chiesa, denaro e comunitÀ · c’è un pudore vero e uno falso. non parlare di denaro, sarebbe...

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CHIESA, DENARO E COMUNITÀ a cura del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica IV EDIZIONE Parlare di denaro? Imbarazzante. Non se siamo in banca, o trattiamo un affare, o acquistiamo o vendiamo qualcosa. In questi casi, nessun disagio. Ma se di mezzo c’è la Chiesa cattolica? Se ci sono sacerdoti e vescovi, se c’è la fede? Sacro e profano possono essere mescolati? Eppure la fede esiste perché è un dono di Dio che si incarna in una comunità concreta. Fatta di persone concrete. Fatta di chiese e altri edifici concreti. Ciascuno con le sue esigenze concrete. Se la Chiesa ha bisogno di denaro, è dunque per poter esistere, ossia per svolgere la sua missione nel mondo. E l’imbarazzo? C’è un pudore vero e uno falso. Non parlare di denaro, sarebbe pudore del secondo tipo. Parliamone invece apertamente, perché tutto sia alla luce del sole. Parliamo delle necessità della Chiesa e di come tutti possiamo contribuire, a partire dalle offerte deducibili e dall’otto per mille. Parliamone senza imbarazzi. La credibilità della Chiesa può essere danneggiata dal silenzio, mai dalla chiarezza.

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CHIESA, DENARO

E COMUNITÀ

a cura del Servizio per la promozione

del sostegno economico alla Chiesa cattolica

IV EDIZIONEParlare di denaro? Imbarazzante. Non se

siamo in banca, o trattiamo un affare, o

acquistiamo o vendiamo qualcosa. In questi

casi, nessun disagio. Ma se di mezzo c’è la

Chiesa cattolica? Se ci sono sacerdoti e

vescovi, se c’è la fede? Sacro e profano

possono essere mescolati? Eppure la fede

esiste perché è un dono di Dio che si

incarna in una comunità concreta. Fatta di

persone concrete. Fatta di chiese e altri

edifici concreti. Ciascuno con le sue

esigenze concrete.

Se la Chiesa ha bisogno di denaro, è dunque

per poter esistere, ossia per svolgere la sua

missione nel mondo. E l’imbarazzo? C’è un

pudore vero e uno falso. Non parlare di

denaro, sarebbe pudore del secondo tipo.

Parliamone invece apertamente, perché

tutto sia alla luce del sole. Parliamo delle

necessità della Chiesa e di come tutti

possiamo contribuire, a partire dalle

offerte deducibili e dall’otto per mille.

Parliamone senza imbarazzi. La credibilità

della Chiesa può essere danneggiata dal

silenzio, mai dalla chiarezza.

introduzioneNel 1988 il documento Sovvenire alle necessitàdella Chiesa veniva donato alla comunità ecclesia-le italiana. Obbediva a un bisogno contingente:dare un’informazione completa e corretta suinuovi modi di contribuire alla vita economicadella Chiesa. Per la prima volta si parlava di offer-te deducibili e otto per mille, concetti che oggi,anche se talvolta con qualche approssimazione,sono chiari alla maggioranza degli italiani.Ma c’era di più. In quel testo c’era qualcosa diassolutamente non contingente. Qualcosa desti-nato a restare. Qualcosa che apparteneva alla tra-dizione più autentica e profonda della Chiesa.Erano i motivi ispiratori all’origine non solo delnuovo sistema di sostegno economico, ma di qua-lunque forma di offerta e di aiuto.Partecipazione e trasparenza, i valori-guida diquel documento, esprimono con parole moderne,comprensibili all’uomo di oggi, concetti presentida sempre nella comunità, nella quale tutti sonochiamati a donare in virtù di un forte, profondosenso di appartenenza.Per questo riproponiamo quel testo. È stato riscrit-to nei termini più semplici di cui eravamo capaci,in un tentativo di divulgazione non banale, perrenderlo facilmente leggibile per chiunque, ancheper chi non ha dimestichezza con questi temi.L’abbiamo fatto nella consapevolezza che, comun-que, quei valori non portano vantaggi soltanto alsostegno economico ma, se vissuti davvero, ren-dono più ricca, innanzitutto spiritualmente, l’inte-ra comunità.

Buona lettura.

SERVIZIO PER LA PROMOZIONEDEL SOSTEGNO ECONOMICOALLA CHIESA CATTOLICACEI - CONFERENZA EPISCOPALEITALIANA

Responsabile: Matteo CalabresiVia Aurelia, 46800165 Romawww.sovvenire.it

Testi: Umberto Folena

Foto: Francesco Zizola

Grafica: Aurelio Candido

Stampa: Mediagraf

Le immagini si riferiscono a opere realizzate grazie anche al contributo dei fondi Otto per mille destinato alla ChiesaCattolica.

I edizione: 1998II edizione: 2003III edizione: 2005IV edizione: 2012

Perché parliamo di denaro 6

Che cos’è7 la Chiesa

Per il Vangelo, non per il potere 8

Chi è Gesù 9 Cristo

Palestina, 30 d.C.:la prima cassa 10Meglio dare11 o ricevere?Un cuore solo 11

12 Cosìparlò

GiustinoMegliopoveri 13

Stato sì, Stato no 14

Raccogliere, distribuire 32

34 Hai risorse? Sei libero

35 Credi a ciò che fai

36 Professione VangeloLa paga del prete 37

39 I conti in tascaSenza rete 40

41 Basto a me stessoQuello che 42 predichi,

quello che seiVade retro, vanità

43Un’offerta per dire: grazie 44Il tariffario 45 del cuore

Perché abbiamoparlato di denaro 46

47 Azione!

16L’offerta? Un piacere, un dovere

La mia diocesi, la mia parrocchia,

17 la mia gente1984 prima e dopo 18

19 Stato e Chiesa,separarsi per incontrarsi

20 Risorse sìMa per fare checosa?

Pastorale: musica,parole e gesti 22

Accadeva23 a Corinto24 Contate su di noi

Rispettare la precedenza 25

26 Offerte ravvicinatedel terzo tipo

L’obolo della vedova 27Il tuo denaro,28 il tuo lavoro

Ho bisogno di Te30 Parola d’ordine:trasparenza 31

Perché parliamo didenaro

“Nel linguaggio cristiano, il termineChiesa designa l’assemblea liturgica,ma anche la comunità locale o tutta lacomunità universale dei credenti. Difatto questi tre significati sonoinseparabili. La Chiesa è il popolo cheDio raduna nel mondo intero. Essaesiste nelle comunità locali e si realizzacome assemblea liturgica, soprattuttoeucaristica. Essa vive della Parola e delCorpo di Cristo, divenendo così essastessa Corpo di Cristo.” (Catechismodella Chiesa Cattolica, 752). Èquanto spiega bene il Concilio Vaticano

II specialmente nella CostituzioneLumen gentium: la Chiesa è “Corpodi Cristo” e “noi tutti diventiamomembra di quel corpo” (n. 7). Diversi sono i carismi (i doni delloSpirito) e di conseguenza i ministeri (le responsabilità), ma sacerdoti,religiosi e fedeli laici, di qualunquenazione e condizione di vita fannoparte allo stesso modo della comunitàecclesiale: “Nessuna ineguaglianzaquindi in Cristo e nella Chiesa perriguardo alla stirpe o alla nazione, allacondizione sociale o al sesso” (n. 33).

N e parliamo, non neparliamo? L’argomento

denaro imbarazza. Nonquando siamo in banca, otrattiamo un affare, oacquistiamo o vendiamoqualcosa. In questi casi vatutto bene, siamoperfettamente a nostro agio.Ma se di mezzo c’è la Chiesa?Se ci sono i preti e i vescovi,se insomma di mezzo c’è lafede? Imbarazza eccome. Il denaro è profano, la fede èsacra. Profano e sacropossono essere mescolati?

Eppure la fede esiste perché è un dono di Dio che siincarna nella comunità, ossiaperché c’è una Chiesa e cisono degli uomini che quellafede custodiscono,alimentano, annunciano.

Chiesa fatta, oltre che di persone, anche di pareti e mattoni, che racchiudonospazi entro cui si prega ma che sono da riscaldare e illuminare e, a volte,restaurare. Fatta di mense,case d’accoglienza, luoghidove si studia, si lavora

Che cos’è la Chiesa

e si gioca. Ditesori d’arte. E poi gli uomini,che si dedicanoalla Chiesa atempo pieno, eche hanno leesigenze di ognialtro uomo: untetto, del cibo,degli abiti.

Perché allora nonparlare di denaro,ossia dei mezziche consentono alla Chiesadi proseguire la suamissione? C’è il pudorevero, e c’è il pudore falso.Non parlare di denaro èpudore del secondo tipo.Sbagliato sarebbe tacere,nascondere, occultare.Giusto è invece parlarneapertamente. Perché tuttosia alla luce del sole. La credibilità della Chiesapuò essere danneggiata dal silenzio, mai dallachiarezza.

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Chi è Gesù Cristo

In queste pagine si parla di Gesù Cristo, dandoper scontato che per tutti sia chiaro chi egli sia,che cosa abbia fatto e detto, e quale significatoabbia per la storia dell’umanità intera. D’altrondenoi italiani, nella stragrande maggioranza, nonsolo siamo battezzati nel nome di Cristo, ma cidichiariamo cristiani. L’esperienza suggerisce peròche scontato non è del tutto. Chi è dunque GesùCristo? Qui lo spazio è troppo ristretto per unarisposta che sta tenendo impegnati gli uomini daduemila anni. Basterà porre la domanda:sappiamo davvero chi è, ci è davvero tutto chiaro?E suggerire una risposta utilizzando le parole diGiovanni Paolo II, che a Gesù Cristo ha dedicatonel 1979 la sua prima lettera enciclica, ossiarivolta a tutti gli uomini. La lettera si chiamaRedemptor hominis, che potremmo tradurre“Gesù Cristo redentore dell’umanità”. I brani cheseguono sono tratti dai numeri 9 e 10.Dio manda tra noi suo Figlio, Gesù, “per rivelarel’amore che è sempre più grande di tutto il creato,l’amore che è Lui stesso, perché Dio è amore. E soprattutto l’amore è più grande del peccato,della debolezza, della caducità del creato, più fortedella morte; è amore sempre pronto a sollevare

e a perdonare, sempre pronto ad andare incontro al figliol prodigo (...). Questa rivelazione dell’amore viene anche definita misericordia, e tale rivelazionedell’amore e della misericordia ha nella storia dell’uomo una forma e un nome: si chiama Gesù Cristo”.“L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essereincomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vipartecipa vivamente. E perciò appunto Cristo Redentore (...) rivela pienamentel’uomo all’uomo stesso”.“Il compito fondamentale della Chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, dellanostra, è di dirigere lo sguardo dell’uomo, di indirizzare la coscienza e l’esperienzadi tutta l’umanità verso il mistero di Cristo”.

L a Chiesa cattolica è spirito emateria al tempo stesso. L’ha

voluta così Gesù Cristo. In un certosenso essa è Gesù Cristo, o meglio ilsuo “prolungamento” sulla terra.Cristo muore sulla Croce, risorge, salein cielo. Ma lascia se stesso agli uominiattraverso la comunità dei suoi fedeli.È spirito. È materia. Corpo e sangue,che cosa c’è di più concreto? E il corpoe il sangue diventano concreti evisibili ad ogni messa.

Quel corpo e quel sanguerendono possibile, viva,esistente la comunità deifedeli. Che è materiaperché proprio Cristo l’hapensata così, fatta diuomini normali che vivonouna vita normale eannunciano il Vangeloservendosi di cosemateriali: parlano,scrivono, viaggiano...

La Chiesa si serve delle cose materialicome chiunque altro. Con una differenza, questa sì decisiva.

Assolutamente tutto ciòche la Chiesa usa ha ununico fine: la missione,l’annuncio del Vangelo,

il messaggiodella salvezza:Dio ti ama e Gesù è suoFiglio dato per te.

La Chiesa puòraccogliere espendere denaro.Può avere edifici(santuari ed eremi,cattedrali emonasteri, scuole e teatri,ospedali e cased’accoglienza), mezzidi trasporto, giornalie televisioni...

Puòpossedere tante cose, quelle cose però nonpossiedono lei.

Le cose sono strumenti perannunciare l’amore di Dio, non percercare il potere sulla terra. Chi osserva gli strumenti terrenidella Chiesa, dovrebbe vedernesubito anche l’animo distaccato,l’umiltà, la generosità. Se così nonfosse, la Chiesa non sarebbecredibile. E una Chiesa che non ècredibile è una Chiesa che ha fallito. 8

9Per il Vangelo, non per il potere

L a Chiesa dicedunque di

aver bisogno dimezzi. Ma saràvero? Verificarloè semplice. Bastatornare indietrofino a quel Gesùche ha fondatola Chiesa e aquegli apostoliche ne furono iprimi “mattoni”.Mezzi... Gesù egli apostoliavevano ilproblema dellerisorse. Di checosa vivevano?Pensavano alleloro necessità ifedeli, seguaci e simpatizzanti. Inparticolare il Vangelo parla di alcunedonne. Molto concretamente, ildenaro ricevuto veniva messo in unacassa e affidato a un amministratore.E quale uso se ne faceva?

Serviva ai bisogni diGesù e dei discepoli, perrendere possibile la loromissione, per il culto, peraiutare i poveri.

PALESTINA, 30 D.C.

La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo eun’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva,ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevanotestimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano digrande simpatia. Nessuno infatti fra loro era bisognoso, perché quantipossedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che erastato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi venivadistribuito a ciascuno secondo il bisogno.

(ATTI DEGLI APOSTOLI, 4, 32-35).

Un cuore solo

MEGLIO DARE O RICEVERE?

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Q uando poi la Chiesa cresce e siorganizza, il messaggio è chiaro:

la sua unica ricchezza è Gesù. E i beniterreni? E il denaro? Tutto dipendedal nostro modo di considerarlo. Noiusiamo lui, o lui usa noi? Chi è padrone di chi? Il denaro servead aumentare il nostro potere eprestigio, o per consentire a tutti unavita dignitosa e aprire la strada a Gesùnel segno della carità? Il NuovoTestamento in proposito è chiaro.Nulla di ciò che possediamo èrealmente e totalmente nostro. Ci èaffidato, ma perché possiamo tenerconto delle necessità di chi viveaccanto a noi. Della comunità. Deimeno fortunati. I primi cristianidepongono le loro offerte ai piedidegli apostoli, che conoscono lenecessità della comunità e possonofarne l’uso migliore. Ad esempio,pensano alle comunità più povere.Allora, ad esempio, si organizzavanocollette per la Chiesa madre diGerusalemme.

I fedeli aiutano poi chidedica l’intera sua vita, a tempo pieno, all’annunciodel Vangelo. I più fortunatimettono a disposizione le loro stesse abitazioni perle riunioni delle comunitàe le celebrazioni. Tutti, ma specialmente i più ricchi, sonocontinuamente invitati a ricordarsi del doveredella beneficenza.

Viene loro ricordata la parola diGesù: “Vi è più gioia nel dare che nelricevere”. In generale, man mano che cresce lacomunità aumenta anche laconsapevolezza che è beneconsegnare le risorse alla Chiesaperché sia lei a ridistribuirlesecondo giustizia.

la prima

cassa

P roprio agli inizi. Primi tre secolidell’era cristiana. Quello che

noi oggi chiamiamo welfare state(stato del benessere, o statoassistenziale) non esiste. Chi èpovero, ammalato, indigente nonpuò contare su alcuna forma diaiuto o tutela da parte dello Stato.Figuriamoci la Chiesa, costretta avivere talvolta nellaclandestinità. Alle sue necessità pensanoi fedeli. Come allenecessità dei poveri. Nonche tutto fili via liscio. Leprime comunità non sonosempre quei luoghiidilliaci che talvolta ciimmaginiamo. Se lofossero, l’apostoloGiacomo nella sua lettera(che troviamo nella Bibbia,subito dopo le lettere disan Paolo) non sentirebbeil bisogno di richiamarecon severità chi vaall’adunanza sfoggiandoabiti lussuosi e ricchigioielli, facendosi bello di fronte a chi non ha nulla. La cosa importante, anche per noi oggi, è che il momento

del dono, dell’offerta, della condivisioneè strettamente

Così parlò Giustino

Meglio poveriFratelli miei, non mescolatea favoritismi personali lavostra fede nel Signorenostro Gesù Cristo, Signoredella gloria. Supponiamoche entri in una vostraadunanza qualcuno con unanello d’oro al dito, vestitosplendidamente, ed entrianche un povero con unvestito logoro. Se voiguardate a colui che èvestito splendidamente e glidite: “Tu siediti qui

comodamente”, e al poverodite: “Tu mettiti in piedilì”, oppure: “Siediti qui aipiedi del mio sgabello”, nonfate in voi stessi preferenzee non siete giudici daigiudizi perversi? Ascoltate,fratelli miei carissimi: Dionon ha forse scelto i poveridel mondo per farli ricchicon la fede ed eredi delregno che ha promesso aquelli che lo amano?(LETTERA DI GIACOMO 2, 1-5).

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Dopo la comunione, “coloro chehanno in abbondanza e chevogliono, ciascuno secondo lasua decisione dà quello chevuole e quanto viene raccolto èconsegnato al presidente; eglistesso va ad aiutare gli orfani,le vedove e coloro che sonobisognosi a causa della malattiao per qualche altro motivo,coloro che sono in carcere e glistranieri che sono pellegrini: èinsomma protettore di tutticoloro che sono nel bisogno”.

Già allora la Chiesa svolge, in nome di Gesù Cristo e del suo Vangelo, grazie alle offerte dei fedeli, un evidenteruolo sociale. La sua opera va a beneficio non solodei credenti, ma di tutti i cittadini.

legato all’eucaristia. Che cosa avvenisse davvero lospiega molto bene Giustino, filosofoe martire, che così scriveall’imperatore romano nel 150: “Nelgiorno detto del sole [la domenica],riunendoci tutti in un sol luogodalla città e dalla campagna, si faun’assemblea”.

interessa alla Chiesa, è ovvio. Enaturalmente si prende a cuore lesue sorti. Spesso la aiuta, ancheeconomicamente. Ma è sempregenerosità gratuita? È intelligentericonoscimento del benefico ruolosociale? È l’ammissione che laChiesa, con la sua opera, rendemigliore in tutti sensi la comunitàcivile? O piuttosto, a volte, c’è ildesiderio di controllare chicomunque detiene un “potere” e un’autorità, sia pure spirituali emorali? Una cosa è certa. Già ieri icontributi dei fedeli alla lorocomunità consentivano una vitadignitosa ai sacerdoti e a chi ingenerale dedicava l’intera propriaesistenza al Vangelo.

Stato sì, Stato no

P assa il tempo, gli anni cambiano,la comunità cristiana mette

radici sempre più profonde e siespande. Vogliamo misurare lagenerosità dei fedeli? Nonnascondiamocelo, ci sono degli alti edei bassi. Una cosa soprattuttodiventa decisiva: l’atteggiamentodell’autorità statale. In una societàormai cristianizzata lo Stato si

14 I cristiani, in altritermini, hanno semprecapito quanto fosseimportante che qualcunolavorasse a tempo pieno peril Vangelo e fosse a completadisposizione della comunità.Hanno contribuito anche allacostruzione e allamanutenzione dei luoghi diculto, le chiese. Hanno capitoche è compito della comunitàaiutare i poveri, gliammalati e in genere imeno fortunati. E le offerte?In denaro come in natura,con la possibilità di lascitidi beni, eredità ecostituzione di fondazionipie di vario tipo.

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G ià, le offerte. Ma che cosasono in realtà le offerte

per un buon cristiano? Un optional, come dice chi amal’inglese? Un accessorio, comepreferisce dire chi invece trovapiù comodo ed elegantel’italiano? Soltanto un di più?

In realtà le offerte sono un dovere. Proprio così:qualcosa che è dovuto.

Lo dice a chiare lettere il codicedi diritto canonico, che così sirivolge a tutti i battezzati (inlatino: christifideles, ossia “fedelicristiani”, seguaci di Cristo): “I fedeli hanno il dovere disovvenire alle necessità dellaChiesa”. Lo stesso codice, checontiene le norme che regolanola vita interna della Chiesa,spiega con precisione a checosa servono le risorse messe adisposizione dai battezzati. Ad un unico scopo, l’annunciodel Vangelo. In particolare, il codice indica “il culto divino”:pensiamo alla messadomenicale, ai battesimi, ai matrimoni, ai funerali,dove le parole del Vangelorivivono. Poi “le operedell’apostolato e della carità”:pensiamo ai missionari piùlontani come agli oratori,

Vescovi, diocesi, parroci,parrocchie... Parole chesentiamo e noi stessiusiamo spesso. Ma checosa significano? Laparrocchia è, in parolesemplici, un pezzetto diChiesa posata su di unpezzetto di territorio inmezzo a un pezzetto diumanità. Fanno partedella parrocchia, infatti,tutti i cristiani che viabitano, non solo chi vaa messa alla domenica.Una parrocchia è fattaquindi di persone,innanzitutto, ma anchedi case e strade, alberi e negozi. Questa è la

parrocchia che vediamoe frequentiamo. Essaappartiene ad unpezzetto più grosso diChiesa, la diocesi, o“Chiesa particolare”, chevuol dire appunto “parteviva di Chiesa”. A capodi questa parte c’è ilvescovo, successore degliapostoli. A lui il Papa,successore del capo degliapostoli Pietro, affida unpezzetto di Chiesa. Cheil vescovo suddivide di nuovo affidandone

le porzioni più piccole aiparroci. Complicato?Forse a prima vista.Riassumendo: c’è Chiesadove una comunità, inascolto della Parola diDio, celebra l’eucaristia,che si celebra dove c’è ilvescovo o il sacerdote apresiedere l’assemblea. Tutti poi fannoriferimento al Papa, capo dellaChiesa cattolica, cioè“universale”.

L’offerta? Un piacere, un dovere

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i patronati, i centriparrocchiali più vicini.Infine “l’onesto sostentamentodei ministri sacri”: chi vive atempo pieno per l’annuncio delVangelo va messo nellacondizione di condurreun’esistenza dignitosa, cioè diavere un’abitazione, degli abiti,del cibo, un mezzo di trasporto.Le cose normali di cui habisogno chiunque. La Chiesa ha anche il dirittodi amministrare, vendere ecomprare dei beni perrealizzare quell’unico scopo.E i vescovi, che sono a capodelle comunità diocesane,hanno il compito di ricordareai battezzati il dovere diaiutare economicamente la loro Chiesa.

Un dovere, dunque. Ma anche un piacere, che deriva dallasoddisfazione di farequalcosa di bello e di buono. Dona bene chi dona con il sorriso sulle labbra.Davvero, come ha dettoGesù, c’è più gioia neldare che nel ricevere.

La mia diocesi, la mia parrocchia,

la mia gente

Per dirla tutta, i sacerdotiitaliani potevano apparire

degli “stipendiati” dallo Stato.Ma intanto per la Chiesacattolica arriva il ConcilioVaticano II (1962-1965) e tutti,Chiesa e società, conosconoimportanti cambiamenti dimentalità e sensibilità. In unaparola sola, di cultura. Chiesa e Stato si stimano più di prima,probabilmente. Ma proprio perquesto sentono il bisogno di eliminare ogni possibileconfusione. Di separarsi per poter stare meglio vicini. I rispettivi rappresentanti si siedono allora attorno a un tavolo e alla fine,

nel 1984 firmano gli Accordi di revisione del Concordato.

Che cosa accade? Non entriamonei dettagli. A grandi lineeaccade questo. I vecchi benefici di ogni diocesi finiscono all’Istituto diocesanoper il sostentamento del clero(che d’ora in poi per noi saràl’Idsc), che li amministra e ne destina i redditi al mantenimento economico dei sacerdoti. Dov’è necessario,diocesi e parrocchie vengonoridisegnate per renderle più

1984prima e dopo

Stato e Chiesa,separArsi peR incontrarsi

Le travagliate vicende del Risorgimento avevanocausato l’incameramento di molti beniecclesiastici.

In un certo senso, lo Statonon faceva altro che“restituire” quanto avevatolto. Non era interesse di nessuno che i sacerdotinon avessero di chevivere.

Nel 1929 i PattiLateranensi (Concordato)tra Stato italiano e Chiesacattolica non avevano fattoaltro, a grandi linee, checonfermare questo sistema.E questo è il “prima”. E il “dopo”?

E veniamo alla storiaitaliana più recente. C’è

una data importante, il 1984. E ci sono un prima e un dopo.Il prima. Prima, per garantiredelle entrate alla maggiorparte dei vescovi e dei parroci,c’era un meccanismo moltocomplesso, che sarebbe troppolungo descrivere nei dettagli.Al loro “ufficio pastorale”(l’incarico nella Chiesa) eranolegati dei benefici (terreni,edifici...) che davano deiredditi. Siccome spesso questiredditi non bastavano, lo Stato passava un assegnointegrativo, la “congrua”. Non che lo Stato italiano fossein vena di regali.

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19razionali, ancheeconomicamente. Chi provvedeai sacerdoti? In prima battuta lacomunità parrocchiale diappartenenza; poi l’Idsc; infine,se necessario, l’Istituto centraleper il sostentamento del clero(d’ora in poi, per noi, l’Icsc).

Infine lo Stato continua a intervenire a favore della Chiesa cattolica italiana, ma in forme nuove, più moderne e rispettose della reciproca autonomia.Sopratutto, non interviene piùin modo diretto: direttamentenon versa più un centesimo.

Come vedremo poi, lo Stato si limita a fare da tramite traChiesa e cittadini, attuandone la volontà e facilitando chicontribuisce con un’offertadiretta all’Icsc. Tutto ciò davveroa grandi linee. La riformaavviata nel 1984, in generale, hamesso ordine nella complessarealtà delle risorse della Chiesa.Gli intenti? Principalmente due:condivisione e trasparenza, ossiain forme moderne quantospiegava Giustino nel 150. Ma questo lo vedremo megliotra pochissimo.

Ci sono poi le nuovechiese: sorgono inquartieri recenti, spessoprivi di altri luoghi diincontro. Qui le nuovechiese diventano “centriparrocchiali” dove sicelebra l’eucaristia, maanche ci si incontra, sigioca, si discute, si fasport, cultura, teatro...

Centri a disposizione di tutti, nonsolo di chi va a messa alla domenica.Nuove chiese da costruire. E levecchie da restaurare, senza contareche spesso le chiese d’epocaracchiudono tesori d’arte.

Ci sono i missionari neiPaesi più poveri, che spesso vivonounicamente grazie a noi,se siamo generosi.

Ci sono Chiese cattoliche di altrenazioni che faticano a vivere e chenoi, cattolici di un Paese dall’altotenore di vita, abbiamo il dovere diaiutare. C’è l’ecumenismo, cioè ildialogo con gli altri cristiani in vistadell’unità di tutti fedeli nell’unicoGesù Cristo (cattolici, protestanti,anglicani, ortodossi...) che richiederisorse.

E infine, per ultimisoltanto perché sono loro,molto spesso, a farfunzionare tutto, ci sonoi sacerdoti, che dal 1984possono contare soltantosulla nostra generosità.

Risorse sì

Carità significaintervenire a favore dichi manca dell’essenziale,ossia di chi non ha di chesfamarsi e vestirsi, emanca di un tetto. Masempre più numerosi sono i “nuovi poveri”,

coloro cioè che sono prigionieri delladroga o della malattia psichica; gliammalati terminali di Aids; tantiimmigrati dal terzo mondo. “Fare lacarità”, come si usa dire, è assai piùcomplesso di quanto a volte pensiamo,e richiede grande intelligenzanell’individuare i bisogni di chi ci stavicino. Una sola cosa rende la caritàuguale a quella di un tempo e a quelladel futuro: la necessità di mezzi, chenon bastano mai. 20

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ma per fare che

cosa?

C he siano semplici, sobri,essenziali. Senza alcun tipo di

spreco. Ma la Chiesa ha bisogno dimezzi per la propria missione che- l’abbiamo già detto, ma non èmai inutile ripeterlo - è l’annunciodel Vangelo di Gesù Cristo.Perché? Perché la missione è unasoltanto, ma i modi sono molti. Il Vangelo è annunciato, adesempio, attraverso tutte le attivitàche vanno sotto il nome dipastorale. E la pastorale si rinnovadi continuo. Pastorale significafare catechesi (non solo ilcatechismo parrocchiale, ma anche corsi di aggiornamento,i convegni, eccetera). Ma

si può fare pastorale anche servendosidei mezzi di comunicazione sociale,ossia di giornali, radio, televisione.

Sono mezzi di cui non si può farea meno. Ma sono mezzi costosi,anche se usati con parsimonia.

C’è, soprattutto oggi, la carità. Peralcuni la parola carità si associa e siriduce automaticamente a elemosina.In realtà la carità è di più.

Che cosa significa pastorale? Quando siparla di musica, la pastorale (alfemminile) è una forma musicale vocale o strumentale. La Pastorale per eccellenzaè la sinfonia numero 6 di Beethoven.Quando si parla di cose di Chiesa, c’è ilpastorale (al maschile), il bastone delvescovo, alto e con il manico ricurvo. E c’è la pastorale (al femminile), quellache ci interessa qui ora. In parolesemplici, la pastorale è l’insieme delleattività che mirano a far crescere nellafede una comunità. La parola pastoralericorda Gesù buon pastore e le sue parolea Pietro: “Pasci le mie pecorelle”, ossiadèdicati senza parsimonia agli altri,perché credano. La pastorale è propria deipastori, ossia dei sacerdoti e dei vescovi.Ma la parola ormai viene usata in modo

simile ad apostolato, che il ConcilioVaticano II definisce così: “Questo è ilfine della Chiesa: (...) rendere partecipitutti gli uomini della salvezza operatadalla redenzione e per mezzo di essiordinare effettivamente il mondo intero a Cristo. Tutta l’attività (...) ordinata a questo fine si chiama apostolato, che la Chiesa esercita mediante tutti i suoimembri, naturalmente in modi diversi: la vocazione cristiana infatti è per suanatura anche vocazione all’apostolato”(Apostolicam actuositatem, 2a). In pocheparole, tutti i cristiani sono apostoli; e quando svolgono delle attivitàorganizzate a nome della Chiesa, per rendere più profonda e forte la fedepropria e altrui, e per annunciare il Vangelo, fanno pastorale.

Pastorale:musica,

parolee gesti

A questo punto è chiaro:aiutare economicamente la

Chiesa per le sue tante necessità(in una parola sola, “sovvenire”) è un dovere per ogni cristiano.Dobbiamo però ancora direperché lo è. Qualcuno potrebbepensare: la Chiesa rende deiservizi, chi se ne avvantaggia ègiusto che paghi. Vado a messa? È giusto che paghi la mia quotaper la manutenzione, la pulizia,l’illuminazione e il riscaldamentodell’edificio che uso, e per iltempo che il celebrante mi dedica.Un battesimo, un matrimonio, unfunerale? Stesso discorso. Certo,in questo modo la Chiesaassomiglierebbe a una stazione diservizio: vado, mi servo, pago. Mala Chiesa è ben altro, per fortuna.Eroga dei servizi, è vero. Maerogare servizi è solo un aspetto,forse il più visibile, di ciò che è.

La Chiesa è prima di tuttouna comunità. E tutti coloroche fanno parte di questacomunità sono chiamati afare la propria parte percostruirla. Anche mettendoa disposizione i propribeni, per quanto possibile.

Non sono cose strane o nuove. È esattamente quello che facevanoi primi cristiani.

San Paolo ad esempio scrive allacomunità di Corinto (secondalettera, 8, 13-15) chiedendo lorodi aiutare i fratelli delle Chiesedi Macedonia: “Non si tratta dimettere in ristrettezza voi persollevare gli altri, ma di fareuguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza suppliscaalla loro indigenza, perchéanche la loro abbondanzasupplisca alla vostra indigenza,e vi sia uguaglianza, come stascritto: colui che raccolse moltonon abbondò, e colui cheraccolse poco non ebbe dimeno”. Paolo chiede ai fedeli di Corinto, che vivono bene, di dare il loro superfluo.

Non per pagare qualche forma di pedaggio, ma in nome della comunione.

E chiama in causa il loro sensodi responsabilità, che inconcreto vuol dire: sentirsiresponsabili non solo dellapropria piccola comunità, madella Chiesa intera, a partire da chi è nella Chiesa con noi e come noi ma ha meno risorse di noi. Naturalmente, i primi a darel’esempio devono essere ipastori, vescovi e preti.Altrimenti l’invito a esseregenerosi e responsabili saràgenerico e vuoto.

Accadeva a Corinto22 23

A chi, concretamente, darela propria offerta?

Noi fedeli siamo lasciati liberi.Tuttavia siamo anche invitati arispettare alcune precedenze.

E’ ovvio, ad esempio, che il primo pensiero vada alla comunità di appartenenza,quella che frequentiamo e ci è più vicina.

Rispettare la

precedenza

Spesso è la comunità dove siamonati come cristiani: lì siamo statibattezzati, abbiamo ricevuto per la prima volta l’eucaristia, abbiamoappreso le verità del Vangelo. È normale e giusto che le siamoriconoscenti. Ma la nostracomunità è parte di una diocesi;che è parte della Chiesa universale,con a capo il Papa, a cui sirivolgono le Chiese quando hannodelle necessità; e che ha tante altrediocesi sorelle, alcune più ricche,altre più povere. Poi, bastaguardarsi attorno: ci sono conventie monasteri dove c’è chi pregaanche per noi, notte e giorno;associazioni che si dedicanogratuitamente ai bambini, aigiovani, agli anziani, ai poveri, agli ammalati, ai carcerati; e ancorachi valorizza il patrimonio artisticoe chi s’impegna per la crescita e la diffusione della culturad’ispirazione cristiana.

Sarebbe bene poterpensare a tutti,perché tuttimeritano la nostragenerosità, e a vantaggio

di tutti va il loro impegno.In particolare, le offertededucibili per il sostentamento del clerosono il primo modo,diretto e raccomandato,per aiutare tutti isacerdoti italiani, vicinie lontani, e permettereloro di dedicarsicompletamente al Vangelo.

Contatesu di noiA llora, su chi può e deve contare

la Chiesa? Ovvio, su di noi. Noi fedeli, noi comunità cristiane. Lo Stato, come vedremo presto, entra in gioco, sempre in modo corretto e trasparente, ma solo per fare la volontà dei cittadini. Per primi ci siamo noi, però. Noi battezzati.

Con il battesimo entriamo a far parte della comunità. E farne parte comporta delleresponsabilità ben precise.Una di queste è garantire alla Chiesa le risorseeconomiche per poterannunciare il Vangelo con la pastorale, la carità, eccetera.L’atteggiamento di un cristiano cheaiuta la sua Chiesa è diverso daquello del cittadino che paga le tasse: il cristiano agisce spintodalla fede e dall’amore, il cittadinoper un altrettanto nobile ma più semplice senso del dovere. E lo Stato? Lo Stato osserva e valuta.Guarda la Chiesa e valuta la sua presenza.Osserva e giudica ciò che la Chiesa dice e fa. La Chiesache educa ai valori della giustizia, del rispetto della personaumana, della solidarietà. La Chiesa che interviene a favore dei bambini, dei giovani, degli anziani. Dei poveri e degli ammalati.Delle famiglie. La Chiesa che

con i suoi centri parrocchiali,le scuole, gli ospedali, le comunità d’accoglienza, i sacerdoti e i volontaricontribuisce a rendere più saldo il tessuto sociale e ad alleviare le fatiche e le sofferenze di tantiitaliani. La Chiesa che cercadi far crescere spiritualmentela società intera.

Non è strano che lo Stato, dopoaver visto e giudicato quantosia importante la presenza della Chiesa, decida di metterlea disposizione delle risorsepubbliche. E’ un segnale per dire: io Stato apprezzo quello che fai, e te lo dimostro.

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base imponibile Irpef, fino ad un massimo di 1.032,91 eurol’anno. In parole povere,paghiamo un po’ meno tasse.Ma un esborso personalecomunque c’è. Al terzo postoviene l’otto per mille del gettitocomplessivo Irpef, che puòessere destinato alla Chiesacattolica con una semplice firmanell’apposita casella. Non è unatassa in più e non ci costa nulla.Semmai, per quei contribuentiche non sono obbligati adichiarare i redditi, “costa” lafatica di dover consegnare unmodulo firmato. In ogni caso,

l’otto per mille ha il grande merito di coinvolgere assolutamente tutti,perché tutti, credenti e non credenti,possono dimostrare di apprezzare ciòche fa la Chiesa, il suo modo di esserevicina alla gente.

Di fatto, oggi il bilancio dellaChiesa dipende in gran parteproprio dal consenso che icittadini le dimostrano con laloro firma. Che non costerànulla, ma è un segno diriconoscenza di enormeimportanza.

Offerte ravvicinate delterzo tipo

A bbiamo visto a chi dare il nostrocontributo. Ma quanto dare?

E come? Le offerte non hanno tutte lo stesso valore. Una sicuramente valepiù di tutte, perché ce lo ha spiegatoGesù. A raccontare l’episodio dellavedova che lascia in offerta tuttoquello che ha è Marco, l’evangelista-giornalista, dei quattro il più breve e attento alla cronaca.

Marco ci dice che l’offerta di maggior valore è quellaassolutamente gratuita, il sacrificio concreto chenon fa calcoli e non misuravantaggi e svantaggi. Pura generosità. L’episodio evangelico haun valore particolareperché la storia dimostrache molte, moltissimeofferte sono state di questogenere, e molte, moltissimeimprese sono statecompiute proprio così.Al secondo posto ci sonole offerte deducibili, acominciare da quelle per ilclero. È vero che c’è unvantaggio fiscale, perchél’offerta viene sottratta alla

Sedutosi davanti al tesoro, osservavacome la folla gettava monete nel tesoro.E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettòdue spiccioli, cioè un quattrino. Allora,chiamati a sé i discepoli, disse loro: “In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri.Poiché tutti hanno dato del lorosuperfluo, essa invece, nella sua povertà,vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”

(VANGELO SECONDO MARCO 12, 41-44).

L’obolo della vedova

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Il tuodenaro,

il tuolavoro

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F are un’offerta? Facile, aparole. Ma perché

l’offerta sia seria, attenta,meditata, oltre che buonicristiani, generosi esolidali, bisogna essere unpo’ storici, psicologi,sociologi.Che cosa vuol dire, cheprima di fare un’offertadobbiamo convocare unacommissione di studio?Naturalmente no, però perfare una buona offerta,ossia un’offerta benindirizzata, uno deveguardare attorno a sé conattenzione. Perché le forme per aiutarela Chiesa, come stiamovedendo, cambiano. Ma cambiano anche lenecessità della Chiesa.Alcuni esempi.

Buona è l’offerta che non è fatta sulla spinta della solaemozione.

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purtroppo alcuni fedelinon sanno ancora cheesistono. Un capitolo a partemeriterebbero le festepatronali, le sagre e altremanifestazioni gioiose. In queste occasioni,proprio perché sono festea cui partecipiamovolentieri, molti sonodisposti a darecontributi economiciparticolarmente generosi. Nulla di male, tutt’altro.Occorre però stare beneattenti ad evitaresprechiche offendono ipoveri e danneggiano una

Chiesa che avrebbe tantealtre necessità urgenti. Ma poi il denaro non èl’unico tipo di offerta. Inmolte circostanzepossiamo dare dell’altro:consulenze amministrativee perizie tecniche gratuite,collaborazione negli ufficiparrocchiali, cura dellachiesa e degli ambientilimitrofi, assistenzadomestica ai sacerdoti...

Il nostro tempo e la nostracompetenza, di qualunquegenere, possono essere l’offertapiù pratica e concreta.

Buona è l’offerta che non è episodica.Buona è l’offertameditata e regolare.Buona è l’offerta che si ripete con scadenze fisse, ad esempio mensili.Buona è l’offerta che dà la precedenza alle necessità dibase della comunitàparrocchiale, della diocesi e dellaChiesa universale, e va a vantaggio di tutti.

I tempi cambiano, sidiceva. Oggi ci sonol’ente parrocchia el’ente diocesi, figurecentrali nella vita enell’organizzazionedella Chiesa:

C ompetenza. Un prete è un prete.

Un fedele laico è unimpiegato, un operaio,un professore, unagricoltore. Un padre e una madre di famiglia.C’è chi sa costruire un muro e chi sa scriverein buon italiano.

Tutti, senza grande sforzo,possono aiutare la comunitàregalando la propriacompetenza.Ovviamente ci vuole la disponibilità dientrambi, del prete a capo della comunità e del fedele laico. In questaoccasione però a noiinteressa soprattutto la competenza di chi sa amministrare. Di chiconosce i bilanci e li sa fare. La responsabilitàfinale resta al vescovo e al parroco. Ma i fedelilaici, dotati di un forte

senso di appartenenzaalla Chiesa e di unacomprovata competenzaprofessionale, sonoespressamente invitati amettersi a disposizione.Alcuni organismi hannoparticolare bisogno diloro: il consigliodiocesano e i consigliparrocchiali per gli affarieconomici, i consigli diamministrazione deglienti ecclesiastici, gliuffici amministrativi dicuria. Considerata lamateria, è scontatoricordare ancora unavolta che la competenzanon basta, se non èaccompagnata dallacarità e dalla prudenza.Il denaro amministrato èin parte o del tuttoproveniente dalleofferte. Sono gli “obolidella vedova”. Eccoperché occorre tantadelicatezza. E subitodopo, una volta stilato ilbilancio, con entrate euscite, occorreinformare.

Il bilancio va reso pubblico. La comunità ha diritto di sapere come sono statiamministrati i contributi che ha donato.

Nel caso poi dell’otto permille, lo Stato e l’interasocietà devono essere ingrado di verificare comeè stata utilizzata la quotache gli italiani hannoassegnato alla Chiesa.

Hobisogno diTE

Parolad’ordine:

trasparenzaA tutte le comunità, poi,deve essere dato conto,secondo le norme stabilite,della gestione dei beni, deiredditi, delle offerte, perrispetto alle persone e alleloro intenzioni, pergaranzia di correttezza, ditrasparenza e di puntualitàe per educare un autenticospirito di famiglia nellestesse comunità cristiane.

Competenza degli operatori,trasparenza delle gestioni,ecclesialità di stile e dimetodo, coinvolgimentocostante di tutta lacomunità: sono questi icriteri, e nello stesso tempole garanzie, diun’amministrazionedavvero ecclesiale.

(C.E.I., SOVVENIRE ALLENECESSITÀ DELLA CHIESA, 16).

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Una buona amministrazioneecclesiastica. Ecco un ottimoobiettivo per il qualelavorare, senza ipocrisie, con estrema chiarezza.

Basti pensare ai danniprovocati da episodi diamministrazionesuperficiale oapprossimativa, limitatidi numero mainevitabilmente messi inevidenza da giornali etelevisione. Danni allacausa del Vangelo. Danniper chi, nella Chiesa,amministra invece concompetenza e trasparenza. Qui non c’è spazio perentrare nei dettagli.Basterà dire che lenorme, chiare e precise,ci sono. E tutti devonorispettarle. Poi c’è la particolaresituazione italiana. Da noi c’è una grandequantità di enti,istituzioni e iniziative chevivono dellagenerosità dei fedeli.

La pluralità è senz’altroun valore, perché tantistrumenti e di diversogenere rendonopossibili tanti interventi(assistenziali, culturali,caritativi...) diversi. La pluralità è buona se è vera pluralità, senza inutili doppioni. Se non diventadispersione eframmentarietà. Se nondanneggia lacomunione. In particolare, lapluralità è buona se facomunque riferimentoalla diocesi e al vescovo,che è segno concretodell’unità.

Specialmente quando il vescovo indica unapriorità, tutti sonochiamati a dare il propriocontributo, insieme, uniti. Il vescovo guarda a tutta la Chiesa diocesana. Sa individuare le situazionidi abbondanza e di necessità,spesso nascoste.

Raccogliere,

distribuire

E può ridistribuire le risorseobbedendo allo stesso spirito a cui san Paolo richiamava la comunità di Corinto:

“Non si tratta di mettere in ristrettezza voi persollevare gli altri, ma di fare uguaglianza”.

Con un’espressionetecnica diremmo: fareperequazione, chesignifica: distribuire lerisorse in modo giusto eparitario. Quando ilvescovo chiama, tuttidobbiamo sentire ildovere di rispondere.32 33

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Credi a ciò che fai

A questo puntodovrebbe essere

chiaro. La raccolta dellerisorse necessarie allacomunità non è undiscorso separato daglialtri. Al contrario, è unaspetto della vitacomunitaria. La primaconseguenza è altrettantochiara: per educare i fedelia dare, la prima cosa, lacosa più importante, èessere una comunità vera,buona, unita. Una famigliadi credenti. Ma questa èappunto la prima cosa, lapremessa. Altrimenti nonsaremmo qui a parlare dirisorse. Occorre ancheinformare la comunità.Spiegare bene che dietro ilsemplice gesto diun’offerta, in qualunqueforma essa venga data,ci sono una storia e una teologia, insommatutto quello che abbiamo visto finora.

Il gesto semplice, per moltiabituale, di dare un’offerta, se è compiuto consapevolmenteda chi sa quello che fa, è ungesto profondamente ecclesiale.

Hairisorse?

La gente impara a darevolentieri alla Chiesa quandovede che essa crede alla Parolache predica, ha la passione per ilservizio operoso, mostragenialità creativa per rispondereai bisogni di tutti, maspecialmente dei ragazzi e deigiovani, dei malati e deisofferenti, degli antichi e nuovipoveri, di quanti si dedicanosenza risparmio a Dio e aifratelli nella vita consacrata, nelministero pastorale,nell’impegno missionariosecondo gli orizzonti dellamondialità.(CEI, SOVVENIRE ALLE NECESSITÀ

DELLA CHIESA, 18).Bisogna poi spiegare atutti che nessuno intendearricchirsi. Ma una certadisponibilità di mezzi, siapure poveri, è garanzia dilibertà. Chi ha mezzipropri non devedipendere da nessuno.

Sei libero

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M a in quale modo oggi isacerdoti vengono remunerati?

A loro deve pensare innanzitutto lapropria comunità. Bisogna tenereconto, ovviamente, degli eventualistipendi che il sacerdote già riceve,magari perché insegna. La Cei(conferenza episcopale italiana, ossiai nostri vescovi) ha stabilito qual è laremunerazione di un sacerdote. Se comunità ed eventuale stipendionon la garantiscono, interviene inprima battuta l’Idsc, e in secondal’Icsc. Quest’ultimo attinge alle dueforme di sostegno previste dagliaccordi del 1984: le offerte deducibilie la quota dell’otto per mille delgettito Irpef assegnata dai cittadinialla Chiesa cattolica. Un sistema “centralizzato”, diràqualcuno. Verissimo.

Infatti è un sistema chegarantisce giustizia eperequazione. Nessuno èabbandonato a se stesso. Nonpuò e non deve accadere cheil sacerdote della comunitàricca non ha pensieri e quellodella comunità povera non sa come sbarcare il lunario. Il secondo potrà contare sulla generosità di tutti.

Forse non sappiamo chi siano e dovevivano questi sacerdoti. Nonconosciamo il loro volto e il loronome. Ma facendo un’offertadeducibile, e firmando per l’otto permille alla Chiesa cattolica,permettiamo loro di dedicarsi atempo pieno al Vangelo esattamentecome tutti gli altri sacerdoti.Pensiamoci.

S an Paolo, scrivendo alla comunitàdi Corinto la sua prima lettera, è

molto chiaro: “Il Signore ha dispostoche quelli che annunziano il Vangelovivano del Vangelo”. E chi vive atempo pieno per l’annuncio delVangelo? I vescovi, i sacerdoti e ireligiosi che si dedicano a unaparrocchia. Sono i moderni operai delVangelo. A loro va assicurata unaremunerazione che consenta una vitadignitosa, per sé e per chieventualmente li assiste. Va assicurataanche la previdenza sociale. Non saràné l’unico né il più importante deiproblemi. Ma è sicuramente unproblema nuovo. Ha infatti poco più di venti anni,essendo una causa degli accordi del1984 tra Stato e Chiesa.

I sacerdoti non hannopiù alcuna garanziaautomatica, nonricevono più nulladirettamente dalloStato. Eppure restano i sacerdotiche noi vogliamoavere a disposizione, sempre, quandoabbiamo bisogno di loro.

Adisposizioneperché liberi da altreincombenze. Adisposizioneperché“vivonodel Vangelo”.

Professione vangeloLa paga

del

prete

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Quanto riceve a fine meseun sacerdote diocesano?Prendiamo un casospecifico.Don Ugo è un sacerdotecon 30 anni di serviziopresso una parrocchia con 5.000 abitanti. Ogni mese può contare su € 1.070,55 netti. Ma come si calcola questaremunerazione? Partiamodal suo punteggio pari ad un tetto di 100 punti:

80 punti base8 punti in quantoparroco di parrocchiacon oltre 4.000 abitanti

12 punti di anzianità (per ogni quinquennioha diritto infatti a 2 punti: 30:5x2=12)

Valore del punto per l’anno 2012: € 12,36x100 punti = € 1.236,00

È importante, quindi, che a Don Ugo in base alle delibere della C.E.I.,vengano garantiti

€ 1.236,00 lordi mensili. Se il sacerdote supera o raggiunge tale limite per proprie risorse (es. stipendi o pensioni),l’Icsc non integra nulla. Seegli, invece, non ha altre risorse o risorse inferiori al tettostabilito, l’Icsc concorrefino a integrazione di tale tetto. Nel caso in questione, a Don Ugo che è parroco di unaparrocchia con 5.000abitanti, per la quale il Vescovo ha stabilito che la quota parrocchiale pro-capite sia di € 0,07230(corrispondenti alle vecchie 140 lire), la parrocchia stessa deve garantire il corrispondente di € 0,07230x5.000=€ 361,50che arrotondate a € 362,00 concorrono al tetto stabilito.

euro 1.236,00

base imponibilemensile

euro 362,00

somma già riscossadalle risorse della parrocchia

Euro 898,72

integrazione lordadell’Icsc

Euro 190,17

imposta netta dovuta(secondo le aliquotevigenti) calcolatasull’imponibile fiscaleda sottrarreall’integrazione lordadell’Icsc per ottenere ilnetto

Euro 1.070,55

importo che Don Ugoavrà ogni mese,ottenuta dalla sommadegli importi nettidell’integrazionedell’Icsc e delle risorsedella parrocchia.

Euro 708,55+ 362,00

I contiin tasca

Dedicarsi a tempo pieno al Vangelo significa peròlasciare tutto per il Vangelo.Per davvero. Un sacerdote fa questa scelta. Facendola,accetta consapevolmente di vivere nella precarietà.Spesso la sua vita è priva di garanzie.

O meglio la sua unica “garanzia”è il suo popolo, sono i fedeli.Vivere nella precarietà, conun’unica certezza, la fede, puònon essere facile. Molti sacerdotipossiedono appena il necessarioe ciò li fa sentire liberi e sereni.Ma altri, in alcuni momenti dellaloro vita, possono appariresfiduciati. Fatalmente, lapreoccupazione per la propriasicurezza economica li renderàpiù attaccati al denaro.L’esperienza ci dice che ai primi,quelli fiduciosi, la carità deifedeli non fa mancare ilnecessario, ed anzi ne dà inavanzo; con i secondi invece ilflusso della carità inaridisce.Certo, essere pensierosi talvoltaè inevitabile, specialmentequando si avvicina la vecchiaia.

Le cose da fare, per i sacerdoti, sono perciò due:dimostrare di essere solidalitra di loro, aiutandosifraternamente; ed educare la comunità a saperliaccogliere anche quandosaranno meno efficienti.

Senza rete

Ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione; ho imparato a essere povero e ho imparato a esserericco: sono iniziato a tutto, in ognimaniera: alla sazietà e alla fame,all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà forza. (LETTERA DI SAN PAOLO AI FILIPPESI, 4, 11-13).

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Bastoa me stesso

L a comunità accoglie isacerdoti che sanno essere

credibili, perché coerenti conquel Vangelo del quale vivono atempo pieno.

E’ evidente che chi invitaalla semplicità e allatrasparenza dev’esseresemplice e trasparente perprimo. I preti soprattuttosono invitati (dalConcilio e dal codice di diritto canonico, oltreche dal Vangelo e dal buonsenso) a evitare tutto ciò che possa allontanarei poveri.

Se possiedono dei beni, maidovranno usarli per finicontrari al Vangelo. Se neserviranno per condurre unavita dignitosa. E quel che restalo useranno per il bene dellaChiesa e per le opere di carità.

Guai quindi ad approfittare del proprio ruolo peraccumulare ricchezze.

Devono infine ricordarsi difare testamento, per evitareche beni della Chiesafiniscano per arricchire i loro parenti. C’è però una cosa che anchei fedeli laici devonoricordarsi. Il sacerdote è il legale amministratore e responsabile dei beni della Chiesa. Lo è il parroconella parrocchia, lo è il vescovo nella diocesi. Non è quindi eccezionale madel tutto normale che gli capiti di amministrarequantità talvoltaconsiderevoli di denaro,necessario per la carità, la pastorale, il culto. Denaro al serviziodel Vangelo.

quello che predichi, quello chesei

Vade retro, vanità

Un decreto del Concilio VaticanoII, Presbyterorum ordinis(su ministero e vita sacerdotale; i presbiteri sono i sacerdoti), al numero 17 parla a lungo di “distacco dai beni terreni epovertà volontaria da ricercare”.Ecco i brani principali.“Quanto ai beni ecclesiasticipropriamente detti, i sacerdotidevono amministrarli (...) a norma delle leggi ecclesiastiche,e possibilmente con l’aiuto di esperti laici (...). Quanto poi ai beni che si procurano inoccasione dell’esercizio di qualcheufficio ecclesiastico, i presbiteri,come pure i vescovi, (...) devonoimpiegarli anzitutto per il proprioonesto mantenimento e perl’assolvimento dei doveri

del proprio stato; il rimanente saràbene destinarlo per il bene della Chiesa e per le opere di carità. Non trattino dunquel’ufficio ecclesiastico comeoccasione di guadagno, né impieghino il reddito che nederivi per aumentare le sostanzedella propria famiglia. I sacerdoti,quindi, senza affezionarsi in modoalcuno alle ricchezze, debbonoevitare ogni bramosia e astenersida qualsiasi tipo di commercio”.“I presbiteri, come pure i vescovi,cerchino di evitare tutto ciò chepossa in qualsiasi modo indurre i poveri ad allontanarsi, e piùancora degli altri discepoli del Signore vedano di eliminarenelle proprie cose ogni ombra di vanità”.

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Un’offerta

per dire:grazie

D i sacerdoti e vescoviabbiamo detto.

E i fedeli laici? La responsabilità di provvedereeconomicamente allaChiesa torna a loro, propriocome un tempo, alle origini,quando tutto cominciò.Questione di dovere,penserà qualcuno. Giusto.Ma prima ancora è questione di fede e di affetto, che dannosenso al dovere. Prima di tutto c’è questo pensiero:

la Chiesa è cosamia, io leappartengo e leimi appartiene.Se credo in GesùCristo, se hoquesta speranzadentro al cuore e non ladisperazione, è merito suo,

e della Chiesa chemi ha accolto.Quindi mi sentoresponsabile:

tocca anche a mecontribuire perché questaChiesa possa accoglieretanti altri come me. Vicini.E lontani, lontanissimi, chemai vedrò ma che esistonoe hanno bisogno di me,perché io appartengo a loro e loro a me.

L’offerta, allora,smette di essere un sempliceesborso di denaroe diventa ungesto dicomunione.

E mentre do la mia offertanon pretendo neppurealcun segno diriconoscenza, perchéquella mia offerta è unsegno di riconoscenza.

Iltariffario del cuoreU na delle offerte più

frequenti è

quella che si dà al parrocochiedendogli di celebrare la messa perqualche nostraintenzioneparticolare,

in genere per unparente defunto. In questo casoparticolare, la Chiesa

rivolge dueraccomandazioni. La prima ai preti. Non c’è alcun rigido“tariffario” (in ogniregione i vescovi si limitano a suggerire,con elasticità, delletariffe orientative). Anzi, specialmente daipiù poveri bisognerebbeessere disposti a nonricevere alcuna offerta. La seconda ai fedelilaici: si tratta diun’occasione speciale

per ricordarsi dellenecessità del sacerdotee della comunità, per dimostrare con unsegno concretol’amicizia e la riconoscenza verso il prete.Nessunacontrattazione e nessuncommercio,dunque.

Ma due invitiassolutamente chiari.

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azione!

A llora l’abbiamo fatto.Abbiamo parlato di

soldi. Senza fronzoli, senzaimbarazzi (speriamo),senza falsi pudori.

Abbiamo capito che la Chiesanon è un’azienda. Che non sono i mezzi a farela Chiesa. Ma che la Chiesaha comunque bisogno di mezzi. Quelli essenziali.E sempre e solo perrealizzare il suo unico, vero fine: l’annuncio del Vangelo.

Se ne siamo convinti, isoldi non incutono timore,né attirano morbosamente.Possiamo usarli con serenodistacco, ricordandoci chesono di tutta la Chiesa, eche la Chiesa è grande,

passa attraverso la nostracomunità in cui viviamo,ma non comincia néfinisce lì. Se poi abbiamodei dubbi (e chi non ne hamai?), su come, quanto equando dare, valga pertutti l’invito di san Paolo,che così scriveva nella suaseconda lettera allacomunità di Corinto (9,7):“Ciascuno dia secondoquanto ha deciso nel suocuore, non con tristezza nécon forza, perché Dio amachi dona con gioia”.

Perché abbiamo parlato

di denaro• Chi invece presenta il modello Unico o il 730, devefirmare nello spazio “Chiesacattolica”... ricordandoselo anchese il commercialista o il Caf sidimenticano di rammentarvelo.

La seconda cosa da fare è l’offerta deducibile per il sostentamento del clero.

Le offerte possono essere quante volete e l’importo è libero, però la deducibilità è fino euro 1.032,91 ogni anno. Le offerte si possono fare con i bollettini di conto correntepostale (c/c 57803009) che si trovano negli uffici postali, in parrocchia, o allegati ad alcune riviste verso la finedell’anno. O nelle banche con un bonifico a favore dell’Icsc.O ancora con un’offerta versatadirettamente presso gli Idsc. In tutti e tre i casi, le ricevutevanno conservate e allegate alla dichiarazione dei redditi.

www.sovvenire.it

A desso tocca a noi. Le cose dafare sono in fondo semplici.

La prima è la firma perpartecipare alla destinazionedell’otto per mille del gettitoIrpef alla Chiesa cattolica.

• Chi ha il solo reddito di lavoroo la pensione, e riceve il modelloCUD (Certificazine UnicaDipendenti), deve metterla daparte. Se non si è tenuti apresentare la dichiarazione deiredditi, a maggio è il momentodi riprendere il proprio modelloCUD, mettere due firme (nellacasella “Chiesa cattolica” e nellospazio sottostante dove sidichiara di non avere altriredditi), chiuderne una copia inuna busta, scriverci sopracognome e nome, codice fiscale,la dicitura “Scelta per ladestinazione dell’8 e del 5 per mille dell’Irpef, anno ****”,e consegnarla in un ufficiopostale. Ricordatevi di ritirare la ricevuta.

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