Nicola, cherappresenta l’ultima fase costruttiva dell’intero apparato monumentale.

Al fine di individuare le diverse fasi cristalline presenti nelle malte enegli intonaci, su piccole porzioni di campione finemente polverizzatisono state eseguite analisi diffrattometriche usando un diffrattometroBruker D5005. L’identificazione delle fasi è stata condotta mediante ilsoftware dedicato Diffrac Plus Evaluation Program (EVA).

Le sezioni sottili delle malte sono state esaminate mediante un micro-scopio ottico a luce polarizzata Leitz al fine di ottenere la caratterizzazio-ne mineralogico-petrografica degli inerti e del legante. La preparazionedelle sezioni sottili è stata condotta partendo dal prelievo di macro-fram-menti di campioni e dal loro inglobamento in una resina epossidica.Mediante taglio con lama diamantata, sono state ricavate dai macro-fram-menti inglobati lamine piane e sottili il cui spessore è stato ulteriormenteridotto e le cui superfici sono state finite. Le lamine sono state quindiapplicate su vetrino da microscopio mediante balsamo del Canada. I cam-pioni così ottenuti sono stati ridotti di spessore tramite lama diamantatacercando il più possibile di ottenere una superficie parallela al vetrino.Successivamente, tale faccia è stata lappata prima utilizzando fogli dicarta abrasiva con grana da 20-30 µm e poi paste diamantate fino al 1/4 dimicron fino ad ottenere una lamina di spessore pari a circa 50 µm. Infine,i campioni sono stati ridotti ulteriormente di spessore mediante una lappa-tura manuale su lastra di vetro con paste diamantate molto fini per ottene-re uno spessore finale di circa 30 µm.

La caratterizzazione microchimica e microstrutturale è stata condottamediante un microscopio elettronico a scansione Leo Iridium 1450 dotatodi uno spettrometro a dispersione di energia IXRF SYSTEM.

Al fine di ottenere le sezioni lucide per microscopia elettronica, daicampioni sono stati prelevati, mediante bisturi e mini frese in acciaio, deipiccoli frammenti che successivamente sono stati inglobati in una resinaepossidica e dopo 24 ore di consolidamento tagliati per ricavarne superfi-ci lisce. I campioni così ottenuti sono stati lucidati metallograficamente,usando carte abrasive al carborundum e paste diamantate fino a ? dimicron. I campioni sono stati quindi ricoperti da un sottile (30 nm) stratodi grafite mediante un sistema sputtering Emitech K450 al fine di rendereconduttrici le superfici dei campioni ed evitare la presenza di cariche elet-trostatiche durante le analisi SEM-EDS.

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3. Risultati e discussione

In figura 1 viene mostrata una veduta del Monastero dei Benedettini diCatania da cui è possibile notare come tra tutti gli stili presenti, legati allevarie vicissitudini sofferte dal complesso monumentale, lo stile Baroccosia quello largamente predominante.

I risultati dell’analisi diffrattometrica, riportati in Tab.1, mostrano comela calcite (CaCO3) è in generale la fase cristallina più abbondante nellemalte campionate.

Caratterizzazione di malte storiche usate a Catania durante il XVII secolo 109

Tabella 1. Analisi diffrattometrica delle malte.

Fig. 1. Il Monastero dei Benedettini e la retrostante cupola della Chiesa di S. Nicola.

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I plagioclasi (soluzioni solide in diverse proporzioni dei due terminiestremi albite ed anortite) sono sempre presenti ed associati a minoriquantità di augite e in alcuni casi a silicati idrati di calcio ed allumo-sili-cati idrati di calcio (fasi idrauliche), quarzo ed ematite. Solo nel caso del-l’intonaco di rifinitura L1C sono stati rilevati anche gesso (CaSO4), halite(NaCl) e sylvite (KCl).

Lo studio al microscopio ottico delle sezioni sottili conferma i risultatiXRD poiché tutti i materiali esaminati sono costituiti da una matrice compo-sta da calcite microcristallina evidenziando, quindi, l’uso di calce aerea comelegante.

Inoltre, i risultati delle indagini micro-chimiche e micro-strutturalimostrano, immersi nella matrice, abbondanti granuli sub-arrotondati di liticivulcanici di tipo basaltico con più o meno evidenti fenocristalli di plagiocla-sio ed augite, frequenti calcinelli, sporadici litici carbonatici e, in alcuni cam-pioni, la presenza di piccoli frammenti di materiali ceramici (chamotte),molto probabilmente, aggiunti per conferire proprietà idrauliche alle malte.

Soltanto nel caso del campione L1C, che rappresenta un intonaco di rifi-nitura, l’analisi al microscopio ottico ha rivelato una componente inerte costi-tuita da abbondanti litici carbonatici di tipo micritico.

La presenza ubiquitaria di calcinelli indica che, almeno in alcune zone delforno usato per la calcinazione delle rocce carbonatiche, è stata raggiunta unatemperatura superiore al necessario che ha sinterizzato parte del materiale,rendendolo più compatto ed addensato.

La sinterizzazione della calce, infatti, negli antichi forni poteva anche noninteressare tutto il prodotto e presentarsi solo in zone ove si verificavano sur-riscaldamenti locali. Accadeva così che nella successiva fase di spegnimentodella cosiddetta calce viva queste particelle sinterizzate non riuscissero a rea-gire con l’acqua, facendo così rimanere nella massa della calce idrata granu-li di CaO. Al momento dell’impiego, poi, tali granuli sinterizzati reagivanomolto lentamente con l’acqua d’impasto, cosicché la loro idratazione avveni-va quando oramai la restante parte era già indurita provocando, dato l’incre-mento di volume che avviene in questa fase, la formazione di fessurazioni,sollevamenti e distacchi di parti d’intonaco nei manufatti [4, 5].

D’altronde, la non ottimale efficienza degli antichi forni usati a Cataniaper la cottura delle rocce carbonatiche è anche avallata dalla presenza, rile-vata mediante microscopia ottica, di litici carbonatici solo parzialmentedecomposti che, in alcuni casi, mantengono ancora le caratteristiche petro-grafiche originali testimoniando, quindi, che in alcune zone del forno era

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raggiunta una temperatura inferiore a quella necessaria per la calcinazio-ne. A parziale giustificazione degli antichi “calcaroli” catanesi si devetenere presente che la calcinazione dei calcari in passato raramente eracompleta sia perché i forni utilizzati erano poco funzionali per l’irregola-re distribuzione della temperatura nei vari punti del forno sia perché,soprattutto se i frammenti di calcare erano di grosse dimensioni, le zonecentrali si calcinavano con maggiore difficoltà rispetto alle zone esterne.L’operazione, inoltre, era resa ancora più difficile dalla tendenza alla ricar-bonatazione delle parti più esterne che, venendosi a trovare esposte ai gasdi combustione – ricchi di CO2 –, tendevano a formare nuovamenteCaCO3 a temperature inferiori a quelle di decomposizione [4, 5].

Inoltre, le osservazioni microscopiche hanno evidenziato alcune diver-sità composizionali della frazione inerte tra i campioni prelevati in strut-ture delle prime fasi costruttive e quelli facenti parte di strutture architet-toniche relative alle ultime fasi della ricostruzione. In particolare, gli iner-ti dei campioni più antichi mostrano litici vulcanici con un’uniforme colo-razione scura, costituiti, probabilmente, da sabbie e ceneri vulcaniche che,già dal seicento nell’ambiente edile catanese erano conosciute col termine“azolo” (v. Fig. 2a).

Questo materiale, già in natura delle dimensioni delle sabbie, rappre-senta il principale prodotto dell’attività parossistica dell’Etna. Di contro,le malte delle ultime fasi costruttive presenti nella Chiesa di S. Nicola,oltre a presentare campioni con “azolo”, mostrano frequentemente maltecon inerti costituiti da litici vulcanici con prevalente colorazione rossastra,tipici della cosiddetta “ghiara” (v. Fig. 2b).

Caratterizzazione di malte storiche usate a Catania durante il XVII secolo 111

a bFig. 2. Fotografie al microscopio polarizzatore di malte relative a due diverse fasicostruttive del Monastero dei Benedettini. a) Tipica struttura di una malta ad “azolo”della prima fase costruttiva. b) Microstruttura di una malta a base di “ghiara” dell’ulti-ma fase costruttiva. Si possono notare evidenti aloni intorno ai clasti. N//.100X.

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Essa rappresenta il prodotto della cottura d’alcune tipologie di suoli daparte delle colate laviche che nel 1669 investirono Catania. Questo tratta-mento termico (metamorfismo di contatto) ha portato all’ossidazione delferro presente nei suoli impartendogli la tipica colorazione rossa del Fe3+.

Le differenze composizionali riscontrate nei campioni relativi alle ulti-me fasi della ricostruzione del Monastero dei Benedettini indicano l’usodi questo nuovo materiale come inerte per il confezionamento delle malte.E’ da notare che, molto probabilmente, l’aspetto fisico della “ghiara” hagiocato un ruolo importante per la sua introduzione nelle ricette dellemalte. Infatti, questo materiale, apparendo macroscopicamente moltosimile al “cocciopesto” e in minor misura alla pozzolana, deve aver indot-to gli antichi costruttori ad attribuirgli proprietà idrauliche.

In questo contesto, allo scopo di localizzare le cave d’approvvigiona-mento della “ghiara” usata nel Monastero dei Benedettini, sono state con-dotte indagini geologiche nel centro storico di Catania. E’ stato così pos-sibile individuare diverse cave di “ghiara” fra cui la più importante edestesa ad appena 50 metri dal monastero. In tutte le cave, lo spessore dellostrato di suolo interessato dal calore appare molto variabile, da pochi cen-timetri al metro, presentando spesso anche colorazioni diverse legate a dif-ferenti condizioni termo-chimiche. La “ghiara” si presenta sottoforma dimateriale poco coerente o sciolto a differente granulometria. In alcuni casiall’interno dello strato è possibile rinvenire frammenti ceramici anche digrosse dimensioni.

Le analisi minero-petrografiche della “ghiara” condotte mediante dif-frazione X e microscopio polarizzatore hanno evidenziato una pressochéesclusiva presenza di minerali di natura vulcanica (plagioclasio ed augite)e subordinato quarzo, probabilmente legato alla presenza di materiali cera-mici. La caratterizzazione con microscopia ottica della “ghiara” ha, inol-tre, evidenziato in numerosi casi la presenza di un sottile alone rosso intor-no ai granuli, probabilmente causato dal “trattamento termico” della lava,del tutto simile a quello presente nelle fasi idrauliche legate all’interazio-ne tra materiali ceramici e legante, che induce la formazione di fasi idratedi silicati di calcio e allumo-silicati di calcio [6, 7, 8].

Tali osservazioni indicano chiaramente la difficoltà nel distinguere lefasi idrauliche nelle malte a base di “ghiara” con il solo ausilio dellamicroscopia ottica.

Allo scopo di ottenere informazioni più dettagliate è stata utilizzata lamicroscopia elettronica a scansione abbinata a microanalisi EDS.

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In figura 3 è riportata una immagine SEM ottenuta mediante elettroniretrodiffusi di una tipica malta a base di “ghiara”. E’ evidente che in que-sta tipologia di malte è presente una matrice carbonatica entro cui sonoimmerse fasi riconducibili a litici vulcanici, plagioclasi e componentiidrauliche. I risultati dell’analisi EDS (Fig. 3) confermano tali indicazionipoiché sono in buon accordo con le informazioni stechiometrie dellesopraccitate fasi inorganiche.

Caratterizzazione di malte storiche usate a Catania durante il XVII secolo 113

Fig. 3. Micrografia SEM con elettroni retrodiffusi e relativi spettri EDS delle fasi presenti inuna malta a base di “ghiara”. In particolare, lo spettro A rivela una matrice ricca in calcio.Lo spettro B conferma la presenza di quarzo. L’EDS C mostra silice, magnesio, calcio e ferrodenotando la presenza d’augite. Lo spettro D rivela una fase composta da silicio, alluminio,calcio e ferro confermando la presenza di frammenti ceramici. Lo spettro E indica una ste-chiometria attribuibile al plagioclasio ed, infine, lo spettro F evidenzia una matrice compo-sta da Si, Ca, Al e Fe confermando la presenza di fasi idrauliche.

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Risultati del tutto analoghi sono stati rilevati dalla caratterizzazione inmicroscopia elettronica a scansione di una malta ad “azolo”, cui un’imma-gine con elettroni secondari è riportata in figura 4. In questo caso è statopossibile identificare, mediante microanalisi EDS, diverse tipologie dileganti evidenziando la presenza nello stesso campione di leganti a base dicalcio e, nelle vicinanze dei litici vulcanici, di leganti ricchi in silicio, cal-cio, alluminio e ferro, caratteristici delle fasi idrauliche [9].

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Fig. 4. Micrografia SEM e relativi spettri EDS di una malta a base di “azolo”. Gli spet-tri EDS relativi alle varie fasi presenti nel campione indicano la presenza di litici vulca-nici (spettri C e D), di un legante ricco in calcio (B) e di un legante composto da un sili-cato di calcio, alluminio e ferro (A) riconducibile ad una fase idraulica.

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Questo risultato conferma la formazione di zone ove l’interazione tralegante carbonatico e fase vetrosa degli inerti vulcanici si è stabilita, con-ferendo proprietà idrauliche alla malta. Nello stesso campione, inoltre, tra-mite microscopia elettronica a scansione, è stato anche possibile rilevaredifferenze da un punto di vista microstrutturale tra legante a base di calci-te microcristallina ed il legante composto da fasi idrauliche (Fig. 5).

Caratterizzazione di malte storiche usate a Catania durante il XVII secolo 115

Fig. 5. Micrografie SEM mostranti le differenti microstrutture tra un legante di tipo aereo(B) ed un legante con proprietà idrauliche (A) di una malta a base di “azolo”, relativaalle prime fasi costruttive del Monastero dei Benedettini.

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Tradizionalmente è riportato che tali proprietà idrauliche furono empi-ricamente scoperte dai Fenici. Infatti, essi furono i primi ad usare compo-sti silicatici come: pozzolane, mattoni macinati e frammenti ceramicimiscelati con calce per indurre la formazione di fasi idrauliche ed impar-tire migliori caratteristiche fisiche e meccaniche alle malte [4, 5, 10].

4. Conclusioni

I dati minero-petrografici, microchimici e microstrutturali ricavati dallacaratterizzazione mediante XRD, MO e SEM+EDS, delle malte usate nelcorso delle diverse fasi costruttive del Monastero dei Benedettini e dellaChiesa di S. Nicola hanno evidenziato la presenza d’alcune fasi silico-alluminatiche che conferiscono alle malte modeste proprietà idrauliche.

I risultati hanno anche mostrato un consistente impiego di “azolo” nelcorso delle prime fasi costruttive, mentre, le strutture architettoniche rela-tive alla ricostruzione condotta dopo il violento terremoto del 1693 hannorivelato l’adozione di un nuovo materiale: la “ghiara” come inerte.

È importante notare che quest’ultimo rappresenta un co-prodotto del-l’impressionante eruzione vulcanica dell’Etna che nel 1669 ha coperto dilava quasi completamente la città di Catania.

Una serie di prospezioni geologiche, condotte per individuare le piùimportanti cave storiche di “ghiara”, ha permesso di localizzare a circa 50metri dal monastero una delle più estese cave di tale materiale, verosimil-mente quella da cui è stato estratto il materiale per la produzione dellemalte della Chiesa di S. Nicola.

Infine, sono state evidenziati i diversi processi di produzione dellemalte, legati ai materiali utilizzati come inerti ed alle diverse miscele dimateriali vulcanici e, in minor misura, ai frammenti ceramici usati. Taliindicazioni denotano un alto livello di competenza nella gestione dei pro-cessi tecnologici di produzione degli antichi costruttori di Catania.

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Caratterizzazione di malte storiche usate a Catania durante il XVII secolo 117

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COLORIMETRIA CON TECNICHE SPETTROFOTOMETRICHE E RADIO-METRICHE SUI DIPINTI DEL MINNITI

BURRAFATO G. (1), DE VINCOLIS R. (1), GRECO V. (2), GUELI A.M. (1), LAHAYE

C. (1), OCCHIPINTI A.(1), STELLA G. (1), TROJA S.O. (1), ZUCCARELLO A.R (1)

(1) LDL&BBCC (Laboratorio di Datazione tramite Luminescenza e di Metodologie Fisiche applicate ai Beni Culturali) del Dipartimento

di Fisica e Astronomia dell’Università di Catania, INFN Sezionedi Catania & CSFNSM (Centro Siciliano di Fisica Nucleare

e Struttura della Materia), Via Santa Sofia 64 – 95123 Catania; (2) Galleria Regionale di PalazzoBellomo, Via Capodieci 16 - 96100 Siracusa

1. Introduzione

Mario Minniti, nato a Siracusa nel 1577, rappresenta una figura di rilie-vo nel panorama artistico del primo Seicento Siciliano. Il suo nome è spes-so legato a quello del Caravaggio al quale era unito da una profonda ami-cizia e la cui influenza è presente nella produzione artistica. Ma se ciò hacontribuito, da un lato, a dargli notorietà, indipendentemente dal valoreeffettivo della sua produzione, dall’altro ne ha schiacciato la figura controquella ben più importante del Maestro determinando la nascita di giudizitesi a sottolineare le nette differenze di valore fra i due. È d’altra parte veroche sono sopravvissute soprattutto le sue opere della maturità e dell’ulti-mo periodo della sua attività nelle quali si ritrovano molteplici influenze arigore alternative a quelle del Caravaggio [1].

Da qualche anno si assiste però ad una rivalutazione del pittore e dellasua arte che si evidenzia soprattutto con l’organizzazione di eventi neiquali i dipinti del Minniti e della sua Bottega sono oggetto di ammirazio-ne ma anche di studio. I risultati presentati in questo lavoro sono relativiad un programma di ricerca realizzato in collaborazione tra il gruppo delLaboratorio di Datazione mediante Luminescenza e di MetodologieFisiche applicate ai Beni Culturali del Dipartimento di Fisica eAstronomia dell’Università di Catania e la Galleria di Palazzo Bellomo diSiracusa in occasione di una mostra realizzata presso la Chiesa del

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Collegio dei Gesuiti nei quali sono stati esposti dipinti facenti parte di col-lezioni private o abitualmente esposte in pinacoteche italiane e straniere.Sono state in particolare realizzate misure di colore per la caratterizzazio-ne cromatica della tavolozza adoperata dal Minniti e dai suoi allievi nelleopere più importanti della cosiddetta “scuola caravaggesca” di Siracusa.

Il programma di ricerca, dopo uno studio sulle tecniche pittoriche delMinniti, ha riguardato la realizzazione di misure spettrofotometriche eradiometriche per caratterizzare le tele sottoposte ad analisi dal punto divista cromatico. La determinazione delle grandezze colorimetriche può, difatto, evidenziare o concorrere ad identificare, attraverso lo studio degliandamenti dei diagrammi spettrali, le peculiarità esistenti nelle diverserisposte cromatiche. Uno stesso pigmento può infatti offrire, nell’espres-sione cromatica, curve spettrali diverse, non solo in relazione alla diversacomposizione materica ma anche alla natura del legante, alla presenza diresine artificiali e sintetiche etc.

La determinazione delle componenti cromatiche è inoltre importantenei programmi di conservazione nei quali permette di evidenziare even-tuali fenomeni di degrado, dipendenti soprattutto da variazioni dei para-metri microclimatici (in particolare dell’illuminamento) e nella diagnosti-ca pre- e post- restauro per la valutazione degli interventi da pianificare ogià realizzati.

2. Metodologie sperimentali

La lettura delle coordinate cromatiche e delle curve di riflettanza spet-trale permette di osservare oggettivamente, senza le deformazioni e lelimitazioni della percezione visiva, le variazioni assolute e/o relative esi-stenti fra due o più punti di rilevamento su una qualunque superficie poli-croma [2].

Le misure presentate in questa occasione sono state realizzate sullamaggior parte dei dipinti esposti alla mostra utilizzando tecniche spettro-fotometriche e radiometriche in corrispondenza di stesure pittoriche rea-lizzate con le tinte maggiormente caratterizzanti la tavolozza del Minnitie degli allievi della sua scuola, seguendo il protocollo messo a punto dairicercatori dell’LDL&BBCC [3]. Tale protocollo, come illustrato nellafigura 1 con il dipinto “Flagellazione” del Minniti, prevede la realizzazio-ne, per ogni zona selezionata sul dipinto in esame (v. Fig. 1a), di opportu-

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ne maschere sulle quali vengono individuati i punti in corrispondenza deiquali realizzare le analisi (v. Fig. 1b).

Su ognuno dei punti individuati sono state realizzate sia le misure spet-trofotometriche che quelle radiometriche. Le differenze sostanziali tra idue tipi di misure riguardano la caratteristica dell’informazione cromaticada esse ottenibile: le misure spettrofotometriche, realizzate a contatto,riguardano la risposta del campione alla sorgente integrata nello strumen-to stesso, indipendentemente dalle condizioni di luce ambientale; le misu-re radiometriche, realizzate a distanza, sono fortemente dipendenti dallasorgente luminosa utilizzata per l’illuminamento del dipinto in esame e daeventuali interferenze di sorgenti esterne. La determinazione oggettiva delcolore ottenuta attraverso le misure a contatto permette la caratterizzazio-ne cromatica delle stesure pittoriche di interesse mentre le misure a distan-za consentono di misurare il colore alle stesse condizioni in cui esso vienepercepito dall’osservatore negli spazi espositivi.

Fig. 1. “Flagellazione” di Mario Minniti: realizzazione delle maschere previste dal pro-tocollo di misura utilizzato per le misure colorimetriche [3].

a b

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Un’analisi preliminare su tutti i dipinti della mostra, realizzata con gliorganizzatori e curatori della stessa, ha consentito di individuare su ognunodi essi le serie di punti su cui realizzare le indagini. Sono stati in particolareselezionati i punti di rilevamento sui quali effettuare le analisi spettrofotome-triche e radiometriche allo scopo di evidenziare eventuali differenze croma-tiche tra le stesure realizzate con le stesse tinte sui quadri attribuiti al Minnitie quelli attribuiti alla sua Bottega. In questa occasione vengono illustrati epresentati i risultati ottenuti sui dipinti ritenuti maggiormente significativi.

Con lo spettrofotometro portatile CM2600d sono stati ottenuti sui puntiselezionati su ogni dipinto le coordinate colorimetriche e le curve di riflet-tanza spettrale [4]. Tali misure spettrofotometriche, nelle quali viene sem-pre rispettata la disposizione geometrica tra rivelatore – campione – illu-minante (standard CIE), assicurano una buona ripetibilità dei dati [5].

Le misure radiometriche, realizzate con lo spettroradiometroCS1000A, oltre a consentire la determinazione delle coordinate cromati-che e la registrazione dell’andamento delle curve di riflettanza, permetto-no la determinazione della temperatura di colore e della curva di emissio-ne dell’illuminante utilizzato. Il posizionamento relativo dell’illuminante,del punto di analisi e dello strumento rivelatore è in questo caso una fasedelicata. In particolare, nel corso dello studio qui presentato, le sorgentiluminose sono quelle utilizzate dai curatori della mostra per l’allestimen-to degli spazi espositivi e non illuminanti standard.

Entrambi gli strumenti vengono utilizzati in modalità remota realizzando,per tutte le operazioni di misura e di analisi dei parametri di interesse, dei soft-ware dedicati. Per entrambe le metodologie vengono acquisite le coordinatecolorimetriche nello spazio L*a*b* e le curve di riflettanza % in funzionedella lunghezza d’onda nell’intervallo 360 ÷740 nm. Per la rivelazione dei datispettrofotometrici, ottenuti tramite il supporto del software SpectraMagic, èstato selezionato come illuminante primario il D65. Le misure radiometriche,realizzate utilizzando il software CS-S1w, hanno riguardato anche lo spettrodi emissione della luce presente nell’ambiente espositivo.

3. Misure realizzate

Lo stile caravaggesco dei personaggi protagonisti delle opere delMinniti e un utilizzo dominante del rosso nelle vesti di tali personaggi edin molti particolari dei dipinti, ha determinato la scelta della prima serie

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di misure del colore volte alla caratterizzazione colorimetrica delle stesu-re di tale tonalità sui dipinti del Maestro. Tali misure sono state realizzatesu tutti i dipinti della mostra, vengono di seguito mostrati però i risultatirelativi al quadro sul quale si è maggiormente concentrato l’interesse siaper il grande valore artistico ma soprattutto per i nostri scopi, in ragionedella distribuzione cromatica dei rossi utilizzati: il Miracolo della vedovadi Naim (v. Fig. 2), un olio su tela di dimensioni pari a 245x320 cm2, pro-veniente dal Museo Regionale di Messina.

Sul Miracolo della vedova di Naim sono state sottoposte a misure alcunezone caratterizzate dalla predominanza della tinta rossa: rosso della vestedella donna (zona 1), arancione della veste della stessa donna (zona 2), rossodel pantalone del bambino (zona 3), rosso della veste (zona 4) e carnato delpiede (zona 5) del Cristo. Per ognuna delle zone, allo scopo di ottenere unabuona statistica, sono state realizzate varie misure. La figura seguente (Fig.3)riporta le curve rappresentative di ognuna delle zone esaminate in termini diriflettanza % in funzione della lunghezza d’onda tra 400 e 700 nm.

Le curve di riflettanza % in funzione della lunghezza d’onda, ottenutesulle zone selezionate in corrispondenza della tinta di interesse (Fig.3), evi-

Fig. 2. “Miracolo della vedova di Naim” di Mario Minniti (dimensioni 245x320 cm2), olio su telaabitualmente esposto presso il Museo Regionale di Messina con l’indicazione delle selezionate perle misure (v. testo).

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denziano che i punti corrispondenti al rosso della veste della donna ed il rossodella veste del Cristo hanno lo stesso andamento seppure con valori assolutidifferenti. Questo risultato potrebbe provenire dal fatto che, per la stesura ditali zone, l’artista ha utilizzato lo stesso pigmento. L’andamento relativoall’arancione della veste della donna, al carnato del piede del Cristo e il rossodel pantalone del bambino (Fig.3) mostra, al contrario, delle differenze chepotrebbero essere imputate all’uso di miscele di pigmenti.

La seconda serie di misure è stata invece realizzata allo scopo di eviden-ziare eventuali differenze tra la tavolozza del Maestro e quella della suaBottega, scegliendo sempre come tinta il rosso che caratterizza la maggiorparte dei dipinti del Minniti. A questo scopo sono state selezionate zone constesure di pari tinta su dipinti attribuiti al Minniti ed altri attribuiti ad i suoiallievi. A titolo di esempio, vengono mostrati i risultati ottenuti confrontandole curve di riflettanza relative ad alcuni punti selezionati sul dipinto Andataal Calvario della Bottega ed i punti delle stesure rosse del Miracolo dellavedova di Naim già mostrati in precedenza (v. Fig. 4).

Le curve sperimentali ottenute in questo caso (Fig. 4b) mostrano che inentrambi i casi, sia per le stesure rosse del dipinto della Bottega (Fig. 4a)che per quelle del dipinto del Minniti (Fig. 4c), il rosso delle relativetavolozze era ottenuto utilizzando lo stesso pigmento. Tale risultato pro-

Fig. 3. “Miracolo della vedova di Naim”: andamento della riflettanza % in funzione dellalunghezza d’onda per i particolari selezionati nelle varie stesure di rosso (v. Fig. 2).

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pone la metodologia spettrofotometrica come strumento di indagine,ancor di più se incrociata con altre tecniche, per l’autentica dei dipinti nelcaso di dubbia attribuzione.

La terza serie di dati presentata illustra la realizzazione delle misureradiometriche con le quali sono state ottenute le curve di riflettanza e lecoordinate L*a*b* allo scopo di confrontarle con i risultati colorimetrici.La figura seguente riporta la curva di riflettanza ottenuta con il radiometro(v. Fig. 5b) ed il confronto tra la distribuzione nello spazio colorimetricodei rossi e arancioni misurati nel quadro Miracolo della vedova di Naim(ottenuti con lo spettrofotometro) e la misura radiometrica effettuata sulrosso della veste del Cristo del dipinto “Andata al Calvario” attribuito allaBottega (v. Fig. 5c).

Fig. 4. Confronto tra le curve di riflettanza % in funzione della lunghezza d’onda ottenu-te sulle stesure rosse del dipinto “Andata al Calvario” della Bottega (a sinistra) e deldipinto “Miracolo della vedova di Naim” di Mario Minniti (a destra)

a b c

Fig. 5. “Andata al Calvario” della Bottega del Minniti: curve di riflettanza in funzione dellalunghezza d’onda e coordinate colorimetriche ottenute attraverso misure radiometriche.

a b c

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La rappresentazione dei punti di misura nello spazio di colore L*a*b*evidenzia come il dato radiometrico, informazione fortemente legata allavisione del colore in stretta relazione al contesto ambientale, si discostifortemente da quello spettrofotometrico che invece rappresenta una infor-mazione relativa alle caratteristiche colorimetriche intrinsiche dellestesure pittoriche indipendente dalle condizioni ambientali. Allo stessomodo però, la curva di riflettanza spettrale ottenuta con il radiometro (v.Fig. 5b), mostra come la diversa percezione del colore non implichi neces-sariamente una perdita delle caratteristiche fisiche del pigmento in ques-tione in termini di riflettanza alla radiazione visibile. L’andamento dellariflettanza % ha infatti la stessa forma (v. Fig. 5b) di quelle ottenute con lemisure spettrofotometriche (v. Fig. 4).

Allo scopo di evidenziare eventuali influenze di zone in cui predominiuna determinata tinta sulla visione di un dipinto, sono state sottoposte amisura stesure realizzate con tinte verde e blu in un dipinto caratterizzatodalla presenza di estese zone rosse. La figura seguente mostra il confron-to tra i risultati ottenuti attraverso misure radiometriche e spettrofotomet-riche in corrispondenza delle stesure realizzate con tinte verdi e blu nelpaesaggio del dipinto Madonna col Bambino e i Santi Cosma e Damianoattribuito agli allievi della Bottega del Minniti, abitualmente esposto aModica, nella Chiesa di Santa Maria di Betlem (v. Fig. 6).

Fig. 6. “Madonna col Bambino e i Santi Cosma e Damiano” della Bottega del Minniti:confronto tra le coordinate colorimetriche ottenute attraverso misure spettrofotometriche(spettrofotometro) e radiometriche (radiometro).

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Anche in questo caso le coordinate cromatiche ottenute attraverso lemisure radiometriche si discostano da quelle ottenute con le misure spet-trofotometriche ad ulteriore conferma del fatto come attraverso le prime,misure a distanza fortemente influenzate dalla luce esterna e dalla dis-tribuzione delle tinte su una superficie pittorica, si possa valutare lapercezione del colore del fruitore di un’opera. Le misure a contatto, alcontrario, permettendo di ottenere un dato spettrofotometrico oggettivo,non mostrano variazioni nello spazio cromatico che dipendono dalle tintedelle stesure delle zone limitrofe.

La distribuzione sul piano cromatico delle stesure delle varie tinte cos-tituenti la tavolozza del Minniti, determinate sia con misure a contatto(Fig. 7a) che con misure a distanza (Fig. 7b), viene riportata nella figuraseguente per stesure realizzate con tinte arancione, rosso, verde e azzurro.

In questo caso si evince come valori di L*a*b*, ottenuti misurandopunti di tinte rossa e arancione con lo spettrofotometro, si raggruppino inuna regione abbastanza ristretta mostrando un andamento crescente deglia* proporzionale ai b*, indice di un utilizzo di base di un pigmento chesatura nei suoi toni (Fig. 7a). I verdi e i blu, invece, mantenendo sempreuna certa proporzionalità tra a* e b*, seguono un’altra direzione nel pianocromatico, verso valori di a* negativi e b* positivi.

Fig. 7. Confronto tra le coordinate colorimetriche a* e b* ottenute attraverso misurespettrofotometriche (spettrofotometro) e radiometriche (radiometro) per punti corrispon-denti a stesure verde, arancione, rosso e blu per tutti i dipinti analizzati.

a b

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Per quanto riguarda la distribuzione dei risultati delle misure radiomet-riche, i rossi, pur mantenendo l’andamento sopra descritto, mostrano unamaggiore dispersione rispetto alle misure precedenti (Fig.7b). I datiottenuti dalle misure sui punti di tinte verdi e blu mostrano un andamentosimile a quello dei rossi e arancioni evidenziando come un ambiente carat-terizzato da toni dominanti di rosso influenzi fortemente la visione dellealtre tinte.

4. Conclusioni

Scopo principale del presente lavoro è stato quello di evidenziare lepotenzialità delle indagini colorimetriche e radiometriche per la caratteriz-zazione delle stesure pittoriche e delle corrispondenti tavolozze cromati-che utilizzate dall’artista. A titolo di esempio è stata mostrata l’applicazio-ne di tale metodologia sulle stesure delle tinte maggiormente caratteriz-zanti le opere del Minniti e della sua Bottega.

I risultati ottenuti, rappresentativi di varie serie di misure, hanno mostra-to le potenzialità delle misure di tipo spettrofotometrico e radiometrico. Inparticolare le prime, realizzate a contatto, rappresentano un metodo affida-bile per la determinazione oggettiva della risposta di stesure policrome aradiazione visibile, sia in termini di riflettanza % che di coordinate colori-metriche. Esse assumono quindi un ruolo fondamentale nell’ambito di pro-grammi di conservazione in quanto, attraverso misure ripetute nel tempo enelle condizioni opportune, possono permettere l’individuazione di even-tuali modificazioni cromatiche subite dalle stesure pittoriche.

Le misure a distanza realizzate con il radiometro, ed il loro confrontocon i corrispondenti dati spettrofotometrici, hanno invece mostrato lapotenzialità di tale metodologia di indagine per la determinazione dellarisposta cromatica di stesure pittoriche in dipendenza dalle condizioni diilluminamento ambientale. La corrispondente visione dei colori è di fon-damentale importanza per la fruizione delle opere stesse, rendendo laradiometria un metodo utile per la determinazione delle condizioni diesposizione di opere policrome.

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DATAZIONE DI STRUTTURE ARCHITETTONICHE

MEDIANTE TERMOLUMINESCENZA: LA CHIESA DI SAN NICOLÒ

LA RENA E LA CUBA DI FONTANE BIANCHE*

BURRAFATO G., GUELI A.M., LAHAYE C., MANERA A., STELLA G., TROJA S.O., ZUCCARELLO A.R.

LDL&BBCC, Laboratorio di Datazione tramite Luminescenza e di Metodologie Fisiche applicate aiBeni Culturali del Dipartimento di Fisica e Astronomia, Centro Siciliano di Fisica Nucleare e Strutturadella Materia, Università di Catania & INFN Sezione di Catania, via Santa Sofia 64, I-95123 Catania

1. Introduzione

Il fenomeno fisico della TermoLuminescenza (TL), emissione di radia-zione luminosa per effetto del riscaldamento, è alla base di una metodolo-gia di datazione che viene applicata con successo per determinazioni cro-nologiche riguardanti reperti fittili quali ceramica e terracotta.

La metodologia può essere considerata di routine per le determinazio-ni cronologiche riguardanti le ceramiche da scavo, mentre nel caso del-l’applicazione ad elementi e strutture architettoniche, la sua applicabilitàè fortemente condizionata dalle caratteristiche della fabbrica. Ricostruirela storia di una struttura architettonica presenta infatti dei punti critici con-nessi all’essere stata oggetto di interventi di ricostruzione e restauro suc-cessivi all’epoca della costruzione ed alla pratica, comune nel passato, diadoperare materiale di riutilizzo.

In tale contesto alcune fasi dell’applicazione della metodologia diventanoaddirittura fondamentali, prima fra tutte il prelevamento dei campioni.

Un’importante fase della metodologia di datazione usata è lo studio dellecondizioni del sito di ritrovamento dei campioni in esame. Se in alcuni casi ilcampione viene prelevato da un ambiente costituito da materiale omogeneo e

* Lavoro realizzato nell’ambito del progetto “Il recupero e la valorizzazione del patri-monio architettonico della Sicilia orientale: l’emergenza architettonica urbana e l’edili-zia rurale. Conoscenza, interventi e formazione” (T3 CLUSTER C 29), finanziato dalMinistero dell’Università e della Ricerca Scientifica

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quindi la metodologia, nelle tecniche e nelle valutazioni è sovrapponibile aquella utilizzata per ceramiche da scavo, in altri casi, in cui i campioni vengo-no prelevati da ambiente disomogeneo nei materiali da costruzione, la metodo-logia di datazione necessita di valutazioni più complesse. Così sulla valutazio-ne dell’età dei reperti provenienti da tali strutture peserà in maniera non indif-ferente la disomogeneità di tali materiali che hanno circondato il reperto stessonella struttura di provenienza. In tale contesto diventa di fondamentale impor-tanza, per questo tipo di applicazioni, valutare il contributo alla dose provenien-te dall’ambiente circostante attraverso misure di dosimetria in sito.

Partendo da una precisa problematica relativa alla datazione di due strut-ture architettoniche, la Cuba di Fontane Bianche (Siracusa) e la Chiesa di SanNicolò La Rena (Catania), verranno discussi due casi dove, per le particola-rità delle costruzioni, verranno utilizzati rispettivamente, per la valutazionedel contributo di dose ambientale misure in situ ed extrasitu.

La Cuba è sita ad una dozzina di chilometri da Siracusa, tra la peniso-la del Plemmirio e punta Ognina. Nel suo attuale stato di interramento,dista dal piano di campagna (nel senso della profondità) circa 3.75 metri,ma il piano di calpestio di roccia spianata è posto a circa 6 metri al di sottodel piano di campagna. Infatti il suo interno, trasformato in cantina, venneriempito con materiale per uno spessore di circa 3 metri.

La chiesa ha forma semplice e chiara; una croce greca sormontata da unacupola depressa, con tre grandi absidi, ed un atrio che la precede (Fig. 1-a).

Tale torre si innalza sopra una magnifica cupola, la quale con le sue soli-dissime pareti perimetrali sostiene la soprastante costruzione. Infatti non è uncaso se questa costruzione viene chiamata La Cuba, come si è soliti indica-re le antiche costruzioni a volta, o meglio a cupola.

Nonostante le caratteristiche architettoniche assocerebbero la costru-zione della Cuba ai Bizantini in Sicilia [3], per l’assenza di riferimenti sto-riografici, la complessità del periodo storico (V-XIII sec.) e di aspetti sti-listici associabili univocamente al periodo di costruzione rendono impos-sibile assegnare una datazione certa al momento di edificazione.

Sicuramente diverso il contesto storico e strutturale in cui si colloca laChiesa di San Nicolò La Rena. Iniziata nel 1687 su disegno di GiovanBattista Contini (v. Fig. 2a), a seguito dei danni subiti dal terremoto del1693, fu rimaneggiata e finita da diversi architetti, tra cui FrancescoBattaglia e Stefano Ittar. L’interno a tre navate è lungo 105 metri. Ai latidelle absidi si aprono sei cappelle semicircolari con balaustra.

Su tale struttura, a causa degli eventi naturali quali terremoti che ne

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hanno determinato la parziale distruzione e quindi il susseguirsi di archi-tetti che hanno determinato una struttura difficile da leggere nella suaarchitettura, resta aperto il problema legato alla individuazione dellevarie fasi di costruzione.

Dai contesti storico-temporali e geografici in cui si ergono le due strut-ture è intuibile come queste presentino caratteristiche di costruzione sianell’architettura che nei materiali utilizzati sicuramente diversi. Ciò hadeterminato l’ottimizzazione della metodologia di datazione tramite ter-moluminescenza per le peculiarità delle singole strutture in esame.

2. Campionamento di strutture architettoniche

La prima fase in un progetto di datazione è il prelevamento dal sito deireperti da analizzare in laboratorio. La scelta dei punti di prelievo, ilnumero di campioni prelevato, le precauzioni da seguire nella fase di pre-lievo e la buona conoscenza della “storia” del sito assumono grandeimportanza per la riuscita del progetto.

Se le “norme” da seguire nel caso di stratigrafia archeologica sononote, nel caso di strutture architettoniche non esistono dei criteri specificiche sono quindi stati opportunamente stabiliti esaminando, alla luce dellalunga esperienza dei ricercatori coinvolti, i casi specifici in esame.

Diventa così necessario fare un alto numero di prelevamenti che per-mette di avere sia una buona statistica nelle successive analisi in laborato-rio che di evidenziare differenti fasi di costruzione o di restauro. Per ovvia-re ulteriormente al problema legato agli elementi di restauro e quindi evi-tare il prelievo di campioni che non esprimano realmente la “storia” di unastruttura è necessario che i prelievi siano concentrati soprattutto in corri-spondenza di parti strutturali architettonicamente significative (colonne,volte, etc…). Tuttavia è anche importante ricordare che la datazione TL èuna tecnica distruttiva, poiché richiede la distruzione di una quantità dicampione variabile da alcuni grammi ad alcune decine di grammi. Per talemotivo si è soliti scegliere, sotto indicazione dei responsabili dei siti,“campioni” il cui prelevamento non danneggi artisticamente la struttura.

Quindi uno studio architettonico preliminare delle strutture oggetto distudio nel presente lavoro ha così preceduto la fase di prelievo.

L’ottimo stato di conservazione della Chiesa di San Nicolò La Rena(Catania), l’alto valore artistico da una parte e l’alta distruttività della tec-

Datazione di strutture architettoniche mediante TermoLuminescenza 131

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nica dall’altra hanno reso possibile il prelievo di campioni da datare sol-tanto dalla zona esterna all’abside (v. Fig. 2b). Uno schema dei campioniprelevati viene riportato nella tabella seguente.

Le dimensioni dei campioni sono almeno dell’ordine delle decine di cme la composizione della parete di prelievo è realizzata in fasce di mattoniintervallati da conci a formare un ambiente piuttosto omogeneo.

La Cuba di Fontane Bianche presenta un’alta disomogeneità nel mate-riale da costruzione costituito da arenarie, calcari e laterizi. Nella tabelladi seguito viene riportato uno schema dei prelievi effettuati.

CAMPIONE ZONA DI PRELIEVO

SN_A1 Mattone prelevato dietro l’abside

SN_A2 Mattone prelevato dietro l’abside

SN_A3 Mattone prelevato dietro l’abside

SN_A4 Mattone prelevato dietro l’abside

SN_A5 Mattone prelevato dietro l’abside

SN_B1 Mattone prelevato nel contrafforte dell’abside

SN_B2 Mattone prelevato nel contrafforte dell’abside

SN_B4 Mattone prelevato nel contrafforte dell’abside

SN_C1 Coccio di terracotta

SN_V1 Mattone di terracotta (sul terreno)

Fig. 2 (a). Pianta della chiesa di San Nicolò La Rena. Le zone cerchiate rappresentano ipunti di prelievo. (b) Schema dei prelievi effettuati nella zona dell’abside esterno dellachiesa di San Nicolò La Rena.

CAMPIONE ZONA DI PRELIEVO

SN_A1 Mattone prelevato dietro l’abside

SN_A2 Mattone prelevato dietro l’abside

SN_A3 Mattone prelevato dietro l’abside

SN_A4 Mattone prelevato dietro l’abside

SN_A5 Mattone prelevato dietro l’abside

SN_B1 Mattone prelevato nel contrafforte dell’abside

SN_B2 Mattone prelevato nel contrafforte dell’abside

SN_B4 Mattone prelevato nel contrafforte dell’abside

SN_C1 Coccio di terracotta

SN_V1 Mattone di terracotta (sul terreno)

Fig. 1. (a) Pianta della Cuba di Fontane Bianche presso Siracusa. Schema evoluto a tri-foglio con prolungamento su uno dei lati. (b) Schema dei prelievi effettuati nella Cuba diFontane Bianche.

a b

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La pochezza degli studi fatti su tale Cuba, la mancanza di ogni traccia didecorazione scultorea, musiva o pittorica che potesse dare un’indicazione arti-stico-temporale, e i continui interventi di restauro o adattamento alle esigenzedegli occupanti rendono parecchio difficoltoso il lavoro di datazione [5].

3. La metodologia di analisi

L’unica possibilità di datare un evento del passato, tramite l’analisi deimateriali utilizzati, è quello di collegare l’istante in cui l’evento si è verifica-to a una variazione di una grandezza fisica misurabile. Questa deve cresceresecondo una legge che dipende in maniera semplice dal tempo. In questomodo, il tempo trascorso dal momento in cui è avvenuto l’evento può esserecalcolato in base alla variazione di tale grandezza.

Tra le grandezze fisiche con queste caratteristiche assume grande im-portanza il fenomeno della luminescenza stimolata dei cristalli naturali.Infatti, l’emissione termoluminescente da parte di alcuni di essi, comequarzo e feldspati, normalmente presenti, in quantità variabili, nelle matri-ci argillose dei materiali da costruzione o delle ceramiche in genere è indi-ce di una più o meno lunga esposizione temporale a radiazioni ionizzantiprovenienti da sorgenti radioattive naturali presenti nell’ambiente circo-stante e nel reperto stesso [1].

Mediante misure di intensità di termoluminescenza è infatti possibiledeterminare l’energia totale per unità di massa assorbita dal reperto durantetutta la sua vita ad opera di tali radiazioni.

Tuttavia, affinché sia possibile applicare tale metodologia, devono essereverificate alcune ipotesi fondamentali:– i reperti siano stati sottoposti a cottura ad alta temperatura (T ≥500°C) e

che tale aumento di temperatura abbia svuotato completamente le trappo-le elettroniche nelle inclusioni cristalline, portando a zero la luminescen-za legata alla dose accumulata sin dalla formazione geologica del cristal-lo. Questo momento (riscaldamento) rappresenta l’istante zero per il cro-nometro luminescente (v. Fig. 3)

– l’intervallo di tempo che va dalla cottura alla posa definitiva dell’oggettopossa essere considerato trascurabile. Quindi il reperto, nel sito archeolo-gico o nella struttura architettonica di ritrovamento, comincia un nuovoaccumulo di radiazioni con una velocità di crescita annua che è caratteri-stica del campione (radioattività presente nel campione stesso) e dell’am-

Datazione di strutture architettoniche mediante TermoLuminescenza 133

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Burrafato, Gueli, Lahaye, Manera, Stella, Troja, Zuccarello134

biente in cui è posto (radioattività dei materiali vicini, radioattività cosmi-ca, condizioni climatiche). Inoltre assumiamo che tale dose annua assor-bita dal campione sia stata costante durante la sua “vita”.

– il reperto in esame non abbia subito ulteriori riscaldamenti e si sia mante-nuto per tutto il periodo della conservazione in sito ad una temperaturamedia corrispondente alla temperatura ambiente.

– La determinazione quantitativa dell’intensità di luminescenza accumulatadal reperto (paleodose) e della velocità con cui i radioisotopi radioattivi laforniscono (dose annua), ci permette, a meno di comportamenti anomali delmateriale, di valutare l’età del reperto utilizzando la seguente equazione:

PaleodoseEtà = –––––––––––––––––––––––

Dose annua

dove la determinazione della paleodose si effettua analizzando, in labora-torio, il segnale di emissione luminescente proporzionale alla dose accu-mulata dall’ultimo “azzeramento”.

Infatti dalle curve di intensità luminescente emesse dal cristallo sottopo-sto a stimolazione termica, misurando il numero di fotoni emessi in funzio-ne della temperatura, è possibile ricavare la paleodose. Tale metodologia dimisura utilizzata, added dose, si basa sull’acquisizione, su porzioni diversedello stesso campione, dell’intensità TL naturale e di quella ottenuta aggiun-gendo alla dose di radiazione naturale dei valori noti di dose artificiale forni-ti tramite sorgenti radioattive calibrate, nel nostro caso β. Si costruisce in talmodo l’andamento dell’intensità TL in funzione della dose aggiunta.

L’estrapolazione della retta di crescita sull’asse delle dosi ci dà il valore di

Fig. 3. Individuazione dell’istante zero per il cronometro luminescente.

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dose equivalente beta: la quantità di dose artificiale beta che il campionedovrebbe assorbire per ottenere un’intensità di luminescenza pari a quellaprodotta dalla dose di radiazione naturale assorbita durante la sua vita [2].

La valutazione della paleodose si basa quindi sulla relazione di proporzio-nalità che intercorre tra la termoluminescenza emessa dai cristalli e la dosedi radiazione da essi assorbita. La valutazione della dose annua è legata allapossibilità di effettuare misure dosimetriche di radioattività mediante tecni-che del tutto indipendenti da quelle utilizzate per la misura della paleodose.Infatti, al fine di conoscere il tasso di crescita annua della dose di radiazioneassorbita dal reperto nel sito di provenienza, occorre considerare i contributidelle radiazioni α, β, e γ provenienti dal decadimento dei radioelementi pre-senti nel materiale circostante il reperto e all’interno del reperto stesso, tenen-do conto dei diversi poteri di penetrazione delle radiazioni considerate e dellagranulometria dei campioni utilizzati nelle misure.

4. La chiesa di San Nicolò La Rena. Misure sperimentali

Nella tabella seguente (Tab. 2) vengono riportati i valori ottenuti per ladose equivalente beta, (Qβ) il fattore di correzione a basse dosi (qβ), ilcoefficiente di luminescenza alfa (k), i contributi alla dose annua alfa ebeta del campione e gamma dell’ambiente.

Per quanto concerne la determinazione della dose annua, i valori didose alfa, beta (del campione) sono determinati dalla concentrazione di238U, 232Th, 40K del campione analizzato ottenuti per ICP-MS [2].

Poiché le dimensioni dei campioni sono almeno dell’ordine delle decine dicm e la composizione della parete di prelievo è realizzata in fasce di mattoniintervallati da conci, si è ritenuto opportuno di utilizzare come dato di dosegamma quello dello stesso mattone analizzato. I valori di dose alfa, beta egamma del campione vengono corretti in umidità, si terrà conto dell’attenua-zione subita all’interno del campione con il grado di umidità (in termini dicontenuto di acqua) relativo al suo periodo di permanenza nel sito [6]. Questotipo di approccio si basa sull’ipotesi che tale contenuto di acqua sia confron-tabile con quello misurabile al momento in cui il campione è stato prelevato erappresenta comunque uno dei limiti maggiori nella possibilità di ridurre l’er-rore di cui attualmente soffrono in generale le misure di datazione.

Sono stati così ottenuti i seguenti valori di Paleodose, dose annua e dietà (Tab.3):

Datazione di strutture architettoniche mediante TermoLuminescenza 135

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Burrafato, Gueli, Lahaye, Manera, Stella, Troja, Zuccarello136

5. La Cuba di Fontane Bianche. Misure sperimentali

Nella tabella seguente (Tab. 4) vengono riportati i valori ottenuti per ladose equivalente beta, (Qβ) il fattore di correzione a basse dosi (qβ), ilcoefficiente di luminescenza alfa (k), i contributi alla dose annua alfa ebeta del campione e gamma dell’ambiente.

Tab. 2. Risultati ottenuti dalle varie misure relative alla determinazione della paleodosee dose annua.

Tab. 3. Valori di Paleodose, dose annua ed età. Sul campione Sn_c1, data l’esigua quan-tità, non è stato possibile effettuare misure di ICP-MS.

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(µG

y/a

)

Sn_a1 1.84 0.07 0.08 0.03 0,29 0.01 2995 60 557 11 423 9

Sn_a2 1.82 0.08 - 0,34 0.02 4155 82 726 14 538 10

Sn_a3 1.86 0.04 0.77 0.01 0,44 0.02 3627 72 649 13 478 9

Sn_a4 1.60 0.33 0.15 0.05 0,27 0.01 7172 142 1995 38 536 11

Sn_a5 1.77 0.20 0.12 0.01 0,32 0.01 11235 221 1742 34 1011 20

Sn_b1 0.27 0.03 0.04 0.01 0,12 0.01 8455 168 1291 24 878 16

Sn_b2 1.13 0.07 0.08 0.05 0,58 0.02 5435 88 917 18 654 13

Sn_b4 1.69 0.09 0.07 0.03 0,39 0.01 2606 52 456 9 375 7

Sn_c1 0.72 0.08 0.02 0.01 0,69 0.02

Sn_v1 0.76 0.12 0.01 0.01 0,52 0.02 3366 66 347 7 377 8

Campione Paleodose ��Pal. Dose

annua

��Dose

annuaEtà TL/2005 ��Età

Sn_a1 1.92 0.08 1849 95 1038 53

Sn_a2 1.82 0.08 2677 126 680 35

Sn_a3 2.63 0.04 2723 127 966 32

Sn_a4 1.75 0.33 4467 200 392 75

Sn_a5 1.89 0.20 6348 306 298 32

Sn_b1 0.31 0.03 3184 195 97 10

Sn_b2 1.21 0.09 4723 212 256 20

Sn_b4 1.76 0.09 1847 98 953 55

Sn_c1 0.74 0.08 -

Sn_v1 0.77 0.12 2474 125 311 10

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Datazione di strutture architettoniche mediante TermoLuminescenza 137

Data l’alta disomogeneità dei materiali di utilizzo nella costruzione inesame per la determinazione del contributo dell’ambiente alla dose annua siè reso necessario realizzare delle misure di dose in sito. Tale misura passaattraverso l’utilizzo di fosfori (GR200A), che posizionati in capsule di ramedello spessore tale da rendere trascurabile il contributo proveniente dai deca-dimenti alfa e beta dei radioisotopi naturali di nostro interesse [4].

Tab. 4. Quadro riassuntivo dei dati di dose equivalente beta (Qβ), fattore correttivo abasse dosi (qβ), fattore di efficienza di luminescenza alfa (k), contributo alla dose annuaalfa e beta del campione e gamma dell’ambiente ottenuti sui campioni prelevati pressoLa Cuba di Siracusa.

Tab 5. Valori di Paleodose, dose annua ed età

Ca

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FB1 2,66 0,37 +0,78 0,01 0,31 0,01 10163 24 1454 2 948 26

FB2 3,24 0,22 -0,49 0,06 0,35 0,01 11862 64 1509 5 948 26

FB3 2,43 0,26 -0,67 0,12 0,22 0,01 11351 81 1509 6 948 26

FB5 2,92 0,29 -0,65 0,08 0,29 0,01 16114 92 2153 6 948 26

FB6 4,93 0,55 -0,41 0,12 0,25 0,01 6951 47 1412 3 948 26

FB7 3,58 0,44 -0,57 0,08 0,23 0,01 8027 50 1240 4 826 31

FB8 5,78 0,56 -0,51 0,15 0,27 0,02 15116 92 2055 6 826 31

FB9 3,15 0,2 -0,52 0,06 0,20 0,01 10849 80 1704 5 826 31

FB10 3,76 0,45 -0,49 0,09 0,21 0,01 11944 87 1780 6 826 31

FB11 6,33 0,63 +0,14 0,02 0,20 0,01 13833 87 2052 6 826 31

FB12 3,07 0,26 -0,16 0,07 0,22 0,01 11371 121 1645 8 878 20

FB15 3,12 0,32 -0,75 0,08 0,19 0,01 8506 101 1675 6 948 26

Ca

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(µµG

y)

FB1 2,66 0,37 +0,78 0,01 0,31 0,01 10163 24 1454 2 948 26

FB2 3,24 0,22 -0,49 0,06 0,35 0,01 11862 64 1509 5 948 26

FB3 2,43 0,26 -0,67 0,12 0,22 0,01 11351 81 1509 6 948 26

FB5 2,92 0,29 -0,65 0,08 0,29 0,01 16114 92 2153 6 948 26

FB6 4,93 0,55 -0,41 0,12 0,25 0,01 6951 47 1412 3 948 26

FB7 3,58 0,44 -0,57 0,08 0,23 0,01 8027 50 1240 4 826 31

FB8 5,78 0,56 -0,51 0,15 0,27 0,02 15116 92 2055 6 826 31

FB9 3,15 0,2 -0,52 0,06 0,20 0,01 10849 80 1704 5 826 31

FB10 3,76 0,45 -0,49 0,09 0,21 0,01 11944 87 1780 6 826 31

FB11 6,33 0,63 +0,14 0,02 0,20 0,01 13833 87 2052 6 826 31

FB12 3,07 0,26 -0,16 0,07 0,22 0,01 11371 121 1645 8 878 20

FB15 3,12 0,32 -0,75 0,08 0,19 0,01 8506 101 1675 6 948 26

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Conclusioni

Il conseguimento degli obiettivi metodologici ha consentito di ottenererisultati molto più che soddisfacenti sulla cronologia delle strutture. È infattistato possibile ottenere la collocazione cronologica delle due strutture sotto-poste ad analisi individuando in particolare per la Chiesa di San Nicolò LaRena tre periodi storici corrispondenti a tre diversi interventi. Un campione(Sn_b1) corrisponde all’ ultimo restauro realizzato intorno al 1900. Quattrocampioni (Sn_a4, Sn_a5, Sn_b2, Sn_v1) si riferiscono alla costruzione dellachiesa intorno al 1700. Un terzo gruppo di campioni (Sn_a1, Sn_a2, Sn_a3,Sn_b2), che risultano essere databili intorno al 1100, possono essere consi-derati materiali di risulta utilizzati nella costruzione della chiesa.

Tutto ciò conferma la data di costruzione della chiesa (certamente nonil dato che si cercava di ottenere) ma anche il riutilizzo da parte dei mona-ci delle strutture preesistenti nella zona della fabbrica, come riportato daidocumenti. Ed infine, gli interventi fatti nel periodo di utilizzazione daparte del demanio, subito dopo l’acquisizione della chiesa agli inizi delXX secolo.

Come si può notare dai risultati esposti in tabella l’età dei campioniFB2, FB3, FB5 si distribuisce nel periodo tra il 1500 e il 1650.Tale periodo va a sovrapporsi con il periodo di costruzione della torre(Orsi, 1899) ed è quindi possibile ipotizzare che i reperti analizzati pro-vengano da una campagna di restauro sulla cuba avvenuta in occasione ditale costruzione. Nel 1452, inoltre un terremoto di grossa entità investì ilSiracusano, il che rende l’ipotesi di un intervento di restauro sulla cubasempre più probabile.È da escludere che la cuba sia contemporanea alla torre, sia per la partico-lare architettura, che per i risultati ottenuti sui campioni FB1, FB7, FB8,FB9, FB10, FB12, FB15 che si collocano intorno al 1350 e i campioniFB6 e FB11 che si collocano intorno al 850 (periodo Arabo in Sicilia).

Il basso numero di prelievi, la poca documentazione storica sul sito e lecondizioni di conservazione sfavorevoli non hanno consentito di indivi-duare periodi rappresentativi della costruzione della Cuba ma è stato tut-tavia possibile individuare importanti fasi della sua storia.

Alla luce dei risultati ottenuti, è possibile affermare che la metodologiaTL è idonea alla datazione di strutture architettoniche, a condizione dirispettare alcune precauzioni. Il lavoro realizzato, oltre ad indicare le lineeda seguire per ottimizzare ogni fase dell’applicazione della tecnica alle

Burrafato, Gueli, Lahaye, Manera, Stella, Troja, Zuccarello138

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strutture architettoniche, ha permesso di risolvere il problema riguardantela cronologia delle strutture oggetto dello studio.

BIBLIOGRAFIA

1. Adamiec and Aitken, Dose-rate conversion factors: update, Laboratory forArchaeology, (1998) Oxford University.

2. M.J Aitken. Thermoluminescence dating, Academic Press, (1985) London andFlorida.

3. S. Bottari. L’architettura del Medioevo in Sicilia, in Atti dell’VIII CongressoNazionale di Storia dell’Architettura – Palermo, 1950, Palermo, (1956) pp. 119-120.

4. A.M. Gueli. Datazione archeologica e dosimetria non convenzionale mediantecristalli luminescenti e film radiocromici, Tesi di dottorato di ricerca in Fisica, XIciclo, (1999) Università degli studi di Catania.

5. G. Stella. L’età Bizantina nella Sicilia Orientale. La datazione delle Cube, tesi diLaurea in Fisica, A.A. 2002-2003.

6. D.W. Zimmerman. Archaeometry 13, (1971) 29.

Datazione di strutture architettoniche mediante TermoLuminescenza 139

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140

UN NINFEO ROMANO A LEPTIS MAGNA.SINERGIE MULTIDISCIPLINARI

BUSCEMI F., TOMASELLO F., TRAPANI F.

Dipartimento di Studi Archeologici Filologici e Storici, Università degli Studi di Catania, Piazza Dante 32, 95024 Catania, Tel. 095-2502814, Fax. 095-2502825, [email protected]

Le potenzialità di una emergenza archeologica non sempre sono sfrut-tate appieno ai fini della puntualizzazione dei processi culturali che nestanno alla base. La realizzazione di un edificio, in particolare, comportadiversificate sfaccettature le cui analisi fanno capo a specifiche competen-ze disciplinari. Questi vari canali di indagine, purtroppo e per più ordini dimotivi, non sempre perseguono un coordinamento delle sinergie ed ilnumero dei casi studio risulta decisamente irrisorio rispetto alle tanteemergenze del nostro patrimonio archeologico. Una delle occasioni fortu-nate è stata certamente l’indagine su alcuni ninfei di periodo romano-imperiale a Leptis Magna (Libia), ove opera una missione archeologicadell’Università di Catania che da alcuni decenni si occupa di emergenzearchitettoniche e urbanistiche.

Tra le infrastrutture idriche urbane, oggetto delle scorse campagne discavo, si appunta qui l’attenzione sul ninfeo presso il Calcidico. Per questostudio sono stati coinvolti il Dpt. di Studi Archeologici, Filologici e Storici equello di Scienze Chimiche, l’Istituto Internazionale di Vulcanologia delCNR a Catania e il Laboratorio Landis-INFN dell’Università di Catania. Aicolleghi che con generosità hanno aderito al progetto va il merito degli esitipositivi della ricerca. (F.Tomasello.)

1. L’emergenza

Il Ninfeo del Calcidico si colloca in un delicato snodo viario, all’incro-cio tra il decumano teso tra il teatro e le grandi terme di Adriano, e il car-dine massimo, prosecuzione della via in Mediterraneum e sbocco delle viecarovaniere che dalle regioni dell’interno desertico si proiettavano verso il

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Un ninfeo romano a Leptis Magna. Sinergie multidisciplinari 141

porto della città e quindi verso le province del vasto impero romano (v.Fig. 1). L’indagine archeologica ha potuto mettere in evidenza le diverseconnotazioni macroscopiche dell’impianto idrico: il rapporto con la scac-chiera urbana, la tipologia, le modalità costruttive, l’apparato decorativo ela cronologia delle diverse fasi.

Il ninfeo, verosimilmente dedicato a Venere, è il più rilevante dei quattropunti d’acqua che arricchiscono nel tempo la già monumentale fronte delCalcidico (mercato delle stoffe ?) edificato in età proto-imperiale (I sec. d.C.)dal magnate locale Iddibal Caphada Aemilius (IRT 324). La fabbrica del nin-feo, addossandosi al fianco ovest di quest’ultimo, invade il decumano erimanda ad una intenzionale intercettazione della prospettiva viaria (lr m3,90) (v. Fig. 2) e al processo di revisione dell’immagine della città tripolita-na che nel giro di 50 anni avrà con gli imperatori Severi l’assetto definitivo.

Fig. 1. Leptis Magna. Pianta del centrourbano con l’ubicazione del Ninfeo delCalcidico.

Fig. 2. Ninfeo del Calcidico. Ilprospetto sul cardine massimo.

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Buscemi, Tomasello, Trapani142

La pianta dell’edificio (ln m 25x 3,75) si articola, da Nord a Sud, in unasequenza di tre serbatoi coperti da volte a botte e termina con una fronte adesedra collocata al di sopra dell’ambiente di servizio in cui si manipolavanoi flussi idrici verso la cascata e la vasca disposta sul piano stradale (v. Fig. 3).

I tre serbatoi erano in origine tra loro comunicanti; soltanto uno rima-se attivo dopo la costruzione, dentro il Calcidico, di un’enorme cisterna(castellum in moenibus) che, in periodo severiano, serviva tutto il quartie-re del teatro. Dal serbatoio prossimo alla fronte si partivano tubi di terra-cotta per alimentare il gioco d’acqua della cascata, ai piedi dell’esedra, efistule di piombo che servivano anche le domus circostanti.

Spessori e caratteristiche chimico-fisiche delle fistule hanno trovato pun-tuale riscontro nella manualistica romana (Vitruvio e Frontino) (v. Fig. 4).

Il nicchione semicircolare (lr m 2,22 ca.) ove doveva essere allocata lastatua della Venere Calcidica si imposta al di sopra del piccolo vano in cuisi manipolavano i flussi di distribuzione. La grande conca è inquadrata dadue avancorpi che serrano la cascata a gradoni per il gioco d’acqua, laquale si raccoglieva in una vasca sistemata a livello stradale per l’attingi-

Fig. 3. Ninfeo del Calcidico. Pianta (da Tomasello).

Fig. 4. Ninfeo del Calcidico. Fistula di adduzione nelserbatoio 2. Le analisi condotte dal LaboratorioLandis- INFN dell’Università di Catania, attraversotre sorgenti radioattive differenti (241Am, 109Cd,55 F),hanno chiarito la composizione sia del materialedella fistula, sia delle patine. Questo ha consentito larestituzione dello spessore originario del reperto e,pertanto, il rimando puntuale alla normativa diVitruvio, (VIII,6,4) sul dimensionamento delle fistule.

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Un ninfeo romano a Leptis Magna. Sinergie multidisciplinari 143

mento. La fronte del ninfeo costituisce una monumentale quinta architet-tonica a complemento di quella del Calcidico, che proprio in quel periodoveniva ristrutturata con membrature marmoree ed in simmetria all’arco diTraiano posto all’estremità orientale del mercato (v. Fig. 5).

Questo prospetto monumentale, a colonne quantomeno in una fase succes-siva al primo impianto, rimanda a ninfei dell’area centro-italica di età proto emedio-imperiale (p.e. “Ninfeo del Centenario” a Pompei). Inoltre, la fabbricafa riferimento allo stesso contesto culturale non solo per il proporzionamentoprogettuale ma anche per le tecniche costruttive adottate (v. Fig. 6).

Le murature sono, infatti, in opera laterizia, tecnica singolare a LeptisMagna e introdotta in occasione della costruzione di questi apprestamen-ti idrici e mai sistematicamente adottata dalle maestranze edilizie locali.Non è improbabile che i laterizi impiegati nel ninfeo provenissero diretta-

Fig. 5. Ninfeo del Calcidico.Restituzione del prospetto(da Tomasello).

Fig. 6. Ninfeo del Calcifico.Restituzione progettuale (daTomasello).

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mente dall’area italica, come zavorra per le navi commerciali che lì tra-sportavano merci esotiche, o fossero prodotti in qualche centro della vici-na Provincia Nord-Africana (WARD PERKINS): materiali che in ogni casorimarranno estranei al contesto leptitano. I singolari mattoni a sezione tra-pezia, impiegati nel sordino impostato sopra l’apertura al vano di servizio,sono certamente sintomo di una cultura edilizia proto-imperiale di ascen-denza romano-italica che non supererà l’età adrianea.

L’opera appare realizzata non oltre la metà del II secolo d.C., cioè, nonmolto tempo dopo la ristrutturazione della rete idrica infrastrutturale urbana,vanto del privato finanziatore Quintus Servilius Candidus (IRT 357). Intornoal 120 d.C., sua pecunia, avviò lavori di captazione e di canalizzazione idri-ca verso la città in maniera da assicurare per sempre l’acqua alla città e distri-buirla ai cittadini in diversi punti del tessuto urbano. (F. Trapani)

2. Le tecniche edilizie

L’indagine delle tecniche edilizie impiegate nella realizzazione eristrutturazione del monumento ha costituito uno dei momenti più signifi-cativi della sinergia multidisciplinare. In particolare, vorremmo appuntarel’attenzione su alcuni aspetti: le coperture voltate a botte dei serbatoi; l’ap-parecchio delle cortine laterizie esaminato da un punto di vista metrologi-co; gli impasti delle murature e dei rivestimenti parietali. Il contributo chequeste ultime hanno prospettato si è rivelato particolarmente interessanteai fini della provenienza delle componenti e delle dinamiche di contattocommerciali e culturali. Inoltre, va sottolineato l’interesse dei risultatidelle analisi chimiche nell’individuazione delle cause del degrado dellastruttura, legate alle caratteristiche composizionali dei calcestruzzi.Le volte a botte parzialmente estradossate dei contenitori idrici sono ditipo cd. leggero, cioè a due fodere: quella interna in tubuli di terracotta conestremità peduncolata per l’incastro reciproco; quella più esterna costitui-ta da una caldana di impasto cementizio, con un rivestimento in cocciope-sto all’estradosso (V. Figg. 7, 10).

La peculiarità della struttura voltata leptitana consiste nelle inusuali di-mensioni dei tubuli, così come nel loro altrettanto insolito apparecchio. Essi,infatti, sono disposti secondo la generatrice della volta anziché ortogonal-mente ad essa; soluzione ottimale, che verrà adottata in tutto il bacino delMediterraneo, dalla Tunisia a Ravenna, a partire dall’inizio del III secolo d.C.

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Un confronto cronologicamente più vicino per questa anomala giacitura lon-gitudinale si coglierà nel frigidarium delle Terme F3 di Dura Europos e nella“Nouvelle Maison de la Chasse” a Bulla Regia (2a metà e fine del II sec.d.C.). La giacitura trasversale secondo la direttrice della volta diventa, inve-ce, la soluzione consueta e più rispondente alla esigenza strutturale come neipraefurnia dell’annesso termale della villa del Casale a Piazza Armerina, giu-sto per citare un caso assai noto (v. Fig. 8).

Nel ninfeo leptitano le dimensioni dei tubuli sono inoltre eccessive: lalunghezza è circa tre volte quella massima poi adottata per questi fittili epiù rispondente alle esigenze della curvatura intradossale ottenuta perincastro dei segmenti.

Queste alcune delle peculiarità della “volta leggera” di Leptis Magna,d’altra parte non isolata, come attestato anche nelle Terme della Caccia (2a

metà II sec. d.C), che paiono indiziare una fase di sperimentazione di tec-niche costruttive nuove e non perfettamente padroneggiate. È singolare, inogni caso, che tale tecnica rimandi ad un ambito culturale più antico: quel-lo che accomuna in età ellenistica vari edifici termali come quello diMorgantina (III secolo a.C.) e l’area centro-mediterranea (Sicilia e Magna

Fig. 7. Ninfe del calcidico. Co-pertura voltata di un serbatoio.Sezione trasversale (da Tom-masello).

Fig. 8. Dettaglio della disposi-zione consueta dei tubuli alcervello della volta.

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Grecia) riferibile ad Alessandria [3]. I tubuli peduncolati, in Sicilia riferi-bili già al periodo ellenistico, testimoniano un precoce diverso ambito disperimentazione rispetto a quello di impiego precisabile in periodo medioe tardo-imperiale.

La cortina muraria in laterizi è, come accennato, inusuale a LeptisMagna; infatti, questa tecnica costruttiva tipicamente romana è applicatasoltanto nei piccoli ninfei urbani databili a partire dalla metà del II secolod.C., prima dei grandi interventi edilizi severiani. Al di là delle caratteri-stiche dimensionali dei fittili (bessali, pedali, speciali a sezione trapezia) odel loro impiego (trigones e fette, a giunti ribattuti etc.) le tematiche cheemergono dall’analisi riguardano la cronologia dei vari interventi edilizi(2 fasi accertate), la provenienza dei laterizi, le peculiarità degli impasti diallettamento (v. Fig. 9). La produzione di laterizi, in genere, appare almomento estranea alla Tripolitania romana. La presenza di questi fittili aLeptis può rimandare direttamente ad un ambito italico e questo impliche-rebbe una commercializzazione, peraltro documentata, dei materiali edili-

Fig. 9. Ninfeo del Calcidico. Fiancoovest del ninfeo. Il paramento è rea-lizzato in trigones e fette di laterizi. Ilsordino sopra l’ingresso al vano diservizio è, invece, apparecchiato inmattoni a sezione trapezia. L’inter-vento di sopraelevazione è esclusiva-mente in bessali di piccolo spessoreche rimandano ad età severiana.

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zi artigianali contro materie prime africane, o ad un approvvigionamentopiù locale da una fabbrica nord-africana che Ward-Perkins localizzava inTunisia o in Algeria, aree da lungo tempo romanizzate. In attesa di un’ana-lisi archeometrica sulle provenienze, quella metrica sulla intera fabbricasembra portare all’individuazione di un ambito di riferimento costruttivoproprio della tradizione, neo-punica, più che giustificata in questa regione,una volta sotto il controllo di Cartagine.

Una diversa prospettiva in senso romano-italico suggeriscono il dimen-sionamento degli stessi materiali edilizi e la tecnica dell’impasto cementi-zio e le sue componenti: nello specifico la pozzolana.

L’indagine condotta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia diCatania ha escluso una provenienza di tale sabbia dai vulcani della Siciliaorientale (Etna e Iblei) e nord occidentale (Ustica), così come dal contestoeoliano. L’indagine microscopica, infatti, ha messo a fuoco una composizio-ne alcalino-potassica propria della provincia campana e, specificamente, del-l’area flegrea. Circostanze che permettono di ritessere le fila storico-econo-miche e culturali di questa emergenza architettonica in Tripolitania.

Una risposta ancora più puntuale si è voluta trarre dalle analisi degliimpasti di rivestimento dei serbatoi effettuate dal Dipartimento di ScienzeChimiche dell’Università di Catania. Oltre alle caratteristiche di imper-meabilizzazione dei due rivestimenti sovrapposti, si intendevano appurareindirettamente quelle di manipolazione degli impasti in rapporto alle varieesigenze statico-strutturali della fabbrica (v. Fig. 10). Tra i risultati delleanalisi calcimetrica, termogravimetrica, e chimica elementare mediantespettroscopia di fotoelettroni a raggi X (XPS), quella diffrattometrica diraggi X, vogliamo porre l’accento sui rimandi ai comportamenti costrutti-vi nel lungo periodo sulle ragioni del degrado di alcune sezioni. Le anali-si hanno individuato, per esempio, una elevata quantità di cloruri cristal-lizzati, ascrivibile, più che all’impiego di sabbia quarzifera marina noneccessivamente depurata, all’uso di un’acqua di falda ad alto contenutosalino. Questa circostanza sembra testimoniare, dunque, una situazioneambientale oggettiva che presuppone un inaridimento in atto delle faldefreatiche e un loro inquinamento da parte dell’acqua marina. Più in gene-rale, tale dato conferma il processo di desertificazione di tutta la regionecostiera della Tripolitania che Procopio sottolineava come esiziale allasopravvivenza stessa del centro leptitano nel V secolo d.C.

La rioccupazione bizantina, succeduta al catastrofico terremoto chenella seconda metà del IV sec. aveva distrutto la città squassando il

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Mediterraneo centrale compresa la Sicilia, si era limitata al recupero dellasola area del porto mentre il resto era quasi desertificato.

Solo dal confronto tra i dati emersi da questi diversificati approcci mul-tidisciplinari si riesce a leggere compiutamente il significato di questaemergenza archeologica nel contesto storico e culturale allargato delMediterraneo romano. Non solo viene precisato, infatti, il ruolo delle way-stations idriche nella costruzione dell’immagine della metropoli libica, maanche il coinvolgimento delle maestranze locali con le tematiche edilizieallogene, soprattutto nel momento più dinamico dell’apparente omologa-zione della cultura urbana nel Mediterraneo romano.

Le sinergie di studio hanno consentito, in altri termini, di inquadrarequesta operazione progettuale all’interno delle tematiche costruttivevigenti e consolidate in età medio-imperiale; in una città in cui i vari flus-si culturali si incrociano e si sovrappongono in un grandioso palinsesto(matrici culturali neopunica, micrasiatica, romano-italica). Nonostante lamodesta scala dell’intervento, non appare trascurabile l’esito di questaindagine paradigmatica sul piano della conoscenza e valorizzazione di unodei più importanti siti archeologici del mondo, dichiarato patrimoniodell’Umanità dall’UNESCO. (F. Buscemi).

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Fig. 10. Ninfeo del Calcidico. Serbatoio visto da Sud. Lunetta della volta a botte su cuisi impostano i tubuli peduncolati incastrati tra di loro secondo la generatrice. Sono anco-ra in posto i filari di spicco sopra la risega muraria del serbatoio. Le pareti del serbato-io presentano un doppio strato di rivestimento, con una incrostazione calcarea superfi-ciale di notevole spessore.

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BIBLIOGRAFIA

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tion», Journal of Roman Archaeology, 5, 1992, pp. 97-129.4. F. Tomasello, «Una volta leggera del II secolo a Leptis Magna», in L’Africa roma-

na. Ai confini dell’Impero: contatti, scambi, conflitti, Atti del XV Convegno diStudio, Tozeur 11-15 dicembre 2002, Roma 2004, pp. 1809-1820.

5. F. Tomasello, Fontane e ninfei minori di Leptis Magna, Monografie di ArcheologiaLibica, XVII, Roma 2005.

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PROGETTO DI VALORIZZAZIONE DI UN CENTRO STORICO:IL CASO PENTEDATTILO

CAMPOLO D.

Dipartimento P.A.U. (Patrimonio Architettonico e Urbanistico), Università degli Studi“Mediterranea” di Reggio Calabria Via Salita Melissari, Località Feo di Vito – 89124 Reggio

Calabria, Tel. 3201923413, [email protected]

1. Iter metodologico della ricerca

L’uso sostenibile del patrimonio culturale e ambientale è riconosciuto,ormai a livello internazionale, un settore di interesse strategico per attiva-re la crescita economica delle comunità locali.

Il recupero dei beni di questo patrimonio, attraverso il loro riconosci-mento come risorsa, permette alla collettività di ridare vita al patrimonioe di rilanciarlo nel futuro. Questo riconoscimento comporta tutta una seriedi attività, di procedure senza le quali i beni del patrimonio non possonoessere riconsegnati alla collettività: il patrimonio va analizzato, studiato,tutelato, valorizzato e conseguentemente fruito. Questo concetto puòanche essere esteso al di là degli oggetti materici: i fenomeni folclorici(tradizioni socio culturali o antropologiche), i riti, le usanze, i canti rap-presentativi della tradizione contadina e rurale, possono essere considera-ti dei monumenti in quanto “ricordo” della cultura di un popolo.

Ma il riconoscimento come risorsa, vale in modo particolare per ilpatrimonio architettonico che viene definito da Victor Hugo in NôtreDame de Paris come il “grande libro dell’umanità”, l’espressione princi-pale dell’uomo attraverso i suoi diversi stadi di sviluppo. Sin dall’antichi-tà l’uomo ha sentito il bisogno di incidere nella terra nel modo più visibi-le, più durevole e più naturale le proprie tradizioni suggellandola con imonumenti: «L’architettura cominciò come ogni scrittura: dall’alfabeto,si piantava una pietra diritta, ed era una lettera, e ogni lettera era un gero-glifico e sopra ogni geroglifico riposava un gruppo di idee come sullacolonna riposa un capitello» (Victor Hugo, 1831).

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Concepire il patrimonio architettonico e culturale come risorsa da cuipromuovere lo sviluppo economico e sociale di un territorio permette diinnescare un processo di recupero e di rifunzionalizzazione orientati al ri-uso dell’esistente, nel rispetto del valore semantico dei luoghi.

Con questo modo di procedere si realizza più di un obiettivo: si diffon-de la cultura del recupero mettendo fine allo spreco del territorio; si evitala distruzione di un bene collettivo; si restituisce dignità e decoro a luoghiche li avevano smarriti, favorendo il rispetto della natura del sito e dei suoivalori culturali. Si contribuisce in definitiva alla diffusione di un’accorta“cultura della trasformazione e del recupero” in alternativa alla dissenna-ta “cultura dell’espansione” che privilegia la logica del consumo dellerisorse culturali, insediative ed ambientali delle nostre città. Il riuso di unedificio culturale è un mezzo formidabile, probabilmente il migliore, pergarantirne realmente la conservazione: un monumento privo di funzione sideteriora rapidamente; uno tenuto in efficienza può sfidare i secoli. Lafunzione ed il riuso quindi diventano un “mezzo” per la tutela, ma bisognafare attenzione che non diventino il “fine” di un intervento.

In particolare la provincia di Reggio Calabria dispone di una elevata presen-za di risorse naturali ed un patrimonio culturale (area grecanica) di grande rile-vanza, ricco di tradizioni e di testimonianze della cultura materiale e rurale.

Partendo dal principio che attribuisce alla conservazione ed alla valo-rizzazione del patrimonio ambientale e storico, ed in particolare dei centristorici presenti sul territorio della provincia di Reggio Calabria, un valorestrategico e strumentale allo sviluppo economico ed alla trasformazionesociale delle realtà locali, l’obiettivo principale di questo progetto è quel-lo di inserire il Borgo di Pentedattilo nel circuito turistico “culturale” e digestirlo secondo i principi della sostenibilità ambientale, facendo levasulla valorizzazione della cultura grecanica e sulle risorse endogene loca-li, sia materiali che immateriali.

Il progetto si propone inoltre di individuare le strategie di valorizzazio-ne che possano utilizzare tutte le risorse presenti sul territorio, per recupe-rare il borgo sia dal punto di vista storico-architettonico, che dal punto divista culturale e sociale, attraverso la legislazione europea, nazionale eregionale; le ipotesi di gestione che devono prevedere gli aspetti economi-ci da utilizzare, la tipologia delle risorse ed il rapporto tra pubblico e pri-vato nella gestione del paese.

La qualità e l’importanza culturale del patrimonio architettonico diPentedattilo ci pongono però di fronte alla problematica dell’individua-

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zione del punto di equilibrio “sostenibile” tra il compito primario dellatutela e conservazione del patrimonio culturale e le giuste esigenze divalorizzazione dello stesso. La tutela modernamente intesa viene colloca-ta in una prospettiva completamente diversa rispetto al passato: il compi-to non è più quello di restaurare e restituire il bene allo stato originario,ma piuttosto quello di porlo nella veste di “importanza artistica, storica eculturale”. Ciò impone non tanto di mettere in evidenza lo stile primige-nio del monumento quanto la valorizzazione di tutte le sue fasi con lecaratteristiche specifiche di ciascuna di esse, cioè permettere il “ricono-scimento” del monumento e delle sue parti, in tutti i periodi della sua esi-stenza, che ne hanno caratterizzato le funzioni e gli usi. In particolarerisulta fondamentale far riconoscere nel patrimonio architettonico su cuisi interviene, sia il valore storico, artistico e culturale del bene, sia il valo-re pratico che deriva dalla capacità di soddisfare le esigenze della con-temporaneità.

La valorizzazione comprende tutte quelle azioni che hanno come scopoessenziale quello di incrementare la fruizione del bene culturale. Un benesi valorizza migliorandone la conoscenza, che non significa ripeterel’azione di riconoscimento della tutela, ma mirare a divulgare le conoscen-ze acquisite attraverso l’incremento della fruizione. Fruire non significaobbligatoriamente utilizzare i beni a fini economici ma significa esserecapaci di comprendere dall’oggetto la sua storia, rendere il bene culturalecapace di produrre “qualcosa” (anche semplicemente altra cultura, o unmiglioramento della qualità della vita urbana, cioè un ambiente creativoed innovativo in cui vivere), deve essere volano di generazione economi-ca, sviluppare tutti quegli aspetti che non sono direttamente collegati albene in se stesso ma che ruotano intorno ad esso e riguardano comunquela crescita economica dell’area in cui il bene è inserito.

L’iter metodologico del progetto di ricerca, portato avanti, può essereessenzialmente ricondotto a tre fasi: analisi del territorio e di tutte le risor-se presenti che possano essere utilizzate nella valorizzazione dell’area incui Pentedattilo è inserita; analisi SWOT (Strengths, Weaknesses,Opportunities and Threats), per analizzare e valutare le caratteristiche delterritorio che offrono maggiori possibilità di essere valorizzate, di attrarrerisorse e di migliorare le condizioni di benessere sociale dei cittadini;ideazione di strategie di valorizzazione e di ipotesi di gestione che possa-no creare i presupposti per la realizzazione di un intervento mirato almiglioramento della qualità della vita nell’area.

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2. Descrizione e analisi della situazione attuale del centro storico

Attualmente il paese di Pentedattilo si trova in uno stato di semi abban-dono: le abitazioni, molte delle quali in stato di rudere, sono disabitate; ipochi abitanti rimasti, dalla metà degli anni Sessanta, si sono trasferitisulla collina limitrofa creando un piccolo agglomerato di case che costi-tuisce la parte nuova del paese. Il paese nuovo è, però, un “paese-dormi-torio” privo di qualsiasi tipo di servizi.

La caratteristica principale di Pentedattilo è la pittoresca posizione: ilcarattere insediativo dell’area risulta profondamente legato sia alle caratteri-stiche geomorfologiche del luogo, sia alle dinamiche demografiche e produt-tive esistenti; il paese è stato costruito sotto la protezione di una rupe, che rap-presenta una delle più interessanti formazioni geologiche che costellano lependici dell’Aspromonte Jonico. Le abitazioni arroccate, sono accatastatel’una sull’altra, in un insieme di tetti, stradine, scalinate e fitta vegetazione.L’atmosfera di antico, il silenzio e la sensazione di solitudine, rendonoPentedattilo ancora più attraente e misteriosa, in uno scenario a dir poco spet-tacolare con scorci di mare e di montagna, i ruderi del castello medievale, lachiesa dei SS. Pietro e Paolo, le case costruite con materiali e tecnologie tra-dizionali, con la configurazione urbanistica rimasta inalterata, le due “fiuma-re” di Annà e Sant’Elia, elementi fondamentali della vita, della cultura e delletradizioni del paese, in modo particolare per il lavoro femminile.

Pentedattilo ricade all’interno di un’area di cultura “grecanica” formata da12 comuni (Melito Porto Salvo, Montebello Jonico, Condofuri, Bova Marina,Brancaleone, San Lorenzo, Palizzi, Roghudi, Bagaladi, Roccaforte del Greco,Bova, Staiti) che sulla base della stessa matrice culturale hanno sviluppato tra-dizioni, arti e consuetudini con delle peculiarità e delle caratteristiche che lerendono uniche; per questo motivo la protezione e la valorizzazione di questoterritorio può essere definita solo in una prospettiva globale tenendo conto chel’intera area presenta una condizione di assoluta unicità ed eccezionalità relati-vamente alla persistenza della cultura e dell’idioma grecanico.

3. Obiettivi generali del progetto

– Tutela e valorizzazione del Centro Storico di Pentedattilo, delle emergen-ze storico-artistiche, delle zone di interesse storico-ambientale e dei carat-teri architettonici della tradizione, molto fragili e spesso degradati;

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– Recupero e valorizzazione di alcuni edifici del centro storico diPentedattilo da adibire ad ospitalità diffusa;

– Sostegno di uno sviluppo integrato delle micro-attività economiche presen-ti sul territorio (artigianato tipico, produzioni agroalimentari, turismo ruralee di prossimità, economia sociale) in una ottica di filiera territoriale;

– Promozione di uno sviluppo turistico sostenibile mirando alla diversi-ficazione dell’offerta turistica (turismo culturale, storico, congressuale,religioso, eno-gastronomico, balneare, ecologico, etnico), valorizzandole emergenze storico testimoniali e naturalistico ambientali, le specifi-cità tradizionali, produttive e gastronomiche, attraverso la creazione diun’offerta ricettiva alternativa e di qualità in condizioni paesaggisticheed ambientali di particolare pregio;

– Creazione di percorsi didattico ambientali e storico testimoniali.

4. Strategie di intervento

– Sostenere il recupero (attraverso un Codice di pratica in corso di realiz-zazione), la qualificazione e la valorizzazione del borgo, intervenendosu tutte le dimensioni del problema (recupero fisico dei luoghi e deimanufatti, servizi per la popolazione, sviluppo di attività economiche).

– Tutelare e valorizzare l’ingente patrimonio culturale dell’AreaGrecanica sia come risorsa fondamentale per il potenziamento delsistema locale di offerta turistica che come precondizione imprescindi-bile per il recupero dell’identità delle popolazioni locali (la cultura gre-canica è una cultura prevalentemente orale). Si tratta di avviare, oltreagli indispensabili interventi puntuali di recupero e tutela del patrimo-nio, interventi di valorizzazione innovativi capaci di mettere in rete levarie risorse (es. modello dei Parchi Tematici) per aumentare la visibi-lità e le modalità di fruizione. Indispensabile e strategico è quindi ilruolo della Popolazione e delle Associazioni locali che costituisconouna parte fondamentale del patrimonio culturale dell’Area.

– Intervenire sulle nuove generazioni per ricostruire la frattura generazio-nale che ha portato alla costante perdita di una parte rilevante del rap-porto con il territorio e con le proprie ‘radici’. Si tratta di intervenirecon progetti innovativi nelle scuole, nei centri sociali, e soprattuttonelle famiglie, per ricostruire questi legami che costituiscono l’humusindispensabile per riconoscere le possibilità di crescita sociale ed eco-

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nomica dei singoli cittadini e più in generale delle comunità locali. – Sostenere lo sviluppo integrato delle micro-attività economiche presenti

sul territorio intervenendo, oltre che puntualmente sulle singole iniziativeimprenditoriali, per realizzare reti di cooperazione tra imprese finalizzatea migliorare la qualità dei prodotti/servizi, a rendere efficace l’interazio-ne con il mercato (packaging, marketing e distribuzione dei prodotti), acondividere e qualificare alcune fasi critiche e strategiche dei processi diproduzione (design, progettazione, certificazione, etc.).

5. Recupero del borgo

«Alla base di ogni ipotesi di intervento edilizio deve essere vagliata lapossibilità di effettuare operazioni di recupero e di rifunzionalizzazioneorientate al ri-uso dell’esistente, nel rispetto del valore semantico dei luo-ghi» (Carta di Megaride, 1994). Con questo modo di procedere si realizza piùdi un obiettivo: si diffonde la cultura del recupero mettendo fine allo sprecodel territorio; si evita la distruzione di un bene collettivo; si restituisce digni-tà e decoro a luoghi che li avevano smarriti, favorendo il rispetto della natu-ra del sito e dei suoi valori culturali. Si contribuisce in definitiva alla diffusio-ne di un’accorta “cultura della trasformazione e del recupero” in alternativaalla dissennata “cultura dell’espansione” che privilegia la logica del consumodelle risorse culturali, insediative ed ambientali delle nostre città.

Promuovere la cultura della trasformazione e del recupero dell’esisten-te significa rispettare e valorizzare le vocazioni e le suscettività locali checostituiscono un patrimonio da tutelare in tutti gli aspetti da quelli cultu-rali a quelli economici.

L’assenza di vitalità produce degrado edilizio e alimenta, tra l’altro,fenomeni di degrado sociale che possono innescare comportamenti delin-quenziali che nel degrado urbano trovano un buon terreno di coltura.

6. Ipotesi di progetto

La piena valorizzazione dell’inestimabile patrimonio rappresentato dalborgo di Pentedattilo è un obiettivo irrinunciabile per chi abbia consape-volezza del ruolo fondamentale che esso ha nella costituzione della iden-tità nella comunità di Pentedattilo.

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Il progetto deve partire dal recupero del patrimonio culturale di Pen-tedattilo che è costituito sia da beni materiali che da beni immateriali.L’ambiente è un territorio culturale dove ogni elemento è il segno di unarealtà storica. Lo studio dell’antico è una archeologia del presente, ed ènecessario il recupero di tutti i segni ed i messaggi del passato. Il borgo diPentedattilo va quindi inteso come se fosse un monumento, dove permonumento si intende tutto ciò che l’uomo ha materialmente prodotto e sidefinisce come un complesso di segni, forme, colori, volumi, che abbia unsignificato compiuto per la civiltà che lo ha prodotto; è un testo non ver-bale, decodificabile con altri codici e secondo altre filologie, che devonoessere rese note a tutti. Il recupero di questi beni attraverso, il loro ricono-scimento come documenti storici diretti ed involontari e il conseguentericonoscimento del valore, è il processo che permette alla collettività diridare vita al monumento e di rilanciarlo nel futuro.

Il recupero ha come priorità assoluta quella di rendere il borgo abitabile inmodo che possa tornare ad “essere vissuto” dai suoi abitanti, si parla quindidi “conservazione attiva” [3], cioè la possibilità di intervenire sull’edificiocon tutte quelle modifiche che possano permettere all’edificio di essere vis-suto, ma sempre senza comprometterne l’essenza storica, la civiltà delcostruire che lo ha prodotto, il lessico costruttivo locale, la tecnologia tradi-zionale, le peculiarità tecnico-costruttive.

Il progetto prevede la ristrutturazione e la riqualificazione del centro sto-rico e dell’ambiente circostante nonché la pavimentazione delle sue vie epiazze; inoltre sono previsti lavori di consolidamento della rupe, in partico-lare delle zone dove sono riscontrabili elevati rischi di crollo, e lavori per larealizzazione di rete telefonica, di alimentazione elettrica, di illuminazionepubblica, della rete fognaria.

Il borgo sarà costituito da percorsi, zone di sosta e aree panoramiche, esarà disseminato di punti dai quali accedere e da stele informative e segnale-tiche. I percorsi saranno tracciati tenendo presenti in primo luogo i tradizio-nali tragitti della devozione religiosa, nonché i luoghi di incontro e di aggre-gazione sociale, le cui aree, in particolare quelle adiacenti ai beni storici earchitettonici, verranno sistemate e fornite di adeguati pannelli informativi.

Dovranno essere previsti dei sentieri naturalistici, in particolare nellevicinanze della rocca e lungo le fiumare di Annà e S. Elia, dove si potràammirare e contemplare la sola natura con tutte le sue qualità di piante efiori. Il progetto tende a riportare in auge le testimonianze del passato, leantiche tradizioni popolari e locali e, soprattutto, vuole riscoprire e con-

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servare il paesaggio naturale tramite accorti lavori di salvaguardia, dibonifica, potatura, reimpianto di specie arboree e arbustive al fine di crea-re una fonte sempre viva di conoscenza.

Fondamentale l’illuminazione del paese e della rocca: perché la luce èl’elemento fondamentale che consente di mettere in rilievo i dettagli archi-tettonici: la luce diventa scenografia, ornamento ed architettura mobile,sotto questo aspetto, infatti, l’illuminazione pubblica non viene più coltasolo nel suo aspetto funzionale, ma anche come scenografia notturna. Perl’illuminazione pubblica come per tutti gli altri impianti a rete, l’idea por-tante è quella di ridurre al minimo i cavi aerei e sulle pareti esterne degliedifici, in modo da liberarle così da elementi che nulla hanno a che vede-re con la struttura architettonica e urbanistica di un borgo.

Cercare di definire delle ipotesi di destinazione d’uso, finalizzate allavalorizzazione del borgo, significa cercare di comprendere con la massi-ma precisione possibile, attraverso gli studi che se ne sono fatti, le vicen-de che lo hanno caratterizzato nel tempo, ed in particolare le genesi dellesue attuali conformazioni, le intenzioni che hanno presieduto alla sua tra-sformazione, le funzioni che gli sono state assegnate dalla cultura che leha vissute e utilizzate.

Le soluzioni proposte dal progetto di valorizzazione del Borgo hannocome obiettivo primario la necessità di armonizzare le attività che l’As-sociazione Pro-Pentedattilo e le istituzioni locali portano avanti già da varianni all’interno del paese, cercando di utilizzare tutte le risorse presenti etenendo conto delle possibili destinazioni d’uso degli edifici: – Parco Letterario, Pentedattilo è stato meta, sin dai secoli scorsi, di

numerosi personaggi che attratti dalla sua bellezza paesaggistica e dallesue peculiarità culturali hanno scritto, disegnato o dipinto l’anticoborgo. I più importanti sono stati Edward Lear, Henry Swuinburne,Mauritius Cornelius Escher. Nella chiesa dittereale dei SS. Pietro ePaolo di Pentedattilo, inoltre, ha prestato il suo servizio religioso dal1904 al 1921 anche Padre Gaetano Catanoso dichiarato Santo il 23ottobre 2005. L’obiettivo del progetto è quello di creare degli ambientididattico-museali che possano valorizzare questi personaggi che dalpunto di vista del turismo culturale potrebbero attrarre un ulteriore tar-get di visitatori, diversificando l’offerta turistica della Provincia diReggio Calabria che è prettamente balneare.

– Parco Naturale, La rocca del borgo rappresenta una tra le più interes-santi formazioni geologiche che, determinate da secolari processi ero-

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sivi, costellano le pendici aspromontane della costa ionica. Arroccatesotto la protezione della grande rupe vi sono le abitazioni, molte dellequali disabitate, accostate ai ruderi, il tutto intessuto da una fitta vege-tazione. L’eccezionale rapporto tra le abitazioni ed il verde circostanterende il borgo uno dei luoghi più suggestivi dal punto di vista paesag-gistico. Da una recente ricerca sulla flora di Pentedattilo è stata riscon-trata una elevata presenza di specie endemiche: queste piante, adattate-si alle condizioni ambientali particolari, al clima secco con temperatu-re medie elevate, al substrato roccioso, sferzato dalle piogge e dai venti,hanno contribuito a rendere questo microcosmo vegetale di grandeinteresse ecologico. Il progetto mira alla realizzazione di un Geositoche possa valorizzare le risorse naturalistiche e paesaggistiche delborgo e dell’area (contigua al Parco Nazionale d’Aspromonte) attraver-so una educazione al rispetto dell’Ambiente.

– Parco Scientifico e Tecnologico, Il Borgo di Pentedattilo proprio acausa dell’abbandono alla fine degli anni ‘60 presenta delle caratteristi-che uniche per quanto riguarda l’impianto urbano, le tecniche costrut-tive e l’uso dei materiali tradizionali. Per valorizzare il patrimonioarchitettonico e “l’arte del costruire” dell’area grecanica sia dal puntodi vista tecnico che antropologico, basterebbe intendere l’intero abita-to come se fosse un museo a cielo aperto con percorsi didattici all’in-terno dell’abitato che possano mettere in evidenza gli aspetti architet-tonici più rilevanti. La realizzazione di un parco scientifico e tecnolo-gico darebbe forte impulso alla diffusione sul territorio di ulteriori ini-ziative culturali, con conseguente miglioramento delle condizionisociali e aumento della qualità della vita; consentirebbe il recupero e lavalorizzazione del patrimonio storico architettonico dell’area grecani-ca; innescherebbe un meccanismo di rivitalizzazione economica, almomento completamente inesistente. Il parco scientifico ha anchel’obiettivo primario di diventare polo culturale nel campo della ricercae della sperimentazione per quanto riguarda il recupero, la conservazio-ne e la valorizzazione dei Centri storici.

– Parco Arti e Mestieri, La realizzazione di questo parco prevede la realiz-zazione di un teatro all’aperto vicino all’abitato di Pentedattilo Nuovo (incostruzione) e di cinque laboratori didattico-museali, realizzati in cinqueedifici del borgo antico restaurati, su antichi mestieri del borgo e dell’areagrecanica (ceramica, tessitura, realizzazione di strumenti musicali, estra-zione del bergamotto, pittura e scultura). Obiettivo primario di questo

Campolo158

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parco sarà la promozione del paese e della cultura grecanica attraverso larealizzazione di eventi culturali e spettacoli teatrali.

– Parco Diritti Umani, Pentedattilo nel 1994 nasce come “Centro interna-zionale del dialogo tra i popoli” e ogni anno ospita gruppi di volontari,provenienti da tutta Europa, che lavorano insieme agli abitanti al recupe-ro del Paese abbandonato e si confrontano con la cultura calabrese. Loscopo è quello di far recuperare il Borgo dagli stessi abitanti diPentedattilo, perché solo sviluppando il loro senso di identità, attraver-so un maggiore interesse per le loro tradizioni ed il loro passato, è pos-sibile educare ad uno sviluppo sostenibile dell’area, ad abbandonare la“mentalità dell’attesa”, a far capire loro che solo riappropriandosi dellavoglia di vivere a Pentedattilo è possibile recuperare il paese e recupe-rare la loro dignità di cittadini.L’idea portante è quella di realizzare attività specifiche di educazione

alla legalità e alla cittadinanza attiva per poter intervenire sul carente“capitale sociale” dell’area.

L’obiettivo è quello di far diventare il Borgo un centro culturale sullaformazione sui Diritti Umani e sull’educazione “non-formale”.

BIBLIOGRAFIA

1. G. Carbonara, «Trattato di Restauro Architettonico», UTET, Torino, 1996.2. V. Ceradini (a cura di), «Area Grecanica – Codice di pratica per la sicurezza e la

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3. A. Giuffrè, «L’intervento strutturale quale atto conclusivo di un approccio multi-disciplinare», Quaderni ARCo, Roma, 1995.

4. V. Hugo, «Notre Dame de Paris», Newton e Compton Editori, Roma, 1996.5. E. Mollica, «Le aree interne della Calabria», Rubbettino Editore, Soveria Man-

nelli (CZ), 1996.6. E. Mollica, M. Musolino, «Pagine di Estimo- metodi e strumenti di valutazione

applicati alla conservazione ambientale e culturale», Quaderni PAU, GangemiEditore, Reggio Calabria, 1999.

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IL BIODETERIORAMENTO DELLA CRIPTA DEL PECCATO ORIGINALE

NELLA GRAVINA DI MATERA E LA SUA ANALISI ECOLOGICA PER IL

BIOMONITORAGGIO DEI PARAMETRI AMBIENTALI

CANEVA G. (1), PACINI A. (1), NUGARI M.P. (2), PIETRINI A.M. (2)

(1) Dipartimento Biologia, Università Roma tre Viale Marconi, 446 –00146 - Roma Tel. 0655176324, Fax. 06 55176321, [email protected] [email protected]

(2) Lab. Ind. Biologiche, Istituto Centrale Restauro Piazza S. Francesco di Paola 9- 00184 - Roma, Tel06 48896410, Fax. 06 4815704, [email protected], [email protected]

1. Introduzione

È ben noto che la peculiare collocazione ambientale delle chiese rupestridetermina molteplici problemi conservativi spesso ricollegabili agli effettidell’elevata umidità, particolarmente rilevante se si determinano fenomenid’infiltrazione d’acqua o di ombreggiamento dovuto alla rigogliosa crescitadella vegetazione. Altrettanto critici possono essere l’irraggiamento solarediretto sulle pitture o i valori bassi delle temperature, pericolosi a causa delloro effetto sull’umidità relativa o per eventuali fenomeni di gelività in climifreddi o in stagioni invernali. Se gli ambienti rupestri presentano una vastaestensione, al loro interno si riscontra una eterogeneità dei valori microam-bientali che si modificano fortemente in relazione alla distanza esistente conl’esterno. Procedendo verso l’interno, la luce naturale diminuisce gradual-mente, così come l’aerazione e la ventilazione, mentre i valori di umiditàdivengono più costanti e generalmente aumentano [1].

Ulteriori fenomeni degradativi possono essere indotti in questi contestida processi di natura chimica, riconducibili soprattutto all’eventuale cri-stallizzazione in superficie di sali provenienti dalla terra o dalla roccia(solfatazione, carbonatazione etc.). Normalmente trascurabili, invece, ifenomeni legati alla presenza di inquinanti dell’aria, per il contesto ruraleche normalmente veicola un minor numero di gas e di particelle chimicheaerodiffuse potenzialmente pericolose.

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Infine a questi agenti di alterazione se ne aggiungono spesso altri dinatura biologica, collegati in particolar modo allo sviluppo di alghe e cia-nobatteri o attinomiceti e funghi, se presente un sufficiente apporto disostanze organiche [2-6]. Ai danni indotti dalle colonizzazioni dellamicroflora si possono sommare spesso anche quelli dovuti alla vegetazio-ne esterna che può causare, tramite gli apparati radicali, fratture della roc-cia con incremento delle infiltrazioni d’acqua piovana, e che può determi-nare anche un maggiore ombreggiamento, con modificazioni sensibilidelle condizioni microclimatiche interne.

Nella gravina materana, formata da imponenti banchi di calcarenite convalori porosimetrici differenziali in funzione della tipologia dei sedimen-ti, esistono importanti esempi della civiltà rupestre che ha caratterizzatoper numerosi secoli diverse aree del Mediterraneo.

Nell’ambito di un progetto di studio sulla conservazione degli affreschidella Cripta del Peccato Originale, che costituisce uno dei cicli pittoricitardo-medievali più importanti dell’Italia meridionale, promosso dall’as-sociazione Zetema con il coordinamento scientifico dell’Istituto Centraleper il Restauro, è stata quindi analizzata la colonizzazione biologica diffu-samente presente sugli affreschi.

Lo studio è stato finalizzato all’individuazione del ruolo della microflo-ra nel biodeterioramento dei dipinti e al suo potenziale uso come bioindi-catore di parametri ambientali significativi ai fini conservativi, con l’obiet-tivo di predisporre un progetto pilota di studio e di intervento che fosseestrapolabile ed applicabile alle estese realtà presenti sul territorio.

2. Materiali e metodi

Lo studio delle alterazioni biologiche ha previsto dapprima un’osservazio-ne attenta e ravvicinata delle superfici, volta ad individuare tutte le diverseforme di alterazione legate alla crescita di microrganismi ed a raggrupparlein tipologie omogenee. È seguito quindi un capillare campionamento di tuttii popolamenti microbici all’apparenza omogenei, effettuato sulla base dellediverse morfologie di degrado, al fine dell’identificazione dei microrganismicampionati e della definizione delle loro caratteristiche ecologiche (v. Fig. 1).Per l’analisi della microflora fotoautotrofa sono state compiute osservazionial microscopio ottico in luce trasmessa, sia su materiale fresco sia su colturedi arricchimento, per successiva inoculazione su un terreno colturale liquido

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(BG-11) secondo le procedure UNI-Normal 9/88 [7]. Questa doppia valuta-zione è stata eseguita per evitare di avere informazioni errate sulla composi-zione delle comunità presenti. La determinazione delle specie algali è stataeffettuata, utilizzando diverse monografie specialistiche [8-11], nonché alcu-ni aggiornamenti sulla tassonomia, relativi ad alcuni gruppi di cianobatteri[12]. La stima semi-quantitativa dei taxa identificati è stata effettuata valutan-do al microscopio le presenze percentuali delle diverse specie in ciascuno deipreparati allestiti, sia dal materiale campionato sia dalle colture microbiolo-giche. Per ottenere un valore statisticamente attendibile, il conteggio degliorganismi è stato effettuato esaminando 10 campi ottici, lungo due diagona-li, per ciascun vetrino.

Per la determinazione della microflora eterotrofa, i campioni prelevati sonostati utilizzati sia per osservazioni al microscopio ottico sia per allestire coltu-re utilizzando i terreni Mycological Agar per i funghi, Plate Count Agar per ibatteri eterotrofi e Actinomycetes Isolation Agar per gli Attinomiceti, sullabase delle normative Normal 9/88 [7]. La lettura delle colture è stata effettua-ta dopo incubazione a 28°C in ambiente aerobico, a 3 e 7 giorni per i batteri,a 7 e 14 giorni per i funghi e a 7, 14 e 21 giorni per gli Attinomiceti.

3. Risultati

3.1 Caratterizzazione dei biodeteriogeni

La maggior parte dei fenomeni alterativi individuati nella fase di cam-pionamento sono risultati associati a varie forme di colonizzazione biolo-

Fig. 1. Ubicazione dei campionamenti sulla parete B della Cripta del Peccato Originale.

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gica. Come in altri contesti rupicoli [13-14], le analisi microscopiche ecolturali hanno mostrato una chiara dominanza degli organismi fotoauto-trofi ed in particolare dei cianobatteri (Chlorogloea microcystoidesGeitler, Chroococcus lithophilus Ercegovic, Gloeocapsa biformisErcegovic, Gloeocapsa kuetzingiana Naegeli, Gloeocapsa rupestrisKützing, Gloeothece rupestris (Lyng.) Bornet, Myxosarcina dubiaErcegovic) e delle Chlorophyceae (Apatococcus lobatus (Chod.) BoyePetersen, Chlorella vulgaris Beijerinck, Chlorococcum sp., Muriella ter-restris Petersen). Ruolo subordinato è invece quello dei licheni e di altriorganismi vegetali. Poco diffusi sono risultati i licheni (Dirina massilien-sis forma sorediata, Caloplaca xantholyta) e le piante vascolari, rappre-sentate dalla sola felce Adiantum capillus-veneris. Molto sporadica è risul-tata la colonizzazione di eterotrofi, isolati da alcune efflorescenze bianca-stre (Streptomyces sp.), mentre risulta ancora da chiarire la presenza diforme presumibilmente batteriche associate ad alcune tipiche alterazionidiffuse sugli affreschi. Assenti i microfunghi.

Il confronto tra i microrganismi rinvenuti nei diversi campioni hamostrato una sostanziale corrispondenza floristica nell’ambito di una stes-sa tipologia d’alterazione, spiegabile con le analoghe caratteristiche delsubstrato e dei fattori microclimatici (vedi Tab. 1).– le patine verde scuro (alterazione 1) già al momento del prelievo non

presentavano in tutti i punti le medesime caratteristiche di consistenza.Le analisi hanno messo in evidenza una netta dominanza di cianobatte-ri dei generi Gloeocapsa e Chlorogloea, nei campioni prelevati dove lapatina si presentava più dura ed aderente al substrato, ed un insedia-mento preferenziale di Cloroficee nelle zone dove la patina si manife-stava morbida. Talvolta le alghe verdi, appartenenti ai generiChlorococcum e Muriella, erano associate a protonemi di muschi eframmenti di licheni. Come si osserverà in seguito, queste differenzenella composizione del popolamento microbico potrebbero esseremesse in relazione ad un diverso tenore idrico del substrato.

– le patine di colore nero opaco e aspetto fuligginoso (alterazione 2)si presentavano invece molto uniformi in tutti i campioni esaminati. Ilpopolamento microbico era rappresentato esclusivamente da cianobat-teri e predominavano nettamente alcune specie del genere Gloeocapsa(G. biformis, G. kuetzingiana e G.rupestris), cui si associavaChlorogloea mycrocistoides. In natura, questo tipo di popolamento èstato rinvenuto frequentemente su superfici rocciose dove formava

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caratteristiche incrostazioni nere note come “Tintenstriche”. Talvoltanelle colture di arricchimento è stata evidenziata la presenza sporadicadi alcune alghe verdi appartenenti al genere Chlorococcum.

– le patine di colore rosa (alterazione 3) non hanno mostrato evidentepresenza di fenomeni di alterazione biologica, non essendosi rilevateforme di crescita né nei vetrini allestiti a fresco, né nelle colture esegui-te con i terreni selettivi. L’interpretazione di questa peculiare forma dialterazione sarà oggetto di ulteriori approfondimenti con metodi isto-chimici e biomolecolari.

– le patina di colore verde brillante (alterazione 4) sono risultate forma-te da un cospicuo numero di alghe verdi (Chlorophyceae), appartenentiprincipalmente al genere Chlorococcum e, in minor misura, alle specie

Taxa identificati Patine verde

scuro

Alteraz.1

Patine nere

Alteraz.2

Patine

verde

brillante

Alteraz.4

Patine

Brune

Alteraz.5

1 1 1 1 2 2 2 2 4 4 4 4 5 5 5 5

CYANOBACTERIA

Chlorogloea

microcystoides Geitler+ + + + + + + + +

Chroococcus

lithophilus Ercegovic+ + + +

Gloeocapsa biformis

Ercegovic+ + + + + + + + + +

Gloeocapsa

kuetzingiana Naeg.+ + + + + + +

Gloeocapsa rupestris

Kuetz+ + + + + + + + + +

Gloeothece rupestris

(Lyng.) Born. + +

Myxosarcina dubia

Ercegovic+ + +

CHLOROPHYCEAE

Apatococcus lobatus

(Chod.) Boye Petersen+ + + + +

Chlorella vulgaris

Beijerinck+ +

Chlorococcum sp. + + + + + + +

Muriella terrestris

Petersen+ + + + + +

Tab. 1

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Muriella terrestris, Apatococcus lobatus e Chlorella vulgaris. I cianobat-teri, poco rappresentati, appartenevano alle specie Chlorogloea microcy-stoides, Gloeocapsa rupestris e Chroococcus lithophilus. Nei campionierano presenti numerose forme di resistenza e molti individui in cattivostato di vitalità.

– le patine brune (alterazione 5) mostravano concordemente la presenza diuna biocenosi in cui le forme dominanti erano rappresentate da cianobatte-ri appartenenti a diverse specie di Gloeocapsa; altri generi, rinvenuti piùsporadicamente, sono stati Myxosarcina e Gloeothece, fra i cianobatteri, eApatococcus e Muriella, nell’ambito delle alghe verdi. Sporadicamente, incampioni prelevati in prossimità del suolo, sono stati riscontrati numerosiframmenti di talli lichenici e alcuni protonemi di muschi.

3.2 Analisi ecologica per la valutazione dell’uso dei biodeteriogeni comebioindicatori

Tale indagine ha previsto in via preliminare una valutazione del gradodi affinità delle specie e dei siti di campionamento utilizzando le usualiprocedure di analisi multivariata su dati matriciali, basate sui valori di pre-senza-assenza e copertura rilevati (vedi Tab. 1), compiute tramite i pro-grammi di cluster analysis di Willdi Orloci [15]. Dal punto di vista ecolo-gico il principale fattore limitante e condizionante la distribuzione dellepatine è risultato essere l’acqua e tale stretto legame ha permesso di utiliz-zare questa informazione per mappare i diversi gradienti di umidità pre-senti sulle pareti e alle varie altezze. Infatti associando alle tipologie dialterazione censite, la composizione floristica corrispondente e la conse-guente affinità per l’acqua, è stato possibile utilizzarle come bioindicato-ri dei differenti valori idrici del substrato (v. Fig. 2).

Analogamente la distribuzione dei licheni è utilizzabile come bioindi-catore di un diverso grado di ventilazione all’interno della grotta.

Di più critica interpretazione è l’analisi della distribuzione delle coloniz-zazioni batteriche, in relazione alla più difficile interpretazione nella fenome-nologia dell’alterazione, del loro habitus talvolta endolitico e della crescita incondizioni artificiali, spesso ristretta solo ad idonei terreni di coltura.

Significativa è risultata essere anche la diversa porosità del substrato(stratigrafia dei banchi di calcarenite), mentre le variazioni locali di illu-minazione, che non assumevano gradienti rilevanti, sono risultate pococondizionanti la crescita della microflora fotosintetizzante.

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4. Conclusioni

La diversa distribuzione dei microorganismi presenti sulle pitture appa-re correlata a gradienti edafici e microclimatici. Prevalente è risultata lamicroflora fotoautotrofa e, nell’ambito di questa, la dominanza dei ciano-batteri appare evidente nelle situazioni meno igrofile, mentre le algheverdi appaiono correlate a valori idrici più elevati. La resistenza dei ciano-batteri, in particolare delle forme coccali, può essere spiegata con il tipodi metabolismo che consente loro di passare rapidamente dallo stadiovegetativo a quello di riposo quando la roccia si dissecca, ed entrare nuo-vamente in una fase attiva, in condizioni idriche favorevoli.

Ai fini conservativi le informazioni raccolte non solo hanno permessodi meglio calibrare alcuni interventi sull’ambiente, per migliorare le con-dizioni conservative dei manufatti, ma l’analisi della presenza e dellapenetrazione delle alghe in profondità ha evidenziato l’importanza di trat-tamenti di disinfezione.

Come sottolineato in letteratura [16], tali interventi non solo permette-ranno una maggiore leggibilità degli affreschi, ma anche di migliorare lecondizioni conservative del sito.

Fig. 2. In alto: mappaturadella distribuzione dellediverse forme di alterazio-ne (vedi testo) e in basso:associazione con i valoridi preferenzialità per l’ac-qua mostrati in scala cro-matica decrescente.

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BIBLIOGRAFIA

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3. P. Albertano, «Deterioration of Roman hypogea by epilithic cyanobacteria andmicroalgae», In: A. Guarino et al. (Eds.), Proceedings of 1st InternationalCongress on Science and Technology for the Safeguard of Cultural Heritage inthe Mediterranean basin, CNR Editions, Palermo, 2, 1998, pp. 1303-1308.

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8. L.Geitler, «Cyanophycea» In Rabenhorst’s Kryptogamen-Flora, Leipzig, 1932.9. T.V. Desikachary, Cyanophyta, Indian Council of Agricultural Research New

Delhi, 1959.10. P. Bourrelly, «Les Algues d’eau douce», I. Boubée, Paris, 1966.11 P. Bourrelly P. «Les Algues d’eau douce», III. Boubée, Paris, 1970.12. N. Abdelahad, G. Bazzichelli, «The genus Gloeocapsa Kuetz. (Cyanophyta) on

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13. A. Golubic, «Algenvegetation der Felsen, eine oekologische Algen Studie indinarischen Karstgebiet», Binnengewasser 23, 1967, pp. 1-183, Schwei-zer-bart’sche Verlagsbuchhabdlung, Stuttgart.

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15. S. Podani., Syntax 5.1, «Computer programs for multivariate date analysis»,Scientia publishing, Budapest, 1995.

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16. M.P. Nugari, A.M Pietrini., «Chiese, cripte ed ambienti ipogei», In La prevenzionedel biodeterioramento. Cap. VII. La Biologia Vegetale per i Beni Culturali.Biodeterioramento e Conservazione, G. Caneva, M.P. Nugari e O. Salvadori (eds.)Nardini Editore, Firenze, 2005, 282-286.

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L’APPARECCHIATURA TECNICO-COSTRUTTIVA

DELLA CHIESA DI SAN NICOLÒ L’ARENA (CT)*

CAPONETTO R., CHISARI W., GULISANO G., LO FARO A., MARGANI G.,MOSCHELLA A., NAPOLEONE A., SANFILIPPO G., SAPIENZA V.

Osservatorio della Patologie Edilizie, D.A.U., Facoltà di Ingegneria, Università di Catania.

L’individuazione della natura dei materiali base e delle tecniche costrut-tive adoperate per la realizzazione degli edifici tradizionali, ovvero il rico-noscimento del corpus della fabbrica, costituisce una fase fondamentaledell’iter metodologico per il progetto di restauro in quanto orienta le scelteconnesse ai successivi interventi. Allo stesso modo la comprensione delsistema costruttivo agevola l’individuazione di eventuali meccanismi didissesto in atto.

Nel caso di studio della chiesa di San Nicolò l’Arena, il riconoscimen-to del corpus è stato espletato mediante specifiche ispezioni in situ, siavisive che strumentali. I risultati sono stati quindi localizzati in appositemappe tematiche.

La lettura tecnico-costruttiva dell’edificio è stata arricchita anche dallenotizie tratte dalle fonti archivistiche. In particolare hanno fornito unaricca messe di informazioni i documenti contenenti i conti di spesa per ilavori di costruzione e riparazione della fabbrica del monastero deiBenedettini e della chiesa annessa. Tali documenti sono stati di supportosoprattutto per l’individuazione del materiale lapideo di facciata e per ilriconoscimento delle modalità di posa in opera.

Ulteriori indagini strumentali hanno inoltre rivelato le caratteristichecostruttive delle sistema voltato, delle chiusure orizzontali di copertura,delle chiusure verticali d’ambito e del sistema costituito dal tamburo,cupola e lanternino.

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* Lavoro realizzato nell’ambito del progetto «Il recupero e la valorizzazione del patrimonioarchitettonico della Sicilia orientale: l’emergenza architettonica urbana e l’edilizia rurale.Conoscenza, interventi e formazione» (T3 CLUSTER C 29), finanziato dal Ministerodell’Università e della Ricerca Scientifica

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REPERTORIO DELLE TECNICHE COSTRUTTIVE NEGLI EDIFICI RURALI

TRADIZIONALI NEL COMPRENSORIO ETNEO

CASCONE S. M. (1), PORTO S. M. C. (2)

(1) Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Architettura e Urbanistica Viale A. Doria n. 6, 95125, Catania, tel. 095 7382509, fax 095 33030

(2) Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Ingegneria Agraria, Sezione Costruzioni eTerritorio via S. Sofia 100, 95125 Catania, tel 095 7147587, fax 095 7147605

La conoscenza delle caratteristiche costruttive di un qualunque patri-monio architettonico è condizione indispensabile per poter intraprendereazioni volte al recupero conservativo dei singoli edifici.

Riconoscendo alle fabbriche tradizionali presenti nelle campagne delcomprensorio etneo valenza storica, paesaggistica ed architettonica si è rite-nuto indispensabile procedere a studi e ricerche che potessero costituire fon-damento per politiche e modalità di recupero compatibili con l’esistente edin grado di preservare i predetti valori intrinseci negli organismi edilizi.

Il presente lavoro è stato pertanto finalizzato allo studio delle tecnichecostruttive dei fabbricati rurali attraverso la redazione di schede graficheillustrative dei componenti e dei materiali tipici della tradizione etnea.

Operando in un’area di vasta estensione in cui trovano posto una varie-tà di tipi edilizi la ricerca ha richiesto l’esame di numerosi fabbricati inmodo da poter costruire un repertorio alquanto esaustivo delle tecnicherealizzative dei singoli componenti edilizi e dei materiali in opera.

L’individuazione dei casi da rappresentare ha tenuto conto dell’opportuni-tà di illustrare anche alcuni elementi architettonici in cui risulta leggibile lapersistenza di modi e di soluzioni stilistiche ricorrenti nell’area di indagine.

L’attenzione posta al materiale da costruzione più diffuso, la pietra lavi-ca, ha stimolato riflessioni su come la sua disponibilità in sito ha genera-to tecniche costruttive nelle sue differenti caratteristiche di lavorabilità, diresistenza e di grana.

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INDIVIDUAZIONE DEI DECADIMENTI CAUSATI DAI BIODETERIOGENI

ALGALI NELL’INVOLUCRO ESTERNO DELLA CHIESA DI S. NICOLÒ

L’ARENA (CATANIA, MONASTERO DEI BENEDETTINI)

CATRA M., GIACCONE G., PEZZINO A.

Dipartimento di Botanica, Università degli Studi di Catania, Via A. Longo, 19, Catani,. tel. 095507490.

1. Introduzione

La ricerca si propone l’individuazione dei microambienti definiti dallapresenza e dalla distribuzione dei biodeteriogeni algali responsabili deldecadimento dei materiali lapidei della fabbrica esterna della Chiesa di S.Nicolò L’Arena, annessa al Monastero dei Benedettini di Catania.

Le alghe che si possono insediare sulle opere d’arte, ed in particolaresui manufatti lapidei, appartengono principalmente ad alcune divisionisistematiche di due taxa: i Procarioti (Cyanophyta o Cyanobacteria) e gliEucarioti (Bacillariophyta, Chlorophyta, Chrysophyta e Xantophyceae).[1]. Questi organismi, per la maggior parte fotoautotrofi, necessitano diambienti umidi per svolgere le proprie attività metaboliche, condizioneche si realizza assai facilmente sui monumenti e sui manufatti lapidei suiquali questi organismi si insediano, provocando non solo danni meramen-te estetici, ma in alcuni casi inducendo modificazioni chimico - fisiche nelsubstrato originario.

I risultati della ricerca sono documentati in elenchi di specie, in tabel-le con i dati quantitativi per gruppi tassonomici e in quattro tavole didistribuzione quali – quantitativa dei biodeteriogeni algali sui siti campio-nati che individuano ambienti caratterizzati da differenti qualità di statoecologico [2].

* Lavoro realizzato nell’ambito del progetto «Il recupero e la valorizzazione del patrimonioarchitettonico della Sicilia orientale: l’emergenza architettonica urbana e l’edilizia rurale.Conoscenza, interventi e formazione» (T3 CLUSTER C 29), finanziato dal Ministerodell’Università e della Ricerca Scientifica

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La ricerca è stata condotta e finanziata nell’ambito del Progetto ClusterC29/W1 «Il recupero e la valorizzazione del patrimonio architettonico dellaSicilia orientale: l’emergenza architettonica urbana e l’edilizia rurale.Conoscenza, interventi e formazione». Attività 10: Biodeteriogeni algali(responsabile Prof. Giuseppe Giaccone), in collaborazione con i laboratoridi ricerca che afferiscono al C.R.I.Be.C.U.M. dell’Università degli Studi diCatania.

2. Materiali e metodi

L’opera d’arte oggetto di questo studio è la fabbrica esterna dellaChiesa barocca di San Nicolò L’Arena, annessa al Monastero dei Be-nedettini. La facciata e la cupola di questa opera monumentale sono rive-stite da lastre e altri manufatti in pietra calcarenitica porosa di provenien-za da cave dei Monti Iblei.

I protocolli di prelievo utilizzati per l’individuazione dello stato di deca-dimento delle superfici esterne della fabbrica ad opera dei biodeteriogenialgali, utilizzano metodologie non distruttive di campionamento nel sito edanalisi in laboratorio, finalizzate all’identificazione sia degli organismi alga-li sia della loro specifica azione deteriogena [5]. Il campionamento, effettua-to durante la stagione estiva e ripetuto in quella autunnale, ha interessato 86siti distribuiti tra la cupola, comprendente il torrino, il camminamento inter-medio e quello di base e la facciata, includente invece le finestre, le porte, lecolonne ed il basamento (Fig.1). Le absidi, prive di rivestimento in manufat-ti lapidei calcarei, non si prestano a significativi insediamenti di alghe e dilicheni per cui non sono state oggetto di campionamento. La cupola, che èstata sottoposta a pulitura idromeccanica negli anni ottanta, presenta unasuperficie irregolare ed instabile che non ha consentito invece l’insediamen-to degli organismi algali.

Nella fase di campionamento nel sito, il materiale di alterazione visiva-mente apprezzato e documentato con foto a colori, inserite nelle tavoleelaborate, è stato prelevato utilizzando tamponi umidi o una punta dibisturi. Il campione prelevato, numerato con lo stesso numero di riferi-mento indicato sulla mappa georeferenziata della fabbrica è stato conser-vato in una provetta sterile e portato in laboratorio per essere analizzato avivo nell’arco delle 48 ore.

La determinazione tassonomica degli organismi algali è stata realizzata

Catra, Giaccone, Pezzino172

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Individuazione dei decadimenti nell’involucro esternodella Chiesa di S. Nicolò L’Arena (CT)

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al microscopio ottico a luce trasmessa, munito di micrometri oculari, dicontrasto di fase e di apparato fotografico. In questo modo, è stato possibi-le produrre una documentazione fotografica che si è rivelata indispensabilenella realizzazione di una guida di identificazione e di riconoscimento deiprincipali Cyanobatteri responsabili del degrado dei manufatti lapidei [4].

L’azione deteriogena degli organismi algali individuati è stata invecedeterminata con osservazioni allo stereomicroscopio a luce riflessa ed alMicroscopio Elettronico a Scansione (S. E. M.). I vari taxa diagnosticati sonostati infine caratterizzati in base alla loro valenza ecologica (indicatoriambientali) ed alla specifica azione deteriogena sul substrato campionato.

3. Risultati

La ricerca ha portato all’individuazione di 33 biodeteriogeni algali,censiti tassonomicamente (Chlorophyta, Cyanophyta, Xantophyta) carat-terizzati sia per la loro specifica azione deteriogena (ricoprimento, corro-sione e perforazione) sia per la loro capacità di indicatori della qualità del-l’ambiente (in equilibrio, eutrofico per la presenza di componente organi-

Fig. 1. Mappatura dei siti campionati e dei microambienti individuati caratterizzati dadifferente qualità di stato ecologico.

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ca, soggetto all’azione del vento salso dal mare, soggetto all’inquinamen-to da traffico urbano). Questi dati sono indicati nelle tabelle di seguitoriportate, nelle quali è indicata anche la frequenza del ritrovamento del-l’organismo algale nel sito considerato (Tab. 1-2-3). L’analisi delle tabel-le, riportanti i dati quantitativi relativi alle percentuali di frequenza dellespecie algali riscontrate, ha consentito l’elaborazione di quattro tavole1 didistribuzione quali-quantitativa dei biodeteriogeni algali sulle diversecomponenti dell’involucro esterno della fabbrica e di una tavola, nellaquale sono indicati i microambienti, individuati in relazione alle specieriscontrate e caratterizzati da differente stato ecologico. Quest’ultimatavola è in parte riprodotta e rielaborata nella figura 1 presente nel testo.

Nella fase preliminare di caratterizzazione ecologica dei deteriogenialgali rinvenuti sulla fabbrica, sono state rilevate specie eurivalenti, specietiotermofile, specie alofile e specie tionitrofile. Le prime sono diffuseovunque su tutta la fabbrica, le altre occupano microambienti caratterizza-ti rispettivamente da fenomeni esergonici di solfatazione dei calcari (spe-cie tiotermofile), da esposizione al vento salso che spira dal mare (speciealofile) e da inquinamento organico ad opera di uccelli e di roditori (spe-cie tionitrofile). Per quanto concerne l’azione deteriogena sul substrato, lamaggior parte delle alghe individuate ha un effetto ricoprente; si tratta dispecie epilitiche e fotofile che agiscono a livello superficiale, formanopatine sottili, ma senza alterare la superficie litica sottostante; quando for-mano croste nere, nei siti in corrispondenza di percolamento di acqua pio-vana, nei lati esposti a forte insolazione, causano differenti dilatazioni neimateriali lapidei con conseguente fratturazione.

Una parte consistente (15 specie) delle specie epilitiche e fotofile evi-denzia un effetto corrodente, spesso favorito dall’azione delle ife funginedei consorzi lichenici nei quali costituisce la componente ficobionte.L’effetto corrodente, visibile al binoculare o con una lente d’ingrandimen-to, è evidenziato dalla superficie coperta da scialbatura e leggermenteinfossata. L’infossamento spesso corrisponde alla geometria delle coloniealgali o dei licheni insediati (v. Tab. 1).

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1 Le tavole relative al degrado nelle singole componenti della fabbrica e le tabelledelle quali si parla nel presente paragrafo e non riportate nel lavoro, sono state espostenei poster presentati in occasione del Workshop “L’approccio multidisciplinare allo stu-dio ed alla valorizzazione dei Beni Culturali”, Siracusa 28-29 ottobre 2005.

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Individuazione dei decadimenti nell’involucro esternodella Chiesa di S. Nicolò L’Arena (CT)

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Cyanophyta

Specie Azione Torrino Camm. int. Camm. base

Anacystis cianea R + + ++

Anacystis dimidiata R +

Anacystis thermalis C +

Calothrix parietina C ++

Clastidium setigerum P + +

Coccochloris aeruginosa R + +

Enthophysalis rivularis P + +

Loefgrenia anomala C +

Oscillatoria lutea C +

Porphyrosiphon notarisii R +

Stigonema muscicola R +

Chlorophyta

Specie Azione Torrino Camm. int. Camm. base

Caespitellheria mascheri C +

Desmococcus vulgaris C + ++ ++

Hazenia mirabilis C +

Hormidiopsis crenulata R + +

Kirchineriella obesa R + ++

Leptosira mediciana C + + +

Micropora leptochaete C +

Pseudopleurococcus printzii C +

Pseudotrebouxia decolorans R + +

Scenedesmus protuberans R +

Trebouxia italiana C + +

Trentepohlia aurea R + + +

Ulothrix zonata R + +

Xanthophyceae

Specie Azione Torrino Camm. int. Camm. base

Heterococcus caespitosus C + + +++

Heterothrix ulothricoides C + +

Tab. 1. CUPOLA (Torrino, Camminamento intermedio, Camm. di base). Siti campiona-ti: 1-23. Legenda: R = ricoprente; C = corrodente; P = perforante; +: specie rinvenuta1-3 volte; ++: specie rinvenuta 4-6 volte; +++ : specie rinvenuta 7-9 volte

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Catra, Giaccone, Pezzino176

Soltanto 2 specie di Cyanophyta hanno rivelato un effetto perforanteattivo; si tratta di alghe tranofite o euendolitiche che dissolvono i carbona-ti penetrando nel substrato e formando delle microcavità di morfologiadifferente (osservabili al S.E.M.) a seconda della specie.

Sulla base dei campionamenti stagionali si è definita la composizione qua-litativa dei biodeteriogeni algali insediati sulla fabbrica e si è fatta una valu-tazione della frequenza e del ricoprimento percentuale delle specie compo-nenti la comunità algale epilitica ed endolitica nei differenti siti campionati.L’analisi dei dati ha consentito l’elaborazione di undici istogrammi di fre-quenza per le undici componenti dell’involucro esterno analizzate: torrino,

Cyanophyta

Specie Azione Fin. balc. Fin. ovali Porte tim.

Anacystis aeruginosa C +

Anacystis cianea R ++ +

Anacystis thermalis C ++

Calothrix parietina C ++

Coccochloris aeruginosa R ++

Enthophysalis rivularis P + +

Microcoleus lyngbyaceus R +

Chlorophyta

Specie Azione Fin. balc. Fin. ovali Porte tim.

Caespitellheria mascheri C + +

Leptosira mediciana C + + +

Pseudotrebouxia decolorans R +

Scenedesmus flexuoxus R +

Scenedesmus tenuispina R +

Trebouxia magna C +

Westellia botryoides R +

Tab. 2 - FINESTRE (Finestre balconi, Finestre ovali, Porte timpani). Siti campionati:24-60.

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Individuazione dei decadimenti nell’involucro esternodella Chiesa di S. Nicolò L’Arena (CT)

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camminamento intermedio, camminamento basale, finestre ovali, finestrebalconi, porte timpani, porte stipiti, porzione superiore, mediana e basaledelle colonne ed il basamento [2].

4. Conclusioni

L’individuazione dei principali decadimenti ad opera dei biodeterioge-ni algali presenti nella fabbrica esterna della Chiesa barocca di S. NicolòL’Arena e la caratterizzazione dei microambienti, sulla base della loro

Cyanophyta

Specie AzionePortestipiti

Colonnep. alta

Colonnep. media

Colonnep. basale

Basam.

Anacystis aeruginosa C ++ ++ +++ +

Anacystis cianea R ++ ++ ++

Anacystis thermalis C +++

Calothrix parietina C +

Coccochloris aeruginosa R +

Enthophysalis rivularis P +

Chlorophyta

Specie AzionePorte stipiti

Colonnep.alta

Colonnep. media

Colonnep. basale

Basam.

Desmococcus vulgaris C +

Leptosira mediciana C +

Tab. 3. COLONNE (Porte stipiti, Colonne porzione alta, media, basale, Basamento).Siti campionati: 61-80.

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valenza ecologica, rappresentano i risultati più importanti di questa ricer-ca. L’individuazione della sistematica dell’alga insediata e la conoscenzadella sua ecofisiologia, rappresentano fasi propedeutiche per interventi dicontrollo e di risanamento ambientale, poiché gli organismi algali contri-buiscono al deterioramento dei materiali lapidei mediante i processi meta-bolici e rilasciando composti ricoprenti, corrodenti e chelanti.

I principali decadimenti presenti ad opera dei biodeteriogeni algali sul-l’involucro esterno della fabbrica sono: alterazione del colore, corrosionedelle superfici e perforazione dei materiali lapidei. L’evoluzione dei deca-dimenti evidenzia ritmi stagionali in funzione delle precipitazioni meteo-riche ed incrementi locali, in funzione dell’esposizione all’inquinamentoveicolare, atmosferico, animale, soprattutto dell’avifauna [3] ed alla dire-zione e alla frequenza dei venti dominanti, rispettivamente umidi dai qua-dranti occidentali e salsi dai quadranti orientali [7].

Gli organismi algali rappresentano dunque degli indicatori di qualità distato ecologico del sito considerato, poiché espressione dei fattori fisico -chimici che lo caratterizzano. Pertanto, è evidente che il risanamentoambientale del sito nel quale è posto il manufatto lapideo e l’eliminazio-ne delle condizioni favorevoli allo sviluppo dei biodeteriogeni algali neimicro–habitat individuati, rappresentano fasi preliminari agli interventi direstauro e di conservazione.

La molteplicità e la complessità dei fattori che intercorrono in questiprocessi richiedono, infatti, uno studio interdisciplinare e sinergico al finedi programmare interventi mirati ed efficaci sia di risanamento ambienta-le e di recupero dell’opera monumentale sia più in generale per una gestio-ne ecologicamente sostenibile dell’area in cui essa si trova.

Catra, Giaccone, Pezzino178

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BIBLIOGRAFIA

1. G. Caneva, M.P Nugari, O. Salvatori. «La Biologia nel restauro», Nardini Editore,Firenze, 2003.

2. M. Catra, G. Giaccone, A. Pezzino. (in stampa), «Qualità dell’ambiente e decadi-mento dei materiali lapidei ad opera dei biodeteriogeni algali sulla fabbrica ester-na della Chiesa barocca di S. Nicolò L’Arena (Catania)», Boll. Accad. Gioenia Sci.Nat. Catania.

3. E. Galliani. «Protezione contro il degrado causato da uccelli, in fontana di Trevi.La storia, il restauro», Ed. Carte segrete, Roma, 1991, pp. 215-217.

4. G. Giaccone, G. Aloni, C. Battelli, A.M. Catra, A.L. Ghirardelli, A. Pezzino, S.Stefani. «Alghe Azzurre (Cyanophyta o Cyanobacteria)», in Guida alla determi-nazione delle Alghe del Mediterraneo, Parte I. Pubbl. Dip. Bot. Univ. Catania,2003, pp. 1-92.

5. G. Giaccone, V. Di Martino. «Biologia delle alghe e conservazione dei monumen-ti», Boll, Accad. Gioenia Sci. Nat. Catania. 32 (356), 1999, pp. 53–81.

6. G. Giaccone, M.L. Veloccia Rinaldi, C. Giacobini. «Forme biologiche delle algheesistenti sulle sculture all’aperto», In The conservation of stone. Proceedings ofinternational Symposium on deterioration and protection of stone monuments;Bologna. Ed. R. Rossi – Manaresi, 1975, pp. 245-256.

7. E. Poli Marchesi, F. Lucani, S. Razzara, M. Grillo, A. Auricchia, F. Stagno, G.Giaccone, R. Di Geronimo, V. Di Martino. «Biodeteriorating plant entities onmonuments and stonework structures. Historic city centre of Catania: IlMonastero dei Benedettini», Proceedings of First International Congress on:Science and Technology for the safeguard of cultural heritage in theMediterranean basin, 1998, pp. 1195-1203.

Individuazione dei decadimenti nell’involucro esternodella Chiesa di S. Nicolò L’Arena (CT)

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ANALISI MULTIDISCIPLINARE PER L’INDIVIDUAZIONE DEI DEGRADI

PRESENTI NELLA CHIESA DI SAN NICOLÒ L’ARENA

CHISARI W., LO FARO A., MOSCHELLA A., NAPOLEONE A., SANFILIPPO G.

Osservatorio della Patologie Edilizie, D.A.U., Facoltà di Ingegneria, Università di Catania.

La collaborazione tra svariate competenze scientifiche orientate adapprofondire ogni aspetto del monitoraggio applicato ai BB. CC., promos-sa grazie all’attività espletata dal C.RI.Be.Cum per il progetto “Pro-gramma di ricerche per lo studio e la salvaguardia del barocco della Siciliaorientale”, ha dimostrato che l’approccio pluridisciplinare costituisce si-curamente la via da intraprendere per sviluppare in modo completo leindagini necessarie alla formulazione della diagnosi e del conseguenteprogetto finalizzato alla salvaguardia del patrimonio architettonico.

Nello studio sulla chiesa di S. Nicolò L’Arena, dopo aver individuato l’ap-parecchiatura tecnico-costruttiva, si sono rappresentati i risultati ottenuti dallesingole unità di ricerca in elaborati informatizzati che hanno facilitato la disa-mina sincronica dei decadimenti riscontrati nella fabbrica, consentendo dicogliere le correlazioni tra degradi, difetti costruttivi e ambiente.

Le mappe esposte sintetizzano il quadro dei degradi provocati dall’inte-razione manufatto-ambiente e dalla presenza patologica di acqua (umiditàascendente e discendente). In particolare i decadimenti relativi all’involucroesterno sono stati individuati e riportati in apposite mappe tematiche i cuirisultati sono stati posti in relazione con le indagini svolte in ambito chimi-co, geologico, biologico e botanico; le patologie da umidità, anch’esseopportunamente mappate, sono state confrontate ed approfondite sulla scor-ta dei risultati ottenuti dalle ulteriori indagini ingegneristiche ed infine cor-relate con i dati ottenuti, in ambito fisico-chimico, sui materiali base.

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* Lavoro realizzato nell’ambito del progetto “Il recupero e la valorizzazione del patri-monio architettonico della Sicilia orientale: l’emergenza architettonica urbana e l’edili-zia rurale. Conoscenza, interventi e formazione” (T3 CLUSTER C 29), finanziato dalMinistero dell’Università e della Ricerca Scientifica

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SPUNTI CARAVAGGESCHI

NELLA PITTURA SICILIANA DEL SEICENTO

CICALA CAMPAGNA F.

Museo Regionale di Messina

La relazione Spunti caravaggeschi nella pittura siciliana del Seicento,ha per oggetto la ricostruzione della vicenda umana ed artistica del pitto-re fiammingo Jan Van Houbracken, nato ad Anversa intorno al 1600, magiunto ed attivo a Messina almeno fin dal 1631-32, anni in cui riceve lacommissione per un’opera da collocarsi nella chiesa di S. Francesco alleStimmate retta dalla confraternita dei mercanti, fino alla morte avvenutanel 1665.

Sebbene come nella maggior parte dei casi che riguardano la pitturamessinese si debba fare i conti con l’enorme dispersione di opere e docu-menti causata dal terremoto del 1908, circostanza che priva la ricerca dimolti elementi utili alla ricostruzione delle personalità artistiche e del con-testo sociale e culturale in cui gli artisti si trovano ad operare, rendendocosì difficile la possibilità di verifica delle notizie riportate dalle fonti,l’argomento di questo studio intende formulare alcune ipotesi che traccia-no un percorso diverso rispetto a quanto finora prospettato dagli studi con-dotti sulla personalità del pittore.

Questa revisione parte da due elementi fondamentali costituiti da unlato dalle più recenti ricerche di archivio che hanno messo in luce una retedi relazioni e rapporti tra mondo artistico e ceti imprenditoriali e mercan-tili, attivi tra le Fiandre, Genova, Firenze ed i porti siciliani soprattutto diPalermo, Trapani e Messina, dall’altro da alcune indicazioni delle fonti,relative alla committenza di questo pittore fiammingo, finora non tenutenella debita considerazione.

Da una attenta lettura di questi aspetti che suggeriscono per altro lega-mi tra il pittore e importanti mercanti e collezionisti fiamminghi e altriartisti di stessa nazionalità, è possibile rivedere l’intero percorso del VanHoubracken fin dal suo arrivo in Sicilia, e comprendere anche la fortuna

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della sua pittura, legata alla matrice fiamminga di tipo rubensiano e van-dyckiano, cui si assimilano quei caratteri di tipo caravaggesco che metto-no in risalto i tratti più realistici di alcuni episodi, e sfruttano i suggeri-menti luministici per potenziare l’efficacia drammatica ed emotiva.

Nell’ambito di una realtà così dinamica che viene promossa soprattut-to da questo tipo di committenza privata interessata comunque a privile-giare artisti della stessa nazionalità anche nelle commissioni destinate allechiese fondate o abbellite in base alle preferenze ed esigenze di devozio-ne, è forse possibile ipotizzare un ulteriore sviluppo della fortuna del VanHoubracken, se si può riconoscere la sua mano in una tela che fa parte del-l’arredo decorativo dell’Oratorio del Rosario in S. Domenico a Palermo,l’Orazione di Gesù nell’orto, dove assieme ai caratteri peculiari della suaformazione fiamminga e della sua evoluzione stilistica maturati nel perio-do messinese, si possono scorgere le premesse di tipo classicheggiante emonumentale che qualificano la sua ultima opera a noi nota, laCrocifissione nella chiesa di S. Maria di Randazzo, firmata e datata 1657,caratterizzata dal recupero di aspetti vandickiani e dalla comprensione dellinguaggio novellesco.

Cicala Campagna182

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CARATTERIZZAZIONE E PROVENIENZA

DEI MATERIALI LITOIDI IMPIEGATI NELLA COSTRUZIONE

DELLE COLONNE DELL’EMICICLO TEATRO

DEL PARCO DEL CAVALLO DI SIBARI (CALABRIA)

CIRRINCIONE R.(1), CRISCI G.M.(1), DE VUONO E.(1), LO GIUDICE A.(2), MIRIELLO D.(1), PEZZINO A.(2), PUNTURO R.(2)

(1) Dipartimento di Scienze della Terra – Università della Calabria(2) Dipartimento di Scienze Geologiche – Università di Catania

L’impiego delle rocce granitoidi nella realizzazione di importanti operearchitettoniche risale a tempi antichissimi. Particolare diffusione si ha trail I sec. a. C. ed il IV sec d.C. sotto l’Impero Romano.

I Romani, affascinati dalla bellezza e dalle caratteristiche meccanichedi tali rocce, ne fecero un largo uso per la costruzione di imponenti edifi-ci in tutte le più importanti città dell’area mediterranea, quasi a sottolinea-re una corrispondenza tra le caratteristiche intrinseche della roccia e lamagnificenza dell’Impero stesso.

Nel presente lavoro sono stati affrontati alcuni problemi di naturaarcheometrica relativi alla provenienza di resti di colonne di materiale gra-nitoide, prelevati in corrispondenza di un importante sito archeologico delSud Italia: L’Emiciclo Teatro del Parco del Cavallo di Sibari (I sec. a.C.).

La prima fase del lavoro si è basata su rilievi di campagna per l’indivi-duazione e la successiva campionatura delle cave di cui si avevano notiziedi antiche attività estrattive. Tali indagini hanno permesso di indirizzare lericerche delle possibili cave di estrazione in corrispondenza delle aree ubi-cate nei pressi di Nicotera Marina e Parghelia (Calabria - VV), dove affio-rano, lungo una superficie di circa 1.250 km2, corpi plutonici di composi-zione granitica di età carbonifero – permiana, che da un punto di vistapetrochimico suggeriscono un’affinità calc-alcalina e peralluminosa.

Successivamente, sui campioni provenienti sia dalle cave che dal Teatrosono state condotte analisi chimiche mediante XRF, ICP-MS ed analisipetrografiche di dettaglio. Dal confronto tra i dati ottenuti è emersa una

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forte corrispondenza composizionale e tessiturale dei materiali archeolo-gici con le rocce campionate presso la cava di Parghelia, dove sono tut-t’oggi presenti resti di colonne e di vari elementi architettonici parzial-mente lavorati in situ. La suddetta cava storica si configura pertanto comeil più probabile sito estrattivo di provenienza.

Cirrincione, Crisci, De Vuono, Lo Giudice, Miriello, Pezzino, Punturo184

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IL TERREMOTO DI SANTA VENERINA DEL 29 OTTOBRE 2002:ASPETTI SISMOLOGICI E APPLICAZIONI DIAGNOSTICHE PROPEDEUTI-

CHE AI SISTEMI DI INTERVENTO

CORRAO M., LICITRA M.

Novatech Consulting s.r.l.

2002 October 29th h 11:02 L.T. Ml 4.5 S. Venerina Event

Un terremoto di Magnitudo 4.5 scuote S. Venerina. Gli effetti ed i dannihanno interessato parecchie costruzioni, anche in cemento armato, parti-colarmente in una fascia estesa circa 4 km, direzione NW-SE, tra Guardiae S. Venerina e comprendente le frazioni di Scura, Felicetto, Ardichetto eBongiardo. L’evento fa parte di uno sciame sismico che ha prodotto centi-naia di scosse per i primi 4 giorni di attività. Quest’ultima è correlataall’attività vulcanica del M.te Etna.

In questo studio si è cercato di valutare due aspetti riguardanti l’eventosismico e gli effetti che ha prodotto su alcuni manufatti del comprensoriocomunale di S. Venerina. Gli aspetti valutati sono di tipo sismologico e ditipo ingegneristico.

Per quello sismologico si è cercato di capire il perché un evento di cosìmodesta magnitudo abbia potuto produrre danni così rilevanti. Nella valu-tazione dell’aspetto ingegneristico ci si è interrogati sulla possibile causadi così rilevanti danni alle strutture, anche in cemento armato.

Le osservazioni di carattere sismologico [G. Milana, A. Rovelli, P.Marsan, M. Corrao, G. Coco – I terremoti vulcanici dell’Etna: necessitàdi una nuova definizione di magnitudo e di diverse leggi di scala Annali diGeofisica – GNGTS 2004], scaturite da una serie di analisi sintetiche esperimentali di eventi registrati dalla rete mobile dell’I.N.G.V. di Roma,installata a S. Venerina, hanno consentito di configurare quanto segue:

- I terremoti registrati sul Mt. Etna, durante l’attività vulcanica inten-sa, indicano una discrepanza forte con le leggi di attenuazione degli even-ti tettonici.

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Page 186: Centro di Ricerca CRIBe.Cu.M

- La sorgente poco profonda non è l’unica causa di danni significativi.- La componente nel lungo-periodo degli eventi vulcanici ha implicazioni

importanti in termini di rischio nella zona di Mt. Etna perché è associata agrandi spostamenti al suolo. Strutturalmente i ricettori colpiti hanno subitodanni imputabili a diverse cause: definizione inadeguata delle tipologie fon-dazionali e geometriche, realizzazione della struttura in modo non conformealle direttive progettuali, messa in opera di materiali sottodimensionati, statidi ammaloramento e degrado della struttura. L’approccio investigativo è statodi tipo diagnostico a mezzo di indagini non distruttive e/o semi invasive asso-ciate a rilievi geometrici di dettaglio del tipo laser scanner 3D. Tutto ciò èstato affrontato, sotto forma di Case History, nella Chiesa del Sacro Cuore diGesù. Lo studio è stato condotto secondo una campagna diagnostica finaliz-zata alla caratterizzazione meccanico – strutturale del danneggiamento subi-to dal manufatto mediante:• il rilievo geometrico della struttura;• il rilievo architettonico del quadro fessurativo;• la valutazione delle caratteristiche meccaniche e fisiche dei materiali

utilizzati nonché delle caratteristiche di resistenza, di deformabilità edello stato tensionale presente nelle murature;

• rilievo delle caratteristiche tecnologiche e costruttive dei vari elementistrutturali.In ultima analisi ciò che scaturisce da questo preliminare approccio

specifico ha prodotto le seguenti conclusioni:- Il controllo di aree sottoposte ad attività sismica, quale Santa

Venerina, risulta necessario per comprendere e configurare eventuali sce-nari e contrastarli migliorando la pianificazione del territorio;

- La parametrizzazione delle grandezze fisico-sismologiche in giococontribuisce a mirare la progettazione;- La caratterizzazione meccanico-strutturale, dinamica e geometrica deimanufatti, rappresenta uno strumento fondamentale per una progettazio-ne finalizzata.

Corrao, Licitra186

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ANALISI DEI MECCANISMI DI DEGRADO

DEI MATERIALI CALCARENITICI

DOVUTO ALL’AZIONE DEI LICHENI

CRISCI G. M., GATTUSO C., MACCHIONE M., MIRIELLO D.

Dipartimento di Scienze della Terra, Università della Calabria Via Ponte P. Bucci - 89036Cosenza, Tel. 0984 493637, Fax. 0984 493601, [email protected]

1. Introduzione

Nel definire una procedura metodologica si riesce ad ottimizzare ilpercorso da seguire poiché si possono utilizzare momenti di controllo,secondo le necessità, a livello di singole parti o di visuali d’insieme.

Con il presente lavoro si è cercato di tracciare un profilo metodologi-co finalizzato a strutturare il sistema di indagini necessarie per approfon-dire la conoscenza sui meccanismi di degrado della pietra attaccata dal-l’azione di licheni. Per verificarne la validità è stata, quindi, effettuata unaapplicazione pratica con riferimento all’attacco biologico presente sulprospetto della Chiesa di Santa Maria della Serra a Montalto Uffugo(CS), particolarmente colpito da colonizzazioni licheniche, soprattutto alivello del basamento.

La ricerca, di tipo sperimentale, caratterizzata dall’integrazione dicompetenze provenienti dal settore storico-architettonico, geologico edelle scienze naturali, ha permesso di effettuare osservazioni sul compor-tamento della microflora a livello dell’interfaccia roccia-lichene. In par-ticolare, dopo aver individuato ed analizzato le specie licheniche più dif-fuse sul prospetto della Chiesa, è stato possibile in alcuni casi mettere afuoco meccanismi di attacco e dissoluzione delle microparticelle di mate-riale roccioso.

In particolare comunque si è cercato di comprendere i meccanismi e iprocessi di alterazione del substrato attraverso una analisi di dettaglioeseguita soprattutto mediante osservazioni al SEM.

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2. Struttura della metodologia

La ricerca, per la sua particolare dimensione interdisciplinare è stataarticolata in maniera da affrontare le varie problematiche per fasi, al finedi permettere le integrazioni tra le varie parti e lo sviluppo coordinatodelle analisi.

Lo studio è stato quindi strutturato considerando fasi sinteticamenteriportate di seguito:

1. fase preliminare: – monitoraggio delle condizioni climatiche e della microvegetazio-

ne,– analisi bibliografica e storica,

2. fase caratterizzazione:– piano di campionamento,– analisi floristiche,– analisi di laboratorio,

3. fase discussione e conclusioni:– trattamento ed elaborazione delle informazioni,– considerazioni e risultati.

Il percorso metodologico è stato tarato mediante una applicazione pra-tica effettuata considerando un caso reale rappresentato dalla Chiesa diSanta Maria delle Serre a Montalto Uffugo situato in provincia di Cosenzasul versante occidentale della Valle del Crati a 470 m slm.

Il confronto con la realtà ha permesso di mantenere, durante lo svolgimen-to del percorso metodologico permettendo un continuo orientamento e con-trollo delle attività durante lo svolgimento della ricerca ed anche di apporta-re dei correttivi migliorativi alla struttura metodologica nel suo complesso.

3. Area di studio e analisi storico-architettonica del monumento

Preliminarmente allo studio è stata sviluppata una indagine per valuta-re l’habitat dell’area nel quale è inserito il monumento considerato.Premesso che l’ambiente in cui vivono i licheni non è l’espressione deisoli fattori climatici, ma la risultanza di questi e delle interferenze di fat-tori edafici, topografici e biotici, l’indagine ha permesso di rilevare unandamento climatico stagionale piuttosto costante nel tempo, costituito dastagioni primaverili ed estive piuttosto caldo-secche ed autunni ed inverni

Crisci, Gattuso, Macchione, Miriello188

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freddo-umidi. Tale comportamento è rilevabile da dati climatici fornitidall’Arpacal di Reggio Calabria (rete dell’ex istituto idrografico dellaPresidenza del consiglio, ora Arpacal) relativi agli anni che vanno dal1989 al 2000, di cui a titolo di esempio è riportato il grafico (v. Fig.1) rela-tivo al termogramma su base mensile della stazione di Montalto.

In parallelo è stato effettuato un monitoraggio sul monumento che si èespresso mediante vari sopralluoghi e la registrazione di variazioni signi-ficative della vegetazione al variare delle stagioni. Più precisamente si èpotuto osservare che: i sopralluoghi hanno permesso di rilevare in prima-vera ed estate, a causa della scarsità di piogge e della bassa umidità pre-sente, i licheni si presentavano molto secchi, poco rigogliosi e fortementeappiattiti sulla roccia al punto da non permetterne il prelievo; mentre nelperiodo autunnale con l’arrivo delle prime piogge la vegetazione licheni-ca manifestava maggior rigoglio fino a giungere poi nel periodo inverna-le, con valori di temperature, umidità e precipitazioni ottimali, ad esprime-re la massima attività vegetativa. Inoltre è stato possibile notare una mag-giore estensione delle colonizzazioni visibile anche sui gradini adiacentiai portali fin sotto la gradinata d’accesso.

Sempre in maniera parallela è stata svolta una indagine storico-archi-tettonica sul monumento che ha consentito di delinearne i principali linea-menti, nonché di acquisire alcune informazioni sui materiali costitutivi esul particolare degrado presente.

Analisi dei meccanismi di degrado dei materiali calcarenitici 189

Fig. 1. Grafico riportante il termogramma relativo alla stazione di Montalto.

Termogramma mensile nel decennio

0

5

10

15

20

25

30

C°1989

1990

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

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La Chiesa di Santa Maria della Serra (v. Fig. 2, 3), che sorge nel centrostorico di Montalto Uffugo, sul colle Serrano situato alle porte della citta-dina, è caratterizzata dalla presenza di un’imponente e ricca facciata, pur-troppo ancora incompiuta, realizzata in pietra calcare, in stile barocco.

La Chiesa per la bellezza dei caratteri barocchi è stata prescelta, nelcontesto dell’Atlas mondial du Baroque, promosso dall’Unesco, per esse-re inserito nell’Atlante del Barocco in Italia.

Le origini della Chiesa risalgono al XIII secolo, quando venne erettasui ruderi del mausoleo di un comandante romano. Consacrata nel 1227,la Chiesa subì diversi trasformazioni a causa dei terremoti che la devasta-rono negli anni. In seguito al terremoto del 1854, l’impianto originarioacquisì un assetto planimetrico costituito da una pianta a croce latina distile neoclassico con un’unica navata ed un ampio transetto.

4. Caratterizzazione

Sulla base dei dati raccolti durate le indagini preliminari è stato predi-sposto un apposito piano di campionamento, realizzato tenendo conto siadelle condizioni climatiche, delle caratteristiche architettoniche dellaChiesa e del particolare degrado esistente.

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Fig. 2. Chiesa di Santa Maria della Serra. Fig. 2. Particolari.

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Nello specifico, pur avendo rilevato la presenza di oltre 20 tipologie dilicheni l’attenzione si è concentrata su quattro specie in particolare, rile-vate come le più rigogliose e le più diffuse. I campioni sono stati preleva-ti utilizzando bisturi previamente sterilizzati (sollevando la crosta del talloe facendo in modo che almeno la porzione centrale dello stesso potesseessere prelevata senza troppo danno) e posti in contenitori (capsule diPetri) anch’essi sterilizzati. Spesso il prelievo ha comportato l’asportazio-ne di un po’ di materiale lapideo, necessario per poter studiare l’interfac-cia pietra-lichene e di conseguenza il degrado del monumento.

Il campionamento è stato effettuato in considerazione delle indicazioni ripor-tate nella “Raccomandazione Normal-3/80 Materiali Lapidei: Campionamento”e in punti tali da non arrecare danni all’estetica del monumento.

I campioni prelevati sono stati quindi portati in laboratorio e separatiper svolgere le analisi sia sulla pietra che sui licheni.

In particolare per individuare con precisione le specie campionate èstata svolta una indagine floristica mediante l’utilizzo di chiavi dicotomi-che. Pertanto attraverso una serie di controlli è stato possibile determina-re le quattro specie:

Caloplaca coronata (v. Fig. 4), è una specie caratterizzata dal tallo inte-ramente isidiato, aranciato. Si trova su rocce calcifere, specialmente inpostazioni fertili, di solito in sommità di blocchi soleggiati.

È una tra le specie più diffusa facilmente riconoscibile per le sue formedai bordi con andamenti arrotondati.

Caloplaca flavescens (v. Fig. 5), specie molto comune su manufatti liti-ci, s’instaura su calcare o arenarie basiche, su superfici bagnate dalla piog-gia e piuttosto eutrofizzate.

Analisi dei meccanismi di degrado dei materiali calcarenitici 191

Fig. 5. Caloplaca flavescens.Fig. 4. Caloplaca coronata.

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Tollera temperature molto basse e la si può trovare fino alla fascia mon-tana. La specie è spesso presente su statue, bassorilievi e muri di rocciacarbonatica: alla sommità delle superfici rocciose, comunque dove siabbia un certo accumulo di guano. La sua presenza determina una fortealterazione cromatica dei manufatti, poiché colora di giallo–arancionevaste superfici.

Caluzadea metzleri (v. Fig. 6), presenta un tallo bianco-grigio pallido,più o meno immerso. L’apotecio è situato in buche poco profonde, sparsoo, a volte, immerso lungo le fessure. Il tallo è murato nella roccia calca-rea, in ciottoli principalmente di gesso, spesso si trova in zone piuttostoombreggiate e umide.

L’alterazione superficiale prodotta sulle rocce si manifesta con unacaratteristica presenza di piccoli e diffusi fori ravvicinati (pitting).

Buellia epipolia (v. Fig. 7), piccolo lichene crostoso a tallo di colorbianco puro, continuo o fessurato-areolato, che forma macchie di dimen-sioni in genere non superiori ai 3-4 cm di diametro. La parte centrale deltallo è occupata da numerosi apoteci di colore nero, spesso pruinosi, pianio più frequentemente convessi, senza margine ben evidente.

È abbastanza frequente su roccia calcarea (raramente anche su arenariebasiche), su superfici bagnate dalla pioggia, esposte al sole e poco eutrofizza-te. Il colore bianco cretaceo dei talli contrasta abbastanza nettamente con quel-lo del substrato, producendo un’alterazione cromatica piuttosto evidente.

I campioni lapidei (v. Fig. 8) costituenti il substrato sono stati sottopo-sti ad analisi petrografiche e chimiche, allo scopo di caratterizzare la roc-

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Fig. 7. Buellia epipolia.Fig. 6. Caluzadea metzleri.

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cia utilizzata per realizzare la Chiesa. L’analisi petrografica è stata esegui-ta su sezioni sottili (v. Fig. 9) del campione, utilizzando un microscopioottico polarizzatore “Zeiss”; mentre le analisi chimiche sono state esegui-te sul campione tale e quale polverizzato, utilizzando uno “spettrometroPhilipsPW 1480” e applicando il metodo per la correzione degli effetti dimatrice di Franzini et Al. [5].

L’analisi petrografica ha consentito di caratterizzare il campione comeuna “calcarenite”. È stata rilevata la presenza di calcite osservabile siacome cemento, sottoforma di sparite e micrite (prevale comunque ilcemento sparitico su quello micritico), che come fase cristallina costituen-te lo scheletro della roccia. Sono stati osservati, inoltre, quarzo, biotitealterata, plagioclasio e microclino. I bioclasti prevalgono sulla frazioneterrigena e sono costituiti essenzialmente da foraminiferi planctonici ebentonici, gusci di bivalvi, briozoi e alghe calcaree. I pori sono di formaprevalentemente irregolare e sono dovuti a probabili fenomeni di dissolu-zioni della componente calcitica.

L’analisi chimica, inoltre, effettuata mediante spettrometria a raggi Xha consentito di completare la caratterizzazione della roccia mediante ladeterminazione degli elementi maggiori e degli elementi in tracce, di cuisono riportati, nelle Tab. 1 e 2, i dati relativi ad uno dei campioni analiz-zati (gli altri campioni sono petrograficamente e chimicamente identici aquello di cui sono riportati i dati).

Analisi dei meccanismi di degrado dei materiali calcarenitici 193

Fig. 9. Sezione sottile a luce polarizza-ta ingrandimento 3x: si osservano cri-stalli di muscovite, biotite, quarzo ecalcite.

Fig. 8. Campione in capsula di Petri:si possono notare le Caloplache deter-minate: la chiara è la C.flavescens, lascura è la C.coronata.

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5. Discussione e conclusioni

L’attenzione si è quindi concentrata sull’analisi dell’interfaccia roccia-lichene al fine di investigare i meccanismi di danno arrecati dai licheni allaroccia.

Pertanto sono state preparate delle sezioni sottili (v. Fig. 10) modifican-do adeguatamente il protocollo standard: è stato usato un composto orga-nico, la Glutaraldeide al 20%, che ha permesso di sezionare i licheni evi-tandone la distruzione.

Le analisi delle sezioni sottili hanno indotto a effettuare delle indaginia maggiori ingrandimenti per cui sono state effettuate delle osservazionidi dettaglio al SEM che hanno permesso di evidenziare tre meccanismi didegrado principali:

1. nel caso delle Caloplache - il lichene provoca microfratture diffuse alivello dell’interfaccia lichene-roccia, dall’andamento lineare paralleloalla superficie, che si manifestano ad una profondità media di circa 95micron (v. Fig. 11).

2. nel caso della Clauzadea metzleri - il lichene ha corpi fruttiferi chepenetrano nel substrato ad una profondità di 0,32 mm provocando il pit-

Nb Zr Y Sr Rb Ni Cr V La Ce Co Ba

0 26 2 510 30 24 14 16 39 80 3 98

H2O Na2O MgO Al2O3 SiO2 P205 K20 CaO TiO2 MnO Fe2O3

39,60 0,09 0,97 0,62 2,77 0,02 0,13 55,40 0,03 0,14 0,24

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Tab.1. Elementi maggiori (% in peso) della composizione totale dei campioni

Tab. 2. Elementi in tracce (ppm) della composizione totale dei campioni

Fig. 10. La parte organica rappresentata dal lichene è la parte più scura, in alto, mentrela parte inorganica rappresentata dal substrato è la parte più chiara, in basso.

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ting, corrosione puntiforme che si manifesta attraverso la formazione dif-fusa di piccole cavità. Questi forellini originariamente occupati dal corpofruttifero, una volta lasciati liberi, con la caduta del corpo fruttifero, ven-gono ulteriormente allargati dalle acque meteoriche soprattutto nel perio-do invernale, rendendo quindi la superficie maggiormente attaccabile daaltri fattori di degrado, quali ad esempio l’escursione termica tra il giornoe la notte che può provocare fenomeni di contrazioni e dilatazioni dellaroccia nei punti in cui si trova l’acqua quindi nella zona di interfaccia roc-cia-lichene (v. Fig. 12).

3. nel caso della Buella epipolia - il lichene penetra nel substrato attraver-so la dissoluzione dei minerali, ricchi di elementi chimici da cui trae nutrimen-

Analisi dei meccanismi di degrado dei materiali calcarenitici 195

Fig. 11. Si intravedono due tipi di fratture: una più profonda che sembra provocare ildistacco di parte della roccia ed una più frastagliata a livello dell’interfaccia.

Fig. 12. Visione dall’alto di superficie calcarea infestata dal lichene crostoso endoliticoin cui si notano i periteci immersi nel substrato - nella sezione si nota al centro, il corpofruttifero del lichene all’interno della roccia nella quale forma come un incavo che allacaduta del corpo fruttifero, appare come una profonda depressione (effetto pitting).

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to. È possibile quindi che penetrando con le ife nei punti di frattura della roc-cia andando alla ricerca di minerali per il proprio nutrimento riesca a staccareattraverso la produzione degli acidi lichenici frammenti di minerale della roc-cia. Il fenomeno è favorito dall’azione prodotta dall’alternanza di pressioneprovocata dalla pulsazione delle cellule che variano di volume passando dacondizioni di restrizione in corrispondenza dei periodi di siccità (estate) a con-dizioni di accrescimento nei periodi in cui riescono ad avere maggiore idrata-zione (inverno). Inoltre occorre considerare anche le azioni di tipo meccanicoprovocate dall’accrescimento del tallo. Ne risulta infine una attività comples-siva di disgregazione per cui i granuli di quarzo e i frammenti di altri minera-li si staccano dal supporto e vengono inglobati dal lichene che progressiva-mente li dissolve riducendoli gradualmente di volume (v. Fig. 13 e 14).

La presenza ormai storica dei licheni sul prospetto della Chiesa permet-te di rassicurare circa l’azione devastante dei licheni che comunque, anche

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Fig. 13. Il lichene poggia sul substrato calcareo (in basso) ove si mota una lieve frattu-ra. Si può inoltre notare come parti di minerali vengano inglobati nel tallo lichenico (gra-nuli in bianco). In particolare le superfici esterne del minerale vengono gradualmentefrantumate.

Fig. 14. Meccanismi di disgregazione dei minerali ad opera della Buella epipolia: 1a

Fase - il lichene avvolge con le proprie ife i minerali. 2a Fase - il lichene stacca i mine-rali e li solleva gradualmente. 3a Fase - il lichene frantuma i minerali fragili e avvolgeper intero quelli più resistenti. 4a Fase - i minerali più duri sono attaccati sui contorni.5 a Fase - disgregazione totale dei minerali più duri.

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se non hanno fino adesso provocato danni di rilievo, possono potenzial-mente originare degradi incontrollati nel caso in cui dovessero crearsi par-ticolari condizioni ambientali.

È proprio per questo motivo che appare necessario tenere sotto controllo lacrescita dei licheni con monitoraggi periodici scanditi ad intervalli di 2-3 anni.

È evidente che un’abbondante vegetazione lichenica sui monumentipone dei problemi di conservazione e di restauro in quanto produce comedetto sopra alterazioni cromatiche modificandone l’estetica dei monumen-ti e soprattutto le caratteristiche chimiche fisiche delle superfici litiche.

Il processo conoscitivo proposto permette di mostrare un percorsointerdisciplinare all’interno del quale il coinvolgimento di competenzediverse, a vari livelli di interesse, mette in grado di creare sinergie chefavoriscono l’analisi e lo studio diretti a meglio comprendere e interpreta-re particolari fenomeni di alterazione e deterioramento dei monumenti.

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VALUTAZIONE DELLA SUSCETTIVITÀ AL RIUSO

PER FINI AGRITURISTICI DEI FABBRICATI RURALI TRADIZIONALI

CONFRONTO TRA DUE CASI STUDIO

FAILLA A., CASCONE G., PORTO S.M.C.

Università degli Studi di Catania Dipartimento di Ingegneria Agraria, Sezione Costruzioni eTerritorio via S. Sofia 100, 95125 Catania, tel +39 095 7147587,

[email protected], [email protected], [email protected]

1. Introduzione

La crescente insoddisfazione nei confronti della qualità della vita citta-dina favorisce sempre più la fruizione del territorio rurale da parte di visi-tatori desiderosi di riscoprire, anche attraverso il contatto con la natura econ la tranquillità della campagna, le esperienze di vita della tradizionepopolare rinvenibili soltanto in alcune aree agricole residuali o in piccolicentri abitati. Il territorio rurale è così divenuto sede di attività diversifica-te connesse soprattutto ad una crescente domanda di turismo alternativaalla formule tradizionali e di massa.

L’attenzione oggi rivolta verso il patrimonio edilizio rurale è, in parte,anche dovuta a tale nuovo modo di fruire il territorio agricolo; infatti, nel-l’ambito delle attività turistico-ricettive, i fabbricati tradizionali costitui-scono una risorsa edilizia importante, soprattutto nelle aree protette davincoli di tutela ambientale dove, in genere, non vengono rilasciate con-cessioni edilizie per la realizzazione di nuove costruzioni.

Tale interesse nei confronti dell’edilizia rurale, però, ha comportatonumerosi interventi di recupero di fabbricati non sempre appropriati alleloro caratteristiche morfologiche e tecnico-costruttive.

Pertanto, al fine di riutilizzare gli edifici rurali tradizionali reintegran-doli in un nuovo ciclo vitale che ne garantisca la cura e la manutenzione,nell’ambito delle politiche finalizzate alla conservazione del patrimonioarchitettonico rurale, è necessario definire strategie di intervento fondatesu una valutazione attenta della loro suscettività al riuso.

198

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Fra i fattori che consentono tale valutazione riveste particolare impor-tanza il grado di adattamento di nuove destinazioni funzionali ai caratterimorfologici dei fabbricati rurali. Tale fattore, infatti, rappresenta uno deinodi cruciali nella tutela del patrimonio architettonico, soprattutto in con-siderazione del fatto che non di rado, gli interventi di riuso attuati hannotrascurato la compatibilità delle nuove destinazioni funzionali con le carat-teristiche morfologiche dei fabbricati esistenti.

Nel presente lavoro, dopo una breve disamina dell’approccio metodo-logico per la valutazione della suscettività al riuso dei fabbricati rurali tra-dizionali, si riportano i risultati ottenuti dall’applicazione di un metodo [4]elaborato per la valutazione del grado di adattamento della destinazioned’uso agrituristica ai caratteri morfologici di un campione di edifici ubica-ti in due aree omogenee della Sicilia orientale.

Tale applicazione risulta particolarmente attuale in relazione alle opportuni-tà offerte dalla programmazione economica regionale siciliana (P.O.R. 2000-2006) che, al fine di promuovere lo sviluppo delle aree rurali, offre sostegnofinanziario agli imprenditori agricoli per la realizzazione di attività agrituristi-che. Ciò, nell’ambito delle problematiche connesse con il recupero dell’edili-zia rurale, si traduce, spesso, in interventi da attuare sui fabbricati rurali esisten-ti al fine di adattarli ai requisiti richiesti dai regolamenti edilizi vigenti.

2. Approccio metodologico per la valutazione della suscettività al riuso

La limitatezza delle disponibilità finanziarie, in rapporto all’elevatonumero di edifici rurali tradizionali che necessitano di interventi di recu-pero, non consente la conservazione dell’intero patrimonio architettonicorurale. Pertanto, allorquando è necessario scegliere uno o più edifici datutelare fra un insieme di alternative possibili, si pone il problema di supe-rare il limite della soggettività del giudizio ricorrendo all’applicazione dimetodi decisionali basati su procedimenti analitici che utilizzano criteri digiudizio quanto più possibile oggettivi.

In tale contesto, fra le caratteristiche che contribuiscono a qualificare ilpatrimonio architettonico rurale (rilevanza storica, architettonica, paesag-gistica, ambientale, ecc.) [9], la suscettività al riuso riveste un ruolo deter-minante ai fini dell’attribuzione del giusto valore ai fabbricati soprattuttoin relazione alle limitazioni imposte all’attività edificatoria dalle norme ditutela ambientale.

Valutazione della suscettività al riuso dei fabbricati rurali tradizionali 199

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La valutazione della suscettività al riuso dei fabbricati rurali tradizio-nali, secondo la metodologia proposta, è articolata nelle fasi di seguitodescritte [5].

Fase conoscitiva di primo livelloPer lo svolgimento di questa prima fase del metodo bisogna individua-

re un’area di indagine omogenea sotto il profilo delle caratteristiche terri-toriali che possono influenzare la possibilità di riuso dei fabbricati ruralitradizionali. A tal proposito, è possibile avvalersi di ricerche di archivio,della cartografia di base nonché di elaborati a supporto degli strumentiurbanistici come gli studi agricolo-forestali.

Alla definizione dell’area di indagine segue la messa a punto di schededi rilievo che consentono di pervenire ad una conoscenza quanto più esau-stiva delle tipologie edilizie presenti nel territorio. Poiché le campagne dirilievo sono onerose soprattutto per le risorse necessarie al loro svolgi-mento, è opportuno che i dati raccolti nelle schede siano quelli strettamen-te necessari a consentire la valutazione della suscettività al riuso.

Fase valutativaObiettivo di questa fase di lavoro è la definizione di un insieme di desti-

nazioni funzionali compatibili con il contesto territoriale prendendo in con-siderazione, se necessario, anche usi diversi da quelli originari e accettando,in relazione alle mutate esigenze funzionali, eventuali trasformazioni ediliziepurché rispettose dei caratteri del fabbricato oggetto dell’intervento [8]

Scelta una delle destinazioni d’uso nell’ambito dell’insieme preceden-temente individuato, si procede alla valutazione della suscettività al riusomediante un metodo basato sull’analisi multicriteriale. Pertanto, nella fasedi analisi del problema è necessario definire l’insieme delle alternative equello degli attributi. Il primo è costituito dagli edifici rurali tradizionaliil cui stato di conservazione è tale da giustificarne il riuso funzionale; ilsecondo, invece, è costituito dai fattori estrinseci all’edificio (caratteristi-che dell’attività produttiva, disponibilità finanziaria dell’imprenditore e ilsuo titolo nei confronti del fabbricato, integrazione dell’edificio con ilpaesaggio, dotazione di servizi, ecc.) e da quelli intrinseci (interesse sto-rico, interesse architettonico, stato di conservazione, grado di adattamen-to di nuove destinazioni funzionali alla morfologia dell’edificio esistente).

A partire dalla formulazione del giudizio di valore degli attributi dellealternative, l’approccio multicriteriale prevede la definizione della matri-

Failla, Cascone, Porto200

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ce delle decisioni. I dati necessari per tale valutazione possono essere rica-vati dalle schede di rilievo compilate nel corso della prima fase di lavoro;inoltre, poiché per la definizione dei valori degli attributi potrebbero esse-re necessarie valutazioni di tipo qualitativo, è opportuno che i criteri divalutazione di ogni attributo siano forniti da esperti (architetti, storici del-l’architettura, urbanisti, ingegneri, agronomi, etnografi, economisti, ecc.)dell’edilizia rurale dell’area interessata.

Infine, la scelta del modello decisionale più opportuno fra quelli esi-stenti in bibliografia (Saw, Electre, ecc.) consente di pervenire ad un ordi-namento dei fabbricati in relazione al loro grado di suscettività al riuso perla destinazione d’uso prescelta.

Fase conoscitiva di secondo livello In questa fase si procede alla verifica dei risultati ottenuti dalla valuta-

zione della suscettività al riuso, effettuando il rilievo di dettaglio degli edi-fici precedentemente analizzati.

In relazione al tempo e ai costi necessari, tale attività è svolta soltantoper gli edifici che hanno ottenuto i punteggi più elevati all’interno delleclassi definite dalle destinazioni d’uso analizzate.

Questa ultima fase del metodo è propedeutica alla progettazione esecu-tiva per la quale può essere richiesta l’acquisizione e l’elaborazione diulteriori informazioni ricavate dalle norme tecniche vigenti al fine di defi-nire gli interventi più appropriati in relazione alle caratteristiche composi-tive e tecnico-costruttive dei fabbricati.

3. Il grado di adattamento della destinazione d’uso agrituristica aifabbricati rurali tradizionali

Nel presente lavoro sono riportati i risultati ottenuti dall’applicazionedi un metodo appositamente elaborato per la valutazione del grado di adat-tamento della destinazione d’uso agrituristica ai caratteri morfologicidegli edifici rurali tradizionali [4]. Nella ricerca sono stati esaminati sedi-ci fabbricati rurali tradizionali, abbandonati o parzialmente utilizzati, ubi-cati in due aree omogenee della Sicilia orientale ritenuti adatti al riuso perattività agrituristiche.

La prima area (area etnea, v. Fig. 1), situata sul versante nord-orientaledel Parco dell’Etna, ricade nei territori comunali di Linguaglossa e

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Piedimonte Etneo; la seconda (area iblea, v. Fig. 2), invece, è ubicata nellaparte sud-orientale della Sicilia, si estende dai Monti Iblei sino alla fasciacostiera sul Mar Mediterraneo ed è compresa fra i centri abitati di Ragusae Santa Croce Camerina.

Rimandando ad altre note precedenti [4, 11] per la descrizione detta-gliata del metodo, di seguito si elencano le fasi principali in cui si artico-la lo studio:– conoscenza degli aspetti morfologici e distributivi degli edifici rurali in

esame;– individuazione dei requisiti richiesti dalla destinazione d’uso agrituristica;– definizione dei fattori che intervengono nella valutazione del grado di

adattamento della destinazione d’uso agrituristica agli edifici esistenti;– impiego di un modello multicriteriale che tenga in considerazione l’inte-

razione fra i fattori individuati nella fase precedente.I caratteri morfologici dei fabbricati sono stati rilevati mediante apposite

schede di rilievo, invece, i requisiti richiesti da specifiche destinazioni d’usosono stati individuati facendo riferimento alla normativa vigente [6] ovveroai manuali di progettazione edilizia [1].

Giacché la valutazione della potenzialità d’uso rappresenta uno studiopreliminare sulla possibilità di adibire a specifiche funzioni gli edifici esisten-ti, la compilazione delle schede di rilievo non ha comportato rilievi metrici didettaglio. I dati rilevati comprendono le informazioni su: la collocazione pla-nimetrica delle unità edilizie che compongono il complesso rurale; la scom-posizione delle unità edilizie in corpi di fabbrica; i caratteri morfologici rela-tivi alle unità funzionali e ai corpi di fabbrica [3, 11].

Failla, Cascone, Porto202

Fig. 2. Area iblea.Fig. 1. Area etnea.

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I requisiti richiesti dalla destinazione d’uso agrituristica sono stati estra-polati dall’analisi delle esigenze delle attività da svolgere: ospitalità in came-re e/o in miniappartamenti; ristorazione degli ospiti; soggiorno; deposito.

Dall’analisi dei requisiti funzionali dell’attività agrituristica e dalla carat-terizzazione del patrimonio architettonico effettuata sulla base della scheda-tura è emerso che i fattori che influenzano il grado di adattamento della nuovadestinazione d’uso ai caratteri morfologici del fabbricato sono quelli descrit-ti in Fig. 3.

Valutazione della suscettività al riuso dei fabbricati rurali tradizionali 203

Fig. 3. Descrizione dei fattori che intervengono nella valutazione del grado di adatta-mento della destinazione d’uso agrituristica ai caratteri morfologici degli edifici.

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Il modello di valutazione

Per giungere alla valutazione del grado di adattamento, è stato scelto diutilizzare un modello che consente di calcolare le interazioni possibili fra ifattori descritti in Fig. 3. Già applicato per la valutazione di beni architetto-nici ed ambientali [10], il modello ha consentito di valutare il grado diapprezzamento totale V che in questo lavoro corrisponde al grado di adatta-mento della destinazione d’uso agrituristica ai caratteri morfologici degli edi-fici.

Riportando quanto esposto in precedenti studi [4, 13]“Il modello consiste nella costruzione di una matrice quadrata X di ordi-

ne n, le cui n righe ed n colonne si riferiscono agli n fattori da analizzare.

x1 x2 x3 xn

x1 x11 x12 x13 x1n

x2 x21 x22 x23 x2n

X= x3 x31 x32 x33 x3n 1).... .... ..... ..... .....xn xn1 xn2 xn3 xnn

L’elemento xii (xii ≥ 0 per i=1, 2,..., n) della matrice X indica il gradodi azione attribuito al fattore (xi) corrispondente alla i-esima riga (o i-esima colonna). Il grado di azione si assume:• pari a 1, se il fattore in esame presenta un livello normale;compreso fra

0 e 1, se il fattore in esame si presenta a un livello inferiore a quelloritenuto normale;

• maggiore di 1, se il fattore in esame si presenta a un livello superiorea quello ritenuto normale.Ogni elemento xij (xij ≥ 0 per i ≠ j; i = 1, 2,…, n; j=1, 2,..., n) indica il

grado di influenza esercitata dal fattore xi corrispondente alla i-esima rigasu quello xj corrispondente alla j-esima colonna.

Il generico elemento xij può assumere valore:• pari a 1, qualora il fattore xi abbia un comportamento neutrale rispet-

to al fattore xj;• maggiore di 1, se il fattore i-esimo contribuisce ad esaltare il grado di

azione del fattore j-esimo;

Failla, Cascone, Porto204

Page 205: Centro di Ricerca CRIBe.Cu.M

• compreso fra 0 e 1, se il fattore i-esimo riduce la potenzialità del gradodi azione del fattore j-esimo;

• pari a 0, se il grado di azione del fattore j–esimo, ancorché elevato,viene completamente annullato dalla presenza del fattore i-esimo il cuilivello è ritenuto completamente insoddisfacente.La matrice X può essere orlata con una ulteriore riga (la n+1 - esima

riga) i cui elementi vj (j=1, 2,…, n) sono dati dal prodotto degli n elemen-ti della colonna j-esima, ossia:

Il termine vj rappresenta un indice del grado complessivo d’azioneesplicitato dal fattore j-esimo poiché risultato dell’interazione con gli altrin-1 fattori esaminanti.

Calcolato, quindi, il grado complessivo di azione relativo agli n fattoriconsiderati, il modello consente la costruzione di una funzione di utilitàmediante l’introduzione di opportuni coefficienti di ponderazione (pesi) ?i

da attribuire a ciascun valore vj. Tali coefficienti devono possedere iseguenti requisiti:

λi ≥ 0 per j = 1, 2,…, n

Eseguendo la somma dei prodotti del valori vj per i rispettivi pesi ?i èpossibile ottenere l’indice V :

che sinteticamente indica il grado di apprezzamento totale, cioè ilgrado di azione attribuibile complessivamente agli n fattori.

Il grado di apprezzamento totale, rappresentativo dell’utilità dell’alter-nativa considerata rispetto ad un livello ritenuto normale (per il quale ),è il parametro che consente di realizzare una classifica di priorità tra piùalternative possibili”

Poiché in questa sede non è possibile descrivere tutti i criteri di attribuzio-ne dei valori ai termini della matrice di interazione X, al fine di consentirel’interpretazione dei risultati si è ritenuto opportuno illustrare in Tabella 1almeno i valori relativi al grado di azione1 di ciascun fattore individuato.

Valutazione della suscettività al riuso dei fabbricati rurali tradizionali 205

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4. Risultati e discussione

Sebbene le norme relative all’agriturismo auspicano che l’attività diristorazione venga almeno affiancata da quella di ospitalità, negli edificiubicati nell’area etnea, ciò non sempre è realizzabile. Nei fabbricati in cuiè possibile riutilizzare alcuni ambienti per la realizzazione di camere daletto e/o minialloggi, il numero di posti letto non supera le 16 unità; cio-nonostante, la superficie mediamente disponibile per utente non è di moltosuperiore a quella prevista dalle norme vigenti [7]. Negli edifici etnei ègeneralmente possibile realizzare la zona di ristorazione con una capacitàmedia di 35 coperti e, tenuto conto delle caratteristiche plano-altimetrichedegli ambienti, con un impiego di superficie mediamente maggiore del20% rispetto a quella massima consigliata nei manuali di progettazioneedilizia [1].

Dallo studio svolto sugli edifici ubicati nell’area iblea, emerge unamaggiore flessibilità funzionale nonché una più razionale distribuzionedelle superfici disponibili per la realizzazione dell’area per la ristorazione.La capacità di posti letto è mediamente di 35 unità, mentre il numeromedio dei coperti è di 50 unità.

In entrambi i campioni di fabbricati, l’adeguamento della destinazioned’uso agrituristica ai fattori morfologici (TCO ed ST, v. Fig. 3), richiedeinterventi rilevanti. Inoltre, non sempre le altezze minime degli ambientiinterni sono rispondenti ai requisiti imposti dai regolamenti edilizi vigen-ti. Infine, la disponibilità di altri spazi funzionali fruibili dagli ospiti (spazidi deposito e salette di soggiorno) è mediamente insufficiente.

Mediante la relazione (2), per ciascuno degli edifici è stato calcolato ilgrado complessivo di azione dei fattori considerati che ha consentito di per-venire ai risultati illustrati in Fig. 4 dove gli scenari 1 e 2 si riferiscono a duedifferenti scelte strategiche eventualmente attuabili dalle Autorità competen-ti. Lo scenario 1 è stato determinato applicando al modello suddetto coeffi-cienti di ponderazione idonei a classificare i fabbricati nell’ambito di strate-gie che mirano ad ottimizzare la capacità ricettiva dell’attività agrituristica;lo scenario 2, invece, è stato individuato adottando pesi idonei a classificarei fabbricati nell’ambito di strategie che mirano alla conservazione dei carat-teri morfologici degli edifici interessati dall’intervento.

Failla, Cascone, Porto206

1 Termini della diagonale della matrice di interazione X.

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Valutazione della suscettività al riuso dei fabbricati rurali tradizionali 207

Tab. 1. Criteri di valutazione dei fattori che influenzano il grado di adattamento delladestinazione d’uso agrituristica ai caratteri morfologici degli edifici.

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Se si assume che per 0≤V <0,33, 0,33≤V <0,66, 0,66≤V <1, V≥1 tale gradodi apprezzamento totale è rispettivamente scarso, mediocre o sufficiente,è possibile affermare che tre fabbricati (due ubicati nell’area etnea ed unonell’area iblea) possono essere riutilizzati per l’agriturismo soddisfacendocontemporaneamente entrambi gli scenari ipotizzati; altri cinque (due ubi-cati nell’area etnea e tre nell’area iblea) possono essere destinati a tale atti-vità soltanto nell’ipotesi di adottare le scelte strategiche previste dal primoscenario. Si osserva, infine, che solamente per tre fabbricati ubicati nel-l’area etnea, l’obiettivo di conservare i caratteri morfologici dei fabbrica-ti (scenario 2) ne migliora la valutazione complessiva.

5. Conclusioni

Il rilievo effettuato mediante un’apposita scheda ha consentito la carat-terizzazione morfologica di un campione di fabbricati rurali tradizionali alfine di valutare, mediante un metodo di analisi multicriteriale, in qualemisura essi siano riutilizzabili per lo svolgimento di attività agrituristiche.

Si ritiene che il risultato di tale valutazione potrebbe integrare i criteriadottati dalle Autorità competenti nella scelta dei fabbricati su cui concen-trare eventuali sostegni finanziari. In particolare, al fine di preservare lecaratteristiche morfologiche degli edifici, nei casi di studio analizzati lascelta dei fabbricati dovrebbe avvenire sulla base dei seguenti criteri:

Failla, Cascone, Porto208

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Fig. 4. Confronto fra le valutazioni effetuate impiegando due distinti classi di peso.

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1 grado di adattamento della destinazione d’uso almeno sufficiente inentrambi gli scenari;

2 grado di adattamento relativo allo scenario 2 migliore dello scenario 1;3 scarto minimo del grado di adattamento valutato per i due scenari.

I risultati ottenuti sono stati condizionati dai criteri adottati per la valuta-zione dei fattori che influenzano il grado di adattamento della destinazioned’uso agrituristica agli edifici considerati. Certamente si può pervenire avalutazioni differenti assegnando ai suddetti fattori livelli normali più aderen-ti ai caratteri morfologici degli edifici rurali tradizionali esistenti nelle duearee omogenee, anche attraverso apposite indagini sul numero di posti letto esul numero di coperti mediamente offerti dalle aziende agrituristiche esisten-ti. Si ritiene che il metodo di valutazione adottato in questa ricerca possaessere applicato anche ad altre aree omogenee a vocazione agrituristica.Infine, il metodo con cui è stato determinato il grado di adattamento delladestinazione d’uso agrituristica ai fattori morfologici dei fabbricati apparte-nenti al campione esaminato, è ripercorribile per altre attività purché venga-no stabiliti in fase di analisi gli opportuni fattori di valutazione.

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Valutazione della suscettività al riuso dei fabbricati rurali tradizionali 209

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Failla, Cascone, Porto210

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MISURAZIONE DELLA PERFORMANCE

E TUTELA DEI BENI CULTURALI: IL CASO DELLA SICILIA

FINOCCHIARO CASTRO M. (1);(2), RIZZO I.(1)

(1)Dipartimento di Economia e Metodi Quantitativi, Università di Catania C.so Italia, 55 –95129 Catania, Tel. +39 (0)95 375344 int. 254, Fax. +39 (0)95 370574 [email protected]

(2)Department of economics, Royal Holloway College, University of London Egham Hill, Egham, Surrey - TW200EX, UK, Tel. +44 (0)1784 414158, Fax: +44 (0)1784

439534, [email protected]

1. Introduzione

Nella letteratura economica non viene dedicata molta attenzione allamisurazione della performance nel settore della tutela del patrimonio cul-turale. Obiettivo di questo lavoro è affrontare questo tema da un punto divista sia metodologico che empirico. Si tenterà di fornire una definizionedelle attività di tutela e un metodo per la costruzione di indicatori di per-formance in questo specifico ambito, estendendo al settore del patrimonioculturale tecniche già sperimentate in altri contesti e utilizzando l’attivitàdelle Soprintendenze siciliane come caso di studio.

In particolare, l’attenzione verrà concentrata sulle caratteristiche dellatutela in Sicilia e sugli strumenti più significativi di intervento, con speci-fico riferimento ai beni culturali immobili e paesaggistici. Successiva-mente, verrà analizzata l’attività delle Soprintendenze e verranno affron-tati i problemi metodologici connessi alla sua misurazione. Infine, pervalutarne la performance, si proporrà un esercizio di applicazione dellaData Envelopment Analysis (DEA).

2. L’attività delle Soprintendenze in Sicilia: strumenti di intervento eproblemi di misurazione

A differenza che nelle altre regioni italiane, in Sicilia la tutela delpatrimonio culturale è competenza esclusiva del governo regionale ed è

211

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realizzata attraverso l’attività di nove Soprintendenze1. Le Soprintenden-ze sono organi tecnici che svolgono un ruolo di grande rilievo e godonodi ampi margini di discrezionalità giacché non soltanto la scelta dellostrumento ma anche l’ambito stesso dell’intervento di tutela rientra nellaloro sfera decisionale. La loro attività, quindi, offre un caso di studio inte-ressante per analizzare le caratteristiche dell’intervento pubblico nel set-tore culturale.

La identificazione di ciò che presenta interesse culturale e merita diessere tutelato è di competenza della Soprintendenza. Per i beni di proprie-tà privata è necessaria la dichiarazione dell’interesse culturale e, una voltaaccertata la sussistenza di tale interesse, questi beni sono sottoposti a vin-colo e gli interventi di protezione sono soggetti all’autorizzazione dellaSoprintendenza competente. Tutti i beni di proprietà pubblica rientranonella sfera di competenza della Soprintendenza a meno che non sia statadichiarata l’insussistenza del loro interesse culturale.La mancanza di oggettività sottesa all’identificazione di ciò che può con-siderarsi bene culturale e alla scelta del tipo di intervento da realizzareimplica che le Soprintendenze godano di ampi margini di autonomia e chesul risultato finale incidano significativamente le caratteristiche del pro-cesso decisionale pubblico e dei soggetti in esso coinvolti. Anche nel casodella tutela del patrimonio culturale, come in altri ambiti di interventopubblico, il processo decisionale può essere descritto come una catena direlazioni “principale – agente”. Anzi, il settore dei beni culturali è caratte-rizzato da asimmetrie informative particolarmente marcate, in conseguen-za dei problemi informativi connessi alle caratteristiche artistiche e stori-che del bene culturale [15]. Le ragioni sottese all’intervento pubblico in questo settore sono ben notee non sono qui ulteriormente approfondite2 così come si rimanda ad altricontributi3 per l’analisi positiva delle particolari caratteristiche delle poli-

Finocchiaro Castro, Rizzo212

1 Per un’analisi delle competenze delle Soprintendenze siciliane, v. [10]. In generale,per una trattazione delle tematiche connesse alla tutela e valorizzazione dei beni cultura-li in Sicilia, v. [16] e [11].

2 Il “fallimento del mercato” è riconducibile ai ben noti problemi derivanti dall’esi-stenza di beni pubblici, di esternalità, di benefici derivanti dalla mera esistenza del patri-monio, indipendentemente dalla fruizione (non use values) che, in assenza di interventicorrettivi, condurrebbero a risultati inefficienti, per esempio, ad un livello insufficientedi tutela. Sulle giustificazioni normative, recentemente, v. [4].

3 [7], [9] e [14].

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tiche pubbliche in questo ambito. Qui si ritiene utile focalizzare l’attenzio-ne sugli strumenti di intervento a disposizione del governo regionale –spesa pubblica e regolamentazione - per giungere a fornire una definizio-ne del prodotto delle Soprintendenze e tentarne la misurazione4.

2.1. Definizione dell’attività di tutela

Nella letteratura economica poca attenzione è stata dedicata alla defini-zione del prodotto dell’attività di tutela e alla sua misurazione. Questolavoro sviluppa l’analisi avviata dagli autori sullo stesso tema in preceden-ti lavori, [2] e [3], ai quali si rimanda per maggiori approfondimenti.

Pur consapevoli delle inevitabili semplificazioni, facendo riferimentoalla distinzione tra spesa pubblica e regolazione prima richiamata, l’attivi-tà delle Soprintendenze viene scomposta in due tipologie distinte -laTutela Attiva (TA) e la Tutela Passiva (TP)- che possono essere utili sia percomprendere le implicazioni economiche dell’attività di tutela che comebase per condurre l’analisi empirica.

Il concetto di TA è riconducibile all’intervento di spesa e comprendeuna vasta gamma di attività che include: attività di catalogazione, forma-zione specialistica del personale, scavi, restauri e manutenzione. LeSoprintendenze godono di ampi margini di autonomia nella programma-zione della TA, subordinata alla limitata disponibilità di fondi, mentre,dopo l’approvazione del programma, non sono ammesse variazionidiscrezionali né autonomia decisionale nella gestione della spesa5.

La TP riguarda l’attività riconducibile alla regolazione e ai controllisulla sua applicazione e si sostanzia in molti tipi di atti di natura preva-lentemente amministrativa, anche se con rilevante contenuto specialisti-co, rivolti a soggetti sia pubblici che privati. Le Soprintendenze nell’eser-cizio dell’attività di regolazione godono di un ampio ambito di discrezio-nalità. In alcuni casi, le attività di regolazione dipendono dalla domandadei regolati (per esempio, è questo il caso delle autorizzazioni ad interve-nire sul bene culturale)6 mentre, in altri casi, può trattarsi di misure spon-

Misurazione della performance e tutela dei Beni Culturali: il caso della Sicilia 213

4 Nel settore culturale questo problema è stato ampiamente studiato con riferimentoall’attività dei musei. Per la Sicilia, v. [12] e [13].

5 Fanno eccezione soltanto le situazioni di emergenza. 6 L’intensità di questa forma di regolazione dipende dal tipo di bene culturale e dal

vincolo al quale il bene è sottoposto: per esempio, le prescrizioni saranno più stringenti,con riferimento agli interni, se il bene è di interesse artistico, mentre sarà meno stringen-te se il bene, anche quando sito nel centro storico, è soltanto soggetto a restrizioni circail suo aspetto esterno.

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taneamente adottate per limitare le attività sui beni culturali (per esempio,i vincoli)7 o per sanzionare violazioni (per esempio, le demolizioni).

2.2. Composizione e determinanti dell’output complessivo

Come viene decisa la composizione dell’output complessivo delleSoprintendenze? È ragionevole attendersi che le Soprintendenze decidanoin base ai vincoli esterni e alle preferenze degli esperti operanti al propriointerno, anche in ragione del sistema degli incentivi esistenti.

I due tipi di prodotto sono sottoposti a vincoli e incentivi diversi. I vinco-li finanziari sono più stringenti per la TA che per la TP dal momento che laspesa ha un ruolo limitato rispetto al complesso dell’attività di regolazione8.Non sembra, peraltro, che esistano incentivi finanziari specifici mirati a sti-molare l’attività delle Soprintendenze: le risorse loro assegnate non sonoinfluenzate dalla loro performance9. Gli incentivi derivanti dal prestigio edalla reputazione tra gli specialisti sono probabilmente più marcati per la TAin quanto, oltre all’attività di ricerca, la TA offre opportunità di interpretazio-ni storiche innovative, di nuovi ritrovamenti che costituiscono una testimo-nianza delle competenze degli esperti operanti all’interno dellaSoprintendenza. Naturalmente, l’efficacia di questi incentivi è, comunque,condizionata dall’esistenza dei vincoli finanziari prima ricordati.

Gli incentivi operano in modo diverso sulle attività di TP; alcune di esse –per esempio, le autorizzazioni, i permessi, gli ordini di demolizione - esercita-no effetti rilevanti sulle attività collegate ai beni culturali e producono beneficio costi divisibili. Di conseguenza, questo specifico tipo di attività è più espostoal controllo dei soggetti interessati (individui, imprese e istituzioni), cioè aglistimoli della “domanda”, e in questo caso è probabile che i ritardi o altre even-tuali manifestazioni di condotta inefficiente delle Soprintendenze possano darluogo a qualche forma di protesta. Questa tendenza potrebbe essere ulterior-mente incentivata dal contesto istituzionale; basti ricordare che leSoprintendenze sono responsabili per i danni che il bene culturale subisce inconseguenza di ogni lavoro o attività che terzi conducono in relazione al beneculturale. In base a questi elementi, potrebbe emergere un incentivo a privile-giare attività di TP, nel senso di allocare le risorse disponibili, principalmente ilpersonale, in quelle attività sottoposte ad un maggiore controllo esterno. Il

Finocchiaro Castro, Rizzo214

7 Questi vincoli possono essere di diverso tipo: vincoli monumentali; divieti di appor-tare modifiche al bene culturale; vincoli paesaggistici.

8 Per esempio, questo è il caso della spesa per demolizioni ed espropri. 9 Sul punto, v. l’analisi dei determinanti del finanziamento delle Soprintendenze svol-

ta da [5].

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ruolo della pubblica opinione sembra, invece, essere meno rilevante nell’in-fluenzare la decisione di attuare la TA dal momento che tale decisione dipendeprevalentemente dalle condizioni del sito/edificio così come dalla sua impor-tanza artistica e storica, anche se la scelta tra restauro conservativo e possibili-tà di riuso di un edificio comporta significative differenze per quanto riguardagli usi compatibili e, pertanto, l’impatto sullo sviluppo locale.

3. Analisi Empirica dell’Attività di Tutela Attiva e Passiva delleSoprintendenze Siciliane

I dati utilizzati per valutare la performance delle Soprintendenze si riferi-scono all’attività di TA e TP. Per quanto riguarda quest’ultima, abbiamo rac-colto il numero di atti amministrativi posti in essere da ogni Soprintendenzanel periodo 1993-2000 (per ulteriori dettagli si veda l’appendice). Data l’ete-rogeneità degli atti amministrativi considerati, abbiamo deciso di pesarliprendendo in considerazione sia le difficoltà di natura tecnica sia quelle dinatura amministrativa che si devono affrontare per porre in essere tali atti10.

I dati della TA si riferiscono ai pagamenti relativamente ai beni cultura-li effettuati dall’Assessorato ai BB.CC. ed AA. nel periodo 1993-2000.11

Avendo a nostra disposizione sia i dati degli impegni sia quelli dei paga-menti, abbiamo scelto di utilizzare quest’ultimi per la nostra analisi.Nonostante i pagamenti non dipendano esclusivamente dall’attività delleSoprintendenze12, riteniamo che essi rispecchino più fedelmente i risulta-ti dell’intervento pubblico rispetto gli impegni.

In un precedente lavoro, [2] abbiamo usato gli stessi dati per costruirealcuni indici di attività di TA e TP. Attraverso tali indici, si evidenzia chele Soprintendenze mostrano output abbastanza simili nonostante le signi-ficative differenze in dimensioni finanziarie e patrimonio culturale di com-petenza. Inoltre, i livelli di attività di TA e TP riscontrati per ciascuna

Misurazione della performance e tutela dei Beni Culturali: il caso della Sicilia 215

10 I pesi, i cui valori vanno da 1 a 5, sono stati assegnati da diversi dirigenti che lavo-rano in differenti dipartimenti dell’Assessorato ai BB.CC. e presso alcuneSoprintendenze.

11 I nostri dati riguardano le risorse finanziarie disponibili così come indicate sulbilancio della Regione Sicilia per le attività di recupero, restauro, mantenimento e con-servazione dei beni culturali immobili. Per una più dettagliata analisi degli aspetti finan-ziari si veda [10].

12 Ad esempio, i pagamenti possono dipendere dagli appelli, dalla velocità delle pro-cedure di restauro e conservazione e da eventuali problemi legali con le ditte appaltatri-ci delle opere di restauro.

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Soprintendenza sembrano riflettere gli andamenti regionali. Nel presentelavoro impiegheremo gli stessi dati per analizzare la performance dell’at-tività di tutela svolta dalle Soprintendenze.

3.1 Analisi d’Efficienza: un’Applicazione della DEA

Per misurare l’efficienza dell’attività di tutela delle Soprintendenzeabbiamo applicato una tecnica non parametrica, la Data EnvelopmentAnalysis (DEA), ai dati relativi alla TA e alla TP. Si tratta di un program-ma lineare e deterministico, che è stato inizialmente sviluppato da [1] percostruire la frontiera della tecnologica su base non parametrica13. La tec-nica DEA è comunemente utilizzata in diversi settori (sanità, istruzione,etc.) poiché mostra un elevato grado di flessibilità d’impiego. Tale approc-cio consente di studiare l’efficienza attraverso due modelli alternativi: lamassimizzazione degli output e la minimizzazione degli input. In questolavoro, applicheremo il modello di minimizzazione degli input che è coe-rente con il paradigma principale-agente che, come si è detto, caratteriz-za l’attività di tutela del patrimonio culturale.

Nel nostro studio, assumiamo che le Soprintendenze producano outputsia in termini di TA sia in termini di TP. Gli input a disposizione sono ilpersonale14 ed il patrimonio culturale15. Quest’ultimo è un input concaratteristiche particolari poiché costituisce la condizione necessaria

Finocchiaro Castro, Rizzo216

13 La DEA è definita come non parametrica poiché non si assume che la tecnologiasottostante appartenga ad una determinata classe di funzioni la cui forma funzionaledipende da un numero finito di parametri, come ad esempio la ben nota funzione Cobb-Douglas. Inoltre, questa tecnica è anche detta non-statistical perchè non vengono fattealcune assunzioni circa la distribuzione degli errori (cioé i residui d’efficienza) della fun-zione di produzione [17]. Utilizzando la DEA, è possibile misurare la massima contra-zione (espansione) radiale degli inputs (outputs) compatibile con l’insieme delle possibi-li scelte di produzione o spazio d’inviluppo. Tale analisi si divide in due fasi. Nella prima,si sviluppa un programma matematico che permette di ottenere lo spazio d’inviluppo par-tendo da ogni unità decisionale in questione. Successivamente, si segue una procedura diottimizzazione della proiezione radiale di ogni unità decisionale all’interno dell’invilup-po. Chiaramente, l’inviluppo così ottenuto deve soddisfare tutti i requisiti imposti dallateoria economica, come illustrato in [6].

14 I dati relativi al personale sono stati ottenuti dall’Assessorato ai BB.CC. e AA. Inparticolare, i valori utilizzati nella nostra analisi fanno riferimento esclusivamente al per-sonale direttamente coinvolto nelle attività di AC e PC delle Soprintendenze.

15 I dati relativi al patrimonio culturale sono stati raccolti dall’Atlante dei BeniCulturali Siciliani pubblicato nel 1988. Questi sono gli unici dati ufficiali tuttora dispo-

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affinché vi sia attività di tutela e non può, pertanto, essere consideratocome un qualsiasi elemento di costo. Il patrimonio culturale può, quindi,essere considerato come un input non controllabile poiché l’obiettivo del-l’attività di tutela non è volto alla sua minimizzazione quanto, piuttosto,alla sua conservazione ed ampliamento. Al tempo stesso, pur con questepeculiarità, si ritiene opportuna la sua inclusione nella analisi per cattura-re le eventuali differenze in termini di efficienza tra le Soprintendenzesiciliane. Input e output sono riportati in Tabella 1.

Nella nostra analisi, ogni Soprintendenza, in ogni anno d’osservazione,rappresenta un’unità decisionale16 per la quale abbiamo calcolato il livel-lo d’efficienza assumendo rendimenti variabili di scala17. In un preceden-te lavoro [3], abbiamo presentato possibili specificazioni alternative deimodelli di minimizzazione degli input e massimizzazione degli output ene abbiamo discusso aspetti positivi e negativi. La comparazione di talispecificazioni alternative ci ha permesso di pervenire alla scelta di un

Input

Patrimonio Culturale (Input non controllabile)

Personale (Input controllabile)

Output

Atti Amministrativi Pesati

Misurazione della performance e tutela dei Beni Culturali: il caso della Sicilia 217

nibili. Per ogni Soprintendenza, viene riportato (1) il totale dei siti archeologici, (2) i benipaesaggistici, architettonici ed urbani, (3) il patrimonio etno-antropologico e (4) i benistorico-artistici. Alcune categorie di beni culturali presenti nell’Atlante dei Beni CulturaliSiciliani (i beni archeologici museali, beni archivistici, beni bibliografici ed i beni natu-rali e naturalistici) sono state escluse dalla nostra analisi poiché non direttamente connes-se con l’attività di TA e TP.

16 Quei valori che costituiscono degli outliers sono stati esclusi ed il numero di unitàdecisionali è stato ridotto da 72 a 64. In ogni caso, abbiamo anche calcolato i livelli d’ef-ficienza utilizzando gli outliers senza riscontrare alcuna differenza significativa.

17 Abbiamo anche condotto lo studio d’efficienza sotto l‘ipotesi di rendimenti costan-ti di scala, anche in questo caso, senza trovare alcuna differenza significativa rispettoall’ipotesi di rendimenti variabili di scala.

Tab. 1. Variabili Utilizzate nell’Analisi d’Efficienza.

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modello, che meglio sembra rappresentare la performance delleSoprintendenze nell’attività di tutela dei beni culturali. La specificazionescelta per tale modello è la minimizzazione degli input in cui il patrimo-nio culturale è considerato come input non controllabile e gli atti ammini-strativi di TP sono distinti in due categorie: gli atti posti in essere in segui-to a domanda di terzi (per esempio, i proprietari di un bene culturale) equelli spontaneamente “prodotti” dalla Soprintendenza. La Tabella 2mostra i valori relativi a tale modello18.

L’inclusione del patrimonio culturale come input non controllabile meritaqualche commento. Questo input permette di tener conto, anche se in manie-ra non perfetta, delle differenti “dimensioni” delle Soprintendenze. I risulta-ti delle singole unità decisionali, qui non riportati per esigenze di spazio,mostrano come molte unità di piccole dimensioni raggiungano la frontierad’efficienza o vi siano molto vicine. In altre parole, il patrimonio culturalepermette di verificare il collegamento tra l’output prodotto da una soprinten-denza ed il patrimonio da tutelare. Molta cautela, però, va utilizzata nel trar-re conclusioni circa l’efficienza relativa delle Soprintendenze. La DEA con-sente a quelle unità decisionali che presentano bassi livelli di input ed altilivelli di output di raggiungere elevati scores di efficienza. Il patrimonio cul-turale non rappresenta soltanto un costo, il cui basso livello combinato conun’intensa attività di tutela permette di ottenere alti livelli d’efficienza, maesso costituisce la ragione stessa dell’attività di tutela svolta dalleSoprintendenze. I risultati dell’analisi d’efficienza sono, dunque, significati-vamente influenzati dal duplice ruolo svolto dal questo input.

Finocchiaro Castro, Rizzo218

18 Non riportiamo i valori del patrimonio culturale poiché esso è considerato comeinput non controllabile nella nostra analisi.

Tab. 2. Modello di Minimizzazione Input.

Personale -18%

Tutela Attiva -

Tutela Passiva indotta dai privati -

Tutela Passiva svolta dalle Soprintendenze -

Perc. Di unità decisionali efficienti 25%

Efficienza media 76.60%

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Come rilevato in un precedente lavoro [3], è interessante sottolineareche la distinzione tra atti amministrativi posti in essere in seguito a doman-da di terzi e quelli spontaneamente “prodotti” dalla Soprintendenza per-mette di raggiungere valori di efficienza più elevati. In particolare, la com-ponente indotta dai privati richiede, in media, minori miglioramenti perraggiungere la frontiera d’efficienza rispetto quella spontanea delleSoprintendenze. In altre parole, tale componente potrebbe ridurre i poten-ziali effetti negativi sulla performance delle Soprintendenze che sonodovuti alle scelte discrezionali degli esperti in conseguenza delle asimme-trie informative che caratterizzano il processo decisionale.

Nonostante il modello descritto sia quello che ha raggiunto il più alto livel-lo di efficienza, l’analisi mostra come sia ancora possibile aumentare il livellod’efficienza medio delle Soprintendenze, giungendo alla loro dimensione otti-male, intesa in termini di personale. Per poter ottenere tale risultato, bisognaprima definire la tipologia di rendimenti di scala che caratterizzano ogni unitàdecisionale. La Tabella 3 mostra che soltanto 15 unità decisionali (pari al 23%del totale) hanno rendimenti costanti di scala, 39 unità decisionali (pari al 61%del totale) hanno rendimenti decrescenti di scala ed, infine, soltanto 10 unitàdecisionali (pari al 16% del totale) hanno rendimenti crescenti di scala; insostanza, durante il periodo d’osservazione, la scala media di produzione delleSoprintendenze è stata di dimensione maggiore rispetto quella efficiente.

Relativamente ad una possibile variazione degli input, l’analisi mostrache, nel caso di unità decisionali al di sotto della frontiera d’efficienza, ladimensione ottimale potrebbe essere raggiunta attraverso una diminuzio-ne del personale, in media pari al 18%. Tale dato è fornito dall’analisi deipotenziali miglioramenti attuabili, in media, dalle unità decisionali. Chia-ramente, se da un lato, tali suggerimenti riguardano le modalità di miglio-

Constanti 15

Decrescenti 39

Crescenti 10

Totale 64

Misurazione della performance e tutela dei Beni Culturali: il caso della Sicilia 219

Tab. 3. Distribuzione dei Rendimenti di Scala.

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ramento dell’efficienza di ogni unità decisionale, dall’altro lato, non offro-no elementi per valutarne la qualità o l’efficacia.

Per analizzare gli eventuali effetti dei cambiamenti tecnologici sui livellid’efficienza dell’attività di tutela delle Soprintendenze è stato calcolato l’in-dice di produttività di Malmquist19. Tale indice ha mostrato che non vi sonostati cambiamenti tecnici rilevanti nel corso del periodo d’osservazione, chei cambiamenti nei fattori produttivi dovuti all’innovazione tecnologica nondifferiscono significativamente tra le Soprintendenze e che, in media, talivariazioni sono leggermente positive al passare del tempo.

4. Conclusioni

Questo lavoro costituisce un primo esercizio di applicazione della DEAnel settore della tutela dei beni culturali; i risultati ottenuti mostrano che cisono margini di miglioramento dei livelli d’efficienza delle Soprintendenzesiciliane. Nel caso dell’attività di TP, le Soprintendenze sembrano essere rela-tivamente più efficienti quando il loro output è originato dalla domanda deiterzi. Comparando le attività di TA e TP, è nella prima, in cui la performanceè più facilmente verificabile e monitorabile, che si raggiungono livelli di effi-cienza relativa maggiori. Più in generale, il complesso sistema dell’attivitàdelle Soprintendenze sembra essere sensibile all’esistenza di incentivi ester-ni; quindi, una possibile implicazione di policy sarebbe quella di introdurreincentivi e vincoli sull’attività di tutela in maniera da aumentare l’efficienzadel mix dell’output delle Soprintendenze. L’analisi, comunque, non ci per-mette di valutare né la qualità né l’efficacia delle varie unità decisionali.

Inoltre, a causa dei limiti dei dati a disposizione, i nostri risultati devo-no essere considerati esclusivamente come indicatori delle potenzialitàmetodologiche ed applicative della DEA nel campo dell’analisi economi-ca applicata al settore dei beni culturali. Il presente lavoro, in conclusione,rappresenta un primo passo verso una più completa analisi e misurazionedell’efficienza dell’attività di tutela; tale misurazione, però, necessita unsignificativo ampliamento dei dati a disposizione.

Finocchiaro Castro, Rizzo220

19 L’indice di produttività di Malmquist permette di scorporare la variazione neltempo dell’efficienza tecnica dallo spostamento nel tempo della frontiera di produzione(in altre parole, il progresso tecnico).

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APPENDICE

BIBLIOGRAFIA

1. M.J. Farrell. «The Measurement of Productive Efficiency», Journal of the RoyalStatistical Society, vol.120, n. 3, 1957, pp. 253-290.

2. M. Finocchiaro Castro e I. Rizzo, «La misurazione della performance nel settoredella tutela dei beni culturali», in Mignosa, A. e Rizzo, I. (a cura di), Tutela e valo-rizzazione dei beni culturali in Sicilia, Franco Angeli, Milano, 2005a.

3. M. Finocchiaro Castro, e I. Rizzo, «Performance Measurement of HeritageConservation Activity: The Case of Sicily», DEMQ Working Paper, 2005b.

4. B. Frey, «Public Support», in Towse, R. (ed.), A Handbook of Cultural Economics,Edward Elgar, Cheltenham, 2003.

5. C. Guccio e I. Mazza, «Analisi politico-economica del finanziamento regionaledei beni culturali», in Mignosa, A. e Rizzo, I. (a cura di), Tutela e valorizzazionedei beni culturali in Sicilia, Franco Angeli, Milano, 2005.

6. K. Lovell, «Production Frontiers and Productive Efficiency», in Fried, H., Lovell,K. e Schmidt, S. (eds), The Measurement of Productive Efficiency, OxfordUniversity Press, New York, 1993.

Atti Amministrativi

Autorizzazioni (aree archeologiche) Modifica decreto

Abusivismo:annull.sanz.art.59 Occupazione d’urgenza

Acquisti Osservazioni

Approvazione donazioni Spese autorizzazione

Approvazioni lavori-78124 Spese variazioni 78104

Contributi a comuni per acquisti Svincolo somme

Contributi per acquisti-78201 Vincoli archeologici

Contributi per restauri Vincoli architettonici

Decisioni su ricorsi Vincoli etno-antropologici

Demolizioni Vincoli monumentali

Dichiarazione P.U. Vincoli naturalistici

Misurazione della performance e tutela dei Beni Culturali: il caso della Sicilia 221

Page 222: Centro di Ricerca CRIBe.Cu.M

7. I. Mazza, «Public Choice», in Towse, R. (ed.), A Handbook of CulturalEconomics, Edward Elgar, Cheltenham, 2003.

8. I. Mazza e I. Rizzo, Public Decision-Making in Heritage Conservation, 2000,mimeo. I. Mazza e I. Rizzo, «Scelte Collettive e Beni Culturali», in Valentino, P.e Mossetto, G. (eds), Museo Contro Museo, Giunti, Firenze, 2001.

9. A. Mignosa, «The Organisation and Finance of Cultural Heritage in Sicily», inRizzo, I. e Towse, R. (eds), The Economics of the Heritage: A Study in the PoliticalEconomy of Culture in Sicily, Edward Elgar, Cheltenham, 2002.

10. A. Mignosa e I. Rizzo (a cura di), Tutela e valorizzazione dei beni culturali inSicilia, Franco Angeli, Milano, 2005.

11. G. Pignataro, «Measuring the Efficiency of Museums: A Case Study in Sicily», inRizzo, I. e Towse, R. (eds), The Economics of the Heritage: A Study in the PoliticalEconomy of Culture in Sicily, Edward Elgar, Cheltenham, 2002.

12. G. Pignataro, «Valutazione della performance e struttura organizzativa deimusei», in Mignosa, A. e Rizzo, I. (a cura di), Tutela e valorizzazione dei beni cul-turali in Sicilia, Franco Angeli, Milano, 2005.

13. I. Rizzo, «Heritage Conservation: the Role of Heritage Authorities», in Rizzo, I. eTowse, R. (eds.), The Economics of the Heritage: A Study in the Political Economyof Culture in Sicily, Elgar , 2002, pp. 31-47.

14. I. Rizzo, «Regulation», in Towse, R. (ed.), A Handbook of Cultural Economics,Edward Elgar, Cheltenham, 2003.

15. I. Rizzo, e R. Towse, The Economics of the Heritage: A Study in the PoliticalEconomy of Culture in Sicily, Edward Elgar, Cheltenham, 2002.

16. J. Sengupta, «Efficiency Measurement in Non-Market Systems through DataDevelopment Analysis», International Journal of Systems Science, 18, 1987, p.2279-2304.

Finocchiaro Castro, Rizzo222

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IL PREZIOSO RUOLO DELLA RICERCA NEI BENI CULTURALI

GRECO V.

Galleria Regionale di Palazzo Bellomo, via Capodieci, 12 96100 Siracusa; tel: 0931-69511; 3478792265; fax 0931-69529 [email protected]

Forse a prima vista una collaborazione tra un museo di arte medievale emoderna e una facoltà di tecnologie applicate alla conservazione e al restau-ro dei beni culturali può sembrare scontata, quasi normale. Ma, approfon-dendo la questione dal punto di vista di chi, come me, si trova a dover farei conti ogni giorno con la particolare condizione dell’istituzione musealeche, in un clima di sempre maggiori restrizioni non dispone assolutamentedi alcun fondo per la ricerca, ci si rende conto che questa collaborazione èdi vitale importanza per la qualità dell’offerta culturale che il museo propo-ne al pubblico. Oggi i musei siciliani si dibattono tra le difficoltà dotazionifinanziarie sempre più esigue, costi di personale e strutture sempre maggio-ri, e necessità di fornire un servizio adeguato agli standard prestazionali deimusei italiani ed esteri. Anche quando ci sia una dotazione di personale suf-ficiente, condizione che certo non è quella del Museo Bellomo, da sempreinficiato da una cronica mancanza di personale, soprattutto tecnico e specia-listico, questa da sola non basta perché deve essere affiancata dall’accessoagli strumenti e alla ricerca che solo un centro deputato istituzionalmentealla ricerca, come l’Università, può garantire.

Dal canto suo, una facoltà che si prefigge di formare personale qualifica-to per il restauro e la conservazione dei beni culturali può rischiare, se nonintraprende percorsi dai quali lo studente può accedere a sperimentazioni pra-tiche, di cristallizzare su posizioni meramente teoriche il bagaglio culturalefornito. Così, i percorsi paralleli, l’uno volto ad acquisire nozioni specialisti-che ma teoriche, l’altro immerso nei problemi quotidiani e martellanti dellaconcreta organizzazione, quando invece riescono a trovare un punto di con-tatto, si scambiano linfa vitale, e costruiscono insieme una possibilità che,sperimentando una sorta di “ricerca applicata sul campo” arricchisce entram-bi di ulteriori potenzialità che generano un percorso “virtuoso”.

223

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La mostra di Mario Minniti, pittore siracusano seicentesco, così famo-so da tenere una tra le maggiori, forse addirittura la più fiorente, bottegad’arte, è stata il primo “laboratorio” di sperimentazione tra i due istituti.Lo studio colorimetrico effettuato secondo i protocollo fissati dalla norma-tiva, è stato molto importante per due motivi: il primo ovviamente attieneal valore intrinseco della ricerca specifica sul pittore siracusano che, valu-tato sempre sbrigativamente dalla critica come “caravaggesco”, e comun-que non aiutato certo dal fatto che fu amico e modello di Caravaggio, nonè stato studiato, analizzato e approfondito, finora, così come invece meri-terebbe. Così, nella fiorente produzione della bottega si riscontrano opereche non presentano sempre la stessa qualità pittorica e spaziale, e, accan-to a capolavori riconosciuti come Il Miracolo della vedova di Naim ol’“Ecce Homo” maltese, conservato a ‘Mdina’, si ritrovano opere la cuifattura ed esecuzione molto probabilmente sono da attribuirsi alla “scuo-la”, cioè a quella cerchia di pittori, più o meno vicini al maestro che ese-guivano le copiose commissioni provenienti da tutta la Sicilia.L’attribuzione di un dipinto, infatti, si avvale di una serie di elementioggettivi quali le fonti d’archivio, ma è determinante la ricerca, che attra-verso l’analisi del colore e quindi della tavolozza cromatica del maestro edegli allievi, può offrire elementi di identificazione assai probanti.

Inoltre, le indagini radiografiche, che non sono invasive e non costitui-scono alcun pericolo per l’opera d’arte, penetrando gli strati pittorici,attraverso gli infrarossi permettono di vedere in tutta chiarezza il disegnopreparatorio sottostante al dipinto, svelando così non solo “ripensamenti”ma anche le tracce non visibili di eventuali ad esempio di quadrettature,che, costituendo la base per una copia, sono la conferma implacabile dellanon originalità dell’opera. Questo tripodi analisi quindi fornisce utilissimeinformazioni non solo per la datazione ma anche per testare l’autenticitàdi un dipinto, e per verificare eventuali disegni preparatori o assenza diessi, anche come elemento importante per l’attribuzione dell’opera.

Le indagini sono state per buona parte condotte su aspetti colorimetri-ci e misurazioni di colore, oltre alle radiografie all’infrarosso. Scoprire ori-scoprire che il colore, elemento fondamentale delle opere d’arte non èuna grandezza o misura oggettiva ma una percezione soggettiva da partedell’occhio umano dell’assorbimento delle vari lunghezze d’onda conte-nute nel fascio di luce, significa ripensare e ragionare sul condizionamen-to operato dalle varie sorgenti luminose che noi, preposti all’esposizionedelle opere d’arte presso il pubblico, normalmente utilizziamo, spesso

Greco224

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senza il supporto necessario dell’approfondimento tecnico e scientificoche invece l’argomento meriterebbe.

Una sorgente di luce non è infatti uguale ad un’altra e solo misurando-ne gli effetti sul dipinto e cioè su come il nostro occhio percepisce le varia-zioni dei colori, e confrontando con il modello cui fare riferimento dellaluce naturale, si può scegliere e proporre al fruitore/visitatore una soluzio-ne più corretta ed adeguata. E, oltre a ciò, possono sperimentarsinuove/antiche emozioni, sulla base della conoscenza di quelle che erano lefonti di luce utilizzate dall’artista, naturale o artificiale e sui presunti effet-ti che lo stesso aveva programmato per la percezione della sua opera. Èfondamentale infatti conoscere quanto più oggettivamente le condizionidell’opera nella sua genesi, che evidentemente è già definita all’internodella mente dell’artista prima ancora che egli l’abbia trasferita sul suppor-to scelto, tela, pietra, legno, metallo.

Solo così si può operare quella necessaria quanto inevitabile opera di“ridefinizione”, ben sapendo che qualsiasi riproposizione odierna non puòpretendere di restituire l’immagine storica dell’opera, perché sarebbeimpossibile, ma può mettere in luce alcuni aspetti ritenuti essenziali,orientare verso la percezione di quegli elementi che l’artista aveva gerchi-camente fissato, cercando di fornire le chiavi di lettura senza operare arbi-trarie e ingiustificate cesure o, peggio, “mettendo in ombra” componentiimportanti per una globale comprensione dell’opera.

Il prezioso ruolo della ricerca nei Beni Culturali 225

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ANALISI DELLA FLORA E DELLA VEGETAZIONE

DELLE AREE ARCHEOLOGICHE DELLA SICILIA ORIENTALE

FINALIZZATA ALLA TUTELA E VALORIZZAZIONE

DEI MANUFATTI ARCHITETTONICI

GUGLIELMO A.(1), PAVONE P.(1)., SPAMPINATO G.(2), TOMASELLI V.(3)

(1) Dipartimento di Botanica, Università di Catania -(2) Dipartimento S.T.A.F.A., Università Mediterranea di Reggio Calabria

(3) CNR, Istituto di Genetica Vegetale, Bari

Ricerche sulla flora spontanea e ornamentale e sulla vegetazione infe-stante sono dedicate da alcuni anni ai più importanti complessi archeolo-gici della Sicilia orientale (1): la Neapolis (2) e la Latomia dei Cappuccinia Siracusa (3), il Parco Archeologico di Akrai a Palazzolo Acreide (4);inoltre è stata avviata l’analisi dell’area di Megara Hyblea.

Lo studio della componente ornamentale consente di meglio conoscere evalutare il contesto rilevato, ai fini di una corretta gestione, ed ha evidenzia-to due aspetti meritevoli di nota: gli impianti a verde preesistenti, connotabi-li come verde storico, e quelli di recente realizzazione. Un esempio di verdestorico si osserva nella Latomia dei Cappuccini dove accanto a specie frutti-fere risalenti all’800, sono presenti alberi ornamentali introdotti successiva-mente, quando l’area era usata come giardino pubblico (3).

Gli impianti a verde più recenti non sempre rispettano le caratteristichestazionali e storiche del sito rivelandosi inadeguati e inappropriati.L’esempio del Parco archeologico di Akrai (4) dimostra quanto spesso talirealizzazioni siano dovute solo all’improvvisazione.

In particolare i criteri d’intervento proposti per le aree studiate sonovolti a valorizzare il bene dal punto di vista paesaggistico, a migliorarnela fruizione turistica, a risolvere particolari problemi ambientali. Inoltre lascelta delle specie da utilizzare deve tener conto di parametri quali condi-zioni climatiche, utilizzo di specie autoctone o, comunque, di esotichecompatibili con l’ambiente, possibilità di svolgere altri scavi.

Gli studi sulla flora e sulla vegetazione spontanea evidenziano i com-plessi rapporti tra specie e comunità vegetali e manufatti architettonici (5,6). L’esigenza primaria della conservazione e tutela può scontrarsi con gli

226

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interventi di controllo della vegetazione, ma anche con la funzione esteti-co-ricreativa che le piante svolgono nelle aree archeologiche e con l’inte-resse scientifico-ecologico di specie e/o comunità vegetali presenti. E’stata così rilevata la presenza di specie rare o endemiche come Calendulasuffruticosa Vahl ssp. gussonii Lanza, Origanum onites L., Antirrhinumsiculum Miller nella Neapolis e Aristolochia altissima Desf. nella Latomiadei Cappuccini.

Lo studio fitosociologico della vegetazione della Neapolis a Siracusa(2) ha evidenziato come le fitocenosi si distribuiscono in funzione di fat-tori microclimatici, edafici e antropici. I sintaxa osservati si riferisconoalle classi Parietarietea judaicae, Adiantetea capilli-veneris, Stellarieteamediae (Brometalia rubenti-tectori, Geranio-Cardaminetalia hirsutae),Polygono-Poetea annuae, Stipo-Trachynietea dystachyae, Lygeo-Stipetea,Molinio-Arrhenatheretea, Cisto-Micromerietea, Quercetea ilicis(Pistacio-Rhamnetalia alaterni). La carta della vegetazione è stata realiz-zata con specifici software.

L’analisi floristico-vegetazionale permette inoltre di definire la perico-losità di specie e comunità vegetali per i manufatti. Per ogni fitocenosi èstato elaborato uno “Spettro di Pericolosità” basato sull’Indice diPericolosità (7) e sull’Indice di Ricoprimento Specifico. I risultati ottenu-ti, correlati alle caratteristiche strutturali e al pregio storico ed architetto-nico dei manufatti, sono stati elaborati graficamente in una “Carta degliInterventi” utile strumento per la conservazione del bene e per il manteni-mento delle fitocenosi di particolare pregio naturalistico ed estetico.

BIBLIOGRAFIA

1. A. Guglielmo, P. Pavone, G. Spampinato, V. Tomaselli, A. Trigilia. 2004. Analisidella flora e della vegetazione delle aree archeologiche del territorio di Siracusafinalizzata alla valorizzazione dei manufatti architettonici. Atti Congr. Soc. It.Fitosociologia: 16. Roma.

2. F. Corbetta, P. Pavone, G. Spampinato, V. Tomaselli, A. Trigilia. 2002. «Studiodella vegetazione dell’area archeologica della Neapolis (Siracusa, Sicilia) finaliz-zato alla conservazione dei manufatti architettonici», Fitosociol., 39 (2), pp. 3-24.

3. A. Guglielmo, P. Pavone, C. Salmeri, G. Spampinato. 2002. La Latomia deiCappuccini a Siracusa: aspetti della flora spontanea e ornamentale. Atti Conv.C.N.R. “Giardino storico e paesaggio”, Bologna, 25.XII.2002, pp. 40-44.

Analisi della flora e della vegetazione delle aree archeologiche della Sicilia 227

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4. A. Guglielmo, P. Pavone, V. Tomaselli. 2005. «Studio della vegetazione infestanteil Parco Archeologico di Akrai (Palazzolo Acreide, SR) finalizzato alla conserva-zione dei manufatti architettonici». Fitosoc. in corso di stampa.

5. S. Ceschin, M. Cutini, G. Caneva. 2003. «La vegetazione ruderale dell’areaarcheologica del Palatino (Roma)». Fitosoc. 40 (1), pp. 73-96.

6. R. Miravalle. 1990. Strategie per la gestione della vegetazione nella regionearcheologica di Pompei. Atti Conv. “Contributo della botanica alla conoscenza ealla conservazione delle aree archeologiche vesuviane”, Pompei, IV.1989, pp. 85-91. L’Erma di Bretschneider Ed., Roma.

7. M.A. Signorini. 1996. «L’Indice di Pericolosità: un contributo del botanico alcontrollo della vegetazione infestante nelle aree monumentali». Inf. Bot. It., 28(1), pp. 7-14.

Guglielmo, Pavone, Spampinato, Tomaselli228

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229

SU ALCUNI GIARDINI STORICI DELLA SICILIA ORIENTALE

GUGLIELMO A., PAVONE P., SALMERI C.

Dipartimento di Botanica, Università di Catania, Via A. Longo, 19 – 95125 Catania,[email protected]

I giardini storici sono oggi unanimemente considerati beni monumen-tali la cui salvaguardia e valorizzazione richiedono competenze pluridisci-plinari di agronomi, architetti paesaggisti, storici e, non ultimi, botaniciquali esperti nello studio di base di un giardino relativamente al riconosci-mento delle diverse specie ed alla valutazione delle loro esigenze biologi-che, edafiche e climatiche.

Il censimento dei giardini storici presenti nella parte orientale e meridio-nale della Sicilia è stato avviato già da alcuni anni, grazie anche al progettofinalizzato del C.N.R. “Beni Culturali” (1996-2001). Pur necessitando diulteriori indagini, alcuni dei risultati acquisiti vengono presentati e analizza-ti perché hanno rivelato l’esistenza di un consistente patrimonio naturalisti-co, oltre che architettonico e culturale, poco noto e spesso trascurato, la cuiconoscenza è preliminare alle attività di conservazione e gestione.

Lo studio è stato articolato in un’indagine storica in archivi e bibliote-che, ricorrendo a volte anche a testimonianze personali, per ricostruire glieventi legati alla nascita e all’evoluzione di ciascun giardino, e in un’inda-gine botanica per il riconoscimento delle specie, la valutazione della situa-zione attuale e, ove possibile, il rilevamento su mappa del giardino stessoal fine di fissare la situazione in vista di eventuali interventi di manuten-zione o restauro.

Dal punto di vista storico va rilevato che, a causa dei disastrosi eventi natu-rali che, alla fine del Seicento, sconvolsero questa parte dell’isola, il verde sto-rico è tutto rappresentato da impianti non antecedenti al XVIII secolo. La rico-struzione dei centri abitati privilegiò l’espansione edilizia a scapito dei giardi-ni che, perlopiù, rimasero confinati alle aree periferiche e alle residenze dicampagna (Pavone & Salmeri, 1996 [8]; Pavone et al., 1997 [9]).

I giardini studiati presentano caratteristiche storiche, architettoniche e flo-ristiche differenti; eppure, in tale diversità, sono legati da un filo comune

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Guglielmo, Pavone, Salmeri230

determinato dalle condizioni climatiche della Sicilia, per cui quasi tutti siconnotano come giardini “mediterranei” per la grande varietà di specie eso-tiche subtropicali, sempre accompagnate da un ricco contingente di autocto-ne. Anche se l’immagine tradizionale è quella di un’eterna primavera, congrande luminosità e flora lussureggiante, in realtà il giardino del Sud, comesi può ancora osservare in vecchie ville e parchi secolari, è studiato per laricerca dell’ombra e della frescura, al fine di attenuare il sole e il caldo.

Tra i giardini finora censiti, localizzati nelle province della Siciliaorientale (v. Tab. 1), si possono individuare, dal punto di vista storico,alcune tipologie riconducibili all’origine e all’uso del giardino stesso.

LOCALITA’ GIARDINO BIBLIOGRAFIA MAPPA

Catania Villa BelliniPavone & Salmeri,1996

si

Villa PaciniGuglielmo et al.,2001a

si

Giardini del centrostorico

Guglielmo et al.,2003

no

Villa ConsoliMarano

no

Paternò (CT) Giardino Moncada si

Bronte (CT) Castello Nelson si

Aci S. Antonio (CT) Villa Casalotto Pavone et al., 1997 si

Taormina (ME)Parco G. ColonnaDuca di Cesarò

Guglielmo et al.,2002a

no

Villa La FalconaraGuglielmo et al.,2002a

no

SiracusaLatomia deiCappuccini

Guglielmo et al.,2002b

no

Giardini di Ortigia no

Palazzolo Acreide(SR)

Giardino ComunaleGuglielmo et al.,2002a

si

Ragusa Giardino IbleoGuglielmo et al.,2002b

si

Piazza Armerina(EN)

Giardino GaribaldiGuglielmo et al.,2002a

si

Tab. 1. Giardini censiti

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– I giardini dei conventi, tipicamente all’interno di chiostri, dal disegnoregolare e simmetrico; acquisiti al demanio pubblico a seguito delle leggieversive del 1866, solo in alcuni casi essi mantengono il disegno originario,come quello del Convento di San Pietro, oggi Giardino Garibaldi, a PiazzaArmerina, o quello del Convento di San Domenico a Catania; più spesso sipresentano profondamente trasformati nelle strutture e nella flora, come nelMonastero dei Benedettini a Catania. Particolare è il caso della Latomia deiCappuccini a Siracusa, dove condizioni storiche e ambientali hanno consenti-to la sopravvivenza di un rigoglioso giardino (Guglielmo et al., 2002 [6]).

– I giardini delle dimore nobiliari, in città o nelle residenze di vil-leggiatura, alcuni riconducibili alla ricostruzione post-terremoto, come igiardini pensili di Villa Cerami, dei palazzi Manganelli e Francica Navaa Catania (Guglielmo et al., 2003 [4]) o le ville ottocentesche dei resi-denti inglesi a Taormina (la Falconara dei Nelson di Bronte, il giardinodi Florence Trevelyan, oggi parco pubblico) o, ancora il parco di VillaCasalotto (Pavone et al., 1997 [9]) e quello del Castello Nelson pressoManiace.

– I giardini pubblici, nati spesso dal mecenatismo di cittadini illumi-nati, quali la Villa Pacini (Guglielmo et al., 2001a) e la Villa Bellini(Pavone & Salmeri, 1996) a Catania, la Villa Comunale di PalazzoloAcreide, il Giardino Ibleo a Ragusa (Guglielmo et al., 2001[5]).

A queste tipologie fondamentali si accompagnano poi altri impianti averde, meno appariscenti ma sicuramente interessanti, spesso nascosti inaffollati contesti urbani e gelosamente custoditi.

Per quanto concerne gli aspetti floristici va sottolineata la rilevante pre-senza, sia nei giardini delle dimore nobiliari e dei conventi sia in quelli piùmodesti, di specie fruttifere tipiche della tradizione siciliana, agrumi comepure nespoli, melograni, ulivi e banani, che testimoniano la diffusa usan-za di considerare il giardino in un’ottica utilitaristica, quindi non sololuogo destinato allo svago, al riposo o all’affermazione del rango sociale,ma anche alla produzione di frutta e ortaggi che il proprietario destinavaal consumo familiare o alla vendita.

Nell’ambito di queste ricerche sono stati già pubblicati diversi contri-buti per esteso, in particolare sulle due ville comunali catanesi, su VillaCasalotto, sul Giardino Ibleo e sulla Latomia dei Cappuccini. Si presenta-no quindi i risultati preliminari delle indagini su altri insediamenti, di cuisi descrivono gli aspetti principali, relativamente alla storia, allo stile edalla componente floristica.

Su alcuni giardini storici della Sicilia Orientale 231

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In appendice sono elencate le più significative specie rilevate, soprat-tutto arboree ed arbustive, mentre, per quanto riguarda le erbacee, facil-mente soggette a sostituzioni, si indicano solo quelle tradizionalmente piùfrequenti nei giardini siciliani.

Villa La Falconara Ubicazione: Taormina (ME)Tipologia o proprietà: giardino privatoData di fondazione: 1867 (acquisto del terreno), primi ‘900 (costruzione)Notizie storiche: la presenza in Sicilia della famiglia Nelson risale al 1800,quando il re Ferdinando I conferì il titolo di Duca di Bronte all’ammira-glio Horace Nelson in riconoscimento dei suoi meriti, ma solo nel 1835 glieredi di Nelson vennero per la prima volta in Sicilia. Il terreno di Taorminafu acquistato intorno al 1867 e, dopo una lunga vertenza giudiziaria, nel1911 iniziò la costruzione della villa. La consultazione del Fondo Nelson,custodito a Palermo nell’Archivio di Stato, ha consentito di ricostruire lediverse fasi di realizzazione tramite corrispondenze, ordini di materiali edarredi, ecc. In particolare, per quanto riguarda il giardino, si dispone diinformazioni dettagliate, spesso comprensive dei costi, sugli elementid’arredo, mentre ben pochi dati si hanno sull’introduzione delle piante.Stile: il giardino della Falconara si estende su una parete rocciosa a stra-piombo sul mare, affacciata a Sud-Est sul golfo di Giardini-Naxos. Scalee sentieri collegano i diversi livelli e conducono alla scoperta di angolinascosti, rovine e ipogei, nicchie e colonnati con statue, suggestive terraz-ze affacciate sul mare. La vegetazione esalta l’aspetto romantico del giar-dino e ne sottolinea l’essenza mediterranea; piante indigene ed esotichecoesistono in un insieme unico di grande effetto. Flora: la componente mediterranea è rappresentata da specie a portamen-to arboreo come Laurus nobilis, Nerium oleander, Cupressus sempervi-rens, Pinus halepensis, Chamaerops humilis, nonchè un vetusto esempla-re di Ceratonia siliqua. Molte piante arbustive sono tipiche della macchiae crescono soprattutto nelle zone più scoscese, dove predomina la vegeta-zione naturale; qui si ritrovano Euphorbia dendroides, Pistacia lentiscus eP. terebinthus, Rhamnus alaternus. Sulle rocce sporgenti e tra le pietre sipossono osservare specie rupestri come Capparis spinosa, Antirrhinumsiculum e A. majus, Umbilicus rupestris, Galium aparine, Polypodiumvulgare. Come spesso accade nei giardini siciliani, sono presenti anchediverse piante fruttifere, tra cui Olea europaea, Eryobotria japonica,

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Prunus amygdalus e P. armeniaca, Punica granatum e agrumi (Citrusaurantium e C. limon). Le specie esotiche, seppure non insolite per i giar-dini mediterranei, si contraddistinguono per le dimensioni e le fioriture.Le più significative sono Jacaranda mimosaefoliae, Grevillea robusta.Eucalyptus camaldulensis e E. globulus, Phoenix canariensis e P. dactyli-fera, Sterculia diversifolia, Dracaena draco, Tilia x orbicularis, Cycas cir-cinnalis. Singolare è la presenza di Aberia caffra, alberello dai frutti edulidi origine sudafricana.Commenti: il giardino della Falconara è un’interessante testimonianza del-l’integrazione tra l’idea del giardino all’inglese, legata alle tradizioni cul-turali dei proprietari, e le peculiarità climatiche e paesaggistiche dellaregione mediterranea. Esso ha mantenuto nel tempo la sua struttura origi-naria grazie al persistere della proprietà privata che solo parzialmente èintervenuta sugli aspetti di vegetazione naturale; pertanto, merita di esse-re adeguatamente preservato e valorizzato.

Parco G. Colonna Duca di CesaròUbicazione: Taormina (ME)Tipologia o proprietà: giardino pubblicoData di fondazione: 1890 ca., dal 1923 giardino pubblicoNotizie storiche: prende il nome da Giovanni Colonna, Duca di Cesarò,Ministro delle Regie Poste e Telegrafi, grazie al quale il Comune diTaormina riuscì ad ottenere i finanziamenti necessari per acquisire il parcotramite un esproprio per pubblica utilità. A quel tempo il parco era di pro-prietà del Dott. Salvatore Cacciola che l’aveva ricevuto in eredità dallamoglie, la nobildonna inglese Florence Trevelyan stabilitasi a Taorminanel 1889. A lei si deve la progettazione e realizzazione del giardino estesosu un terreno in ripido pendio sotto le mura della città. Le differenze dilivello furono colmate con terrazzamenti in pietra e scalinate. Agli alberiautoctoni, carrubi, olivi, mandorli, si aggiunsero quelli provenienti dal-l’emisfero australe introducendo molte piante esotiche non conosciute aTaormina, come Araucaria, Calliandra, Bahuinia. Il giardino oltre checon statue classiche e giare enormi, fu arricchito da estrose costruzioniideate dalla stessa Florence, dette beehives cioè alveari, con struttura inter-media tra il gazebo e la pagoda orientale, in parte realizzati sulle basi dirustici preesistenti in un improbabile miscuglio di stile romanico, gotico erococò creato con mattoni colorati, pezzi di pietra, stoffa, tegole, tubi ditutte le dimensioni e altri recuperi architettonici. Erano usati per ospitare

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gli amici della nobildonna o come tranquilli luoghi di lettura. Oltre ai bee-hives, Florence Trevelyan adornò il parco con i cromlech, una sorta dimonumenti megalitici di pietre disposte in circolo che formano un recintoreligioso, e i dolmen simili a costruzioni funerarie in pietra del III millen-nio a.C., fatti costruire da Lady Trevelyan in ricordo dei suoi cinque cani.Stile: il Parco si presenta oggi come un vasto giardino destinato alla frui-zione pubblica e quindi ampiamente modificato in alcune strutture archi-tettoniche, dalla pavimentazione dei viali all’inserimento di monumentiestranei al suo stile originario. Altrettanto può dirsi della componentevegetale, sostituita e integrata ripetutamente anche con l’intervento di notiprogettisti del verde. Per quanto riguarda la suddivisione del giardino èpossibile approssimativamente distinguere tre parti. A Nord si trova il set-tore più ampio, sviluppato su due livelli, raccordati da scalinate, e domi-nato dai beehives e dai dolmen; qui è stato posto un busto di FlorenceTrevelyan. La parte centrale del giardino, in corrispondenza dell’ingressoprincipale, è quella che ha subito le maggiori modifiche, soprattutto perl’inserimento del monumento ai Caduti. Nell’impianto formale sono statiinseriti il “giardino degli odori”, ricco di piante profumate tra cui diversevarietà di rose e il “giardino roccioso” con diverse specie di piante succu-lente. A Sud il giardino si articola su diversi livelli, più in alto il cosiddet-to Viale delle Rimembranze, con un lungo filare di ulivi dedicati ai cadu-ti, quindi, tramite scalinate, si accede ad una vasta area triangolare, inten-samente coltivata. Tutto il giardino, sul versante orientale, si affaccia astrapiombo sul mare con un viale panoramico delimitato da siepi diBougainvillea e da un parapetto in mattoni.Flora: tra le specie che risalgono all’impianto primitivo si possono distin-guere quelle legate alla precedente destinazione agricola del fondo, comel’ulivo (Olea europaea) di cui rimangono annosi esemplari, il carrubo(Ceratonia siliqua), alcuni agrumi (Citrus aurantium e C. limon), il man-dorlo (Prunus amygdalus) oltre ad alcune specie introdotte dalla Trevelyancome Thuya orientalis, Araucaria bidwillii e A. excelsa, Calliandra twee-dii. Le successive introduzioni hanno privilegiato le specie esotiche rispet-to alle autoctone, rispettando però la compatibilità con l’ambiente. Tra leessenze tipiche della regione mediterranea sono Pinus pinea, Nerium ole-ander, Rhamnus alaternus, Cercis siliquastrum. La componente esotica sipresenta estremamente eterogenea dal punto di vista botanico conGimnosperme (Cedrus atlantica e C. deodara, Cupressus sempervirens,Libocedrus decurrens), numerose Palme (Arecastrum romanzoffianum,

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Chamaerops humilis, Erythea armata, Howea forsteriana, Livistona chi-nensis, Phoenix canariensis e P. dactylifera, Trachycarpus fortunei eWashingtonia robusta e alcuni notevoli esemplari di Chamaedorea ele-gans). Alcune delle specie arboree di recente introduzione sono piuttostorare nei giardini della Sicilia orientale; si segnala Photinia serrulata, Ilexpernyi, Wigandia caracasana, Cyphomandra betacea.Commenti: per quanto fortemente trasformato, il parco non ha completa-mente perduto la sua connotazione originale e mantiene quindi la suavalenza culturale, come testimonianza di un ben preciso periodo storicodella cittadina taorminese.

Giardini del centro storico Ubicazione: CataniaTipologia o proprietà: varie Notizie storiche: il centro storico di Catania corrisponde alla zona un tempodelimitata dalle mura e si connota per l’impianto settecentesco della struttu-ra urbana derivato dalla ricostruzione successiva al terremoto del 1693. Learee destinate a giardini, perlopiù confinate lungo il perimetro delle mura(Basile & Magnano di San Lio, 1996) erano soprattutto di pertinenza delledimore nobiliari e dei conventi, ma piccoli orti erano presenti anche pressopiù modeste abitazioni. Lo sviluppo urbanistico della città ha provocato neltempo la forte riduzione di tali spazi e oggi solo alcuni giardini si sono con-servati mantenendo la loro fisionomia con una componente vegetale discre-tamente conservata grazie al persistere della proprietà privata. Altri, partico-larmente rilevanti sotto il profilo storico, si presentano invece fortementemodificati nella flora, seppure ancora leggibili nella loro struttura originaria.Stile: i giardini del centro storico sono riconducibili alle tipologie indica-te in premessa. Dei numerosi conventi ancora identificabili, oggi destinatiagli usi più disparati, pochi conservano all’interno i chiostri tradizionali,come il Monastero dei Benedettini, il Convento di Santa Maria delRosario, il Convento di Santa Chiara. Anche i giardini delle dimore patri-zie sono oggi quasi del tutto scomparsi, ad eccezione dei pochi che, sor-gendo sulle mura, si sono conservati come veri e propri giardini pensili;ne sono esempio i giardini di Palazzo Manganelli, con i suoi monumenta-li cipressi, e quello di Villa Cerami. Frequenti erano anche in città i giar-dini interni delle case più modeste della piccola e media borghesia, dovemaggiormente coltivati erano gli alberi da frutto, soprattutto gli agrumi,per la loro utilità. Un esempio interessante di questa tipologia di giardino

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in prossimità di Villa Cerami, conserva ancora l’antico sistema d’irriga-zione. In generale si può affermare che il giardino, anche se in città, è sem-pre organizzato, a qualsiasi livello sociale, nel modello “giardino-orto”,insieme di orticole fruttifere e ornamentali.Flora: la scarsità di dati storici sulla componente vegetale dei giardini e ladifficoltà di accesso a molti giardini privati non consentono una precisavalutazione quantitativa e qualitativa di tale patrimonio. La nostra indagi-ne ha rilevato un centinaio di specie, di cui circa il 20% fruttifere, soprat-tutto agrumi. Tra le ornamentali, oltre alle frequenti palme, va sottolinea-ta la presenza quasi costante di bulbose o rizomatose (Ruscus aculeatus,Aspidistra elatior, Zantedeschia aethiopica) e di arbustive (Datura arbo-rea, Aloysia triphylla, Philadelphus coronarius) tradizionalmente coltiva-te, mentre singolare è il ritrovamento di Camellia japonica nel giardinodell’Abbazia di Nuova Luce dove probabilmente si mantengono condizio-ni ambientali più umide e ombrose. Come in tutti gli ambienti urbani sonopresenti alcune specie infestanti, come Ailanthus glandulosa, che si ripro-ducono diffusamente in mancanza di adeguato controllo.Commenti: la coesistenza di specie fruttifere e ornamentali è carattere comu-ne a tutti i giardini rilevati nel centro storico di Catania, come d’altronde con-sueto nella cultura siciliana. Occorre però sottolineare come sia sempre piùdifficile percepire tali aspetti a causa della continua riduzione dello spaziodestinato a giardini nel centro storico e della marcata indifferenza dei cittadi-ni e delle autorità. Inoltre l’assenza di qualsiasi tipo di vincolo specifico suigiardini ancora presenti e il precario stato di conservazione e manutenzione,che riguarda sia l’impianto del giardino sia le componenti architettoniche,rendono ancora più difficile la loro sopravvivenza.

Villa Comunale Ubicazione: Palazzolo Acreide (SR)Tipologia o proprietà: giardino pubblicoData di fondazione: 1880Notizie storiche: la cittadina, nata come prima colonia di Siracusa nel 664a.C. e distrutta dal terremoto del 1693, fu ricostruita come molte città dellaVal di Noto in stile barocco. Anche qui, come per il Giardino Ibleo aRagusa, la nascita del giardino si deve all’opera di un benemerito cittadi-no, il barone Vincenzo Messina di Bibbia che dispose la trasformazione diuna villa privata con il terreno annesso per creare un giardino pubblico aduso della cittadinanza.

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Stile: il giardino è strutturato in due aree differenziate sia nello stile sianella composizione floristica. Una parte, corrispondente al nucleo piùantico, è sviluppata lungo tre viali paralleli e articolata secondo un dise-gno prettamente formale delle aiuole, delimitate da siepi in varie formegeometriche e arricchite da esemplari di bosso foggiati secondo i dettamidell’ars topiaria. L’altra area, in stile paesistico, si caratterizza, invece, perla presenza di un boschetto di lecci secolari.Flora: dal punto di vista botanico il giardino si differenzia dai tradiziona-li giardini mediterranei per una flora ricca di specie tipiche dei climi tem-perato-freschi, come Aesculus hippocastanum, Tilia platyphyllos e T.tomentosa, Platanus orientalis, Pinus brutia, Fraxinus ornus. Spiccanoper la loro imponenza Cedrus libani, Cupressus macrocarpa,Broussonetia papyrifera, Elaeagnus umbellata, Quercus virgiliana,Photinia serrulata. Commenti: il giardino presenta un valore storico ed estetico rilevanteavendo mantenuto l’originale struttura formale e conservando dei prege-voli esemplari foggiati a topiaria; a ciò si unisce un importante significatonaturalistico per la presenza del bosco di lecci che rappresenta l’aspetto divegetazione climax del territorio.

Villa GaribaldiUbicazione: Piazza Armerina (EN)Tipologia o proprietà: giardino pubblicoData di fondazione: 1700 ca.Notizie storiche: la città di Piazza Armerina assume nel XV secolo unruolo economico, culturale e religioso di rilievo nell’ambito dei territoricircostanti, di cui veri centri propulsori furono i diversi Ordini religiosi,insediati in conventi e chiese tra le quali quella di San Pietro, nella partesettentrionale della città. La chiesa trecentesca fu affidata nel 1498 ai fran-cescani che costruirono l’annesso convento, divenuto celebre perché sededi uno Studio delle Provincie del Val di Noto, oltre che per la sua ricchis-sima biblioteca; esso fu anche sede dell’Accademia Letteraria, di cui furo-no soci molti illustri letterati siciliani. Adiacente al convento e alla chiesa era la Silva di San Pietro, “vasta esten-sione di terreno digradante di 4 ettari, 56 are e 29 centiare coltivato in pic-colo ortalizio, seminerio boschivo e pascolativo, delimitato da siepi”, che,nella parte più prossima ai fabbricati, era mantenuto a giardino con la col-tivazione di diverse specie ornamentali.

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A seguito delle leggi eversive del 1866-1867, l’ex convento di San Pietro,acquisito dal Demanio per un valore fondiario calcolato in £ 60.000,divenne caserma di artiglieria; per la chiesa fu nominato un rettore “accol-landosene il comune la cura”. La Selva di San Pietro fu destinata a giardi-no pubblico realizzato però solo nel 1883 su progetto dell’Ing. RosarioCacciola e dedicato al Generale Garibaldi. Ben poco invece è dato di sape-re sull’impianto delle diverse essenze, non essendovi alcuna delibera inproposito ma soltanto generici riferimenti a lavori di coltura, provviste diacqua e concime, riparazioni alle siepi e ai corsi d’acqua (Delibere dal1892 al 1895). Da ciò si può dedurre che buona parte delle specie eranoquelle già presenti nella Selva.Stile: l’origine settecentesca del giardino è testimoniata da un impianto ditipo formale, riscontrabile in Sicilia anche in altri impianti ornamentali diedifici religiosi, che, nella parte più prossima al convento, conserva il dise-gno originario a pianta circolare suddivisa da due viali ortogonali in quat-tro settori, ognuno dei quali ulteriormente articolato intorno ad una piùpiccola aiuola centrale, anch’essa circolare.Flora: il giardino occupa attualmente un’area di circa 20.000 mq, che sicontinua a SE nel parco urbano San Pietro con un’estensione di circa40.000 mq. La componente floristica, nel complesso piuttosto impoverita,annovera comunque alcuni esemplari monumentali di Cedrus libani e C.deodara, Cinnamomum camphora, Cupressus sempervirens, Magnoliagrandiflora, Picea abies, Pinus pinea. Sono inoltre presenti Tilia cordata,Cercis siliquastrum, Cocculus laurifolius, Robinia pseudo-acacia,Lagerstroemia indica. Purtroppo solo in parte la sistemazione delle pian-te rispetta la simmetria dell’impianto a seguito dell’introduzione casualedi nuove essenze e per la mancata sostituzione di quelle decedute.Al giardino formale è collegata una vasta area a vegetazione naturale, ilparco urbano San Pietro, corrispondente all’antica Selva, ricca di specieautoctone, quali Quercus virgiliana e Q. ilex con forte capacità di rinno-vo, Acer campestre, Olea oleaster.All’interno del convento è un piccolo chiostro, delimitato da tozze colon-ne in stili diversi che sostengono archi a tutto sesto, dove, intorno ad unpozzo centrale, crescono Celtis australis, Picea abies, Washingtonia robu-sta e W. filifera. Commenti: Il giardino è un interessante esempio di antica Selva conventualerisalente al Settecento, con impianto formale nella parte adiacente al conven-to; analoga struttura è stata già descritta in Sicilia da Mazzola et al. (1994)

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[7] a Mistretta. Nel complesso esso conserva oggi la sua struttura originaria,soprattutto nella parte formale dove il tracciato delle aiuole rispecchia lo stilee il gusto dell’epoca e pertanto è opportuno che venga rivalutato nei suoiaspetti architettonici e botanici in considerazione dell’elevato valore storico.

Il nostro studio ha permesso di acquisire dati storici e floristici di unacerta rilevanza su un patrimonio storico e botanico spesso misconosciuto,ma ricco e diversificato. Si rende quindi necessaria, più in città che nellepiù piccole cittadine di provincia, un’opera di sensibilizzazione della cit-tadinanza e delle autorità, ma anche dei privati, perché questa ricchezzanon vada ulteriormente perduta.

BIBLIOGRAFIA

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5. A. Guglielmo, P. Pavone, C. Salmeri, A. Ragusa. 2001b. «Il Giardino Ibleo aRagusa Ibla». Quad. Bot. Amb. Appl. 10(1999), pp. 125-130.

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8. P. Pavone, C. Salmeri. 1996. «Il verde pubblico di Catania: la Villa Bellini». Boll.Acc. Gioenia Sc. Nat. Catania 27(347), pp. 163-195.

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Aberia caffra Harv. & Sond. Flacourtiaceae 2Abies alba Miller Pinaceae 1, 3, 4Acacia cyanophylla Lindl. Mimosaceae 2Acacia dealbata L. Mimosaceae 1Acacia harmisiana Dinter Mimosaceae 2Acacia podalyriifolia G. Don Mimosaceae 1Acanthus mollis L. Acanthaceae 2, 3Acer campestre L. Aceraceae 3Acer platanoides L Aceraceae 2Acocanthera spectabilis (Sonder) Hook. Apocynaceae 1Adhatoda vasica Nees Acanthaceae 1Aesculus hippocastanum L. Hippocastanaceae 3, 4Agave americana L. Agavaceae 2, 3Agave americana L. fo. marginata Hort. Agavaceae 1, 3Agave attenuata Salm-Dyck Agavaceae 1, 2Ailanthus altissima (Miller) Swingle Simaroubaceae 5Aloe arborescens Miller Liliaceae 2Aloysia triphylla (L’Hérit.) Britt. Verbenaceae 1, 5Alpinia zerumbet (Pers.) Burtt & Sm. Zingiberaceae 1Antholyza aethiopica L. Iridaceae 3Antigonon leptopus Hook.& Arn. Polygonaceae 2, 3Araucaria bidwillii Hook. Araucariaceae 1, 5Araucaria excelsa R. Br. Araucariaceae 1, 4, 5Arecastrum romanzoffianum (Cham.) Becc. Palmae 1Artemisia arborescens L. Compositae 2, 3Arundo donax L. Graminaceae 2Asparagus plumosus Baker Liliaceae 2Asparagus sprengerii Regel Liliaceae 1, 2Aspidistra elatior Bl. Liliaceae 1, 5Aucuba japonica Thunb. Cornaceae 1Bauhinia aculeata L. Caesalpiniaceae 1Bougainvillea glabra Choisy Nyctaginaceae 1, 2, 5Bougainvillaea spectabilis Willd. cv. alba Nyctaginaceae 1Broussonetia papyrifera Vent. Moraceae 4Buddleia madagascariensis Lam. Loganiaceae 1Butia sp Palmae 1Buxus sempervirens L. Buxaceae 1, 3, 4Calliandra tweedii Benth. Mimosaceae 1Callistemon citrinus Skeels Myrtaceae 1Camelia japonica L. Theaceae 1Campsis radicans (L.) Seem. Bignoniaceae 1Casuarina equisetifolia L. Casuarinaceae 1, 4Cedrus atlantica (Endl.) Carrière Pinaceae 1, 4

ELENCO FLORISTICO

1. Parco Colonna, Taormina; 2. Villa Falconara, Taormina; 3. Giardino Garibaldi, Piazza Armerina; 4. Villa Comunale, Palazzolo Acreide;

5. Giardini del centro storico, Catania

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Cedrus atlantica (Endl.) Carrière var. glauca Hort. Pinaceae 1, 4, 5Cedrus deodara (Roxb. ex Lamb.) G. Don Pinaceae 1, 3, 4Cedrus libani A. Rich. Pinaceae 3, 4Celtis australis L. Ulmaceae 3, 4Ceratonia siliqua L. Caesalpiniaceae 1, 2Cercis siliquastrum L. Caesalpiniaceae 1, 3, 4, 5Cestrum elegans (Brongn.) Schdl. Solanaceae 1Cestrum parqui L’Herit Solanaceae 1Chamaedorea elegans Mart. Palmae 1Chamaerops humilis L. Palmae 1, 2, 3, 4, 5Chimonantus praecox (L.) Link. Calycanthaceae 1Chorisia insignis Kunth. Bombacaceae 1, 2Chrysanthemum frutescens L. Compositae 3Cinnamomum camphora Nees & Eberm. Lauraceae 3Citrus aurantium L. Rutaceae 1, 2, 5Citrus limon (L.) Burm. Rutaceae 1, 2, 5Citrus medica L. Rutaceae 5Citrus x paradisi Macfad. Rutaceae 5Citrus reticulata Blanco Rutaceae 5Citrus sinensis (L.) Osbeck Rutaceae 5Cocculus laurifolius DC. Menispermaceae 1, 3Colocasia antiquorum Schott Araceae 1, 2, 4Cordyline australis (Forst.) Endl. Agavaceae 1Cordyline indivisa (Forst. f.) Steud. Agavaceae 3, 4Corylus avellana L. Fagaceae 5Cupressus macrocarpa Hartweg Cupressaceae 4Cupressus sempervirens L. Cupressaceae 2, 3, 4, 5Cyathea sp. Cyatheaceae 1Cycas circinnalis L. Cycadaceae 2Cycas revoluta Thunb. Cycadaceae 1, 5Cydonia oblonga Mill. Rosaceae 5Cyperus alternifolius L. Cyperaceae 1, 2, 5Datura arborea L. Solanaceae 1, 5Datura sanguinea Ruiz Pav. Solanaceae 1Datura sp. Solanaceae 3Distictis buccinatoria (DC.) A. Gentry Bignoniaceae 1Dracaena draco L. Agavaceae 1, 2Drosanthemum hispidum (Haw.) Schwantes Aizoaceae 2Duranta erecta L. Verbenaceae 5Duranta plumieri Jacq. Verbenaceae 1Elaeagnus umbellata Thunb. Elaeagnaceae 1, 4Ephedra fragilis Desf. Ephedraceae 1Eryobotrya japonica (Thunb.) Lindley Rosaceae 2, 5Erythea armata S. Wats. Palmae 1, 5Erythrina caffra Thunb. Fabaceae 1Erythrina crista-galli L. Fabaceae 1Erythrina insignis Thunb. Fabaceae 1Eucalyptus camaldulensis Dehnh. Myrtaceae 2, 3, 5Euonymus japonicus L. f. Celastraceae 1, 3, 5Euphorbia dendroides L. Euphorbiaceae 2Euphorbia milii Desmoul. Euphorbiaceae 1, 2, 5

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Euphorbia pulcherrima Willd. Euphorbiaceae 1, 5Feijoa sellowiana O.Berg. Myrtaceae 1, 5Ficus benjamina L. Moraceae 5Ficus carica L. Moraceae 2, 5Ficus elastica Roxb. Moraceae 1, 5Ficus microcarpa L. f. Moraceae 1, 5Fraxinus ornus L. Oleaceae 4Furcraea selloa C. Koch Amaryllidaceae 1Grevillea robusta Cunn. Proteaceae 1, 2, 5Hedera colchica (K.Koch) Hibb. Araliaceae 1Hedera helix L. Araliaceae 1, 2, 4, 5Hibiscus mutabilis L. Malvaceae 1Hibiscus rosa-sinensis L. Malvaceae 1, 2, 5Hibiscus syriacus L. Malvaceae 4Howea forsteriana Becc. Palmae 1, 5Hydrangea macrophylla (Thunb.) Ser. Hydrangeaeceae 5Ilex aquifolium L. Aquifoliaceae 1Ilex aquifolium L. var. variegatum Aquifoliaceae 1Ilex pernyi Franch. Aquifoliaceae 1Iochroma cyaneum (Lindl.) Green. Solanaceae 1Jacaranda mimosaefolia D. Don Bignoniaceae 1, 2, 4Jacobinia carnea (Lindl.) Nichols. Acanthaceae 1Jacobinia macrantha Benth. & Hook. F. Acanthaceae 1Jasminum azoricum L. Oleaceae 1, 2Jasminum mesnyi Hance Oleaceae 1, 2, 4, 5Jasminum officinale L. Oleaceae 1, 2, 4, 5Lagerstroemia indica L. Lithraceae 1, 3, 4, 5Lagunaria patersonii G. Don Malvaceae 5Lantana camara L. Verbenaceae 1, 2, 4, 5Lantana montevidensis (Spreng.) Briq. Verbenaceae 1Laurus nobilis L. Lauraceae 1, 2, 4, 5Leonotis leonurus R. Br. in Ait. Labiatae 1Libocedrus decurrens Torr. Cupressaceae 1Ligustrum japonicum Thunb. Oleaceae 1, 2Ligustrum lucidum Ait. Oleaceae 2, 3, 5Ligustrum ovalifolium Hassk. Oleaceae 1Ligustrum sinense Lour. Oleaceae 3Livistona chinensis R. Br. Palmae 1, 5Macfadyena unguis-cati A. H. Gentry Bignoniaceae 4Magnolia grandiflora L. Magnoliaceae 1, 3, 5Melaleuca sp. Myrtaceae 1Meryta denhamii Seem. Araliaceae 1, 5Monstera deliciosa Liebm. Araliaceae 1Montanoa bipinnatifida C. Koch Compositae 1, 2, 5Morus alba L. Moraceae 4, 5Murraya sp. Rutaceae 1, 2Musa x paradisiaca L. Musaceae 5Nandina domestica Thunb Berberidaceae 1Nephrolepis exaltata (L.) Schott. Oleandraceae 1Nerium oleander L. Apocynaceae 1, 2, 3, 4, 5Olea europaea L. Oleaceae 1, 2, 5

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Opuntia ficus-barbarica A. Berger Cactaceae 2Paeonia suffruticosa Andrews. Ranunculaceae 1Parkinsonia aculeata L. Fabaceae 4Parthenocissus tricuspidata Planch. Vitaceae 2Parthenocissus quinquefolia Planch. Vitaceae 1Philadelphus coronarius L. Saxifragaceae 1, 3, 4, 5Phoenix canariensis Hort. ex Chaub. Palmae 1, 2, 3, 4, 5Phoenix dactylifera L. Palmae 1, 2, 3, 5Phoenix reclinata Jacq. Palmae 5Phormium tenax Forst.& Forst.f. Liliaceae 1Photinia serrulata Lindl. Rosaceae 1, 4Phyllostachys bambusoides Sieb. & Zucc. Graminaceae 2Picea abies L. Pinaceae 3Pinus halepensis Miller Pinaceae 2, 3, 5Pinus pinea L. Pinaceae 1, 3, 5Pistacia lentiscus L. Anacardiaceae 2Pistacia terebinthus L. Anacardiaceae 2Pittosporum tobira (Thunb.) Ait. f. Pittosporaceae 1, 2, 3, 4, 5Platanus orientalis L. Platanaceae 4Platanus x hybrida Brot. Platanaceae 3, 5Plumbago capensis Thunb. Plumbaginaceae 1, 2, 5Portulacaria afra Jacq. Portulacaceae 1, 2, 5Prunus amygdalus Stokes Rosaceae 1, 2Prunus armeniaca L. Rosaceae 1, 2Prunus cerasifera Ehrh. ssp. pissardii J. Dostal Rosaceae 4, 5

Prunus sp. Rosaceae 3Punica granatum L. Punicaceae 1, 2, 5Pyracantha coccinea Roem. Rosaceae 1Pyrus communis L. Rosaceae 5Quercus dalechampii Ten. Fagaceae 3Quercus ilex L. Fagaceae 3, 4Quercus virgiliana (Ten.) Ten. Fagaceae 3Raphiolepis umbellata Makino Rosaceae 1Rhamnus alaternus L. Rhamnaceae 1, 2, 4Robinia pseudacacia L. Fabaceae 3, 4Rosa banksiae Ait. Rosaceae 1, 5Rosmarinus officinalis L. Labiatae 1, 5Ruscus aculeatus L. Liliaceae 5Sabal blackburniana (Cook) Glazebr. Palmae 3Santolina chamaecyparissus L. Compositae 3Schefflera digitata Forst. Araliaceae 1, 4Schinus molle L. Anacardiaceae 1, 2, 4Senecio kaempferi DC Compositae 1, 5Senecio petasites (Sims) DC. Compositae 3Solandra grandiflora Sw. Solanaceae 1Solanum wendlandii Hook. f. Solanaceae 3Soleirolia soleirolii (Req.) Dandy Urticaceae 2Sophora japonica L. Fabaceae 4, 5Spiraea chamaedryfolia L. Rosaceae 1, 3, 4Spiraea trilobata L. Rosaceae 1

Su alcuni giardini storici della Sicilia Orientale 243

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Sterculia diversifolia G. Don Sterculiaceae 2Strelitzia augusta Thunb. Musaceae 1Strelitzia reginae Banks Musaceae 1, 2Tecoma stans (L.) Juss. Bignoniaceae 1, 2, 5Tecomaria capensis (Thunb.) Spach Bignoniaceae 2, 5Tetrastigma voinerianum (Pierre) Gagnep. Vitaceae 1Thuja orientalis L. Cupressaceae 1, 3, 5Tilia cordata Miller Tiliaceae 3Tilia x orbicularis Tiliaceae 2Trachycarpus fortunei H. Wendl. Palmae 1, 3, 4, 5Ulmus glabra Hudson Ulmaceae 3Viburnum suspensum Hort. ex Dippel Caprifoliaceae 1Viburnum tinus L. Caprifoliaceae 1, 3, 4Vitis vinifera L. Vitaceae 5Washingtonia filifera H. Wendl. Palmae 2, 3, 5Washingtonia robusta H. Wendl. Palmae 1, 3, 5Weigela florida Thunb. Caprifoliaceae 3Wigandia caracasana Kunth Hydrophyllaceae 1Wistaria chinensis DC. Fabaceae 2, 5Zantedeschia aethiopica (L.) Spreng. Araceae 1, 3, 5

Guglielmo, Pavone, Salmeri244

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STIMA DELLA RISPOSTA DI SITO E INDAGINI GEORADAR:UN CASO STUDIO APPLICATO ALLA CHIESA DEI “MINORITELLI”

(CATANIA)

IMPOSA S., GRESTA S.

Dipartimento di Scienze Geologiche, Università di Catania C.so Italia, 57, 95129 CataniaTel. 095 7195701-9, Fax. 095 7195701, [email protected], [email protected]

1. Introduzione

Nel centro urbano di Catania sono state spesso rinvenute diverse strut-ture archeologiche, a testimonianza dei diversi insediamenti che si sonosucceduti nel tempo. Infatti, sotto il suolo di Catania si estendono nume-rose strutture archeologiche sepolte, databili al periodo greco-romano.

Il presente lavoro compendia i risultati delle indagini geofisiche e deisondaggi geognostici eseguiti presso la chiesa dei Minoritelli di Catania,che è stata danneggiata a seguito del terremoto verificatosi nella Siciliaorientale il 13 dicembre 1990.

È stata predisposta una campagna di indagini geognostiche per definirel’esatta situazione litostratigrafia locale. Inoltre, al fine di poter investigarela risposta sismica locale del sito su cui insiste la chiesa si è utilizzata la tec-nica dei microtremori. Nell’ottica di effettuare degli interventi di recuperoe conservazione del manufatto, è stata eseguita anche una prospezione elet-tromagnetica, mediante l’utilizzo del metodo georadar, finalizzata alla indi-viduazione e alla definizione di possibili cavità e manufatti sepolti.

2. Cenni storici

La chiesa dei Minoritelli è stata costruita sopra delle antiche termeromane da Bartolomeo Asmondo, anch’egli confratello, alla fine del XVIIsecolo. Fu ubicata alla sommità dell’attuale Via Antonino di Sangiuliano(Fig. 1), quasi di fronte all’ospedale Santa Marta, anch’esso sorto verso il1750 grazie all’opera di attivi ecclesiasti [1]. Dal punto di vista della tipo-logia costruttiva, essa si presenta con una breve gradinata semicircolare con

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l’accesso orientato a nord e ricalca lo stile bizantino o, come più comune-mente detto, a croce greca (Fig. 2). Infatti, l’altare maggiore risulta ubica-to nell’abside semicircolare, mentre altri quattro altari sono stati eretti nellerestanti braccia della croce, gli uni dirimpetto agli altri. Di notevole fatturae valore sono, inoltre, le tele e i simulacri in essa contenuti.

3. Caratteristiche geologiche, geomorfologiche e sismotettoniche

L’area su cui è stata edificata la chiesa ricade in una zona al margine diun alto morfologico, intensamente antropizzata e con debole acclivitàverso SSE. Dal punto di vista geologico si è in presenza di una associazio-ne litostratigrafia di terreni sedimentari e di terreni vulcanici [2]. Infatti,dal basso verso l’alto, è possibile individuare e schematizzare le seguentiunità litostratigrafiche:

- Argille marnose azzurre: è una formazione che rappresenta il sub-strato locale su cui poggiano le altre unità. Si tratta di sedimenti pelitici astratificazione indistinta, mescolati a livelli difficilmente distinguibili.

Imposa, Gresta246

Fig. 1. Mappa dell’area d’indagine. L’ubi-cazione della chiesa dei Minoritelli è cir-coscritta nel riquadro in basso a destra.

Fig. 2. Planimetria della chiesa dei Mino-ritelli e ubicazione dei due sondaggi mec-canici (S1 e S2).

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- Lave del Mongibello Recente: sono prodotti vulcanici che presenta-no una porzione sommitale scoriacea e vacuolare e una porzione sotto-stante massiva e diffusamente fessurata e bollosa.

- Colate laviche (del 1381?): si tratta di colate laviche di età storica,meno alterate delle precedenti.

- Materiale di riporto: sono depositi sabbioso-ghiaiosi ai marginidelle linee di costa antiche e recenti.

Il territorio dell’area metropolitana di Catania è interessato da una sismici-tà locale, spesso caratterizzata da eventi superficiali e aree mesosismiche dimodesta estensione areale. Le intensità osservate sono di gran lunga inferiori aquelle relative ai sismi di origine regionale, che hanno prodotto valori di inten-sità più elevati (fino al X grado) ma con periodi di ritorno decisamente più lun-ghi. In particolare il sisma del 13 dicembre 1990 (M = 5.4), ha causato nell’edi-ficio in esame una serie di lesioni con ampiezza da millimetrica a centimetricain varie parti della struttura. Come terremoti di scenario si può fare riferimen-to agli eventi del 1693 (massimo evento regionale atteso) e del 1818 (massimoevento locale atteso). Per entrambi gli scenari le simulazioni effettuate [3] iden-tificano nell’area scuotimenti molto forti (Fig. 3), mentre dal punto di vista spe-

Stima della risposta di sito e indagini Georadar 247

Fig. 3. Rappresentazione in mappa del moto del suolo calcolato per l’area urbana di Ca-tania [3].

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rimentale, è stata trovata, per alcuni siti che insistono nelle vicinanze della chie-sa, un’amplificazione significativa per valori di frequenza di 4 – 5 Hz [4].

4. Metodologie utilizzate

4.1 Sondaggi meccanici

Sono stati eseguiti due sondaggi meccanici verticali a rotazione e caro-taggio continuo, la cui ubicazione è riportata in figura 2. I sondaggi sonostati spinti fino alla profondità di 6 metri dal piano di sosta della perfora-trice. La perforazione è stata eseguita mediante attrezzatura oleodinamica,adottando, per tutto lo spessore indagato, la tecnica di conservazione delnucleo, tramite l’ausilio di tubi carotieri. È stata ricostruita una sequenzastratigrafica, data per lo più da materiale di riporto costituito da clasti lavi-ci eterometrici in matrice sabbiosa presenti da 3 cm fino a 1.4 m dal pianocampagna sovrapposti a lave basaltiche di colore scuro, da mediamente adintensamente fratturate (v. Fig. 4a e 4b). La stratigrafia relativa al sondag-gio S2 evidenzia, inoltre, la presenza di una struttura muraria preesistentecostituita da conci basaltici e clasti lavici, con una di malta cementizia da-1.0 m a -2.8 m circa dal piano campagna (v. Fig. 4b).

4.2 Indagine georadar

La metodologia della prospezione elettromagnetica si basa sull’ipotesiche il terreno possa essere considerato un dielettrico, cioè capace di gene-

Imposa, Gresta248

Fig. 4. Sezioni stratigrafiche relative ai due sondaggi meccanici.

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rare correnti di spostamento senza trasporto di cariche attraverso di esso;il terreno sarebbe quindi adatto a fungere da guida di campi elettromagne-tici. In particolare nelle prospezioni georadar vengono utilizzate microon-de (con frequenze comprese tra 0.3 e 300 GHz) e la loro radiazione puòvenire diretta in fasci concentrati di energia con una forma conica e conun angolo di apertura di 90°-120°. Il sistema di ricezione amplifica gli echiricevuti e trasla il treno d’onda in arrivo nella banda delle audiofrequenze.La risoluzione orizzontale ottenibile è funzione del rapporto tra la veloci-tà di spostamento lungo il profilo e il ritmo di scansione scelto. Numerosisono gli esempi di applicazione del metodo; solo a titolo di esempio sicitano qui alcuni casi relativi all’area urbana di Catania [5, 6, 7].Operativamente, la scala verticale è calibrata in nanosecondi e può esseretradotta in termini di profondità, una volta stabilita la relazione tra tempidi propagazione e profondità. I dati così ottenuti sono stati sottoposti a fil-traggio tramite l’utilizzo del software “Radan 3”. Ciò ha permesso la resti-tuzione dei grafici di campagna, depurati dai segnali anomali.

La prospezione elettromagnetica è stata eseguita utilizzando un georadarmodello SIR System 3 della G.S.S.I. ed effettuando sei profili sulla pavi-mentazione della chiesa, utilizzando una antenna da 100 MHz per comples-sivi 103.5 metri lineari. Ciò al fine di evidenziare l’eventuale presenza, neitratti indagati, di strutture antropiche sepolte. La profondità massima rag-giunta è stata valutata in circa 6 metri. Nella figura 5, è rappresentata l’ubi-cazione dei profili elettromagnetici e le relative anomalie riscontrate.

Stima della risposta di sito e indagini Georadar 249

Fig. 5. Ubicazione dei profili georadar. In legenda è riportata la relativa interpretazione.

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La figura 6 rappresenta i grafici relativi ai sei radargrammi ottenuti. Inascissa si riportano le distanze progressive dal punto di partenza, indivi-duate da appositi markers con intervalli di due metri, mentre in ordinata èrappresentata la scala delle profondità desunta dalla interpretazione deiprofili elettromagnetici. In particolare è stato utilizzato un tempo di 150nanosecondi per tutti i profili.

4.3 Indagini sui microtremori

Le analisi dei microtremori possono fornire importanti informazionisulla possibile risposta sismica del sito. Il rapporto (H/V) tra le ampiezzedelle componenti orizzontale e verticale del moto del suolo viene definitofattore di amplificazione. Una volta verificate le assunzioni di base [8],maggiore è il valore di questo fattore, maggiore è la risposta sismica loca-le attesa. Nel caso in esame le misure sono state eseguite sul sito corri-spondente al sondaggio meccanico S2. Le registrazioni sono state effettua-te utilizzando un sismometro multicanale Geotech Teledyne accoppiato aun geofono Mark a corto periodo e a tre componenti. La finestra tempora-le utilizzata per le registrazioni è stata fissata pari a 300 secondi.

Imposa, Gresta250

Fig. 6. Radargrammirelativi ai sei profilieseguiti. A = echi rife-ribili alla probabilepresenza di strutture dinatura antropica nonben delimitabili; C =echi riferibili alla pro-babile presenza distrutture di naturaantropica (vani, cripte)riempite con materialidi riporto; M = echiriferibili alla probabilepresenza di muri omurature complesse; P= echi riferibili allaprobabile presenza di

traccia di scavo (probabile pozzetto); S = echi riferibili alla probabile presenza di servi-zi sottotraccia (tubazioni e canalette).

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Lo spettro della campionatura è stato elaborato tramite un analizzatoredigitale il quale opera una trasformata del tipo PSD (Power SpectrumDensity), sommando e mediando una serie di circa 135 spettri, risultantidalla larghezza di banda usata dallo strumento, nell’arco di durata dellaserie temporale utilizzata. Per tutte le stazioni di misura si è effettuata unaoperazione di filtraggio, utilizzando un filtro passa-basso con frequenza ditaglio pari a 10 Hz. Successivamente si è analizzato lo spettro di frequen-za relativamente al range 0-10 Hz.

L’analisi ha evidenziato come gli spettri (v. Fig. 7) relativi a tutte e trele componenti del segnale (verticale e orizzontali, rispettivamente longitu-dinale alla struttura e trasversale alla stessa) mostrino un comune picco difrequenza a 0.9 Hz. Tuttavia tale picco non può essere dovuto a particola-ri risposte di sito, visto che il rapporto H/V tra le ampiezze delle compo-nenti orizzontali e della verticale è circa 1; la presenza di tale picco sareb-be da attribuire piuttosto all’influenza del mare o di sorgenti antropiche.Invece risulta significativo, in termini di risposta sismica locale, il picco a3.9 Hz sulla componente orizzontale longitudinale, in quanto il rapportoH/V che si è ricavato risulta circa uguale a 3.

6. Conclusioni

Le indagini effettuate sul sito su cui insiste la chiesa dei Minoritelli, nel-l’area urbana di Catania, hanno fornito lo spunto per diverse considerazio-ni. Innanzitutto, è stata trovata una buona corrispondenza tra le amplifica-

Stima della risposta di sito e indagini Georadar 251

Fig. 7. Spettri dei microtremori relativi alle tre componenti del moto del suolo.

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zioni misurate (mediante l’uso dei microtremori) e quelle calcolate (median-te simulazioni numeriche). Ciò è stato osservato in numerosi altri casi (veda-si a titolo di esempio Ragusa-Ibla [8]), a conferma della bontà di un meto-do di indagine speditivo, quale quello dei microtremori, per una stima dellarisposta sismica locale. Nel caso della chiesa dei Minoritelli, sembra eviden-te un discreto effetto di amplificazione al sito per frequenze attorno ai 4 Hz.Tuttavia, allo scopo di verificare la possibile esistenza di effetti di doppiarisonanza (dovuti all’interazione tra la risposta sismica del sito e quella tipi-ca dell’edificio), sarebbero necessarie ulteriori misure dei microtremorisulla struttura, a diverse elevazioni, al fine di individuare le frequenze fon-damentali di vibrazione della struttura stessa.

Lo scopo dell’indagine geofisica tramite georadar, invece, è stato quel-lo di individuare eventuali strutture di natura antropica ubicate sotto ilpiano di calpestio della chiesa. In particolare, sono state individuate strut-ture ben delimitabili (probabili cripte o vani riempiti di materiale di ripor-to). È stata anche evidenziata una struttura posta vicino la scalinata del-l’ingresso; infine sono stati identificati diversi echi riferibili a murature. Laconferma della presenza di tali strutture sepolte si è avuta dai risultati deri-vanti dalla interpretazione dei sondaggi meccanici, nonché da scaviarcheologici effettuati in aree limitrofe.

RINGRAZIAMENTI

Gli autori ringraziano l’Ing. Antonio Leone, dell’ Assessorato Regionale LL.PP.,Dipartimento. LL.PP., Ufficio Genio Civile di Catania per il continuo e costruttivo supportoe il Dr. Geol. Alessandro Schillaci per la fattiva collaborazione. Questa ricerca è stata ese-guita su fondi dell’Università degli Studi di Catania, “Ricerca di Ateneo” (2003 e 2004).

BIBLIOGRAFIA

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Imposa, Gresta252

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3. S. Gresta e H. Langer, «Simulazioni “strong-ground-motion” nell’area urbana diCatania». In: Monaco C. e Tortorici L., Carta geologica dell’area urbana diCatania. Scala: 1:10.000. S.E.L.C.A. (ed), Firenze, 1999.

4. E. Giampiccolo, S. Gresta, M. Mucciarelli, G. De Guidi, M.R. Gallipoli,«Information on subsoil geological structure in the city of Catania (Eastern Sicily)from microtremor measurements». Annali di Geofisica, vol. 44, n. 1, 2001, pp. 1-11.

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7. S. Imposa, D. Majolino, D. Barilaro, C. Branca, S. Gresta e A. Leone, «GroundPenetrating Radar (G.P.R.) surveys applied to the research of crypts in SanSebastiano’s church in Catania (Sicily-Italy)». Journal of Cultural Heritage, 2006,in print.

8. Y. Nakamura, «A method for dynamic characteristic estimation of subsurfaceusing microtremor on the ground surface». Quarterly Report of RailwayTechnology Research Institute, vol. 30, n. 1, 1989, pp. 25-33.

9. S. Gresta, H. Langer, M. Mucciarelli, M.R. Gallipoli, S. Imposa, J., Lettica e C.Monaco, «The site response in the city of Ragusa-Ibla (Sicily) by usingmicrotremors and strong ground simulations»., in C.A. Brebbia (ed) Risk AnalysisIV, WIT Press, 2004, pp. 93-101.

Stima della risposta di sito e indagini Georadar 253

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IL MUSEO DEL MARE DI POZZALLO: UNO STUDIO PRELIMINARE

INCATASCIATO S.

Laboratorio di Progettazione e Servizi per l’Ingegneria e i Beni Culturali IngegniCultura.

Questo lavoro illustra i risultati di una ricerca preliminare alla realizzazio-ne di un Museo del Mare a Pozzallo (RG). Lo scopo è quello di presentareuna proposta, un quadro organico di linee guida da cui prendere spunti e sug-gerimenti in vista dell’eventuale progetto di allestimento definitivo.

Il lavoro fornisce un breve excursus sulle istituzioni museali realizzate neisecoli, dalle prime raccolte di oggetti preziosi aventi carattere votivo al museocontemporaneo. Questa analisi ha consentito di seguire l’evoluzione del con-cetto di museo ed il suo processo di trasformazione da contenitore di beni delpassato e “riserva” dello studioso a protagonista nella produzione di cultura,che alla funzione tradizionale associa quella di ricerca e didattica.

Esaurita questa prima fase, si è presa in considerazione la specifica tipo-logia di museo del mare e sono stati analizzati diversi esempi italiani rappre-sentativi per trarre validi spunti, soprattutto in relazione alle modalità di alle-stimento ed organizzazione. Ciò in considerazione del fatto che la conoscen-za e l’esame delle strutture già realizzate costituisce senza dubbio uno stru-mento essenziale per la progettazione di una nuova struttura museale.

Il passo successivo è stato quello di analizzare il panorama siciliano pervalutare l’offerta di musei del mare in modo da comprendere il significa-to che può assumere ed il peso che può avere in un’ottica regionale l’aper-tura di un nuovo Museo del Mare a Pozzallo. Si è anche cercato di valu-tarne l’impatto sull’economia – in termini di produzione di reddito – e sulturismo – in termini di attivazione di flussi turistici aggiuntivi. Dopo avertracciato, dunque, un quadro sintetico dell’offerta museale, si è concentra-ta l’attenzione sull’analisi della domanda e sulla natura e consistenza deiflussi turistici in Sicilia e, specificamente, in provincia di Ragusa.

Quindi si è passati al caso studio partendo con l’esaminare l’ambito ter-ritoriale e culturale in cui il museo dovrebbe sorgere. Questa analisi è con-sistita nella descrizione delle vicende storiche della cittadina di Pozzallo e

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dello stato attuale della stessa per metterne in luce le criticità, i limiti, lepotenzialità ed individuarne le opportunità di sviluppo.

Quindi si è passati alla descrizione della sede dell’istituendo Museo delMare, l’ex Colonia Marina, e del progetto architettonico elaborato dallaSoprintendenza per adeguare i locali alla nuova destinazione di usomuseale.

Nella parte conclusiva del lavoro sono illustrate, infine, le linee guidadella proposta in ordine all’allestimento ed alla gestione dell’istituendoMuseo del Mare di Pozzallo.

Il museo del mare di Pozzallo: uno studio preliminare 255

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IL VALORE DI UN’ESPERIENZA MULTIDISCIPLINARE

IL CASO DI FESTÒS (CRETA)

LA ROSA V.

Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Catania

Che gli archeologi non potessero essere autarchici P. Orsi (la citazione quia Siracusa è d’obbligo) lo aveva capito dalla fine dell’Ottocento e si era fattoconvincere dall’antropologo G. Sergi dell’esistenza di una razza “ibero-ligu-re-mediterranea” e del primitivo popolamento della Sicilia da parte di grup-pi africani. Assai prima, insomma, che una banda di scalmanati agli inizidegli anni Sessanta appartenenti a diverse Società americane per l’Archeolo-gia e con in testa Lewis Binford decidesse di abbattere a martellate l’edificiodell’archeologia umanistica, fatta sì di sovrapposizioni stratigrafiche, masoprattutto di fonti letterarie, di liste di faraoni, di genealogie di sovrani, dielenchi di arconti e di consoli, di riferimenti alla guerra troiana o ai giochiolimpici. Il dialogo fra cultori di discipline diverse, fino ad allora episodicoed affidato alla sensibilità dei singoli, veniva codificato come indispensabile.Nasceva la New Archaeology, cangiante, dispotico, prolifico, fruttuosoLeviatano [1]. Qualche anno dopo, nell’Italia accademica, sarebbero infeli-cemente proliferate le “scienze sussidiarie dell’archeologia”, con un relativoraggruppamento concorsuale che sopravvive ancor oggi, assai meno ambi-zioso, nelle Facoltà umanistiche come “Metodologie della ricerca archeolo-gica”. Il compianto amico Giorgio Gullini, pioniere indiscusso della suagenerazione (era nato nel 1923) arrivò a concepire, lui archeologo classico dilungo corso, una Facoltà di Scienze delle risorse culturali ed ambientali pres-so il Politecnico di Torino, mai decollata. Lo sbocco generalizzato delleFacoltà umanistiche è sotto gli occhi di tutti: i tanti corsi di laurea in BeniCulturali (variamente etichettati e con diversi curricula) cedono il passo, infatto di gradimento, solo a quelli in Scienze della comunicazione. I corsi dilaurea in Tecnologie dei Beni Culturali delle Facoltà scientifiche ripristinanoora quella necessaria autonomia e specificità che l’utopia di Gullini intende-va annullare, a scapito (ben inteso) di archeologi e storici [2].

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L’abbraccio – è questo il punto – non poteva essere didattico, a meno diraggruppare diversi corsi di laurea in un’unica Facoltà di Beni Culturali,con complicazioni, tuttavia, di carattere accademico, programmatorio,concorsuale, o di risorse che lascio ai colleghi immaginare. L’incontro fraarcheologi e scienziati, in altri termini, può e deve riguardare la ricerca ela sua applicazione.

Nei tempi presenti di New Archaeology, la spasmodica caccia a semprenuovi approcci, mutuati dalle discipline più varie, ha incrementato ilrischio che i dati reali vengano ‘manipolati’ od adattati a principi genera-li o ad affermazioni teoriche nate, molto spesso, per fenomeni e societàassai meno complesse di quelle antiche. Un vecchio archeologo militante,formatosi al positivismo delle stratigrafie o degli sviluppi delle forme edelle decorazioni ceramiche, non può che partire dai Realien, con dellegriglie di cronologia relativa che propongano un ‘prima’ e un ‘dopo’, maanche un ‘dove’. Il ‘teorico’, brillante e geniale, sceglie invece un approc-cio e va al galoppo per la sua strada, spesso senza curarsi di chi gli correaccanto, sebbene tenti di raggiungere la medesima meta [3].

Guardare ai Realien significa, in primo luogo, confrontarsi su di essi, conla stessa aspirazione alla obiettività (aspirazione, si badi!) che si è disposti aconcedere ad un esame di laboratorio: dimenticandosi del fatto che – mi sipassi la boutade – un valore di glicemia o di colesterolo può qualche volta,ad uno stesso prelievo, risultare diverso per due differenti analisti.

Strati, forme ceramiche ed esami di laboratorio possono parlare,insomma, lo stesso linguaggio positivo, volto ad una comprensione la piùvasta possibile del dato reale. Voglio dire – e non sarà questa la mia ulti-ma affermazione lapalissiana – che tutti dobbiamo concorrere a persegui-re una tale conoscenza allargata; solo alcuni di noi invece (e mi tolgo subi-to dal novero) [4] saranno in grado di proseguire il percorso della conser-vazione e della valorizzazione del bene culturale. E poco importa che peri nostri politici l’imperativo categorico e il toccasana del sottosviluppo sia“valorizzare ad ogni costo”, mentre il bene esiste ancora. Niente è eterno,certo; il rischio è però che il dibattito civile ed etico sull’eutanasia possatrascinarsi dietro quello sulla dolce, ma vantaggiosa, morte per questo oquel monumento.

Mettendo da parte la cornice, tentiamo adesso di descrivere il quadro,quello beninteso, della mia personale esperienza nello scavo di Festòs, nel-l’isola di Creta, che gli Italiani conducono dal 1900, e nel quale sono inin-terrottamente coinvolto dal 1965, allora giovane allievo della Scuola

Il valore di un’esperienza multidisciplinare: il caso di Festòs (Creta) 257

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Archeologica Italiana di Atene. Una tale esperienza si è decisamente tintacon i colori del nostro Ateneo soprattutto a partire dal 1998, anno di fon-dazione del Centro di Archeologia Cretese, multidisciplinare per compitistatutari, Centro ai cui programmi di ricerca diversi dei colleghi in salacontinuano a dare il loro proficuo apporto.

Distinguerei, per comodità, tre momenti nell’articolazione di un’inda-gine multidisciplinare:

a) la formulazione delle domande (che l’archeologo rivolge in primaistanza a se stesso e quindi ai diversi specialisti che intende, sulla base diesse, coinvolgere);

b) l’esame sperimentale dei dati, secondo le autonome e specifichecompetenze (quelle dell’archeologo comprese);

c) il momento della “comunicabilità dei vasi” [5], cioè quello del con-fronto fra le diverse classi di acquisizioni, in vista di una conclusione ‘sto-rica’ la più articolata possibile: è certo il momento più arduo, ma anche ilpiù gratificante e creativo.

Vengo adesso, sulla base di questa scaletta di comodo, a proporre alcuniesempi che riguardano il sito di Festòs, ma anche il limitrofo e complemen-tare insediamento di Haghia Triada, pur’esso fiore centenario all’occhiellodell’archeologia italiana. Premetto, infine, che non farò alcun riferimento adindagini di tipo paleobotanico, paleozoologico o paleoantropologico, che nonrichiedono specifiche domande, ma che costituiscono ormai discipline auto-nome, il cui apporto non può mancare in qualsiasi scavo, soprattutto di ambi-to preistorico. E farò appena uno scontato cenno al tema delle datazioni, pre-cisando che, dopo qualche isolato tentativo di analisi al C14 (risultate tutta-via difficilmente inquadrabili nel sistema di cronologie relative già acquisi-to), abbiamo puntato sul metodo della termoluminescenza, applicato a con-testi particolari come quelli delle fornaci da vasaio. La competenza e la pas-sione di O. Troja hanno già partorito i primi risultati.

Passerò pure sotto silenzio i progetti di collaborazione nei quali siamostati coinvolti da colleghi inglesi che lavorano a Cnosso o francesi diMallia; ad essi abbiamo fornito campioni mirati di ceramiche festie, inrelazione a loro domande, dalle quali noi pure abbiamo ricevuto utilirisposte. E così nel caso di campionature relative ad oggetti di bronzo (perlo studio delle leghe metalliche e per l’indagine sulla provenienza dellamateria prima), oppure in quello per la ricerca di materiale organico all’in-terno dei contenitori ceramici, propostici da alcuni colleghi greci.

La Rosa258

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Queste, in ordine sparso, le domande iniziali che intendevamo porre,come tasselli mancanti per una ricostruzione complessiva della storia delsito, con le relative risposte:

1) quale era l’articolazione del quartiere sud-ovest del Primo Palazzo diFestòs al momento della sua distruzione sismica, intorno al 1700 a.C.?Che peso andava dato, fra l’altro, a quell’ormai celebre conglomeratodetto astraki, che aveva spuntato i picconi degli operai negli anniCinquanta, nello scavo degli ambienti di quel quartiere? La posta in palioera decisamente alta. La chiara sovrapposizione di tre piani di calpestio,con porte e pavimenti aveva portato il Levi ad ipotizzare che si trattassedelle rovine di tre differenti e sovrapposti edifici: in seguito ad una distru-zione sismica, le rovine sarebbero state livellate fino ad un’altezza deside-rata e poi colmate con il citato astraki, onde creare delle piattaforme difondazione e consentire la riedificazione, praticamente con la stessa plani-metria, dei vani del palazzo. Su questa base egli aveva ipotizzato una sud-divisione tripartita del periodo dei Primi Palazzi assolutamente diversa,per durata e corrispondenze, da quella proposta agli inizi del secolo da A.Evans, lo scavatore di Cnosso. Una tale suddivisione pensava il Levidovesse valere per l’intera isola di Creta. Già subito dopo lo scavo alcunistudiosi gli obiettarono, con argomenti relativi sia alle strutture sia ai cor-redi pavimentali, che non di tre palazzi sovrapposti si trattava, ma di trepiani di un unico edificio, distrutto una sola volta, ed una sola volta col-mato con la colata di calcestruzzo. Il Levi difese a spada tratta la sua inter-pretazione, che col passar degli anni fu sempre più considerata eretica: conil risultato che lo scavo di Festòs, riccamente pubblicato dallo stesso stu-dioso, fu in qualche modo ghettizzato, anche per la difficoltà che la dila-gante anglofonia incontrava nel cimentarsi con il farraginoso italiano delNostro. La rilevanza del problema, soprattutto per le sue implicazionipaninsulari, era palese ed i colleghi stranieri si aspettavano, da chi era suc-ceduto al Levi nella responsabilità dello scavo festio, una parola risoluti-va. La risposta non poteva però essere solo quella di un archeologo che sifosse limitato a rivedere i corredi pavimentali recuperati nei diversi vani enei diversi piani, con qualche osservazione, al più, sulla sovrapposizionedei muri o sui tracciati delle scale. Ecco allora l’idea dell’equipe multidi-sciplinare, con dei limiti-capestro per quel che riguardava i tempi per unprimo bilancio: la fine dell’anno 2000, centenario dello scavo festio, conun appuntamento d’obbligo in dicembre, per un convegno pressol’Accademia Nazionale dei Lincei. Gli Atti di quel Convegno (I cento anni

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dello scavo di Festòs) costituiscono una delle pubblicazioni alla quale misento più legato [6]. Un paio di archeologi (il sottoscritto e F. Carincidell‘Università di Venezia), un architetto (il collega F. Tomasello), deisismologi (F. Galadini e G. Galli dell’Istituto Nazionale di Geofisica), uningegnere strutturista (P. Riva dell’Università di Brescia), un chimico (ilcollega E. Ciliberto) per malte ed intonaci, ognuno con i suoi specificistrumenti di indagine, hanno consentito una straordinaria risposta unitaria:dei tre livelli architettonici tuttora ben visibili, almeno i due inferiori siriferiscono a due piani di un unico edifico; quanto al terzo, la scarsità deiresti non consente una presa di posizione certa. Una serie di indizi (suiquali ovviamente sorvolo) permettono forse di aggiungere che i piani fos-sero addirittura tre e che si fosse deciso, dopo un primo episodio sismico,di abbandonare (colmandoli con il calcestruzzo) i due più bassi e di ripri-stinare soltanto il superiore. Un secondo terremoto, dopo un lasso ditempo assai breve, avrebbe definitivamente mandato in rovina il PrimoPalazzo di Festòs. Morale della favola: la classificazione data dal Levi perl’età protopalaziale non è più sostenibile e le peculiarità festie, pure inne-gabili, avranno bisogno di nuovi contenuti.

2) Come e perché era stata distrutta, intorno al 1450 a.C., la c.d. VillaReale di H. Triada? Anche in questo caso il tipo di risposta avrebbe avutoconseguenze storiche di enorme rilievo, inserendosi in una delle vexataequaestiones dell’archeologia minoica: la fine dei Secondi palazzi e l’even-tuale ruolo dei Micenei del continente. Nel caso di H. Triada, in particola-re, l’edificio del potere di età micenea era stato costruito proprio sopra laVilla reale, senza che fossero stati minimamente saccheggiati i suoi ricchicorredi pavimentali. L’indagine dei sismologi L. Tortorici e C. Monaco,rispolverando, con una cogente documentazione analitica, la vecchia ipo-tesi della distruzione sismica, consente ora di escludere episodi bellici esaccheggi e depone in favore di una forte continuità dei gruppi di potereprima e dopo la fine dei Secondi Palazzi.

3) Dove potevano essere cercate le tuttora ignote necropoli più antiche diFestòs, e quali elementi potevano da esse ricavarsi per valutare l’estensionedell’abitato? Al di là del tradizionale ‘gambe in ispalla’, alla ricerca di strut-ture o di resti ossei affioranti, la moderna tecnologia era in grado, anche inquesto caso, di fornire il suo apporto determinante. Con un unico volo su unpiccolo aereo, nell’estate del 2000, A. Geraci (insieme con i suoi collabora-tori) ha scritto la prima pagina di telerilevamento a Festòs, con tante prospet-tive che consiglierebbero di continuare in questa direzione: peccato, tuttavia,

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che gli aerei non volino con il solo entusiasmo e le curiosità dei ricercatori.Alcuni contorni di strutture circolari (se non si tratta ovviamente di costru-zioni recenti o semplice aie per la mietitura) potrebbero riferirsi a tombe dietà geometrica, confermando un modello di abitato per piccoli nuclei (katàkomas) che era già stato ipotizzato. Ma resti circolari di dimensioni maggio-ri, nel settore a Sud-Ovest dell’area archeologica, potrebbero proprio costi-tuire quelle famose sepolture collettive caratteristiche della Creta centro-meridionale fino al momento di costruzione dei Primi Palazzi. Chi avrà laventura di verificare con piccone e cazzuola, potrà riprendere, sulla base deicorredi tombali e degli eventuali oggetti di prestigio, il problema della consi-stenza e dell’articolazioni delle elites, e reinterrogarsi sul perché della nasci-ta del palazzo proprio a Festòs.

4) Come si potevano mettere a fuoco, con l’approccio multidisciplina-re, i fenomeni dell’artigianato e del commercio per le diverse classi dimateriali? È questa, in effetti, la domanda più vasta e apparentemente piùvaga, che conviene articolare in una serie di quesiti specifici, tenendo tut-tavia presente l’aspirazione a non limitarsi al solo versante tecnologico,ma a tentare una qualche lettura socio-politica.

4a) Quale era la conoscenza tecnologica maturata dagli artigiani delnostro comprensorio nella modellazione e nella cottura delle ceramiche enella realizzazione dei vasi in pietra, sia nel periodo dei Primi che deiSecondo Palazzi? In questo ambito ha assunto una sua individualità il sub-progetto “fornaci”, con impianti artigianali che nei due centri di Festòs ed H.Triada andavano dal periodo dei Primi Palazzi (1700 a.C. ca.) al momentoorientalizzante (fine del VII sec. a.C. ca.). Si pensi che scavando, ormai quasiottuagenario, il forno di H. Triada il Levi aveva addirittura oscillato sullanatura dell’impianto, se per fusione di metalli o per cottura di vasi. I nuovirilievi di F. Tomasello e le sue proposte sul funzionamento e sulle peculiari-tà tecniche dei diversi forni, le indagini cronologiche di O. Troja (per confer-mare datazioni ottenute solo attraverso i materiali ceramici raccolti all’inter-no, o con brevi saggi e pulizie lungo le fondazioni dei muri), le acquisizionidi A. Pezzino e P. Mazzoleni sulle tecniche e le materie prime utilizzate perla produzione dei rivestimenti o sulle temperature massime raggiunte all’in-terno delle fornaci, hanno consentito di evidenziare la sapienza tecnologicadei vasai festii di età minoica, fornendo la documentazione preliminare perogni discorso sulle fabbriche locali.

4b) Quale era la tavolozza dei decoratori parietali, da dove traevano iloro colori e con quale tecnica li realizzavano? Allo studio degli affreschi

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P. Militello si dedica da tempo. Sue sono state, in questo caso, le doman-de. Un primo lotto di analisi, sulle pitture di H. Triada, effettuato dal col-lega greco Perdikatzis nel 1998, consentì, con un’indagine mineralogica,di individuare gli elementi che componevano pigmenti ed intonaci e diaccertare che l’unico materiale importato era il bleu egiziano, impiegatosolo nelle pitture di maggiore impegno. Ad E. Ciliberto, a partire dal 2000,furono proposti, attraverso una campionatura più vasta, anche quesiti piùcomplessi relativi alla tecnica. Egli ha potuto accertare che accanto a quel-la detta ad affresco, ne veniva impiegata una a mezzo-fresco e che proprioquesta era stata erroneamente confusa con la tempera, invece largamenteimpiegata sia in Egitto che nel Vicino Oriente: il che equivale ad afferma-re l’originalità e la versatilità dei decoratori minoici.

4c) Da dove si procuravano gli artigiani festii le materie prime, argille,pietre, ossidiane etc.) e cosa queste provenienze potevano, eventualmente,dirci per il problema degli scambi e dei commerci?

Le analisi di laboratorio delle argille sono ormai un supporto indispen-sabile ad ogni edizione di materiali ceramici: l’esame autoptico serve, inaltri termini, soprattutto per stabilire criteri e limiti della campionatura. Ilcoinvolgimento di Festòs è stato originariamente propiziato, come giàdetto, dai colleghi inglesi. La strabiliante (per loro e per noi) conclusionefu che le sole importazioni presenti a Cnosso, dalla fine del IV millennioa.C., erano di provenienza festia; qualche coccio dipinto con ocra risalivaaddirittura al periodo del neolitico finale. Tuttora oggetto di valutazionecongiunta (dai due versanti cioè di Cnosso e di Festòs) è la seconda acqui-sizione: che tali importazioni occupino tutti il periodo AM I ed AM II A(fino 2500 a.C. ca.), che si interrompano bruscamente per almeno mezzomillennio, e che riprendano solo al tempo dei Primi Palazzi. Le relazionitra i due centri più importanti dell’isola, in altri termini, hanno ancoraparecchio da svelarci.

Proprio in questa prospettiva, abbiamo deciso di continuare la collabo-razione con il collega inglese P. Day, concentrandoci sui periodi più anti-chi di quelle importazioni. S. Todaro, alla quale ho affidato l’edizionedelle ceramiche di età prepalaziale dei nuovi scavi di Festòs, sta comple-tando un dottorato di ricerca presso l’Università di Sheffield con lo stessoprof. Day, insieme con il quale ha avviato un programma di analisi, da cuiè lecito attendersi risultati di grande interesse.

La collaborazione del collega inglese (ma anche del ricercatore grecoKilikoglou) si è fruttuosamente realizzata con i catanesi A. Pezzino e P.

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Mazzoleni (contro i quali dovrete protestare per questo mio intervento!),che hanno guidato, nel dottorato di ricerca, C. Belfiore. Ella ha dovutoimparare cos’era un forno o un coccio Tardo minoico I, analizzando e stu-diando i risultati di una cinquantina di campioni ceramici recuperatiappunto entro un forno del 1500 a.C. ca. scoperto ad H. Triada. Che larivista Archaeometry abbia deciso di accogliere il lavoro è garanzia chenon richiede ulteriori commenti. Abbiamo già in programma di continua-re con la stessa equipe, scegliendo complessi stratigraficamente mirati,relativi alle diverse epoche, non escludendo persino le produzioni venezia-ne di XVI-XVII sec., alle quali si è già preliminarmente dedicato P.Mazzoleni, pungolato da L. Arcifa, che studia le ceramiche dall’area dellanecropoli ‘moderna’ di H. Triada.

Un’indagine sui generis, sempre nel campo della produzione vascola-re, ha interessato le pentole tripodate, forma fra le più comuni nella cera-mica c.d. da fuoco. In questo caso l’osservazione autoptica dell’archeolo-go era che il tipo risultasse assai diffuso nel NE dell’Egeo (per es. nell’iso-la di Lemno) ed a Creta e che fosse quasi assente nell’arcipelago delleCicladi, ma con una sostanziale differenza morfologica fra le due aree:corpo mastoide, fondo nettamente bombato e piedi molto alti con attacca-tura fin quasi sotto l’orlo, nel caso di Lemno; corpo cilindrico, fondo quasipiatto e attacco dei piedi in corrispondenza con la base del recipiente, nelcaso di Creta. Dal punto di vista termodinamico (e sono già alle conside-razioni propostemi da E. Ciliberto) le due diverse fogge del fondo consen-tono un differente assorbimento del calore, verosimilmente in rapporto,quest’ultimo, con il genere di cibo da cuocere e con la qualità della cottu-ra. La forma a calotta profonda degli esemplari di Lemno, assorbendo unamaggiore quantità di calore, meglio si adatterebbe alla cottura delle carni.Dal punto di vista tecnico è necessario tuttavia ricordare che un tipo diargilla non refrattaria, come hanno dimostrato le analisi di laboratorio peri campioni del NE dell’Egeo, sarebbe risultato difficilmente impiegabilein recipienti dal fondo piatto: da qui la necessità di pentole mastoidi. Unaterza variante, direttamente in rapporto con la diffusione del calore, puòessere rappresentata dalla forma del focolare, più o meno costruito, e conmaggiore o minore dispersione di fiamma, ma anche con una diversa fontedi calore, come fuoco vivo o brace. Gli esemplari di Lemno, con attaccomolto alto dei piedi e con la loro notevole divaricazione, potrebbero, peresempio, risultare più funzionali per una cottura alla fiamma; le pentoleminoiche, con i sostegni attaccati direttamente al fondo, sembrerebbero

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più adatte per una cottura alle brace o a fuoco lento. Nell’attesa di passa-re all’archeologia sperimentale, la provvisoria ipotesi di lavoro è cheun’accertata differenza nelle forme dei contenitori e quindi dei focolari edei tipi di cottura autorizza a sospettare anche una differenza di abitudinialimentari fra il Nord ed il Sud dell’Egeo, per non parlare dello strano‘buco nero’ rappresentato, per quel che riguarda la nostra forma ceramica,dal centrale arcipelago delle Cicladi. È appena il caso di richiamare, inquesta sede, i cd. Regional Paths, le differenziazioni culturali nelle diver-se aree, che prendono in genere le mosse da nozioni di tipo climatico edambientale, con il supporto della paleobotanica e della paleozoologia. Etaccio della proposta di C. Renfrew, ormai degli inizi degli anni Settanta,circa un Nord attardato rispetto ad un Sud più progredito.

La classe dei vasi in pietra risultava a Festòs e nei centri vicini di par-ticolare rilevanza, per la varietà del materiale usato, per la raffinatezza del-l’esecuzione, per l’eleganza delle forme (in qualche caso copiate addirit-tura dalla produzione ceramica). Alle considerazioni archeologiche di O.Palio (sviluppo tipologico delle forme, contesti, specifiche funzioni, cro-nologia degli esemplari più antichi nell’AM II, con una vera e propria pro-duzione in serie fra la fine dell’AM III e gli inizi del MM IA etc.) è statopossibile aggiungere le osservazioni del geologo (L. Lazzarini nella fatti-specie), del massimo interesse per quel che riguarda la provenienza dellepietre e il sistema di lavorazione. La maggior parte di esse è risultata dellazona, raccolta piuttosto che estratta, essendosi trattato in genere di grossiciottoli di fiume: conclusione tutt’altro che scontata, dal momento chequello dei rapporti con la consimile produzione egiziana era sempre statoun tema presente in bibliografia. Un’altra notevole acquisizione è rappre-sentata dall’individuazione del materiale usato per lavorare la pietra,mediante rudimentali trapani di canna: si tratta di uno smeriglio che inEgeo era fornito quasi esclusivamente dall’isola di Nasso. Ne abbiamoavuto eclatante conferma proprio ad H. Triada, recuperando uno scarto dilavorazione di un blocco di calcare, usato forse solo per impratichirsi nel-l’uso del trapano: con le tante carote ancora attaccate al blocco e conabbondanti resti di quella polvere scura, risultata appunto, alle analisi,smeriglio di Nasso.

In G. Pappalardo e nelle sue analisi diffrattometriche pixe-alfa mi sonoimbattuto, per i materiali festii, in un paio di occasioni: nella prima sonoandato al traino, nella seconda ho fatto invece da mosca cocchiera. Sullabase di alcuni suoi precedenti studi sui pigmenti del nero delle vernici atti-

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che di età arcaica e classica, egli era fortemente interessato alla composi-zione della vernice dei vasi Kamares, più vecchi di oltre un millennio.Dall’esame proprio di un manufatto festio donato a suo tempo da L.Pernier a P. Orsi per il museo siracusano, è risultata una sostanziale uni-formità fra il nero attico e quello Kamares, sia nella composizione mine-ralogica sia nelle proporzioni degli elementi presenti, con l’assenza di quelmanganese che sarebbe stato invece impiegato in coeve produzioni di altriambiti mediterranei.

Al problema degli scambi in Egeo, a partire già dall’età neolitica, èlegato invece il programma di analisi, sempre con la stessa tecnica, di ossi-diane, le quali possono essere, sulla base degli elementi in traccia, attribui-te a precise cave di provenienza. La disponibilità di campioni cronologica-mente ben stratificati, su un arco di almeno un paio di millenni, ha consen-tito di dare alle analisi una buona rilevanza statistica. La conclusionegenerale appariva scontata già al semplice esame autoptico: tutti i campio-ni provenivano dall’isola di Melos, la maggiore fornitrice, assieme all’al-tra di Ghialì, di questo importante vetro vulcanico. Il risultato del tuttoinatteso è stato invece quello di poter identificare l’esatta provenienzarispetto ai due grandi giacimenti attestati a Melos. Le lame e le scheggeneolitiche erano solo dalla cava di Demenegaki, quelle di età AnticoMinoica soprattutto dal giacimento di Sta Nykia, i campioni più recenti daentrambi. Saranno gli specialisti di archeologia melia a valutare appieno,soprattutto sulla base della vicinanza di queste cave rispetto agli insedia-menti preistorici isolani, le dinamiche dello sfruttamento e della rete degliscambi, il coinvolgimento dei gruppi locali o la prevalenza di correnti ditraffico esterne già ben organizzate.

Un’indagine particolare, l’ultima in ordine di tempo, presentata adAtene una diecina di giorni fa da E. Ciliberto alla 2° Conferenza interna-zionale sulla Ancient Greek Technology, riguarda la natura e la composi-zione del citato astraki, dopo che le ultime indagini di scavo ci avevanoconsentito di raccogliere campioni in livelli assai più antichi di quelli dellafine del Primo palazzo. Si trattava di un edificio risalente allo scorcio delIV millennio a. C., nel quale il conglomerato non era forse stato usatocome semplice materiale di riempimento. La conclusione più importantedelle analisi sembra la sostanziale omogeneità di composizione dell’astra-ki nell’arco di quasi due millenni. Il conglomerato festio, usato non soltan-to come materiale di riempimento, ma anche come rivestimento di struttu-re murarie e nella preparazione di tetti e solai, è sicuramente più antico

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rispetto alle malte identificate in Siria, ad Alalakh VII, distrutta alla metàdel XVII sec. a.C. o ad Ugarit. Sarebbe quindi del massimo interesse poterappurare, sulla base anche di campionature medio-orientali, se lo scambiodi conoscenze tecnologiche, nel caso specifico, avesse fatto eccezione allaben nota espressione “ex Oriente lux”: se, in altri termini, fosse stata unatecnologia minoica ad approdare nella terra fra i due fiumi.

Una siffatta messe di dati relativa agli aspetti tecnologici, alla produzioneartigianale ed al commercio è tuttora in corso di elaborazione dalla partedella sponda archeologica, la quale ha in animo, ovviamente, di sollecitarealtri coinvolgimenti multidisciplinari. Mi pare però fin da adesso acquisito ilruolo portante dell’artigianato nella struttura sociale festia e la sua rilevanzaeconomica. Sono queste attività, in aggiunta alle primarie dell’agricoltura edell’allevamento favorite dall’ambiente geografico, ad aver fatto la fortunaautarchica del regno di Festòs e ad averne consentito una specifica caratteriz-zazione. Autarchia, non chiusura, come documentano le citate importazionidi ceramica festia a Cnosso, ma anche quelle di anfore-contenitori d’olio rin-venute a Mallia ed attribuite dai colleghi francesi, in seguito alle analisi delleargille, a vasai delle nostre officine. La storia dei rapporti di forza fra i diver-si centri palaziali (e dunque delle vicende politiche nell’intera isola) passa,insomma, da nuove acquisizioni di tipo multidisciplinare. E non saremo certonoi archeologi a tirarci indietro.

BIBLIOGRAFIA

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2. V. La Rosa. «Beni culturali: una scommessa d’Ateneo per il terzo millennio?», inBollettino d’Ateneo Univ. Catania, 4, nr. 3, luglio 1998, pp. 3-6.

3. V. La Rosa. «Intervento» in Il mestiere di storico: generazioni a confronto(Catania, 9-10 gennaio 2002), in c.d.s.

4. V. La Rosa, «Valorizzatori noi?», in Le forme e la storia, 2005 (Studi in memoriadi G. Compagnino), in c.d.s.

5. V. La Rosa. «Per una «comunicabilità dei vasi»: alcune delle domande possibili daparte di un archeologo», in Archaeometry in Europe in the third millennium(Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 29-30 marzo 2001), Contributi delCentro linceo interdisciplinare «Beniamino Segre», 105, Roma 2002, pp. 159-166.

6. AA. VV.. «I cento anni dello scavo di Festòs» (Roma, 13-14 dicembre 2000) (Attidei Convegni Lincei, 173), Roma 2001.

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IL DUOMO DI S. GIORGIO A RAGUSA IBLA: INDIVIDUAZIONE

DEI MATERIALI LITICI UTILIZZATI, IMPLICAZIONI ARCHITETTONICHE

ED ANALISI DELLE FORME DI DEGRADO

LA RUSSA M.F.(1), BARONE G.(1), MAZZOLENI P.(1)., PEZZINO A.(1), CRISCI G.M.(2), MALAGODI M.(3), AREDDIA G.(4), VINDIGNI A.(4)

(1)Dipartimento di Scienze Geologiche Università di Catania, Corso Italia, 53-Catania, Tel0957195755, fax 0957195760, email: [email protected]

(2)Dipartimento di Scienze Geologiche Università della Calabria(3)Istituto Centrale per il Restauro – Roma

(4)Gruppo progettazione Dir. lavori restauro Duomo

1. Introduzione

Il presente lavoro rappresenta la sintesi di un preliminare studio pluri-disciplinare di ricerche sperimentali, che interessano la geologia, la fisica,la chimica, la biologia e l’architettura, condotto sui materiali lapidei delDuomo di Ragusa Ibla.Tali ricerche sono state condotte principalmente per caratterizzare i materia-li litici e per ottenere una mappatura completa delle forme di degrado presen-ti al fine di eseguire degli interventi di conservazione e restauro mirati. Inoltre un accurato rilievo architettonico ha consentito di evidenziare l’uti-lizzo di diversi materiali per la costruzione della facciata del Duomo, sino-ra attribuiti ad una sola tipologia. Questo dato ha importanti implicazioniarchitettoniche sia per ciò che concerne l’estetica del monumento stesso,poiché va a rientrare nei tipici esempi monumentali di bicromia baroccapresenti nel Ragusano, sia per l’impiego di diversi materiali lapidei messiin opera in funzione delle loro caratteristiche chimico-fisiche.

2. Analisi storica e architettonica del monumento

Una delle massime espressioni dell’architettura sacra barocca è laChiesa di San Giorgio di Ragusa Ibla, progettata dall’architetto Rosario

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Gagliardi, siracusano di Noto, figura eminente della corrente artistica diquei tempi.

Il prospetto propone la più bella facciata – torre dell’architettura iblea,con la sovrapposizione di tre ordini che vanno a restringersi a piramide,per concludersi con la cella campanaria e la cuspide a bulbo. La Chiesa fuedificata sul sito della vecchia Chiesa di San Nicola, che era stata distrut-ta dal terremoto e la posa della prima pietra è avvenuta il 25 ottobre del1739, come ricorda un’incisione in uno dei pilastri d’angolo, mentre lacupola fu iniziata verso il 1810 per essere terminata nel 1820. Ancora piùtardi, nel 1890, fu eseguita ed installata la magnifica cancellata che cingela scalinata.

La Chiesa sorge su un progetto a pianta basilicale, a tre navate, divise darobusti ma eleganti pilastri di calcare duro, con zoccolatura in pietra pece ; lanavata maggiore, coperta da una volte a botte lunettata, è illuminata da ampiefinestre modanate con timpani ad arco ribassato. Le due navate laterali com-prendono una serie di Cappelle con copertura a cupola.

La facciata, a tre ordini, con partito centrale leggermente convesso, convolute spiraliformi che collegano i vari ordini, termina con l’originaleinserimento della torre campanaria al terzo ordine, sovrastata dalla cuspi-de con forma a bulbo. Forte plasticità è data dall’inserimento di colonnelibere nei vari ordini.

Il primo ordine presenta dieci robuste colonne corinzie su solidi piedi-stalli, con un portale centrale e due laterali . Il secondo ordine presentaun finestrone ornato da una cornice con intagli impreziosito da una vetra-ta colorata raffigurante San Giorgio nell’atto di uccidere il drago. Seicolonne corinzie sono sovrapposte alle sei interne del primo ordine; ailati, su due volute artistiche, le statue equestri di San Giorgio e di SanGiacomo Apostolo. Il terzo ordine offre alla vista la cella campanaria conbalaustra, quattro colonnine corinzie e due statue sulle volute laterali raf-figuranti San Pietro e San Paolo. Un orologio con la campana per i rin-tocchi, quello della vecchia Chiesa della Maddalena, due vasi artistici ela cuspide coronata da un globo e da una croce aerea completano la fac-ciata.La neoclassica cupola, alta 43 metri poggia su una serie di sedicicolonne binate, cilindriche, leggere con raffinatissimi capitelli corinzi.Sulla cupola più grande sorgono altre colonne più piccole che sostengo-no una cupoletta più piccola.

L’interno della Chiesa è a croce latina, con tre navate, separate da duefile di robuste colonne, cinque per ogni lato.

La Russa, Barone, Mazzoleni, Pezzino,Crisci, Malagodi, Areddia, Vindigni

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3 Materiali e metodi

Secondo indicazioni storiche, l’edificio venne costruito utilizzandomateriali lapidei cavati in loco. Si tratta di calcareniti appartenenti allaFormazione Ragusa, la quale si compone di due membri: MembroLeonardo (calcilutiti e marne dell’Olig. sup.) e Membro Irminio (calcare-niti e marne di ambiente pelagico del Mioc. inf.). Largo impiego trovaanche la pietra pece o asfaltica, ossia un calcare imbevuto di bitume in unapercentuale compresa tra il 7-10%. Gli affioramenti di pietra pece del set-tore ibleo, sono costituiti da banchi di calcareniti impregnati di bitumeriferiti stratigraficamente al Membro Irminio (Di Grande et al., 1977).Secondo le classificazione di Folk e di Dunham si tratta rispettivamente diuna biomicarenite e di un packstone.

Inizialmente, la pietra pece fu utilizzata solo per i capitelli del primo ordi-ne; successivamente, in seguito a cedimenti e disgregazioni, anche i capitellidel secondo ordine, le cornici e gli elementi decorativi dei tre portali venne-ro sostituiti con la pietra pece. Sono costituiti in pietra pece anche i seguentielementi architettonici: gli spicchi fra le nervature della calotta esterna dellacupola ottocentesca, le cornici orizzontali di coronamento del complessocupola – lanterna, la pigna e il basamento interno ed esterno.

In passato, la scelta di utilizzare la pietra asfaltica accostata alla calca-renite era legata probabilmente ad un effetto estetico di bicromia.Nell’area Ragusana ci sono infatti diversi esempi di bicromia del periodobarocco come la Badia, la Chiesa di S. Francesco all’Immacolata, il por-tale d’ingresso con balcone in palazzo Sortino-Trono e la Cattedrale di S.Giovanni. Probabilmente anche le buone caratteristiche fisico-meccanichedella pietra pece (ottima gelività, buona durevolezza fisica esterna ed otti-ma durevolezza fisica interna) hanno condizionato in passato la scelta delmateriale lapideo utilizzato.

Oggi il prospetto principale non mostra più una bicromia poiché gli ele-menti architettonici in pietra pece appaiono dello stesso colore della cal-carenite che presenta comunque una colorazione alterata arancione bruna-stra. Solo un’attenta analisi macroscopica ha consentito di distinguere ledue tipologie principali di materiale utilizzato. La distribuzione della pie-tra pece sulla facciata è evidenziata dalle parti in nero presenti sul rilievoarchitettonico (v. Fig. 1).

Sono stati prelevati (secondo Normal 2/80) in totale 21 campioni com-prendenti:

Il Duomo di S. Giorgio a Ragusa Ibla:individuazione dei materiali litici utilizzati

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La Russa, Barone, Mazzoleni, Pezzino,Crisci, Malagodi, Areddia, Vindigni

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malte, intonaci, calcare, pietra pece e patine di alterazione e degrado. Unprimo studio del degrado è stato eseguito attraverso un’analisi macroscopicasecondo Normal 1/88; sono state riscontrate mancanze, distacchi, alterazionicromatiche, disgregazioni differenziali, patine biologiche, croste, erosione eflos tectori degli intonaci. I punti di prelievo sono riportati in fig. 1.

Le metodologie analitiche impiegate comprendono: – la spettroscopia infrarossa (FT- IR), che permette di definire le specie

mineralogiche e la materia organica eventualmente presente. Lo stru-mento utilizzato è un Nicolet 380 dotato di accessorio Smart Orbit.

– l’analisi in cromatografia ionica (CI), effettuata con un Dionex dx 100al fine di valutare le concentrazioni delle specie anioniche presentinelle patine campionate. I campioni sono stati opportunamente prepa-rati secondo Normal 13/83 portati in soluzione e analizzati.

– l’analisi al microscopio elettronico a scansione (SEM) effettuata suframmenti di campione, preventivamente preparati attraverso metalliz-zazione in oro. Lo strumento utilizzato è un esem quanta 200 dellaFei/Philips.

Fig. 1. l Patine di alterazione e/o

degrado; m Materiale lapidei.

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Il Duomo di S. Giorgio a Ragusa Ibla:individuazione dei materiali litici utilizzati

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4. Risultati

Tutti i campioni prelevati sono stati sottoposti all’analisi in spettrosco-pia infrarossa FT-IR. In Fig. 2 e Fig. 3 sono riportati due spettri rappresen-tativi di patine di alterazione in cui si evince la presenza di carbonato dicalcio, in maniera predominante, gesso e tracce di ossalato, presente nellaspecie più comune, ovvero whewellite.

Al fine di ridurre la componente carbonatica, e le relative bande, i cam-pioni sono stati sciolti in una soluzione 0,1 N di acido cloridrico, succes-sivamente sono stati filtrati e essiccati in stufa a 60 gradi. Una volta rag-giunto un peso costante il campione è stato sottoposto nuovamenteall’analisi IR. Il risultato ottenuto è riportato nello spettro sottostante, incui sono ben evidenti le bande caratteristiche della whewellite riconosci-bile dai picchi caratteristici a 1328 cm-1 rappresentante lo stretching C =O, a 1615 cm-1 e 3398 cm-1.

Fig. 2. Spettro IRrelativo a patinadi alterazione.

Fig. 3. Spettro IRrelativo a patinadi alterazione.

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La Russa, Barone, Mazzoleni, Pezzino,Crisci, Malagodi, Areddia, Vindigni

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Le concentrazioni anioniche ( espresse in g/ml ) determinate medianteanalisi in cromatografia ionica sono riportate in tabella 1:

I risultati ottenuti sono stati rielaborati mediante istogrammi riportati inFig. 6a, 6b, 6c da cui si evince facilmente l’elevata presenza di solfati,nitrati e cloruri.

I risultati ottenuti dalla microanalisi hanno permesso di individuare lapresenza di gesso, ben visibile in Fig. 4 e dallo spettro composizionaleEDS relativo ai medesimi cristalli.

Sono stati inoltre evidenziati la presenza di ossalati e strutture filamen-tose riconducibili alla presenza di funghi quali Attinomiceti e Zygomiceti(Prof. A. Guglielmo, Dr.ssa A. Pezzino) (v. Fig. 5).

Fig. 5. Immagine al SEM di strutture filamentose appartenenti ad Attinomiceti e spettrocomposizionale di ossalato.

Fig. 4. Immagine al SEM di cristalli di gesso con relativo spettro composizionale.

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Il Duomo di S. Giorgio a Ragusa Ibla:individuazione dei materiali litici utilizzati

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Cl NO3 SO4 NO2

SGR12 2.953 1.183 1.176 0

SGR9 0.141 0 0.068 0.042

SGR21 0.31 0.155 6.049 0.016

Tab. 1.

Fig. 6a. Analisi di crosta. Fig. 6b. Analisi patina su calcarenite.

Fig. 6c. “Flos tectori su intonaco”.

5. Conclusioni

Dai risultati preliminari ottenuti sono stati dunque individuati diversi tipidi degrado: fisico, chimico e biologico.Tra i prodotti di degrado chimico, sono stati riscontrati ossalati (whewel-lite), solfati, cloruri e tracce di nitriti e nitrati. Le pellicole ad ossalati, dif-fuse sulle superfici lapidee, hanno un colore arancione; tali patine potreb-bero essere il risultato o di interventi conservativi (protettivi) effettuati nelpassato, mediante l’ utilizzo di sostanze organiche che nel tempo si tra-sformano in ossalati o di processi metabolici di microflora (licheni o bat-

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teri). Tra i prodotti di degrado biologico sono stati infatti riscontrati liche-ni epilitici di tipo crostoso, che possono determinare la formazione di sot-tili veli (micron) di Ca-ossalati. Inoltre, è stata evidenziata una particolare forma di degrado fisico-chimi-co su alcune parti d’intonaco che prende il nome di “Flos tectori”, impu-tabile a diverse cause in corso di verifica e probabilmente interconnesse,quali: condizioni microclimatiche (azione del vento), risalita capillare del-l’acqua, presenza di sali solubili, probabile azione dei microrganismi, ete-rogeneità della malta, tecnica di lavorazione e messa in opera. Infine, sono in corso prove per stabilire ulteriori meccanismi del processodi degrado dei materiali lapidei mediante analisi petrografiche su sezionistratigrafiche, prove d’invecchiamento accelerato su campioni di materia-le lapideo naturale ed artificiale (malte) trattati con olii, resine, pigmentinaturali e scialbature e riproduzione di malte ed intonaci antichi.

RINGRAZIAMENTI

Si ringrazia la Prof.ssa A. Guglielmo e la Dr.ssa A. Pezzino del Dip. Botanica Universitàdi Catania per il contributo riguardante la classificazione dei microrganismi individuati.

BIBLIOGRAFIA

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2. M. Del Monte. «Organismi pionieri e rocce: le patine a ossalati di calcio», Pliniusvol. 27, pag. 181, 2000-2001.

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4. W.E. Krumbein. (2004) «Stone und mineral building materials (How microbesbuild their homes on and in houses and how BIODAM tames them)». Int. Soc. Ofthe Built Environment, Int. Conference, February 2004, Copenhagen.

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La Russa, Barone, Mazzoleni, Pezzino,Crisci, Malagodi, Areddia, Vindigni

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LA RICOSTRUZIONE SETTECENTESCA DEL MONASTERO

DI SAN BENEDETTO IN VIA DEI CROCIFERI A CATANIA.FABBRICHE E LIBRI DI SPESA

LAMAGNA R.

Architetto e docente a contratto presso il Corso di Laurea in: “Tecnologie Applicate alla conservazio-ne ed al restauro dei Beni Culturali”, via Vittorio Veneto 33, Siracusa - Università di Catania

Ricostruire ed identificare le vicende costruttive di un manufatto è diparticolare interesse quando l’ interpretazione del testo architettonico,degli apparati costruttivi e del linguaggio formale trova riscontro nel testoscritto inteso come documento cartaceo. Così per il monastero di SanBenedetto, in via dei Crociferi a Catania, tra le diverse fonti scritte parti-colare interesse hanno i libri della spesa del monastero che elencano speseper vitto, vestiario, gestione quotidiana del monastero e della chiesa e nonultime le spese per la “fabbrica”.

Durante il corso del settecento il monastero di San Benedetto, ricostrui-to sulle preesistenze dell’antico ed ampliato rispetto al sito precedente, èmodificato più volte nella distribuzione degli spazi e delle funzioni. La con-sistenza dei corpi di fabbrica del complesso monastico, definita nel XVIIIsecolo, corrisponde a quella attuale articolata in due distinti edifici collega-ti dall’Arco su via dei Crociferi e dalla chiesa intitolata a San Benedetto.

1. La ricostruzione del monastero dopo il terremoto del 1693

Nel 1702 iniziano i lavori per la nuova fabbrica del monastero e propriotra le prime spese è annotata quella per l’acquisto di casaleni rimasti dal ter-remoto occorso nell’anno 1693 con tutte le fabbriche vecchie, e nuove,pedamenti, dammusi, scale, et altre in quelli esistenti, posti a frontespizio diesso monastero. Contemporaneamente al progetto di ricostruzione vienequindi avviato anche quello di ampliamento e l’acquisto di fabbriche vicineal monastero seicentesco, è una scelta programmata che segue un progetto

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ben definito e manifesta una volontà chiara ed esplicita. A conferma, pro-prio tra le prime spese, è riportata anche quella di dieci onze pagate aMastro Alonzo di Benedetto che fece lo disigno e prezzò le dette fabbriche.

Precedentemente nel secolo quattordicesimo il monastero di SanBenedetto, dalla sua fondazione nel 1334 nel luogo detto Pozzo de Albano,era stato nel 1355 trasferito nella contrada Santo Stefano, sito corrisponden-te in parte a quello attuale. Al complesso abitativo originario, di proprietàdella nobile Costanza Spatafora e alla sua morte donato al monastero, costi-tuito da una torre, case solarate, cucina e cortile, erano state comprate edaggiunte negli anni successivi altre proprietà poste in prossimità del mona-stero : domos contiguas e dirutas unite a nord-est al cortile del monastero,la taverna ki est allati Sanctu Stephani, chiesa poi concessa alle moniali, edaltri casalini e case terranee e solarate. Il terremoto del 1693 diventa occa-sione non soltanto per ricostruire ma anche per ampliare la proprietà mona-stica benché una strada pubblica segni confine e limite, di fatto superato conla realizzazione, soluzione eccezionale ed ardita, del sovrappasso.

I lavori iniziano nel dicembre del 1702 e proseguono l’anno successivocon la costruzione, prima fra tutte, del cavalcavia su via dei Crociferi (Fig.1). La struttura di collegamento tra il monastero e le nuove proprietà

Fig. 1. L’Arco su via dei Crociferi.

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La ricostruzione settecentesca del monastero di S. Benedetto (Ct) 277La ricostruzione settecentesca del monastero di S. Benedetto (Ct) 277

immobiliari al di là della strada e quanto mai necessaria ed indispensabi-le alla funzionalità ed unità del complesso, e quindi è la prima opera delprogetto di ricostruzione, ad essere realizzata. Nell’aprile del 1703 sifanno le furme del dammuso dell’arco e si comprano grandi quantità dipetre pumici e calcina, agliara e petra. Si paga inoltre il trasporto dellapetra dalla marina al monastero e numerose giornate a intagliaturi emastri muratori, manuali e figlioli. La costruzione dell’Arco procedevelocemente benché un litigio con li Illustrissimi Deputati di questa cittàsembra interrompere la costruzione dell’opera. Ma nel maggio dello stes-so anno si paga la petra valata per scolpire la statua del P. S. Benedetto eda giugno vengono pagate sette giornate allo mastro intagliaturi per farel’arme del Vescovo e allo suddetto per fare l’arme della religione del P. S.Benedetto. La costruzione è così, con l’apposizione dello stemma delVescovo e di San Benedetto, legittimata e sarà completata nei mesi succes-sivi. Un pagamento, ad agosto, a Mastro Salvatore La Rocca e MastroMichele Pluvirenti per dieci migliora di ciaramidi ed a settembre, almastro d’ascia per fare lo tetto e lo solaro dello dammuso, conferma ilcompletamento del sovrappasso. Ancora oggi in corrispondenza dellachiave dell’arco, verso piazza San Francesco, campeggia al centro tra i duestemmi la “ valata” con San Benedetto (Fig. 2 ).

Fig. 2. Particolaredell’Arco con glistemmi del Vescovoe dell’Ordine ed ilbassorilievo conSan Benedetto.

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Avviato così il programma di ampliamento del nuovo monastero e rea-lizzato il collegamento tra le due parti, si continua a costruire e sistemaregli spazi necessari.

Tra il 1704 ed il 1707 i lavori proseguono con la costruzione dell’altrodormitorio e si comprano ancora proprietà immobiliari vicine con murivecchi e novi.

Dal 1708 si lavora alla nuova chiesa e si paga intagliatura di pietragiurgiulena a mastro Paolo Battaglia.

La “nuova chiesa” era stata costruita negli ultimi decenni del seicento, pochianni prima del terremoto del 1693 in sostituzione di una precedente, presumi-bilmente di dimensioni minori. Tra gli anni 1680 e 1683 sotto il governo dellabadessa suor Maria della Concezione Gravina alcune spese annotavano: perlevare lo tetto della Chiesa vecchia, e giornate di mastro d’ascia per fare lifurni dell’arco maggiore della Chiesa e nel 1684 la costruzione del Cappellonedella chiesa e la sagrestia e nel 1688 la spesa fatta del pavimento di marmo ditutta la Chiesa. Nel 1691 la nuova chiesa doveva essere quasi del tutto comple-ta perché risultavano realizzati gli stucchi e le pitture eseguite dal pittoreStefano Volpe fatto venire appositamente da Roma e il Palio d’argento fattoeseguire a Messina, i vasi d’argento e il crocifisso in legno dello scultore GiulioGallo per abbellire la Cappella del Santo Crocifisso.

Le prime annotazioni sui lavori in chiesa dopo il terremoto sono delsettembre 1703 lavori per sbarattare le mura restate della Chiesa, che cer-tamente aveva subito danni ma non era stata distrutta del tutto. La man-canza di alcuni libri contabili per gli anni successivi non permette di indi-viduare e collegare in sequenza tutti i lavori eseguiti ma sicuramente lachiesa è già del tutto completa nelle strutture nel 1726 quando vengonoeseguiti le pitture da Giovanni Tuccari. Affreschi che coperti in parte daaggiunte tardo settecentesche sono stati, dopo i restauri eseguiti per ripa-rare i danni dei bombardamenti del 1943, ripristinati quasi interamente.

È possibile invece, dal fondo archivistico, individuare i lavori eseguitiintorno agli anni settanta del settecento che segnano, con l’aggiunta dinuovi corpi di fabbrica, una nuova distribuzione degli spazi e conseguen-temente delle funzioni.

Decisivo e determinante nella configurazione e definizione dell’ edifi-cio è, proprio tra il 1771 ed il 1777, l’intervento progettuale di FrancescoBattaglia, che con un progetto organico di ampliamento e aggiunte defini-sce l’aspetto monumentale del corpo di fabbrica su via dei Crociferi e viaTeatro Greco.

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L’intelligenza e perizia dell’ arch. Francesco Battaglia, annotata neilibri di spesa, attesta il merito dell’intervento progettuale del dormitoriogrande che guarda a mezzogiorno, del rifittorio e dell’antirifittorio (Fig.3). Così si pagano all’Architetto D. Francesco Battaglia alla ragione dionze due al mese per sue Fatiche, ed assistenza data alla nostra fabbricaed onze dieci pagate al medesimo per riconoscenza fatta della Pianta,disegni tutti, e spaccati fatti, e consegnateci.

Nei libri mastri oltre ai nomi di architetti e mastri muratori si aggiun-gono una serie consistente di altre informazioni su pagamenti a mastri,manuali e picciotti; spese per la gestione del cantiere: cofani, corde, zap-poni di pale di ferro, crivi, carichi di cavalcature ; spese per materialidiversi, calce, agliara e gisso, barcate di pietra bianca di Siracusa nomi-nata del Piano ed altre. Da queste annotazioni è possibile ricostruireanche la sequenza dei tempi e dei modi di costruzione: fare li pedamenti,sterrare, fare lo visolato, serrare la pietra ; individuare parti costruttivedella fabbrica stessa come pedamenti e dammusi oltre indicazioni sulladistribuzione interna e la destinazione d’uso degli spazi.

Fig. 3. Prospetto del “ dormitorio grande cheguarda a mezzogiorno” su via Teatro Greco.

Fig. 4. Il prospetto del nuovo dormitorio inprossimità dell’Arco su via dei Crociferi.

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Questa cronaca minuziosa sulla conduzione del cantiere settecentesco cheemerge dal testo cartaceo, prende consistenza reale e trova verifica proprionel confronto con il testo architettonico. È la fabbrica stessa nella sua formae aspetto presente che svela e mostra in modo chiaro e coerente sequenzecostruttive, gesti e significati. Così l’aspetto formale dell’alzato non apparesemplice composizione di segni, ma sottende e manifesta proprio attraversoil confronto tra le due differenti scritture, quella propria dell’architettura equella documentale-cartacea, significati e valori, idee progettuali, scelte epratiche del costruire che rendono il manufatto un testo chiaro nel significa-to, preziosa testimonianza di un sapere trascorso e non più sconosciuto, diindiscutibile e insostituibile valore documentale.

BIBLIOGRAFIA

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Messina 1994.4. V. Librando. Aspetti dell’architettura barocca nella Sicilia orientale, Catania

1971.5. A. Longhitano. La parrocchia nella diocesi di Catania prima e dopo il concilio di

Trento, Palermo 1977.6. G. Policastro. Catania prima del 1693, Catania 1952.7. G. Rasà. Napoli, Guida alle chiese di Catania, Palermo 1984.

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DATAZIONE CON TERMOLUMINESCENZA:RECENTI SVILUPPI E NUOVE PROSPETTIVE

MARTINI M.

Dipartimento di Scienza dei Materiali e INFN, Università degli studi di Milano-Bicocca Via Cozzi, 53- 20125 Milano

1. Introduzione

Le potenzialità delle applicazioni in campo archeologico delle tecniche didatazione con termoluminescenza (TL) sono ormai ben note, e la loro affi-dabilità è stata ampiamente dimostrata a partire dai primi anni Settanta.Queste tecniche sono specifiche per il materiale ceramico, o meglio, per ognimateriale contenente quarzo o feldspati che abbia subito un riscaldamentoprolungato a temperature dell’ordine di alcune centinaia di gradi.

Diversi sono i materiali e gli oggetti di interesse archeologico o storicoche, in via di principio, possono essere datati: innanzitutto ceramiche, ter-recotte e laterizi, ma anche porcellane, fornaci, focolari, terre di fusione.Per essi si possono ottenere di norma ed in corrette condizioni di prelievo,datazioni con una accuratezza del 5-10% nell’intervallo indicativo di etàtra 50 e 20.000 anni.

Negli ultimi anni la ricerca si è sviluppata anche verso l’applicazionedella datazione TL ad altri materiali, quali porcellane, fornaci, focolari,terre di fusione. In questi casi la precisione del metodo è molto dipenden-te dal materiale. Un altro materiale sul quale lo studio per una possibiledatazione è in fase di studio è il vetro, in particolare nel caso dei mosaici.

Va sottolineato che queste tecniche appartengono alla classe dei cosid-detti metodi distruttivi, poiché richiedono il prelievo di una quantità nontrascurabile, seppur limitata, di materiale (almeno 10 grammi di ceramicaed altrettanti di terreno di scavo). Questo aspetto, se non rappresenta gene-ralmente un problema nel caso di scavi archeologici caratterizzati daabbondante ritrovamento di materiale “sacrificabile”, diventa molto deli-cato quando si richieda la datazione di oggetti di interesse storico od arti-stico, vista l’esigenza di preservarne l’integrità.

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2. Principi generali della datazione con termoluminescenza

I principi fondamentali su cui si basano le tecniche di datazione con ter-moluminescenza sono ampiamente illustrati e discussi in letteratura. Nelseguito ne forniremo una descrizione volutamente semplificata, rimandan-do alla bibliografia specializzata per approfondimenti (Aitken, 1985).

Una frazione non trascurabile degli usuali costituenti la ceramica (quar-zo e feldspati, per esempio) è termoluminescente: questi materiali imma-gazzinano cioè in trappole stabili gli elettroni in essi prodotti dall’intera-zione delle radiazioni alfa, beta e gamma dovuti all’irraggiamento natura-le. La liberazione degli elettroni avviene a seguito di cessione di energiatermica mediante riscaldamento a temperature dell’ordine di diverse cen-tinaia di gradi centigradi, ed è caratterizzata da una emissione luminosa:la termoluminescenza. La cottura in fornace della ceramica elimina ogniTL accumulata durante l’esistenza “geologica” dell’argilla e degli even-tuali costituenti aggiunti all’impasto: da questo momento, la TL ricomin-cia ad accrescere col tempo, tanto più rapidamente quanto maggiori sonole sue concentrazioni di radioattività e quelle dell’ambiente. La quantità diTL osservata è quindi un indicatore sia dell’età dell’oggetto che dell’irrag-giamento cui è stato sottoposto Tipiche curve di TL di una ceramicaarcheologica, confrontata con un falso, sono riportati in Fig.1.

Fig.1. Curve di termoluminescenza di materiale prelevato da un’urna originale etruscae da una copia moderna. Le curve contrassegnate con 2-3 si riferiscono alla rispostadovuta all’irraggiamento naturale, mentre le curve contrassegnate con 4-5 si riferisconoalla risposta dovuta all’irraggiamento artificiale impartito in laboratorio.

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Misurata la TL di un campione, e quindi, indirettamente, la quantità diradiazione che lo ha attraversato, e misurata la sua radioattività e quelladell’ambiente, si giunge all’equazione fondamentale dell’età, qui presen-tata in forma semplificata:

ETÀ (anni)= Radiazione totale assorbita/Radiazione assorbita annualmente

Alla luce di quanto osservato, risulta evidente che le datazioni con TLsi riferiscono all’ultima cottura subita dall’oggetto, considerazione datener sempre ben presente nell’interpretazione e valutazione dei risultati.Si pensi soltanto alla frequenza della pratica del reimpiego, alla possibi-lità di incendi, riscaldamenti accidentali o restauri, sia moderni che anti-chi.

La valutazione del numeratore si ottiene tramite due tecniche princi-pali, chiamate Fine-grain (Zimmermann, 1971) che prevede la selezionegranulometrica della frazione ceramica compresa tra 1 e 8 micrometri, edInclusion (Fleming, 1970), per la quale si estrae dal corpo ceramico eclu-sivamente il quarzo con granulometria di circa 100 micrometri. La tecni-ca fine-grain richiede di norma una quantità inferiore di materiale, ed aquesta si ricorre sempre quando vi sia necessità di effettuare prelievi limi-tati.

Per la valutazione del denominatore, si utilizzano tecniche chimico-analitiche e di rivelazione della radiazione nucleare: spettrometria a fiam-ma, misure di attività alfa totale con rivelatori a scintillazione, spettrome-tria alfa e gamma, misure di dose beta e gamma, da effettuarsi tanto sulmateriale che sul terreno di scavo o nell’ambiente di conservazione del-l’oggetto. Una datazione precisa potrà essere raggiunta solo disponendoanche di informazioni sul livello di radioattività esterno.

Un’altra grandezza molto importante da stimare è il contenuto mediodi umidità del campione: l’acqua in esso contenuta assorbe infatti partedalle radiazione, e di questa attenuazione va tenuto debito conto.

Come tutte le misure fisiche, le età ottenute con queste tecniche sonosempre accompagnate da imprecisione, il che significa che viene indica-to l’intervallo temporale entro il quale è avvenuta la cottura, centrato sul-l’età di probabilità massima. Tenendo conto di tutti i fattori in gioco edella complessità delle valutazioni sperimentali necessarie, si giunge astimare, come accennato, un errore globale medio del 7-10%, riducibilesoltanto in casi particolari al 5-6% (Aitken, 1976).

Datazione con Termoluminiscenza: recenti sviluppi e nuove prospettive 283Datazione con Termoluminiscenza: recenti sviluppi e nuove prospettive 283

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3. Datazione di laterizi e terrecotte: alcuni esempi di applicazione

L’applicazione delle tecniche di TL a ceramiche di scavo o a strutturelaterizie di edifici, con abbondanza di materiale a disposizione e ove siapossibile eseguire sul sito le valutazioni di radioattività ambientale, con-sente di norma di ottenere datazioni caratterizzate da buona precisione,come illustrato dagli esempi che riportiamo nel seguito.

Più complicata è la situazione quando si esegue la datazione di ogget-ti di valore artistico o che rivestano importanza storica e documentaria: inquesti casi, è esigenza fondamentale eseguire un prelievo estremamentecontenuto, danneggiando il meno possibile l’integrità dell’oggetto.Questo vincolo può limitare la possibilità di eseguire i supplementi diindagine necessari ad ottenere valutazioni sperimentali sufficientementeprecise anche con materiali le cui caratteristiche non siano eccellenti.Non sono infrequenti infatti i casi in cui si osservano i fenomeni della TLspuria (Martini ed al.,1988) o del Fading anomalo (Wintle e al., 1978),emissione di luce o svuotamento di trappole indipendenti dalla radiazio-ne assorbita e dal riscaldamento, la cui riduzione o controllo possono inmolti casi esser ottenuti a seguito di trattamenti chimici e misure aggiun-tive che necessitano quantità di materiale dell’ordine di almeno qualchegrammo.

Una difficoltà ulteriore è rappresentata spesso dal fatto che vienerichiesta la datazione di oggetti sulla cui storia non sono disponibili infor-mazioni, come per oggetti conservati da anni, se non da secoli, in Musei:in questi casi risulta problematica, se non impossibile, la valutazione delladose ambientale, a scapito ancora una volta, della precisione del risultato.

3.1 Scavi Archeologici: Piadena, Trino Vercellese e Villa S.Maria a Lomello

Gli scavi dell’insediamento medievale di Piadena, situato lungo il ter-razzo fluviale dell’Oglio, e documentato dalle fonti a partire dal 990 d.C.,hanno portato alla luce i resti di un importante abitato medievale i cui edi-fici sono riconoscibili dalle impronte negative dei pali verticali e delle tra-vature orizzontali infisse nel terreno a supporto dei perimetrali, e dai livel-li d’uso in argilla su cui furono accesi i focolari, costituiti da lenti di argil-la concotta. La cronologia dello scavo, che si estende dall’alto medioevoal XV sec., risultava incerta, soprattutto per le fasi più antiche, anche perla povertà e scarsità di ritrovamenti ceramici.

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La datazione di una successione stratigrafica di focolari del Lotto 2 discavo ha consentito di precisare la cronologia dell’intero insediamento,collocandone al IX secolo la seconda fase, ed al XIII l’ultima (Martini etal., 1985).

L’insediamento di Trino Vercellese, sorto nei pressi di un centro dipopolamento celtico e di una mansio romana, sorgeva sulla via da Milanoalle Gallie prima, e da Pavia ai grandi valichi alpini, poi. Si tratta di unimportante insediamento medievale caratterizzato da complesse fasi diedificazione e ristrutturazione, sviluppatosi nell’arco di quasi un millen-nio. In siti di questo tipo e periodo gli elementi databili (monete, cerami-ca fine, tipologie edilizie specifiche), sono eccezionali e normalmenteassenti; assumono grande rilevanza le tecniche di datazione basate sumateriale organico o sulle ceramiche comuni, che sono i soli materialieffettivamente diffusi negli strati di uso e crollo altomedievali.

Per i materiali di questo scavo è stato impostato un esperimento di con-fronto delle datazioni con TL con quelle da radiocarbonio su carbonidispersi negli stessi strati, che ha mostrato in alcuni casi ottima compati-bilità dei risultati delle due tecniche, ma sostanziale disaccordo in altri,dove le età TL sono risultate sempre più antiche, e non congrue con le evi-denze stratigrafiche (UU.SS. 71, 81, 198 e 266). Il disaccordo è da attri-buire alla diffusa e documentata pratica del reimpiego di laterizi: di con-seguenza la datazione del materiale non coincide con quella della struttu-ra in cui fu posto in opera.

Lomello, mansio romana fortificata, era importante anche nel regnolongobardo quale sede dei conti palatini. Nel suo territorio, in localitàVilla Maria, sono stati scoperti resti di edifici di grandi dimensioni, data-bili dall’epoca romana al basso medioevo. Lo scavo dell’insediamento,che offre un’opportunità rara di esaminare la transizione tra epoca roma-na e medievale, ha riportato alla luce una ricca serie di strutture, focolari,buche e sepolture, risultate in alcuni casi di datazione problematica per ladifficoltà di comprensione della stratigrafia e per la scarsità di ritrovamen-ti ceramici. Sono stati datati 3 focolari e materiale prelevato da porzioni dipavimento o strutture in terra apparentemente bruciate (Sibilia e DellaTorre, 1987).

I focolari hanno fornito datazioni caratterizzate da buona precisione,che chiariscono la cronologia dello scavo; i dodici campioni di terra sonorisultati in realtà non bruciati e, pertanto, non databili

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3.2 Edifici: la Chiesa di S.Maria foris portas a Castelseprio e la torreAsinelli di Bologna.

La chiesa medievale di Santa Maria foris portas si trova all’interno delsistema archeologico di Castelseprio. Si tratta di un insediamento formatosiin età tardo-romana, centro fortificato goto, poi bizantino, castrum longobar-do, capitale di una vasta regione che disturbava sia Como che Milano, da cuivenne distrutta definitivamente nel 1287. La chiesa, una delle più importan-ti del Nord Italia per il suo famoso ciclo di affreschi, ha alimentato e conti-nua ad alimentare discussioni circa la sua datazione (v. Fig. 5). Il dato certo,dedotto da una scritta su un intonaco, è che è precedente al X secolo.

Sono stati datati 8 tegoloni della copertura originale della chiesa, e 3frammenti di laterizio dallo scavo del pavimento (Martini et al., 1985).

I risultati ottenuti sui materiali dei due gruppi, sostanzialmente coinci-denti, datano l’edificio al IX secolo (828+30; +90 d.C.), e concordano condatazioni al C-14 di materiale organico coevo, e con le più recenti datazio-ni stilistiche degli affreschi.

Delle ventitré torri e casetorri medievali di Bologna, solo la torre deiGaluzzi è sicuramente datata; tutte le altre mancano di documentazioneche accerti in modo probante il tempo della loro costruzione. Anche ladatazione della Torre Asinelli, simbolo della città insieme alla Garisenda,era controversa. Alta 97,60 metri, nel XIII secolo la torre apparteneva alComune e veniva utilizzata come postazione di avvistamento. La rocchet-ta alla sua base fu aggiunta nel 1488 come sede del corpo di guardia e dialcune botteghe.

Sono stati analizzati quaranta mattoni prelevati dall’esterno a diversequote della torre, anche tramite carotaggi orizzontali, allo scopo di datarel’edificazione originaria del monumento e di chiarire la complessa crono-logia degli interventi di edificazione, restauro e manutenzione successivi(Bergonzoni et al. 1991).

Dei campioni appartenenti alla fase originaria di edificazione dellatorre, alcuni sono risultati di età romana, evidentemente reimpiegatisecondo l’uso del tempo, mentre per altri sette si è ottenuta una datazionealla seconda metà del secolo XI, che viene ritenuto il periodo più proba-bile della costruzione del tronco originario. (media: 1081+20; +70 d.C.).È interessante notare che le datazioni dei mattoni prelevati in superficierisultano aver subito l’ultimo riscaldamento a cavallo tra il XIV ed il XV

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secolo, essendo stati presumibilmente coinvolti in un rovinoso incediodocumentato dalle fonti nel 1412.

4. Nuove prospettive della datazione con termoluminescenza: datazio-ne di vetri musivi

Il problema della datazione dei vetri antichi è ancora aperto, non essen-do disponibili per il momento metodi assoluti di datazione. La tecnicadelle tracce di fissione dell’Uranio (Brill, 1964) e quella dello spessoredelle croste di corrosione (Brill and Hood, 1961) si applicano solo a clas-si limitate di vetri, con caratteristiche particolari.

Le caratteristiche chimico-fisiche dei vetri silicati hanno suggerito lapossibilita’ di estendere a questi amteriali l’applicabilità delle tecniche didatazione con TL (Sanderson, 1983). In realtà, in conseguenza della natu-ra amorfa del vetro, la sua sensibilita’TL è molto bassa e questo, unito allapresenza di bleaching ottico (svuotamento di trappole indotto dall’esposi-zione alla luce), fa si’ che la datazione sia possibile solo in pochissimi casi,circa il 3-4% dei campioni analizzati (Muller and Schvoerer, 1990).

Negli ultimi anni presso il nostro Laboratorio abbiamo iniziato uno stu-dio focalizzato su una classe particolare di vetri, le tessere musive di pastavitrea, le cui caratteristiche TL non erano state investigate in precedenza.Scopo della ricerca, oltre all’analisi delle proprieta’ termoluminescenti diquesti materiali, è individuare i parametri che le determinano e le condi-zioni favorevoli alla datazione TL.

I primi risultati di questo studio hanno messo in evidenza che la possi-bilita’ di datazione è molto dipendente dalla presenza nei vetri di differen-ti ioni, generalmente aggiunti per ottenere un determinato effetto cromati-co (Chiavari, 2001, Azzoni 2002, Galli, 2004). Alcuni ioni in particolaresembrano avere un ruolo nella formazione di microcristalli che aumenta-no di molto la sensibilita’ termoluminescente del vetro.

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Datazione con Termoluminiscenza: recenti sviluppi e nuove prospettive 287Datazione con Termoluminiscenza: recenti sviluppi e nuove prospettive 287

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L’APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE

ALLA CONOSCENZA SCIENTIFICA DELLE OPERE D’ARTE.

MATTEINI M.

ICVBC del C.N.R., Sesto Fiorentino

Qualsiasi considerazione in merito al carattere multisciplinare, omeglio pluri-disciplinare delle varie attività scientifiche connesse ai beniculturali deve necessariamente partire dal ‘bene’ stesso, ciò che comune-mente si chiama l’opera d’arte.

Ogni opera antica - manufatto, monumento, complesso architettonico,archeologico o quant’altro – possiede categorie diverse di valori cheaccedono ad aree di conoscenza varie e diversificate.

In quanto prodotto di una cultura del passato, l’opera antica – e nonpotrebbe essere diversamente - è intrinsecamente portatrice di valori sto-rici; corrisponde cioè a un ‘messaggio culturale’ tangibile, e per sua natu-ra insostituibile, proveniente da un contesto socio-culturale passato.

Un certo numero di opere inoltre – ma non certamente tutte e proba-bilmente nemmeno la maggioranza – raggiungono quel livello del-l’espressione che solitamente definiamo ‘artistico’, valore assai diversoda quello del loro ‘essere storico’, anche se il fascino della storicità è cosìpotente che talvolta l’uno viene confuso con l’altro. Pochi oggetti, in real-tà, pervengono a quella intensità e levatura della comunicazione emotivache nel comune immaginario identifichiamo col concetto di arte. Il valo-re artistico è perciò qualcosa di assai prezioso e raro.

C’è poi un ulteriore aspetto di cui tener conto. Larga parte della pro-duzione antica è stata in realtà diretta alla raffigurazione del sacro, del-l’iconografia legata al culto religioso. È naturale che quanto di più pre-zioso e creativo si era in grado di realizzare in periodi storici nei qualil’istanza religiosa era oggetto di un’attenzione dominante - almenorispetto ad epoche più recenti - fosse destinato alla rappresentazione del‘sacro’. Ciò identifica un ulteriore differente tipologia di valori che alcu-ne opere antiche possiedono: il valore religioso. Anche a questo proposi-

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to si è fatto talvolta confusione, nel senso che a ciò che all’origine avevasolo valore o finalità religiosa è stato in seguito attribuito valore artistico.

Le ‘opere d’arte’ - definizione che qui usiamo secondo l’accezione corren-te – sono fatte di materie, o almeno lo sono quelle categorie di opere di cuial momento ci occupiamo. E le materie possiedono un loro ’linguaggio’ossiaquell’insieme complesso di proprietà ottiche che ne definiscono l’aspetto e ledistinguono l’una rispetto all’altra. Il legno’, gli strati pittorici, il marmo, laterracotta appaiono diversi gli uni dagli altri, indipendentemente da ciò cheraffigurano, proprio a causa della loro identità materica.

Ai nostri occhi di fruitori l’identità materica corrisponde a una sorta dicodice identificativo che diviene a sua volta un valore dell’espressione,un’ulteriore categoria di valori che potremo chiamare materici.

Ci sono tuttavia ancora altri aspetti di cui tener conto, innanzitutto quel-li legati alla tecnologia costruttiva dell’opera. Se consideriamo, ad esem-pio, un palazzo il concetto di progettualità costruttiva è talmente intrinse-co e sottinteso che non si fa difficoltà a comprendere come questo rappre-senti una valenza fondamentale dell’’oggetto’ stesso, un suo valore deter-minante da ascrivere a una categoria di valori che potremmo definire tec-nologici. Meno immediato è pensare a questo tipo di valori quando siosserva, invece, un quadro. Eppure – e questo è tanto più vero nell’anti-chità – le conoscenze tecnologiche e la progettualità che ne è diretta con-seguenza, costituivano indubbiamente fasi fondamentali del percorso rea-lizzativo dell’opera, fosse anche questa un dipinto, oggetto per il qualesiamo decisamente più portati a riconoscere valori di tipo artistico o stori-co piuttosto che tecnologico. Ma non è così. In ogni tipo di opera, soprat-tutto se molto antica, le conoscenze tecnologiche e l’accurata progettazio-ne per la realizzazione, hanno giocato un ruolo determinante, che spesso,sbagliando, si è portati a sottovalutare o a non considerare nella giustadimensione.

Vi è un’ulteriore categoria di valori dei quali molti non fanno caso, adifferenza di altri che considerano questi aspetti invece di estrema impor-tanza e tali da rispettare con estrema cura nelle operazioni di restauro.Anni fa li ho definititi valori storici acquisiti, intendendo riferirmi a unatipologia di valori che l’opera, in effetti, non possiede all’origine, diversa-mente da tutti quelli che abbiamo finora considerato. Mi riferisco a qual-cosa che viene acquisito da ogni oggetto materico in conseguenza dellelievi trasformazioni, modifiche, alterazioni, che in esso determina il ‘tra-scorrere del tempo’. Sottolineando ‘lievi’ si vuole escludere tutto ciò che

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L’approccio multidisciplinare alla conoscenza scientifica delle opere d’arte 291291291

ha invece carattere invasivo o peggiorativo, ciò che produce degrado e chesicuramente è tutt’altro che un valore.

Per concretizzare questo concetto è sufficiente pensare alle patine, aquelle patine cosiddette ‘nobili’ che si formano gradualmente pressochésu tutti i materiali e che comunque segnano in modo inequivocabile il‘passaggio del tempo’ sull’oggetto, il suo essere antico, al di là e indipen-dentemente dello stile che lo identifica.

Non si può completare questa panoramica sulle categorie dei valorisenza un riferimento al valore commerciale degli oggetti antichi, ovvero,un valore collegato a tutto ciò che in essi risulta attrattivo per grandi massedi fruitori ed è quindi in grado di innescare processi preminentemente ditipo economico. Si tratta di valori da non trascurare, soprattutto se attra-verso di essi si riesce a garantire migliore conservazione e più lunga dura-ta alle opere d’arte.

Nella tabella 1 è schematizzato quanto abbiamo ora discusso e che fada base al tema di questo saggio: la multidisciplinarità nelle attività con-nesse alle opere d’arte e in particolare, ma non solo, in quelle a caratterescientifico.

Ripercorrendo le diverse valenze di un’opera ora considerate, infatti, èimmediato rendersi conto che, a seconda del nostro approccio verso o perl’opera (conoscenza, conservazione, valorizzazione, fruizione) è comunquecoinvolta una molteplicità di discipline differenti e specifiche caso per caso.

OPERA D’ARTE

valori storici

valori artistici

valori religiosi

valori materici

valori tecnologici

valori storici acquisiti

valori economici

Tab. 1.

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La conoscenzaConoscere le opere d’arte non significa semplicemente osservarle e

riconoscerle ma può implicare operazioni complesse e profonde che coin-volgono sfere di competenza anche assai specialistiche.

Una prima e importante forma di conoscenza è connessa all’attribuzio-ne, la datazione, la provenienza: attribuire l’autore o la scuola di un’ope-ra, accertarne la data o il periodo di esecuzione, stabilirne la cultura diprovenienza. Si tratta di operazioni assai impegnative che, tradizionalmen-te, in funzione della categoria del bene, richiedono l’esame attento e com-petente dello storico, dell’architetto, dell’archeologo. Essi operano soprat-tutto sulla base dello stile dell’opera e, spesso, del contesto in cui è collo-cata (un sito urbano, un complesso archeologico, etc.). Ma ciò non è sem-pre sufficiente e allora si deve ricorrere a competenze di tipo scientifico:l’archeometria, che a sua volta può richiedere il contributo di un fisico (es.per una datazione con C14), di un chimico (es. per l’identificazione di unpigmento impiegato non prima di una certa data), di un geologo (es. per ilriconoscimento di un litotipo proprio di una determinata cultura), etc.

Una seconda (solo in ordine di esposizione) forma di conoscenza èsenza dubbio quella storico-culturale. Direi che è la forma più classica,dominio di storici, architetti, archeologi. Essi ripercorrono, sulla basedegli stili e, soprattutto, delle connessioni e delle conoscenze proprie dellastoria dell’arte, dell’architettura, dell’archeologia, il filo conduttore cheinquadra storicamente e culturalmente un’opera antica; ne ricostruisconoil substrato che ne ha consentito la realizzazione, ne analizzano a fondoalcuni dei valori che abbiamo sopra considerato.

Ma vi sono anche gli aspetti materico-tecnologici di cui è necessariotener conto e in tal senso è un gruppo completamente diverso di speciali-sti ad essere coinvolto. La materia è oggetto di studio di chimici, fisici,geologi ed è appunto agli ‘scienziati della conservazione’ che spetta ilcompito di portare alla luce - come in effetti è stato negli ultimi 40-50 anni– questi aspetti delle opere antiche ai quali in precedenza non si era dataadeguata attenzione, ma che abbiamo visto contribuire in maniera decisi-va a creare in esse valori importanti.

Altrettanto dicasi degli aspetti costruttivo-tecnologici di un’opera.Talvolta per questi occorre non solo la competenza di uno specialista fisi-co o chimico ma ad esempio, almeno per il ‘costruito’, di un architetto (oingegnere), non più tuttavia nella veste dello storico dell’architettura mapiuttosto in quella del tecnologo delle costruzioni.

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Già da quanto detto appare estremamente chiaro come la polivalenzadelle opere antiche implichi, solo per la loro conoscenza, un approcciopluri-disciplinare. Ma, a questo proposito, voglio mettere in evidenzaquanto ancor più essenziale sia l’inter-disciplinarità dello studio piuttostoche la sola multi-disciplinarità. Sarebbe sterile che il chimico e l’architet-to, per esempio, non trovassero un terreno comune di integrazione dellecompetenze nel percorso di conoscenza di un’opera; faremmo un tortoall’opera stessa e alla sua intrinseca polivalenza.

La conservazioneEminentemente pluri- e inter-disciplinare è sicuramente la conservazio-

ne. Tutti oramai sono convinti di questa realtà e l’attività di conservazionecostituisce forse la tematica per la quale, più che per altre - almeno in alcu-ni contesti e ambienti - si sono effettivamente raggiunti risultati concretisul fronte della interdisciplinarità. Il cultore di scienze umane (storicod’arte, archeologo, architetto, a seconda dei contesti), l’esperto scientificodi conservazione, il restauratore, costituiscono una triade indiscussa che,almeno per gli interventi di maggiore complessità e delicatezza, riescerealmente a interagire a tutto vantaggio della qualità del risultato, in ter-mini di rispetto dei valori storico-artistici dell’opera, stabilizzazione fisi-co-chimica delle sue condizioni, durabilità, compatibilità, reversibilità deitrattamenti. E’ soprattutto negli Istituti di stato che queste condizioni ven-gono realizzate, sebbene ormai ciò accada anche nel restauro privato qua-lificato.

Ciò che ora occorre è che questa prassi venga sempre più estesa, acce-da non solo ai casi di elevato valore dell’opera, ma anche a quelli di mino-re importanza, se la complessità del caso, comunque, lo richiede.

Valorizzazione e fruizioneAnche sui temi della valorizzazione e della fruizione l’inter-disciplina-

rità si pone come condizione indispensabile.Valorizzazione e fruizione sono strettamente correlate fra loro. La prima

è indirizzata a creare valore aggiunto a quei tanti e diversificati valori delleopere antiche che abbiamo ripercorso nell’introduzione di questo scritto.

Valore aggiunto può essere acquisito attraverso vie molteplici. Abbiamovisto ad esempio come le indagini conoscitive sullo stile, la scuola, la prove-nienza, la tecnica di esecuzione, i materiali, integrino in maniera decisiva ilsignificato di un’opera. Non sempre, però, queste informazioni sono adegua-

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tamente comunicate nelle opere esposte nei musei, negli edifici architettoni-ci o nei siti archeologici, e se lo sono, ciò avviene tramite messaggi frettolo-si, per lo più solo scritti, poveri di immagini, schemi, documentazioni.Valorizzare può voler dire rendere note queste tante diverse informazioni,nozioni, etc. in forma facilmente accessibile, curando sempre di mantenere,comunque, il livello del rigore. Valorizzare può voler dire anche presentareun’opera nella veste migliore, affinché sia in grado di esternare ai fruitori ilmeglio dei propri valori espressivi; può voler dire, ad esempio, studiare inmaniera esperta l’illuminazione, presentare alcune opere in maniera piùesclusiva rispetto ad altre così da evitare la ripetitività dei soggetti, e la con-seguente noia o ipersaturazione, come spesso accade di vedere in tanti museidel mondo, con esposizioni più a beneficio degli studiosi che del genericofruitore.

Dunque anche i temi della valorizzazione e della fruizione sostenibilerichiedono attenzione da parte di una molteplicità di soggetti diversi, conconoscenze specifiche in settori disciplinari ben specifici e che solo attra-verso piani di lavoro interdisciplinari possono sortire risultati importanti.La ragione infatti per cui valorizzazione e fruizione sono ancor oggi cosìdistanti dal raggiungere quei livelli realizzazione che tutti ci attendiamo,per cui alla fine i beni culturali possano realmente divenire una effettivarisorsa per il Paese, sta proprio nel fatto che gli esperti di questo settore, icultori di queste discipline, siano essi tecnici, operatori turistici, direttoridi musei, responsabili di soprintendenze, rappresentanti di enti locali, nontrovano quasi mai la via di operare in sinergia, unendo e integrando traloro le rispettive competenze, in piani di azione condivisi.

Osservazioni conclusive

L’esigenza di interdisciplinarità nei beni culturali è quindi un dato difatto e l’analisi, sia pur breve, che ora ne abbiamo fatto rende conto diquanto risulti essenziale in qualsiasi attività che con essi abbia a che fare,ma l’impresa di farla divenire una realtà operativa si scontra ancora, nono-stante convegni, dibattiti, workshop, pubblicazioni e quant’altro, con unaserie di notevoli difficoltà.

Queste sono essenzialmente dovute alla separazione tra le diverse ‘cul-ture’ da sempre alimentata dalla tradizione dei percorsi formativi, che con-tinuano a rendere difficile non solo la creazione di un linguaggio di comu-

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nicazione tra le diverse figure professionali ma, tanto più, il maturare diuna certa flessibilità delle rispettive formae mentis.

Accade quindi che uno storico d’arte, un tecnologo, un chimico, uneconomista, un esperto di marketing, rimangano ciascuno, per lo più, for-temente ancorati alle proprie forme di pensiero ed è richiesto un grandesforzo e un grande impegno per accedere – solo in qualche misura, si badibene perché nessuno pretende di pensare a una qualche forma di ‘tuttolo-gia’ – ad altri tipi di approccio. Per molti, anzi, vi è un rifiuto, un attovolontario aprioristicamente negativo nei confronti di qualsiasi commi-stione di questo tipo. È una convinzione come un’altra che non dobbiamocerto criticare.

Di fatto, però, i beni culturali esigono una mentalità aperta alla pluri- ealla inter-disciplinarità e diversamente, conoscenza, conservazione, valo-rizzazione del nostro patrimonio antico rimarranno azioni parziali, man-chevoli, incomplete, insoddisfacenti, in molti casi inefficaci.

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LA GEOARCHEOMETRIA APPLICATA ALLA CONOSCENZA

E ALLA CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI. UN CASO DI STUDIO: LA FACCIATA DELLA CHIESA

DI S. NICOLÒ L’ARENA DI CATANIA

MAZZOLENI P., PUNTURO R., RUSSO L.G., CENSI P., LO GIUDICE A., PEZZINO A.

Dipartimento di Scienze Geologiche, Università degli studi di Catania, Corso Italia 55,I-95129 Catania, Tel. 095-7195757, Fax: 095-7195760; [email protected]

1. Introduzione

La costruzione della chiesa di S. Nicolò L’Arena di Catania ebbe inizio adopera dei Padri Benedettini Cassinesi nella seconda metà del XVI secolocontemporaneamente alla costruzione dell’annesso Monasterium Magnumdi Sancti Nicolai de Arenis. Le vicende costruttive del monumento, la cuifacciata è rimasta incompiuta sono varie e segnate da eventi naturali catastro-fici che interessarono l’intera città di Catania. La Chiesa e l’annesso Mo-nastero vennero distrutti per ben due volte: nel 1669 durante l’eruzionedell’Etna e nel 1693 dal terremoto che distrusse completamente la città diCatania. Dall’anno del terremoto, i lavori per la ricostruzione dell’abbazia diS. Nicolò L’Arena, proseguirono per circa un secolo tra alterne vicende, finoa quando cessarono a causa dell’insorgere di varie difficoltà tecniche, tra cuiil reperimento di quantità sufficiente di materiale necessario per il rivesti-mento della facciata. Tali materiali, che secondo le notizie d’archivio(Fichera, 1934) provenivano dall’antica cava esistente nei pressi del paese diMelilli (Cava della Palombara) in provincia di Siracusa, venivano denomina-ti dalle maestranze dell’epoca come “Pietra Bianca di Siracusa”. In realtà,alla “Pietra Bianca di Siracusa” afferiscono un insieme di rocce sedimenta-rie di natura carbonatica, affioranti nell’altipiano Ibleo, che sono simili dalpunto vista cromatico ma differenti dal punto di vista petrografico.

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* Lavoro realizzato nell’ambito del progetto “Il recupero e la valorizzazione del patri-monio architettonico della Sicilia orientale: l’emergenza architettonica urbana e l’edili-zia rurale. Conoscenza, interventi e formazione” (T3 CLUSTER C 29), finanziato dalMinistero dell’Università e della Ricerca Scientifica

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La geoarcheometrica applicata alla conoscenza e alla conservazione dei Beni Culturali: la facciata della chiesa di S. Nicolò L’Arena (Ct)

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Lo scopo di questo lavoro è stato quello di ottenere, partendo dai risul-tati della ricerca storico-documentale, l’identificazione in termini geologi-co-petrografici dei suddetti materiali e delle rispettive cave di provenien-za. Tale identificazione è di fondamentale importanza quando si vuolerisolvere uno dei problemi che si pongono più frequentemente nel restau-ro dei beni monumentali, e cioè quello del reperimento dei materiali con iquali effettuare gli interventi di ripristino conservativo.

2. Materiali e Tecniche d’indagine

La metodologia d’indagine impiegata è stata articolata in due fasi succes-sive precedute da un’indagine storico-archivistica, effettuata presso leBiblioteche Riunite Civica e Ursino Recupero di Catania e presso L’Archiviodi Stato di Catania. Nello svolgimento della prima fase, dedicata allo studiodei materiali in opera, è stato eseguito un rilievo litologico dei materiali dellafacciata e contestualmente è stato eseguito il campionamento dei litotipi rico-nosciuti (v. Fig. 1). Tutti i campioni prelevati sono stati sottoposti ad analisi

Fig. 1. Rilievo litologico della facciata della Chiesa di S.Nicolò L’Arena e localizzazionedei campioni.

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petrografico-paleontologica in sezione sottile mediante microscopio polariz-zatore e ad analisi geochimiche degli elementi maggiori (Spettrometro XRFPhilips PW2404) ed in traccia (SF-ICP-MS; Element 2, ThermoFinningan).La fase II è stata invece dedicata allo studio di provenienza dei materiali. Conquesto scopo è stato eseguito un confronto a livello regionale con formazio-ni geologiche note ed individuazione di quelle compatibili con le tipologielitologiche riconosciute, la circoscrizione delle aree estrattive di possibileprovenienza dei materiali d’origine, ed infine la campionatura dei litotipi pre-senti in cava e le relative analisi petrografiche e geochimiche.

3. Caratteri petrografici dei materiali di facciata

Le indagini petrografiche eseguite sui campioni prelevati dalla facciatadella chiesa hanno permesso il riconoscimento delle seguenti facies:

Facies A:Roccia carbonatica con struttura omogenea, tessitura granosostenuta (v.

Fig. 2a) e granulometria arenitica. La porosità (15-20%) è prevalentemen-te intergranulare ma anche intragranulare. I componenti allochimici costi-tuiscono fino al 50-60% del totale della roccia; si osservano foramniferi (>50% degli allochimici) sia planctonici (Globigerinidae) che bentonici(Heterostegina, Amphistegina e Miogipsina). In percentuali minori sonopresenti anche alghe coralline, gusci di molluschi (bivalvi e gasteropodi),echinodermi e briozoi). Il legante è dato prevalentemente da micrite (30%dei componenti tessiturali) omogeneamente distribuita nel sedimento, e dasparite microcristallina (10-20% dei componenti tessiturali). SecondoDunham (1962) si tratta di packstones.

Età: Miocene inferiore.

Facies B:Roccia carbonatica con struttura prevalentemente omogenea e tessitura

granosostenuta (v. Fig. 2b) e granulometria arenitica. La porosità (20-30%) è prevalentemente intergranulare ma anche intragranulare. I compo-nenti allochimici sono presenti con una percentuale del 50-60% dei com-ponenti tessiturali della roccia e sono costituiti prevalentemente da ooliticon struttura concentrica (> 50% degli allo chimici, peloidi (10-50%) eforamniferi bentonici (<10%). Questi ultimi appartengono alle famiglie

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La geoarcheometrica applicata alla conoscenza e alla conservazione dei Beni Culturali: la facciata della chiesa di S. Nicolò L’Arena (Ct)

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Miliolidae (generi Quinqueloculina sp., Pyrgo sp. e Triloculina sp. eRotaliidae. Gli spazi intergranulari sono occupati quasi esclusivamente dasparite con strutture a mosaico, granulare e microsparitica. La micrite èpresente in piccola percentuale (10-15% dei componenti tessiturali dellaroccia) come orli di rivestimento dei componenti allo chimici. SecondoDunham (1962), i campioni esaminati sono classificabili come grainstonesoolitici. Età: Miocene superiore (Tortoniano sup.- Messiniano inf.).

4. Provenienza dei materiali lapidei

I materiali lapidei impiegati per la realizzazione della facciata dellaChiesa di San Nicolò, distinti mediante le indagini petrografico-paleonto-logiche nelle due facies A e B, sono stati attribuiti a due diverse formazio-ni geologiche affioranti nell’Altopiano Ibleo, in Sicilia sud-orientale (v.Fig. 3): la F.ne dei Monti Climiti e la F.ne di Monte Carrubba, rispettiva-mente. La campionatura dei litotipi appartenenti alle suddette formazionigeologiche è stata effettuata in corrispondenza delle cave storiche da cuicertamente, nel periodo di ricostruzione della città di Catania dopo il ter-remoto del 1693, provenivano (mediante trasporto marittimo) le pietre cal-caree ampiamente usate nella realizzazione dei decori tardo-barocchi dellefacciate dei palazzi monumentali (Cf. Cirrincione et al., 2000; Punturo etal., 2006). Successivamente, i campioni prelevati in cava sono stati sotto-posti alle stesse indagini effettuate sui campioni in opera.

Fig. 2. Microfotografie dei Calcari costituenti la facciata della Chiesa. a) Calciruditi dellaFacies A (F.ne M.Climiti); b) Calcareniti oolitiche della Facies B (F.ne M. Carrubba).

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F.ne dei Monti ClimitiLa Formazione, di età Oligocene medio - Tortoniano, è suddivisa nei

Membri di Melilli in basso e dei Calcari di Siracusa in alto (Pedley 1981). Ilprimo dei due membri é rappresentato da calcareniti polverulente bianco-giallastre che si presentano notevolmente bioturbate, talora con Pettinidi,Anellidi o altri modelli interni di bivalvi non determinabili. Il Membro deiCalcari di Siracusa è costituito da calcareniti e calciruditi algali di colorebianco-grigiastro con Litotamni e Briozoi passanti a volte a biolititi algali(Pedley 1981; Di Grande 1972).

L’attribuzione di parte dei campioni in opera (litotipi della Facies A) ai cal-cari F.ne dei Monti Climiti trova riscontro anche nella documentazione stori-ca: i dati di letteratura riportano infatti che i materiali lapidei carbonaticiimpiegati per la costruzione del prospetto della chiesa provengono dalla Cavadella Palombara che ricade nel territorio di Melilli (Sr). Per questo motivo, lecalciruditi della F.ne dei Monti Climiti sono state campionate in corrispon-denza della cava stessa.

F.ne di Monte CarrubbaLa F.ne di M.Carrubba è costituita da rocce sedimentarie di natura carbo-

natica affioranti nell’altipiano Ibleo in cui si possono distinguere due facies:– calcari oolitici di colore biancastro, con cemento carbonatico, – calcari a lumachella di colore bianco-crema, ben cementati, a granulo-

metria arenitica, e caratterizzati da abbondante presenza di livelli fossiliferidi età Tortoniano sup.-Messiniano inf. (Lentini 1986).

L’attribuzione dei calcari oolitici (Facies B) alla F.ne di M.Carrubba è sca-turita anche da considerazioni di tipo storico, pur non direttamente correlatecon la documentazione inerente la Chiesa di San Nicolò L’Arena. Rodolico1952, fa infatti riferimento ai calcari oolitici della F.ne M.Carrubba citandoun documento del 1715 (una sorta di libro contabile dell’epoca) relativo allacostruzione del Palazzo dell’Università che fa riferimento a ”pezzi di pietraforte, e tutte di qualità e perfezione, (…) provenienti dalle pirrere antiche diMazza Olivieri”. Tale località (attualmente Massolivieri) é una contrada dellapenisola della Maddalena, nelle vicinanze di Siracusa. Inoltre, è stata cam-pionata anche la cava storica ubicata nella zona di Capo Murro di Porco, checostituisce l’estremità meridionale della suddetta penisola (v. Fig. 3).

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La geoarcheometrica applicata alla conoscenza e alla conservazione dei Beni Culturali: la facciata della chiesa di S. Nicolò L’Arena (Ct)

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5. Indagini geochimiche

La caratterizzazione geochimica dei litotipi studiati è stata effettuatamediante l’analisi degli elementi maggiori e minori. In particolare, l’atten-zione è stata focalizzata sia sugli elementi legati alla frazione detritica chesu quelli presenti nella componente carbonatica (CaO, Sr, Mn e Zn).

In particolare lo Sr è risultato essere un ottimo elemento discrimi-nante per le popolazioni studiate (v. Fig. 4). Si osserva che i litotipiappartenenti alla F.ne M. Carrubba sono caratterizzati da valori di Srpiù elevati rispetto ai calcari della F.ne M. Climiti. Inoltre, dal confron-to dei tenori in Sr tra i campioni in opera con quelli delle cave, si evin-ce che i calcari attribuiti alla F.ne M.Climiti provengono dalla cavaPalombara. Per quanto riguarda i campioni appartenenti alla F.neM.Carruba, i tenori in Sr sono più vicini a quelli in contrada Mas-solivieri (v. Fig. 4).

Fig. 3. Schema geologico semplificato dell’Altopiano Ibleo. Sono riportate le ubicazioni dellecave di possibile estrazione delle rocce carbonatiche (in stampa con Punturo et al., 2006).

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6. Considerazioni conclusive

Lo studio petrografico e geochimico condotto sui materiali della fab-brica della Chiesa di S. Nicolò L’Arena di Catania ha messo in eviden-za che, diversamente da quanto riportato dalle fonti storiche, i litotipiutilizzati nell’apparato di facciata sono costituiti non esclusivamentedalle calciruditi della F.ne dei M.Climiti (come si evince dai dati diarchivio riportati da Fichera 1934). Secondo le notizie storiche(Fichera, 1934), nella facciata in pietra è stata utilizzata la calciruditebiancastra proveniente dalla Cava della Palombara, situata in prossimi-tà dell’abitato del paese di Melilli in provincia di Siracusa. L’indaginepetrografica condotta su campioni prelevati in più punti della facciataha, invece, evidenziato la presenza di due litotipi differenti: questo èovviamente anche conseguenza delle lunghe e complesse vicendecostruttive (Fichera, 1934).

In particolare, oltre alla calcirudite biancastra geologicamente riferibi-le al Membro dei Calcari di Siracusa della F.ne dei Monti Climiti

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Fig. 4. Diagrammi binari Sr (ppm) vs Al2O3 (wt%) per i campioni analizzati. Sn: cam-pioni in opera.

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(Burdigaliano-Serravaliano), fu impiegato un altro calcare miocenicocaratterizzato dalla presenza di ooliti. Tale calcare ascrivibile allaFormazione M. Carrubba di età Tortoniano sup. - Messiniano inf. affioranella zona della Penisola Maddalena (Sr) dove, secondo le fonti storiche,vi era in passato una fiorente attività estrattiva (Rodolico, 1952). Ulterioriindagini petrografiche eseguite su campioni prelevati in cave storiche, sianella Penisola della Maddalena sia nei pressi di Melilli, hanno accertatoche le calciruditi della F.ne dei Monti Climiti provengono dalla cava dellaPalombara che ricade nel territorio di Melilli, mostrando pertanto con-gruità con i dati storico-monumentali ed archivistici. I calcari oolitici,invece, sono attribuibili alle cave ubicate a Sud di Siracusa (Penisoladella Maddalena), in particolare a quelle in prossimità di ContradaMassolivieri, per le quali tuttavia non si è riusciti ad identificare in manie-ra univoca il livello estrattivo.

Le condizioni di messa in opera dei due lititipi sono eterogenee, sia perquanto riguarda la loro distribuzione negli elementi architettonici (v. Fig.1) che per l’orientazione dei conci rispetto all’originaria stratificazione inaffioramento.

BIBLIOGRAFIA

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4. R. Punturo, L.G. Russo, A. Lo Giudice, P. Mazzoleni, A. Pezzino. «Building stoneemployed in the historical monuments of Eastern Sicily (Italy). An example: theancient City centre of Catania». Environmental Geol., 2006, (accettato per lastampa).

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8. F. Rodolico. Le pietre delle città d’Italia, 1952. Le Monnier, Firenze.

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DEVOLUZIONE E BENI CULTURALI:IL CASO DELLA SICILIA E DELLA SCOZIA

MIGNOSA A.

Dipartimento Di Economia E Metodi Quantitativi – Università Di Catania Corso Italia, 55 –95129 Catania, Tel. 095 375344 Int. 363, Fax. 095 370574, [email protected]

1. Introduzione

Le politiche culturali seguono modelli specifici influenzati dalle tradi-zioni politiche, culturali e sociali di ogni paese. Le modalità attraverso lequali avviene l’identificazione dei beni culturali, il ruolo degli esperti,l’intervento pubblico e l’intervento degli altri settori (privato, non-profit),le modalità di finanziamento della cultura, in generale, e dei beni cultura-li, in particolare, l’attenzione prestata agli aspetti economici delle decisio-ni relative ai beni culturali, variano da paese a paese. Diversi studi(Cumming e Katz, 1987 [3]; Schuster, 1999 [13]) hanno confrontato lepolitiche culturali e le modalità di finanziamento dei beni culturali in paesidiversi. Malgrado i limiti legati alle diverse modalità di raccolta dei dati,le differenze nella definizione di beni culturali, ecc., questi studi fornisco-no un contributo per comprendere l’impatto che istituzioni e regole diffe-renti hanno sulla conservazione e valorizzazione dei beni culturali.

Questo lavoro mette a confronto le modalità attraverso cui decisionipubbliche relative ai beni culturali sono prese in Sicilia ed in Scozia.Diverse ragioni sono alla base di questo confronto. Innanzitutto, in en-trambi i casi, il potere decisionale è stato decentrato a seguito della devo-luzione di competenze, rispettivamente, al Parlamento Scozzese ed alParlamento della Regione Siciliana. Secondariamente, la maggior partedelle decisioni in materia di beni culturali sono prese nel settore pubblicoda burocrati-esperti che hanno un ruolo dominante nel processo decisio-nale. L’analisi, guardando alla effettiva organizzazione delle istituzioniresponsabili in materia di politiche culturali in Sicilia e Scozia, intendeproprio evidenziare se, come la teoria lascerebbe dedurre, tali similitudiniimplichino politiche culturali analoghe nei due casi.

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2. L’approccio teorico

In Sicilia, così come in Scozia, la definizione ed implementazione dellepolitiche culturali avviene prevalentemente nel settore pubblico e burocra-ti-esperti hanno un ruolo dominante. La teoria della burocrazia costituisceun valido strumento per analizzare il processo attraverso cui le decisionisono prese nel settore pubblico ed il comportamento degli attori che pren-dono tali decisioni. Secondo questo approccio teorico, i burocrati sono“agenti” che operano per conto dei politici; quindi, teoricamente, i buro-crati dovrebbero seguire le indicazioni dei politici e soddisfarne le prefe-renze. Questo approccio teorico può spiegare vari aspetti del modo di ope-rare dei burocrati ed il rapporto di questi con i politici. Infatti, dire che lepolitiche culturali sono scelte ed implementate nel settore pubblico signi-fica raramente che i politici (es. ministri della cultura) agiscono diretta-mente. Normalmente, essi delegano il potere ai burocrati in virtù dellespecifiche conoscenze di questi ultimi. Secondo la teoria della burocrazia,quindi, il rapporto politici-burocrati è un rapporto principale-agente in cuii politici delegano potere ai burocrati al fine di sfruttare la loro conoscen-za di uno specifico settore (cultura, sanità, istruzione, ecc.) per fare sceltemigliori, più rapidamente. La teoria fornisce una spiegazione di molti ele-menti che caratterizzano questo particolare rapporto e del ruolo che tantoi burocrati quanto i politici hanno. Tale approccio è utile anche nel casodelle politiche culturali pubbliche che sono l’oggetto di questa analisi. Lateoria sottolinea il fatto che i politici non sono “dittatori benevolenti” maindividui che cercano di massimizzare i propri interessi tenendo in consi-derazione specifici incentivi e vincoli.

La teoria della burocrazia evidenzia alcuni elementi che caratterizzanoquesto rapporto: le asimmetrie informative che sono alla base della dele-ga di poteri da parte dei politici; la discrezionalità dei burocrati che puòportare a risultati diversi rispetto alle preferenze dei politici (i principali);le caratteristiche della burocrazia quali l’avversione al rischio e la man-canza di incentivi; e la possibilità dei politici di controllare i burocrati.

La teoria della burocrazia costituisce il riferimento teorico che useremoper spiegare il modo di operare dei burocrati siciliani e scozzesi responsa-bili per le politiche culturali e la loro relazione con i politici. In generale,l’analisi teorica tende a evidenziare l’autonomia di cui godono i burocratie la difficoltà dei politici di effettuare una qualche forma di controllo neiconfronti dei primi.

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Questo problema sembra essere persino più evidente nel caso dellepolitiche culturali in quanto in questo settore le competenze di burocrati-esperti sembrano essere indispensabili per poter prendere qualsiasi deci-sione e, nello stesso tempo, sembra essere impossibile metterle in discus-sione (Peacock, 2001 [11]). Secondo alcuni autori, in realtà, esistono stru-menti alternativi per limitare la discrezionalità dei burocrati. Ad esempioi referendum potrebbero servire a chiedere direttamente alla collettività dipartecipare al processo decisionale esplicitando le proprie preferenze e lapropria disponibilità a pagare per un determinato bene o servizio (Frey ePommerehne, 1989 [6]; Frey e Oberholzer-Gee, 1998 [5]). Ancora, sipotrebbe ricorrere alla Valutazione contingente (Contingent ValuationMethod o CVM) e ad altre metodologie usate per inferire la disponibilitàa pagare per la cultura della collettività (Klamer e Zuidhof, 1999 [10]).Infine, si ritiene (Rizzo, 2003 [12]) che il controllo sui burocrati e, quindi,la riduzione della loro discrezionalità possa aver luogo nel caso delladevoluzione ovvero del decentramento di potere da un livello più elevatoad un livello più basso di governo.

In effetti, la Sicilia e la Scozia costituiscono due esempi di devoluzio-ne, in quanto i poteri in materia di cultura (così come in altre materie qualiistruzione, sanità, lavori pubblici, ecc.) sono stati devoluti al governoregionale siciliano e al governo scozzese. La teoria del federalismo fisca-le consente di approfondire l’analisi guardando come avviene il processodecisionale quando si svolge ad un livello più basso di governo. Secondola teoria, infatti, le decisioni dovrebbero essere più vicine alle preferenzedelle comunità locali poiché i politici locali dovrebbero conoscere megliole preferenze del loro elettorato. È questo ciò che avviene in Sicilia eScozia? Le politiche culturali corrispondono alle preferenze della popola-zione?

3. L’analisi empirica

Questo lavoro si fonda su un’analisi empirica dell’organizzazione e delmodo di operare delle istituzioni responsabili per la definizione e l’imple-mentazione delle politiche culturali in Sicilia e Scozia. Fondamentali, perl’individuazione di tali istituzioni sono risultati: lo studio della legislazio-ne vigente in materia di beni culturali in Sicilia e Scozia; l’analisi deidocumenti ufficiali delle istituzioni relativi tanto alle regole per la tutela,

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conservazione e valorizzazione dei beni culturali quanto al loro finanzia-mento; e la somministrazione di interviste ai soggetti che operano all’in-terno delle suddette istituzioni. L’analisi della normativa vigente ha costi-tuito il primo passo indispensabile per ricostruire il quadro legislativo cheè alla base della tutela, conservazione e valorizzazione dei beni culturaliin Sicilia e Scozia. Essa ha anche consentito di ricostruire l’organizzazio-ne delle istituzioni responsabili in materia evidenziando le differenze pre-senti nei due casi: malgrado la dominanza del settore pubblico –esperti/burocrati sono i soggetti che prendono le decisioni in materia dibeni culturali – l’organizzazione delle istituzioni al cui interno questi sog-getti operano differisce molto nei due casi. L’analisi dei documenti ufficia-li pubblicati da queste istituzioni ha consentito di tracciare il modo di ope-rare delle stesse ed il loro rapporto con i politici e con la popolazione.Infine, le interviste somministrate direttamente ad alcuni degli attori cheoperano in queste istituzioni hanno consentito di meglio comprendere ilmodo di operare delle stesse e le eventuali discrasie fra quanto previsto neidocumenti ufficiali e quanto avviene nella realtà.

3.1. L’amministrazione dei beni culturali in Sicilia

La Regione Siciliana in quanto regione a “statuto autonomo” gode di par-ticolare autonomia, fra l’altro, in materia di tutela, conservazione e valoriz-zazione del patrimonio culturale tale autonomia è ribadita agli artt. 14 e 33dello Statuto Regionale. L’effettivo trasferimento di poteri dal governo nazio-nale alla regione in materia di cultura è stato effettuato con due decreti delPresidente della Repubblica (n. 635 e n., 637 del 1975). A seguito di tale dele-ga l’amministrazione regionale responsabile in materia di beni culturalidivenne autonoma rispetto al Ministero nazionale, e la sua organizzazione,che fino a quel momento era stata uguale al resto del paese, venne modifica-ta. La legge regionale n. 80 del 1977 ridisegnò l’organizzazione e la riparti-zione delle soprintendenze seguendo un principio territoriale mentre nel restodel paese l’articolazione delle soprintendenze segue un criterio tipologico. InSicilia ci sono nove soprintendenze (una soprintendenza per provincia) eognuna di esse presenta al suo interno tutte le competenze necessarie pergarantire la tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturaledell’isola. L’organizzazione dell’amministrazione regionale in materia dibeni culturali non ha subito rilevanti modifiche sino all’emanazione dellaLegge Regionale 10/2000 che ha implicato la riorganizzazione dell’ammini-

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strazione pubblica regionale (incluso l’assessorato regionale beni culturali,ambientali e pubblica istruzione).

L’organizzazione introdotta a seguito della devoluzione è descritta det-tagliatamente nelle leggi quindi è molto difficile apportare modifiche allastessa. Essa è organizzata gerarchicamente e fortemente sottoposta alpotere dell’Assessore, il politico eletto nominato a capo dell’Assessoratoche controlla i vari uffici centrali e periferici che compongono l’assesso-rato stesso (v. Fig. 1).

Il finanziamento dei beni culturali avviene prevalentemente attraversofondi che l’assessorato distribuisce fra i vari uffici periferici che lo com-pongono. Altra fonte di finanziamento che, specialmente negli ultimi anni,ha svolto un ruolo rilevante è quella legata agli introiti del lotto (Giuranno,2005 [7]). Va, tuttavia, posto in evidenza il fatto che il settore culturalebeneficia anche di risorse che arrivano indirettamente al settore attraversoaltri assessorati (es. Lavori pubblici, turismo, etc.). In ogni caso, tutti gliinterventi sui beni culturali (anche quelli che derivano dall’iniziativa dialtri assessorati o di livelli più bassi di governo – province, comuni) devo-no essere autorizzati dall’assessorato (dipartimento o soprintendenze aseconda del tipo di intervento).

I privati non hanno un ruolo particolarmente rilevante per quantoriguarda le politiche culturali. Infatti, da un lato i cittadini, generalmente,sembrano alquanto disinteressati rispetto alle politiche culturali, anche seè vero è che indicazione in senso opposto sembra venire dal successo cheil censimento dei “Luoghi del cuore” proposto dal Fondo per l’AmbienteItaliano (FAI) ha avuto in Sicilia. Dall’altro lato il ruolo delle fondazioni

Fig. 1. Organizzazione dell’Assessorato Regionale BBCCAA.

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private non è particolarmente rilevante, soprattutto rispetto ad altre regio-ni italiane (Creaco 2005 [4]). La situazione potrebbe, tuttavia, cambiarevisto il crescente coinvolgimento dei privati nella gestione di siti archeo-logici e di musei.

3.2. L’amministrazione dei beni culturali in Scozia

In Scozia la devoluzione ha avuto luogo nel 1997 a seguito di un lungoprocesso storico e politico e di un apposito referendum. La tendenza deipolitici scozzesi è stata quella di distinguersi dai loro colleghi inglesi, ciòha portato all’introduzione di istituti (es. la petizione pubblica) intesi pro-prio a sottolineare questa differenze e, nel contempo, a colmare il “deficitdemocratico che separa gli scozzesi dal governo scozzese” (Cavanagh e al.2000, [1]).

A seguito della devoluzione, il Concordato stipulato fra il Departmentof Culture, Media and Sport (DCMS) e il governo scozzese ha indicato lematerie che sono passate sotto l’autorità del governo scozzese.

L’organizzazione dell’amministrazione scozzese responsabile per i beniculturali, segue il modello britannico della “quangocracy” (Hewison, 1996[8]): l’organizzazione si compone di “diversi dipartimenti centrali guidatida ministri nominati politicamente, mentre l’amministrazione è devolutaagli enti locali e ad agenzie (Non Departmental Pubic Bodies - NDPB) didiverso tipo (Keating 1999, [9]). Inoltre, in Gran Bretagna viene applica-to il principio dell’arms length (lunghezza del braccio) che evita che leistituzioni che operano nel settore culturale siano direttamente sottoposteal ministro o al dipartimento competente, ma operano in cooperazione congli stessi. In Scozia il ministro responsabile in materia di beni culturaliopera tramite il Dipartimento del Governo per l’Istruzione (ScottishExecutive Education Department – SEED).

A seguito della devoluzione la struttura delle istituzioni responsabiliper i beni culturali non ha subito modifiche degne di rilievo: si trattava diistituzioni create originariamente come filiali locali di istituzioni con sedea Londra che con la devoluzione sono passate sotto la giurisdizione deiministri scozzesi. Quindi, la devoluzione in Scozia non ha portato allacreazione di una nuova struttura amministrativa responsabile in materia dibeni culturali e di politiche culturali più generalmente. Il sopra menziona-to Concordato dichiara esplicitamente che le regole pre-devoluzione rela-tive all’organizzazione ed al funzionamento delle varie istituzioni e dei

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NDPB resta valido. Questa è stata considerata una delle principali causedel fatto che le politiche culturali non rispondono appieno alle esigenze epreferenze di una Scozia indipendente.

Il ministro dello sport, arte e cultura (Ministry for tourism, culture andSport) è responsabile della politica culturale nazionale scozzese. Si trattadi un membro del parlamento, ovvero un politico eletto dagli elettori scoz-zesi. Il SEED è, invece, l’istituzione che, sotto la guida del ministro,implementa le politiche culturali. In realtà, questo dipartimento non agi-sce direttamente ma tramite due agenzie esecutive e in partenariato condiverse istituzioni. L’agenzia responsabile per i beni culturali è HistoricScotland, fra i principali partner sono gli enti locali, lo Scottish ArtsCouncil (SAC), i National Museums of Scotland, le National Galleries ofScotland, la Royal Commission on the Ancient and Historical Monumentsof Scotland (RCAHMS), etc.

Solo Historic Scotland è un’agenzia esecutiva del SEED. Essa esisteva giàprima della devoluzione a seguito della quale passò sotto l’autorità del gover-no scozzese. I burocrati che lavorano per questa agenzia sono di fatto respon-sabili per l’implementazione delle politiche scozzesi in materia di beni cultu-rali e, soprattutto, dell’inclusione dei beni stessi nelle liste riconoscendonel’importanza dal punto di vista storico artistico. La principale differenzarispetto ai loro colleghi in Sicilia è legata alla maggiore attenzione prestata alriuso degli edifici storici, punto questo del tutto trascurato dai burocrati sici-liani per i quali la conservazione ha valore di per sé.

Il finanziamento di quest’agenzia avviene prevalentemente con fondipubblici anche se l’agenzia ottiene circa un terzo delle sue risorse attraver-so la vendita di biglietti, le vendite di prodotti presso i siti che custodiscee attraverso altre attività culturali. Come in Sicilia anche in Scozia altridipartimenti possono destinare risorse al settore culturale, ed, anche inquesto caso, i fondi ricavati attraverso la lotteria nazionale hanno acquisi-to un’importanza crescente nel favorire il finanziamento di interventi suibeni culturali (restauro, valorizzazione).

Anche in Scozia la popolazione non sembra particolarmente interessa-ta ai beni culturali tuttavia Historic Scotland è costantemente impegnata acoinvolgere la popolazione nella tutela, conservazione e valorizzazionedel “proprio patrimonio”. Va, poi, sottolineato il ruolo del National Trustof Scotland, questa fondazione tutela più di un centinaio di edifici operan-do, fondamentalmente, grazie alle donazioni, ai contributi, alle sottoscri-zioni ed ai lasciti di privati.

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Riassumendo le principali caratteristiche dell’organizzazione responsa-bile in materia di beni culturali in Scozia, va sottolineato innanzitutto chein Scozia, per effetto dell’applicazione dell’arm’s length principle non siha una struttura organizzata in modo gerarchico come avviene, invece, inSicilia. La devoluzione non ha portato alla creazione di una nuova struttu-ra amministrativa diversa dalle precedenti. Anche se i burocrati scozzesi,come i loro colleghi siciliani, devono seguire regole e procedure prefissa-te, la struttura dell’amministrazione responsabile per i beni culturali sem-bra essere molto più flessibile in Scozia e le regole sembrano più chiare.

4. Sicilia e Scozia

Accanto alle analogie nel modo di operare della burocrazia e nel mag-giore controllo sui burocrati reso possibile dalla devoluzione tanto inSicilia quanto in Scozia, l’analisi empirica ha messo in evidenza l’esisten-za di alcune caratteristiche che differenziano l’organizzazione delle istitu-zioni responsabili per i beni culturali, il loro modo di operare ed il rappor-to fra queste e il potere politico, da un lato, e la popolazione dall’altro.

In Sicilia, l’organizzazione introdotta a seguito della devoluzione sembraseguire un approccio fortemente decentralizzato che, teoricamente, dovrebbegarantire la definizione ed implementazione di politiche vicine alle preferenzedelle comunità locali. La distribuzione capillare delle istituzioni sul territoriodovrebbe garantire una maggiore conoscenza del patrimonio culturale e la con-servazione di quei beni minori che tendono ad essere “dimenticati” quando ilprocesso decisionale è centralizzato. In realtà, la carenza di risorse finanziariesembra spostare l’attenzione verso i beni più importanti analogamente a quan-to avviene nei sistemi in cui le decisioni sono centralizzate. Inoltre, in realtà,l’organizzazione introdotta in Sicilia sembra quasi replicare il sistema naziona-le risultando fortemente accentrata. In Scozia, a seguito della devoluzione, nonsi è avuta una modifica sostanziale delle istituzioni responsabili in materia dibeni culturali; come già menzionato, queste sono “semplicemente” passatesotto l’autorità del parlamento scozzese. Ciononostante, l’amministrazionescozzese sembra essere stata capace di effettuare scelte vicine alla popolazio-ne, come dimostrato dallo stesso atteggiamento di Historic Scotland che inten-de coinvolgere la popolazione direttamente nella conservazione del propriopatrimonio. L’organizzazione responsabile per i beni culturali risulta molto piùflessibile e coinvolge molte più istituzioni in modo cooperativo.

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Altro punto da porre in evidenza riguarda l’importanza della normati-va in Sicilia: il sistema vigente è stato introdotto con legge regionale e puòessere modificato solo da nuove leggi regionali. In Scozia, invece, il siste-ma sembra essere molto più flessibile e modifiche possono essere introdot-te senza dover ricorrere all’emanazione di nuove leggi.

Per quanto riguarda il modo di operare dei burocrati siciliani responsa-bili delle decisioni in materia di beni culturali, confermando quanto previ-sto dalla teoria, appare evidente la mancanza di controllo sull’uso che que-sti fanno dei fondi destinati a questo settore. L’Assessore (e, analogamen-te, i dirigenti che operano presso il Dipartimento regionale dei beni cultu-rali – fig. 1) sembra non conoscere l’ammontare di risorse disponibili,quelle utilizzate e quelle da utilizzare in un particolare momento. Vero èche le Soprintendenze devono presentare un rendiconto annuale ed unpiano relativo alle attività che intendono intraprendere, ma tali documentinon sembrano essere presi in considerazione nel momento in cui si proce-de alla distribuzione di risorse da parte dell’Assessorato. Il controllo deipolitici sui burocrati avviene fondamentalmente attraverso il potere dinomina da parte dell’Assessore. La situazione risulta diametralmenteopposta in Scozia dove tanto i burocrati quanto i politici sono perfettamen-te consapevoli dell’ammontare di risorse disponibili e dell’uso che neviene fatto. Il controllo sul budget, e, soprattutto, sull’uso che se ne farisulta essere lo strumento per eccellenza usato dai politici scozzesi percontrollare e, quando possibile, influenzare l’attività della burocrazia.

I burocrati siciliani e scozzesi sembrano presentare un’altra caratteristi-ca che la teoria considera tipica della burocrazia: l’avversione al rischio.Tuttavia, questa implica scelte politiche diametralmente opposte. Infatti,in Sicilia i burocrati ricorrono alla regolamentazione (apposizione di vin-coli, espropri, etc.) per ridurre il rischio che il patrimonio sia danneggia-to. Ciò fa si che l’attenzione delle politiche culturali, in Sicilia, si concen-tri soprattutto sulla conservazione del patrimonio (Consiglio d’Europa,2002 [2]), che assorbe la maggior parte delle risorse umane e finanziariemesse a disposizione del settore culturale. Tale avversione al rischio e l’at-tenzione posta sulla conservazione sono alla base di non rari conflitti coni privati che vedono limitare i propri diritti su un bene (per l’esigenza diottemperare a regole ben precise nel restauro di un edificio antico, o per lelimitazioni che possono derivare per il fatto di trovarsi vicini ad un sito –es. divieto di costruire) e che finiscono col percepire i beni culturali comequalcosa di distante e oneroso. In Scozia, invece, l’avversione al rischio

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fa si che i burocrati siano particolarmente attenti alla sostenibilità econo-mica e sociale degli interventi sul patrimonio culturale. Quindi, essi con-siderano anche, e soprattutto, la possibilità di riutilizzare un bene, anzi talepossibilità diventa un punto di forza nella scelta di un progetto. Il diversoorientamento dei burocrati in Scozia riguarda anche il ruolo di altri attoried il loro coinvolgimento. Infatti, anche se conflitti fra burocrazia e popo-lazione sono presenti, va evidenziato l’atteggiamento di Historic Scotlandche cerca di sensibilizzare la popolazione alla conservazione del patrimo-nio e di coinvolgerla direttamente nella conservazione dello stesso. Ildiverso coinvolgimento di altri attori “non-pubblici” è messo in evidenzadal ruolo che i diversi tipi di fondazioni hanno nei due casi. Il NationalTrust of Scotland custodisce 128 siti, in Sicilia, il Fondo per l’AmbienteItaliano si occupa solo di 2 siti.

Le varie differenze che caratterizzano l’amministrazione dei beni cul-turali rispettivamente in Sicilia e Scozia, possono sembrare incoerenti allaluce dell’approccio teorico scelto. Ci si sarebbe aspettati una maggioreomogeneità tanto nell’organizzazione delle istituzioni responsabili per ibeni culturali quanto nel loro modo di operare. Tale omogeneità, tuttavia,è ravvisabile nel modo di operare dei burocrati e nella maggiore vicinan-za alla collettività dei decisori pubblici dovuta alla devoluzione di potereal governo siciliano e scozzese. Tuttavia, come evidenziato, sono molte ledifferenze fra i due sistemi che non trovano una spiegazione nell’approc-cio teorico scelto. Si ritiene che una possibile spiegazione potrebbe aversiconsiderando la diversa evoluzione storica delle istituzioni politiche eburocratiche di questi due paesi. Il sistema britannico che prevede la pre-senza di diverse istituzioni pubbliche e non, insieme all’applicazione del-l’arm’s length principle fa si che l’organizzazione responsabile per i beniculturali in Scozia sia profondamente diversa rispetto a quella siciliana,operi in modo diverso seguendo principi ben diversi. Anche il diversoorientamento delle politiche culturali – conservazione in Sicilia, riuso inScozia – corrisponde ad un diverso approccio al bene culturale che hacaratterizzato i due paesi nel tempo. In definitiva, si ritiene che per avereuna spiegazione completa del modo di operare dei decisori pubblici e dellescelte che questi fanno è necessario utilizzare un approccio teorico piùampio che guardi anche all’evoluzione storica delle istituzioni.

Mignosa314

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Devoluzione e beni culturali: il caso della Sicilia e della Scozia 315

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CAMPIONARI IN “MARMI” E PIETRE DURE DEL

BAROCCO SICILIANO: UN ESEMPIO A SIRACUSA.

MONTANA G. (1), TRISCARI M. (2)

(1) Dipartimento di Chimica e Fisica della Terra (CFTA), Università di Palermo(2) Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Messina

Nel barocco siciliano, sono state ampiamente utilizzate, nella realizza-zione dei cosiddetti “marmi mischi” e nel “commesso a pietre dure” varietipologie di diaspri ed altre pietre ornamentali. Un’ampia trattazione del-l’utilizzo di tali materiali viene riportata da Montana et al. (1998) chedescrive anche la tipica, ed a volte univoca, denominazione comune di talimateriali. Adesso si segnalano due inediti tavoli-campionario datati stili-sticamente alla seconda metà del Settecento e conservati a Siracusa pres-so una collezione privata. La coppia di tavoli, cm 163 x 62.5 x 90 presen-ta il ripiano superiore costituito da formelle quadrate di cm 6.5 disposte insette righe e quattordici colonne per un totale di 98 formelle cadauno. Leformelle sono inserite in un’unica lastra di marmo bianco di Carrara. Nelfronte di ognuno dei tavoli, immediatamente sotto la lastra con le tarsiemarmoree, si apre un cassetto che riporta - dipinto su legno - l’esatto dise-gno a quadri della lastra di marmo superiore, recante in ogni casella ladenominazione del materiale utilizzato.

I due tavoli presentano così una singolare ed unica caratteristica di“campionario” per litologie ornamentali che già nella mente del suo rea-lizzatore venivano distinte, una in ogni tavolo, in due serie: quella delle“pietre dure” e quella della “pietre molli”. Con tale denominazione nelSettecento venivano separatamente indicate tutte le tipologie facenti rife-rimento a forme microcristalline della silice (agate, diaspri etc.) e quelleriferite, invece, a rocce calcaree compatte, a varia dominante cromatica,suscettibili di buona lucidatura.

Si riportano le trascrizioni “letterali” di alcune delle denominazioniriscontrate nel catalogo riferito alle cosiddette “pietre dure”:

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DEASPARO DI S. STEFANO CON MACCHIA GIALLA E BIANCHA /AGATA NERA DELL PARCO / DEASPARO NERO DI GIULIANA / FICIRI-GLIA GIALLA DEL CAPUTO / AGATA VERDE CON MACCHIA GIALLA /FICIRIGLIA ROSSA DEL CASTILLAZZO / AGATA DELLA PIANA DELLIGRECI CON MACCHIA GIALLA / AGATA CHIAMATA SCORCIA DI SMI-RADO DI TERMINI / DEASPARO ROSSO CON MACCHIE TORCHINI DIGIULIANA / AGATA GIALLA DELLA MONTAGNA DI RAMO ARDO /AGATA VIRDONA DI GRATERI / DEASPARO CON MACHIA GIALLA DIGIULIANA / AGATA VERDE CON MACCHIE CRISTALLINE DI S. STEFA-NO

ed alle “pietre molli”:

CIACA DELLA TORRETTA / COTOGNINO DI CAPO ZAFARANA / PIETRADI CARINI / ROSSONE DI’ TRAPANI / PIETRA DEL’ CAPO DI S. VITO /NOVELLA DI BELLIEMI / PIETRA DI FIUME / PIETRA DI S. M. DI GESU /PIETRA DI MUSSOMELE / PIETRA DI CAPACI / PIETRA DI SAVONA /PIDOCCHOISA DI TRAPANI / PIETRA CARCHARIGNA / VERDE DIFIUME

Già dal XVII secolo le raccolte di materiali lapidei ornamentali di pre-gio, diventano segno di un “colto” collezionismo che trovano nel mecena-tismo dei Medici una delle massime espressioni. Lazzarini L. (2004)segnala anche “studioli” e/o “campionari portatili di tali materiali alcunirealizzati anche con marmi e pietre dure siciliane: a questa categoria faanche riferimento la collezione di diaspri siciliani del naturalista cataneseGiuseppe Giorni datata alla fine del XVIII secolo. Anche se sono ben notistipi, mobili, tavoli con inserti in pietre dure tra il XVIII ed il XIX secolo,la produzione di tavoli-campionario risulta molto limitata: Gonzales-Palacio (1982), è l’unico a riportare una coppia di tavoli realizzati in pie-tre dure siciliane attualmente presso la Reggia di Caserta e datati, in basead una precisa nota di spesa al maggio 1808. Questi ultimi tavoli vennerorealizzati a Napoli presso il “Real laboratorio delle pietre dure” fondato daCarlo di Borbone nel 1738.

Una ricostruzione su precise fonti documentali delle vicissitudini chehanno portato all’attuale collocazione dei tavoli, rende ragionevolmentecredibile una manifattura di area palermitana. L’ipotesi viene avanzata,oltre che sulla base dei riscontri letterari noti per queste tipologie di lavo-razione, anche per la puntigliosa localizzazione delle varie litologie utiliz-zate e per il confronto di tali litologie con quelle ampiamente diffuse, inopera, nei manufatti di gusto barocco che decorano gli interni delle più

Campionari in “marmi” e pietre dure del barocco Sicilliano 317

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3. L. Lazzarini. (2004) Pietre e marmi antichi. CEDAM, Padova pp. 194.

Montana, Triscari318

importanti chiese siciliane edificate dalla fine del Cinquecento a tutto ilXVIII secolo.

Oltre al valore intrinseco dell’inedito rinvenimento, dalla presente notaderiva anche un’ulteriore conferma del largo impiego di materiali lapideisiciliani nella pratica decorativa a “marmi mischi” ed un’importante chia-ve di lettura nella oggettiva identificazione delle numerose tipologie dimarmi e diaspri, estensivamente in opera anche in diverse altre regioni ita-liane (v. Fig. 1).

Fig. 1.

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Conoscenza, progetto e tutela del complesso «Castello di Pitino» 319

CONOSCENZA, PROGETTO E TUTELA DEL COMPLESSO EDILIZIO

FORTIFICATO “CASTELLO DI PITINO” SITO

NEL COMUNE DI SAN SEVERINO MARCHE (MC)

MOTTANA A.(1), MASSACCI G.A.M.(2)

(1)Dipartimento di Scienze Geologiche Università Degli Studi Roma Tre, Largo S. LeonardoMurialdo I-00146 Roma, Tel. 06 54888019, Fax. 06 54888201 [email protected].

(2)Libero Professionista e Docente A Contratto Presso la Facoltà Di Scienze MM.FF.NN.Dell’università Di Camerino Via XXIV Maggio, 11 – 60035 Jesi (AN); Tel. E Fax. 0731 58456,

[email protected]

1. Introduzione

Il progetto di valorizzazione dell’impianto edilizio ha come elementicaratterizzanti il restauro conservativo, il recupero funzionale, la ristruttu-razione e l’adeguamento funzionale dell’insediamento fortificato“Castello di Pitino” (v. Fig. 1) sito nel comune di San Severino Marche(MC) e rientrante nell’ambito del piano di area vasta come contemplatonel progetto pilota denominato “Asse viario Marche Umbria e Qua-drilatero di penetrazione interna”. Il territorio di San Severino Marche(MC) è fittamente interessato dalla presenza di ben tredici castelli “operadi difesa” per popolazioni riunite sotto l’insegna delle libertà comunali osotto il dominio di qualche signorotto. Secondo i documenti del medioe-vo, gli storici locali datano questi castelli tra l’XI e il XIII secolo: essierano dislocati sul territorio in modo da organizzarne la difesa militare,controllarne le strade principali, le valli ed i fiumi. È evidenziabile, tra latarda antichità e l’alto medioevo, una tendenza all’accentramento insedia-tivo precastrale, suggerendo l’ipotesi di una tendenza all’agglomerazioneche avrebbe posto le basi per le successive fondazioni dei castelli di primagenerazione o delle torri di avvistamento (Aliforni1, Isola, Colleluce2,

1 Aliforni. Si trova al confine fra il territorio di San Severino e quello di Apiro. Nel1257 fu venduto dal vescovo di Camerino al Comune di San Severino. Del castello resta-

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Serralta, Castel San Pietro, Carpignano3, la Roccacia – Monteacuto, ecc.)sparse in tutto il territorio di San Severino Marche; alcuni oggi in stato dirudere ed altri in ottime condizioni e ben conservati.

Tant’è che il complesso fortificato “Castello di Pitino” e l’annessa areaarcheologica “Monte Penna” si trovano compresi nella realizzazione del-l’intervalliva Tolentino - San Severino Marche. In tale contesto, e congiun-tamente alla Regione Marche, il Comune di San Severino Marche (MC)ha realizzato un progetto di sosta, servizio e interscambio merci in prossi-mità dell’intervalliva San Severino Marche – Tolentino. Il sistema di tra-sporti per il collegamento con San Severino Marche e con il Parco archeo-logico di Septempeda e il Museo archeologico “Giuseppe Moretti” risul-terà quindi un’infrastruttura moderna ed efficiente per la presenza di unarete di trasporto veloce: tutto ciò costituirà chiaramente un vantaggio perlo sviluppo turistico dell’area.

In particolare questo strumento “disciplina” ulteriori forme di tutela,valorizzazione e riqualificazione del territorio anche grazie all’esperienzadi collaborazione instauratasi tra l’Amministrazione Comunale della cittàdi San Severino Marche e il Dipartimento di Scienze Geologichedell’Università degli Studi Roma TRE, nella persona del Prof. AnnibaleMottana (Ordinario di “Georisorse e Mineralogia e Petrologia applicataall’Ambiente e ai Beni Culturali”).

no la torre principale di pietra arenaria come le mura, alta circa 25 metri, quasi intatta;parte della cinta muraria e alcune abitazioni medievali. La torre conserva ancora i becca-telli che reggevano la merlatura.

2 Colleluce. Sulla strada per Serrapetrona si trovano due Castelli, quello di Colleluce,488 metri, e quello di Carpignano. Il primo fu costruito alla fine del XII secolo, forsesulle rovine di un tempio pagano. Oggi restano parti della cinta muraria che gli conferi-scono l'aspetto di luogo fortificato, dominato dal campanile della Chiesa di San GiovanniBattista che conserva un pregevole Crocifisso dipinto su tela, del XIII secolo e affreschivotivi di scuola sanseverinate.

3 Carpignano. Esisteva già nei primi anni del Mille, probabilmente come dimora diqualche signore. Dopo alterne vicende, nel 1471, divenne definitivamente possesso diSan Severino e fu ampliato e rafforzato. È uno dei più importanti esempi di architetturamilitare del territorio; oggi restano parti delle mura, con torri circolari agli angoli, laporta d'accesso con arco a tutto sesto, e, nell'angolo nord - ovest, il cassero pentagonalesovrastato da un'alta torre quadrata.

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2. Discussione delle fonti per la storia del territorio

Il progetto di valorizzazione del complesso fortificato del Castello diPitino mira non soltanto a restituire questa area alla fruizione degli abitan-ti di San Severino Marche (MC) e dei turisti tutti, ma anche a creare - gra-zie appunto all’utilizzo di nuove tecnologie per l’elaborazioni delle cono-scenze interdisciplinari - il collegamento infrastrutturale tra l’areaarcheologica dell’antica città romana di Septempeda (v. Fig. 2) - ora cor-rispondente alla moderna città di San Severino Marche -, le necropoli

Fig. 1. Veduta generaledel Borgo fortificato –Castello di Pitino.

Fig. 2. Planimetria rap-presentante l’insediamen-to romano di Septempeda.

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picene di Monte Penna, quelle con corredi orientalizzanti scoperte nellafrazione Pitino, quelle d’età arcaica del Ponte di Pitino, d’età classica delFrustellano di Pitino e l’attuale complesso fortilizio del Castello di Pitino(XIII sec.) (tutti nel circondario e nel comune di San Severino Marche) (v.Fig. 3). Il valore aggiunto del progetto è che esse hanno offerto l’occasio-ne di maturare l’idea di un piano organico del progetto per focalizzare iprincipali avvenimenti storici del territorio nei vari aspetti della “culturamateriale”, senza preconcette limitazioni temporali e d’importanza. Iltema principale – “Il Castello di Pitino” – prende, quindi, le mosse dalquadro cronologico e storico che focalizzano i principali avvenimenti sto-rici di San Severino Marche, attraverso la trama delle fonti antiche e letappe salienti della ricerca archeologica.

Fortemente significativo è il ricordare che le tracce dell’antico tessutoviario sono osservabili nell’entrare a San Severino Marche da una qualsia-si delle sue strade d’accesso “diverticolo della via Flaminia che daNuceria giungeva a Recina”. Grazie alle strade romane delle province, siresero possibili spostamenti assai più rapidi da un capo all’altro d’Italia ed’Europa che si mantennero poi nel tempo fino all’età moderna. Questestrade erano fornite di “stationes” dove si poteva riposare e ristorarsi; tra-mite queste strade si potevano inviare le legioni là dove se ne fosse presen-

Fig. 3. Monte Penna e altrisiti piceni individuati nel ter-ritorio di S.Severino Marche.

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tata la necessità e, infine, era attraverso queste vie che, alla fin fine, si pote-vano mantenere i rapporti con le altre popolazioni dell’impero.

Per recarsi in uno dei tanti insediamenti romani nel Piceno, o per intra-prendere un viaggio per mare verso l’oriente a partire dai porti adriatici, vierano a disposizione due guide stradali: la Istitutio provinciarum AntoniniAugusti (nota come Itinerarium Antonini) del II-III secolo d.C. e, posterior-mente, la cosiddetta Tabula Peutingeriana. Molti comuni marchigianihanno trovato nella via Settempedana la strada per il loro sviluppo sociale,culturale ed economico. La pax romana aveva sempre assicurato agli abi-tanti un’esistenza libera dalle preoccupazioni di improvvisi attacchi dainemici e dei conseguenti cambi di dimora. Successivamente gli insediamen-ti si spostarono in luoghi più difendibili e, pur tuttavia, le grandi vie dicomunicazione rimasero quelle comode di fondovalle come la viaSettempedana, tracciata dagli ingegneri romani. La quarta strada, definitacome “Flaminia”, dopo aver lasciato l’Umbria a Dubios presso Nocera, rag-giungeva le seguenti località: Prolaquae (Pioraco), Septempedana (SanSeverino), Trea (Treia), Auximum (Osimo) e Ancona, per poi proseguireverso Nord. È evidente che non si tratta della via Flaminia dell’omonimoconsole, cioè quella che univa Roma a Rimini, ma c’é da rilevare come que-sta denominazione sia stata attribuita nell’antichità a numerose strade cheerano spesso solo diverticoli della consolare. Le notizie storiche a noi per-venute documentano la primaria importanza dell’attuale S.S. 361 (antica-mente dette Flaminia, diverticolo della Flaminia, Flaminia Orientale eSettempedana) nel tessuto viario del centro Italia, non soltanto come anticavia commerciale e militare, ma anche come itinerario dello spirito, per l’esi-stenza, a pochissimi chilometri di distanza dai due centri terminali (Noceraed Osimo), di due dei maggiori centri della religiosità cristiana sviluppatisinel basso Medioevo: Assisi e Loreto.

Ciò è percepibile al visitatore per il fatto che la città di San SeverinoMarche è relazionabile con le più antiche e remote forme di vita associa-ta, dai ritrovamenti attribuibili al Paleolitico e al Neolitico, ai cimeli del-l’età del bronzo e del ferro che avvalorano la presenza di antichissimecomunità preromane della zona, le quali diedero origine alla città di“Septempeda”. Delle sue origini si trovano notizie in scritti di geografiacome quelli di Strabone (V 4, 2), di Plinio (Nat. Hist. III 13, 111), diTolomeo (III 1, 52) e nel medievale Liber Colonarium (240, 258).Soprattutto, però, ce ne parlano gli scavi di Giuseppe Moretti (notoarcheologo sanseverinate che fu negli anni trenta e quaranta del novecen-

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to Soprintendente di Roma e del Lazio) eseguiti in prossimità della pievevecchia lungo la strada per Macerata. Perfino lo studio della documenta-zione archeologica ricavata dai sepolcreti, considerata la scarsità dellefonti degli autori classici e dei dati desunti dalle evidenze archeologichepertinenti agli abitati e ai luoghi di culto, ha un valore importante perconoscere gli aspetti della civiltà picena.

Le sepolture monumentali datate fra il VII e l’inizio del VI sec. a.C.,delimitate da circoli di pietre, rinvenute nell’abitato di Pitino di S.Severino Marche, del Monte Penna e del Ponte di Pitino, rendono note laricchezza delle tombe e la raffinatezza delle scelte di vita delle élitesdominanti, il ruolo importante nella gestione e nel controllo delle attivitàcommerciali che si svolgevano lungo la vallata del Potenza. Alcune di que-ste sepolture sono, inoltre, ricoperte da un piccolo tumulo di pietre.

La “via Flaminia” è denominata nell’Itinerarium Antonini come riferi-mento all’odonimo della via principale, per divenire poi a tutti gli effetti unavia maestra, che agli inizi del Cinquecento veniva chiamata ancora “stradaregale”. Questa antica strada di fondovalle entra a far parte a pieno titolo delsistema viario di collegamento interregionale, probabilmente relativamentealla costruzione della Protoflaminia. Un tratto del diverticolo della viaFlaminia è stato attestato in località Ponte di Pitino e come le altre vie (adesempio, via Salaria) venne mantenuta come direttrice viaria principale nelmedioevo: è la nascita della “via Carolingia”, attiva ancora oggi.

La storia delle rocche signorili italiane iniziò all’epoca di CarloMagno, in condizioni simili a quelle degli altri paesi dell’impero. CarloMagno, infatti, dopo aver diviso il suo vasto impero in contee e marche,le aveva affidate ai nobili della sua corte, ricevendone giuramento di fedel-tà. Oltre a ripristinare l’unità territoriale della regione, Carlo Magno avviòcosì una significativa ripresa costruttiva. Tra l’VIII e il X secolo nacqueronumerosi castelli feudali e, tra questi, il Castello di Pitino, sorto in cima alcolle di Montenero. Di questo complesso fortificato, oggi, sono ben visi-bili i ruderi ed una torre di forma quadrata, alta 23 metri, risalente agliinizi del XIII secolo e in ottimo stato di conservazione.

3. Obiettivi tecnico-scientifici

Obiettivo generale del progetto è stato quello di voler definire i caratteridegli interventi di conservazione e valorizzazione del borgo fortificato –

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Castrum Pitino4 - con edifici annessi ridotti allo stato di rudere. Il sito purcollegandosi alla confluenza di due arterie commerciali importantissime: lavia Flaminia detta Prolaquanese-Settempedana e il ramo viario del periodomedioevale oggi detta via “Carolingia”; diede un preciso incremento allasequenza insediativa evidenziata da meritare l’appellativo di “chiave dellaMarca” e di interpretare il Castello di Pitino, come un insediamento medie-vale fortificato, sorto a difesa del territorio di San Severino Marche con fun-zione di controllo e dominio dell’antico asse viario, rappresentato dalla valledel fiume Potenza.

La particolarità fondamentale nella città fu la concentrazione - recin-zione e il collegamento interno - esterno tramite la porta principale, attra-verso la quale si materializzava l’asse longitudinale dell’antica viaFlaminia e successivamente della via carolingia. Fu proprio sul rapportodell’antica città romana di “Septempeda” che si articolarono tutti gli inse-diamenti del territorio. Il perimetro difensivo del Castello di Pitino, erarafforzato con muri in opera quadrata in pietra arenaria, mentre nel latomeno protetto, in corrispondenza del passaggio interno – esterno, eranoscavati profondi fossati artificiali anch’essi rafforzati da mura.

Prospettive interpretative e focalizzazione:– Valorizzare e rendere fruibile il patrimonio archeologico - architettonico del

territorio sanseverinate posti in aderenze o in prossimità di infrastrutture.– Definire gli strumenti di valutazione per quanto concerne la vulnerabilità

dell’edificato storico, con particolare riguardo alle modalità di prevenzionee di restauro.

– Caratterizzare i materiali lapidei naturali ed artificiali e il loro stato di con-servazione.

– Definire un programma di interventi tecnici di bonifica e risanamento (puli-tura, rimozione dei biodeteriogeni, preparazione delle murature per inter-venti successivi) e determinare i trattamenti consolidanti e protettivi deimateriali e delle superfici (incollaggi e stuccature); sistemi di raccolta esmaltimento delle acque di copertura nonché adeguate tecniche di protezio-ne dall’umidità di risalita.

4 I documenti pervenuti recitano che il castello doveva essere fortificato già ben primadel mille. La cinta fortificata, costituita da settori di muraglia a piombo, originariamen-te assai alta (otto metri e più), è interrotta da torri rompitratta.La torre maestra è posta nelpunto più alto del sito e, da sola, supera i venti metri.

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4. Metodologia operativa e diagnosi

Nel dopo-sisma Umbria-Marche del 26 settembre 1997 l’indagineconoscitiva, la diagnostica dei danni e del degrado tende a ottimizzare gliinterventi di consolidamento e di restauro necessari per raggiungere livel-li di sicurezza in ottemperanza alle normative vigenti e nel rispetto dellaconcezione originaria dell’opera fortificatoria.

L’intero borgo fortificato – Castello di Pitino fu realizzato in pietra “are-naria”. La caratterizzazione della pietra prelevata dal perimetro della muratu-ra in conci (v. Fig. 4 e 5) squadrate e lavorate, e della relativa malta sono statidefiniti in questa prima fase solo tramite lo studio in sezione sottile.

A livello petrografico la pietra arenaria campionata risulta costituita daun materiale coerente a tessitura clastica e grana medio-fine, con granulida angolosi ad arrotondati, e cemento da sparitico a microsparitico. La

Fig. 4. Particolare dellaporta con forma ad arco inconci di arenaria giustappo-sti a secco.

Fig. 5. Particolare dellasezione muraria in ciottoli epietrame legati con malta dicalce e sabbia, con para-mento esterno di pietra (are-naria) grossolanamentesquadrata.

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colorazione giallastra omogenea è dovuta alla presenza uniforme degliossidi di ferro contenuti nel cemento (v. Fig. 6).

Mineralogicamente è caratterizzabile come un’arcosa litica essendocostituita da cristalli di quarzo, feldspato alcalino e plagioclasio, calcite,biotite, muscovite, frammenti di roccia e resti di bioclasti. Il campione di“malta” è paragonabile ad un calcestruzzo fine, realizzato con inerte inparte sabbioso e in parte ghiaioso. Gli elementi ghiaiosi, d’origine alluvio-nale, sono costituiti in gran prevalenza da elementi calcarei a buon arro-tondamento nei quali si riconoscono: micriti con bioclasti tipo Scaglia,calcari a peloidi (riferibili ai livelli sommitali del Calcare Massiccio),micriti finissime, torbide, con rari microfossili; infine un elemento moltoappiattito, lungo circa 13 mm, di biomicrite a piccoli foraminiferi.Subordinatamente sono presenti frammenti subangolosi di selce (v. Fig.7). La componente sabbiosa nelle sue frazioni più grossolane, comprende

Fig. 6. Veduta generale del campio-ne, costituito da cristalli di quarzo,feldspati, lamelle di mica ed abbon-danti ossidi di ferro in un cementomicritico (microfotografia in sezionesottile, Nicol +; x 45).

Fig. 7. Strato di spessore irregolare,piuttosto poroso, nel quale si indivi-duano microcristalli di gesso, quar-zo e calcite. Fra i granuli sabbiosi sinota un microfossile isolato e unframmento di selce (microfotografiain sezione sottile, Nicol +; x 45).

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elementi calcarei e selciosi del tipo sopra descritto, vi si nota anche unframmento di quarzo policristallino di circa 2 mm; le frazioni più fini sonocomposte da quarzo mono e policristallino, rari feldspati e numerosi gra-nuli calcarei di vario tipo, tra cui i microfossili e frammenti organogeni. Illegante appare omogeneo, moderatamente torbido e in quantità attorno al30% da cui risulta un rapporto (in volume) inerte/legante =2,3 : 1.

Lo stato di conservazione dei conci in pietra arenaria e delle malte èbuono anche se sono presenti alcuni vuoti irregolari chiaramente origina-tisi per dissoluzione del legante da parte delle acque d’imbibizione.

5. Descrizione sintetica degli interventi di conservazione, tutela e valo-rizzazione

Il lavoro di restauro sarà inizialmente concentrato su alcuni tratti fon-damentali del perimetro murario dove si è riscontrata la mancanza di maltae di conci e un’accentuata presenza vegetativa cresciuta tra gli interstizidei giunti/malta, che sta provocando sgretolamenti e fessurazioni. In alcu-ni punti l’insediamento murario è privo di sistemi per lo smaltimento delleacque e quindi sono state previste delle canalizzazione in prossimità deitratti murari per allontanare le acque piovane superficiali. Obiettivo prin-cipale della pulitura dei conci in pietra “arenaria” e delle malte saràl’asportazione delle microvegetazioni tramite biocida dato a spruzzo. Larimozione della biomassa devitalizzata sarà effettuata con spazzole di sag-gina e successivo lavaggio con acqua deionizzata a bassa pressione perottenere un effetto emolliente dello sporco depositato e si prevederàl’asportazione di tutte le porzioni non conservabili e dei giunti di maltatroppo degradati. Sulle aree dove i giunti presentano una condizione con-servativa disomogenea sarà effettuato un lavoro di microstuccature, aven-do già effettuato su di essi l’operazione di pulitura con malte dalla com-posizione simile all’esistente. In particolare si utilizzerà un impasto dovel’inerte individuato rispecchi le caratteristiche degli inerti del maceratesee quindi sarà impiegata una sabbia, prevalentemente silicatica, e un granu-lato artificiale (pietrisco) ottenuto per macinazione di rocce calcaree com-patte, a condizione che entrambe siano state correttamente depurate delmateriale a grana inferiore a 0,06 mm. La sabbia dovrà avere una granu-lometria opportunamente distribuita nell’intervallo fra 0,08 e 2,0 mm; laghiaia (o il pietrisco) fra 2 e 15 mm. Per quanto concerne il legante, date

Mottana, Massacci328

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Conoscenza, progetto e tutela del complesso «Castello di Pitino» 329

le odierne condizioni ambientali, si prevede l’impiego di una calce mode-ratamente idraulica della quale siano stati garantiti i requisiti composizio-nali e di purezza chimica. I rapporti quantitativi ottimali espressi comeparti in volume dei tre componenti saranno ghiaia:sabbia:legante =3,5:3,5:3,0.

Infine, si eseguirà il consolidamento delle superfici lapidee con appli-cazione a pennello del TEGOVAKON V. Per garantire la protezione deimateriali si applicherà un apposito prodotto idrorepellente come il TEGO-SIVIN HL 100 in quantità mediamente di 300 gr/mq.

Ulteriori interventi post-sismici saranno la ricostruzione degli immobi-li ridotti allo stato di rudere (v. Fig. 8) con tecniche e materiali conformiall’originaria struttura. I lavori saranno articolati in più lotti e interesseran-no ai fini degli aspetti architettonici la definizione dei materiali conformiagli originari, con un intervento di restauro eseguito nel rispetto delle tec-niche costruttive comuni alla zona interessata. Per i solai si provvederà allarealizzazione di una struttura lignea portante con sovrastante manto in pia-nelle di recupero, mentre per la muratura si provvederà al ripristino del-l’esistente con integrazioni ove necessario e riprese a cuci-scuci.

Fig. 8. Pianta topografica relativa al Borgo fortificato - Castello di Pitino.

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Mottana, Massacci330

Obiettivo fondamentale è quello di attuare un programma orientato nonsolo alla conservazione del patrimonio culturale sanseverinate ma anche disviluppare attività culturali ed istituzionali attraverso un piano di interven-ti multisettoriale, un recupero ambientale dell’area circostante con lamessa a dimora di essenze autoctone e la realizzazione di un percorsoinfrastrutturale di visita e di fruizione del contesto circostante. Per il con-seguimento di tale finalità e per una adeguata trasmissibilità dei risultatiottenuti, si ricorrerà a ricostruire il rapporto interrotto tra archeologia earchitettura, partendo dalla concretezza dei casi urbani visti nella loro sin-golarità sia sotto l’aspetto formale e tipologico-funzionale che costruttivo,per giungere alla definizione delle migliori indicazioni operative attraver-so la conservazione e la trasformazione compatibile degli edifici (v. Fig. 9e 10). Si creerà una sorta di “cittadella museale” in appoggio ed amplia-mento del circuito turistico riguardante il Parco archeologico di“Septempeda” e il Museo Civico Archeologico di San Severino Marche(MC). Sarà favorita la ricerca tecnica-scientifica tramite l’Accordo diCollaborazione Quadro sottoscritto con l’Università degli Studi di

Fig. 9. Edificio collocato all’interno dellacinta muraria del fortilizio.

Fig. 10. Ex edificio di culto, sito all’inter-no dell’antico impianto castrense.

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RomaTre attraverso l’istituzione di Corsi di laurea, saranno altresì favori-ti i processi di valorizzazione dell’area sotto il profilo culturale, archeolo-gico, tecnologico, ambientale e produttivo, mediante lo sviluppo di unanuova imprenditorialità giovanile al fine di creare le basi per uno svilupposocio-economico compatibile con il territorio sanseverinate.

BIBLIOGRAFIA

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Conoscenza, progetto e tutela del complesso «Castello di Pitino» 331

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BIODETERIOGENI VEGETALI

DELLA CHIESA DI S. NICOLÒ L’ARENA (CATANIA)*

POLI MARCHESE E., GRILLO M., STAGNO F.

Sez. di Biologia ed Ecologia vegetale D.A.C.P.A. Università di Catania via Valdisavoia, 5 (Catania). Tel. 095.234310, Fax. 095.234320,

[email protected], [email protected], [email protected] **

1. Introduzione

Le superfici lapidee esposte all’aperto offrono una grande varietà diambienti ad organismi e microrganismi, che ne determinano il deterioramen-to, diffondendosi ampiamente anche in condizioni ambientali avverse(Accardo et al. 2003, Altieri 2003, Urzì et al. 2001). Fra tutti ruolo rilevanteassumono gli organismi vegetali (Giacobini 1983, Caneva et al. 1994 e 1996).

Sull’argomento sono state compiute diverse indagini, soprattutto negli ulti-mi anni, considerata la sempre crescente necessità di risolvere urgenti proble-mi di salvaguardia di considerevoli patrimoni artistici. In diversi Paesi sonostati compiuti numerosi studi (cfr. Jain et al. 1993, Krumbein et al. 1991,Mishra et al. 1995, ecc.), in Italia e in modo particolare in Sicilia le conoscen-ze in merito sono incomplete e frammentarie. Fra i vari studi finora compiutialcuni sono stati dedicati alla Sicilia occidentale (Mannino 1991, Dia & Not1991, Lo Giudice et al. 1992, Not & Lo Campo 1995, Raimondo et al. 1995,Aiello et al. 2003, ecc.), altri a quella orientale (Poli Marchese et al. 1990,1997, 2001, Lo Giudice & Polizzi 1997, Caniglia & Grillo 2001,Grillo &Stagno 2005, Stagno & Poli Marchese 2005, ecc.). Degli studi condotti nella

* Lavoro realizzato nell’ambito del progetto “Il recupero e la valorizzazione del patri-monio architettonico della Sicilia orientale: l’emerga architettonica urbana e l’ediliziarurale. Conoscenza, interventi e formazione (T3 CLUSTER C29), finanziato dalMinistero dell’Università e della Ricerca Scientifica”.

** Si ringraziano sentitamente il prof. Giuseppe Patti e il per. agr. Rosario E. Turritiper la preziosa collaborazione prestata per la raccolta e rappresentazione dei dati di cuialla figura 6.

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città di Catania alcuni sono stati ultimati (Poli Marchese et al. 1995, PoliMarchese & Occhino 2002, Di Benedetto & Grillo 1995, Di Benedetto et al.2000), altri sono in corso di attuazione. Da recente abbiamo preso in conside-razione il complesso monumentale dei Benedettini anche nell’ambito delC.R.I.Be.Cu.M. (Centro di ricerche sulle cause di degrado per il recupero deibeni ambientali dell’Università di Catania) e in particolare in riferimento alprogetto MIUR: CLUSTER 29.

Il presente studio, che fa seguito a nostre precedenti indagini (Poli Mar-chese et al. 1995), è stato compiuto nell’ambito di tale progetto. Esso è dedi-cato alla chiesa del complesso monumentale S. Nicolò l’Arena ed ha comeobiettivo l’indagine sulla flora tracheofitica insediatasi sulle facciate delmonumento, con rilevazione della distribuzione nello spazio e nel tempodella colonizzazione vegetale e con evidenziazione delle caratteristiche bio-logiche ed ecologiche delle specie colonizzatrici. Ciò al fine di trarre utiliindicazioni per interventi volti alla salvaguardia del monumento stesso.

2. Area di studio

L’intero complesso dei Benedettini, ubicato nel centro storico diCatania, è uno dei più importanti monumenti del barocco catanese. È statoedificato su un substrato polimorfo, costituito in parte da materiali detriti-ci, in parte da lave antiche, per lo più non datate. La chiesa risulta esserecostituita prevalentemente da roccia calcarea che, essendo facilmentedegradabile, presenta sulla superficie visibili segni di deterioramento sottoforma di crepe, fessure e scabrosità; queste, insieme alle superfici orizzon-tali dove si depositano terriccio e guano, costituiscono habitat idonei allavita degli organismi biodeteriogeni. Il clima, con cinque-sei mesi di sicci-tà estiva, è di tipo termomediterraneo secco, con temperature medie annuedi 18,2 °C e precipitazioni medie annue di circa 600 mm.

3. Materiali e metodi

L’indagine, rivolta ai vegetali superiori (tracheofite), è stata condotta incampo negli anni 1997-1998 e 2000-2002 con rilievi stagionali e osserva-zioni periodiche onde prelevare dati sulla biologia ed ecologia dei vegeta-li e sulla relativa localizzazione.

Bioteriogeni vegetali della Chiesa di S. Nicolò L’Arena (Ct) 333

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Per l’identificazione del materiale floristico raccolto si è fatto riferimentoalla “Flora d’Italia” di Pignatti (1982). Nei casi in cui non è stato possibileraccogliere campioni si è proceduto con l’identificazione in situ della specie.

Della florula censita sono stati considerati spettro biologico e spettrocorologico. Per evidenziare il significato ecologico delle specie sono staticonsiderati gli indici ecologici di Ellenberg (1974) modificati da Pignatti(2005) relativi ai parametri di luminosità, temperatura, continentalità,umidità, pH e nutrienti del suolo; il valore x indica comportamento indif-ferente per il fattore, il valore 0 comportamento non precisato. I valorimedi ottenuti sono stati utilizzati per costruire il relativo ecogrammasecondo la metodologia proposta dallo stesso Pignatti.

È stato inoltre considerata la pericolosità delle singole specie nella loroazione biodeteriogena. A tal fine è stato calcolato l’Indice di Pericolosità(I.P., Signorini 1996) basato su invasività, habitus e caratteristiche dell’ap-parato radicale delle singole specie e indicato con valori compresi tra 0 e10; i valori più alti corrispondono ad indici di pericolosità più elevati (cfr.Signorini 1996).

La distribuzione quali-quantitativa sulla facciata delle specie individua-te è stata effettuata con l’ausilio di un automezzo dotato di apposito brac-cio di sollevamento, che ha consentito di rilevare da vicino anche i sitiposti nella porzione più alta della facciata. I dati raccolti sono stati ripor-tati su apposite mappe.

4. Risultati

Dai risultati ottenuti si rileva una variabilità della colonizzazione vege-tale nel corso del periodo considerato. La ricchezza in specie tracheofiti-che è variata da un minimo di 15 entità, rilevate nel 1997-1998, ad un mas-simo di 43, nel 2002 (v. Tab. 1); si è avuto pertanto negli anni, un notevo-le incremento della ricchezza floristica. Tale incremento è dovuto soprat-tutto all’aumento di specie annue (terofite), a ciclo breve, particolarmenteadatte ad insediarsi sui substrati più poveri e capaci di reinsediarsi rapida-mente in seguito ad interventi di diserbo. Detta pratica, operata con inter-venti di ripulitura, estirpazione manuale e taglio dei vegetali, ha certamen-te favorito il variare della colonizzazione.

Le variazioni stagionali sono soprattutto da attribuire al variare delle con-dizioni climatiche; queste favoriscono una maggiore ricchezza floristica in

Poli Marchese, Grillo, Stagno334

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Forma Biologica

CorotipoValori bioindicazione I.P.

L T C U R N S

Acanthus mollis L. H Scap W-Stenomedit. 7 8 4 3 5 4 0 5

Ailanthus altissima (Miller) Swingle P Scap Avv. Naturalizz. 6 7 5 5 5 5 0 10

Amaranthus viridis L. T Scap Avv. Naturalizz. 8 8 5 4 6 8 0 1

Antirrhinum siculum Miller. Ch Frut Endem. 11 10 4 2 x 1 0 6

Arenaria leptoclados (Reichb.) Guss. T Scap Paleotemp. 9 9 5 2 3 1 0 0

Aster squamatus (Sprengel) Hieron T Scap Avv. Naturalizz. 8 8 5 4 7 7 0 2

Bromus madritensis L. T Scap Eurimed. 8 7 5 3 x 1 0 0

Campanula erinus L. T Scap Stenomedit 7 8 4 2 x 1 0 2

Capparis spinosa L. Np (Sv) Eurasiat. 9 10 5 2 5 1 1 6

Cheilantes pteridioides (Reichard) C. Chr. H Ros Stenomedit.Turan 8 8 4 1 3 1 0 1

Conyza bonariensis (L.) Cronq. T Scap Avv. Naturalizz. 8 8 5 3 x 7 0 4

Daucus carota L. H Bienn Paleotemp. 8 6 5 4 5 4 0 3

Ficus caricaL. P Scap Eurimedit. Turan. 7 8 6 x 5 x 0 10

Fumaria officinalis L. T Scap Paleotemp. 7 7 5 4 5 6 0 1

Geranium rotundifolium L. T Scap Paleotemp. 7 8 5 3 6 3 0 1

Inula viscosa(L.) Aiton H Scap Eurimedit. 11 8 5 3 7 9 0 5

Lobularia maritima (L.) Desv. H Scap Stenomedit. 8 9 4 2 x 1 0 4

Melilotus indica (L.) All. T Scap Eurimedit-Turan. 7 7 4 4 5 5 0 2

Melilotus segetalis (Brot.) Ser. T Scap S.-Stenomedit. 8 11 5 3 5 3 0 2

Nicotiana glauca Graham Np (Sv) Avv. Naturalizz. 8 11 4 2 5 1 0 7

Ornithopus compressus L. T Scap Eurimedit. 11 9 5 2 2 1 0 0

Oryzopsis miliacea (L.) Asch. et Schweinf. H Caesp Stenomedit. 5 7 4 4 7 5 0 3

Oxalis corniculata L. Ch Rept Eurimedit. 7 7 0 4 x 6 0 5

Oxalis pes-caprae L. G Bulb Avv. Naturalizz. 8 10 4 3 x 5 0 5

Parietaria diffusa M.et K. H Scap Eurimedit.Macaron. 7 8 5 3 x 6 0 5

Parietaria lusitanica L. T Rept Stenomedit. 7 10 4 3 4 6 0 2

Phagnalon saxatile (L.) Cass. Ch Suffr W-Stenomedit. 7 9 4 2 x 1 0 5

Phagnalon rupestre (L.) DC. Ch Suffr W-Stenomedit. 7 8 4 2 x 1 0 5

Plantago major L. H Ros Euriasiat. 8 x x 5 x 7 0 1

Plantago psyllium L. T Scap Stenomedit. 11 6 4 3 7 2 0 2

Polygonum aviculare L. T Rept Cosmopol. 7 7 5 3 6 1 0 1

Tab. 1. Dati biologici, ecologici e corologici delle specie rilevate. Forma biologica: Tterofite, H emicriptofite, Ch camefite, G geofite, Np nanofanerorite, P fanerofite. Valori dibioindicazione relativi a: L luce; T temperatura; C continentalità; U umidità; R pH; Nnutrienti; S salinità. I.P. indice di pericolosità: 0-3 specie poco pericolose; 4-6 media-mente pericolose; 7-10 molto pericolose. (segue a pag. successiva)

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Poli Marchese, Grillo, Stagno336

Forma Biologica

CorotipoValori bioindicazione I.P.

L T C U R N S

Prasium majus L. Ch Frut Stenomedit. 11 10 4 2 0 1 0 5

Rhamnus alaternus L. P Caesp Eurimedit 4 9 5 2 4 4 0 7

Reseda albaL. T Scap Stenomedit. 11 8 4 3 7 1 0 4

Silene nocturna L. T Scap S-Stenomedit. 7 8 5 3 5 3 0 1

Sisymbrium officinalis (L.) Scop. T Scap Paleotemp. 1 1 1 0 6 1 0 4

Solanum luteum Miller T Scap Eurimedit. 7 6 5 3 5 7 0 1

Solanum nigrum L. T Scap Cosmopol. 7 6 5 3 5 7 0 1

Sonchus asper (L.) Hill T Scap Eurasiat. 7 5 6 4 7 7 0 4

Sonchus oleraceus L. T Scap Eurasiat. 7 5 6 4 8 8 0 4

Stellaria media (L.) Vill. T Rept Cosmopol. 6 x x 4 7 8 0 2

Urtica membranacea Poiret T Scap S-Stenomedit. 7 8 5 3 6 3 0 1

Verbena officinalis L. H Scap Paleotemp. 9 5 5 4 x 6 0 4

Tab. 1. Dati biologici, ecologici e corologici delle specie rilevate. Forma biologica: Tterofite, H emicriptofite, Ch camefite, G geofite, Np nanofanerorite, P fanerofite. Valori dibioindicazione relativi a: L luce; T temperatura; C continentalità; U umidità; R pH; Nnutrienti; S salinità. I.P. indice di pericolosità: 0-3 specie poco pericolose; 4-6 media-mente pericolose; 7-10 molto pericolose.

Fig. 1. Andamento stagionale della coloniz-zazione ( %) :a-i autunno-inverno; p prima-vera; e estate.

primavera, stagione adatta alla vita delle terofite, determinando una riduzio-ne della colonizzazione vegetale in estate, stagione calda e secca (v. Fig.1).

Circa le caratteristiche biologiche delle specie censite si rileva che per lamaggior parte (per il 53%) esse sono costituite da terofite, cioè da specieannuali, per il 21% da emicriptofite e per il 12% da camefite; le altre formebiologiche sono rappresentate con bassi valori (v. Fig. 2). La prevalenzadelle terofite è da correlare oltre che con le particolari condizioni edafo-cli-matiche a cui sono sottoposte le piante che vivono sui monumenti, anchecon la provenienza delle medesime, prevalentemente dalla flora urbica cir-

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Bioteriogeni vegetali della Chiesa di S. Nicolò L’Arena (Ct) 337

costante (Raimondo et al. 1995). Ciò viene confermato dal fatto che buonaparte delle specie biodeteriogene sono elementi della vegetazione nitrofilo-ruderale dei Brometalia rubenti-tectori, ampiamente diffusa in ambienteurbano e ricca in terofite. Ben rappresentate sono anche alcune specie peren-nanti fra cui Antirrhinum siculum, Capparis spinosa e Parietaria diffusa,localizzate soprattutto sulle superfici verticali e nelle fessure tra i lastroni diroccia calcarea della facciata della chiesa. Sulle superfici orizzontali più omeno aggettanti, ove si verifica più facilmente accumulo di terriccio, polve-ri e guano di uccelli, si rinvengono, accanto a specie a ciclo breve comeSonchus oleraceus, Reseda alba, Solanum nigrum, entità perennanti comeLobularia maritima e Ailanthus altissima, quest’ultima a carattere arboreo.

In riferimento alla corologia si rileva (v. Fig. 3) che i biodeteriogeniindividuati sono costituiti per il 54 % da specie mediterranee fra cui ilgruppo delle specie Stenomediterranee (33%) è il più abbondante; ciò,insieme alla prevalenza delle terofite, è conforme alle caratteristiche delclima caldo e secco tipico della regione mediterranea. L’alta percentuale(21%) di “elementi multizonali” (avventizie naturalizzate e cosmopolite)è indice della presenza di attività antropiche nell’area, che favorisconol’insediarsi di elementi della vegetazione sinantropica, ad ampia distribu-zione (cfr. Goede 1982, Sukopp 1987).

Le principali caratteristiche ecologiche delle specie, considerate nelloro insieme, sono rilevabili dal grafico della figura 4, ottenuto sulla basedegli indici ecologici (Ellenberg 1974, Pignatti 2005) riportati nella tabel-la 1. Da tale grafico si evidenzia che le specie riscontrate presentano il lorooptimum ecologico in ambienti luminosi e caldi, essendo prevalentemen-te eliofile (valore medio di L=6) e termofile (valore medio di T=6). Esse

Fig. 2. Spettro biologico (cfr. Tab.1). Fig. 3. Spettro corologico (cfr. Tab.1).

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Poli Marchese, Grillo, Stagno338

sono inoltre per la maggior parte indicatrici di suoli prevalentemente pove-ri di nutrienti ( valore medio di N= 3).

Si tratta di specie capaci di insediarsi su tutti i tipi di substrati presen-ti: pietra calcarea, malte cementizie, terriccio e guano. Questi ultimi duesubstrati, più sciolti, ospitano un maggior numero di specie, con prevalen-za di emicriptofite e in minor misura di terofite, mentre substrati come lamalta tra i lastroni di calcare o i lastroni di calcare sono scarsamente colo-nizzati. Il processo di colonizzazione biologica è strettamente collegatocon lo stato di conservazione delle superfici litiche, in generale sono total-mente colonizzati i siti più usurati e meno quelli più integri, di solito inte-ressati dalla colonizzazione fino a non oltre il 40%. Nel caso in specie lostato di conservazione dei siti risulta essere alquanto critico per la presen-za di numerose crepe e fessure, che consentono una più facile colonizza-zione e una maggiore crescita delle piante. Detto stato di conservazioneinfluenza i meccanismi di alterazione biologica messi in atto dai vari orga-nismi dipendenti a loro volta, oltre che dalle caratteristiche biologiche edecologiche delle specie colonizzatrici, anche dal tipo di substrato e dallecondizioni ambientali a cui il monumento è sottoposto.

Applicando gli indici di pericolosità (I.P.) definiti da Signorini (1996) sirileva (v. Tab.1 e Fig. 5) che la maggior parte dei biodeteriogeni rilevati appar-tiene alle categorie delle piante “poco pericolose” (51%) e “mediamente peri-colose” (39%). Le specie “altamente pericolose”, pur essendo rappresentatecon bassa percentuale (10%), sono da considerare con particolare attenzione

Fig. 4. Ecogramma (cfr. Tab.1). Fig. 5. Indice di Pericolosità (cfr. Tab.1)

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Bioteriogeni vegetali della Chiesa di S. Nicolò L’Arena (Ct) 339

in quanto, essendo costituite spesso da elementi ad habitus arboreo o arbusti-vo, con radici a fittone, sono capaci di penetrare tra le fessure dei lastroni cal-carei e di espandersi esercitando una notevole azione meccanica con disgre-gazione e fessurazione del substrato (cfr. Caneva & Roccardi 1991).

Inoltre esse sono rappresentate ciascuna da numerosi individui che si inse-diano isolatamente tra i lastroni in pietra e tra le crepe ove possono esserecausa di danni notevoli, comportando spesso problemi per la stabilità di partidella facciata. Fra le più frequenti sono da ricordare Ficus carica e Ailanthusaltissima, specie arboree aventi robuste radici. Le specie poco o mediamentepericolose possono risultare dannose se presenti in colonie o in popolamenti,come spesso si verifica nei piani aggettanti. Qui la presenza di numerosi appa-rati radicali, con la relativa azione chimica e meccanica sulle superfici litichee il continuo accumulo di materiale organico ed inorganico contribuiscono afacilitare e accelerare il deterioramento dei siti.

Osservando nel suo complesso il monumento e in particolare la faccia-ta principale (v. Fig. 6), se ne rileva la densa colonizzazione. La frequen-za delle singole specie sulla facciata è risultata elevata con un massimo dicirca 200 siti puntiformi colonizzati. Si tratta di una colonizzazione piùdensa rispetto a quella rilevata in precedenza da Poli Marchese & Occhino(2002) che hanno individuato 134 siti, di cui 118 sulla facciata principale.Dei 200 siti rilevati la maggior parte è colonizzata da emicriptofite e tero-fite, forme biologiche che, come già evidenziato, si sono rivelate le piùidonee alla colonizzazione. Osservando attentamente la localizzazione deisiti si rileva che essi sono maggiormente addensati nelle parti basse e nel-l’intero lato sinistro della facciata. Ciò, notato anche in precedenza (cfr.Poli Marchese & Occhino l.c.), pare si possa mettere in relazione con lapresenza o meno di alberature negli spazi circostanti.

5. Considerazioni conclusive

I risultati conseguiti hanno consentito di pervenire ad una serie di cono-scenze sul popolamento vegetale che si insedia sulla facciata della chiesa equindi sugli organismi responsabili del biodeterioramento. I dati acquisitisulla florula tracheofitica rinvenuta (43 entità), soprattutto in riferimento allevariazioni quali-quantitative della stessa negli anni e nelle stagioni, hanno con-sentito di evidenziare la precarietà della colonizzazione vegetale del monu-mento, soggetta a continui cambiamenti.

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Poli Marchese, Grillo, Stagno340

Le conoscenze sul diversificarsi delle specie per forma biologica, coro-logia e caratteristiche ecologiche, sul diverso comportamento delle stessein riferimento sia all’azione biodeteriogena esercitata sia alla pericolositàpotenziale nei confronti dei siti colonizzati, consentono di disporre di ele-menti utili per la scelta degli interventi volti alla manutenzione e alla sal-vaguardia del monumento stesso.

Fig. 6. Principali specie vegetali rilevate nell’anno 2002.

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La localizzazione dei numerosi siti colonizzati consente di conoscere lafrequenza della colonizzazione delle singole specie e quindi di poter sceglie-re i mezzi di rimozione più idonei in funzione, oltre che della forma biologi-ca e dell’habitus, anche delle superfici da ciascuna specie occupate.

Pertanto, onde poter meglio controllare l’azione biodeteriogena delle spe-cie colonizzatrici, sarà necessario compiere rilievi periodici per un attentomonitoraggio del biodegrado del monumento. Ulteriori accurate indaginisugli aspetti biologici ed ecologici delle varie specie, sulle loro capacità diespansione nonché sulle relazioni delle singole entità con i fattori ambientalie con il substrato, potranno fornire utili indicazioni per un adeguato controllodel processo del biodeterioramento.

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Bioteriogeni vegetali della Chiesa di S. Nicolò L’Arena (Ct) 343

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COLONIZZAZIONE VEGETALE IN MONUMENTI E SITI ARCHEOLOGICI

DELLA SICILIA ORIENTALE

POLI MARCHESE E., GRILLO M., STAGNO F.

Sez. di Biologia ed Ecologia vegetale D.A.C.P.A. Università di Catania e-mail: [email protected]; [email protected]; [email protected]

L’esigenza della salvaguardia del patrimonio artistico ha spinto a rivol-gere una sempre maggiore attenzione verso gli organismi biodeteriogeni,agenti fra i più rilevanti del deterioramento delle opere d’arte, dei monu-menti in particolare (Caneva et al. 1996, Giacobini 1983).

Allo scopo di poter disporre di conoscenze in merito sono state condot-te da diversi anni indagini in vari siti della Sicilia orientale localizzatirispettivamente a: Taormina (Stagno & Poli Marchese 2005), Nicolosi(Poli Marchese et al. 1990), Catania (Poli Marchese et al. 1995, PoliMarchese & Occhino 2002, Di Benedetto & Grillo 1995, Di Benedetto etal.2000), Acireale (Stagno 2001), Adrano (Grillo & Stagno 2005), MegaraIblea (Caniglia & Grillo 2001, Poli Marchese et al. 2002), Donnafugata(Grillo et al. 2001), Ragusa Ibla (Poli Marchese et al. 2001). Alcune di taliricerche sono state condotte nell’ambito di programmi del Cri.Be.CuM(Centro di ricerche sulle cause di degrado per il recupero dei beni ambien-tali e monumentali dell’Università di Catania).

Le ricerche sono state dedicate alla conoscenza degli agenti biologici(individui e/o comunità) responsabili del biodeterioramento, prendendo inconsiderazione i vegetali superiori (tracheofite) e spesso anche i licheni.Alcune indagini sono state condotte sui fattori che influenzano l’insedia-mento e la diffusione dei biodeteriogeni, sui fattori ambientali e microam-bientali e sulle caratteristiche dei siti.

In questa nota vengono riportati i risultati riguardanti alcuni dei sitiindagati, oggetto di comunicazioni scientifiche a congressi e incontri uffi-ciali. Dai risultati degli studi qui riportati, si rileva che sui monumenti lacolonizzazione dei vari siti si attua con una presenza di specie variabileche è compresa tra 60 (Taormina) e 160 entità (Ragusa Ibla). Tale diversi-

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tà è da collegare oltre che alla variabilità delle condizioni microclimatichee microedafiche dei siti anche alla diversa manutenzione dei monumentistessi e al loro stato di conservazione.

Circa il comportamento ecologico delle specie si rileva che in tutti i sitiprevalgono le specie termofile e xerofile a ciclo breve (terofite); sulla basedegli indici ecologici di Ellenberg (1974, 1979) ampliati da Pignatti, sirileva che nei vari siti è ampiamente rappresentato il contingente di specieaventi un optimum ecologico per ambienti con elevata luminosità, termi-cità e xericità. Ciò è conforme, oltre che alla localizzazione dei siti, allespecifiche condizioni ambientali e microambientali che i monumentioffrono ai vegetali. Attraverso l’indice di pericolosità (I.P., Signorini 1996)è stato evidenziato che le specie della categoria delle fanerofite e nanofa-nerofite, anche se meno rappresentate, risultano le più pericolose e pertan-to necessitano un continuo monitoraggio per idonei interventi.

Lo studio della colonizzazione vegetale dei siti archeologici ha consenti-to di pervenire a conoscenze oltre che sulla flora anche sulla vegetazione del-l’area su cui sorge il sito. Ne è un esempio lo studio condotto a Megara Ibleaqui riportato. I risultati ottenuti: ricchezza floristica (oltre 90 specie tracheo-fitiche e 51 licheniche), caratteristiche ecologiche delle varie entità (indiciecologici), diversità della vegetazione consentono di fornire elementi perinterventi volti ad un restauro ambientale dell’intero sito.

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Poli Marchese, Grillo, Stagno346

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I materiali lapidei utilizzati nei monumenti del centro storico di Catania 347

I MATERIALI LAPIDEI UTILIZZATI NEI MONUMENTI

D’EPOCA TARDO BAROCCA DEL CENTRO STORICO DI CATANIA:CARATTERIZZAZIONE E STATO DI DEGRADO

PUNTURO R.(1), RUSSO L.G.(1), LO GIUDICE A. (1), MAZZOLENI P. (1),PEZZINO A.(1), TROVATO C. (2), VINCIGUERRA S.(3)

(1) Dipartimento di Scienze Geologiche, Corso Italia 55, I-95129 Catania(2) Dipartimento di Fisica e Astronomia, Via S. Sofia 64, I-95123 Catania

(3) Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Via di Vigna Murata 605, 00143 Roma

1. Introduzione

Nelle città della Val di Noto come Siracusa, Avola, Noto, PalazzoloAcreide e Catania (UNESCO World Heritage List: “Late Baroque Townsof the Val di Noto) esiste un forte legame tra materiali lapidei da costru-zione e territorio. In particolare l’architettura tardo barocca di tali città èprofondamente influenzata dalla presenza della “Pietra bianca diSiracusa” e/o della “Pietra Nigra”. La “Pietra bianca di Siracusa” rap-presenta un’insieme di rocce di natura carbonatica affioranti nei MontiIblei, mentre la Pietra Nigra è una vulcanite etnea.

Il centro storico della città di Catania, è il luogo ideale per lo studio di que-sti materiali qui infatti, rispetto alle altre città della Val di Noto, si trovanoampiamente utilizzate sia la “Pietra di Siracusa” che la “Pietra Nigra”.

La città di Catania ha avuto nei tempi una storia complessa e travaglia-ta che ne ha cambiato più volte l’aspetto. Osservando oggi il suo centrostorico si direbbe che è una città settecentesca, ma in realtà, la città ha unastoria molto più antica come testimoniato dalla presenza di resti di edificimonumentali d’epoca greca e romana che emergono dalle colate lavicheche hanno più volte investito la città (l’ultima volta nel 1669). L’ultimoevento catastrofico che colpì Catania, distruggendola quasi completamen-te, fu il terremoto del 1963. Dopo tale evento ebbe inizio la ricostruzione,sotto la guida di grandi architetti come il Vaccarini, che contribuirono, conla scelta sapiente dei materiali a comporre la raffinata bicromia biancone-ra, data dall’accostamento della “Pietra bianca di Siracusa” e della

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Punturo, Russo, Lo Giudice, Mazzoleni, Pezzino, Trovato, Vinciguerra348

“Pietra Nigra”, che costituisce una delle caratteristiche più evidenti del-l’architettura settecentesca catanese.

In particolare, in questo lavoro, l’attenzione è stata focalizzata sullaPietra bianca di Siracusa. È stata quindi eseguita la caratterizzazione pe-trografica e geochimica, e lo studio delle caratteristiche del degrado dellediverse litologie afferenti alla pietra bianca di Siracusa presenti nelle fac-ciate d’alcuni monumenti d’età tardo barocca rappresentativi del centrostorico di Catania: Monastero dei Benedettini, Palazzo Tezzano, Chiesa diS. Agata La Vetere e Chiesa di S. Nicolò L’Arena.

2. Materiali e metodi

La “pietra bianca di Siracusa” ampiamente utilizzata nei monumentidel centro storico di Catania comprende un insieme di litotipi sedimenta-ri di natura carbonatica coltivati nel bacino estrattivo della Provincia diSiracusa. Tali rocce affioranti nel Plateau Ibleo, sebbene molto simili dalpunto di vista cromatico appartengono a formazioni geologiche e di con-seguenza presentano caratteri tessiturali e compositivi diversi (v. Tab.1).

La produzione di tali calcari, in provincia di Siracusa, avveniva nellecave storiche di Capo S. Croce, Melilli, Siracusa, Ortigia, Penisola dellaMaddalena, Cassibile, Capo Ognina, Cassibile e Noto [1]. La pietra cheveniva cavata nelle due cave storiche ubicate sotto l’abitato del paese di

Formazione Litotipo o Lithofacies Età

PalazzoloCalcareniti bianco crema Serravaliano - Tortoniano.

Calcareniti giallastre

Monte CarrubbaCalcari a lumachella

Tortoniano sup.Messiniano

Calcari oolitici

Monti ClimitiCalcareniti di Melilli

Oligocene med. -Tortoniano

Calcari di Siracusa

Tab. 1. Rocce carbonatiche utilizzate come materiale da costruzione.

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I materiali lapidei utilizzati nei monumenti del centro storico di Catania 349

Melilli è un calcare oligo-miocenico appartenente alla formazione deiMonti Climiti, che si presenta in due varietà: una di colore bianco gesso-so a granulometra ruditica fine, e un’altra di colore variabile dal bianco alcrema a granulometria calcarenitica fine.

Dalle cave di Capo S. Croce, Siracusa, Ortigia e da quelle della Pe-nisola della Maddalena veniva estratto un calcare bianco di età miocenicaa grana fine, tenero e facilmente lavorabile appena cavato. Tale calcare ègeologicamente ascrivibile alla formazione Monte Carrubba di etàTortoniano superiore Messiniano inferiore. Nelle cave nei pressi di Notoveniva estratta la Pietra di Noto, un altro calcare di colore variabile dalbianco crema al giallastro, a grana fine tenero e facilmente lavorabile.Come si può osservare dallo schema riportato in Fig. 1 la coltivazionedella Pietra di Siracusa era localizzata lungo la costa del siracusano e insi-steva su unità litostratigrafiche differenti.

Il campionamento dei materiali in opera è stato preceduto da un rilievolitologico che ha permesso l’identificazione dei litotipi e la realizzazionedi mappe tematiche per tutti i monumenti in studio. I campioni da analiz-

Fig. 1. Schema geologico dell’area Iblea e siti d’estrazione (Sicilia Sud Orientale).

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zare sono stati prelevati dalle facciate dei monumenti, dove possibile, edalle antiche cave storiche segnalate in letteratura. Tutti i campioni prele-vati sono stati sottoposti ad analisi petrografica in sezione sottile median-te microscopio polarizzatore e ad analisi geochimiche degli elementi mag-giori (Spettrometro XRF Philips PW2404) ed in traccia (SF-ICP-MS;Element 2, ThermoFinningan). Per lo studio del comportamento al degra-do è stata eseguita la prova UNI EN 12370 [2] per la determinazione dellaresistenza alla cristallizzazione dei sali (Na2SO4 . 10H2O).

3. Analisi dei materiali lapidei: risultati e discussione

3.1 Analisi autoptica e rilievo litologico

I monumenti del centro storico di Catania scelti per questo studio sonostati selezionati in base di diversi criteri quali: la rappresentatività in terminidi varietà di materiali lapidei utilizzati, l’importanza storico artistica e ilperiodo di costruzione. I monumenti studiati sono: il Palazzo Tezzano (v.Fig.2a) costruito nel 1724; la chiesa di S. Agata la Vetere (v. Fig. 2b) costrui-ta nel III secolo D.C, distrutta in seguito al terremoto del 1693 e ricostruitanel diciottesimo secolo [3]; la chiesa di S. Nicolò l’Arena che fa parte delcomplesso del Monastero dei Benedettini (v. Fig. 2c e 2d), entrambi ricostrui-ti per due volte: dopo il 1669 in seguito alla colata lavica che seppellì l’anti-ca chiesa e parte del monastero e dopo il 1693 in seguito al terremoto [4].

L’analisi autoptica condotta sui monumenti, supportata da adeguatabibliografia [5-6] ha portato alla distinzione di sei litotipi carbonatici (tab.1), differenti tra loro per età (compresa tra l’Oligo-Miocene ed il Pleisto-cene), e caratteristiche tessiturali. I risultati ottenuti da tale indagine sonoillustrati nei seguenti rilievi litologici.

3.2 Descrizione petrografica

Tutti i campioni sono stati sottoposti ad analisi petrografica integratacon l’analisi modale per l’individuazione dei seguenti componenti: abbon-danza relativa e differenti tipi di allochimici; tipo e percentuale di matricee/o cemento; tessitura deposizionale e diagenetica. Sono state riconosciu-te sei tipologie di calcari appartenenti a diverse formazioni geologiche:– Calcareniti bianco crema e calcareniti giallastre - F.ne Palazzolo (Ser-

ravaliano-Tortoniano).

Punturo, Russo, Lo Giudice, Mazzoleni, Pezzino, Trovato, Vinciguerra350

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I materiali lapidei utilizzati nei monumenti del centro storico di Catania 351

Fig. 2. Rilievi litologici dei monumenti.

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Punturo, Russo, Lo Giudice, Mazzoleni, Pezzino, Trovato, Vinciguerra352

Ambedue i litotipi sono dei bioclastic wackestone con microfauna costi-tuita principalmente da foraminiferi di tipo planctonico. La granulometriaè variabile da calcarenite finissima (calcareniti bianco crema) a calcareni-te media (calcareniti giallastre). La composizione della matrice è costitui-ta da micrite e cemento microsparitico in proporzioni variabili.– Calcari a lumachella e calcari oolitici - F.ne Monte Carrubba (Mes-

siniano inferiore); I calcari a lumachella presentano al microscopio una tessitura fango so-

stenuta e una componente allochimica costituita per lo più da gusci dimolluschi. La matrice è costituita principalmente da micrite. Tale litotiposecondo Dunham [7] è un bioclastic wackestone. I calcari oolitici sonocaratterizzati da una tessitura grano sostenuta e da una componente allo-chimica costituita da ooliti. La granulometria è arenitica e la matrice ècostituita da cemento spatico. Secondo la classificazione di Dunham [7]tale litotipo è un grainstone. – Calcari di Siracusa e calcareniti di Melilli – F.ne dei Monti Climiti

(Burdigaliano-Tortoniano).I Calcari di Siracusa sono caratterizzati da: una struttura grano sostenuta; unacomponente allochimica costituita da bioclasti (foraminiferi bentonici e plan-ctonici, alghe coralligene); una matrice costituita da sparite neomorfica e damicrite in proporzioni variabili. Le calcareniti di Melilli presentano una strut-tura di tipo fango sostenuta, una componente allochimica caratterizzata dallapresenza di foraminiferi di tipo planctonico e bentonico, e da alghe corallige-ne. La matrice è costituita principalmente da sparite neomorfica (v. Fig. 3).

a b

Fig. 3. Microfotografie di alcuni litotipi studiati: a) Calcare oolitico; b) Calcare diSiracusa.

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I materiali lapidei utilizzati nei monumenti del centro storico di Catania 353

3.3 Analisi Geochimiche

La caratterizzazione geochimica dei litotipi studiati è stata effettuatamediante l’analisi degli elementi legati alla frazione detritica e di quellipresenti nella componente carbonatica (CaO, Sr, Mn e Zn). Le rocce delletre formazioni geologiche mostrano contenuti in Sr diversi; in particolarele calcareniti della f.ne Palazzolo mostrano i valori medi compresi tra1282 ppm (calcareniti giallastre) e 1157 ppm (calcareniti bianco crema), icalcari della F.ne Monte Carrubba hanno valori medi del contenuto in Srcompresi tra 812 ppm (calcari oolitici) e 462 ppm (calcari a lumachella),mentre per i calcari della F.ne dei monti Climiti i tenori medi in Sr si atte-stano intorno a 256 ppm (v. Fig. 4).

3.4 Studio dei processi di degrado

Per lo studio dei processi di degrado di tipo fisico è stato eseguito il testdi resistenza all’invecchiamento mediante cristallizzazione dei sali(EN12370) al fine studiare il comportamento al degrado e le conseguentimorfologie di alterazione generatesi durante il test.

Dai risultati del test (v. Tab. 2), si è constatato che le tipologie di materia-le in studio sono abbastanza sensibili al degrado indotto dalla cristallizzazio-ne dei sali (Na2SO4 . 10H2O). In particolare, i litotipi più resistenti sono i

Fig. 4. Diagramma di variazione vs SrAl2O3 per i litotipi in studio.

sr (

ppm

)

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calcari oolitici della F.ne Monte Carrubba, mentre le calcareniti della F.nePalazzolo hanno mostrato le più consistenti perdite di materiale. Le formedi alterazione dominanti sono: l’alterazione differenziale nelle calcarenitibianco crema e nel calcare di Siracusa, l’alveolinizzazione nelle calcarenitigiallastre e la scagliatura nelle calcareniti di Melilli. Infine i test di cristal-lizzazione dei sali, eseguiti su tutte le tipologie di calcare, hanno messo inevidenza un differente comportamento in termini di durabilità dei diversilitotipi. In particolare, la migliore risposta al degrado è quella mostrata deicalcari oolitici della F.ne Monte Carrubba. Infatti, la tessitura di tipo grainsupported insieme alla presenza di una matrice costituita da cemento spati-co conferisce a questo litotipo un ottima resistenza al degrado dovuto allacristallizzazione dei sali. Inoltre confrontando le forme d’alterazione pre-senti sui monumenti con quelle sviluppatesi durante il test di cristallizzazio-ne (v. Fig. 5 e 6) è stato osservato che il degrado prodotto artificialmente inlaboratorio sviluppa forme molto simili a quelle osservate in situ, il che

F.ne LitotipiEN 12370

Am

Palazzolo

Calcarenitibiancocrema

36,18%

Calcarenitigiallastre

MonteCarrubba

Calcarioolitici

4,66%

Calcari alumachella

15,55

MontiClimiti

Calcari diSiracusa

18,91%

Calcarenitidi Melilli

17,61%

Fig. 5. Calcare a lumachella: confronto tra leforme di alterazione sviluppatesi in laboratorio equelle presenti nei monumenti.

Fig. 6. Calcarenite giallastra: confronto tra leforme di alterazione sviluppatesi in laboratorio equelle presenti nei monumenti.

Tab. 2. Perdita di massa dei litotipial termine della prova di cristalliz-zazione dei sali (XV cicli)

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I materiali lapidei utilizzati nei monumenti del centro storico di Catania 355

porta a concludere che il principale meccanismo di degrado dei calcari ibleiè legato al fenomeno della cristallizzazione dei sali.

3.5 Analisi petrofisica

Un aspetto fondamentale per la valutazione della stabilità dei materialilapidei riguarda il comportamento meccanico degli stessi e la tendenzaalla fratturazione per azione meteorica, che determina un indebolimentonel tempo, favorendo la formazione di piani preferenziali di instabilità ecrolli. Sulle calcareniti di Melilli, sono state effettuate analisi petrofisiche,quali la misura della velocità delle onde elastiche compressionali (Vp),volte all’identificazione di presenza di sistemi di microfratture ed eventua-le orientazioni preferenziali (anisotropia). È quindi stata determinata laporosità ed il comportamento sismico dei materiali in presenza di fluidi.

Per generare e ricevere le onde P è stata utilizzata una coppia di trasdut-tori di ceramica piezoelettrici (PZT), che convertono il segnale elettrico inmeccanico e viceversa con frequenza di risonanza di 1MHz. Ai fini di ana-lizzare la presenza di anisotropia sismica, le misure sono state effettuatesecondo tre direzioni mutuamente ortogonali, sia in assenza di fluidi chein condizioni di saturazione. La porosità connessa è stata stimata (~ 20%)dopo aver rimosso l’umidità interstiziale sotto vuoto e aver pesato duevolte la roccia, in assenza di fluido e in condizioni di saturazione.

La velocità delle onde compressionali P varia tra i 3.2 e 3.4km/s (erro-ri sperimentali ~2-3%) (v. Fig. 7). Non si riscontrano variazioni significa-

Fig. 7. Vp misurata per diversi blocchi di calcareniti di Melilli sia in condizioni di assen-za di fluidi che sature, secondo le 3 direzioni.

v p[k

m/s

]

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tive sia durante la misura in assenza di fluidi che in condizioni di satura-zione. Questo comportamento è ascrivibile all’elevata porosità (~20%) edall’assenza di campi di microfratture nella matrice. Come conseguenzanon si riscontra un aumento di velocità come in rocce più compatte e menoporose, dove le fratture saturate da fluidi migliorano la trasmissività’.Inoltre, i calcari studiati presentano caratteri isotropi (anisotropia < 3%)che denotano l’assenza di campi di microfratture orientati o di tessitureorientate. Ci si propone, in futuro, di effettuare le indagini anche sulle altretipologie di rocce carbonatiche utlilizzate nei monumenti.

BIBLIOGRAFIA

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la Sicilia Orientale 2, 1929, pp. 227-243.5. S. Carbone, M. Grasso, F. Lentini, «Considerazioni sull’evoluzione geodinamica

della Sicilia sud-orientale dal Cretaceo al Quaternario».

Punturo, Russo, Lo Giudice, Mazzoleni, Pezzino, Trovato, Vinciguerra356

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357

DISEGNO E PITTURA NELLA FISIOGNOMICA DEL SEICENTO

IN SICILIA: MARIO MINNITI E FILIPPO PALADINI

ROMANO M.

Accademia di Belle Arti “Val di Noto”

Nei trattati di Leonardo da Vinci si intravedono le prime indicazioni a usodegli artisti nel come rappresentare l’efficacia delle emozioni umane, sacre eprofane. Nel suo Libro di Pittura si legge: “…quell’anima che regge e gover-na ciascun corpo si è quella che fa il nostro giudizio innanzi sia il propriogiudizio nostro”.

Nella Testa d’uomo urlante, sempre Leonardo denuncia il suo costanteinteresse per la fisionomia umana,un attento studio della veridicità,un giustoequilibrio tra follia psicologica e fisiognomica, una variazione dinamica delleforme e i suoi corrispondenti “moti dell’anima”.

Quindi, nella teoria artistica del maturo e tardo rinascimento manierista ilconcetto e la pratica del disegno assumono un certo fondamento dell’artecome discorso mentale, come strumento di indagine della natura umana, esecondo il Vasari, è fondamentale far procedere il disegno dall’intelletto, ideae forma delle cose.

Il disegno, da Michelangelo in poi, rievoca nella riforma della Manieratosco-romana una pratica sperimentale e di bottega di ogni singolo artista,che secondo l’abate Lanzi, dopo il Sacco di Roma, “…pochi han merito nelcolore, molti nel disegno; pochi vanno immuni del tutto dal Manierismo…”.

Da questa regola, di fare buon uso del disegno, sia in forma autonoma ocome fase preparatoria ai grandi dipinti o pale d’altare, nasce un dialogo dianalogie fisiognomiche tra la produzione iconografica del toscano FilippoPaladini (Casi, Val di Sieve, Firenze, 1544–Mazzarino o Palermo 1614) e ilsiracusano Mario Minniti (Siracusa, 1577–1640). Questa attenta analisi tra idue artisti si sviluppa grazie alla presenza in Sicilia, alla fine delCinquecento, dell’artista toscano che sicuramente introdusse nell’isola, dopouna prima esperienza a Malta, un corpus di disegni (oggi,ospitati in due tac-cuini presso la Galleria Regionale di Palazzo Bellomo a Siracusa).

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Questi disegni, quasi trecento, mostrano un attento studio preparatorio allegrandi pale siciliane dello stesso Paladini e suscitano un certo interesse perun’analisi comparata alle opere del Minniti. Il corpus di disegni paladineschidocumentano la lezione dei grandi maestri toscani: il Cigoli, l’Empoli e diquell’Accademia fiorentina del Disegno, alla quale era iscritto dal 1578 lostesso Paladini. Da questi disegni si evince l’ideazione completa e suggesti-va della ricostruzione plastica di un drappeggio, lo studio analitico e accura-to di una mano, di un volto e di un gesto nello loro diversificazioni luministi-che, dalla sanguigna, alla matita o dalle lumeggiature a biacca.

Da un attento studio condotto da Cesare Brandi, l’iter progettuale e arti-stico del Paladini si concentra agli inizi della sua attività nella scuola dellaManiera di Andrea del Sarto,dove si evidenzia un certo patetismo sorretto dauna forza costruttiva del disegno e da una monumentalità di carattere natura-listico. Ma è l’influenza di Federico Barocci a ridare all’opera di del Paladiniuna sicura poetica degli affetti, dove l’ingegno iconografico, apparentementesemplice, si riavviva attraverso un attento studio dei personaggi, una posa, ungesto o la semplice inclinazione di un volto segnano quella forte e intima tea-tralità di un messaggio devozionale controriformato.

Un accademico gesto di pura devozione, la pietas di una vergine cheincrocia le mani al petto, opera fiorentina di Jacopo Cimenti detto l’Empoli,riscontrabile in alcuni disegni di Andrea del Sarto e dello stesso Pontormo, epresente nei taccuini del Paladini, in particolare in un foglio di studi prepara-tori , dove una ipotetica vergine e martire documenta il gesto di estrema devo-zione di una figura orante o in intima religiosità. In parallelo, il sicilianoMinniti, rievoca nel Martirio di Santa Lucia , della Galleria Regionale diPalazzo Bellomo a Siracusa, un incrocio delle mani al petto che denunciaforti richiami alla lezione devozionale manierista, una certa apertura anato-mica delle mani, che deve rafforzare l’andamento inclinato del volto dellamartire aretusea, una diafana visione del martirio, un’estasi devozionalesegno di un messaggio sovrannaturale.

Questa breve indagine di un particolare parallelismo fisiognomico-devo-zionale tra il disegno preparatorio del Paladini e l’opera pittorica del Minnitisi dirige verso una possibile rilettura dell’arte preseicentesca in Sicilia, in par-ticolare quella produzione che risente dell’influenza disegnativa della manie-ra tosco-romana e quel realismo lombardo-fiammingo dell’ombrosità cara-vaggesca, artista presente in Sicilia nella primo decennio del Seicento.

In un’altra opera del Paladini, la Pietà e san Giacomo, dipinto presentenella chiesa del Collegio di Caltagirone e dal disegno preparatorio, sem-

Romano358

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pre nella collezione aretusea, è chiara l’influenza reciproca tra gl’artistioperanti in Sicilia. Infatti, a parte il richiamo iniziale ai toscani Frà Bar-tolomeo e Bronzino, si ravviva un certo naturalismo caravaggesco, unalumeggiatura trasversale che valorizza il corpo in diagonale del Cristo el’inclinazione della testa, una accentuata pietas devozionale ancora dimaniera controriformata, tanto cara ai Gesuiti e alla committenza isolana.Non a caso, in una Deposizione del Minniti, della Galleria Regionale diPalazzo Bellomo, un Cristo privo di sensi, lumeggiato nel volto e nel brac-cio, che segue il modello paladinesco, così come la caduta cruciforme del-l’intero corpo è motivo centrale dell’estrema emozione e devozione dellapassio divina.

Una parallelismo fisiognomico che attesta la chiara presenza, nella pro-duzione pittorica del Seicento in Sicilia, di una rilettura classica e devozio-nale nel diffuso realismo d’influenza caravaggesca. Un linea intuitiva che faintravedere, nel fruitore attento e nel ricercatore, un percorso di studi che giàdal disegno, non più solo preparatorio ma autonomo, documenta l’originedelle commistioni stilistiche, dal tardomanierismo del toscano Paladini, aquel naturalismo caravaggesco vicino all’esperienza romana del Minniti.

Questa ricerca, apparentemente ermetica, tenta una rilettura della produ-zione stilistica isolana, dove formule apparentemente codificate da quel clas-sicismo accademico e controriformato valorizzano la sperimentazione dina-mica barocca, un percorso introspettivo e patognomico che conduce, graziealla pratica del disegno, a delle soluzioni di pacata devozione conciliare.

Per quanto riguarda l’indagine interpretativa dell’opera, attraverso la dina-mica del gesto e della posa, di quella fisiognomica sorta dagli studi leornade-schi, è fondamentale lo studio delle passioni come espressioni dell’agireumano di Charles Le Brun (1790), che analizza le passioni composte: lavenerazione, il disprezzo, il pianto, la collera, la disperazione estrema, chehanno sicuramente affermato nella comunicazione artistica la ricercatezzadell’anima e del suo esprimersi attraverso l’azione umana

Questa nostra ricerca o particolare indagine ha permesso, sia allo scriven-te che a un gruppo di studio scientifico, di riscoprire e attestare i pentimentipittorici dell’artista aretuseo, che grazie al corpus iconografico del Paladininon è più iscrivibile come un umile e semplice seguace del Caravaggio, masoprattutto un attento osservatore di quella commistione stilistica tra la gran-de scuola della maniera toscana e il naturalismo seicentesco.

Disegno e Pittura nella fisiognomica del Seicento in Sicilia 359

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I MUSEI

NELLA PROVINCIA DI CATANIA

RUSSO M.

II Edizione Master in “Economia del recupero e della valorizzazione dei beni culturali” – ScuolaSuperiore dell’Università di Catania Via Mollica, 8 – 95021 Acicastello (CT),

Tel. 095 7124931; 338 1441760 [email protected]

1. Introduzione

Dalla fine degli anni Novanta si è registrato un crescente interesse neiconfronti dei musei, che a livello istituzionale ha generato nuove leggi chene regolano l’attività. A livello generale ciò è corrisposto ad una maggio-re domanda che ha portato all’apertura di nuovi musei, al moltiplicarsi deiservizi offerti e ad un costante aumento di visitatori.

A fronte di questo trend in atto a livello internazionale, questo contri-buto illustra i risultati di una ricerca condotta dal Dipartimento diEconomia e Metodi Quantitativi dell’Università di Catania, volta ad ana-lizzare la struttura organizzativa dei musei della provincia di Catania. Idati relativi all’organizzazione e al funzionamento di tali musei durante ilperiodo 1985-2004, rilevati durante diverse campagne d’indagine condot-te dal DEMQ e dall’Ufficio Speciale per il Polo Museale di Catania, sonostati raccolti in un database che ne rendesse facilmente accessibili e con-sultabili i risultati.

Dopo aver seguito il moltiplicarsi degli istituti museali nel ventennioconsiderato, dei 65 istituti attualmente presenti nel territorio della provin-cia di Catania sono stati analizzati e riportati graficamente l’assetto istitu-zionale, la tipologia, gli orari d’apertura al pubblico, le modalità d’ingres-so, la diffusione sul territorio, gli assetti organizzativi e gestionali, ilnumero dei visitatori.

Quest’ultimo dato è stato messo a confronto con i flussi turistici nellaprovincia e nei comuni interessati, al fine di valutare l’impatto dei museisul turismo locale.

Infine sono stati analizzati i servizi offerti dai musei, il loro inserimen-

360

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I musei della Provincia di Catania 361

to in reti museali o biglietti cumulativi, la cura dell’allestimento e le atti-vità culturali ed educative svolte.

In tal modo si è cercato di verificare lo stato dell’offerta museale nellaprovincia di Catania e le sue possibilità di sviluppo.

2. Il museo: definizione e applicazioni

“Istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della societàe del suo sviluppo, aperta al pubblico, che compie ricerche sulle testimo-nianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisi-sce, le conserva, le comunica e soprattutto le espone a fini di studio, dieducazione e di diletto”. Pietra miliare della museologia moderna, questaè la definizione di museo contenuta nell’articolo 2 dello statuto del-l’International Council of Museums (ICOM), organizzazione non gover-nativa che riunisce più di 15.000 membri in 109 nazioni allo scopo di pro-muovere e sviluppare i musei e le professionalità museali.

Tale definizione è citata anche negli atti legislativi che diverse nazionihanno dedicato al tema dei musei e fra questi, per l’Italia, anche l’impor-tante “Atto d’Indirizzo sui criteri tecnico scientifici e sugli standard di fun-zionamento e sviluppo dei musei”, emanato nel 2001. In tale fondamenta-le documento vengono definite norme tecniche e linee guida che i museidevono seguire in materia di: status giuridico, assetto finanziario, struttu-re, personale, sicurezza, gestione delle collezioni, rapporti con il pubblicoe relativi servizi, rapporti con il territorio.

Tale atto, tuttavia, non è cogente per la Sicilia poiché, in virtù del suostatuto speciale, la Regione esercita sul proprio territorio “tutte le attribu-zioni delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato” in materia di“antichità, opere artistiche e musei” (D.P.R. 637/1975, art. 1); attualmen-te in tema di standard museali esiste solo un disegno di legge (DDL868/2004, “Nuove norme per la valorizzazione dei Beni Culturali”).L’urgenza di precise norme in merito emergerà dall’analisi condotta suimusei presenti nel territorio della provincia di Catania.

Gli illustri visitatori che nel XVIII e XIX secolo, durante il loro GrandTour, giungevano a Catania da tutta Europa, portarono ovunque la famadelle Wunderkammern del principe Ignazio Paternò Castello di Biscari edelle collezioni dei Padri Benedettini. Figlio di questo glorioso passato, ilpanorama museale catanese è oggi fatto di luci ed ombre.

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Russo362

2.1 Assetto istituzionale dei musei

Nel corso del ventennio considerato il numero dei musei presenti nelterritorio della provincia di Catania è cresciuto notevolmente, ma con ritmidiversi per i vari regimi proprietari (v. Tab. 1).

Alla regolare progressione di crescita per i musei civici, ecclesiastici eprivati si contrappone da un lato la fioritura dei musei di proprietà dellaProvincia Regionale di Catania, dall’altro la stabilità dei dati sui museiuniversitari e quelli regionali.

Questi ultimi sono forse quelli che sorprendono di più. Nonostante,infatti, le LL.RR. 17/1991, 6/2001 e 9/2002 abbiano istituito nel capoluo-go etneo il Museo archeologico e quello interdisciplinare, e altri nel terri-torio provinciale, questi rimangono ancora solo sulla carta. La secondacittà della Sicilia è a tutt’oggi priva di musei regionali autonomi, condizio-ne che nella provincia ha solo il Museo della ceramica di Caltagirone (laCasa museo Verga e il Museo archeologico di Adrano dipendono dallaSoprintendenza).

Per risolvere questa incredibile situazione è stato recentemente istitui-to l’Ufficio speciale per il Polo Museale di Catania, che ha fra i suoi scopistatutari proprio quello di “ottimizzare la gestione e i servizi dei museiistituiti e non attivati, o ancorché attivati non autonomi”.

1985 1995 2004

Comune 11 19 29

Provincia 0 0 10

Chiesa 3 4 7

Università 4 4 4

Regione 3 3 3

Privati/Altri enti 7 9 12

TOTALE 28 39 65

Tab.1. Proprietà dei musei. Dati storici. Elaborazione personale, fonte: DEMQ.

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I musei della Provincia di Catania 363

Passando ora all’analisi degli aspetti organizzativi e gestionali deglistessi musei, essendo come abbiamo visto per il 72% di proprietà pubbli-ca, la forma prevalente è quella di “museo-ufficio”, assimilato cioè ad unufficio comunale, con l’inevitabile conseguenza di godere un’autonomiamolto limitata in termini organizzativi e finanziari. In particolare il museomanca di un bilancio autonomo, ma rientra in quello comunale, con le len-tezze e i limiti che questo comporta.

In questi casi, i musei sono organizzati con un dirigente impiegato del-l’ente di appartenenza, e lavoratori delle categorie ASU e PUC o coopera-tive di servizi, per un numero complessivo che comunque non supera maile 30 unità nei casi dei musei più grandi, ma che in media si mantienemolto più basso, sulle 8 unità.

L’istituto della Fondazione è presente solo in due casi, entrambi di mu-seo ecclesiastico (Museo diocesano di Catania e San Nicolò di Militello).

2.2 Distribuzione geografica

Interessante è verificare la distribuzione di questi musei nel territorioprovinciale.

Sui 58 comuni che compongono la provincia di Catania, 27 possiedo-no almeno un museo; per quanto riguarda la distribuzione geografica, lamaggior concentrazione si ritrova a Catania (27%) e nel calatino (21%),ma possiamo dire che in tutta la parte meridionale e sulla costiera ionicavi è una notevole diffusione dei musei sul territorio (v. Tab. 2).

Legato alla distribuzione sul territorio è anche la tipologia degli istitu-ti, fra i quali prevalgono quelli ad indirizzo storico–artistico (32%), macon una notevole presenza di quelli etno-antropologici (18%), in crescita;oltretutto anche quelli che abbiamo classificato come “specializzati”(17%) possono essere ricondotti a queste due categorie (es. i musei suipupi siciliani o sui presepi) (v. Tab. 3).

2.3 Flussi di visitatori

La Tabella 2 mostra come la situazione peggiore sia quella del capoluogo,dove la metà dei musei esistenti, quelli più importanti, sono chiusi. Una chiu-sura a volte motivata da lavori di riallestimento o restauro, fattori naturalmen-te non negativi di per sé, ma il fatto che queste chiusure avvengano contem-poraneamente e spesso si prolunghino ben oltre i tempi previsti, reca un forte

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Russo364

Tipologia 1985 1995 2004

Archeologici 3 4 8

Storico-artistici 14 15 21

Etno-antropologici 2 8 12

Specializzati 3 5 12

Scienze 3 4 8

Musei multipli 1 1 1

Spazi espositivi 2 2 3

Zona N° musei N° musei aperti

Catania e l’entroterra 18 8

La riviera dei ciclopi e dei limoni 9 9

Le falde meridionali dell’Etna 1 1

Le falde orientali dell’Etna 2 2

La valle dell’Alcantara 1 1

I Nebrodi catanesi 5 4

La media valle del Simeto 6 3

Gli Erei catanesi 14 14

Gli Iblei catanesi 9 9

Tab.2. Distribuzione geografica dei musei. Elaborazione personale, fonte: (6).

Tab. 3. Tipologia dei musei: dati storici. Elaborazione personale, fonte: DEMQ.

danno all’immagine culturale e turistica della città. Caso a sé quello delMuseo civico del Castello Ursino, chiuso da decenni, precludendo al pubbli-co godimento le preziose collezioni Biscari e Benedettini. Più preoccupanteil fatto che i siti archeologici e i musei gestiti dalla Soprintendenza ciclica-mente chiudano per la cronica mancanza di fondi.

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I musei della Provincia di Catania 365

Non meraviglia dunque, stando questa situazione, che i dati sui flussi divisitatori nei musei catanesi siano complessivamente scarsi.

L’analisi dei dati raccolti, nonché della nostra esperienza di visita, ciporta a dire che si tratta di musei prevalentemente di piccola e mediadimensione: più della metà degli istituti per i quali abbiamo dati disponi-bili, infatti, contano meno di 5.000 visitatori l’anno, numero che quasi nel40% dei casi è addirittura inferiore a 2000; i dati più alti riguardano ilCastello Ursino di Catania, che fra il 1997 e il 2002 è stato costantemen-te sui 60.000 visitatori, ma il dato comprende gli ingressi alle importantimostre temporanee ospitate in quegli anni nelle sale del castello; gli altrimusei di Catania (Belliniano, Diocesano e dello Sbarco), e quelli diCaltagirone (Musei civici e regionale) e Acicastello si attestano invececostantemente fra i 15.000 e i 40.000 visitatori annui (Fonti: DEMQ eUfficio speciale per il Polo Museale di Catania).

A questo punto è interessante operare un riscontro fra questi dati equelli dei flussi turistici. La provincia catanese vanta un movimento turi-stico che è il terzo in Sicilia, dopo Palermo e Messina, ed ha un andamen-to altalenante, come si nota nella tabella 4.

Su questi numeri il capoluogo incide per circa il 50%, con una mediadi circa 300.000 arrivi ma solo 600.000 presenze che determinano unapermanenza media totale molto bassa e in diminuzione (2,89 giorni nel2001, 2,31 nel 2002, 2,23 nel 2003). Il calo riguarda però soprattutto gliitaliani, mentre per quanto riguarda gli stranieri il dato, storicamente alta-lenante, è attualmente in crescita (2,25 giorni nel 2002, 2,53 nel 2003).

Una permanenza media bassa significa poco tempo da spendere in città,dunque la necessità di scegliere cosa visitare, e i dati ci dicono che pochituristi scelgono di visitare i nostri musei. Non solo. Che l’offerta musealecatanese non riesca ad intercettare, se non in minima parte, questi flussiinoltre, lo dicono anche i responsabili dei musei, che nelle interviste con-dotte a tal riguardo sono stati concordi nell’affermare che il movimentomaggiore è quello costituito dalle scolaresche, tant’è che osservando i datisi nota che il picco si verifica in inverno e in primavera mentre in estatemolti musei riducono gli orari (in media 7 ore di apertura giornaliera, ininverno) o addirittura chiudono, perché i ricavi non bastano per coprire icosti di gestione.

Il problema dunque è: perché i turisti non visitano i musei catanesi?Questo può essere determinato da diversi fattori: 1) i musei non sonoconosciuti; 2) i musei non attirano e/o il biglietto costa troppo per il bene-

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Russo366

Anno Arrivi totali Presenze totali Perm. media tot.

1998 505.025 1.529.126 3,03

1999 550.073 1.596.741 2,90

2000 599.294 1.705.382 2,85

2001 596.302 1.780.766 2,99

2002 596.880 1.593.763 2,67

2003 630.347 1.691.181 2,68

2004 674.152 1.689.453 2,51

AnnoArriviitaliani

Presenzeitaliani

Perm.media it.

Arrivi stranieri

Presenzestranieri

Perm.media str.

1998 369.657 1.127.282 3,05 135.368 401.844 2,97

1999 399.720 1.133.088 2,83 150.353 463.653 3,08

2000 430.698 1.210.015 2,81 168.596 495.367 2,94

2001 418.879 1.209.651 2,89 177.423 571.115 3,22

2002 421.882 1.114.642 2,64 174.998 479.121 2,74

2003 455.338 1.121.166 2,46 175.009 570.015 3,26

2004 495.536 1.192.055 2,41 178.616 497.398 2,78

Tab. 4. Movimento turistico nella provincia di Catania. Elaborazione personale, fonte: (6).

ficio che si pensa di ricavare dalla visita; 3) i turisti sono solo di passag-gio e non hanno il tempo per fermarsi a visitare i musei. Che siano questeoppure ci siano altre motivazioni, i responsabili dei singoli musei, o anco-ra meglio del sistema museale provinciale in via di definizione, per incre-mentare la domanda, dovranno curare molto l’aspetto della comunicazio-

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I musei della Provincia di Catania 367

ne e dei rapporti con i tour operators, magari prospettando la possibilità diinserire i biglietti dei musei direttamente nei pacchetti turistici.

Per quanto riguarda i comuni della provincia oggetto di rilevamentoturistico, i dati più alti sono quelli di Acireale, con un movimento che inmedia conta circa 150.000 arrivi e 400.000 presenze per una permanenzamedia superiore ai 3 giorni. Su questi dati incide molto soprattutto la pre-senza delle terme. I musei di Acireale dunque avrebbero un ampio bacinodi utenza, che attualmente va disperso.

Allo stesso modo il Museo vulcanologico di Nicolosi, per il quale nonabbiamo dati sui visitatori, per la sua posizione lungo la strada dell’Etna e perla sua specializzazione avrebbe grandi potenzialità di sviluppo, se riuscissead intercettare il movimento turistico, che nella zona supera i 20.000 arrivi,con più di 50.000 presenze e una permanenza media superiore ai due giorni.

Diverso, in positivo, il caso di Caltagirone, che ha un movimento intor-no ai 20.000 arrivi e 40.000 presenze e una permanenza media di pocomeno di 2 giorni, ma in crescita. L’offerta museale calatina come abbiamovisto, è molto ricca, comprendendo un museo regionale e diversi museicivici e privati. Il Museo regionale della ceramica ha in media 30.000 visi-tatori l’anno, il Museo civico L. Sturzo circa 20.000: se consideriamo chegli arrivi annui sono circa 20.000, in questo caso possiamo invece affer-mare che questi due musei rappresentano una meta obbligata per chi visi-ta Caltagirone.

2.4 Servizi offerti

Passiamo adesso all’analisi “qualitativa”, cioè dei servizi offerti dai musei.Come detto, oggi la qualità è la discriminante fondamentale del “suc-

cesso” di un museo e uno degli elementi principali per attirare i visitatori.La nuova concezione che, in tutto il mondo, guida i responsabili delle isti-tuzioni museali grandi e piccole è, infatti, quella di invitare il pubblico aduna fruizione didatticamente completa e stimolante e allo stesso tempopiacevole, arricchita da mostre e rassegne, oltre ad eleganti caffetterie,librerie specializzate e laboratori per bambini. E’ questo il nuovo modo divivere il museo e i suoi spazi, che sempre più spesso si aprono alla cittàper offrire occasioni di svago “intelligente” per tutta la famiglia.

La legislazione nazionale ha accolto queste indicazioni, oltre che nelgià citato Atto d’Indirizzo del 2001, nella Legge Ronchey (L. 4 Gennaio1994, n° 4) sui servizi aggiuntivi, la cui applicazione oggi è ancora abba-

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stanza limitata, e comunque concentrata prevalentemente nelle grandi cittàd’arte dell’Italia centrale.

E in Sicilia?Le informazioni sui servizi museali attivati e sulle eventuali collabora-

zioni instaurate, sono state desunte dai questionari inviati dal DEMQ tra il2001 e il 2004, dai siti web e da interviste telefoniche con i responsabilidei musei stessi.

Dalla nostra ricerca emerge anzitutto come non esistano sul territorioprovinciale delle “reti museali” vere e proprie, ma semmai solo forme dibiglietto cumulativo fra musei della stessa città, come a Caltagirone oRandazzo, oppure forme di collaborazione fra Musei, Università,Soprintendenze e altri Enti finalizzate principalmente alla ricerca o all’or-ganizzazione di mostre temporanee.

Per quanto riguarda i servizi museali li abbiamo distinti, seguendomodello del questionario proposto dal DEMQ, in due categorie.

La prima, “Servizi all’interno del museo”, comprende tutte quelle atti-vità caratteristiche del museo e necessarie al suo corretto funzionamento,cioè da un lato le attività di conservazione, restauro, inventariazione, ricer-ca etc. e dall’altro i servizi di manutenzione, sicurezza e pulizia. Le infor-mazioni raccolte hanno mostrato come i musei considerati nella presentericerca siano abbastanza attenti ed attivi in questo campo.

La seconda categoria, “Servizi per il pubblico”, comprende le attivitàdi didattica e informazione (visite guidate, audioguide, cataloghi a stam-pa, guide, pannelli esplicativi nelle sale, didattica per le scuole etc.), atti-vità di ristorazione, l’attivazione di punti vendita e infine le attività di mar-keting e comunicazione.

In questo campo i nostri musei, comunemente dotati di servizio visiteguidate e di cataloghi a stampa, si sono negli ultimi anni aggiornati anchenel campo della didattica, delle attività ricettive e di punti vendita; le atti-vità di ristorazione sono presenti solo in pochi casi, e comunque mai comeservizio fisso, ma che viene attivato su richiesta in occasione di mostre,convegni o simili.

Molti musei, infatti, hanno stretto accordi con associazioni e club ser-vice per l’organizzazione di attività culturali: si tratta di eventi che favori-scono il museo poiché ne fanno luogo vivo, dove si fa cultura, poi sonoottime occasioni per farsi conoscere e per invogliare a visitare il museo e,infine, creano quel legame con il territorio e con la comunità di riferimen-to tanto raccomandata dalle normative nazionali e dall’ICOM. In partico-

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I musei della Provincia di Catania 369

lare i musei etno-antropologici, per loro natura legati al territorio e ai suoiprodotti, sono spesso coinvolti nelle manifestazioni durante le sagre cheaffollano i paesi della provincia di Catania soprattutto in estate e autunno.

Quasi assente invece il ricorso alle tecniche del marketing e alle nuovestrategie di comunicazione; limitata l’attivazione di siti web, spessodemandata alle pagine sui siti del Comune o dell’AAPIT, abbastanza com-plete ed esaurienti ma non facilmente raggiungibili; a livello mediaticopoi, i musei catanesi sono poco conosciuti, forse perché mancano di pezzi“famosi”, gli Antonello da Messina o Caravaggio che possono vantareSiracusa, Messina o Palermo, mancanza che potrebbe essere più che com-pensata se le preziosissime collezioni settecentesche e i reperti archeolo-gici fossero finalmente esposti.

Infine per quanto riguarda gli allestimenti museali anche in questo casoil panorama museale catanese offre luci ed ombre. Un buon allestimentomuseale è quello che soddisfa le necessità di ognuna delle varie classi distudiosi o di visitatori che vi si recano, da quelle a scopo di studio a quel-le puramente di svago, e che fornisce ai visitatori le informazioni più utiliper capire l’oggetto che hanno davanti in tutti i suoi aspetti, e guida il visi-tatore nel percorso fra le varie sale.

Questa è la direzione seguita dal Museo Belliniano di Catania ed altriattualmente in fase di ristrutturazione, così come da alcuni musei di recentecostituzione, in particolare quelli della Provincia Regionale di Catania (es. il“Museo storico dello sbarco in Sicilia del 1943” con interessanti ricostruzio-ni, fra cui quella di un rifugio antibombardamento realizzato dallo stesso pro-gettista dell’Imperial War Museum di Londra). In questa stessa direzione èandata la Galleria d’Arte Moderna di Paternò, interessantissimo spazio cheunisce un allestimento accurato ed intelligente ad una collezione di tuttorispetto…quanta rabbia però nel vederla chiusa e dimenticata!

Il contraltare è rappresentato da quegli spazi per i quali vale ancoraappieno il vecchio pregiudizio di museo come luogo polveroso e oppri-mente, anche se per fortuna però sono ormai in minoranza.

3. Conclusioni

La conclusione che possiamo trarre da quest’analisi è che nella provin-cia di Catania un immenso patrimonio culturale è frammentato in unamiriade di musei che vivono in uno “splendido” isolamento, ognuno con-

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tento di esporre le proprie collezioni, con pochissime occasioni di scambie contatti, in perenne conflitto con gli amministratori pubblici avari difondi, e quasi sconosciuti non solo ai turisti, ma spesso anche ai residenti,se si eccettuano i bambini che li visitano con le scuole e rappresentanoanzi la voce più numerosa fra i visitatori.

Questo quadro può sembrare sconsolante. Naturalmente è un po’ estre-mizzato, e non mancano le realtà in controtendenza, tuttavia è davverourgente la necessità di ripensare questo sistema museale in termini di unamaggiore efficienza operativa.

In particolare l’ipotesi che, sulla base di analoghe esperienze in Italia eall’estero, può dare i migliori risultati è quella della costituzione di Reti oSistemi museali che permettano di ridurre i costi realizzando economie discala, di migliorare le dotazioni e le prestazioni grazie alla possibilità diconseguire collettivamente obiettivi difficili da perseguire singolarmente,migliorando anche la possibilità di raggiungere finanziamenti e miglioran-do l’immagine, magari attraverso il ricorso a forme di sponsorizzazione.

La realtà attuale dimostra, infatti, che i fondi pubblici sono in costantediminuzione e non sono sufficienti per i musei che spesso sono costretti achiudere. Una tale situazione svilisce il nostro immenso patrimonio cultu-rale e danneggia l’immagine della città e del territorio.

BIBLIOGRAFIA

1. D. Primicerio, L’Italia dei musei, Electa 1991.2. «Primo rapporto Nomisma sull’applicazione della Legge Ronchey», 1999.3. M.L. Tomea Gavazzoli, «Standard di risorse e modelli di eccellenza nel museo ita-

liano», Nuova Museologia, n. 1 Sett. 1999, pp. 14-17.4. D. Jalla, Il museo contemporaneo. Introduzione al nuovo sistema museale italia-

no, UTET Libreria, 2003.5. Assessorato regionale al Turismo, «Rapporto sul turismo in Sicilia 2000–2001.

Scenari italiani ed internazionali 2002. Analisi, riflessioni, commenti»,http://www.regione.sicilia.it/turismo/web_turismo/dipartimento/risorse/studi_ricerche.asp, 2003.

6. Azienda Autonoma Provinciale per l’Incremento Turistico di Catania, dati trattidal sito http://www.apt.catania.it/aptctnew/home.asp, 2005.

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L’APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE COME ATTO PRELIMINARE PER

LA SALVAGUARDIA DEI BENI CULTURALI: LA CHIESA DI SAN NICOLÒ L’ARENA*

SALEMI A.

Osservatorio delle Patologie Edilizie, D.A.U., Facoltà di Ingegneria, Università di Catania.

Quando si affrontano le problematiche legate alla conservazione, valo-rizzazione e fruizione dei beni culturali, in rari casi la comunità scientifi-ca, ed in generale quella più ampia costituita da tutti gli individui chehanno a cuore le memorie dell’uomo, si trova su una posizione unanimenel definire le attività più opportune per la salvaguardia del bene o nelcommentare i risultati raggiunti da un intervento già effettuato in quanto,l’emissione di un giudizio su una qualunque azione, inevitabilmente risul-ta sempre rapportata e filtrata dall’insieme delle proprie conoscenze, dalleesperienze compiute, in definitiva dal personale back ground culturale.

Conseguentemente, accostarsi ad un oggetto preesistente, fa quindinascere quasi sempre un dibattito che risulterà tanto più ampio quantomaggiore sarà il suo valore documentale.

Ma se è veramente così difficile districarsi all’interno del percorsodella salvaguardia o della conservazione di un bene, su un aspetto opera-tivo preliminare tutta la società civile oggi concorda: prima di intervenireoccorre conoscere.

Per raggiungere una reale conoscenza però, qualunque sia l’oggetto delleattenzioni, è necessario mettere a punto una sistematica attività di apprendi-mento supportata da un sufficiente numero di indagini che ci permetta dicapire quando e da chi esso sia stato ideato, come sia stato realizzato, le tra-sformazioni sia fisiche che di utilizzo avvenute dal momento della sua crea-

* Lavoro realizzato nell’ambito del progetto “Il recupero e la valorizzazione del patri-monio architettonico della Sicilia orientale: l’emerga architettonica urbana e l’ediliziarurale. Conoscenza, interventi e formazione (T3 CLUSTER C29), finanziato dalMinistero dell’Università e della Ricerca Scientifica”.

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zione ad oggi, il suo corpus, ovvero le parti che lo formano ed i relativi mate-riali costitutivi, le relazioni che ha scambiato con l’intorno, ecc..

È chiaro quindi che l’azione conoscitiva preliminare costituisce unapremessa molto complessa che necessiterà d’approfondimenti proporzio-nati all’istanza culturale dell’oggetto e dell’apporto di sempre più ampieconoscenze multidisciplinari afferenti, frequentemente, ad ambiti estrema-mente eterogenei che operano e si esprimono con metodiche e linguaggimolto diversificati fra di loro.

Da ciò scaturisce uno dei problemi più delicati: l’esistenza di un terre-no culturale comune che consenta la corretta trasmissione delle informa-zioni (esatta formulazione dei quesiti, finalità dell’azione, significativitàdei risultati, ecc...) tra gli addetti ai lavori e, quindi, di una medesimastruttura lessicale.

La mancanza di un humus comune, purtroppo, costituisce di solito unadelle cause che rende disagevole lavorare in gruppo e, spesso, è proprio ilprincipale fattore limitativo che, negli interventi sui bb.cc., rende difficileil raggiungimento dei più alti risultati.

Prima di ogni attività pertanto, per comprendere con sufficienza l’ogget-to delle nostre attenzioni, sulla scorta di una filosofia progettuale ed un lin-guaggio condiviso tra tutti gli operatori, sarà necessario mettere a punto edeseguire un progetto indagativo preliminare (necessariamente multidiscipli-nare ed intersettoriale) il cui espletamento fornirà tutte quelle informazionidella più svariata natura che, lette sincronicamente, saranno indispensabiliper ricostruire la vera conoscenza oggettuale e pertanto la sua vera naturaper poi individuare il percorso conservativo più opportuno da perseguire.

Assunta una fabbrica ad alta istanza culturale come campione emble-matico, la chiesa di San Nicolò l’Arena, si tratteggerà quindi una comples-sa esperienza multidisciplinare condotta insieme a numerosi studiosi delCri.Be.Cum (Centro di Ricerche sui Beni Culturali e Monumentali)dell’Università di Catania che, si ritiene, sia per i suoi specifici obiettiviprefissati (messa a punto di un protocollo operativo valido nei percorsiconoscitivi ad alta valenza culturale, definizione di un linguaggio comunetra le differenti professionalità afferenti all’azione, studio delle eventualicorrelazioni tra i risultati delle diverse indagini condotte sul medesimomateriale, ecc..), per le modalità di svolgimento nonché per i risultati otte-nuti, possa essere indicata come una corretta indicazione metodologica daseguire prima di ogni azione operativa.

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L’ATHENAION DI SIRACUSA E IL SUO DUOMO,UNA STORIA DI PIETRA.

METODOLOGIE VERSO LA CONOSCENZA

SGARIGLIA S.

Architetto, libero professionista

Il tema di questa ricerca riguarda il Duomo di Siracusa, di come nelcorso del tempo il tempio greco dorico, l’Athenaion, inglobato in esso, siastato trasformato da tempio pagano a chiesa cristiana. Tramite il rileva-mento architettonico e l’indagine grafica, che si basa sulla storia e i segnisottesi al monumento, si tende a una lettura stratigrafica.

Lo studio si è interessato al prospetto sulla via Minerva, assumendol’apparato murario come palinsesto di tutta l’articolata evoluzione delmanufatto architettonico.

L’interesse per questa parte di edificio è stato inoltre determinato dallaconstatazione scaturita dall’analisi iconografica. Valutando l’opera grafica,costituita da incisioni, stampe e dipinti, prodotta tra il 1717 e la fine del 1874si è notato che le rappresentazioni mongiane dell’edificio sono rarissime adifferenza delle viste prospettiche. Si è voluto, così contribuire a scrivere einterpretare una pagina grafica che rappresentasse il prospetto sulla viaMinerva da un altro punto di vista e con un’altra metodologia. Si è operatonell’ambito del rilievo architettonico, supportato dalle metodologie foto-grammetriche, topografiche e laser scanner 3D per restituire un disegno difacciata non più scorciato ma perpendicolare all’osservatore.

Lo studio, condotto per fasi, che hanno cercato di interpretare l’evolu-zione storica degli eventi, è stato sostenuto dalla descrizione delle fontiletteraria e dall’iconografia.

Tutti questi elementi insieme hanno consentito la scissione delle partidel manufatto architettonico, e hanno permesso la classificazione di tuttele componenti che si sono state aggiunte sul “corpo originario”.

Sono state effettuate le riprese fotografiche, il rilievo diretto e strumen-tale, attraverso l’applicazione delle tecniche e i principi della topografia,fotogrammetria e laser scanner 3D.

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La topografia, è stata ottenuta come la risultante di una campagna dirilievo topografico che ha rilevato un insieme di punti emblematici, appar-tenenti al prospetto.

La fotogrammetria è stata eseguita tramite fotografie mosaicate chehanno consentito di disegnare l’intero prospetto in modo da ottenere tuttal’orditura muraria in proiezione ortogonale munita di informazioni tridi-mensionali e metriche.

È così attribuito al segno grafico la peculiarità di essere lo strumentod’indagine della storia che ci restituisce la trama dei segni, visibili e sot-tesi, che nel tempo si sono stratificati nella struttura del monumento.

La storia e la materia testimoniano che ogni intervento sull’architettu-ra ha trovato riscontro in una fase della successione stratigrafica, chedocumenta adattamenti del manufatto a nuove funzioni e problematiche dicantiere. La ricerca delle fonti documentative contribuisce alla verificadelle ipotesi cronologiche e precisa il rapporto tra l’edificio e le vicendestoriche, definendo la conoscenza complessiva del manufatto.

Nel caso della presente ricerca è stato studiato il processo che descrivela trasformazione dall’Athenaion alla cattedrale barocca ponendosi il dub-bio di come rappresentare lo spazio che muta ma «Malgrado tutte le dif-ferenze nei modi di pensare tra il pensiero greco e quello moderno, lo spa-zio viene rappresentato nello stesso modo, cioè a partire dal corpo. Spazioè l’estensione tridimensionale, extensio. In essa i corpi e i loro movimen-ti hanno il loro percorso, il loro tempo, le loro distanze percorribili e que-gli intervalli di tempo…» [1]. Lo studio di un’architettura così sedimenta-ta pone il dubbio della ‘rappresentazione della memoria’; come rappresen-tare e interpretare l’architettura che si concretizza al nostro sguardo men-tre la nostra ragione innesca meccanismi di memoria o di immaginazione?Come possiamo riuscire a tradurre graficamente il logorìo che il tempo hasottratto ‘a quelle pietre’?

Attraverso l’acquisizione degli studi di archeologi, architetti e storici èstata ipotizzata la ricostruzione, tramite il modello digitale, dell’Athenaion per confrontarlo con le rappresentazioni dell’odierna chiesabarocca. Le immagini delle superfici della chiesa barocca sono stati estra-polate dai dati acquisiti con il laser scanner 3D. Sono state selezionate leviste prospettiche più opportune dell’odierno Duomo, che riguardano soloi due prospetti. Queste che sono state sovrapposte alle immagini dell’ipo-tetico modello tridimensionale.

Sgariglia374

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BIBLIOGRAFIA

1. G. Agnello, Guida al duomo di Siracusa, Siracusa, 1964. 2. S.L. Agnello, Il duomo di Siracusa e i suoi restauri, a cura di, Siracusa 1996. 3. M. Fondelli, Trattato di fotogrammetria urbana e architettonica, Bari 1992.

L’Athenaion di Siracusa e il suo duomo. Una storia di Pietra 375

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MARIO MINNITI TRA MANIERA

E NATURALISMO CARAVAGGESCHI IN SICILIA

SPAGNOLO D.

Dirigente Soprintendenza BB.CC.AA. di Messina

La figura di Mario Minniti (Siracusa, 1577–1640), a detta delle fontistoriografiche amico e collega del Caravaggio a Roma negli anni a caval-lo tra Cinque e Seicento, costituisce uno dei rari casi, tra gli artisti di epo-che lontane, ad aver suscitato l’interesse degli studiosi più per le proprievicende personali, così strettamente legate alla vita sregolata e avventuro-sa del Caravaggio, che per il peso artistico dei suoi dipinti, ritenuti forte-mente dipendenti dalle creazioni del maestro. Del suo stile, apprezzato neitesti storiografici siciliani del Sette e Ottocento più per la verosimiglianzae la morbidezza della stesura che per la drammaticità del chiaroscuro ispi-rato al Caravaggio, abbiamo numerosi esempi in opere che lo mostranosensibile anche ad altri indirizzi pittorici precedenti alla venuta delCaravaggio in Sicilia (1608-1609) e fortemente radicati nell’isola traCinque e Seicento, soprattutto nell’area orientale. Questi indirizzi propo-nevano, nell’ambito della corrente artistica del tardo manierismo, un natu-ralismo più discreto e “domestico”, consono nei quadri sacri ai dettamidella Controriforma e sostenuto dagli ordini religiosi. Minniti riesce dun-que a creare una commistione tra questo tipo di naturalismo di marca“riformata” e il caravaggismo vero e proprio, più aderente al reale, in unaformula che sarà accolta con favore in Sicilia sia dalla committenza che daaltri artisti, che in parte, a quanto comincia ad emergere dagli studi, daessa trassero spunto anche come mezzo di conoscenza e di assimilazionedel difficile linguaggio del Caravaggio.

Nel Minniti l’influenza caravaggesca è evidente soprattutto nelle operedatate o databili entro il 1625 circa, successivamente il suo stile apparecondizionato da correnti di gusto che lo indirizzano verso un diverso sensodel colore, adesso utilizzato in una gamma più ampia e dalle tonalità ten-denzialmente chiare, ed una pennellata più mossa ed audace.

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Mario Minniti tra maniera e naturalismo caravaggeschi in Sicilia 377

Minniti visse e operò tra Siracusa e Messina, ma dovette risiedere perqualche tempo anche nell’isola di Malta e a Palermo. Tra le opere più anti-che ricordiamo la Decollazione del Battista (Messina, Museo Regionale),il San Carlo Borromeo (Enna, Palazzo Comunale), il Cristo portacroce ela Flagellazione (Milazzo, Fondazione Lucifero). Verso il 1620 dovrebbedatarsi il Miracolo della vedova di Naim (Messina, Museo Regionale); del1624 e 1625 sono rispettivamente il Miracolo di Santa Chiara (Siracusa,Galleria Regionale di Palazzo Bellomo) e San Benedetto che predisponela propria sepoltura (Siracusa, chiesa di San Benedetto). In un periodosuccessivo dovrebbe invece collocarsi l’Immacolata Concezione delMuseo Regionale di Messina. Tra le ultime opere sono l’altra ImmacolataConcezione del Museo di Messina, proveniente dalla chiesa di PortoSalvo, del 1637, e la Scena allegorica (Catania, Museo Civico di CastelloUrsino), secondo le fonti bibliografiche del 1639.

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UTILIZZO DI TECNICHE DI CAMPIONAMENTO NON DISTRUTTIVE

PER LO STUDIO DI MICRORGANISMI BIODETERIOGENI

DA SUPERFICI DI INTERESSE STORICO-ARTISTICO*

URZÌ C., DE LEO F.

Dipartimento di Scienze Microbiologiche, Genetiche e Molecolari – Università degli Studi diMessina. e-mail: [email protected]; [email protected]

La conoscenza dello stato di conservazione e deterioramento di un’ope-ra d’arte non può prescindere dal campionamento del substrato per le suc-cessive indagini di laboratorio.

Trattandosi tuttavia, di superfici di così importante valore, non sempreè possibile prelevare rilevanti quantità di materiale, per cui, i metodi nondistruttivi sono ovviamente da preferirsi rispetto a quelli che presuppon-gono il prelievo di quantità discrete del campione stesso.

Diversi AA. [1] [2] hanno proposto differenti metodi di campionamen-to per il rilevamento dei biodeteriogeni microbici; i vantaggi e svantaggidei diversi metodi di campionamento (non distruttivi e distruttivi) utiliz-zati nel campo del biodeterioramento sono stati riportati da Urzì e colla-boratori [3] [4].

In questo lavoro, vengono presentati i risultati ottenuti dallo studiodel biodeterioramento di differenti superfici in ambienti ipogei e non,utilizzando opportunamente metodi di campionamento in relazione altipo di alterazione e allo stato di conservazione del materiale oggetto distudio.

In particolare, i campioni sono stati prelevati in corrispondenza di alte-razioni associabili alla microflora cosi come riportato dal Normal 1/90 [5].

In presenza di patine e di biomassa ben evidente sulla superficie e facil-

* Le ricerche sono state effettuate con il contributo P.R.A. 2003 e 2004 e dellaComunità Europea, network “COALITION, n° EVK4 1999-20001” e progetto “CATS,n° EVK4-2000-00028”.

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Utilizzo di tecniche di campionamento non distruttive 379

mente staccabili dal substrato è stato utilizzato il prelievo con bisturi cheha permesso l’analisi quali-quantitativa dei microrganismi coltivabili, co-me pure l’applicazione di tecniche di biologia molecolare per lo studio delprofilo microbico dell’intera popolazione, coltivabile e non, associabile albiodeterioramento. Il metodo non distruttivo del nastro adesivo ha per-messo il campionamento dalla superficie interessata dall’alterazione senzadanneggiare il substrato. Sono stati studiati i microrganismi presenti, man-tenendo i rapporti tra substrato e microrganismi, per determinare i rappor-ti causa effetto delle alterazioni riscontrate, e tra microrganismi, per laconoscenza delle relazioni tra i membri della comunità, che determinanoun’ottimizzazione delle condizioni di permanenza sul substrato stesso. Icampioni prelevati con nastro adesivo hanno permesso uno studio più ap-profondito avvalendosi di tecniche microscopiche (M.O., CLSM, SEM),colturali di tipo qualitativo e molecolari per lo studio in situ, mediantesonde fluorescenti (tecnica FISH [6] [7] [8] specifiche per i microrganismicoinvolti nel biodeterioramento.

BIBLIOGRAFIA

1. E. May, F.J. Lewis. 1988. «Strategies and techniques for the study of bacterial pop-ulations on decaying stonework». In: W. Domaslowski, J. Ciabach (eds.),Proceedings of the 6th International Congress on Deterioration and Conservationof Stone, 2. Nicholas Copernicus University Press, Torun, pp. 59-70.

2. G. Ranalli, P. Pasini, A. Roda. 2000. «Rapid diagnosis of microbial growth andbiocide tratments on stone materials by bioluminescent low-light imaging tech-nique«. In: Fassina, V. (Ed.), Proceedings of the 9th International Congress onDeterioration and Conservation of Stone, 1. Elsevier, Amsterdam, pp. 499-505.

3. C. Urzì, F. De Leo. 2001. «Sampling with adhesive tape strips: an easy and rapidmethod to montor microbial colonization on monument surfaces». Journal ofMicrobiological Methods, 44: pp. 1-11.

4. C. Urzì, F. De Leo, P. Donato, V. La Cono. 2003. «Study of microbial communi-ties colonizing hypogean monument surfaces using nondestructive and destructivesampling methods». In: R.J. Koestler, V.R. Koestler, A.E. Charola and F.E. Nieto-Fernandez, (eds.). Art, Biology, and Conservation: Biodeterioration of Works ofArt. The Metropolitan Museum of Art, New York. pp. 316-327.

5. Commissione Normal, 1990. Raccomandazioni Normal 9/88. Microflora autotro-fa ed eterotrofa: tecniche di isolamento in coltura. Roma: eds. C.N.R. - I. C. R.

6. C. Urzì, P. Albertano. 2001. «Studying phototrophic and heterotrophic microbialcommunities on stone monuments». In: R.J. Doyle. (ed.), Methods in Enzymology,vol. 336, Academic Press, San Diego, CA, pp. 340-355.

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7. V. La Cono, C. Urzì. 2003. «Fluorescent in situ hybridization (FISH) applied onsamples taken with adhesive tape strips». J. Microbiol. Methods, 55: pp. 65-71.

8. C. Urzì, V. La Cono, E. Stackebrandt. (2004). «Design and application of twooligonucleotide probes for the identification of Geodermatophilaceae strains usingFluorescence In Situ Hybridization (FISH)». Environmental Microbiology, 6 (7):pp. 678-685.

380 Urzì, De Leo

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AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche

Area 02 – Scienze fisiche

Area 03 – Scienze chimiche

Area 04 – Scienze della Terra

Area 05 – Scienze biologiche

Area 06 – Scienze mediche

Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie

Area 08 – Ingegneria civile e Architettura

Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione

Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

Area 12 – Scienze giuridiche

Area 13 – Scienze economiche e statistiche

Area 14 – Scienze politiche e sociali

Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su

www.aracneeditrice.it

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Finito di stampare nel mese di agosto del 2011dalla «Ermes. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. »00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15

per conto della «Aracne editrice S.r.l. » di Roma