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Con il patrocinio diMinistero dei Beni e delle attività culturali e del turismoComune di Bellaria Igea Marina

Con il contributo diRegione Emilia-Romagna

Stefano Bonaccini presidenteMassimo Mezzetti assessore alla Cultura

Comune di Bellaria Igea MarinaEnzo Ceccarelli sindacoIvan Cecchini dirigente Affari generali e servizi

CoordinamentoBellaria Igea Marina Servizi srlDaniele Vorazzo presidente

Direzione artisticaSimone Bruscia

Giuria Gianfranco Pannone presidenteNatalie CristianiAlberto LastrucciMarco MiganiEnza Negroni

Comitato di selezioneMassimiliano MaltoniJacopo MoscaSimone Pinchiorri

OrganizzazioneCristiana Agostini

SegreteriaSerena Barberini

Segreteria di giuriaIrene Barbi

Assistenza all’organizzazioneEnrico GarattoniMarialuce Venturi

Responsabili di spazioLucia GavelliGiacomo GiovagnoliJennifer Zanga

Info pointMartina Lorenzini

ComunicazioneMichela Giorgini

Ufficio stampa Comune di Bellaria Igea MarinaRaffaele Rizzuti

PromozioneAlex Pieri

RedazioneMirco Depaoli

Social media managerMariagrazia Cavallo

Teaser, sigleInserire Floppino (Marco Migani)

Foto di scena e videoDiane (Ilaria Scarpa, Luca Telleschi)

AllestimentiSimone Tribuiani

Immagine manifestoValentina D’Accardi, Simone Tribuiani

Grafica manifestoInéditart (Elisabetta Angeli)

Artwork premiClaudio Ballestracci

ProiezioniCarlo Masini

TecnicaAlterecho

Un ringraziamento aAlessandro Agnoletti, Marco Antonio Bazzocchi, Luca Capriotti, Margherita Cenni, Sabina Crociati, Roberto Ferrara, Manuela Fonseca, Gualtiero Gori, Saverio Gori, Antonella Montanari, Laura Moretti, Gian Guido Nobili, Sara Paci, Enrico Pastore, Fulvia Pedroni Farassino, Giorgio Pironi, Corinne Quadarella, Serena Riformato, Elisa Savini, Loris Savini, Sergio Savini, Mattia Visani, famiglia Zignani, Gianluigi Zurlo

inec [’là psus]ː

308 309— Neorealismo —

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Se non la realtàNon hanno più meta le nostre pigre passeggiate, se non la realtà.

(Tommaso Landolfi)

Siamo soli e gli aggettivi sono tutti crollati intorno a noi come croste. Il campo dove viviamo è spianato, non ha più mura, non c’è nemmeno una lapide che può richiamare i lamenti

di una volta. Se restasse ancora un ponte alle nostre spalle, dovremo non esitare a tagliarlo, per rimanere veramente di fronte a noi, per impedirci la fuga da ciò che siamo. Non la

considerate una condizione di grazia questa? (Cesare Zavattini)

Il Bellaria Film Festival nasce nel 1983 come Anteprima per il cinema indipendente italiano e dal 2006, grazie alla lungimirante intuizione di uno dei suoi curatori più attenti e decisivi, Fabrizio Grosoli, ha consolidato la sua vocazione per il racconto

del reale. Basta voltarsi un attimo, giusto una sbirciatina, anche fugace, al passato, per scoprire la straordinaria parabola di questo festival, una traiettoria unica, tracciata ad arte, scandita a meraviglia, dalla ricerca scrupolosa, dall’impegno militante e appassionato, di studiosi e intellettuali che hanno segnato la storia della critica cinematografica del nostro tempo. Tra i protagonisti, a plasmare l’identità di questa manifestazione, spesso riuniti in comitati e direzioni plurali e condivise, concentrati a esplorare novità e avanguardie del cinema nostrano, spiccano, oltre al già citato Grosoli, personalità del calibro di Morando Morandini, Gianni Volpi, Enrico Ghezzi, Antonio Costa, Roberto Silvestri e Alberto Farassino.

Proprio a Farassino, esponente della «giovane critica» degli anni Settanta, docente universitario e firma indimenticata del quotidiano «la Repubblica», il Bellaria Film Festival decide di dedicare, quest’anno, la trentacinquesima edizione, cogliendo a virtuoso pretesto la preziosa iniziativa editoriale intrapresa con indiscutibile e meritorio coraggio dai tipi di Cue Press. Partecipare alla riedizione di questo splendido libro-catalogo, unico nel suo genere, ci è parso da subito un atto dovuto, mossi da un doppio intento, tener viva la memoria di uno storico compagno di viaggio del festival e rendere omaggio a uno straordinario intellettuale che con i suoi studi ha nobilitato la critica del nostro Paese, coniugando un lavoro di scavo puntuale a un approccio mai scontato né accademico. Esemplare è la sua curatela di questa pubblicazione. I contributi qui raccolti, corredati di saggi, racconti e testimonianze, costituiscono ancor oggi, forse, a distanza di quasi trent’anni, la più approfondita e originale, di certo la più intrigante e curiosa, ricognizione dedicata al neorealismo. Nella sua lunga e articolata premessa, attingendo a piene mani dal lessico scolastico, Farassino identifica il neorealismo con «l’italiano del cinema italiano», evidenziando la «tematica della nazionalità»: il neorealismo come «una grammatica, un riferimento comune […] a cui, anche storiograficamente, continuamente si ritorna; su cui ciclicamente si discute e si scrive». Ed è seguendo questo filo, riflettendo intorno al neorealismo come ricerca continua, come istanza aperta, che proveremo a cogliere osservazioni

e concetti di un’avventura che procede oltre il suo periodo storico: riflessi e lampi di un progetto praticabile che ci appare sempre attuale.

Alla presentazione del volume il Bellaria Film Festival dedica un evento speciale cui partecipano due delle persone più legate a Farassino: la moglie Fulvia Pedroni, fotografa attiva anche al festival a metà degli anni Ottanta, e il critico Tatti Sanguineti, che con Farassino ha lavorato, viaggiato, scritto, visto film e condiviso avventure per tanti anni. A mettere a fuoco l’interesse di altre arti per la realtà, ad approfondire la pulsione documentaristica della letteratura, facendo valere così, a mo’ di parafrasi, s’intende, quel principio di coralità a fondamento dell’esperienza neorealista per Roberto Rossellini, intervengono, inoltre, Marco Antonio Bazzocchi, docente dell’Università di Bologna e direttore scientifico del Museo La Casa Rossa di Bellaria Igea Marina, e Hans Tuzzi, scrittore colto e raffinato. A entrambi il compito di dispiegare la mappa e allargare i confini di un’avventura tutt’altro che monolitica, ma da sempre «multiforme e sfuggente come un’anguilla» (cfr. Maria Corti, Neorealismo, in Il viaggio testuale, Torino, Einaudi, 1978, pp. 25-98). A congiungere idealmente, infine, neorealismo e cinema del reale è Isola di fuoco, «concerto per visioni» del musicista siciliano Colapesce, che in un dialogo tra sonorità, parole e immagini incontra i film di Vittorio De Seta, padre indiscusso del documentario italiano.

In un altro dei suoi contributi critici, Fuori di set. Viaggi, esplorazioni, emigrazioni, nomadismi, un libro bellissimo, nato anzitutto dall’esperienza di direzione e organizzazione di Riminicinema, Alberto Farassino racconta la storia del cinema a partire dalla descrizione deleuziana dell'immagine-movimento, prendendo le mosse dall’immagine simbolica di un treno che arriva in stazione: «Il cinema d’altra parte è un’esperienza vicaria del viaggio. All’inizio è un viaggio compiuto da altri, che si tratta solo di guardare con meraviglia: la storia dell’immaginario cinematografico comincia appunto con un treno, quello che arriva alla stazioncina di La Ciotat, località di villeggiatura nel sud della Francia, in uno dei primissimi film dei fratelli Lumière» (cfr. Alberto Farassino, Fuori di set. Viaggi, esplorazioni, emigrazioni, nomadismi, Roma, Bulzoni, 2000, p. 14). Il viaggio di questa 35ª edizione è fatto di molte tappe e visioni, scandite dalla migliore produzione documentaristica italiana dell’anno, e si conclude rincorrendo il macchinista Johnnie Gray, a cavallo della locomotiva The General, nelle sue frenetiche e burlesche fughe attraverso gli spazi sconfinati del Tennessee. Il capolavoro di Buster Keaton viene proiettato dopo la cerimonia di premiazione, come evento di chiusura del festival, con una colonna sonora composta ed eseguita dal vivo da Stefano Bollani. Per l’occasione abbiamo deciso di allestire schermo e palco in una delle location più suggestive di Bellaria Igea Marina, il parco della Casa Rossa di Alfredo Panzini. Un parco che comincia dove termina un camposanto di vecchie attrazioni e scivoli d’acqua, l’Aquabell, e culmina su una duna dove da sempre è possibile fissare negli occhi il sole mentre sorge sull’Adriatico. A delimitare il confine tra il parco e il mare solo una striscia inesorabile di strada ferrata. Ed eccolo, dunque, il cinema, sfuggente, pronto a sfrecciare: un treno avventuroso e indomabile, alimentato a stupore e meraviglia, in viaggio verso il divenire del mondo. (Simone Bruscia)

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Alberto Farassino e Vittorio De Seta: esplorazioni dell’immagine verosimile

Mai, nel reale, la forma percepita è perfetta. C’è sempre del mosso, delle sbavature e un eccesso di materia. Il dramma cinematografico ha una trama più serrata rispetto

ai drammi della vita reale e si svolge in un mondo più esatto del mondo reale.(Maurice Merleau-Ponty)

Siamo abituati a scrutare il mare dalla riva. E non ci rendiamo conto di quanto il mare sia un punto privilegiato per osservare ciò che accade sulla terraferma. Si possono esaminare, senza esser visti, i movimenti della gente, i riflessi del

mondo; l’orizzonte è ampissimo e per lo più senza ostacoli. Il lavoro del cinema, e quello di un festival, somigliano un po’ a questo. Il Bellaria Film Festival da sempre mette il suo occhio dietro alle lenti di un cannocchiale che (ci) osserva per cercare di comprendere a fondo le istanze che rendono il cinema del reale particolarmente efficace. Per farlo è solito girare la prospettiva, rompere gli schemi. Rivoluzionare il punto di vista: un po’ come hanno fatto i due uomini di cinema a cui l’edizione 35 ha deciso di dedicare un’attenzione speciale.

Alberto Farassino ha reinventato la critica italiana attraverso un approccio mai banale né accademico. Il volume che state sfogliando ne è una limpida testimonianza. Affrontare il neorealismo è un po’ tentare di dare forma all’acqua. La prima vera intuizione è stata smentire il carattere omogeneo dei suoi autori: solo riconoscendo personalità estetiche diverse fra loro si può collocare correttamente il cinema neorealista nella storia dell’immagine. «Se certamente» dice Farassino «il neorealismo non è tutto e nemmeno la parte preponderante del cinema italiano del dopoguerra – senza di esso quasi tutto questo cinema sarebbe certamente stato molto diverso. E quasi ogni film e ogni autore trova il suo modo personale […] di lasciarsi sedurre dallo spirito o a volte dalla moda neorealista, di accoglierne un po’ al suo interno.»

Il neorealismo è andato alla ricerca dell’imperfezione del reale; ha tentato di sovvertire le regole della narrazione, di sperimentare l’improvvisazione, si è sforzato di ridurre la barriera tra la realtà e la sua riproduzione. La constatazione di ciò che avviene e la riflessione che ciò debba implicare. Lo scopo verso cui tutto il cinema muoveva dopo le esperienze avanguardistiche era la verosimiglianza; con il neorealismo si scioglie definitivamente il dilemma che sorge ogni volta che un cineasta vuole documentare evitando di manipolare la materia. Non può farlo. Perché semplicemente designando il punto dove collocare la cinepresa egli compie un gesto politico, confermando quanto sia illusoria e fuorviante qualsiasi credenza circa l’oggettività del reale.

Se poi la forma analitica è quella del documentario, il paradosso diviene ancora più severo. La realtà non esiste. O meglio: il reale è il risultato dell’azione dei mezzi del cinema sull’esistenza. Il cinema di Vittorio De Seta irrompe in Italia quando il dibattito sul neorealismo e sulla verosimiglianza nell’arte ancora infiamma cineasti e intellettuali. I suoi film raccontano un mondo in via d’estinzione che

il suo occhio ha colto alle prese con il lavoro quotidiano. Un lavoro dai tratti arcaici, quasi religiosi. Il lavoro come elemento legato alla vita in maniera indissolubile e primigenia. Tali suggestioni hanno ispirato una moltitudine di grandi registi: Martin Scorsese lo ha definito «un antropologo che si esprimeva con la voce di un poeta». E la forma accompagna compiutamente il contenuto: De Seta rinuncia all’apparentemente inevitabile voce fuori campo lasciandosi alle spalle ogni prospettiva storicistica del neorealismo per diventare racconto puro.

Scrive Alberto Farassino: «Vittorio De Seta si premunì di arginarne la furia devastatrice documentando il legame profondo tra l’uomo e la natura dove questo si conservava ancora intatto. Mettendo in scena la tragedia, l’epica, l’Opera della natura». Dunque il suono della natura diviene rilevante. De Seta lavora sulle melodie ambientali compiendo una vera e propria sonorizzazione della natura; un accorgimento tecnico rivoluzionario. È questa una delle caratteristiche estetiche che ha ispirato Colapesce in uno «spettacolo visivo» che illuminerà lo spazio del Cinema Astra, completando l’incursione del Bellaria Film Festival nel cinema di Vittorio De Seta.

Colapesce, artista siciliano come De Seta, si è immerso per settimane nei film del maestro – in particolare Isole di fuoco, girato a Stromboli – sonorizzando le immagini con brani arrangiati ad hoc. Il pentagramma diventa un cine-occhio attento e foriero di sorprese continue: si libra in volo sopra paesaggi e storie d’altri tempi, scandendone il ritmo con la musica. Quale evento avrebbe potuto incarnare in modo più completo l’anima del Bellaria Film Festival? Celebrare uno dei padri del documentario italiano con un evento crossmediale in cui si incontrano estetiche apparentemente diversissime in cerca di ispirazione reciproca.

Il mare è oggetto di una parte consistente della ricerca creativa di Colapesce come lo è per De Seta: di fronte alla natura matrigna, proprio come dinanzi alla realtà, l’uomo è continuamente ossessionato (e distratto) dal bello. Abbiamo voluto immaginare un’onda anomala che unisse gli scogli di Stromboli alla Riviera romagnola, la critica saggia e curiosa di Alberto Farassino e i cineasti da essa raccontati. E chissà che non venga voglia anche a voi spettatori di andare verso il mare. Per cambiare prospettiva. (Jacopo Mosca)

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Concorso Italia DocLa storia del cinema indipendente italiano si lega

indissolubilmente al nome del Bellaria Film Festival. Da qui sono transitati registi affermati, militanti, ma anche autori che si sono persi, ritrovati o che hanno avuto solo un fugace momento di gloria. Il Bellaria Film Festival è sempre stato, ed è tuttora, un laboratorio di idee e di anime, che hanno la loro naturale sede nel concorso Italia Doc. Quest’anno sono dieci i film presentati in questa sezione, dieci declinazioni del cinema del reale, dieci opere che contengono ciascuna una propria originalità e un proprio stile narrativo. Un programma vasto e articolato, che mostrerà ancora una volta come la pratica artistica del documentario sia in costante e continuo rinnovamento.

Menzione Gianni Volpi. Oltre al premio Italia Doc, la giuria ha la facoltà di assegnare una menzione speciale dedicata alla memoria di Gianni Volpi, studioso, critico cinematografico e direttore artistico del Bellaria Film Festival fino al 1992, nonché presidente dell’Associazione italiana amici cinema d’essai e del Centro nazionale del cortometraggio.

’A facciadi Fabrizio LivigniItalia 2016, 53 minutiprima visione italiana

Salvatore Iodice è un falegname. Ha la sua bottega nei Quartieri spagnoli di Napoli ed è un uomo pieno di iniziativa. Usando materiali di scarto costruisce fantasiosi cestini dell’immondizia, personalizzati per i negozi e le botteghe del rione, cartelli informativi per i turisti e panchine per gli anziani. Cerca così di rendere migliore il posto in cui vive, ma non è solo. I Quartieri sono abitati da persone che, con il loro lavoro quotidiano, la solidarietà, l’educazione e la cultura, sostengono il progresso della comunità. Dall’Orchestra sinfonica dei Quartieri spagnoli, composta dai bambini del rione e basata sul sistema pedagogico di José Antonio Abreu, fino alla palestra di karate di Karen Torre, ricavata nella cappella barocca di una chiesa, l’opera di Salvatore è sempre presente e ci guida in un viaggio attraverso questa parte vitale di Napoli, che si sta svincolando dalla cattiva reputazione per imporsi come laboratorio di futuro. Tra i vicoli, Salvatore è pronto alla sua più grande iniziativa e tutto il rione accorre a vedere. Con vernice e pennelli, si appresta a ridare la faccia a un famoso monumento popolare dei Quartieri: il murale di Maradona.

Regia: Fabrizio Livigni Sceneggiatura: Fabrizio Livigni, Severino Iuliano Fotografia: Gianluca Sansevrino Montaggio: Severino Iuliano, Adriano Patruno Produzione: Redigital snc

Fabrizio Livigni (Napoli 1975), dopo la laurea al Dams e una carriera da aiuto regista che lo ha portato a collaborare con i registi Fabio Segatori (Lupi, 2001, Hollywood Flies, 2005) e Davide Manuli (Beket, 2008, La leggenda di Kaspar Hauser, 2012), lavorando anche in produzioni internazionali in Canada, ha intrapreso la via della sceneggiatura e della regia. Nel 2010 ha diretto Giuseppe Battiston nel cortometraggio indipendente Matilda. Con la sceneggiatura Il gran finale, scritta in collaborazione con Alessandro Giulietti e Severino Iuliano, ha vinto il premio Luigi Bandera al BAFF 2011 e una menzione speciale al Sonar 2011.

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Fugh int i scapàin di Marco Landini e Gianluca Marcon Italia 2016, 29 minutiprima visione italiana

Elia pedala veloce per le stradine di Gatteo Mare, è in ritardo, sono le 5.35 e il Bagno Corrado è ancora chiuso. Antonietta è a casa, si è appena svegliata e sta facendo colazione. È ancora buio, Elia arriva trafelato, poggia la bicicletta da una parte e inizia i preparativi per l’apertura. Antonietta si prova gli orecchini nuovi, poi con gesti veloci si sistema i capelli e finisce di lucidare le scarpe: è pronta. Antonietta va in vacanza in Romagna da quando aveva dodici anni, perché la fabbrica dove lavorava suo padre regalava a tutta la famiglia le «sabbiature» estive. Una mattina, alla fine degli anni Sessanta, Antonietta si è presentata al Bagno Corrado e ha infilato cento lire nel juke-box scegliendo una mazurca, un valzer e una polka. La moglie del proprietario l’ha vista ballare da sola, l’ha cinta alla vita e ha iniziato a danzare con lei. Il giorno dopo si è ripetuta la stessa scena e la notizia si è sparsa. Da allora, tutte le mattine d’estate, dalle 6.30 alle 8, il Bagno Corrado si trasforma in balera. C’è Guido, che vive a Gatteo e ha imparato a ballare da quando è vedovo, Silvana che viene da Milano e si mantiene giovane con il movimento, e poi Mario che abita su in collina e all’inizio diceva «ma quelli sono matti ad andare a ballare alle sei e mezza». L’ultimo tango scorre lento sulla pista, il vociare dei turisti si agita pigro dagli alberghi: sono le 8 e un’altra giornata di vacanze è alle porte.

Regia: Marco Landini, Gianluca MarconSoggetto, sceneggiatura: Gianluca MarconFotografia, montaggio: Marco LandiniOttimizzazione montaggio: Gabriele De PasqualeMusiche: La grande orchestra della Romagna, Luca Bergamini, Orchestra Titti Bianchi, Roberta Cappelletti, Valerio Borghesi, Betobahia, Orchestra Grande Evento, Orchestra Folklore di Romagna, Orchestra La storia di RomagnaProduzione: Fufilm

Marco Landini (Bologna 1972) è operatore di ripresa freelance nel settore del broadcast, con la passione della fotografia. Il suo primo documentario Dove osano le mucche (2010) è stato premiato in diversi festival. Ha diretto anche Ortobello. Primo concorso di bellezza per orti (2013, insieme a Gianluca Marcon) e The human horses (2014, insieme a Rosario Simanella) partecipando a varie rassegne internazionali.

Gianluca Marcon (Alessandria 1974), dopo aver lavorato come analista chimico in fabbrica, a ventisette anni ha deciso di studiare cinema e si è trasferito a Bologna. Nel 2011 ha firmato il suo primo documentario E noi ve lo diciamo, seguito nel 2013 da Ortobello. Primo concorso di bellezza per orti, realizzato insieme a Marco Landini. Nel 2014 ha scritto The human horses per la regia di Rosario Simanella e Marco Landini, e nel 2015 Magar women.

Immadi Pasquale MarinoItalia 2017, 50 minutiprima visione italiana

Sono passati dieci anni da quando Imma Dininni, attrice e poetessa pugliese, ha vinto il reality Uno due tre stalla. Da allora ha tentato di sfondare, senza mai riuscirci, e oggi si barcamena tra provini e delusioni, poesie e performance teatrali. La sua condizione non è poi così diversa da quella di tanti altri che cercano di fare cinema e arte, a partire dal regista del film, Pasquale Marino, che si è messo in discussione chiedendo ai suoi sceneggiatori, Alessandro Aniballi e Giordano De Luca, di entrare in scena nel ruolo di sé stessi, a certificare un senso di fallimento comune. Perché come diceva il grande regista teatrale Tadeusz Kantor: «Non è vero che l’artista è un eroe e un conquistatore intrepido come ci insegna la leggenda convenzionale. Credetemi, è un uomo povero e senz’armi, poiché ha scelto il suo posto faccia a faccia con la paura». E questa è la condizione di Imma.

Regia, montaggio: Pasquale MarinoSceneggiatura: Alessandro Aniballi, Giordano De Luca, Pasquale MarinoFotografia: Valentina BelliMissaggio del suono: Federico TummoloMusiche: Alessandro Grazian, Ulisse MazzagattiCorrezione colore: Vincenzo MarineseProduzione: Pasquale Marino (Sloop Film), Lupo Marziale (Upupa Film)Cast: Imma Dininni, Alessandro Aniballi, Giordano De Luca, Paola Tarantino, Claudio Losavio, Pino Le Pera, Marco Cacciapuoti, Elisa Menchicchi, Massimo Gaudioso

Pasquale Marino (Messina 1981) è diplomato in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia. Ha realizzato vari cortometraggi tra cui, nel 2009, Venere non sorride, Le sorelle Pasetto (presentato al Bellaria Film Festival), La prova dell’uovo (presentato al Torino Film Festival). Il suo saggio di diploma L’estate che non viene (2011), prodotto da CSC e Rai Cinema, è stato selezionato al Festival di Cannes, nella sezione Cinéfondation, e ha vinto il premio Siae Circuito Off. Con il progetto di lungometraggio Portorosa ha partecipato alla ventiquattresima Résidence Cinéfondation del Festival di Cannes. Nel 2013 ha vinto il bando di sviluppo sceneggiatura per coproduzioni tra Italia e Brasile con il lungometraggio dal titolo provvisorio Qualcosa rimane (sceneggiatura di Alessandro Aniballi e Giordano De Luca).

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Le canzoni di Giovanni RosaItalia 2016, 70 minuti

La calda estate palermitana è scandita da concerti di piazza, karaoke e feste di quartiere che hanno per protagonisti cantanti, improvvisati e semiprofessionisti, di musica neomelodica. Ogni rione concorre all’allestimento di questi microeventi che in molte zone della città sono tra i rari momenti aggregativi: gli abitanti li chiamano «le canzoni». Immancabile a queste manifestazioni, la famiglia Maniscalco sogna un futuro da artista per il piccolo Vincenzo, che sale sui palchi imitando le movenze del suo idolo Mimmo Fini. Il bambino abita in un palazzo fatiscente dello Sperone, una delle maggiori piazze di spaccio di Palermo, e i genitori Cosimo e Liliana devono fare i conti con una situazione economica molto difficile. Ciò nonostante provano in ogni modo ad assecondare le aspirazioni del figlio: anche se non ha voce, credono romanticamente in un suo dono di natura. Tra sogni facili e ingenue illusioni, il film racconta la voglia di riscatto di un’intera famiglia, un desiderio che si concentra nella voce sgraziata di un bambino e nella sua unica canzone: Mi sono innamorato.

Regia, sceneggiatura, fotografia: Giovanni RosaAssistente alla regia: Rocco PascaleMontaggio: Donato SileoSuono: Riccardo Cannella, Giovanni Totaro, Biagio Gurrieri, Domenico PenninoMusiche: Clementino (’O vient), Enrico CondelliProduzione: Labirinto Visivo, Centro Sperimentale di CinematografiaCast: Cosimo Maniscalco, Vincenzo Maniscalco, Rosaria Maniscalco, Liliana Leto, Mimmo Fini

Giovanni Rosa (Potenza 1984) si è laureato in storia contemporanea a Napoli e si è formato presso il Centro Sperimentale di Cinematografia a Palermo (corso di regia e documentario storico e artistico). I suoi interessi spaziano dal cinema documentario alla progettazione culturale. Nel 2014 è stato premiato al Palermo Film Festival per lo spot Ciuri ca curri e ha partecipato al Festival di Locarno, nella sezione scuole internazionali di cinema, con il corto Il fascino non discreto dell’aristocrazia. Tra i suoi lavori: Pepputto e Dio delle Zecche (premio Fice 2015).

Le scandalose. Women in crimedi Gianfranco GiagniItalia 2016, 57 minuti

Streghe, isteriche, donne che uccidono per follia, gelosia, disperazione, vendetta, soldi. L’Italia esce dalla guerra, il fascismo è sconfitto e la libertà ritrovata restituisce alla cronaca nera un ruolo d’eccellenza. Accompagnate dagli articoli d’epoca di Dino Buzzati, Tommaso Besozzi, Vitaliano Brancati, Camilla Cederna, Hans Magnus Enzensberger, le assassine più famose dell’epoca si confessano: dalla saponificatrice Leonarda Cianciulli a Rina Fort, dalle sorelle Lidia e Franca Cataldi alla contessa Pia Bellentani, da Pupetta Maresca a Doretta Graneris. E mentre il Paese pretende di mostrare un volto frivolo e leggero, alimentato dai consumi e dal nuovo perbenismo, nella realtà che ha perso ogni innocenza, delitto dopo delitto, le donne delinquenti si trasformano: da fattucchiere a criminali. Le scandalose racconta tutto questo con le immagini di repertorio dell’Istituto Luce e sequenze tratte da documentari di Luigi Comencini, Luciano Emmer, Valerio Zurlini, Citto Maselli, Basilio Franchina. Il film, selezionato nella cinquina dei finalisti ai Nastri d’argento (sezione Cinema del reale), comprende anche riprese originali girate nell’ex manicomio criminale di Aversa, nel Museo del crimine e nel Palazzo della Cassazione a Roma.

Regia, musiche: Gianfranco GiagniSoggetto, sceneggiatura: Patrizia Pistagnesi, Silvana MazzocchiFotografia: Aniello GriecoMontaggio: Luca OnoratiMontaggio del suono: Marco FurlaniMissaggio del suono: Andrea Malavasi Voci: Sonia Bergamasco, Claudio Santamaria, Daniela Di Giusto Correzione colore: Vincenzo Marinese Effetti visivi: Luigi CammucaRicerche d’archivio: Nathalie Giacobino, Cecilia SpanoProduzione esecutiva: Maura CosenzaProduzione: Istituto Luce Cinecittà

Gianfranco Giagni (Roma 1952) è autore di due lungometraggi di finzione – Il nido del ragno (1989) e Nella terra di nessuno (2001) – e di numerosi film documentari presentati nelle più importanti rassegne internazionali. Vanno ricordati in particolare: Rosabella: la storia italiana di Orson Welles (1993), Sartoria Tirelli: vestire il cinema (2006) e Dante Ferretti. Scenografo italiano (2010), film premiato con il Nastro d’argento e il Globo d’oro. Tra i lavori più recenti, va segnalato Carlo! (2012), documentario sulla vita di Carlo Verdone diretto insieme a Fabio Ferzetti. Ha lavorato anche per la televisione, girando alcuni dei primi videoclip musicali italiani negli anni Ottanta e diverse fiction per Rai e Mediaset negli anni Novanta. Ha inoltre curato la regia televisiva dell’Orfeo di Claudio Monteverdi, nella versione di Luca Ronconi (1998).

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Più libero di prima di Adriano Sforzi Italia 2017, 74 minuti

Tomaso Bruno è un ventenne italiano come tanti. Benestante, inquieto e viaggiatore, parte per l’India all’inizio del 2010: lì troverà la morte di un amico, un’accusa d’omicidio priva di fondamento e la condanna al carcere a vita. Ma nei lunghi anni in cella Tomaso resiste, ricorda, immagina, legge e scrive migliaia di lettere, in cui racconta come stia trovando un’insperata libertà dentro quattro mura d’ingiustizia. Il film cammina sul ponte simbolico che ha unito la Liguria a Varanasi per 1600 giorni, in attesa dell’ultima, definitiva, sentenza della Corte suprema indiana. Le immagini dei viaggi in India e dell’attesa ad Albenga si combinano alle animazioni visionarie di Olga Tranchini, allieva di Gianluigi Toccafondo, e al materiale d’archivio, per raccontare un romanzo di formazione scritto inconsapevolmente dal suo protagonista.

Regia, soggetto: Adriano SforziSceneggiatura: Adriano Sforzi, Federica IacobelliFotografia: Marco FerriMontaggio: Riccardo Spezialetti, Paolo MarzoniMusiche: Daniele FurlatiPost-produzione, correzione colore: Walter CavatoiProduzione: Ivan Olgiati (Articolture), Stefano Perlo (Ouvert)Con il contributo di: Regione Piemonte, Torino Piemonte Film Commission, Genova-Liguria Film Commission, CEMAS

Adriano Sforzi (Asti 1976) è erede di un’antica famiglia circense e fino ai quindici anni ha girato l’Italia in luna park. Laureato al Dams di Bologna, dal 2001 ha frequentato la bottega Ipotesi Cinema di Ermanno Olmi partecipando alla realizzazione dei documentari Autoritratto italiano e Attese. Ha lavorato come assistente alla regia per Guido Chiesa, Luca Lucini, Ermanno Olmi e nel 2003 ha debuttato alla regia con il corto La delizia del parco. Seguono Nano e Fausto (2006), diversi corti realizzati con gli alunni delle scuole di Bologna e nel 2010 Jody delle giostre, corto premiato con il David di Donatello 2011. Nel 2015 ha scritto e diretto L’equilibrio del cucchiaino, documentario con cui ha vinto il premio del pubblico al Biografilm Festival.

Sagre balere di Alessandro StevanonItalia 2017, 75 minutiprima visione italiana

Omar cresce nella periferia di Milano ed è destinato a fare il carrozziere, ma negli anni d’oro del liscio si lascia ispirare dalle voci ascoltate nella più grande discoteca d’Italia, lo Studio Zeta, e proprio da lì inizia la sua carriera di cantante di musica da ballo. Dopo alcuni anni conosce Adele, suo grande amore e manager, che lo trasforma in un’icona capace di riempire piazze, locali e feste di paese. Il film racconta la loro storia, riprendendoli durante il lungo tour che li ha condotti attraverso l’Italia del Nord nel decimo anno di attività della loro orchestra. A scandire questo road movie sono le voci della più famosa radio italiana dedicata al genere e di Angelo Zibetti, patron dell’emittente e proprietario del mitico Studio Zeta. Lui, che ha scoperto Omar vent’anni fa, oggi lo incorona re di una forma di intrattenimento che sembra alle battute finali.

Regia, fotografia: Alessandro StevanonSoggetto, sceneggiatura: Eleonora Mastropietro, Alessandro StevanonMontaggio: Fabio Bianchini PepegnaSuono in presa diretta, montaggio del suono: Giovanni CoronaMissaggio del suono: Paolo ArmaoMusiche: Raffaele D’AnelloImmagini di archivio: Archivio privato famiglia Zanchi Codazzi, Archivio privato Angelo ZibettiCorrezione colore: Corrado IuvaraProduttore: Daniele Ietri PittonProduzione: La FournaiseCon il sostegno di: Piemonte Doc Film Fund – Fondo regionale per il documentario, Valle d’Aosta DOC-FF Film Fund, Regione Emilia-Romagna, Genova Liguria Film CommissionCast: Omar Codazzi, Adele Zanchi, Angelo Zibetti

Alessandro Stevanon (Aosta 1982), terminati gli studi all’Istituto di Stato per la cinematografia e la tv Roberto Rossellini di Roma, dal 2004 lavora come regista, direttore della fotografia e produttore in Italia e all’estero. Tra il 2011 e il 2016 ha diretto Aquiloni controvento, Lontano da qui, Cahiers, America, Il viaggiatore del Nord e Il sapore della perfezione. Sta lavorando a due nuovi film: La primavera tarda ad arrivare e Il tratto.

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See you in Texas di Vito PalmieriItalia 2016, 74 minuti

Silvia e Andrea hanno poco più di vent’anni, sono innamorati. Vivono in Trentino. Come molti coetanei, amano andare per locali con gli amici e sono costantemente connessi ai social network. Diversamente dai loro amici, all’indomani di una notte brava, non potranno dormire fino a tardi, ma dovranno svegliarsi all’alba. I due ragazzi, infatti, hanno una fattoria e le loro giornate sono scandite da una routine implacabile. Oltre a quella per gli animali, Silvia coltiva anche la passione per il reining, una disciplina equestre per cui si allena duramente. Quando le si presenta l’occasione di andare a perfezionarsi in un ranch del Texas, Silvia va in crisi e non sa cosa fare: partire e mollare tutto o restare?

Regia: Vito PalmieriSoggetto: Vito Palmieri, Francesco Niccolai, Michele D’AttanasioSceneggiatura: Vito Palmieri, Vanessa Picciarelli, Francesco NiccolaiFotografia: Michele D’AttanasioMontaggio: Corrado Iuvara, Paolo MarzoniSuono: Paolo GiulianiMusiche: Daniele FurlatiOrganizzazione generale: Lyda PatitucciDelegato di produzione: Gabriele Lilli Produttori: Matteo Rovere, Andrea ParisProduzione: Ascent Film, in collaborazione con Rai CinemaCast: Andrea Bazzoli, Silvia Beltramolli

Vito Palmieri (Bitonto 1978) ha ottenuto l’apprezzamento della critica con Tana libera tutti (2006), cortometraggio candidato ai David di Donatello e vincitore di oltre cinquanta riconoscimenti, tra cui il premio della giuria al Festival Arcipelago e un premio al festival di Novosibirsk. Dopo i corti Se ci dobbiamo andare, andiamoci (2009), presentato alle Human Rights Nights di Bologna, ed Eclissi di fine stagione (2011), in concorso nella sezione Amnesty International del Giffoni Film Festival, nel 2011 ha diretto Il valzer dello Zecchino. Viaggio in Italia a tre tempi, miglior documentario all’Annecy Cinéma Italien. Seguono nel 2012 i corti Anna bello sguardo, omaggio a Lucio Dalla realizzato con l’Università di Bologna, e Matilde, selezionato al Festival internazionale del cinema di Berlino (sezione Generation) e premiato come miglior corto al Toronto International Film Festival (sezione Kids).

Sopra il fiumedi Vanina LappaItalia 2016, 74 minuti

«Noi siamo troppo all’antica, quello è il problema. Noi guardiamo la luna, guardiamo troppe cose.» Così viene detto ad Angelo, un giovane cameriere che vive a Caselle in Pittari, piccolo comune che sorge su una conca del fiume Bussento, nel Cilento meridionale, ai piedi di una montagna sacra: qui si trova la grotta di San Michele e all’interno, dice la leggenda, è custodito un lontano segreto. Il paese sembra vivere in un tempo sospeso, ancorato a rituali più o meno antichi, come l’uccisione del maiale, la mietitura del grano, oppure la campagna elettorale, vissuta dagli abitanti come un palio rionale. Il ragazzo segue con partecipato distacco. Si confronta con un uomo più grande, che come lui si chiama Angelo: un barista che da dietro il suo bancone gode di un punto d’osservazione privilegiato sulle dinamiche del paese. I due sognano e allo stesso tempo temono la fuga, spaventati al pensiero che andando via possano perdere tutto quello che sono.

Regia, sceneggiatura, montaggio, fotografia: Vanina LappaSuono in presa diretta: Silvia Laureti Sound design e missaggio del suono: Luca LeprottiMusiche: Luca Leprotti, Banda Giuseppe Verdi di Caselle in PittariCorrezione colore: Salvatore LuccheseCast: Angelo Pellegrino, Angelo Soria

Vanina Lappa (Milano 1989), regista e montatrice italofrancese, vive a Bruxelles dove frequenta il master Cinema Réalisation presso l’Institut national supérieur des arts du spectacle. Prima di trasferirsi in Belgio, si è laureata in pittura e arti visive alla Naba di Milano e ha iniziato la sua carriera artistica concentrandosi soprattutto su pittura e videoarte. Il suo primo cortometraggio Aller Retour è stato proiettato al Taratsa International Film Festival di Salonicco. Al momento sta lavorando al film documentario Caro Giacomo, ambientato in Sardegna.

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Vita novadi Danilo Monte e Laura D’AmoreItalia 2016, 80 minuti

Laura e Danilo non riescono ad avere un figlio e decidono di intraprendere la strada della fecondazione assistita. Nei mesi che precedono il primo tentativo di procreazione medicale assistita (PMA) sono spaesati e si rendono conto della complessità dell’esperienza che stanno per affrontare. Decidono allora di filmarsi per lasciare una traccia di quello che stanno vivendo, per elaborare e in futuro poter condividere con altre persone, attraverso il cinema, questa esperienza intensa e inaspettata. Qui inizia Vita nova, un film che parla del sogno di diventare genitori, del miracolo della vita come fatto assolutamente non scontato e della condizione di una coppia di oggi in cerca di un figlio. Laura e Danilo provano a capirne di più mettendosi in gioco in prima persona nella speranza che questo film possa diventare strumento di riflessione per loro e per chi lo vedrà.

Regia, fotografia: Danilo Monte, Laura D’AmoreMontaggio, suono: Danilo MontePost-produzione audio: Sergio LonghitanoCorrezione colore: Simona InfanteProduzione: Danilo Monte, Laura D’Amore, Don Quixote, Polivisioni

Danilo Monte (Casoria 1976) è regista, direttore della fotografia e montatore. Ha iniziato a occuparsi di audiovisivo alla fine degli anni Novanta, quando è nato il video digitale. Nei primi anni Duemila ha partecipato al progetto Indymedia come video-attivista e nello stesso periodo ha cominciato a collaborare con Alberto Grifi: la visione del film Anna di Alberto Grifi e Massimo Sarchielli ha ispirato tutti i suoi lavori. Realizza documentari dal 2003, e la sua produzione è caratterizzata da una forte vocazione realista e autobiografica. Tra i suoi film: Heroes and Heroines (2011, insieme a Filippo Papini), premiato al SalinaDocFest; Ottopunti (2014); Memorie. In viaggio verso Auschwitz (2014), presentato al Bellaria Film Festival e vincitore del premio Avanti al Torino Film Festival.

Laura D’Amore (Milano 1978) ha iniziato la sua carriera nel 2003 collaborando in qualità di produttrice con Studio Azzurro alla realizzazione di installazioni interattive. Nel 2010 ha creato, diretto e promosso (UP) stairs: una notte sui tetti, rassegna di film indipendenti proiettati all’aperto sui tetti di Torino. Oggi è un’insegnante di yoga e una produttrice indipendente di documentari creativi sociali. Con Don Quixote, oltre agli ultimi due film di Danilo Monte, ha prodotto Gente dei bagni di Stefania Bona e Francesca Scalisi. Per la casa di produzione torinese Indyca ha lavorato alla produzione esecutiva di SmoKings di Michele Fornasero (premio Italia Doc al Bellaria Film Festival nel 2015) e Il colore dell’erba di Juliane Blasi Hendel.

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Concorso Casa Rossa Art DocQuattro parole, da pronunciarsi in un solo respiro e che, messe

in fila a due a due, racchiudono e svelano l’identità e la storia del Bellaria Film Festival: «Casa Rossa», fabbricata da Alfredo Panzini nel 1906 al confine nord di Bellaria e autentico laboratorio artistico dello scrittore; «Art Doc», ovvero l’incontro tra l’arte e il cinema del reale. Sono otto i titoli che compongono il concorso, otto titoli che declinano il linguaggio cinematografico dalla forma breve a quella del lungometraggio, nel racconto di differenti discipline artistiche – la fotografia, le arti figurative, la poesia, il teatro, la musica, l’arte della liuteria – disegnando traiettorie narrative che intersecano (e a volte dissacrano) il processo creativo e la rappresentazione, e indagano le contraddizioni del presente. Ricerca, esplorazione, contaminazione, in quella che, come la piccola casetta di Panzini, è la fabbrica creativa del festival, il luogo da cui partire per osservare, discutere, lasciarsi incantare.

Menzione Paolo Rosa. Alla memoria di Paolo Rosa, visionario pioniere dei nuovi media applicati al processo creativo, fondatore e anima di Studio Azzurro, è intitolata la menzione speciale assegnata dalla giuria oltre al premio Casa Rossa Art Doc. L’artista, scomparso nel 2013, vinse il Gabbiano d’oro alla terza edizione del Bellaria Film Festival con L’osservatorio nucleare del signor Nanof.

Angelo Froglia. L’inganno dell’artedi Tommaso MagnanoItalia 2017, 65 minuti

Ricordato dai più come un portuale con l’hobby della pittura, un dilettante, un tossico, uno sbandato, Angelo Froglia ha trascorso un’esistenza spregiudicata, maledetta, sempre nell’ombra, tra laboratori d’arte, lotte politiche, carceri di massima sicurezza, droghe e grandi amori: un vortice di distruzione che ha coinvolto chiunque gli si è avvicinato. Morto sieropositivo nel gennaio del 1997, ha lasciato una grande produzione, non solo pittorica. Un urlo di libertà, violento, provocatorio, intransigente, lanciato da un angolo della provincia italiana e rivolto al mondo intero. Una storia misconosciuta, raccontata dalle voci dei pochi che gli furono vicini e ricostruita attraverso scritti, dipinti e filmati originali dell’artista, oltre ai materiali d’archivio stampa e video dell’epoca, per cercare di rendere giustizia a una figura profonda, complessa e ancora controversa.

Regia: Tommaso MagnanoSoggetto, sceneggiatura: Diego Berrè, Francesco Niccolai, Tommaso MagnanoRiprese: Giulio MiloneMontaggio: Diego BerrèMusiche: Antonio CavicchioniVoce: Guglielmo FavillaTesti: Angelo FrogliaIllustrazioni: Valentina RestivoGrafiche: Angelo UpaliOrganizzazione generale: Clara GipponiProduzione: Ramingo

Tommaso Magnano (Torino 1982) si è laureato in pubblicità e comunicazione a Milano, si è formato con il workshop in filmmaking della PCFE Film School di Praga e con la masterclass di tecnica cinematografica diretta da Marco Bellocchio a Bobbio, e ha frequentato la bottega Ipotesi Cinema di Ermanno Olmi a Bologna. Specializzatosi in produzione cinematografica alla Cineteca di Bologna nel corso diretto da Giuseppe Bertolucci, ha lavorato come autore, producer e regista per progetti audiovisivi indipendenti. Tra i suoi lavori come regista, Vado pazzo per le vacche (2011, vincitore del concorso Cortomatto) e il documentario Fool of Life (2014).

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Da Cremona a Cremona di Maria Averina Bulgaria-Italia 2016, 75 minutilingua originale bulgaroprima visione italiana

Ivan è un giovane liutaio e lavora alla Cremona, una fabbrica bulgara che produce violini, la più grande dell’Est Europa. Come i suoi colleghi di tutto il mondo, però, sogna di lavorare nella vera Cremona, la Terra Santa dei liutai, la culla degli Stradivari, dei Guarnieri e degli Amati. Per raggiungere il suo obiettivo segue un percorso davvero sorprendente, fatto di impegno, segreti antichi e fiuto per gli affari. Nel suo cammino Ivan incontra Eva e Christo Marinov, che lavorano già come liutai nella Cremona italiana, e Stoyanka, che ha rinunciato al suo talento e al sogno di diventare una liutaia e che, ormai da diciassette anni, non fa che costruire tutti i giorni la stessa identica parte di violino nella Cremona bulgara. Riuscirà Ivan ad arrivare a destinazione, o sarà costretto a tornare sui suoi passi? Da Cremona a Cremona è un viaggio emozionale: verso la terra dei propri sogni, verso il futuro dell’arte liutaia e verso la parte più autentica di sé stessi.

Regia, sceneggiatura: Maria Averina Fotografia: Boris Missirkov, Georgi BogdanovMontaggio: Nina AltaparmakovaSuono: Momchil Bozhkov (BFSA)Produzione: Martichka Bozhilova (Agitprop, Bulgaria)Co-produzione: Erica Barbiani (Videomante, Italia) Con il sostegno di: Europa Creativa – Programma Media Unione Europea,Bulgarian National Film Center, Fondo per l’audiovisivo del Friuli Venezia GiuliaCast: Eva Marinov, Christo Marinov, Ivan Bizov, Stoyanka Ivanova

Maria Averina (Mosca 1978) è nata in Russia ma è cresciuta in Bulgaria, dove ha compiuto i suoi studi laureandosi in filologia all’Università di Sofia. Dopo la laurea ha studiato regia cinematografica e televisiva alla Nuova Università Bulgara, per poi perfezionarsi nel cinema documentario alla prestigiosa Royal Holloway di Londra. Ha inoltre lavorato per un’organizzazione non governativa specializzata nell’insegnamento della cultura audiovisiva ai bambini orfani. Il suo film Late Home (2010) è stato premiato come miglior opera prima documentaria dalla film academy della Bulgaria.

Guido Guidi. Cose da nulladi Daniele Pezzi e Agostino CordelliItalia 2016, 23 minuti

Il fotografo Guido Guidi (Cesena 1941) racconta il suo percorso di scoperta e avvicinamento alla fotografia e allo stesso tempo il rapporto con la casa di Ronta dove ancora oggi vive e lavora. Il racconto avviene interamente attraverso la voce fuori campo di Guido Guidi e segue cronologicamente gli eventi salienti della sua formazione, dall’infanzia alla prima esperienza professionale. A questo racconto si alternano episodi legati alla sua casa studio, come i primi interventi di riparazione dopo i bombardamenti avvenuti durante la guerra, o le modifiche apportate in seguito alla costruzione del viadotto dell’A14 nei pressi dell’edificio. Dal punto di vista visivo, la storia è accompagnata da una sequenza fluida di inquadrature fisse cercate con cura, nella casa e nei terreni circostanti, nel tentativo di trasferire nell’immagine in movimento i soggetti e lo stile del Guido Guidi fotografo. Nel finale le sue fotografie, chiuse dentro casse di legno, abbandonano l’autore per essere esposte in una mostra in Belgio. Caricate su un furgone, si allontanano dalla casa decretando la fine della visione.

Regia, riprese: Daniele Pezzi, Agostino CordelliMontaggio: Daniele PezziMissaggio del suono: Giovanni LamiMusiche: Debora PenazziVoce: Guido Guidi

Daniele Pezzi (Ravenna 1977) si è laureato nel 2005 in architettura a Venezia con una tesi sul porto industriale di Ravenna. Nel 2007 è stato tra gli artisti selezionati al corso superiore di arti visive presso la Fondazione Antonio Ratti di Como, con Joan Jonas come docente. Dal 2003 lavora come artista realizzando video, fotografie e installazioni esposte in spazi come la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, il Museo di Villa Croce di Genova, la Galleria comunale di arte contemporanea di Monfalcone, il Permm in Russia. Dal 2004 al 2007 è stato membro fondatore di Shoggoth, un collettivo artistico che con il video Travelgum ha vinto nel 2004 il premio progetto video della Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro. Dal 2007 affianca alla produzione video-artistica un’attività sempre più intensa di produzione di documentari, video musicali e film. Nel 2014 è stato in residenza in Francia per il progetto Piano Alto, dove ha realizzato il lungometraggio Tiresia.

Agostino Cordelli (Ispica 1955) si è diplomato all’Isef di Bologna nel 1979 e lavora nella scuola media come insegnante di sostegno. Nel 2006 si è laureato in scultura all’Accademia di belle arti di Ravenna con una tesi su Luigi Ghirri. Ha partecipato ad alcune mostre fotografiche sia personali che collettive. Oltre al documentario Guido Guidi. Cose da nulla, nel 2016 ha realizzato il video Fine.

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Hidden photosdi Davide Grotta Italia 2016, 68 minuti lingua originale: khmer

A quarant’anni dall’inizio del regime dei Khmer Rossi, Kim Hak, giovane e talentuoso fotografo cambogiano, cerca un nuovo immaginario per il suo Paese. La sua carriera inizia da alcune fotografie di famiglia nascoste sotto terra dalla madre prima della guerra e ritrovate solo dopo la sconfitta dei Khmer Rossi: le immagini di Hak ci porteranno in una Cambogia fuori da qualunque luogo comune. Intanto Nhem Ein, fotografo di regime dei Khmer Rossi che ha ritratto le vittime del genocidio di Tuol Sleng in circa 14.000 scatti, vuole affermarsi come imprenditore del cosiddetto dark tourism. Una delle sue idee su come trarre profitto da quelle macabre testimonianze ci sorprenderà amaramente.

Regia, sceneggiatura: Davide GrottaAssistenti alla regia: Hoeung Soeum, Gabriele BorghiFotografia: Alexander FontanaMontaggio, suono in presa diretta: Gabriele BorghiSound design: Marco OberMusiche: Daigoro VitelloProduzione: ZeLIG

Davide Grotta (Palermo 1983), laureato in archeologia navale, ha cominciato a guardare dentro una macchina fotografica sott’acqua, lavorando nel mondo dell’archeologia subacquea. Rapito dal fascino del quotidiano, nel 2009 ha iniziato a collaborare con l’agenzia fotogiornalistica AGF, specializzandosi in tematiche legate alla politica e all’economia. Ha continuato la sua ricerca fotografica a Phnom Penh, dove ha vissuto per due anni, concentrandosi sulla relazione tra identità dell’uomo e l’influenza della cultura di massa. Nel 2016 ha concluso i suoi studi in regia alla scuola di cinema documentario ZeLIG.

Pensare la pietradi Stefano Saverioni e Gianfranco SpitilliItalia 2016, 11 minutiprima visione italiana

Nella Laga profonda ci sono paesi che resistono e ci sono i faggi, i funghi e le pietre. E c’è chi con le pietre lavora, crea, pensa. Serafino Zilli di Frattoli e Paris Orsini di Rocca Santa Maria non sono solo tra gli ultimi scalpellini di queste montagne sconosciute e suggestive, ma sono filosofi e maestri di vita, scultori di arenarie e di pensieri. Vederli lavorare è assistere a un’alchimia segreta: nel battito ipnotico e mutevole dello scalpello, nella polvere sospesa di roccia, la materia cambia forma e segue a forza le linee di un’idea, di una figura, di un’immagine. In questa cangiante aria sonora battere e riflettere significano resistere.

Regia, montaggio: Stefano SaverioniSoggetto, sceneggiatura: Stefano Saverioni, Gianfranco SpitilliMusiche: Emiliano DanteProduzione: Co.Re.Com Abruzzo, Associazione culturale BambunCast: Serafino Zilli, Paris Orsini

Stefano Saverioni (Teramo 1977) è regista e direttore della fotografia. Il suo film Diario di un curato di montagna ha ricevuto la nomination ai David di Donatello 2009 come miglior documentario di lungometraggio. I suoi lavori sono stati trasmessi da broadcaster nazionali (Rai, La7) e internazionali (BBC World, Fox, RSI, Arte France, Planet TV, Televisió de Catalunya).

Gianfranco Spitilli (Teramo 1975) si è laureato in etnologia alla Sapienza di Roma, dove ha conseguito anche il dottorato in etnoantropologia analizzando un nucleo cerimoniale di feste con animali bovini nell’Italia centrale. Svolge ricerche nel campo dell’etnologia religiosa, dell’etnomusicologia e dell’antropologia della memoria nell’Italia centromeridionale, in Romania e in Belgio. Nel 2009 ha vinto il premio Nigra per la ricerca antropologica. Ha diretto il progetto Tramontana per l’Associazione Bambun e svolto ricerche nell’area del Gran Sasso e del Medio Vomano.

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Playback (il caso Malien)di Roberto GiglioItalia 2016, 52 minutiprima visione italiana

Un cantautore romano, alle prese con le difficoltà legate alla realizzazione di un nuovo disco, viene a sapere da un giornalista che le canzoni d’amore italiane più famose potrebbero non essere di chi le ha firmate, ma di un genio, di nome Alberto Malien, di cui da anni non si sa più nulla. Incuriosito dalla notizia bizzarra, il cantautore sospende momentaneamente il suo lavoro, per avviare una propria indagine sul caso. I contributi e le insperate testimonianze di personaggi celebri – tra cui Renzo Arbore, Patty Pravo, Daniele Silvestri e Giancarlo Magalli – diventeranno fondamentali per la ricostruzione dei fatti e per una riflessione sul valore della musica, oggi, e dell’arte in genere.

Regia, sceneggiatura, montaggio, musiche: Roberto GiglioRiprese video: Flavio Artusi, Roberto Giglio, Vanja CoràContributi musicali: Alessandro Gwis, Gegè Telesforo, Pietro VenzaCast: Renzo Arbore, Giancarlo Magalli, Daniele Silvestri, Patty Pravo, Gino Castaldo, Giulio Golia, Gegè Telesforo, Simone Cristicchi, Rodolfo Laganà, Roberto Giglio, Francesco Sallustio, Vittorio Giannini, Carlotta Tedeschi, Max Tortora, Gigi Proietti

Roberto Giglio (Roma 1972) è cantautore e arrangiatore. Nella sua carriera ha spaziato tra musica pop, jazz e teatro collaborando con artisti come Patty Pravo, Sergio Cammariere, Gigi Proietti, Rodolfo Laganà, Greg, Alan Sorrenti, Enrico Pieranunzi, Saturnino. Ha inoltre partecipato a manifestazioni come il Festival di Sanremo (nel 2003, con il brano Cento cose), il concerto del Primo maggio e il Festival Jazz di Barcellona. È autore degli album Sei in ascolto, La quinta stagione, Cinecittà e Misofonia e ha firmato canzoni e musiche per spettacoli di successo del Teatro Sistina e del Globe Theatre di Roma.

Sono Guido e non Guidodi Alessandro Maria BuonomoItalia 2016, 79 minuti

Guido Catalano non è Guido Catalano.Guido Catalano non è solo Guido Catalano.Guido Catalano è anche Armando Catalano.Guido Catalano è «il più grande poeta professionista vivente»: 20.000 copie

vendute; più di cento live all’anno; uno stuolo di sostenitori, ma soprattutto di sostenitrici, in tutta Italia. Quello che quasi nessuno sa è che Guido Catalano ha un segreto, che questo segreto si chiama Armando e che Armando non è il segretario personale del poeta. Armando non è neanche solo il fratello gemello di Guido: è il vero autore delle poesie che hanno reso famoso il fenomeno Guido Catalano. Armando è affetto dalla sindrome di Kräftor, che lo fa parlare al contrario rendendolo incomprensibile: invece di dire «Io sono Armando Catalano», dice «Oi onos odnamrA onalataC». I due hanno così escogitato un sistema infallibile: Armando scrive, Guido declama. Ed entrambi fanno talmente bene il proprio mestiere da essere diventati il più grande poeta professionista vivente. Come sono riusciti i due gemelli a tenere segreta la verità? Com’è la loro vita giù dal palcoscenico? Ma soprattutto, si sono mai scambiati di ruolo per concupire una donna?

Regia: Alessandro Maria BuonomoSceneggiatura: Paolo Cenzato, Marco FerrariniFotografia, riprese: Chiara CaliòMontaggio: Serena PighiSuono: Riccardo ArrigoniMissaggio del suono: Massimo MarianiMusiche: Luca Righi, Leo EinaudiAnimazione: SioCorrezione colore: Flavio ToffoliOrganizzazione generale: Virginia Di PietroProduzione: Elianto Film, Fargo FilmCast: Elena Baboni, Olivia Bosco, Salvatore Buonomo, Marco Camisasca, Matteo Camisasca, Guido Catalano, Jacopo Chessa, Massimo Cirri, Fabio Paolo Costanza, Dente, Alessandro De Vito, Valentina Fontanella, Luca Gallotti, Massimo Magnani, Fabio Mendolicchio, Roberto Mercadini, Matteo Negrin, Alessandra Racca, Alessandro Rivoir, Andrea Simet, Federico Sirianni, Arianna Valocchi, Paola Valpreda, Flavio Vida, Sara Zambotti, Vincenzo Zampa

Alessandro Maria Buonomo (Francavilla Fontana 1992) ha studiato regia alla Civica scuola di cinema Luchino Visconti di Milano e ha partecipato a workshop tenuti, tra gli altri, da Daniele Ciprì, Silvio Soldini e Marco Bellocchio. Con quest’ultimo ha collaborato come assistente alla regia in Pagliacci. Nel 2016 ha fondato Elianto Film.

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Tomba del tuffatoredi Yan Cheng e Federico FrancioniItalia 2016, 30 minuti

Un uomo cade nel nulla. In un museo del ventunesimo secolo, sul coperchio di un’antica tomba greca, il Tuffatore di Paestum viene colto nell’atto estremo, sospeso, del volo: il passaggio dalla vita alla morte; dal fisico al metafisico. Intorno a lui, turisti venuti in pellegrinaggio da tutto il mondo. Nella sua vorticosa caduta esploriamo un paradiso artificiale, la Costiera amalfitana, in cui il tempo è indistinto: uomini e donne vagano tra le rovine del passato, spettacoli ed eventi emblematici. In questa immersione verso il nulla, però, cresce una domanda: chi è, veramente, il tuffatore contemporaneo? Per rispondere a questa domanda il film ci conduce in un’esplorazione che va dalle cartiere abbandonate di Amalfi alla demolizione dell’ecomostro di Alimuri, alle antiche ville di Ravello, con la partecipazione straordinaria di Maria Pia De Vito e del gruppo Il Pergolese.

Idea, immagine, suono: Federico Francioni, Yan ChengProduzione: Cinevoyage, Centro Sperimentale di CinematografiaCast: Giacomo Ricci, Maria Pia De Vito, Anja Lechner, François Couturier, Michele Rabbia

Yan Cheng (Wuhan 1991) ha studiato storia e antropologia negli Stati Uniti e proseguito la sua formazione al Centro Sperimentale di Cinematografia. Autore di diversi cortometraggi in Cina, Stati Uniti ed Europa, ha sviluppato la sua ricerca nel cinema, nella fotografia e nell’arte contemporanea. Oltre a Tomba del tuffatore, insieme a Federico Francioni ha realizzato il lungometraggio documentario The First Shot (2017), girato in Cina. Dopo un anno trascorso ad Atene, attualmente vive in Cina e lavora come freelance nel campo del documentario.

Federico Francioni (Campobasso 1988) si è diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia, dopo una laurea in storia del cinema conseguita con una tesi su Otar Iosseliani. Negli ultimi anni si è occupato di reportage e cinema del reale. Dopo i film realizzati in coppia con il collega Yan Cheng (Tomba del tuffatore, 2016, The First Shot, 2017) ha frequentato gli Ateliers Varan e ha avviato un nuovo lavoro documentario in Francia. Attualmente sta curando una monografia sull’opera del regista francese Eugène Green.

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Fuori concorso: omaggio al cinema di Gianfranco Pannone

Lascia stare i santidi Gianfranco PannoneItalia 2016, 75 minuti

Un viaggio in Italia lungo un secolo nella devozione religiosa popolare. Santi antichi e più recenti, madonne bianche e nere, processioni devozionali sono espressioni di un bisogno di sacro in apparenza molto lontano da noi, ma che così lontano non è. Ancora oggi, soprattutto nel Sud Italia, ma con isole anche al Nord, la fede popolare è un fatto concreto, che trova la massima espressione nel canto, nella musica. E i suoni proposti in questo film da Ambrogio Sparagna ne sono una chiara testimonianza. Il prezioso repertorio dell’Archivio Luce, composto di documentari e cinegiornali d’epoca, asseconda questo viaggio nel mondo della religione popolare, che Gianfranco Pannone, con sguardo laico, rimescola in un percorso emozionale tra passato e presente. Le immagini religiose di oggi assumono un posto di rilievo in quest’epoca che non sembra più anelare al sacro, ma di cui nel profondo tanta gente sente ancora il bisogno, in Veneto come in Sicilia, nel Lazio come in Puglia. E le voci di alcuni intellettuali sono lì a ricordarcelo: da Ignazio Silone a Pier Paolo Pasolini, da Rocco Scotellaro a Mario Soldati, fino ad Antonio Gramsci.

«Ogni anno a Catania devoti di ogni ceto ed età festeggiano Sant’Agata. È una folla vivace e agitata, che avanza trasportando l’immagine della santa per le vie della città come se andasse in guerra. Ecco, la religione popolare da noi nel profondo ci rivela il Paese: invasioni, soprusi, rivolgimenti, morte, hanno accompagnato duemila anni di storia e la devozione per i santi spesso ha rappresentato un conforto, specie per i più umili. Un sentimento popolare che per secoli non ha filtrato il dolore, la violenza, come ancora oggi è evidente vicino Napoli, tra i fedeli che, al limite del fanatismo, si contorcono e urlano davanti alla Madonna dell’Arco, chiedendo la grazia. Oggi le cose sono cambiate, le guerre sembrano lontane e la devozione religiosa si è fatta più composta, oltre che minoritaria. Rimangono vivi per fortuna i canti e le musiche devozionali. E si fa avanti un rinnovato bisogno di sacro. La violenza è altra. Come ci rammenta Pier Paolo Pasolini, la sentiamo in altro modo, nella società dei consumi che si ostina a imporci il suo sorriso forzato, per esempio. Non mancano gli interrogativi. Quanto alberga segretamente in ciascuno di noi? Siamo solo figli di questo presente? O anche altro che non sappiamo più vedere?» (Gianfranco Pannone)

Regia, sceneggiatura: Gianfranco PannoneFotografia: Tarek Ben AbdallahMontaggio: Angelo MusciagnaMontaggio del suono: Marco Furlani

Missaggio del suono: Andrea MalavasiFonico di ripresa: Fabio SantesartiFonico di doppiaggio: Alessio FragrelliMusiche: Ambrogio SparagnaVoci: Sonia Bergamasco, Fabrizio GifuniRicerche d’archivio: Nathalie Giacobino, Cecilia SpanoProduzione esecutiva: Maura CosenzaProduzione: Istituto Luce Cinecittà

Gianfranco Pannone (Napoli 1963) è stato aiuto-regia per cinema e teatro e programmista-regista in Rai, in seguito regista di documentari e cortometraggi. Dal 2003 è docente al Dams di Roma Tre e alla Act-Multimedia. Insegna regia del documentario al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e L’Aquila. Autore e curatore di diversi saggi sul cinema documentario, dal 2001 cura la rubrica Docdo (Ildocumentario.it). È socio fondatore di Doc/it e, per l’edizione 2017, presidente di giuria del Bellaria Film Festival.

I luoghi del #BFF35Bellaria Igea Marina

Biblioteca comunale Alfredo Panzini: viale Paolo Guidi, 108Cinema Astra: viale Paolo Guidi, 77e

Cinema Smeraldo: via Adolfo AlbertazziHotel Ermitage: viale Ala, 11

La Casa Rossa di Alfredo Panzini – Museo e parco culturale: via Pisino, 1

Informazioni e programma:www.bellariafilmfestival.org

[email protected]

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