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ABITO ©CLIC.HÉ - Webmagazine trimestrale di fotografia e realtà visuale - All rights reserved - Direttore Responsabile: Luigi Torreggiani - Editore: Associazione Culturale Deaphoto - Reg. Trib. Firenze N° 5767 del 14/04/2010 LUGLIO 2014 N° 16 www.clic-he.it

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Clic.hé è il webmagazine trimestrale di fotografia e realtà visuale edito dall'Associazione Culturale Deaphoto

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Editore:Ass. Culturale Deaphoto

Direttore responsabile:Luigi Torreggiani

Photo-editor:Giulia Sgherri

Caporedattori:Paolo ContaldoSara SeveriniNiccolò Vonci

Progetto graficoe impaginazione:Luciferi Visionibus - Arezzo

Foto di copertina:Valentina Parisi

In redazione:Sabrina IngrassiaSilvia BerrettaChiara Micol SchionaTiziana TommeiAlberto Ianiro

Collaboratori fissi:Sandro BiniDiego CicionesiCaterina Caputo

Servizi tematici:Claudia GoriValentina ParisiEmma GrosboisFlora ControliFrancesca CesariRosella CentanniLuca MorettiStefano De GrandisRudy LaschiSimone Padelli

Recensioni:Lidia Passaro6Glab

Eventi:Sandro Bini

ABiTo

Editoriale pag. 5

Presentazione alle immagini pag. 7

ABiTo - SERViZi

Resilio pag. 8

Derma pag. 22

Fabbrica Habitat pag. 34

In my skin pag. 40

In the room pag. 44

N(u)ove donne in salotto pag. 56

Nuovi arrivi vecchie abitudini pag. 64

Oikia pag. 72

Totò Dinamite pag. 78

Where they live pag. 84

RuBRiCHE

Interview: Massimo Siragusa pag. 91

Nouvelle vague: MLB Ferrara pag. 95

Storyboard: il rischio di fotografare il paesaggio pag. 99

RECEnSioni

Spoleto, white golden dark, Francesco Bosso pag. 103

Roma, Frida pag. 107

EVEnTi

San Gimignano, Elliott Erwitt, Icons pag. 111

Firenze, Pontormo e Rosso Fiorentino pag. 113

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Editoriale

ABITODI LuIGI TORREGGIANI

Abito: questa parola dal plurimo significato è decisa-mente intrigante: affascina perché in grado di indaga-re aspetti profondissimi dell’essere umano, anche se spesso ben visibili in superficie. Qui la fotografia, per fortuna, ci viene in aiuto: restringe il campo, approfon-disce, scarta.

Il vivere un luogo, l’indossare un oggetto, il frequentare abitualmente situazioni e perso-ne è ciò che ognuno di noi fa in ogni attimo della vita (ma anche dopo di essa e ben prima di na-scere!). Da sempre si abita, per sempre si abita, in ogni attimo si indossa qualcosa, anche se nudi.

Abito deriva poi dal termine la-tino “habitus”, che significa so-stanzialmente “modo di essere”, “disposizione dell’animo”, “figu-ra”, “apparenza”, “vestimento”… altri termini che si accumulano, stratificando il mistero di una parola.

Un vocabolo che forse può mettere ordine a questo fiu-me in piena di significati è “intimità”.

“tutto ciòche siamo

destinati o solitiavere con noi”

Abito è qualcosa che stringiamo sulla nostra pelle, ogni istante. Abitare un luogo significa viver-ne l’anima, seppur nella banali-tà di ogni giorno. Habitus è, da vocabolario, “tutto ciò che sia-mo destinati o soliti avere con noi”: destino o scelta, tutto si abita, tutto si indossa.

è molto interessante osservare come tanti fotografi, quelli scelti per questo numero ma anche quelli che, nonostante gli otti-mi lavori, sono stati esclusi per

questioni di spazio, hanno affrontato la sfida lanciata da questa parola, dicendoci che è giusto, che serve, che è essenziale riflettere su luoghi e oggetti, anche nella loro intima banalità; che la fotografia è un mezzo anco-ra più che attuale per questo scopo: essa, che milioni di persone in continuo aumento utilizzano come for-ma espressiva e narrativa, è in fondo il “vestito” che noi umani facciamo indossare al Pianeta che abitiamo.un abito che, come ogni vestito che si rispetti, in fondo mostra… nascondendo.

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Flor

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Presentazione alle immagini

ABITODI PAOLO CONTALDO

Abito è indagine.Possiamo rimanere disarmati davanti alle “pareti invisi-bili” del progetto di Stefano De Grandis, immergerci in due coraggiosi e diversi percorsi di rivelazione affronta-ti da Claudia Gori e Valentina Parisi, incontrare e vivere “Totò Dinamite” nelle immagini fiaba di Rudi Laschi, fare un viaggio fino all’Islanda “glaciale” di Simone Padelli.

Ci sono poi i luoghi incom-piuti, in bilico tra promesse e abbandono di Luca Moretti. Percorriamo con Emma Gro-sbois le strade della desola-ta e inumana “Prato Fabbrica Cinese”, che tutto produce e tutto nasconde.

Poi sono le donne il centro dello sguardo. Single, de-terminate e realizzate quelle del “salotto” di Rosella Centanni, “semplicemente” mamme nelle foto intime e preziose di Francesca Cesari.

Con Flora Contoli lo sguardo passa alla superficie, ma non rimane distante alla “dichiarazione” che il tatuaggio porta con sè.

Buona visione.

Abito è indagine

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BIONasce nel 1986 a Prato.Si trasferisce a Roma per studiare giornalismo a La Sapienza. Capisce

presto di voler raccontare con le immagini, più che con le parole e decide di affiancare al lavoro lo studio della fotografia presso il Centro Sperimentale di Fotografia Adams.Inizia a fotografare la sua casa e la sua famiglia, per poi uscire fuori e affrontare temi di rilevanza sociale con uno sguardo sempre teso agli aspetti psicologici ed emotivi delle persone.Adesso è tornata in Toscana dove svolge come free lance la professione di fotografa e porta parallelamente avanti progetti fotografici a breve e lungo termine.

Claudia Gori

RESILIO

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ABITO

Questo lavoro fotografico nasce dall’esigenza di raccontare un percorso, quello del riconoscimento di se stessi.Vuole esplorare e lasciarsi guidare su quella strada che esplora le pieghe riposte della propria natura umana: è una scelta consapevole.Ascoltare gli impulsi che mettiamo quotidianamente a tacere e assecondarli significa smascherare la psiche che ci protegge dagli inganni, ci preserva da uno stato disospensione comoda, che ci culla

fino al sonno vigile.La psiche è plastica e, come tale, può trasformarsi.Alimentare il dubbio ci fa procedere a singhiozzi e ci allontana dal tentativo di infrangere le zavorre che ci tengono ancorati al mondo regolare.Dimenarsi dai grovigli che abbiamo pedissequamente tessuto nell’età della ragione, quella in cui dovremmo darci una forma e invece una forma non ce l’abbiamo, ci rende liberi di cercare il posto che

ci corrisponde, almeno in parte.Quello è il nostro posto, il posto della verità, dove esporre le fragilità, essere centrati, fermi, liberi.E adesso che ti sei trovato, quanto sei disposto a farti riconoscere?Adesso è il tempo più faticoso da abitare. Nel momento in cui ci mettiamo realmente al centro inizia un’altra strada, la più faticosa: la pianura.Non è una rinascita, è semplicemente la presa di coscienza che si ha la capacità di saltare, prendendo un’altra direzione.E’ il posto della resilienza, non della resistenza.

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adesso è il tempopiù faticoso da abitare

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E adesso che ti sei trovato,quanto sei disposto a farti riconoscere?

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BIO

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Valentina Parisi è nata a Roma nel 1982, dove vive e lavora. Dopo aver insegnato allʼUpter – Università Popolare di Roma, attualmente dirige un laboratorio fotografico per ragazzi/e

disabili presso la Fattoria Sociale La Terra dei Sogni. Nel 2014 ha vinto la borsa di studio alla Scuola Romana di Fotografia. Diplomata in fotografia allʼIstituto Superiore R.Rossellini e laureata in Lettere, ha collaborato con la Casa Internazionale delle Donne e partecipato a numerose mostre collettive. Nel 2008 ha vinto Il Premio della Critica per la Biennale DʼArte Contemporanea di Reggio Emilia e nel 2009 ha presentato la sua prima mostra personale mettendo in scena diversi linguaggi comunicativi. Nel 2012 alcuni dei suoi autoritratti sono stati pubblicati nel volume edito da Rubbettino Editore, IL CORPO SOLITARIO di Giorgio Bonomi. Nel 2013 è stata selezionata per il PROGETTO P a cura della Galleria Gallerati, ammessa alla mostra fotografica Il Dovere delle Donne, curata da Officine Fotografiche e selezionata da Fotografia Femminile – Osservatorio Nazionale.

Valentina Parisi

DERMA

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ABITO

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Derma è una storia vera. I perso-naggi sono reali. Lo spazio è quello familiare. E’ la mia storia, è il dispe-rato tentativo di liberarmi da un pantano ricostruendo la mia iden-tità.

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disperato tentativo di liberarmi

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BIO

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Dopo gli studi di filosofia Emma Grosbois si trasferisce a Berlino grazie ad una borsa Europa dove

lavora presso una galleria di fotografia. Deciderà di dedicarsi alla fotografia. Vive a Firenze dove studia e lavora. Sta attualmente completando il corso triennale di fotografia presso la Fondazione Marangoni a Firenze. Il suo lavoro si incentra sull’immagine intesa come luogo di aggregazione dove confluiscono significati, storie e memorie.

Emma Grosbois

FABBRICA HABITAT

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ABITO

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Sulla strada tra Firenze e Prato : la zona dell’ Osmannoro, alla ricerca dei segni del quotidiano dei cinesi nello spazio in mezzo alle fabbriche. un osservatore a piedi che attraversa questi spazi con uno sguardo accurato a ciò che lo circonda e che potrebbe raccontare qualcosa sul mondo in cui sta vivendo.“Molto spesso i lavoratori non hanno

la possibiltà di disporre di spazi distinti per il lavoro  il riposo o la vita familiare. Il lavoro pervade ogni momento delle giornate dei migranti lavoratori cinesi, il tempo libero è una dimensione che non è compresa in queste esperienze migratorie”.Diversità e separazione in un distretto industriale in transizione di Massimo Bressan ed Elizabeth L. Krause.

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alla ricerca dei segni del quotidiano

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BIO

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“Quelle di Flora sono fotografie pittoriche che sembrano inoltrarsi in zone sconosciute della realtà,

alle quali si può applicare la bella definizione di  Dante della pittura concepita come “visibile parlare” (Silvano Agosti – regista e scrittore).Flora Contoli, artista fotografa  e performer autodidatta, nasce a Roma nel ’77.Laureata in antropologia, ha all’attivo la realizzazione di molteplici esposizioni  personali  e la presenza in esposizioni collettive in tutta Italia, segnalazioni in concorsi e organizzazione di eventi artistico-culturali.Le sue opere sono presenti in diverse collezioni private.

Flora Controli

IN MY SKIN

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Il corpo è la nostra prima dimora.In my skin è un progetto che esplora la dimensione intima di un corpo che si racconta attraverso una scrittura di sè indelebile offerta alla lettura del mondo.Protetti dall’ombra o indagati dalla luce, la fragilità e la forza di esistere, soli, nella propria assoluta unicità, rivelati di fronte al mondo.

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Francesca Cesari (1970) è una fotografa che vive e lavora a Bologna.Ha una laurea in Storia dell’Arte

Contemporanea e un Diploma del London College of Communication in Professional Photographic Practice.La sua ricerca si concentra sulle persone fotografate a luce ambiente. I temi che predilige riguardano principalmente la famiglia, la maternità e il rapporto tra le generazioni.

Francesca Cesari

IN THE ROOM

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La dimensione appartata e silenzio-sa del luogo in cui una madre ad-dormenta il bambino attraversol’allattamento al seno.Il passaggio tra la veglia e il sonno dei piccoli, con il progressivo am-morbidirsi del corpo e l’abbandono di ogni resistenza e ostinazione, fino ad arrendersi alla totale passività.La presenza solida e consapevole della donna, che accompagna que-sta transizione verso l’incoscienza e

si rende custode del cambiamento.una parentesi sospesa in un terri-torio separato dal resto, dove devo-zione e tenerezza convivono conil risvolto alienante di una routine che si ripete innumerevoli volte.Questi gli aspetti principali che le immagini vogliono esplorare, per descrivere le sfumature di un mo-mento privato e simbiotico, esclusi-vo dell’esperienza della maternità.

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BIO

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Rosella Centanni è nata e vive ad Ancona. Ha iniziato ad appassionarsi di fotografia dagli anni ’90. Ha partecipato a corsi

riguardanti la progettazione di un lavoro fotografico, la tecnica del bianconero, la luce, il ritratto, il reportage e la manipolazione di pellicole Polaroid. Ha realizzato, oltre a varie iniziative fotografiche, diverse mostre personali, tra le quali “Nello Yemen” (2001), “Il vivere..”(2003), “Oltre lo schermo e sulla scena”(2004), “Sviluppi in scena” (2005), “Al Passetto.. un lungo giorno d’estate” (2008), “Suk-ki di fiaba”(2009), “Sguardi” (2011), “Respiri” e “Oltre lo sguardo” (2012), “N(u)ove donne in salotto” (2014). Nel 2010 ha curato la mostra fotografica “Tra miseria e splendore” nell’ambito del Festival Internazionale Adriatico – Mediterraneo ad Ancona.

Rosella Centanni

N(u)OVE DONNE IN SALOTTO

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L’idea del mio lavoro riguarda il “circolo”, il salotto delle mie amiche. Salotto come luogo aperto della casa, in cui si riceve, ci si ascolta ci si confronta e, nello stesso tempo, luogo in cui ci si rilassa e si sta con se stessi. Il nido in cui si è soli, ma non ci si sente soli. Sono donne single o per libera scelta o per una condizione sofferta. Donne che si sono rimesse in gioco ed hanno trovato la forza e la dignità

di ricominciare daccapo, di andare avanti dando un senso alla propria vita. Donne che si realizzano in vari campi, dal lavoro, alla pittura, dalla scrittura al volontariato. Il mio scopo è quello di delineare lo stile di vita scelto dalle nove donne nell’affrontare la loro condizione di single attraverso vari percorsi, per raggiungere il proprio equilibrio. un piccolo campione riguardante un aspetto della donna di oggi.

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Luca Moretti 40 anni, vivo a Vecchiano in provincia di Pisa. Prendo fotografie da circa 4 anni.

Mi interessa il paesaggio, quello antropizzato, forse perchè è l’unico possibile.

Luca Moretti

NuOVI ARRIVI VECCHIE ABITuDINI

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Osservazioni su  Marina di Pisaun paesaggio in bilico tra le possibilità prospettate dal nuovo porto turistico, scintillante ma ancora incompleto, e quella legata ad un passato fatto di un turismo a corto raggio, di prossimità. Un’ atmosfera decadente che persiste

nelle architetture tradizionali, nelle abitudini popolari, un equilibrio precario dove i versi del D’Annunzio risuonano ancora con tutta la loro forza, anche se qualche ricco russo comincia a sbarcare, probabilmente ignorando cosa sia il solleone.

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Fotografo trentenne con base a Milano, dopo la formazione universitaria umanistica, entra nel

mondo della fotografiaseguendo la cronaca nazionale occupandosi di temi di stringente attualità, pubblicando sui principali quotidiani e settimanali nazionali.Parallelamente ha portato avanti in questi anni progetti personali di ricerca fotografica e giornalistica legata principalmente a temi sociali e ambientali. Sempre attento ai cambiamenti della società non smette di indagare i risvoltistrutturali, le cause e conseguenze che questi mutamenti comportano.

Stefano De Grandis

OIKIA

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Vivono sulla strada, mangiano sulla strada e la strada è la loro casa.E’ difficile chiamarla tale, ma tutto ciò che le migliaia di senzatetto hanno in quel metro e mezzo quadrato che li circonda è la loro unica soluzione abitativa.Si tratta di una soluzione alternativa, dettata dal bisogno di un riparo notturno, che li porta a sistemarsi

nel migliore dei modi: dietro pareti di cartone alla ricerca di una sorta di privacy, in sacchi a pelo multistrato per ripararsi dal freddo, in teloni raccattati in giro per difendersi dagli agenti atmosferici, o in economicissime tende. Tutta la loro vita è lì racchiusa, non c’è un tetto, non ci sono pareti, solo scenografie. Ed ecco che si accendono le luci della

città dietro questi cumuli di cartoni, a fare da contrasto stridente tra la vita normale di tutti i giorni e la loro condizione di povertà. E’ così che, a colorare le parteti invisibili delle loro stanze sono le luci dei negozi di vestiti, delle banche, le scritte sui muri, e i porticati che di giorno sono lo scenario della vita economica cittadina. Tutti loro vivono in un non luogo a tutti gli effetti, che richiama in maniera forte e tangibile di una vera casa.

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non ci sono pareti, solo scenografie

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BIO

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Appassionato di fotografia da sempre, la mia prima macchina fotografica l’ho avuta in regalo da mio padre a 14

anni, da quel momento non ho mai smesso di fotografare. Ho seguito numerosi corsi di specializzazione fotografica cercando di essere al passo con questo mondo che si evolve ogni giorno.Collaboro da qualche anno con Dierre Fotografi  seguendo  eventi e cerimonie,   in puro stile reportagistico. In passato ho fatto parte di alcuni club fotografici adesso abbandonati.Curo personalmente progetti fotografici legati prevalentemente al mondo del sociale. Interessato alla fotografia naturalistica, ho girato il mondo fotografando le altre culture e aspetti di vita quotidiana diverse dalle nostre.

Rudy Laschi

TOTò DINAMITE

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Totò nel sottopassaggio di Piazza delle Cure a Firenze, c’è finito per caso.Ha trovato un luogo freddo e tra-sandato ed ha cercato di trasfor-marlo.E’ diventato così la casa da abitare: per se stesso e per gli altri.Ha messo a disposizione il suo ta-lento ed ha cercato di renderlo funzionale attraverso la continua

manutenzione e una parte ludica che passa attraverso la sua musica, i suoi vecchi strumenti musicali e la sua arte di intrattenere i bambini.Totò ama il sottopasso.Totò ama gli altri e ha cura della loro quotidianità.“Io suono l’armonica perché è uma-na. Sa parlare alla gente e al musi-cista. E’ lo strumento più umano di tutti i nobili strumenti”.

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la casa da abitare: per se stesso e per gli altri

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Simone Padelli nasce ad Arezzo nel 1986.Dopo aver conseguito la laurea triennale in fotografia e arti visive presso la Libera

Accademia di Belle Arti a Firenze, entra subito nel mondo del lavoro come fotografo di moda dipendente di Gucci.Dopo questa prima esperienza lavorativa, che lo tiene occupato un anno, si trasferisce a Londra, dove vive per circa un anno e mezzo e dove consegue un Master in Fotografia presso il London College of Communication nel 2012.Adesso lavora come Fotografo freelance e porta avanti progetti personali nel campo artistico e sociale.Ha avuto la possibilità di esporre i suoi lavori in diverse mostre collettive e personali in Italia e a Londra.

Simone Padelli

WHERE THEY LIVE

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ABITO

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Questo breve progetto fotografico è stato sviluppato in Islanda nel 2011.A discapito della bellezza naturale dei paesaggi dell’isola, mi sono sof-fermato a fotografare le abitazioni islandesi.Ho tentato di tradurre quel senso di silenzio, pace e isolamento che si percepisce viaggiando in Islanda, fotografando con sguardo analitico e freddo le abitazioni.

L’essere umano non è presente nelle mie immagini, ma sono pre-senti alcuni dei suoi segni lasciati; le abitazioni notoriamente icone di calore e nido per il nucleo familiare diventano strutture fredde, foriere di isolamento e silenzio che si in-tersecano e si incastrano tra di loro all’interno della composizione foto-grafica.Qui è dove loro vivono.

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Qui è dove loro vivono

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RuBRICHE

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Siciliano classe 1958, Massimo Siragusa è un fotografo di spicco nel panorama internazionale che ha sempre rivelato, al contrario di molti suoi colleghi, particolare attenzione al territorio nazionale. Si occupa prevalentamente di fotografia di

paesaggio e di documentazione, sull’orma visibile di riferimenti culturali come Luigi Ghirri e la Scuola di Dusseldorf. E’ stato un importante ed affermato reporter, nonchè fotografo di Papa Wojtyła. In uno dei suoi ultimi ed apprezzati

lavori, Teatro d’Italia, realizzato in 8 anni, vengono ritratte col suo taglio inconfondibile le principali piazze italiane. Si dedica anche all’insegnamento in workshop. ➤

RuBRICHE

interview

MASSIMO SIRAGuSAA CuRA DI ALBERTO IANIRO

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Spesso alcuni fotografi vengono accusati di essere troppo esterofili, tu invece appari l’esatto contrario. Mi vuoi parlare della tua attenzione ai temi nazionali? Io credo che l’Italia offra moltissime opportunità per un fotografo.Per la sua bellezza, per le enormi differenze presenti sul suo territorio e per le sue contraddizioni. Io, inoltre, mi trovo a mio agio quando lavoro su temi che conosco a fondo e che posso costruire nel tempo.Tutte condizioni che si realizzano meglio lavorando su temi italiani. Anche se, ogni tanto, la luce francese mi rapisce…

Dalla Leica al grande formato. Cosa scatta nella mente di un fotografo e come cambia la percezione?Ho scelto di fare il fotografo per curiosità verso il mondo, ma anche per esprimermi. È inevitabile che la mia evoluzione personale, il tempo che passa e le vicende belle e brutte della vita abbiano determinato un cambiamento anche nel modo di intendere il mio stesso rapporto con la fotografia e il modo di vedere e di

raccontare. Oggi sono più riflessivo e mi interessa molto cercare e leggere i segni che l’uomo lascia sul territorio.

Tanti lavori su sacro e profano, alcuni in cui la figura umana non è mai visibile: i luoghi, i simboli, possono raccontare quanto i volti?Io credo che, alle volte, i luoghi sappiano essere anche molto più espressivi e profondi dei volti. E poi considero le mie foto d’interni (le case disagiate o l’ultimo lavoro sui circoli appena esposto a Roma) come dei veri e propri ritratti.

Che ne pensi dell’avvento del multimedia che ultimamente si affianca alle fotografie pure?Mi incuriosisce e credo offra varie opportunità. Io stesso ho fatto, e sto ancora facendo, molte cose diverse con il time-lapse e con il video.

Teatro d’Italia. Ghirri, i documentaristi statunitensi, la letteratura… cosa ti ha influenzato di più?Tutto! Ma, forse, soprattutto la letteratura. Dietro ogni foto c’è una pagina di un libro.

Oggi è molto difficile vivere di fotografia professionale. Cosa insegni nei tuoi workshop ai giovani fotografi e come li consigli?Insegno ad essere curiosi verso la vita, a sapersi documentare, a non accontentarsi mai dei risultati raggiunti. Se un ragazzo ama davvero questo lavoro, ed ha talento, l’unico consiglio che posso dargli è di non mollare e di credere in quello che fa.

Ti chiedo un’ultima curiosità sull’«arte da indossare», cui hai prestato le tue immagini.È stato un gioco. Un produttore di moda ha pensato di realizzare delle T-shirt numerate e firmate con delle foto mie e di altri fotografi, e mi è sembrata una buona idea. un modo divertente di vivere la fotografia, piuttosto che di guardarla soltanto. E poi, mi pare che il risultato sia proprio carino, non credi?

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RuBRICHE

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Fortunatamente esistono spazi per l’arte contemporanea, concepiti e curati per fare cultura e non mercato. Infatti, se è vero che l’arte contemporanea non può non circolare, essere bramata, posseduta e acquistata, è altrettanto vero che, ancora prima, essa deve essere riconosciuta

quale componente fondamentale del sentire contemporaneo. Le barriere avvertite tra i non addetti ai lavori e l’arte attuale hanno origine dall’incapacità di rapportarsi e vivere quest’ultima per quello che essa costituisce: una parte autentica e profonda dell’hic et nunc. Parafrasando, se è vero che

esistono livelli di fruizione molteplici dell’arte del nostro tempo, è altrettanto vero che spesso sono gli stessi pubblici a negare a sé stessi di poterne godere. Accedere ad uno spazio in cui l’arte contemporanea è parte della quotidianità, un luogo in cui essa è sentita e restituita come un elemento inalienabile del ➤

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nouvelle vague

MLB FERRARAA CuRA DI TIzIANA TOMMEI

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vissuto: questo significa varcare la soglia di MLB – Maria Livia Brunelli Home Gallery. Ma non solo. L’arte è concetto, emozione e relazione, e per questo necessita di progettualità e di un concept curiatoriale skillato e lungimirante. Le mostre di MLB sono il frutto di una lunga gestazione, di un lavoro che necessita di conoscenza, tempo e attenzione ad ogni particolare.In mostra fino al 4 maggio 2014 la home-gallery di Maria Livia Brunelli presenta Mustafa Sabbagh, artista italo-giordano e noto fotografo di moda, che, per l’occasione, espone “Burka moderni. un dialogo inventato con Matisse”. Come di consueto, MLB propone

progetti site specific e in dialogo con le mostre di Palazzo Diamanti. Perché il contesto, interno ed esterno, è insito nella filosofia di MLB. Maschere che rendono liberi, che permettono di celarsi dagli sguardi esterni, che proteggono e permettono paradossalmente di mostrasi ed essere sé stessi. Fotografie nero su nero – un virtuosismo che non può lasciare indifferenti. Il colpo di grazia nella comunicazione dell’opera è dato dall’allestimento: sei costretto ad affrontare i burka di Sabbagh in poco spazio e ad avere con essi un dialogo ravvicinato. Assolutamente geniale. In tutto questo, quello che avverti, è di vivere un’esperienza,

di stare in un luogo non comune e di essere presente. Ti emoziona, ma allo stesso tempo ti mette in condizione di riflettere, fornendo al visitatore stimoli costruttivi e mirati. C’è una bambina, bellissima e vivace che si aggira per la casa/galleria. Curiosa, aperta, ricettiva e sensibile: mi piace pensare che sia il futuro. Nuove avanguardie non di artisti, ma di amanti e appassionati fruitori (non ho detto intenditori!) del contemporaneo che verrà.

Ringrazio sentitamente Maria Livia Brunelli e Fabrizio Casetti per l’accoglienza, la disponibilità, ma soprattutto per il loro lavoro.

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Geografia umana, memoria collettiva, atteggiamento documentale e rap-presentazione della contemporaneità. Sono questi i temi chiave su cui ruota dagli ultimi vent’anni, gran parte dell’o-pera dei fotografi italiani, quei fotografi che in particolar modo si occupano del-la rappresentazione del paesaggio.La sintesi dello sguardo contempora-

neo sul territorio è stata data, per ci-tarne solamente una, dalla mostra del 2008 “Atlante italiano 007 rischio pae-saggio. Ritratto dell’Italia che cambia”, promossa dalla Direzione generale per l’Architettura e l’Arte Contemporanee (DARC) del Ministero per i Beni e At-tività Culturali (MiBAC). L’Atlante, che presenta 150 fotografie di 15 fotografi

italiani ed internazionali sul tema del paesaggio, indagava e documentava le condizioni fisiche e le trasformazioni del nostro Paese. Qui si sono posti a confronto fotografi più “critici” e altri più “poetici” nei riguardi del territorio ita-liano; parliamo di autori come Andrea Abati, Jordi Bernadó, Massimo Berruti, Andrea Botto, John Davies, David ➤

RuBRICHE

Storyboard. Brevi racconti sulla fotografia

IL RISCHIO DIFOTOGRAFARE IL PAESAGGIO DOCuMENTARISMO E DENuNCIA NELLE OPERE

DEI NuOVI TOPOGRAFI ITALIANIA CuRA DI CHIARA MICOL SCHIONA

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Farrell, Carlo Garzia, Alex S. Maclean, Walter Niedermayr, Fabio Ponzio, Ma-rialba Russo, Paul Seawright, George Tatge, Fulvio Ventura, Massimo Vitali.

Dall’analisi del territorio italiano, iniziata probabilmente dalla mostra “Viaggio in Italia” del 1984 promossa da Luigi Ghir-ri, qui il filo conduttore non è la spiega-zione del paesaggio o l’architettura ita-liana, ma il desiderio di raccontare una storia, un Paese, un territorio. E’ eviden-te nella stazione di Livorno, ripresa da Giovanni Chiaramonte, la stessa assen-za di spazio-tempo che ritroviamo in Olivo Barbieri, Mario Cresci e lo stesso Luigi Ghirri, mentre l’architettura della propria città è analizzata da Mimmo Jo-dice ed in modo più visionario da Cuchi White.

Guido Guidi, figura centrale della gene-razione di primi topografi, attento co-noscitore delle opere di Luigi Ghirri, ha fatto parte di questo gruppo di autori che agli inizi degli anni Ottanta ha rin-novato la tradizione fotografica italiana non ponendosi con un atteggiamento di denuncia del presente ma come ri-flessione sul linguaggio fotografico.

Se Guido Guidi è più legato alle indagini sul territorio, Vincenzo Castella, Olivo Barbieri e Giovanni Chiaramonte sono fra quegli autori che utilizzano il tema dell’architettura della città in continua evoluzione; con la pubblicazione di “Siti”, un atlante delle varie città toccate negli ultimi 10 anni, Castella ci pone di fronte a panoramiche di città del Nord Europa e del Mediterraneo: Colonia, Amster-dam, Berlino, Milano ma pure Marsi-

glia, Ramallah, Gerusalemme e Atene. Il lavoro di Chiaramonte a Berlino inizia nel dicembre 1983, inviato da “Lotus” a fotografare le architetture di Alvaro Siza e l’insediamento di Oswald M. ungers a Lützow Platz. “In Berlin”, lavoro esposto alla Triennale di Architettura di Milano, si compone di una selezione di 60 fo-tografie di medio e grande formato che documentano, attraverso le immagini delle architetture della città, le trasfor-mazioni di Berlino contemporanea. La stessa analisi del tessuto delle città in piena trasformazione globale è po-sta da Olivo Barbieri che utilizza visioni dall’alto in “Site Specific, Milano 09” pre-sente anch’esso alla Triennale di Archi-tettura di Milano di quest’anno. Egli, alle fotografie, aggiunge anche film realiz-zati a partire dal 2004, che hanno coin-volto città quali Roma, Torino, Milano, Montréal, Amman, Shanghai, Las Vegas, Los Angeles, Siviglia, New York. Mentre Vincenzo Castella sposta l’at-tenzione sul senso di vertigine che le sue panoramiche producono allo spet-tatore, Giovanni Chiaramonte e Olivo Barbieri utilizzano l’immagine come colei che indaga nel dettaglio il tessuto urbano.

Ciò che li accomuna, e li unisce, alla ge-nerazione dei Nuovi Topografi che deri-va da Luigi Ghirri, è l’atteggiamento del fotografo di fronte alla geografia del suo territorio: non di confronto o opposi-zione con il passato bensì di lettura del cambiamento lento e costante. Quasi in reazione a questo atteggia-mento è l’opera dei fotografi di “Atlante italiano 007”: l’approfondimento e l’ana-lisi più acuta quasi critica dello spazio inteso come memoria collettiva.

un autore come Andrea Abati infatti pone come centro focale della sua in-dagine fotografica la natura in rapporto all’individuo in un territorio in continua trasformazione, che convoglia nel suo

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lavoro di denuncia sulla speculazione ambientale: “usual Landascape”. Il sog-getto è la Toscana, sua terra d’origine; l’architettura, elemento comune alla maggior parte dei Topografi italiani come Gabriele Basilico, qui risulta in comunione con il territorio circostante.

In modo differente le icone di Carlo Gar-zia, nel suo ultimo lavoro “Tre Stanze”, si pongono come segnali di una nostalgia di un passato che quasi s’arrende alla modernità. La stessa nostalgia ed il vuoto che pro-duce il senso di attesa della modernità è ben reso da “Billboards” di Maurizio Montagna: oltre 700 cartelloni pub-blicitari vuoti e senza nessun tipo di messaggio da evidenziare. Le geome-trie, la ricerca del particolare invadono il progetto che viene sviluppato nella quasi totalità sul territorio milanese. Le tre fasi svolgono funzioni differenti: la prima mette in luce sia la relazione tra i cartelli e lo spazio urbano e archi-tetture, la seconda mette in relazione i cartelli con la vegetazione che invade i bordi delle strade extraurbane ed infine la terza include visioni notturne.

Questa nostalgia viene metabolizzata da Vittore Fossati; egli, dal 2006, ha ri-cevuto da “Linea di Confine” l’incarico di analizzare il paesaggio naturale in netta relazione con le modifiche infrastruttu-rali del territorio. Qui ritroviamo il non-luogo, l’assenza della figura umana, l’im-magine che nel tempo viene quasi bloc-cata, temi cari ai Topografi della prima generazione. Il suo lavoro è ben evidente in “Linea Veloce. Bologna Milano 2010”, progetto dove si documenta la costruzione della linea ad alta velocità sul tracciato Bolo-gna-Milano, attraverso i fotografi John Gossage, Dominique Auerbacher, Wal-ter Niedermayr, Vittore Fossati, William Guerrieri, Guido Guidi, Bas Princen. Centrale per Fossati è documentare le

trasformazioni del territorio lombardo, dalle grandi città alle periferie; il Po, soggetto e filo conduttore, diventa l’ele-mento grafico ed incisivo per disegnare il paesaggio. In tutto ciò il ruolo del pa-trimonio culturale italiano sta mutando il suo aspetto almeno per quanto ri-guarda l’ambito fotografico.

Luca Capuano è l’autore della più gran-de mostra fotografica mai realizzata dedicata ai 44 Siti italiani inseriti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’u-manità. “Il paesaggio descritto. Luoghi Italiani Patrimonio dell’uNESCO” tenuta a Villa d’Este, raccoglie più di 450 imma-gini che raffigurano da il centro storico di Napoli caro a un autore come Mimmo Jodice, alla Modena di Luigi Ghirri. I due poli, la sensibilizzazione nei confronti della tutela dell’ambiente in cui viviamo e la semplice e accurata documenta-

zione, convogliano in quello che prece-dentemente avevamo posto come uno dei punti su cui ruotava la concezione di paesaggio oggi: la memoria collettiva.

Il compito, semmai ve ne fosse uno da definire, dei Nuovi Topografi è restituire allo spettatore contemporaneo l’essen-za della loro società attraverso immagini a volte simboliche ed evocative, come in Carlo Garzia, oppure che evidenziavano lo straniamento visuale di un intero pa-ese come in Maurizio Montagna. Se una crescita urbana troppo spesso legata alle dinamiche di profitto trascura l’or-ganizzazione dello spazio in relazione a chi “vive” il luogo, lo sguardo realistico e critico dei Nuovi Topografi può offri-re, forse, un’interpretazione originale e personale di quello che chiamiamo “ge-ografia umana”.

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E’ aperta a fine giugno a Spoleto White Golden Dark, un trittico che raccoglie i tuoi precedenti lavori White World e Golden Light, insie-me all’ultimo nato After Dark. Cosa unisce queste tre opere?White Golden Dark è un viaggio in 55 immagini che nasce dal desiderio di raccontare il mio personale per-

corso così come l’evoluzione della mia fotografia nell’arco degli ultimi 10 anni. In queste tre serie si può identificare come soggetto comune il paesaggio, che è in realtà una vi-sione nella quale si fondono in un unicum atmosfere e stati d’animo. Nel corso di un arco temporale così ampio mutano il paesaggio così

come gli stati d’animo; lo spettatore è testimone di questo mutamento e può seguirne il percorso attraverso il ritmo dinamico dei colori: dal bian-co all’oro, dall’oro all’oscuro, e dall’o-scuro al bianco come in una classica ring composition. ➤

RECENSIONI

Spoleto. Festival dei Due Mondi

WHITE GOLDEN DARK uN’INTERVISTA A FRANCESCO BOSSO

A CuRA DI 6GLAB

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Come mai la scelta del bianconero?La scala dei grigi allude alle tante sfuma-ture della realtà, senza la distrazione del colore. Il bianconero mi aiuta a immorta-lare atmosfere delicate e poetiche che, al tempo stesso, rivelano l’intimo spirito del luogo.

Per ripercorrere questo decennio e arrivare ad After Dark quindi dob-biamo partire dal bianco e dall’oro, giusto?Esatto, in White World ho ricercato in-tensamente la natura, intesa come luogo incontaminato e in un certo senso con-trapposto a quello in cui viviamo abitual-mente. La natura ci offre delle immagini ricche di dettagli e allo stesso tempo essen-ziali: White World ha voluto riunire la to-talità di questi elementi, sovrapponendoli

fino quasi a farli scomparire nei toni del bianco. Dal 2012, poi, la mia ricerca si è indirizzata verso l’incredibile varietà e ma-estosità della terra islandese con Golden Light, caratterizzata da immagini molto contrastate con spettacolari tagli di luce. E’ la luce, infatti, che si tinge di oro e che mostra la preziosità atavica dei luoghi e la loro memoria.

E così arriviamo ad After Dark, la tua ultima creazione. Cosa puoi dir-ci a riguardo?Questa opera è a suo modo un prosegui-mento di Golden Light che ha rappresenta-to una netta svolta stilistica nel mio lavoro ed un’evoluzione rispetto a White World. Questo cambiamento è rappresentato dal capovolgimento dei toni: fotograficamente parlando, si è passati da una visione dai

toni molto sfumati nelle variazioni e decli-nazioni del bianco ad una visione assolu-tamente dark. Questo titolo, After Dark, in realtà vuole essere però un’apertura pro-iettata verso il futuro e, di conseguenza, un ritorno alla luce, che prepotentemente vuole tornare ad illuminare la scena.

Dove sono ambientati gli scatti di After Dark?La volontà è stata quella di proseguire un discorso lasciato in sospeso con Golden Light: ho allargato gli orizzonti uscendo dall’Islanda e aprendo i confini al mon-do. Caraibi, Thailandia, Cina: i più svariati luoghi del pianeta. Possiamo dire che Af-ter Dark raccoglie tutti quei luoghi in cui la bellezza della natura reclama di essere mostrata nella sua forma migliore.

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RECENSIONI

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«Dipingo autoritratti perché sono spes-so sola, perché sono la persona che co-nosco meglio» F.K.

Frida Kalho travolge Roma con l’ener-gia straordinaria del suo spirito e della sua opera. Alle Scuderie del Quirinale rimarrà infatti aperta fino al 31 agosto un’importante retrospettiva, curata da

Helga Prignitz-Poda, dedicata all’arti-sta messicana e alla sua esuberante produzione pittorica, primo atto di un più ampio progetto che proseguirà in autunno a Palazzo Ducale a Genova concentrandosi sul rapporto dell’artista con Diego Rivera, suo compagno di vita e di passioni. La mostra romana, che oltre ad una vasta selezione di capo-

lavori provenienti da diverse collezioni comprende anche un cospicuo nucleo di fotografie di Leo Matiz e Nickolas Muray, ripercorre la complessa vicenda biografica e l’intera carriera artistica di Frida Kalho attraverso il filo condutto-re dell’autoritratto, genere variamente rielaborato dalla pittrice nel corso della sua vita. Ritorna dunque sulla scena il ➤

RECENSIONI

Roma. Scuderie del Quirinale

FRIDA L’ARTISTA MESSICANA ALLE SCUDERIE DEL QUIRINALE

A CuRA DI LIDIA PASSARO

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tema della sofferenza – dalle profon-de ferite fisiche e psicologiche seguite al terribile incidente in cui fu coinvolta ancora adolescente al dramma dell’a-borto e del desiderio di una maternità mai realizzata – che si fonde nel suo fantasioso immaginario con i miti del passato indigeno e delle tradizioni folk-loriche del suo popolo, nonché con la storia e lo spirito rivoluzionario del tempo, di cui Frida fu indiscussa pro-tagonista. Fra le opere più significative, il giovanile Autoritratto con il vestito di velluto, dipinto per il fidanzato dell’epo-ca Alejandro Gómez Arias e ispirato ai di lui racconti della Venere botticelliana, ma con l’atteggiamento apertamente sensuale di una moderna dea dell’amo-re, l’ Autoritratto al confine fra il Messico

e gli Stati uniti d’America, da cui emerge tutta la sua insofferenza nei confronti del “paese del gringo”, ed in cui si sta-glia come su di un piedistallo a metà fra il suo Messico ricco di storia e traboc-cante di energia naturale e la sua nuova patria d’adozione, grigia e dominata da fabbriche fumanti, e ancora l’Autori-tratto come Tehuana o Diego nei miei pensieri, che già solo dal titolo tradisce la passione viscerale e tormentata che sempre legò Frida al celebre muralista. L’avvicendarsi delle opere lungo il per-corso espositivo intende inoltre gettare uno sguardo più ampio sull’intrecciarsi dell’arte della pittrice messicana con le tendenze artistiche a lei contempora-nee attraverso interessanti paralleli a cavallo dei continenti: dal Pauperismo

rivoluzionario all’Estridentismo, dal Sur-realismo a quello che decenni più tardi prese il nome di Realismo Magico. Com-pleta la mostra la selezione fotografica che vede l’artista ritratta da Leo Matiz, fotografo, pittore, editore colombiano molto celebre in Sudamerica, che du-rante il suo soggiorno in Messico fra il ’40 e il ’48 ebbe modo di conoscere e fo-tografare Frida a Coyoacan, il quartiere di Città del Messico dove abitava fin da bambina, e Nickolas Muray, fotografo di origine ungherese e amante dell’artista per un decennio, che contribuì, con il celeberrimo ritratto-icona di lei seduta in abiti tradizionali messicani su di una panchina bianca a New York, a costruir-ne l’eterno mito di donna e di artista. Da non perdere.

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EVENTI

ARTICOLO COMPLETO E SERVIzIO FOTOGRAFICO:

ELLIOTT ERWITTICONSGalleria d’arte moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada”, San Gimignano (SI)6 aprile – 31 agosto 2014

http://www.clic-he.it/?p=6775

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La mostra, visitabile fino al 31 agosto, ripercorre la carriera e i temi principali della poetica del grande fotografo e arti-sta americano Elliott Erwitt (1928), attraverso 42 scatti da lui stesso selezionati come i più rappresentativi della sua produzione artistica.

www.comune.sangimignano.si.it/it/eventi/elliott-erwitt-iconswww.elliotterwitt.com

EVENTI

San GimignanoELLIOTT ERWITT

ICONS A CuRA DI SANDRO BINI

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EVENTI

ARTICOLO COMPLETO E SERVIzIO FOTOGRAFICO:

PONTORMO E ROSSO FIORENTINODIVERGENTI VIE DELLA “MANIERA”Firenze- Palazzo Strozzi8 marzo - 20 luglio 2014

http://www.clic-he.it/?p=6724

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Palazzo Strozzi ospita la grande mostra Pontormo e Rosso Fio-rentino. Divergenti vie della “Maniera”, un’esposizione dedicata ai due pittori più anticonformisti e spregiudicati del Cinquecento italiano, fra i protagonisti del nuovo modo di intendere l’arte in quella stagione che Giorgio Vasari chiama ‘maniera moderna’.

palazzostrozzi.org

EVENTI

FirenzePONTORMO E ROSSO FIORENTINO

DIVERGENTI VIE DELLA “MANIERA” A CuRA DI SANDRO BINI

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Indossare, dimorare. Un oggetto vestito, un luogo vissuto o entrambi per indagare il rapporto intimo tra individuo, identità, spazio e tempo

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LA REDAZIONE

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