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Cogenerazione da scarti di attività di allevamento: analisi integrata e ricadute potenziali sul territorio cuneese Ottobre 2009 Con il supporto di:

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Cogenerazione da scarti di attività di allevamento:

analisi integrata e ricadute potenziali sul territorio cuneese

Ottobre 2009

Con il supporto di:

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analisi integrata e ricadute potenziali sul territorio cuneese

Fondazione per l’Ambiente T. Fenoglio ONLUS pag. 2 / 144

CSAAA - Cogenerazione da scarti di attività

di allevamento: analisi integrata e ricadute

potenziali sul territorio cuneese

Ottobre 2009 Rapporto realizzato dal gruppo di lavoro del progetto CSAAA della Fondazione per l’Ambiente “Teobaldo Fenoglio” ONLUS (Giuseppe Genon, Franco Becchis, Franco Molteni, Vittorio Verda, Chiara Ciano, Daniele Russolillo). Il progetto è sostenuto da:

���� Licenza di utilizzo e distribuzione

Questo rapporto è pubblico e scaricabile gratuitamente presso il sito della Fondazione per l’Ambiente www.fondazioneambiente.org Tutti i dati e le informazioni pubblicate all'interno di questo documento possono essere distribuite, trasmesse, ripubblicate o in altro modo utilizzate, in tutto o in parte, senza il preventivo consenso della Fondazione per l’Ambiente, a condizione che tali utilizzazioni avvengano per finalità esclusivamente di uso personale, studio e ricerca. Per finalità differenti (es. commerciali, istituzionali, etc.) è necessario contattare la Fondazione per l’Ambiente e fare richiesta scritta via email all’indirizzo [email protected] È sempre obbligatorio, per ogni utilizzazione e finalità, citare correttamente la fonte, riportando per esteso il nome del documento ed il mese ed anno di pubblicazione (riportati in copertina) e la dicitura “Fondazione per l’Ambiente – www.fondazioneambiente.org” impressa in caratteri ben visibili.

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Premessa

Il crescente fabbisogno energetico del pianeta, con un incremento nei consumi di energia primaria superiore al 25% nell’ultimo decennio (da circa 8.900 milioni di tep/anno nel 1998 ad 11.300 milioni di tep/anno nel 2008 - dati BP 2009 - con una crescita media annua pari al 2,4%), le problematiche ambientali connesse al soddisfacimento della domanda e il complesso contesto economico caratterizzato dalle esigenze di alcuni paesi emergenti, richiedono una profonda e continua attenzione nei confronti dell’approvvigionamento energetico a tutti i livelli ma nel contempo favoriscono la nascita di nuove opportunità.

Il progetto” Cogenerazione da scarti di attività di allevamento: analisi integrata e

ricadute potenziali sul territorio cuneese” finanziato nell’ambito del Bando Ricerca della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, si è proposto di analizzare le opportunità di impiego energetico della biomassa non legnosa (in particolare della pollina) disponibile in Provincia di Cuneo. L’analisi è stata condotta utilizzando un approccio integrato, in grado di tenere in considerazione – nel quadro normativo e regolatorio vigente - gli aspetti tecnologici ed energetici, gli aspetti economici e l’impatto ambientale a livello globale e locale.

Le attività previste dal progetto si inseriscono nel filone di attività della Fondazione per

l’Ambiente rivolto all’energia ed all’ambiente ed all’interazione fra le differenti politiche pubbliche che a questi ambiti si indirizzano - non sempre con finalità convergenti – come ad esempio le politiche di sviluppo delle fonti rinnovabili, le politiche per l’abbattimento dei gas climalteranti, le politiche per la qualità dell’aria a livello locale. Tale linea di lavoro caratterizza l’attività della FA fin dalla sua costituzione e la presenza, fra i soggetti fondatori, di enti pubblici a fianco di utilities ed atenei, ha sempre costituito un fattore di ricchezza e circolazione delle informazioni nell’ambito dei compiti di autonoma elaborazione che alla FA sono stati assegnati.

Si ringraziano, per il supporto e l’interesse mostrato all’attività di ricerca, i seguenti enti:

• Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo • Provincia di Cuneo • Città di Alba • ARPA - Dipartimento di Cuneo • Associazione Produttori Avicunicoli Piemontesi – AsproAvic Piemonte

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Indice

OBIETTIVI E METODOLOGIA DELLA VALUTAZIONE INTEGRATA 8

VALUTAZIONE PUBBLICA E VALUTAZIONE DI MERCATO 8 SOGGETTI COINVOLTI E PORTATORI DI INTERESSI 8 ANALISI ECONOMICA E POLITICHE PUBBLICHE 9 ANALISI INTEGRATA 9

Esternalità rilevanti 10 STRUTTURA DELL’ANALISI 10

ASPETTI TECNOLOGICI 11

ASPETTI GENERALI SULLE BIOMASSE UTILIZZATE COME RISORSA ENERGETICA 11 Il ruolo energetico delle biomasse 11 Impatto ambientale delle biomasse 13 Aspetti metodologici specifici per le biomasse 14

TECNOLOGIE DISPONIBILI PER LA VALORIZZAZIONE ENERGETICA 15 Pirolisi e carbonizzazione 15 Gassificazione 16 Digestione anaerobica 18 Combustione delle biomasse allo stato gassoso 19 Combustione delle biomasse allo stato liquido 20 Combustione delle biomasse allo stato solido 20 Sistemi cogenerativi 21 Cicli ORC 22 Turbogas ad alimentazione esterna 27 Motori Stirling 32

TECNOLOGIE PER IL CONTENIMENTO DELLE EMISSIONI 37 Le polveri 37

Filtri a tessuto 38 Precipitatori elettrostatici 41

I metalli pesanti 44 Gli ossidi di zolfo ed altre sostanze acide 44 Gli ossidi di azoto 48 Il monossido di carbonio e i composti organici volatili 53 Ammoniaca 55

ANALISI NORMATIVA 56

UTILIZZO ENERGETICO DI EFFLUENTI ZOOTECNICI: BIOCOMBUSTIBILI O RIFIUTI ? 56 Normativa comunitaria 56

L’evoluzione della normativa comunitaria sui rifiuti 56 La nuova figura dei sottoprodotti 58

Normativa nazionale 61 LOCALIZZAZIONE, REALIZZAZIONE ED ESERCIZIO DELL’ IMPIANTO: LE REGOLE ED I CONTROLLI

AMBIENTALI 63 Valutazione di impatto ambientale 63 Autorizzazioni 65

Regime di regolazione e controllo delle emissioni degli impianti energetici 65 Regime di regolazione e controllo degli impianti di trattamento energetico dei rifiuti 68 Regime di controllo semplificato per particolari tipologie di impianti di recupero rifiuti 68

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Regime di controllo integrato dell’inquinamento 70 Procedimento 71

PRODUZIONE DI ENERGIA RINNOVABILE E EFFICIENTE: INCENTIVI ECONOMICI 72 Energia elettrica da fonti rinnovabili (biomasse) 72 Energia termica in cogenerazione – teleriscaldamento 74

LA DISPONIBILITÀ DI RISORSA IN PROVINCIA DI CUNEO 7 6

QUANTIFICAZIONE DELLA POLLINA SUL TERRITORIO PROVINCIALE 76 QUANTIFICAZIONE DEGLI SCARTI DI ALLEVAMENTO SUINO SUL TERRITORIO PROVINCIALE 78

CASI STUDIO 81

L’ UTILIZZO BUSINESS-AS-USUAL DELLA POLLINA 81 IPOTESI ENERGETICHE DI BASE NELLA CONDUZIONE DEI CASI DI STUDIO 81 CASO STUDIO A – UTILIZZO DELLA POLLINA IN CO-DIGESTIONE ANAEROBICA CON EFFLUENTI

ZOOTECNICI 85 CASO STUDIO B – UTILIZZO DI POLLINA IN UN IMPIANTO DI TAGLIA ELEVATA CON ASSERVIMENTO AD

UNA RETE URBANA DI TELERISCALDAMENTO 87 Analisi energetica 87 Analisi ambientale 90

Considerazioni energetiche di contorno utili all’analisi ambientale 91 Sistemi di abbattimento delle emissioni in atmosfera per l’impianto ORC 92 Emissioni in atmosfera 93 Impatto della combustione ORC sulla qualità dell’aria alla scala locale 100

Analisi economica 104 I costi ed i benefici diretti ed indiretti di mercato 104 Il calcolo delle esternalità ambientali 106

CASO STUDIO C – UTILIZZO DI POLLINA PER LA GENERAZIONE DIFFUSA TRAMITE UN IMPIANTO

COGENERATIVO DI PICCOLA TAGLIA 112 Analisi energetica 112 Analisi ambientale 114

Emissioni in atmosfera 114 Impatto dell’impianto micro-turbina sulla qualità dell’aria alla scala locale 116

Analisi economica 120 I costi ed i benefici diretti ed indiretti di mercato 120 Il calcolo delle esternalità ambientali 122

CONCLUSIONI 127

APPENDICI 128

A - LA DESTINAZIONE DELLE CENERI DA COMBUSTIONE DI POLLINA 128 B – VALUTAZIONE DELLE ESTERNALITÀ 132

Modelli atmosferici di dispersione utilizzati 132 La metodologia ExternE 132

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 140

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Indice delle figure e delle tabelle Processi di conversione delle biomasse 12 Dati relativi all’impianto 17 Schema di riferimento funzionale della fermentazione 18 Fluidi della famiglia dei polisilossani 25 Convenienza dell’utilizzo di MDM come fluido di processo 27 Macchina turbogas ad alimentazione esterna 28 Caldaia a griglia mobile e alimentazione a spinta 30 Motore Stirling 32 Diagramma p-v per un ciclo Stirling reale 33 Scambiatori di calore di un motore Stirling 34 Schema di impianto e flussi termici scambiati (motore Stirling BIOS) 34 Dati relativi al motore Stirling BIOS 35 Schema di impianto con motore Stirling 35 Schema di impianto con motore Stirling con gassificatore updraft 36 BAT per la depolverazione dei gas in uscita dagli impianti di combustione a biomassa e a torba 38 Schema generale di un filtro in tessuto 39 Filtro in tessuto con getto intermittente a bassa pressione 40 Tipica e schematica disposizione di un ESP a secco con corona negativa 42 Iniezione di assorbente a secco per la rimozione degli ossidi di zolfo 45 Livelli emissivi raggiungibili per mezzo dell’assorbimento delle sostanze acide 45 Scrubber a letto flottante 46 Scrubber a corpi di riempimento 46 Scrubber a piatti filtranti 47 Torre spray 47 Livelli emissivi raggiungibili per mezzo dell’assorbimento a umido 48 Tabella 4 – Prestazioni generali delle tecniche secondarie per l’abbattimento degli NOX 50 BAT per la prevenzione ed il controllo degli NOX negli impianti a combustione di biomassa 52 BAT per la prevenzione ed il controllo degli NOX per turbine e motori a gas 53 Esempio di filtro catalitico multi-funzione 54 D.lgs 152 /06 Parte quinta Allegato I – Parte III – Valori di emissione per specifiche tipologie di impianti 66 Capi avicoli per Comune 77 Capi avicoli nel territorio provinciale 78 Produzione di liquame suino nel territorio regionale - fonte: Bacini agroenegetici piemontesi: biomassa ed energia 2013, Corintea, 2008 79 Voci di costo diretto per l’utilizzo BAU della pollina 81 Costi di investimento e costi di gestione per l’impianto ORC 88 Curva cumulata della rete di teleriscaldamento 89 Analisi di pollina di ovaiole 90 Costi dei presidi ambientali sull’impianto di combustione ORC della pollina 93 Emissioni dall’impianto di combustione ORC della pollina 94 Emissioni dalla caldaia ausiliaria a servizio del TLR 94 Emissioni di ammoniaca dalle fasi di stoccaggio e spandimento della pollina 95 Emissioni dirette di protossido di azoto dalla gestione delle deiezioni avicole 96 Emissioni di metano dalle fasi di stoccaggio e spandimento della pollina 96 Emissioni evitate dall’attività di allevamento avicolo 97 Emissioni da impianti termici sostituiti (dati relativi alla prov. Cuneo) 97 Emissioni legate ai trasporti 98

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Bilancio emissivo complessivo 99 Bilancio emissivo netto (positivi i peggioramenti emissivi) 99 Concentrazioni medie annue al suolo di ossidi di azoto 100 Concentrazioni medie annuali di NO2 (in µg/m3) “aggiunte” attribuibili all’impianto di cogenerazione ORC da 6 MW (area di calcolo 5 km x 5 km) 101 Concentrazioni medie annuali di NO2 (in µg/m3) “evitate” in ragione del TLR servito dall’impianto di cogenerazione ORC da 6 MW (area di calcolo 5 km x 5 km) 102 Concentrazioni medie annuali di NO2 (in µg/m3) come somma dei contributi; positive se incrementali (area di calcolo 20 km x 20 km) 103 ORC: parametri di partenza utilizzati nel modello di calcolo per l’ACB di mercato 104 ORC: risultati dell’analisi economica dei costi e benefici diretti di mercato 105 ORC: flussi di cassa di mercato annui, in valore attuale (durata 20 anni, tasso di sconto 5%) 105 Costi esterni sulla scala locale 107 Costi esterni della generazione di energia elettrica in Italia 108 Costi esterni sulla scala regionale 108 Costi esterni sulla scala planetaria 109 ORC: Bilancio ambientale complessivo 110 ORC: risultati dell’analisi costi benefici sociale 111 Prospetto di funzionamento dell’impianto con turbogas 113 Fabbisogno termico dell’allevamento e produzione termica del turbogas 113 Costi di investimento e costi di gestione dell’impianto a turbogas 114 Costi dei presidi ambientali sull’impianto di combustione con micro-turbina 115 Bilancio emissivo complessivo 115 Concentrazioni medie annue al suolo di ossidi di azoto 116 Concentrazioni medie annuali di NO2 (in µg/m3) “aggiunte” attribuibili alla micro-turbina da 564 kWIN (area di calcolo 5 km x 5 km) 117 Concentrazioni medie annuali di NO2 (in µg/m3) “evitate” attribuibili alla caldaia a gasolio sostituita (area di calcolo 5 km x 5 km) 118 Concentrazioni medie annuali di NO2 (in µg/m3) come somma dei contributi; positive se incrementali (area di calcolo 5 km x 5 km) 119 ORC: parametri di partenza utilizzati nel modello di calcolo per l’ACB di mercato 120 Microturbina: risultati dell’analisi economica dei costi e benefici diretti di mercato 121 Microturbina: flussi di cassa di mercato annui, in valore attuale (durata 15 anni, tasso di sconto 5%) 121 Costi esterni sulla scala locale 122 Costi esterni sulla scala regionale 123 Costi esterni sulla scala planetaria 124 Micro-turbina: bilancio ambientale complessivo 125 Microturbina: risultati dell’analisi costi benefici sociale 126 Formulazione di un fertilizzante granulare a base di ceneri di pollina 129 Zone vulnerabili da nitrati in provincia di Cuneo 130 La metodologia dei sentieri di impatto utilizzata dal modello ExternE 135 Funzioni concentrazione-risposta e relativa monetizzazione dei danni consigliate dal programma ExternE 137

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Obiettivi e metodologia della valutazione

integrata

Valutazione pubblica e valutazione di mercato

I soggetti di mercato conducono analisi di convenienza economica fondate prevalentemente sulla redditività e sul rischio. Nell’ambito delle politiche pubbliche, invece, lo scopo dei processi di valutazione di progetti o politiche è riconducibile essenzialmente alla riduzione delle carenze o asimmetrie informative che caratterizzano tali scelte, in particolare quando queste riguardano mercati particolarmente complessi e caratterizzati da esternalità e beni pubblici. In questo contesto la valutazione dovrebbe contribuire a migliorare l’efficiente allocazione delle risorse e la trasparenza decisionale, indirizzando e correggendo le opzioni di investimento degli operatori di mercato con gli strumenti propri delle politiche pubbliche. La valutazione condotta in questo rapporto intende collocare la produzione di energia dalle deiezioni animali in provincia di Cuneo nel corretto contesto tecnologico, economico e ambientale: essa presenta alcune peculiarità, dovute alle caratteristiche istituzionali della Fondazione per l'Ambiente:

• rispetto agli studi scientifico/accademici vi è un forte accento sull’utilizzabilità pratica delle informazioni;

• rispetto agli studi di mercato vi è una sottolineatura degli aspetti di politica pubblica in un settore, come quello energetico, caratterizzato da netti fallimenti di mercato;

• rispetto agli studi di fattibilità il lavoro si mantiene su un piano preliminare, di analisi per scenario potenziale.

Soggetti coinvolti e portatori di interessi

Si possono identificare alcune categorie di soggetti che a diverso titolo sono coinvolti nel settore dello sfruttamento energetico delle biomasse:

• gli agricoltori • i produttori delle tecnologie specifiche; • i Comuni • le grandi utenze civili o industriali; • le piccole utenze civili (specialmente nel settore residenziale) ed industriali; • i produttori e i distributori di energia elettrica e termica; • le amministrazioni pubbliche, in particolare per le politiche ambientali e del • territorio; • enti non-governativi ambientali, di regolazione, di standard; • il mondo della ricerca e della formazione.

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Analisi economica e politiche pubbliche

Le fonti rinnovabili di energia, fra le quali va annoverata la produzione di energia da deiezioni animali, non sono ancora uscite dalla fase del ciclo di vita in cui si trovano da parecchi anni: questa fase è caratterizzata, tra l’altro, da costi medi che in assenza di sussidi non risultano competitivi in buona parte delle situazioni progettuali, e quindi dalla necessità di interventi di politica pubblica. Nel caso considerato in questo progetto, la struttura dei sussidi pubblici (per approfondimenti rif. capitolo normativo) può essere così sintetizzata:

• remunerazione specifica nel ritiro dedicato di energia elettrica prodotta con biomasse da filiera agro-forestale (feed-in tariff): è un’alternativa al noto strumento dei certificati verdi pure ancora applicabile pur se meno remunerativo

• credito di imposta riconosciuto al gestore di sistemi di teleriscaldamento (TLR), e da trasferire per competenza in sconto agli utenti, al fine dello sviluppo delle reti asservite a centrali a biomasse

• rimborso tariffario ai distributori di energia elettrica e gas naturale nell’ambito del mercato dei titoli di efficienza energetica tramite il quale gli interventi di cui ai casi studio potrebbero trovare una valorizzazione aggiuntiva

L’analisi economica dei casi qui studiati è stata condotta dalla Fondazione per l'Ambiente ricercando un equilibrio fra la indeterminatezza (o indeterminabilità) di alcune variabili e la necessità di fornire, comunque, dei dati di costo di riferimento, pur nell’ambito di una analisi preliminare. La indeterminatezza cui si è fatto cenno riguarda, principalmente, la scelta di alcune grandezze che condizionano l’esito dell’analisi: il tasso di sconto da applicare ai flussi economici previsti e le scelte sull’arco temporale di riferimento del progetto, e quindi anche sulla pressione che i costi fissi esercitano sul costo unitario di produzione. Il punto di vista adottato dalla analisi è quello della collettività, e non di un singolo attore, pur rilevante. Come si è già detto, il punto di vista di un soggetto che persegue il profitto tiene in considerazione, normalmente, tutti i fattori di costo e beneficio riconducibili in qualche modo al proprio bilancio. Come è noto, quando un progetto implica esternalità positive o negative le decisioni private possono non essere condivisibili dal punto di vista collettivo: i soggetti privati, infatti, tenderanno a produrre un eccesso di esternalità negative e a sottoprodurre le esternalità positive, tralasciando, qui, altri problemi come l’azzardo morale e la selezione avversa che potrebbero sorgere nella distribuzione di fondi pubblici.

Analisi integrata

Il carattere pervasivo del bene energia e la sua natura di bene privato caratterizzato da forti esternalità spiegano come il problema di prendere “giuste” decisioni energetiche sia, alla resa dei conti, indeterminato.

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La stessa ripartizione dei costi di produzione e delle esternalità fra prodotti energetici che provengono dalla stessa “macchina” (come nel caso di cogenerazione di energia elettrica e calore utilizzando come combustibile la pollina) non ha, e secondo molte fonti non può avere, risposte univoche. Le proposte metodologiche principali possono essere raggruppate in tre categorie che prevedono rispettivamente la attribuzione di un “credito” di costo alla attività principale (considerando quindi un sotto-prodotto l’attività secondaria), l’attribuzione sulla base dei prezzi relativi di mercato, oppure l'impiego dell'exergia come base per la misura (analisi termoeconomica). Allo stato attuale la composizione fra i metodi e i risultati delle analisi energetiche e quelli delle analisi economiche costituisce un problema aperto come la stessa World Bank ha riconosciuto: “because there are typically substantial costs fixed and common to both products in a multi-product enterprise, such as a CHP plant which produces heat and electricity, and there is no way, based on the pertinent facts, to determine what share of those costs is attributable to one or the other product, the allocation of costs in a multi-product enterprise is always arbitrary” (World Bank, 2003)

Esternalità rilevanti

Nel caso del progetto analizzato in questo studio si possono individuare le seguenti famiglie di esternalità su cui è necessaria una analisi del bilancio comparato fra lo scenario BAU “business as usual” (spandimento della pollina sulle superfici agrarie) e lo scenario di progetto (sfruttamento energetico per la produzione combinata di elettricità e calore):

• emissioni locali e globali da stoccaggio e spandimento • emissioni locali e globali da trasporto • emissioni nette locali e globali evitate grazie al risparmio di consumi elettrici • emissioni nette locali e globali evitate dal teleriscaldamento • risparmi energetici dovuti al teleriscaldamento • molestie odorose

Struttura dell’analisi

Sono stati individuai due scenari di riferimento: il primo è il cosiddetto “business as usual”, cioè la situazione attuale prevalente di spandimento della pollina, il secondo è il “progetto”, che contempla la raccolta e il conferimento della pollina a una centrale di produzione combinata di energia elettrica e calore. La valutazione è organizzata attorno ai seguenti passi:

• scelta di un arco temporale di riferimento • scelta di un tasso di sconto di riferimento per l’analisi di mercato e e per l’analisi

delle esternalità • individuazione degli elementi di costo e beneficio diretto di mercato dei due scenari • quantificazione degli elementi di costo e beneficio diretto di mercato dei due scenari • individuazione delle esternalità rilevanti per i due scenari • quantificazione delle esternalità rilevanti per i due scenari

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Aspetti tecnologici

Aspetti generali sulle biomasse utilizzate come ris orsa energetica

Il ruolo energetico delle biomasse

Il fabbisogno mondiale di energia primaria è soddisfatto per circa l’80% con fonti fossili [Beretta, 2008]: prodotti petroliferi, carbone e gas naturale. Le fonti energetiche rinnovabili contribuiscono per circa il 16% e tra queste le biomasse rappresentano la quota principale (10-11% a seconda della fonte bibliografica, contro il 2,5-5,4% dell’idroettrico e 0,2-0,5% di solare, eolico e geotermico). Con il termine biomassa si intendono, in senso generale, tutte le sostanze di origine biologica in forma non fossile. Si tratta di una fonte di energia rinnovabile di estrema importanza, facilmente reperibile, che può essere immagazzinata per lunghi periodi e porta spesso a soluzioni economicamente sostenibili. Principalmente l’utilizzo energetico delle biomasse è termico (riscaldamento e cottura di cibi), in particolare in aree rurali. L’impiego più consueto per la produzione di energia elettrica è realizzato in impianti termoelettrici di piccola e media taglia (da poche centinaia di kW fino ad alcune decine di MW elettrici), spesso funzionanti in cogenerazione. Un altro possibile utilizzo è realizzato in centrali termoelettriche convenzionali a carbone in sostituzione di parte del combustibile fossile. In tal caso si parla di co-combustione di carbone e biomassa. Le biomasse utilizzabili a fini energetici sono tutte quelle che possono essere adoperate direttamente, o trasformate in combustibili (solidi, liquidi o gassosi) di più facile utilizzo, per mezzo d’opportuni impianti di conversione. Le biomasse sono costituite da:

• piante arboree ed erbacee selezionate e coltivate per essere utilizzate come fonte energetica

• scarti di lavorazione del legno e residui di lavorazione derivanti da industrie agroalimentari

• rami, foglie, erba, derivanti da potature, sfalcio di prati o sistemazione di boschi • la parte organica dei rifiuti urbani (RSU) • liquami zootecnici e civili

Quelle di origine vegetale rappresentano la forma più sofisticata di accumulo dell'energia solare, che, tramite il processo di fotosintesi clorofilliana, consente alle piante di convertire la CO2 atmosferica in materia organica, utile per poter essere riconvertita in energia. In alcuni casi la biomassa può essere utilizzata direttamente in un processo di combustione per produrre energia; in altri casi la materia prima dovrà essere trasformata in un prodotto compatibile con l’uso finale. I processi di conversione si possono suddividere in tre categorie:

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• conversione fisica: cippatura, compattamento, essiccamento, spremitura. • conversione biochimica: decomposizione anaerobica, fermentazione alcolica,

estrazione di olii e produzione di biodiesel. • conversione termochimica: carbonizzazione, pirolisi, gassificazione.

I processi di conversione fisica sono azioni meccaniche atte a ridurre il peso, il volume o la pezzatura delle biomasse; particolarmente adatti a questo tipo di trattamento sono i legnami, gli scarti di segheria, i semi oleosi per la spremitura. I processi di conversione biochimica permettono di ricavare dei vettori energetici per reazione chimica dovuta al contributo di enzimi, funghi e micro-organismi, che si formano nella biomassa sotto particolari condizioni. Vengono impiegate quelle biomasse il cui rapporto carbonio/azoto (C/N) sia inferiore a 30 e il contenuto d'umidità superi il 30 %. Risultano perciò idonei alla conversione biochimica le culture acquatiche, alcuni sottoprodotti colturali (foglie e steli di barbabietola, patate ecc.), i reflui zootecnici e alcuni scarti di lavorazione agroindustriale, nonché la biomassa eterogenea immagazzinata nelle discariche controllate. I processi di conversione termochimica si basano sull'azione del calore, che permette le reazioni chimiche necessarie alla trasformazione della materia in energia. Sono utilizzabili a questo scopo, i prodotti o residui cellulosici e legnosi il cui rapporto C/N, contrariamente al precedente, abbia valore superiore a 30 ed il contenuto di umidità non superi il 30 %. Le biomasse più adatte a subire processi di conversione termochimica sono il legname ed i suoi derivati (segatura, trucioli, ecc...), i più comuni sottoprodotti colturali di tipo ligno–cellulosico (paglia di cereali, residui di potatura della vite e dei frutteti), e taluni scarti di lavorazione (lolla, pula, gusci,…).

Processi di conversione delle biomasse

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Cogenerazione da scarti di attività di allevamento:

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Dal punto di vista tecnologico ed industriale, sono sostanzialmente tre le tecniche già mature per la valorizzazione energetica delle biomasse:

• combustione diretta • trasformazione in biocombustibile liquido (biodiesel da specie oleaginose e

bioetanolo da specie zuccherine e amidacee); • produzione di biogas da fermentazione anaerobica di reflui zootecnici, civili o

agroindustriali. Oltre alla combustione diretta, le tecnologie più vicine alla fase di industrializzazione sono la gassificazione e la pirolisi.

Impatto ambientale delle biomasse

L’impatto ambientale creato da un impianto di generazione da biomasse produce i suoi effetti, con maggior rilevanza, sull’atmosfera. La combustione della biomassa è uno degli strumenti indicati come favorevoli in termini di emissioni ritenute climalteranti, in quanto il bilancio della CO2 relativo a tale filiera viene considerato praticamente neutro. In realtà, va considerato che la raccolta delle biomasse e il loro trasporto richiedono l’utilizzo di energia e il conseguente rilascio di CO2. Gli inquinanti atmosferici derivanti dalla combustione della biomassa vergine sono, essenzialmente, NOx, CO, particolato, inquinanti acidi e microinquinanti organici e metallici in piccola quantità, dovuti questi ultimi, alle sostanze assorbite nel ciclo di vita della pianta e ad impurità contenute nella biomassa. In generale, se la combustione riguarda la sola biomassa vergine, per i piccoli impianti è sufficiente la gestione ottimale del processo di combustione, per gli altri sarà necessario dotarli di un’efficace sistema di filtrazione mediante filtri a maniche (preferibilmente) o elettrofiltri e ad un trattamento degli NOx, consentendo così il rispetto dei limiti normativi. Diversamente accade se la biomassa vergine viene integrata con combustibili più ricchi dal punto di vista energetico, caratterizzati da una composizione elementare in grado di incrementare di gran lunga la produzione di macroinquinanti acidi (HCl ed SO2 in particolare) durante la combustione. Questo fenomeno è possibile se vengono utilizzati, per esempio: scarti di legno derivanti dalla produzioni di mobili o da materiale da costruzione, se viene utilizzata la parte secca dei rifiuti organici (CDR). In tal caso, la linea dei fumi va completata con un sistema di trattamento degli inquinanti acidi. Il riferimento normativo per l’utilizzo di CDR come combustibile è costituito dal Decreto Legge n. 152 del 3 aprile 2006, integrato dal successivo DL n. 4 del 16 gennaio 2008, sia per la gestione della combustione che per il rispetto dei limiti alle emissioni al camino. Gli altri prodotti di scarto derivanti dalla generazione di energia da biomassa sono scorie, ceneri ed eventuali effluenti liquidi, che possono trovare metodologie di smaltimento o reimpiego semplici se provengono dalla combustione della sola biomassa vergine, in caso contrario dovranno essere conferiti in apposite discariche.

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Aspetti metodologici specifici per le biomasse

L’analisi di questa risorsa è estremamente complessa, per via delle particolari implicazioni tecniche, sociali, economiche e ambientali che ne caratterizzano il possibile impiego. In primo luogo le biomasse hanno un pregio inferiore dal punto di vista energetico rispetto agli idrocarburi. Dal punto di vista tecnico questo pregio è evidenziato dal valore assunto dal potere calorifico, che assume valori estremamente variabili, da circa 2.600 kJ/kg a 18.200 kJ/kg, contro i circa 45.000 kJ/kg del gas naturale. Il potere calorifico è la massima quantità di calore ottenibile da un processo di combustione di una unità di massa di quella sostanza (la massima quantità di calore implica che la combustione sia completa e raffreddando i fumi prodotti fino alla temperatura alla quale combustibile e comburente sono disponibili). Le cause principali del basso potere calorifico risiedono nella presenza di acqua e di sostanze che non partecipano alla combustione (dette ceneri, ovvero la componente minerale). Questo si traduce nella necessità di una maggiore quantità di combustibile da utilizzare a parità di effetto utile, ma anche in una temperatura massima raggiungibile significativamente inferiore. Come sarà discusso meglio nel seguito, la temperatura massima influenza le prestazioni ottenibili nell’utilizzo di questa risorsa in macchine termiche, allo scopo di produrre energia elettrica. Questo significa che a parità di energia introdotta con il combustibile (massa di combustibile per potere calorifico), gli idrocarburi consentono di ottenere in generale una maggiore quantità di energia elettrica. Da un punto di vista puramente energetico sarebbe razionale destinare gli idrocarburi principalmente alla produzione di energia elettrica e le risorse di minor pregio alla produzione di energia termica. Un secondo aspetto che riguarda le biomasse è di tipo economico e sociale. L’utilizzo energetico delle biomasse è spesso in competizione con altri impieghi di questa risorsa: i cereali sono utilizzati per l’alimentazione dell’uomo e di specie animali, molte tipologie di legname trovano impiego nelle costruzioni, scarti da lavorazioni agricole e deiezioni sono riutilizzati nelle stesse attività produttive. La modifica della destinazione di utilizzo di un bene produce sempre un impatto che deve essere tenuto in considerazione nell’analisi. Da un punto di vista ambientale, sebbene la combustione di biomassa non contribuisca sensibilmente all’emissione di gas ritenuti climalteranti (CO2), tuttavia presenta problematiche per quanto riguarda il particolato, gli NOx, ecc. Tali emissioni devono essere mantenute sotto controllo scegliendo adeguatamente la tecnologia impiegata per la conversione ed eventualmente gli opportuni sistemi di abbattimento, cosa che condiziona la dimensione minima dell’impianto economicamente sostenibile. Un ultimo elemento da considerare riguarda la localizzazione della risorsa. Nel caso in cui l’approvvigionamento avvenga in modo distribuito nel territorio può non essere trascurabile l’impatto economico ed ambientale del processo di raccolta e del trasporto. Per contro, si possono determinare ritorni positivi legati alla nascita di attività produttive in aree rurali. Per queste ragioni, in questo progetto è utilizzata una metodologia di analisi integrata che considera aspetti tecnici, economici, ambientali e normativi.

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Tecnologie disponibili per la valorizzazione energe tica

Le tecnologie disponibili per l’impiego della biomassa possono essere classificate, tra i vari criteri, sulla base del tipo di processo chimico-fisico che ne consente l’utilizzo energetico e sulla base della conversione dell’energia primaria in ingresso in lavoro, che è correlato alla tecnologia della macchina e alla sua taglia. Sulla base del primo criterio distinguiamo: pirolisi, gassificazione, digestione e combustione (Van den Broek et al, 1996; Comini, Cortella, 2001; Faaij et al. 1997). Tra le tecnologie di conversione dell’energia primaria in lavoro (ed eventualmente calore come sottoprodotto) sono di particolare interesse su taglie medio-piccole (cioè da poche decine di kW fino ad alcuni MW) i cicli Rankine organici (ORC), le turbine a gas e i motori a ciclo Stirling.

Pirolisi e carbonizzazione

La pirolisi è un processo termico di degradazione della biomassa che avviene in assenza di aria. Il calore necessario al processo può essere totalmente fornito dall’esterno oppure, in presenza di una limitata quantità di agenti ossidanti, può essere prodotto internamente mediante la combustione di una parte della biomassa. Attraverso la pirolisi la biomassa viene generalmente trasformata in:

• una frazione “gassosa” a basso-medio potere calorifico contenente CO, CO2, idrocarburi (CH4, C2H4, C3H6), H2O, H2,

• una frazione “liquida oleosa” contenente acqua e composti organici a basso peso molecolare come aldeidi, acidi, chetoni, alcoli,

• un prodotto “solido” contenente residui a più alto peso molecolare, furani derivati e composti fenolici.

Sebbene le tre frazioni siano presenti come risultato del processo di pirolisi, è possibile incrementare la resa di una di esse, selezionando opportunamente le condizioni del processo quali la temperatura finale di reazione, la velocità di riscaldamento della biomassa, il tempo di residenza del materiale alla temperatura di reazione, la dimensione e la forma fisica della biomassa da trattare, la presenza di determinati catalizzatori. I prodotti della pirolisi sono gassosi, liquidi e solidi ed ottenuti in proporzioni che dipendono dai metodi di pirolisi e dai parametri di reazione. Le varianti attraverso le quali è possibile condurre il processo sono:

• la pirolisi lenta, che avviene a basse temperature e con lunghi tempi di permanenza in ambiente povero d’ossigeno. Produce maggiormente carbone avente peso pari al 30 % di quello della biomassa di partenza. Se il prodotto di partenza è legna la pirolisi è chiamata carbonizzazione, con questo processo il materiale aumenta il suo potere calorifico passando da 17.000 kJ/kg a 25.000÷30.000 kJ/kg.

• la pirolisi veloce (fast), condotta ad una temperatura relativamente bassa (tra 500 e 650 °C) e tempo relativamente breve, produce maggiormente liquidi, chiamati oli pirolitici. Questi oli dovranno subire ulteriori processi per aumentarne la qualità e la stabilità (up-grading) per ottenere un prodotto chiamato “bio-olio”.

• la pirolisi ultraveloce (flash), condotta ad una temperatura molto alta (temperatura superiore ai 650 °C) e tempi di permanenza brevissimi, inferiori al secondo, produce

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maggiormente gas, composto da idrogeno, monossido di carbonio e da una piccola percentuale di anidride carbonica.

• La pirolisi convenzionale dà origine a prodotti gassosi, liquidi e solidi in proporzioni più o meno uguali.

I prodotti di pirolisi hanno mediamente un peso pari al 22 % di quello iniziale e contengono due terzi dell’energia totale della massa originaria. Praticamente con il processo di pirolisi si trasforma un combustibile a bassa densità energetica (3.000 ÷ 4.000 kcal/kg) in un altro a più elevato contenuto energetico specifico (8.000 ÷ 10.000 kcal/kg), riducendone di conseguenza i costi di trasporto.

Gassificazione

La gassificazione è la conversione di combustibili liquidi o solidi in un prodotto gassoso utile, sia come combustibile che come materia prima per diversi processi chimici; viene eseguita per reazione con aria, oppure ossigeno o vapore. Benché nel processo di gassificazione venga consumata parte dell'energia termica posseduta dal combustibile originario, l'operazione risulta conveniente in quanto la combustione con combustibili gassosi risulta più facilmente regolabile e controllabile, nonché energeticamente più efficiente. Non porta a formazioni di ceneri e permette il raggiungimento di temperature più elevate, per l’assenza di acqua vaporizzata, per la possibilità di ridurre l'eccesso di comburente e di realizzare un suo preriscaldamento, utilizzando parte del calore del combustibile di gassificazione [Bettella, 2008]. La gassificazione consiste nell'ossidazione incompleta di una sostanza in ambiente ad elevata temperatura (900 ÷ 1000 °C) per la produzione di un gas combustibile (detto syngas o gas di sintesi), con potere calorifico inferiore, variabile tra i 4.000 kJ/ Nm3 ed i 14.000 kJ/Nm3. Il gas di sintesi contiene molte impurità (char) tra cui polveri, catrami e metalli pesanti, pertanto, prima di essere utilizzato per la combustione, dovrà essere raffreddato ed opportunamente purificato. Il gas di sintesi può essere utilizzato da solo o insieme a combustibili tradizionali (co-combustione) per alimentare turbine a gas, motori endotermici o caldaie di impianti termoelettrici a vapore. In quest’ultimo caso, la fase di depurazione è meno vincolante per il funzionamento dell’impianto. Gli impianti di gassificazione possono essere suddivisi in due categorie: gassificatori a letto fisso e gassificatori a letto fluido. I gassificatori a letto fisso sono costituiti da un contenitore cilindrico con all’interno, nella parte bassa, una griglia atta a sostenere la massa e permettere lo scarico della cenere ed il passaggio dell’aria o del gas. Sulla base del verso rispettivo di percorrenza della biomassa e del gas prodotto è possibile distinguere tre configurazioni del letto fisso: equicorrente, controcorrente o a flussi incrociati. Nel letto fisso controcorrente l’agente ossidante parte dal basso, per incontrarsi al centro del contenitore con il combustibile il quale è inserito dalla parte alta del cilindro. La biomassa scendendo incontra i prodotti di gassificazione, che salgono per uscire dal dispositivo, permettendo così un suo preriscaldamento. Partendo dall’alto in questa tipologia di gassificatore si hanno le zone rispettivamente di essiccazione, pirolisi, riduzione e ossidazione; la temperatura cresce andando dall’alto verso il basso. Il gas così formatosi inizia a salire per uscire dalla parte alta, mentre le ceneri scendono ancora ed attraversano la

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griglia. Il gas di sintesi, durante la salita, può trascinare molecole complesse di idrocarburi che possono condensare (tar) e particelle solide, per tale motivo il gas in alcuni casi dovrà essere opportunamente purificato. La produzione di tar si ha prevalentemente nella zona di pirolisi; poiché non vi è, dopo la zona di pirolisi, una sezione a temperatura più alta tale da distruggere i tar, la loro produzione è rilevante ed essi lasciano il gassificatore insieme al syngas. Nei gassificatori a letto fisso equicorrente il gas prodotto scende dal basso assieme alla cenere. La biomassa, come nel caso precedente, viene introdotta dall’alto, scende venendo indirizzata in una zona dove il diametro del reattore si riduce: in questa parte avviene la reazione di gassificazione dove c’è l’immissione dell'aria a temperature elevate. Per la conformazione geometrica del reattore, si raggiunge un alto tasso di conversione dei prodotti di pirolisi e quindi una modesta presenza di tar. A causa di questa caratteristica i gassificatori a letto fisso equicorrente offrono buoni rendimenti se accoppiati a generatori elettrici di piccola taglia con motori a combustione interna. Le zone di reazione che si incontrano partendo dall’alto sono quella di essiccazione, di pirolisi, di ossidazione e riduzione. Si ha un alto contenuto di carbone nelle ceneri. I gassificatori a letto fisso twin-fire cercano di unire i vantaggi delle configurazioni equicorrente e controcorrente; l’aria viene introdotta in due posizioni,nella parte superiore e dal basso. In questo modo la parte superiore del gassificatore si comporta come un modello downdraft e la parte inferiore come un updraft; si avrà una minore produzione di ceneri e di tar. La tabella illustra le caratteristiche di un impianto in assetto cogenerativo (gassificatore a letto fisso twin-fire e motore a gas Jenbacher). I fumi lasciano il gassificatore a una temperatura di circa 650 °C; parte di questo calore è recuperato per preriscaldare l’aria di combustione.

Dati relativi all’impianto

Potenza termica installata 2 MWth Potenza elettrica erogata 550 kWel Potenza termica erogata 720 kWth Rendimento elettrico 27,5 % Rendimento termico 36 % Rendimento totale 63,5 % Combustibile Chips di legna LHV syngas 6 MJ/ MJ/Nm3 (dry)

Il funzionamento dei gassificatori a flusso incrociato è simile ai precedenti, ma il combustibile in questo caso è iniettato dall’alto, l’ossidante è immesso trasversalmente e l’uscita del gas si ha lateralmente. L’aspetto negativo del crossdraft consiste nella ridotta capacità di conversione degli idrocarburi complessi, ragion per cui questa tecnologia non è molto utilizzata. I gassificatori a letto fluido possono impiegare solamente combustibili di dimensioni modeste, poiché questi devono rimanere sospesi nella colonna d'aria ascendente insieme ad un secondo elemento che ha il compito di favorire la fluidificazione e la diffusione del calore all'interno del letto. Il materiale fluidificante all'interno del quale si trova il combustibile

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solido è generalmente sabbia, ma possono essere aggiunti catalizzatori per limitare la formazione di tar o modificare la composizione del syngas. La condizione di fluidificazione si raggiunge quando le particelle fluide sono mantenute in sospensione dal flusso ascendente di aria e gas, che dipende dal rapporto fra la portata solida e gassosa. Nei gassificatori a letto bollente sono presenti due fasi: una fluida nella parte inferiore ed una gassosa nella parte superiore del contenitore. In quello a letto circolante le fasi non sono separate, per cui il gas che esce dal reattore dovrà essere separato dalle particelle solide trasportate dal flusso, le quali saranno reinserite nel reattore. I gassificatori a letto fluido operano a pressione atmosferica, con l’eccezione del cosiddetto “pressurized fluidized bed” PFB, che opera in atmosfera pressurizzata. Questa caratteristica lo rende interessante per l’impiego del gas di sintesi in impianti turbogas. Il gassificatore a letto trascinato utilizza il combustibile solido atomizzato e viene miscelato con vapore o ossigeno e gassificato a temperature superiori a 1.200 °C. Si ottiene un gas di sintesi privo di tar, cioè più puro, a scapito di una minore efficienza, poiché una maggiore quantità di energia posseduta dalla biomassa è convertita in calore. Nel risultato del processo di gassificazione di una biomassa legnosa, usando come ossidante l'aria, si otterrà un gas con un potere calorifico inferiore variabile tra 4 e 6 MJ/Nm3 a seconda della qualità della biomassa di partenza e dei parametri di processo.

Digestione anaerobica

Il biogas è prodotto per fermentazione anaerobica di materiale organico, è cioè un processo di conversione biochimico in assenza di ossigeno che consiste nella demolizione delle sostanze organiche complesse (lipidi, protidi, glucidi), contenute nei vegetali e nei sottoprodotti animali ad opera di micro-organismi.

Schema di riferimento funzionale della fermentazione

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La digestione anaerobica è condotta in reattori (digestori) opportunamente concepiti per evitare il contatto tra la massa e l'ossigeno atmosferico e mantenere una temperatura costante (Rossi, 2008). Il processo di digestione inizia con la fase idrolitica, che è la trasformazione dei carboidrati, delle proteine e dei lipidi in acidi grassi. La fase acidogenica che segue quella idrolitica, con l’ausilio di batteri acetogenici, trasforma gli acidi grassi in acido acetico, acido formico ed idrogeno L’ultima fase, quella metanigena, trasforma i composti della fase precedente in metano e anidride carbonica. Nel digestore queste tre fasi possono avvenire simultaneamente o con l’ultima fase separata dalle altre due, per cui si parlerà di digestori ad una o due fasi. I processi possono essere classificati in funzione della parte solida contenuta dalla massa da digerire (ST), se ST è < del 10 % il processo è definito Wet Digestion, con ST compreso tra 10 % e 20 % il processo è detto semi-Dry, con valori superiori al 20 % è detto Dry. La durata del processo digestivo dipenderà dalla temperatura a cui permane la massa. Con valori compresi tra 50 ÷ 55°C il tempo necessario per la formazione di metano è circa di 15 giorni; con temperatura di 35 °C il tempo di residenza è compreso tra 20 e 30 giorni; con temperature tra i 10 e 25 °C sono generalmente necessari più di 30 giorni. Il prodotto finale potrà essere:

• un gas combustibile con potere calorifico medio di 20-25 MJ/Nm3 costituito dal 65 ÷ 70% di metano (CH4) e per la restante parte da CO2 a seconda del tipo di sostanza organica digerita e dalle condizioni di processo

• un liquido chiarificato, utilizzato per diluire la sostanza organica in ingresso al digestore o come fertilizzante

• un fango, con buone caratteristiche fertilizzanti poiché è un prodotto quasi inodore e stabile, contenente azoto in forma fissata e quindi direttamente utilizzabile dalle piante. Il fango contiene inoltre minerali come fosforo e potassio.

Per tale processo risultano idonei i sottoprodotti colturali (foglie, steli di barbabietola, patate ecc.), i reflui zootecnici, i fanghi di depurazione ed alcuni scarti di lavorazione agroalimentare. Le biomasse, dopo essere state adeguatamente trasformate in biogas, possono subire il processo di combustione, per produrre energia termica, che successivamente verrà trasformata in energia meccanica ed infine in energia elettrica.

Combustione delle biomasse allo stato gassoso

I gas che si possono produrre dalle biomasse sono di due tipi: il syngas prodotto dal processo di gassificazione delle biomasse e il biogas prodotto dalla digestione anaerobica. Gli impianti di grossa taglia utilizzano il syngas nelle caldaie a ciclo Rankine, nei generatori a turbogas o con ciclo combinato. Per le piccole potenze (75 ÷ 600 kWe) si è affermata la produzione di energia elettrica attraverso gassificatori a letto fisso di tipo downdraft, combinati con turbine a gas o con motori a ciclo otto. Il gas, prima di essere utilizzato, viene raffreddato recuperando il calore per creare acqua calda o vapore a bassa pressione, poi si passa ad una fase di lavaggio/filtraggio (che ha lo scopo di eliminare le impurità), ed infine si ha l’ iniezione nelle

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camere di combustione. Sono in sperimentazione l’utilizzo di gassificatori a letto fluido bollente per impianti di piccola taglia; l’ENEA ha costruito un impianto sperimentale con questo tipo tecnologia in Cina, per bruciare la lolla di riso. Altre sperimentazioni sono in atto per costruire gassificatori che producano un gas privo di impurità (eliminando così gli elementi di depurazione) e gassificatori che producano gas ad alto contenuto di idrogeno per essere utilizzato in celle a combustibile. Il biogas è un elemento generalmente privo di impurità e con un potere calorifico superiore a quello del syngas. Nei grandi impianti, cioè quelli superiori a 5 MWe è utilizzato in caldaie a ciclo Rankine o turbine a gas. Per la generazione distribuita il gas è utilizzato in micro–turbine a gas o in motori endotermici collegati ad un alternatore sincrono a magneti permanenti con gruppo di conversione statica o in alternativa con un generatore asincrono.

Combustione delle biomasse allo stato liquido

Il bioetanolo ed il biodiesel sono prodotti in grandi impianti di conversione, vengono immagazzinati ed utilizzati come il normale combustibile fossile. Il loro utilizzo più comune è come combustibile da autotrazione.

Combustione delle biomasse allo stato solido

La combustione è una reazione chimica di ossidazione di un combustibile con un comburente che avviene con alta velocità e forte sviluppo di energia termica. Il valore della temperatura che si ottiene dipenderà dal potere calorifico del combustibile, dal tipo di comburente utilizzato e dal rapporto in peso dei due reagenti. La combustione delle biomasse solide può essere ottenuta in forni a griglia (fissa o mobile), in forni a tamburo rotante o in forni a letto fluido. Le camere di combustione a griglia ed a tamburo rotante sono adatte a bruciare biomasse eterogenee, con elevata umidità. I forni a griglia sono costituiti da una griglia fissa o mobile a gradoni disposti in modo da ottenere una leggera pendenza per facilitare il movimento del combustibile. Dalla parte alta il combustibile entra nel forno; mentre brucia, esso si muove verso il basso, dove vengono scaricate le ceneri di taglia maggiore, invece quelle fini escono attraverso la griglia, da dove entra l’aria per la completa combustione. Il forno a tamburo rotante è costituito da un cilindro metallico, leggermente inclinato, posto in movimento rotatorio, dalla parte più elevata entra il combustibile e l’aria comburente e da quella bassa escono le ceneri ed i fumi. La rotazione favorisce l’incontro tra l’aria ed il materiale eterogeneo ma arricchisce i fumi di char, per tale motivo, questo tipo di forno, è provvisto di una camera di post combustione, per eliminare le parti solide incombuste dai fumi. I forni a letto fluido hanno la medesima forma dei gassificatori a letto fluido. Anch’essi per poter funzionare utilizzano un combustibile finemente sminuzzato, in grado di rimanere in sospensione per mezzo del flusso d’aria che in questo caso sarà abbondante per realizzare la completa combustione. Le temperature raggiunte sono elevate (850÷900°C).

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L’energia termica dei fumi è utilizzata dal generatore di vapore, che è formato da uno fascio tubiero all’interno del quale circola il fluido (di norma acqua, ma anche fluido organico in particolare in impianti di potenza inferiore) che scaldandosi evapora. Il vapore è raccolto in un corpo cilindrico ed utilizzato in una turbina a vapore per la conversione in energia meccanica e quindi in energia elettrica in un alternatore. L’impianto appena descritto, tranne per la camera di combustione, è uguale ad una comune centrale termoelettrica a carbone. Le taglie di questi impianti, difficilmente sono inferiori a 3 MW elettrici (MWe) e superiori ai 30 MWe. La potenza media è di 10 MWe, con rendimento elettrico del 20÷25%, e consumi specifici di 11,2 kg di biomassa per kWh elettrico. Le dimensioni dell’impianto sono legate alla disponibilità di biomassa in loco. Impianti di combustione più piccoli, che riescano a produrre non solo energia termica per riscaldamento o per processi industriali, ma anche energia elettrica, si possono realizzare attraverso turbogeneratori basati sul ciclo di Rankine a fluido organico (ORC), le cui taglie tipiche vanno da 400 a 1500 kWe. Per produrre energia elettrica con potenze minori si costruiscono, soprattutto in Austria, sistemi composti da forno a griglia fissa che brucia cippato o pellets, caricati in modo automatico, combinati a motori Stirling. Le taglie di potenza variano tra i 25 e 75 kWe. Nel caso della pollina, la combustione diretta rappresenta la tecnologia più usualmente praticata [Riva, 2008].

Sistemi cogenerativi

La cogenerazione è una generazione combinata di due diverse forme di energia, tipicamente energia elettrica e termica, partendo da una singola fonte energetica, in un unico sistema integrato. Il motore primario è un qualunque motore usato per convertire il combustibile in energia meccanica, il generatore la converte in energia elettrica mentre il sistema di recupero termico raccoglie e converte l’energia contenuta negli scarichi del motore primario in energia termica utilizzabile. L’energia meccanica prodotta dal motore è spesso utilizzata da un generatore per produrre energia elettrica, mentre l’energia termica può essere utilizzata per produrre acqua calda, vapore, aria calda o acqua fredda per processi di raffreddamento. I motori primari impiegati per attuare la cogenerazione includono motori alternativi, turbine a gas o a combustione, turbine a vapore o celle a combustibile; questi motori usano come combustibile gas naturale, carbone, olio combustibile, ma anche combustibili alternativi come legno, biomassa, black liquor e gas di processo (Bogatto, 2008). Esistono due principali strategie di cogenerazione: impianti di “Topping Cycle” e impianti di “Bottoming Cycle”. Un impianto “Topping Cycle” genera elettricità o energia meccanica; si tratta della tipologia più diffusa di cogenerazione e il motore primario può appartenere a una delle tipologie indicate nel paragrafo precedente. Il sistema “Bottoming Cycle” invece è legato all’industria pesante, come quella del vetro o dell’acciaio, dove vengono utilizzati forni ad alta temperatura da cui si può recuperare calore di processo da utilizzare per generare vapore e alimentare una turbina. Se si considerano potenze medio-basse, un impianto convenzionale di produzione elettrica ha una efficienza complessiva di circa il 35 %, mentre il restante 65 % viene disperso sotto

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forma di calore; con un impianto di cogenerazione tale calore viene recuperato senza dover spendere una ulteriore quota di energia primaria per produrlo. Gli aspetti più interessanti che rendono la cogenerazione una soluzione attraente sono la possibilità di ridurre i costi energetici e attuare un sostanziale risparmio energetico, riducendo in questo modo le emissioni e dunque anche l’impatto ambientale. Per contro vi è da dire che la cogenerazione risulta conveniente soprattutto se vi è una certa proporzionalità tra i carichi termici ed elettrici richiesti e quelli prodotti dal sistema: in pratica è impossibile che in tutti i periodi dell’anno vi sia coincidenza tra il rapporto elettricità-calore erogati e quelli richiesti, e sarà pertanto inevitabile prevedere il ricorso a una fonte energetica convenzionale di integrazione (prelievo di energia dalla rete e/o da una caldaia). Inoltre la cogenerazione comporta solitamente un investimento supplementare non indifferente, nonché un surplus di personale di sorveglianza e manutenzione. Questi oneri (che sono fissi), devono essere compensati dai vantaggi energetici (che sono vantaggi proporzionali alla produzione). Una modalità di produzione energetica molto interessante è rappresentata dalla Generazione Distribuita (GD) o micro–cogenerazione; infatti, è possibile collocare impianti di cogenerazione di piccola e media taglia in prossimità delle utenze, evitando in questo modo la penalizzazione delle perdita di trasporto dell’energia elettrica in rete; questi impianti risultano anche più semplici e più facilmente gestibili. I vantaggi derivanti sono notevoli, tra i quali si segnalano:

• facilità di reperimento della fonte energetica, • minor numero di autorizzazioni, • possibilità di produrre non solo energia elettrica, ma anche energia termica,

(cogenerazione), • alimentazione di carichi isolati situati il luoghi lontani dalla rete di distribuzione, • assenza di linea di trasmissione e delle relative perdite.

Gli svantaggi possono essere riassunti in: • minore rendimento di produzione di energia elettrica, • maggior costo dell’impianto rispetto alla potenza prodotta • possibili impatti sulla qualità dell’aria in senso locale.

Cicli ORC

Un ciclo Rankine organico (ORC) è simile a quello utilizzato da una tradizionale turbina a vapore, eccetto per il fluido di lavoro che è un fluido organico con elevato peso molecolare. Il fluido di lavoro selezionato consente di sfruttare in modo efficace le sorgenti di calore a bassa temperatura per produrre elettricità in un'ampia gamma di potenze, da alcuni kWel fino a qualche MWel per unità. L’impianto è costituito da un sistema automatico di carico che alimenta la caldaia, la quale è composta da una camera di combustione con griglie fisse o mobili, raffreddata ad aria o ad acqua a seconda della massa da bruciare. Sopra alla camera di combustione è installato uno scambiatore di calore per trasferire l’energia termica dei fumi ad un olio diatermico; normalmente lo scambiatore ha la forma di un singolo tubo a spirale in cui è assicurata una

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velocità dell’olio elevata per evitare surriscaldamenti locali che causerebbero un suo deterioramento. Il calore acquisito sarà utilizzato, attraverso un dispositivo chiamato economizzatore, per riscaldare l'acqua per il teleriscaldamento e per preriscaldare l'aria che entrerà nella camera di combustione; tuttavia, il suo compito principale è la vaporizzazione del fluido organico per il turbogeneratore ORC. Il fluido di lavoro organico viene vaporizzato mediante l'utilizzazione di una sorgente di calore nell'evaporatore. Il vapore del fluido organico si espande nella turbina e viene quindi condensato utilizzando un flusso di acqua in uno scambiatore di calore; in alternativa è possibile utilizzare l'aria ambiente per il raffreddamento. Il liquido condensato viene pompato nell'evaporatore chiudendo così il ciclo termodinamico. Le sorgenti di calore e di raffreddamento non sono direttamente in contatto con il fluido di lavoro né con la turbina. Per le applicazioni ad alta temperatura, ad esempio centrali CHP a biomassa, viene utilizzato olio diatermico ad alta temperatura come vettore di calore e viene aggiunto un rigeneratore per migliorare ulteriormente le prestazioni del ciclo; un impianto ORC è indicato per applicazioni di piccola-media potenza. La scelta del fluido di lavoro è condizionata dal tipo di ciclo che si deve realizzare. A questo proposito la bassa temperatura della sorgente termica disponibile costringe ad adottare un ciclo Rankine a vapore saturo, oppure con un grado di surriscaldamento molto basso. Di conseguenza i cosiddetti fluidi bagnati, che hanno, come l’acqua, pendenza negativa della curva di saturazione nel piano T-s, non sono adatti perché, senza surriscaldamento, durante l’espansione si avrebbe presenza di condensato in turbina. Risultano invece adatti i fluidi secchi, cioè quelli caratterizzati da pendenza positiva della curva di saturazione nel piano T-s. Il fluido deve inoltre soddisfare numerosi altri requisiti tecnici, relativi alla sua pericolosità e compatibilità ambientale, alla stabilità termochimica nelle condizioni di utilizzo, alla adattabilità alle esigenze operative dei componenti dell’impianto. Tra i fluidi che soddisfano tali requisiti sono correntemente usati nell’industria i polisilossani. Essi presentano, tra le altre, le seguenti caratteristiche rilevanti ai fini del loro utilizzo in un ciclo Rankine :

• la pressione critica è compresa tra 10 e 20 bar. La temperatura corrispondente, compatibile con quella delle sorgenti disponibili, permette la realizzazione di cicli subcritici con pressione massima abbastanza contenuta;

• la massa molecolare è elevata: ciò permette di contenere il lavoro di espansione per unità di massa e consente l'impiego di turbine assiali con basso numero di stadi e ridotte velocità di rotazione.

Poiché i silossani sono in genere costituiti dai due gruppi fondamentali (CH3)3SiO1/2 =M e (CH3)2SiO=D, essi vengono indicati con una sigla che ne indica sinteticamente la composizione, come ad esempio l’MM (esametildisilossano), l’MD2M (decametiltetrasilossano) o il D3 (esametilciclotrisilossano). Si è considerato come fluido motore base del gruppo da simulare l’MDM (octametiltrisilossano). Questi si è dimostrato un ottimo fluido, in grado di soddisfare i requisiti precedentemente elencati, e viene effettivamente adottato in impianti ORC commerciali. Il fatto però di utilizzare un composto puro comporta l’inconveniente di una elevata irreversibilità dello scambio termico con la sorgente ed il pozzo di calore, a causa della

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isotermicità dei cambiamenti di fase associata alla non isotermicità dei flussi esterni al ciclo. Ne deriva un valore mediamente elevato della differenza di temperatura dei fluidi negli scambiatori, che penalizza il rendimento del ciclo. Un espediente per ridurre tale limite è l’adozione, come fluido motore, di una miscela: il passaggio di fase non avviene più a temperatura costante ed è possibile, con una scelta opportuna della composizione, ottenere un profilo termico che si adatti a quello delle sorgenti esterne al ciclo.

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Fluidi della famiglia dei polisilossani

Il vaporizzatore sfrutta l'olio diatermico caldo (circa 300 °C) per vaporizzare un opportuno fluido di lavoro (punti 8-3-4 della figura precedente), il vapore prodotto muove la turbina (4-5), che è accoppiata direttamente al generatore elettrico attraverso un giunto elastico e poi attraversa il rigeneratore (5-9), dove preriscalda il fluido organico (2-8). Il vapore è poi condensato nel condensatore, raffreddato dal passaggio dell'acqua utilizzata per il teleriscaldamento (9-6-1), ed il ciclo ricomincia con il pompaggio del fluido (1-2) verso il rigeneratore e poi verso l'evaporatore1. Il turbogeneratore ORC quando opera con temperature nominali dell'acqua di raffreddamento, ha dimostrato un'efficienza elettrica netta pari al 18 %. Circa il 79 ÷ 80% del calore termico viene ceduto all'acqua per la produzione di acqua calda, mentre le perdite termiche ed elettriche stimate ammontano a solo il 2 ÷ 3%. Tra i principali vantaggi tecnici vi sono (Angelino et al., 1997; Sonetti et al., 2005):

• elevata efficienza del ciclo, • elevata efficienza della turbina (fino all'85%),

1 Turboden S.r.l.

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• bassa sollecitazione meccanica della turbina, dovuta alla bassa velocità periferica; • bassa velocità di rotazione della turbina che consente l'azionamento diretto del

generatore elettrico senza riduttore di giri, • assenza di erosione delle palette per l'assenza di umidità nel vapore, • lunga durata, • funzionamento non presidiato da operatore.

Il sistema presenta anche dei vantaggi pratici, quali semplici procedure di avviamento–fermata, funzionamento silenzioso, requisiti di manutenzione minimi, buone prestazioni a carico parziale. Le tipiche applicazioni sono: centrali geotermiche a bassa entalpia, centrali di cogenerazione a biomassa, applicazioni di recupero di calore industriale, applicazioni che utilizzano energia solare. Il tipico layout di un gruppo ORC è ottenuto impiegando tre circuiti separati:

• il circuito dell'olio diatermico per il trasferimento di calore recuperato dalla caldaia; • il ciclo a fluido organico vero e proprio. In questo ciclo chiuso viene utilizzato un

fluido siliconico, che possiede le caratteristiche adatte ad ottimizzare l’efficienza del ciclo termodinamico nelle condizioni operative;

• il circuito dell'acqua. In tutti i cicli termodinamici solo una frazione dell'energia termica può essere trasformata in energia meccanica e quindi in energia elettrica, mentre la parte rimanente deve essere scaricata al condensatore. L'energia termica fornita all’acqua di condensazione può essere convenientemente utilizzata per essiccare la biomassa e riscaldare gli ambienti oppure essere smaltita.

La presenza di un fluido intermedio per il trasferimento del calore dalla caldaia a biomassa al turbogeneratore ORC offre numerosi vantaggi tra i quali l’assenza di un generatore di vapore ad alta pressione all'interno della caldaia e la semplicità di regolazione a carico parziale. Effettuando alcune prove, è possibile osservare le variazioni di alcuni parametri a seconda della potenza al focolare della caldaia a biomassa associata al ciclo ORC. Il confronto è effettuato considerando come possibili fluidi di processo MDM e cicloesano. La portata di acqua che viene scaldata dal sistema di cogenerazione viene portata ad una temperatura di circa 70 °C, partendo da una temperatura di circa 10 °C. Se si considera fissa la temperatura di evaporazione del ciclo (pari a 200 °C), si nota un aumento della potenza elettrica prodotta e della potenza termica recuperata in cogenerazione nel caso dell’utilizzo dell’MDM come fluido di processo. L’utilizzo dell’MDM come fluido di processo risulta pertanto vantaggioso, rispetto all’utilizzo del cicloesano.

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Convenienza dell’utilizzo di MDM come fluido di processo

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Potenza al focolare del la caldaia a biomassa (°C)

Pel generata cicloesano (kW)

Pel generata MDM (kW)

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Potenza al focolare della caldaia a biomassa (°C)

Pth recuperata cicloesano (kW)

Pth recuperata MDM (kW)

Turbogas ad alimentazione esterna

Questo tipo di impianto è costituito da un gruppo turbina-compressore, il cui fluido operativo è aria ambiente, e da un bruciatore esterno nel quale possono essere utilizzati diversi tipi di combustibile. L’aria ambiente viene aspirata nel compressore, elevata di pressione e quindi fatta passare attraverso uno scambiatore di calore per ricevere calore dai fumi della combustione senza mescolarsi ad essi. Una volta uscita dallo scambiatore di calore, l’aria ad alta pressione viene inviata in turbina e quindi espansa fino alla pressione iniziale. A seconda della temperatura cui i fumi di combustione escono dallo scambiatore, può essere possibile ricavare da essi dell’altro calore (Martelli et al., 2004). La combustione esterna al ciclo dell’aria è necessaria ogniqualvolta si bruci del combustibile che dà origine a scorie nei fumi che potrebbero danneggiare la turbina. La tipologia del bruciatore dipende dal combustibile che si intende utilizzare. Allo stato attuale, la taglia di tali impianti è medio piccola, adatta ad una generazione diffusa sul territorio. Il rendimento elettrico è del 17% e quello cogenerativo – nel caso si riesca effettivamente a recuperare calore dai fumi di combustione a valle dello scambiatore di

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calore con l’aria – arriva al 77%. In figura è mostrata un esempio di installazione di questa macchina, alimentata con biomassa legnosa,mentre nel seguito si avrà una descrizione sommaria del funzionamento della medesima.

Macchina turbogas ad alimentazione esterna

Seguendo la filiera per la valorizzazione energetica dei reflui zootecnici, si ha inizialmente che la biomassa raccolta, attraverso un dispositivo di caricamento in salita, verrà trasportata nella camera di combustione di apposite caldaie a griglia fissa o mobile. Le caldaie a griglia fissa hanno solitamente potenze inferiori e si adattano peggio al variare delle caratteristiche fisiche (dimensioni e umidità) della biomassa; hanno però un costo minore. Le caldaie a griglia mobile consentono l'avanzamento del combustibile mediante griglia mobile inclinata, per un efficace controllo del spessore del letto anche in condizioni di rammollimento e parziale fusione delle ceneri: il risultato è un’ottima combustione e una considerevole decantazione delle polveri dei fumi già in caldaia. La griglia mobile è costruita in modo da non presentare organi di movimento soggetti a rotture o ad usure che impongano interventi di manutenzione. La griglia è divisa in più sezioni dove viene immessa l’aria comburente che può quindi essere regolata finemente a tutti i carichi, evitando che a basse potenze parte della sua superficie si scopra e l’aria segua

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vie preferenziali al di fuori del combustibile, penalizzando la miscelazione dei gas e di conseguenza la buona combustione. La griglia permette all’aria comburente primaria di miscelarsi con il materiale in maniera omogenea tramite la ventilazione che viene regolata automaticamente per tutto lo spettro di potenza e per tutto lo spettro di caricamento combustibile, senza creare zone a diversa miscela; il movimento continuo poi permette al materiale di non agglomerarsi o creare blocchi di fusione. Sono previste inoltre tre zone di ingresso dell’aria all’interno della camera di combustione, rispettivamente nella zona di essiccazione, nella zona principale di combustione ed in quella superiore di postcombustione (Panozzo, 2005). Nella camera di combustione primaria non deve entrare aria secondaria, in modo da ottenere in tale zona, un’atmosfera con tasso di ossigeno fortemente ridotto, soluzione che permette di ridurre la formazione di ossidi di Azoto; per fare ciò una parte dei fumi, in seguito alla depolverazione nell’elettrofiltro, viene ricircolata in camera di combustione (la percentuale di ricircolo dei fumi a regime è del 10-11% in volume ed è dimensionata in maniera tale da poter bruciare combustibile con un tenore d’acqua di circa il 30%). I fumi vengono convogliati da sopra il combustibile alla zona superiore di postcombustione, nella quale si realizza la combustione completa dei gas. Per illustrare la combustione si può adottare l’ipotesi semplificativa di utilizzare nel processo di combustione aria standard, la cui composizione volumetrica semplificata è così suddivisa:

• 21% di ossigeno • 79% di azoto

con un rapporto volumetrico tra azoto ed ossigeno pari a 3,76. In questo caso, considerando la composizione elementare del combustibile biomassa come segue:

• 37% Carbonio • 4,5% H • 32% O + N • 0,5% S • 27% H20 e ceneri

le principali reazioni relative al completo processo di combustione, cui partecipano aria standard e combustibile biomassa, coinvolgono l’ossigeno, con formazione di CO2, l’idrogeno con formazione di H2O, lo zolfo con formazione di SO2 e l’azoto con formazione di NOx. In funzione delle condizioni operative della reazione, quali l’alta temperatura di combustione e l’eccesso di aria comburente, si verifica la formazione di ossidi di azoto (NOx). Analizzando nel dettaglio il processo termochimico subito dalla biomassa durante la combustione si possono distinguere tre fasi caratteristiche:

• la fase di essicazione • la pirolisi o fase di decomposizione • la fase di ossidazione

Lo schema della caldaia tipica per questi utilizzi è quello di una caldaia a griglia mobile e alimentazione a spinta ed è evidenziato nella figura seguente. Rispetto al ciclo Rankine organico non è necessario l’utilizzo di torri evaporative.

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Caldaia a griglia mobile e alimentazione a spinta

Le tre fasi accennate non si susseguono, bensì avvengono contemporaneamente: questa simultaneità e la composizione del materiale combustibile non agevolano l’ottimizzazione del processo. Nel seguito vengono descritte le fasi che caratterizzano la combustione della biomassa all’interno della camera di combustione:

• Fase di essicazione: in questa fase l’acqua presente nella biomassa avicola viene fatta evaporare; la velocità di essicazione dipende dalla velocità dell’aria, dalle dimensioni e dall’umidità del combustibile. L’intervallo della temperatura della fase di essicazione si situa tra i 100 e i 150 °C.

• Fase di decomposizione: in questa fase il combustibile solido viene degassificato e decomposto termicamente. Si vengono a formare in questo modo sostanze combustibili volatili che, portate a temperature elevate (500 °C), reagiscono con l’ossigeno bruciando. Rimane poi la parte solida della pollina di caratteristiche carboniose che continua a bruciare sottoforma di brace. L’intervallo di temperatura della fase di decomposizione si situa tra i 150 e i 600 °C.

• Fase di ossidazione: le rimanenti sostanze volatili si miscelano con l’aria secondaria immessa e bruciano con impeto, liberando una notevole contropartita energetica. Il residuo solido continua a bruciare portando questa fase a raggiungere temperature che possono superare i 1.000 °C

Ottenere una combustione ideale della biomassa è un compito estremamente difficile, in quanto la composizione del materiale e il suo grado di umidità cambiano continuamente. Per ottenere una combustione ottimale ed un minimo di emissioni, è previsto un sistema automatico che, oltre a calibrare tutte le componenti dell’impianto, analizza e registra i valori di temperatura (di combustione, dei fumi e dell’acqua), sottopressione e concentrazione di ossigeno. La cenere viene raccolta automaticamente al di sotto di ogni zona di griglia, tramite deflettori in lamiera che consentono uno smaltimento nella barra di estrazione senza necessità di manutenzione, dalla quale viene trasportata al pozzo di fuoriuscita.

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Le barre di estrazione e la fuoriuscita delle ceneri, funzionano come una doppia paratoia, isolando ermeticamente la camera di combustione: i sassi e le eventuali impurità che i dispositivi di alimentazione possono aver fatto entrare nella camera di combustione, devono poi essere asportati; la cenere può contenere un massimo del 5% in peso di parti non combuste.

Nelle problematiche della conversione delle caldaie con forno a griglia mobile già presenti sul mercato e della loro messa a punto per la combustione delle deiezioni avicole si sono dovuti affrontare, oltre al problema dell’umidità del combustibile che non deve essere superiore al 15÷20% (risolvibile previa essicazione), i seguenti problemi:

• il rischio di emissioni di NOx: le prove condotte con biomasse avicole hanno evidenziato l’inesistenza del problema, riconducibile alla presenza di ammoniaca nella biomassa (come verrà meglio descritto nel seguito);

• il rischio di emissione delle diossine: è inesistente con la combustione di pollina per l’assenza di Cloro e precursori specifici;

• il rischio di emissione di odori molesti: un lay–out che preveda lo scarico della biomassa in arrivo in un ambiente chiuso e in depressione anche per l’area di movimentazione e carico del forno garantisce una piena sostenibilità ambientale, dovendosi prevedere la completa demolizione delle molecole organiche odorigene introdotte in un ambiente a circa 900°C;

• la gestione delle ceneri: con le griglie mobili previste non si hanno problemi gestionali sull’impianto, né nel loro smaltimento, essendo compatibili anche per l’utilizzo agronomico (come verrà approfondito nei prossimi capitoli).

La barriera maggiore alla diffusione tecnologica non è, quindi, riconducibile ad aspetti tecnologici, ma essenzialmente alla barriera psicologica della popolazione, cioè alla paura di emissioni nocive e maleodoranti da questi impianti.

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Tali remore potrebbero essere giustificate se riferite ad impianti che bruciano rifiuti, dato che non sempre è possibile conoscere cosa entra nel forno, mentre appaiono ingiustificate per gli impianti che convertono in energia biomasse vegetali e zootecniche, che non possono dar luogo, con i sistemi di abbattimento e monitoraggio attuali, ad emissioni di diossine o altri prodotti in quantità dannose alla salute. Gli impianti oggi proposti sono a funzionamento continuo e sono dotati di una prima depolverizzazione con ciclone o multi-ciclone (eliminazione polveri grossolane), reattore di trattamento dell’aria con bicarbonato di sodio (NaHCO3), soda o calce e carboni attivi e trattamento finale con filtro a maniche; tale configurazione garantisce il raggiungimento di limiti ancora più bassi di quelli attualmente in essere nella UE. Il controllo strumentale in continuo delle emissioni garantisce ulteriormente dal rischio di emissioni indesiderate, dato che l’impianto viene fermato al superamento dei limiti imposti.

Motori Stirling

I fumi prodotti dalla combustione di biomassa possono essere utilizzati per alimentare un motore del tipo Stirling. Questa soluzione impiantistica può essere impiegata per la generazione di potenza distribuita e per la micro-cogenerazione (Podesser, 1998)

Motore Stirling

All’interno dei due cilindri c’è un fluido di lavoro che può essere elio o idrogeno. Nella fase 1 il gas riceve il calore dal forno che riscalda la testa dell’apposito cilindro, nella fase 2 il gas si espande idealmente a temperatura costante ed il motore riceve lavoro dal fluido, nella fase 3 il gas viene raffreddato attraverso un apposito radiatore, e nella fase 4 il gas viene compresso, utilizzando energia meccanica. In pratica un ciclo di Stirling ideale si compone di due trasformazioni isoterme (a temperatura rispettivamente TMAX e TMIN) e due trasformazioni isocore. Per quanto riguarda le due trasformazioni isocore, la quantità di calore ricevuta dal fluido motore nella

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trasformazione di riscaldamento 2–3 è uguale alla quantità di calore ceduta dal fluido motore nella trasformazione di raffreddamento 4–1; inoltre il fluido evolve in queste due trasformazioni tra gli stessi limiti di temperatura. Pertanto è possibile realizzare gli scambi termici in queste due trasformazioni mediante un processo rigenerativo interno, senza coinvolgere sorgenti o serbatoi termici esterni. Questa operazione, al limite in maniera ideale, può essere realizzata con l’impiego di un rigeneratore, consistente essenzialmente in una matrice solida permeabile al flusso di gas. Nella trasformazione di raffreddamento isocoro 4–1 il fluido motore attraversa il rigeneratore, cedendo alla matrice solida la quantità di calore Q4_1; nella trasformazione di riscaldamento isocoro il fluido motore attraversa il rigeneratore in senso opposto, ricevendo dalla matrice solida la quantità di calore Q2_3 . Nelle ipotesi ideali poste il ciclo è reversibile ed il fluido motore scambia calore con l’esterno solo lungo le due trasformazioni isoterme a temperatura TMAX e TMIN. Il valore del rendimento termico di conversione eguaglia pertanto quello del corrispondente ciclo di Carnot:

MAX

MINt T

T−= 1η

In un ciclo Stirling reale non si riesce a garantire la perfetta isotermia degli scambi termici, e la deviazione da tale condizione sarà maggiormente pronunciata dal lato caldo della macchina. Inoltre il rigeneratore agisce come una “spugna” termica, assorbendo calore e trasmettendolo al gas alternativamente; è chiaro che il rigeneratore deve essere caratterizzato da una alta efficienza, ma si tratta comunque di uno scambiatore termico, e sarà caratterizzato da una certa perdita.

Diagramma p-v per un ciclo Stirling reale

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Scambiatori di calore di un motore Stirling

Il punto debole dei motori a ciclo Stirling sta nelle difficoltà di costruire rigeneratori termici che, in dimensioni contenute, operino con elevata efficienza e possano resistere alla sollecitazione di temperature elevate (un lato del rigeneratore è costantemente alla temperatura massima del ciclo). Di seguito sono mostrate le caratteristiche di un motore Stirling BIOS.

Schema di impianto e flussi termici scambiati (motore Stirling BIOS)

Esso produce una potenza elettrica di 35 kWel ed una potenza termica di 215 kWth, con un rendimento elettrico del 12% e un rendimento complessivo compreso tra 85 e 90%. Il gas di lavoro utilizzato è l’elio ad una pressione di 45 bar, lavorando a temperature vicine agli 800°C. L’energia elettrica viene prodotta attraverso un generatore asincrono a 6 poli, che può essere usato anche come motore di lancio, ruotando ad una velocità leggermente superiore ai 1.000 giri al minuto.

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L’acqua calda prodotta attraverso lo scambio d’energia termica nel radiatore di raffreddamento, esce ad una temperatura tra i 25 ed i 75°C . L’impianto ha un consumo orario di biomassa di 85 kg se l’umidità contenuta nel combustibile è inferiore al 30 %. A partire dall’esperienza con questo motore da 35 kWel ne è stato realizzato un altro da 75 kWel installati; si tratta di un motore ermetico a otto cilindri, i cui dati sono riassunti nella tabella seguente.

Dati relativi al motore Stirling BIOS

Fluido di lavoro Elio Pressione del fluido 4,5 Mpa Potenza elettrica erogata dal motore 75 kWel Potenza termica erogata dal motore 205 kWth Potenza termica erogata dall’impianto CHP 475 kWth Fuel power input 640 kW Rendimento elettrico del motore Stirling 26,8 % Rendimento elettrico dell’impianto CHP 11,7 % Rendimento totale dell’impianto CHP 85,9 % Temperatura di combustione in caldaia 1.300 °C Emissioni CO 10 mg/Nm3 Emissioni NOx 100 mg/Nm3 Polveri 50 mg/Nm3

Generalmente il motore Stirling è montato alla fine dalla camera di combustione di una caldaia;l’aria comburente è preriscaldata a circa 250 °C. Tipicamente un impianto con potenza termica al focolare di 290 kW produce 35 kWel e 215 kWth.

Schema di impianto con motore Stirling

In alternativa è possibile abbinare il motore Stirling a un gassificatore updraft.

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Schema di impianto con motore Stirling con gassificatore updraft

Il gassificatore produce syngas a una temperatura di 70 °C che viene immesso in camera di combustione; la combustione avviene fuori dal motore, quindi non è necessario purificare il syngas dalla presenza di tars. L’acqua di raffreddamento viene scaldata a circa 85 °C. Tipicamente un impianto con potenza termica al focolare di 200 kW produce 35 kWel e 145 kWth. Si possono realizzare impianti CHP più grandi, che erogano anche 300 kWel; è possibile aumentare la potenza del gassificatore e alimentare più motori insieme. Entrambe le tipologie di assetto cogenerativo operano in modo automatico.

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Tecnologie per il contenimento delle emissioni

Gli impianti di abbattimento per le emissioni connesse all’utilizzo energetico delle biomasse, siano esse sotto forma di solido, di liquido o di gas, sono caratterizzati da una grande varietà sia nei principi chimico-fisici utilizzati per la depurazione, sia per quanto riguarda prestazioni di abbattimento e costi. Molto spesso, la scelta di una certa tecnologia di abbattimento viene dettata dai livelli emissivi che i limiti di norma per la determinata categoria di impianto o eventuali vincoli di bilancio ambientale possono imporre. Nel seguito, verranno accennate le caratteristiche tecnico-costruttive, le prestazioni di contenimento, i pro ed i contro delle principali tecniche e tecnologie di abbattimento applicabili al settore dell’utilizzo energetico delle biomasse. È importante comunque sottolineare come le emissioni degli impianti a biomassa dipendano fortemente dalla composizione del combustibile e dai trattamenti effettuati sui fumi e, a parte le emissioni di ossidi di azoto, più limitatamente dalla taglia dell’impianto.

Le polveri

Per la depolverazione dei gas in uscita dagli impianti di combustione nuovi ed esistenti a biomassa solida vengono considerati in genere come BAT i filtri a tessuto (FF) e i precipitatori elettrostatici (ESP), rimanendo i filtri a tessuto l’opzione preferibile in base alla maggiore efficienza di abbattimento. I cicloni ed i collettori meccanici da soli non sono considerati BAT per i grandi impianti di combustione, ma possono essere usati come fase preliminare di pulizia lungo il condotto di scarico dei gas. Una sintesi delle migliori tecnologie disponibili per la depolverazione e dei livelli di emissione ad esse connesse è riportata nella Tabella 1, tratta dal capitolo 5 “Tecniche di combustione per biomassa e torba” del documento BREF sui grandi impianti di combustione; da notare che, ai fini del presente elaborato, il riferimento alle potenze nominali dell’impianto non risulta di particolare significato in quanto la prestazione emissiva richiesta va decisa in sede progettuale in funzione dei limiti imposti dalle norme tecniche e di pianificazione vigenti. I livelli associati di polveri tengono in considerazione la necessità di ridurre le emissioni di particelle fini (PM10 e PM2,5) e di minimizzare quelle dei metalli pesanti e di altri micro-inquinanti, poiché questi tendono ad accumularsi specialmente nelle particelle di polvere più fini. I livelli di emissione associati, secondo le BAT, sono basati sulle prestazioni medie giornaliere, alle condizioni standard e con un tenore di ossigeno nei fumi anidri del 6% e rappresentano una situazione di carico tipico. I periodi di inizio e di interruzione delle operazioni di conduzione come pure le operazioni di pulizia del condotto di scarico dei gas ed i valori di picco di breve durata, potenzialmente più alti, devono essere tenuti in debita considerazione.

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BAT per la depolverazione dei gas in uscita dagli impianti di combustione a biomassa e a torba

L’applicazione delle tecniche di filtrazione descritte nel presente capitolo anche a tecnologie diverse dalla combustione della biomassa solida, quali i motori e le turbine, sarà discussa specificatamente in occasione della trattazione di tecniche di abbattimento per altri parametri inquinanti.

Filtri a tessuto

La filtrazione su tessuto è un metodo ampiamente utilizzato per rimuovere le particelle (in particolare la cenere volatile) dal condotto di scarico dei gas degli impianti di combustione industriali e di minor dimensione; l’attuale tendenza prevede, tuttavia, l’impiego di questa tecnologia anche per gli impianti a scala maggiore (come, ad esempio, i cementifici). Oltre alla raccolta della cenere volatile ci sono un certo numero di applicazioni in cui questi filtri sono stati usati insieme allo scrubbing–injection a secco di materiale assorbente in fanghiglia o in polvere (come la calce o il bicarbonato di sodio) per controllare simultaneamente sia le sostanze acide (SO2 e HCl) che le emissioni di polveri. Le capacità filtranti del dispositivo in esame possono essere sfruttate anche congiuntamente all’adsorbimento, la capacità cioè di alcune sostanze solide (opportunamente iniettate a monte del FF come i materiali assorbenti di cui sopra) di trattenere selettivamente sulla propria superficie molecole di sostanze presenti nella miscela gassosa, permettendo così la rimozione di componenti inquinanti; la superficie solida adsorbente trattiene nei suoi pori la sostanza in fase gassosa per l’instaurarsi di forze di attrazione molecolare e questo processo fisico può, poi, essere seguito dal

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chemiadsorbimento in cui tra adsorbito ed adsorbente si instaura un vero e proprio legame chimico. Un’unità di filtraggio in tessuto consiste in uno o più scompartimenti isolati contenenti gruppi di elementi filtranti costituite da materiali molto differenti, a seconda delle caratteristiche, in particolare termiche, dei flussi da trattare. Gli elementi filtranti possono essere strutturati a pannello, a cartuccia o a tasca, ma molto più frequentemente presentano una forma cilindrica, per cui si parla spesso di sacche o di maniche. Le particelle vanno, solitamente, verso l’alto, lungo la superficie delle maniche e poi radialmente attraverso il tessuto. Le particelle sono trattenute sulla superficie dei sacchetti mentre il flusso ormai pulito di gas viene mandato in atmosfera. Il filtro opera in modo ciclico, alternando periodi relativamente lunghi di filtrazione con altri corti di pulizia. Durante quest’ultima fase la polvere che si è accumulata sulle maniche in “torte” anche consistenti (il che migliora la capacità filtrante seppure incrementando le perdite di carico del sistema) viene rimossa dalla superficie del tessuto e depositata in una tramoggia per il suo successivo smaltimento.

Schema generale di un filtro in tessuto

Una regolare rimozione della polvere dal tessuto è importante per effettuare un’efficace filtrazione ed influenza, inoltre, la durata di funzionamento del tessuto stesso. Questi filtri sono classificati normalmente secondo il metodo attraverso cui vengono puliti ed i più comuni includono: la pulizia a flusso d’aria inverso, ad agitazione meccanica/scuotimento ed a aria compressa pulsante. I normali meccanismi di pulizia non hanno effetti sul tessuto che riacquista le caratteristiche iniziali mentre le particelle depositate all’interno della struttura

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porosa del panno riducono il formato delle aperture tra le fibre, con conseguente aumento dell’efficienza di ritenzione delle particelle più piccole.

Filtro in tessuto con getto intermittente a bassa pressione

Il dimensionamento della superficie filtrante deve avvenire nel rispetto delle più comuni linee guida sulle migliori tecniche disponibili del settore. Il ricorso a velocità di attraversamento sufficientemente basse è fondamentale per evitare salti di pressione inaccettabili attraverso il tessuto, i quali porterebbero il sistema a facili rotture. Il rapporto tra la portata trattata e la superficie filtrante (a/c ratio) da assumersi in fase progettuale può essere mutuata dalle linee guida sulle BAT di settore contenute nel documento BREF “Common Waste Water and Waste Gas Treatment / Management Systems in the Chemical Sector”, come di seguito riportato:

• sistema di pulizia a flusso d’aria inversa: velocità di attraversamento < 1 m/min; • sistema di pulizia a scuotimento: velocità di attraversamento < 0.5 m/min; • sistema di pulizia ad aria compressa pulsante: velocità di attraversamento 1÷1.5

m/min. La selezione del tessuto da impiegarsi nella realizzazione del filtro deve prendere in considerazione la composizione dei gas, la dimensione delle particelle e la natura delle stesse, il metodo di pulizia delle maniche da impiegare, le richieste in termini di efficienza e di economicità. Occorre, inoltre, come già accennato, valutare con attenzione la temperatura del gas, insieme al percorso di raffreddamento dello stesso e, all’occorrenza, il risultante punto di

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rugiada del vapore acqueo e delle sostanze acide contenute nei flussi da trattare, per le evidenti criticità che la condensazione comporterebbe per il corretto funzionamento del filtro (impaccamento e corrosione). Spesso, al fine di evitare problemi di questa natura, è necessario isolare e a volte riscaldare il filtro a tessuto stesso. L’usura delle maniche del filtro provoca una riduzione graduale, ma misurabile, delle prestazioni; ci può anche essere il rischio di danno catastrofico coinvolgente parecchie maniche nel caso in cui si verificasse una corrosione, o venisse filtrato materiale fortemente abrasivo oppure in occasione di principi di incendio. I semplici sistemi di controllo in linea, quali gli indicatori differenziali di pressione, danno soltanto un’indicazione generale delle prestazioni e della necessità di contro-lavaggio e solitamente non sono in grado di fornire la segnalazione di allarme per la rottura di una o più manica. I rilevatori triboelettrici o ottici possono essere utilizzati invece per misurare le derive dei livelli emissivi delle polveri dai filtri e quindi per identificare un possibile guasto. I tessuti filtranti sintetici quali il Gore-Tex® ed il Tefaire® (teflon/vetroresina) hanno permesso a questo tipo di filtri di essere utilizzati in una vasta gamma di applicazioni ed hanno condotto ad un aumento della loro durata. Le prestazioni dei moderni materiali filtranti, anche in condizioni abrasive o di elevata temperatura, sono, recentemente, molto migliorate. In estrema sintesi, i vantaggi del filtro a tessuto risiedono nell’altissima capacità di separazione di particelle anche della granulometria più fine (sono normalmente misurabili livelli emissivi estremamente contenuti, anche al di sotto di 1 mg/Nm3), mentre qualche complicazione gestionale può nascere in relazione al rischio di incendio (potrebbe essere necessaria l’installazione di trappole per le particelle incandescenti, sprinkler e sportelli di espansione in caso di esplosione) ed alle esigenze di controllo prestazionale (ovvero il mantenimento in efficienza delle maniche).

Precipitatori elettrostatici

Il precipitatore elettrostatico (ESP) è molto utilizzato nei grandi impianti di combustione ed è in grado di operare in una vasta gamma di temperature, di pressioni e di concentrazione di polveri. Non è particolarmente sensibile alla dimensione delle particelle e raccoglie la polvere sia in condizioni secche che umide. Un tipico schema di ESP è riportato nella Figura 29. Il precipitatore elettrostatico consiste in una tramoggia posta sul fondo di una scatola che contiene le file delle piastre che formano i passaggi attraverso cui scorre il flusso da trattare. In ogni passaggio sono situati centralmente degli elettrodi emettenti. Il campo elettrico attraverso tali elettrodi è dovuto ad una piccola corrente continua ad alta tensione (20-100 kV). La tensione applicata è abbastanza alta da ionizzare le molecole di gas vicine agli elettrodi, con conseguente corona visibile. Il flusso degli ioni del gas passa dagli elettrodi di emissione (generalmente dei sottili fili metallici) attraverso il gas da trattare alle piastre di raccolta (con messa a terra) costituendo ciò che è chiamato effetto corona. Nel passare attraverso il condotto del gas, gli ioni caricati si scontrano e si fissano alle particelle sospese nel gas.

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Tipica e schematica disposizione di un ESP a secco con corona negativa

Il particolato carico elettricamente va quindi a depositarsi per attrazione elettrostatica sull’elettrodo di raccolta da dove può essere rimosso come materiale secco oppure dilavato con acqua. La rimozione delle polveri depositate si rende sempre indispensabile dato che lo strato di materiale che si deposita diminuisce l’intensità del campo elettrico e quindi l’efficacia di abbattimento. Convenzionalmente i precipitatori elettrostatici si distinguono in elettrofiltri a secco se non prevedono l’utilizzo di acqua ed elettrofiltri ad umido in caso contrario. Comunemente vi sono 3 tipi diversi di precipitatori elettrostatici:

• gli elettrofiltri a secco con corona negativa; • gli elettrofiltri ad umido con corona negativa; • gli elettrofiltri ad umido con corona positiva.

La corona non è nient’altro che la debole scarica elettrica che si manifesta alla superficie del conduttore mantenuto ad alto potenziale elettrico. Lo strato d’aria attorno al conduttore perde la capacità isolante e venendo ionizzato da questa scarica diventa luminescente. A seconda della carica elettrica posseduta dall’elettrodo di emissione, la corona si distingue in negativa o positiva. I precipitatori elettrostatici a secco a corona negativa sono in ogni caso di gran lunga i più diffusi. Come già accennato, questi sistemi di abbattimento prevedono il passaggio dei fumi attraverso un campo elettrico dove l’elettrodo emittente, nel caso degli elettrofiltri secchi, è negativo. Il particolato che viene raccolto non ha subito modifiche e permane allo stato secco, per cui spesso viene riutilizzato nel ciclo produttivo con notevoli risparmi nell’acquisto delle materie prime. La struttura dell’elettrofiltro prevede che in entrata il flusso d’aria da trattare passi dapprima in una sezione di maggiori dimensioni subendo così una diminuzione di velocità. Solitamente in questa zona sono presenti una serie di griglie perforate che servono a garantire un’appropriata distribuzione di flusso. Da notare che queste griglie tendono a raccogliere del particolato sulla loro superficie, per cui devono essere periodicamente ripulite.

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L’ aria che fuoriesce da questa parte di transizione va quindi a fluire orizzontalmente lungo un gran numero di setti verticali e paralleli con al centro gli elettrodi verticali di emissione. Solitamente sono presenti più campi di raccolta disposti in serie, ciascuno costituito da elettrodi di emissione e di captazione. All’aumentare del numero dei campi aumenta anche l’efficienza di abbattimento dell’elettrofiltro. Le piastre sono pulite periodicamente da un sistema a colpi. L’operazione è svolta da gruppi separati di componenti detti percussori che provvedono a percuotere periodicamente le zone dove si deposita il particolato facendolo cadere nelle tramogge di raccolta. I processi di deposizione e di rimozione del particolato dalle piastre di raccolta, per la natura stessa di tali operazioni, sono determinati dalla resistività delle particelle, cioè dalla loro attitudine ad opporre resistenza al passaggio della carica elettrica. Il particolato ideale per favorire la massima efficienza nell’abbattimento è quello caratterizzato da una resistività moderata. In pratica questo particolato perde un po’ di carica elettrica una volta raggiunta la piastra di raccolta, in modo tale che la deposizione delle altre particelle non venga inibita per repulsione elettrostatica, ma mantiene quel tanto di carica che lo fa rimanere adeso all’elettrodo di captazione. Se le particelle sono caratterizzate da una resistività molto alta, tendono a mantenere la loro carica e questo provoca un accumulo di carica negativa sulle piastre di raccolta, cosa che impedisce alle altre particelle di depositarsi. Inoltre, a causa dell’elevata differenza di carica con l’elettrodo di captazione, c’è una forte attrazione elettrostatica per cui le particelle restano fortemente adese alle piastre ed è difficile rimuoverle. Se invece le particelle sono caratterizzate da una resistività molto bassa, allora perdono rapidamente la carica quando raggiungono la piastra di raccolta e così ritornano all’interno del flusso d’aria da depurare dove si ricaricano di nuovo. Questo processo continua a ripetersi fino a che questo particolato riesce a fuoriuscire dal filtro elettrostatico ed a venire disperso nelle emissioni. Il particolato caratterizzato da una resistività molto bassa, come quello con un contenuto molto alto di carbonio, non si addice ai filtri elettrostatici a secco. Invece, è possibile utilizzare questi filtri per raccogliere particolato caratterizzato da un’alta resistività come le ceneri volanti e la polvere di cemento. La resistività di queste particelle viene generalmente diminuita tramite un processo di condizionamento: quando il flusso d’aria da trattare è sotto i 180 °C, l’aggiunta di vapor d’acqua o l’abbassamento della temperatura diminuisce la resistività del particolato, permettendone la separazione con la massima efficienza. In generale, i vantaggi nell’uso degli elettrofiltri si possono riassumere nell’alta efficienza di abbattimento delle polveri, nella possibilità di trattare polveri infiammabili, altamente resistite, appiccicose ed umide (ESP a umido), flussi di gas con ampi range di temperature, portate e pressioni, il tutto con perdite di carico tutto sommato contenute. I livelli emissivi normalmente raggiunti da questo tipo di presidio sono ampiamente inferiori a 15 mg/Nm3. Gli svantaggi sono invece da intendersi in ordine ai rischi di esplosione (in particolare con gli ESP a secco), alla corrosione, all’occupazione di spazio, alla sensibilità a parametri quali la resistività delle polveri, alle fluttuazioni (concentrazione di polveri, portata e temperature) dei flussi da trattare e alle esigenze di manutenzione.

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I metalli pesanti

Il tenore di minerale del combustibile include sostanze differenti a seconda della loro origine. La biomassa presenta generalmente concentrazioni in tracce di alcuni elementi, tra i quali i metalli pesanti. Il comportamento di questi nella combustione delle biomasse coinvolge generalmente complessi processi chimici e fisici. La maggior parte dei metalli pesanti si volatilizza nel processo di combustione e condensa successivamente sulle superfici del materiale particolato (cenere volatile). Di conseguenza le BAT per ridurre le emissioni di metalli pesanti derivanti dalla combustione della biomassa risultano essere l’impiego di filtri in tessuto (efficienza di abbattimento superiore al 99,95%) o elettrofiltri ad alta prestazione (efficienza di abbattimento superiore al 99,5%), dove il filtro a tessuto dovrebbe essere considerato come prima scelta nella gerarchia delle BAT per la depolverazione.

Gli ossidi di zolfo ed altre sostanze acide

Il contenuto di zolfo nelle biomasse è solitamente molto contenuto. Il livello di emissione di SO2 dipende soltanto dal contenuto in zolfo del combustibile ed è così tipicamente inferiore a 50 mg/Nm3 (O2 al 6% sui fumi anidri). L’esigenza di contenere le emissioni di ossidi di zolfo potrebbe nascere in occasione della co-combustione di biomassa con altri combustibili solidi a maggiore tenore di zolfo. In tali circostanze e nel caso ad esempio della combustione a letto fluido, le tecniche di desolforazione ad umido potrebbero risultare troppo costose per essere considerate come BAT ed i processi di iniezione a secco (desolforazione mediante l’aggiunta di calcare o dolomite nel letto) possono essere abbastanza efficaci da raggiungere gli stessi livelli di emissione. Iniezioni di idrossido di calcio a secco prima del filtro in tessuto o dell’ESP possono consentire una capacità di contenimento altrettanto soddisfacente, seppure a fronte di dosaggi di reagente abbastanza importanti (alti rapporti molari Ca/S) con conseguente formazione di notevoli surplus di assorbente non reagito da gestire. L’agente assorbente potrebbe essere iniettato anche in forma semi-secca (sospensione o soluzione, dosata in modo che il liquido evapori durante la reazione), ma qualche problema dovuto all’umidità potrebbe nascere se il sistema di abbattimento per le polveri previsto a valle è un filtro a tessuto. Queste misure risultano comunque essere efficaci anche nella rimozione dell’acido cloridrico eventualmente presente nei gas di scarico. Nella Figura e nella Tabella che seguono si riportano un possibile schema di iniezione di assorbente a secco per la rimozione della SO2 e le prestazioni ambientali attese per tale tipo di tecnica di abbattimento.

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Iniezione di assorbente a secco per la rimozione degli ossidi di zolfo

Livelli emissivi raggiungibili per mezzo dell’assorbimento delle sostanze acide

Una soluzione che, come già accennato, potrebbe essere più costosa ma anche molto efficace per la rimozione non esclusiva delle sostanze acide è quella dell’assorbimento a umido (wet scrubbing) che prevede il trasporto di materia di un gas solubile verso un solvente, messi adeguatamente in contatto. Il liquido assorbente può essere acqua semplice, soluzioni alcaline, soluzioni alcalino-ossidanti (ipoclorito di sodio, perossido di idrogeno), soluzioni acide, mentre il gas da rimuovere può variare dall’SO2, agli alogenuri di idrogeno (HCl, HF), l’ammoniaca, le amine, il fenolo, gli odori, alcuni VOC solubili in acqua. Esistono diversi tipi di scrubber dal punto di vista costruttivo, la cui scelta è effettuata in base all’efficienza di abbattimento voluta, al tipo di reagente, al consumo energetico ed ovviamente al gas da trattare. Sono adottati normalmente:

• lo scrubber a letto flottante, il cui riempimento è costituito da sfere plastiche a bassa densità in costante stato di “ebollizione”, così da evitare problemi di intasamento;

• lo scrubber a corpi di riempimento, il cui materiale di riempimento assume forme così variabili da sviluppare una alta superficie specifica di contatto tra gas e solvente che ne bagna le pareti;

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• scrubber a piatti filtranti, di facile costruzione e manutenzione; • torre spray, meno costosa delle precedenti soluzioni ma meno efficiente in termine di

trasporto di materia.

Scrubber a letto flottante

Scrubber a corpi di riempimento

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Scrubber a piatti filtranti

Torre spray

In estrema sintesi, i vantaggi della tecnologia dell’assorbimento ad umido sono l’elevata efficienza di abbattimento, la compattezza delle installazioni, la manutenzione abbastanza semplice, la possibilità di trattare gas/polveri infiammabili e/o esplosivi con bassi rischi, la capacità di raffreddare i flussi caldi, di neutralizzare i gas corrosivi e di abbattere, talvolta con buona efficienza, le polveri. I contro invece consistono nell’uso e nelle spese relative ai solventi ed agli agenti condizionanti, alla gestione del liquido di spurgo, alle possibilità di intasamento dei riempimenti e di corrosione delle strutture. La tabella seguente riporta i

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livelli emissivi e di performance che possono essere raggiunti dal wet scrubbing relativamente a vari inquinanti da trattare.

Livelli emissivi raggiungibili per mezzo dell’assorbimento a umido

Gli ossidi di azoto

Generalmente per gli impianti a combustione di biomassa la riduzione degli ossidi di azoto (NOX) attraverso l’utilizzo di una combinazione delle misure primarie e/o secondarie (per esempio SNCR e SCR) è da considerare come BAT. I parametri inquinanti da esaminare sono l’ossido (NO) ed il diossido (NO2), citati collettivamente come NOX e, soprattutto per i sistemi FBC, il protossido di azoto (N2O). Le misure primarie per ridurre le emissioni di ossidi di azoto alla fonte corrispondono sostanzialmente a delle modifiche nel processo di combustione stesso e possono essere di vario tipo, come brevemente riassunto qui di seguito:

• diminuzione e controllo dell’aria di combustione, al fine di ridurre la presenza di ossigeno nella zona di combustione senza compromettere l’efficienza stessa della combustione (con conseguente emissione di incombusti e CO). Efficienza di abbattimento dal 10 al 44%;

• combustione a stadi: due diverse zone di combustione, la prima in difetto di ossigeno per ridurre la formazione di NOx, sia termici che chimici; e la seconda in eccesso per completare la combustione. Efficienza di abbattimento dal 10 al 70%;

• ricircolazione dei fumi: parte dei fumi sono ricircolati con l’aria primaria riducendo il tenore di ossigeno nella zona di combustione e di conseguenza la temperatura di fiamma;. Efficienza di abbattimento dal 20 al 50%;

• bruciatori Low NOX: l’introduzione dell’aria e del combustibile viene progettata in modo da ritardarne la miscelazione, ridurre la disponibilità di ossigeno e la temperatura di picco della fiamma. Efficienza di abbattimento dal 20 al 60%.

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Le misure primarie brevemente riportate non hanno un’applicabilità e delle prestazioni facilmente generalizzabili ma la loro adeguatezza va valutata di volta in volta, in dipendenza del tipo di combustibile e del tipo di macchina. L’inconveniente più comune di queste tecniche, in particolare quando si tratta di combustione di materiali solidi, è l’incompletezza della combustione cui si può ovviare con altre tecniche di contenimento. Le misure secondarie per la riduzione degli ossidi di azoto, che possono essere implementate indipendentemente o in combinazione con le misure primarie, sono sostanzialmente due:

• riduzione non catalitica selettiva (SNCR) • riduzione catalitica selettiva (SCR)

L’SNCR è una tecnica che prevede l’immissione di ammoniaca o urea nella camera di combustione nel punto corrispondente ad una specifica finestra termica (tra 850 e 1100°C) al fine di fare avvenire la seguente reazione: 4 NO + 4 NH3 + O2 → 4 N2 + 6 H2O e di evitare quest’altra: 4 NH3 + 5 O2 → 4 NO + 6 H2O I parametri operativi di tale tecnica sono la temperatura (a temperature troppo alte prevale l’ossidazione dell’ammoniaca a NOX, a temperature troppo basse la cinetica è troppo lenta e si verificano perdite di ammoniaca non reagita), il rapporto molare NH3/NOX , la miscelazione dei reagenti e il tempo di residenza. L’SCR è una tecnica del tutto simile alla precedente, ma la finestra termica per la riduzione degli NOX si trova a temperature minori (tra 170 e 510°C), grazie all’impiego di un catalizzatore formato solitamente da ossidi metallici. Anche le reazioni sono del tutto analoghe, con la produzione di azoto molecolare e acqua. Anche in questo caso, i parametri operativi dominanti sono la temperatura, il rapporto molare NH3/NOX, il tempo di residenza ed una buona miscelazione dei reagenti. La tabella seguente riporta alcune informazioni di base sulle misure secondarie brevemente descritte, tratte dal capitolo 3 del documento BREF sui grandi impianti di combustione.

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Tabella 4 – Prestazioni generali delle tecniche secondarie per l’abbattimento degli NOX

Passando ora a qualche informazione più specifica sulle tecniche di abbattimento e sulle prestazioni emissive degli impianti di produzione energetica trattati nel presente documento, si riportano alcuni stralci tratti dal capitolo sulla combustione della biomassa contenuto nel già citato BREF sui grandi impianti di combustione. Per quanto riguarda l’utilizzo del forno a griglia per la combustione di biomassa legnosa la tecnica dello spreader-stoker (cioè la combustione su una griglia con alimentatore mobile raffreddato ad aria) è stata considerata come BAT per ridurre le emissioni di NOX. Nelle caldaie FBC che bruciano biomassa viene considerata BAT la riduzione delle emissioni di NOX realizzata tramite un’adeguata distribuzione dell’aria di combustione o tramite la ricircolazione dei fumi. Non esistono grandi differenze nelle emissioni di NOX dai sistemi CFBC e BFBC; minori valori di emissione sono generalmente raggiunti con le caldaie CFBC, ma entrambi i sistemi stanno sviluppando valori sempre più contenuti. I livelli di emissione associati all’uso delle misure primarie di riduzione di NOX negli FBC per la combustione di biomassa sono: per BFBC 180-260 mg NO2/Nm3 (O2 = 6%) e per CFBC 155–260 mg NO2/Nm3 (O2 = 6%); il range emissivo relativamente vasto è dovuto principalmente alla variazione del contenuto di azoto del combustibile ed alla taglia della caldaia. La riduzione selettiva non catalitica (SNCR) attraverso l’aggiunta, nel forno, di ammoniaca o di urea è considerata a tutti gli effetti una BAT. Per evitare perdite di ammoniaca con la tecnica SNCR, un ulteriore strato di catalizzatore della tipologia usata per la tecnica di riduzione catalitica selettiva SCR può essere installato nella zona dell’economizzatore della caldaia. Tale catalizzatore ha il compito di ridurre lo slip di ammoniaca diminuendo

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contemporaneamente il tenore di NOX ancora contenuto nei fumi. Nei sistemi CFBC, la combinazione di SNCR e SCR è in grado di produrre emissioni residue di NOX intorno a 50 mg/Nm3 con una perdita di ammoniaca inferiore a 5 mg/Nm3. Congiuntamente all’uso delle misure primarie, l’SCR è considerato, anche da solo, una BAT per la riduzione delle emissioni di NOX e la sua applicazione in impianti anche di media taglia è sempre più frequente. Le emissioni di NOX dopo l’SCR sono tipicamente inferiori ai 30 mg/MJ (< 90 mg/m3). Uno schema riassuntivo delle BAT per la prevenzione ed il controllo delle emissioni di NOX per gli impianti di combustione diretta della biomassa e i relativi livelli emissivi è riportato nella Tabella 5; questi ultimi sono basati sulle concentrazioni medie giornaliere, in condizioni standard, ad un livello di O2 del 6% e rappresentano una situazione di carico tipica. La riduzione ed il controllo degli ossidi di azoto è di fondamentale importanza anche per gli impianti che utilizzano combustibili liquidi o gassosi derivati dalle biomasse, quali le turbine a gas e i motori a ciclo Otto e Diesel. Per quanto riguarda le turbine a gas, la tecnologia di riduzione normalmente applicata è quella dei bruciatori Dry Low NOX, in grado di raggiungere livelli emissivi minori di 30 mg/Nm3 di NOX con un tenore di ossigeno del 15% sui fumi secchi. Si segnala tuttavia che in alcuni casi anche la tecnologia SCR è stata applicata con successo, facendo segnare livelli emissivi di NOX estremamente contenuti (anche inferiori a 10 mg/Nm3 al 15% di ossigeno). Relativamente invece ai motori a combustione interna alimentati a gas, una tecnologia parallela a quella dei bruciatori Low NOX è rappresentata dall’approccio denominato di combustione magra lean-burn, il quale tende a ridurre la temperatura di combustione abbassando il rapporto combustibile/aria. L’efficacia di tale misura primaria consiste nella riduzione delle emissioni di NOX generalmente al di sotto di 250 mg/Nm3 con un tenore di ossigeno del 5% nei fumi secchi. Anche nel caso dei motori a gas è possibile l’applicazione della tecnologia SCR la quale permette il raggiungimento di livelli emissivi anche ben al di sotto di 50 mg/Nm3 con ossigeno al 5%. A titolo di esempio, la Tabella 6 riporta le BAT e i corrispettivi livelli emissivi attesi sia per i motori che per le turbine a gas, come riferiti dal documento BREF sui grandi impianti di combustione.

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BAT per la prevenzione ed il controllo degli NOX negli impianti a combustione di biomassa

Per quanto riguarda i motori a ciclo Diesel, adatti alla combustione degli oli vegetali e del biodiesel, le emissioni di NOX rappresentano un aspetto molto critico in quanto i livelli di concentrazioni emessi in assenza di specifici sistemi di abbattimento “secondari” sono assai rilevanti (un ordine di grandezza superiore rispetto ai motori a ciclo Otto). In questo caso le tecnologie di contenimento per gli NOX possono consistere in misure primarie, quali l’iniezione ritardata del combustibile, la ricircolazione dei gas esausti, l’adozione di velocità di rotazione non troppo basse, e/o secondarie, quali l’SCR. I livelli emissivi associati alle misure primarie solitamente si aggirano anche oltre ai 4000 mg/Nm3

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con ossigeno al 5%, mentre l’applicazione dell’SCR sembra in grado di spingere le emissioni di ossidi di azoto anche al di sotto di 200 mg/Nm3.

BAT per la prevenzione ed il controllo degli NOX per turbine e motori a gas

Il monossido di carbonio e i composti organici vola tili

La BAT per la minimizzazione delle emissioni di CO e dei VOC (composti organici volatili) è la combustione completa, che dipende dalla buona progettazione degli impianti, siano essi a combustibile solido, liquido o gassoso, dall’uso delle tecniche di controllo di processo e di monitoraggio e dalla corretta manutenzione del sistema di combustione. Le moderne caldaie a legna possono venire dotate di dispositivi di ottimizzazione elettronica della combustione tramite appositi sistemi di regolazione dell’ossigeno in eccesso nei fumi. Tale regolazione è in grado di correggere in continuo l'apporto di combustibile e consentire così una combustione ottimale anche in presenza di qualità di biomassa molto diverse. Per quanto riguarda le emissioni dalla combustione diretta di biomassa solida, i livelli di CO risultano nel range di 50-250 mg/Nm3 (ossigeno al 6%), dove le emissioni dalle caldaie FBC rientrano tipicamente nella parte inferiore dell’intervallo mentre quelle dai forni a griglia sono generalmente più elevate. Esistono tuttavia delle interessanti possibilità tecnologiche per l’abbattimento di più sostanze inquinanti provenienti dalla combustione di biomassa solida, segnatamente dei filtri catalitici che possono accoppiare la filtrazione meccanica a tessuto delle particelle con la conversione catalitica di inquinanti quali gli NOX (riduzione catalitica selettiva), VOC e CO (combustione

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catalitica). La Figura 35, ricavata dagli atti della Biennale sull’eco-efficienza svoltasi a Torino dal 5 al 9 Giugno 2007, riporta uno schema funzionale di tale soluzione2.

Esempio di filtro catalitico multi-funzione

Per quanto riguarda invece i motori a gas, al fine di minimizzare le emissioni di CO e di VOC si fa spesso ricorso ad una sezione di ossidazione catalitica che può portare le emissioni specifiche di CO al di sotto di 100 mg/Nm3 (ossigeno al 5%). Infine, per i motori a ciclo Diesel alimentati a olio vegetale o biodiesel, alcune delle misure primarie per la riduzione degli NOX (quali la combustione magra) comportano il rischio di aumentare le quantità di molecole incombuste (CO, idrocarburi, particolato carbonioso), che altrimenti sarebbero abbastanza contenute viste le alte temperature della combustione in un motore Diesel. Anche in questo caso pertanto può risultare indispensabile la dotazione di un catalizzatore ossidante in coda alla linea fumi con il compito di abbattere CO e VOC (spesso responsabili di serie molestie odorose) con efficienze fino al 90% e materiale particolato (fino al 30%). Per quanto riguarda quest’ultimo parametro, ulteriori sforzi di riduzione delle

2 D. Fino. Sistemi catalitici per la gestione delle emissioni di piccoli impianti a biomassa. Politecnico di Torino, DISMIC, Gruppo CRE.

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concentrazioni (partendo da livelli di base anche superiori a 100 mg/Nm3 con tenore di ossigeno al 5% fino a livelli inferiori a 10 mg/Nm3) sono possibili attraverso l’applicazione di specifici sistemi di filtrazione (filtri a tessuto e ESP), attualmente nella fase di sviluppo in molti impianti del genere.

Ammoniaca

Uno svantaggio dei sistemi SCR e SNCR è la possibile emissione nell’aria di una parte dell’ammoniaca non reagita (ammonia slip). La concentrazione dell’emissione di ammoniaca associata all’uso delle BAT è considerata essere inferiore ai 5 mg/Nm3.

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Analisi normativa

Utilizzo energetico di effluenti zootecnici: biocom bustibili o rifiuti ?

La valutazione degli oneri amministrativi, della tempistica di realizzazione, e in ultima analisi anche dei costi complessivi di investimento e gestione dei tipi di impianto in esame, dipende in modo significativo dalla qualificazione giuridica della materia prima utilizzata

a scopo energetico (biomassa come prodotto o rifiuto). Si tratta di una questione non secondaria, per la rilevante diversità del peso di obblighi e oneri associati all’una o all’altra delle soluzioni date al quesito, come si vedrà nei paragrafi successivi di questo capitolo. La sua trattazione richiede un opportuno inquadramento che dia conto innanzitutto, per quanto sinteticamente è opportuno richiamare in questa sede, dell’evoluzione dei criteri applicati in merito nella strategia, nella normativa e nella giurisprudenza comunitaria, cioè nelle sedi gerarchicamente preposte alla regolazione della materia nell’ordinamento, sino alle innovazioni introdotte da ultimo dalla nuova direttiva quadro sui rifiuti (2008/98).

Normativa comunitaria

L’evoluzione della normativa comunitaria sui rifiuti

L’approccio tradizionale della legislazione ambientale alla definizione di ciò che, in quanto rifiuto, è sottoposto al relativo sistema di tutele e controlli è stato dettato dalla direttiva

quadro del 1975 (Dir 75/442) ed è rimasto identico nella sua formulazione letterale attraverso le modifiche e gli interventi di consolidamento della direttiva quadro successivamente intervenuti (91/156 e 2006/12). Secondo tale approccio, la qualificazione come rifiuto di una qualsiasi “sostanza o oggetto” rientrante in un elenco di categorie tipiche è legata concettualmente al punto di vista o posizione soggettiva del suo produttore o attuale detentore, rappresentata dall’azione, intenzione, o obbligo di “disfarsene”. In altri termini, il concetto di rifiuto sorge e si applica nel momento in cui si produce qualcosa che l’attuale titolare non vuole o può utilizzare, e quindi scarta (“discard” nella versione inglese della direttiva). Tale situazione è infatti identificata come il presupposto del possibile rilascio della sostanza o oggetto nell’ambiente, con modalità potenzialmente nocive se non conformi e controllate. In questi termini, la questione interpretativa si è focalizzata fondamentalmente intorno al significato del termine "disfarsi" e alla sua applicabilità, di volta in volta, alle circostanze del caso specifico in considerazione. Per quanto riguarda le tipologie di sostanze oggetto del presente studio, sia la pollina che il biogas sono inclusi nel catalogo europeo dei rifiuti (CER) con la seguente classificazione

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CER - Decisione 2000/532/Ce e Dm 2 maggio 2006

Pollina

02 00 00 Rifiuti prodotti da agricoltura, orticoltura, acquacoltura, selvicoltura, caccia e pesca, trattamento e preparazione di alimenti 02 01 00 rifiuti prodotti da agricoltura, orticoltura, acquacoltura, selvicoltura, caccia e pesca 02 01 06 feci animali, urine e letame (comprese le lettiere usate), effluenti, raccolti separatamente e trattati fuori sito

Biogas

19 00 00 Rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti, impianti di trattamento delle acque reflue fuori sito, nonché dalla potabilizzazione dell'acqua e dalla sua preparazione per uso industriale 19 06 00 rifiuti prodotti dal trattamento anaerobico dei rifiuti 19 06 99 rifiuti non specificati altrimenti Si tenga presente che l’inclusione nel catalogo rifiuti rappresenta una condizione necessaria, ma non sufficiente a qualificare un materiale (sempre e comunque) come rifiuto: occorre infatti che siano anche verificate nel caso concreto le circostanze di cui alla citata definizione di rifiuto. La stessa nota introduttiva che compare nell’allegato del catalogo europeo dei rifiuti specifica che l’elenco non è «esaustivo» e che «un materiale figurante nel catalogo non è in tutte le circostanze un rifiuto», «ma solo quando esso soddisfa la definizione di rifiuto».Si veda in questo senso in particolare la sentenza della Corte di giustizia 14.9.2005 [C-416-02] per cui “la circostanza che nel catalogo europeo dei rifiuti .. compaiano le «feci animali, urine e letame (comprese le lettiere usate), effluenti, raccolti separatamente e trattati fuori sito», non è tale da porre (…) in dubbio questa conclusione”. La definizione giuridica di rifiuto ha sollevato problemi a causa dell’alta incertezza che ha determinato in sede di valutazione e decisione presso le autorità amministrative e giudiziarie competenti e presso gli operatori economici, con effetti negativi sugli investimenti e il regolare funzionamento del mercato interno conseguente alla difformità di interpretazioni. Le due criticità fondamentali hanno riguardato, da una parte, i materiali che risultano da processi produttivi senza esserne l’obiettivo principale (c.d. sottoprodotti), dall’altra, quelli che risultano da processi di recupero / riutilizzo di rifiuti derivanti dal consumo finale di prodotti (c.d. materie prime secondarie). Nel primo caso, che interessa il presente studio, la difficoltà consiste nello stabilire se la loro natura, le caratteristiche di trattamento e il possibile utilizzo o la destinazione li renda assimilabili ai prodotti, ovvero li faccia ricadere nella nozione di rifiuto. La prima soluzione, generalmente frutto di un'interpretazione meno restrittiva di tale nozione, reca nelle conseguenze dell’applicazione rischi di possibili danni all’ambiente, in funzione della minore qualità e controllo di gestione di tali materiali. La seconda soluzione, più rigorosa da un punto di vista ambientale, estendendo il campo di applicazione del regime dei rifiuti comporta maggiori oneri per gli operatori economici, rendendo il trattamento e utilizzo dei relativi materiali meno interessante, da cui il rischio stesso di una destinazione gestionale meno efficiente nella scala di priorità definite dalla politica dei rifiuti

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(in ordine discendente, prevenzione, riutilizzo, riciclaggio materiale, recupero energetico, smaltimento). La ricerca di un equilibrio più certo nella tutela di tali interessi spesso invece contrapposti è stata indicata già dal Sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente (Decisione 1600/2002/CE) laddove è stabilito in particolare che la prevista azione prioritaria di revisione della normativa sui rifiuti, orientata da una nuova strategia integrata di utilizzo e gestione sostenibile delle risorse naturali, precisi la distinzione tra ciò che è rifiuto e ciò che non lo è. Il conseguente documento strategico della Commissione sui rifiuti (Com 2005-666), nel prendere atto che la vigente legislazione dell’UE in materia “è ancora poco chiara, nonostante le sentenze della Corte di giustizia, ed è stata fonte di notevoli controversie in termini di interpretazione” con le conseguenze negative sopra indicate, ne ha proposto nello stesso tempo una unificazione (poi realizzata attraverso la direttiva di codificazione 2006/12 che ha accorpato le diverse direttive sui rifiuti e rifiuti pericolosi in precedenza vigenti) e una modifica di orientamento sostanziale che assumesse come criterio di riferimento l’intero ciclo di vita delle risorse materiali, non solo quindi la fase iniziale di estrazione, trasformazione e produzione da un lato e quella finale di gestione come rifiuti, ma anche quella intermedia dei possibili utilizzi, anche per evitare effetti ambientali incrociati tra le varie fasi. Senza escludere una semplificazione “nei casi in cui l’esperienza ha dimostrato la necessità di ridurre l’onere amministrativo, mantenendo lo stesso livello di protezione dell’ambiente” Nello stesso tempo, come accennato, la Corte di Giustizia ha proposto con proprie sentenze precisazioni significative della definizione di rifiuto dettata dalla normativa, fissando alcuni criteri generali sulla base della casistica esaminata. Il risultato del processo di revisione strategica e interpretazione giurisprudenziale della disciplina dei rifiuti è la nuova direttiva quadro 2008/98 (pubblicata in GUCE del 22.11.2008), il cui termine di recepimento nazionale scade nel dicembre 2010.

La nuova figura dei sottoprodotti

Tra le novità della nuova direttiva quadro si rinviene (art.5) la previsione e regolazione della nuova figura dei sottoprodotti, materiali distinti dai rifiuti (e quindi dalla relativa disciplina) e assimilati invece ai prodotti nell’ambito di processi di produzione (mentre l’art.6 è dedicato alla regolazione delle materie prime secondarie). Direttiva Dir 2008-98 – Art.5 – Sottoprodotti 1. Una sostanza od oggetto derivante da un processo di produzione il cui scopo primario non è la produzione di tale articolo può non essere considerato rifiuto (…) bensì sottoprodotto soltanto se sono soddisfatte le seguenti condizioni: a) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà ulteriormente utilizzata/o; b) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzata/o direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; c) la sostanza o l’oggetto è prodotta/o come parte integrante di un processo di produzione e

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d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana. La modalità adottata per la definizione dei sottoprodotti è stato l’inserimento nel testo normativo di criteri e condizioni (trasposizione legislativa dei criteri fissati dalla Corte di Giustizia), preferita a quella della elencazione di tipologie predeterminate. E’ stato comunque preferita da Parlamento e Consiglio in sede di approvazione della direttiva, l’opzione di affidare alla normativa, anziché a un documento guida di carattere interpretativo, il compito di dettare i criteri di definizione, come invece proposto inizialmente dalla Commissione (COM 2005-667) e successivamente applicato (COM 2007-59). In questa comunicazione di “interpretazione autentica” della tradizionale regolazione normativa, svolta sulla base della giurisprudenza della Corte, si rinviene in particolare, a corredo delle argomentazioni svolte, un apposito schema logico per facilitare presso autorità e operatori la distinzione caso per caso tra rifiuto o sottoprodotto. I criteri normativi dettati dall’art.5 della nuova direttiva trovano pertanto spiegazione nelle pronunce della Corte di giustizia, come di seguito indicato e commentato. Si distingue innanzitutto un sottoprodotto da un prodotto [C-416-02 in tema di liquami suinicoli - sentenza 14 settembre 2005] come “un bene, un materiale o una materia prima che deriva da un processo di estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo (…) del quale l’impresa non cerca di «disfarsi» ai sensi dell’art.1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442, ma che essa intende sfruttare o commercializzare a condizioni ad essa favorevoli, in un processo successivo”. Con specifico riferimento ai materiali e alle attività oggetto del presente studio, rientrano in tale fattispecie, secondo la stessa sentenza, “gli effluenti di allevamento (…) se vengono utilizzati come fertilizzanti dei terreni nell’ambito di una pratica legale di spargimento su terreni ben individuati e se lo stoccaggio del quale sono oggetto è limitato alle esigenze di queste operazioni di spargimento”. “Le condizioni in cui i detti effluenti vengono utilizzati (…) sono determinanti ai fini dell’analisi della nozione di rifiuto”. Tra queste la Corte indica “che tale riutilizzo non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione (v. sentenza 18 aprile 2002, causa C-9/00). La Corte osserva che “non vi è, in tal caso, alcuna giustificazione per assoggettare alle disposizioni della detta direttiva” [rifiuti] l’attività in esame. Sulla valutazione della condizione di “certezza dell’utilizzo”, può essere decisivo l’elemento fattuale della durata delle operazioni di deposito precedenti l’utilizzo. Mentre la condizione si può ritenere verificata nel caso di utilizzo immediato del colaticcio prodotto dall’allevamento (Corte di Giustizia CEE 8 settembre 2005, causa C- 416-02), nelle ipotesi invece in cui il materiale in questione rimanga depositato più a lungo - “in attesa di un riutilizzo eventuale ma non certo”, aumentando l’onere per il detentore e il rischio di

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possibili danni per l’ambiente – questo deve essere considerato rifiuto (almeno) “per tutto il tempo in cui è depositato” (Corte di Giustizia CE, sez. III, 18 dicembre 2007, causa C-263/05). A questo fine l'esistenza di contratti a lungo termine (ad es. per accordi consortili o di filiera) tra il detentore del materiale e gli utilizzatori successivi si ritiene rappresentino una garanzia di utilizzo e quindi soddisfino la condizione di certezza richiesta (Com 2007-59): Quanto alle due ulteriori condizioni di utilizzo dei sottoprodotti previste dalla nuova disciplina, vale a dire l’esclusione della necessità di precedenti trasformazioni e l’integrazione nel processo produttivo principale, la giurisprudenza della Corte ha proposto una interpretazione estensiva rispetto a quella che ritiene sufficiente, per escluderla, il mero spostamento del materiale dal luogo in cui è stato prodotto ad un altro dove viene trasformato. Ciò sulla base della osservazione che “in presenza di processi industriali sempre più specializzati, questo elemento da solo non basta a costituire una prova. Gli utilizzatori successivi e le aziende intermediarie possono partecipare alla preparazione del materiale per il suo riutilizzo” Con riferimento specifico ai materiali in esame la Corte ha aggiunto che “contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, non occorre limitare quest’analisi agli effluenti d’allevamento utilizzati come fertilizzanti sui terreni che appartengono allo stesso stabilimento agricolo che li ha prodotti. Infatti, come la Corte ha già giudicato, una sostanza può non essere considerata un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442 se viene utilizzata con certezza per il fabbisogno di operatori economici diversi da chi l’ha prodotta” [C-416-02 in tema di liquami suinicoli - sentenza 14 settembre 2005]. La stessa Commissione (COM 2007-59) suggerisce inoltre che “le autorità competenti, quando sono chiamate a stabilire se le operazioni rientrano nella continuità del processo di produzione, possono altresì orientarsi mediante i BREF”, cioè i documenti di riferimento per la valutazione delle migliori tecniche disponibili (BAT) nell’ambito di un procedimento di autorizzazione ambientale integrata (IPPC). Le considerazioni precedenti hanno riguardato sempre casi di utilizzo agronomico degli

effluenti zootecnici, per i quali già valeva una esplicita esclusione dalla normativa sui

rifiuti “qualora già contemplati da altra normativa”(direttiva 91 /676 relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole). La nuova direttiva 2008/98 conferma tale esclusione. Direttiva Dir 2008-98 - Art.2 – Esclusioni dall’ambito di applicazione 1. Sono esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva: f) materie fecali , se non contemplate dal paragrafo 2, lettera b), paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati nell’attività agricola, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana [modifica rispe tto a dir 91/156] . Non sembra peraltro che l’apparente estensione di tale esclusione all’uso energetico delle biomasse di origine agro-forestale, purchè effettuato in modo rispettoso dell’ambiente e della salute umana – disposto dalla nuova direttiva come innovazione rispetto alla precedente

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disciplina (art.2, par.1, lett f) - possa riguardare anche le materie fecali, in forza della limitazione prevista dal richiamo al comma successivo che esclude i “sottoprodotti di origine animale” (tra cui gli stessi effluenti) “destinati all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio”. Direttiva Dir 2008-98 - Art.2 – Esclusioni dall’ambito di applicazione 2. Sono esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva nella misura in cui sono contemplati da altra normativa comunitaria b) sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002, eccetto quelli destinati all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio; Pur in mancanza di un esplicito riferimento di raccordo sistematico rinvenibile nella nuova direttiva quadro, la direttiva 2000/76 sul’incenerimento dei rifiuti offre conferma a tale interpretazione escludendo dal proprio campo di applicazione impianti che recuperano energia trattando rifiuti esclusivamente vegetali derivanti da attività agricole e forestali; e dalle industrie alimentari di trasformazione. Se ne conclude che: a) le diverse forme di utilizzo energetico degli effluenti zootecnici rimangono sottoposti alla normativa sui rifiuti; b) nei casi specifici, possono rientrare nella nuova nozione di sottoprodotti, ricorrendone le condizioni previste e disciplinate dalla stessa normativa, come sopra esposto.

Normativa nazionale

La Parte quarta del D,lgs 152/2006 (c.d. Codice ambientale, entrato in vigore nell’aprile del 2006), dedicata ai rifiuti, ha anticipato la nozione di sottoprodotto prevista dalla nuova direttiva rifiuti del 2008, definendola sulla base di criteri parzialmente più restrittivi, nella versione attualmente vigente come modificata dal D,lgs 4/2008. Per esplicita previsione riguardante i limiti al campo di applicazione della normativa (art.185), le “ materie fecali e vegetali provenienti da attività agricole utilizzati nelle attività agricole o in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas” sono ritenuti suscettibili di essere considerati e trattati come sottoprodotti, anziché rifiuti, se conformi ai requisiti così definiti: . D.lgs 152/2006 Codice ambiente - art.183 - Definizioni p) sottoprodotto : sono sottoprodotti le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera a) [definizione di rifiuto], che soddisfino tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni: 1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione [residui ]; 2) il loro impiego sia certo , sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l'impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione ;

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5) abbiano un valore economico di mercato ; Il riferimento ad impianti interaziendali, coerentemente con l’interpretazione della Corte di Giustizia, non sembra distinguere ai fini della disposizione l’utilizzo energetico in proprio da quello di terzi, purchè sia garantita la certezza della destinazione (punto 2). E’ stata richiamata a questo proposito, anche in sede istituzionale, l’opportunità di accordi contrattuali tra produttori e utilizzatori che sanciscano in modo impegnativo e duraturo il rapporto di fornitura. Occorre dire che l’orientamento della giurisprudenza non appare generalmente favorevole al riconoscimento dei requisiti posti, sulla scorta di un orientamento consolidatosi negli anni volto a configurare come attività di smaltimento rifiuti pratiche spesso scorrette di applicazione al suolo dei liquami zootecnici. (da ultimo, Cass. Sez.III n.37560 del 7.5.2008). In un recente caso di realizzazione di un impianto di biogas in ambito agricolo, il TAR Emilia Romagna (sent. n.3296 del 2008). interpretando la nuova disposizione del D.lgs 4 /2008 sui sottoprodotti (art.183), ha escluso l’applicabilità di tale disposizione ai suddetti impianti argomentando in particolare che la necessaria fase preliminare di trasformazione in biogas delle biomasse in ingresso , contrasterebbe con una delle condizioni, che sono peraltro previste in chiave cumulativa. Osservando a questo proposito (punto 4) che la idoneità dei materiali all’impiego diretto si può intendere riferita proprio al processo di produzione del biogas, come indicato dalla norma, e non già dell’energia da questo successivamente ricavabile (l’interpretazione citata sembra offrire altrimenti un vantaggio alle forme di combustione diretta), il requisito più difficile da provare, per quanto riguarda gli effluenti zootecnici, sembra potersi maggiormente individuare nell’ultimo requisito richiesto (punto 5) riguardante il “valore economico di mercato” che, non previsto come tale dalla direttiva comunitaria, sembra avere l’effetto di escludere del tutto la possibilità effettiva, pur potenzialmente riconosciuta in principio, di considerare tali materiali come sottoprodotti. Più seri ostacoli alla possibilità di configurare come sottoprodotti le deiezioni animali

utilizzate in forme di combustione diretta per la produzione di energia sono frapposti dalla disciplina dei combustibili, di cui alla Parte Quinta del Codice ambientale dedicata alle emissioni in atmosfera, che comprende (Allegato X) il biogas, ma non biomasse animali, tra i prodotti ammissibili all’alimentazione di impianti regolati da tale normativa: queste ultime risultano perciò implicitamente soggette alla distinta normativa sull’incenerimento dei rifiuti, di cui al D.lgs 133 / 2005, recante attuazione della direttiva CE 2000/76 (vedi par. 1.1.1.). Viceversa le biomasse vegetali – tra cui ad es. le potature e gli scarti colturali - tipicamente individuate e regolate nel citato allegato X possono essere considerate senz’altro sottoprodotti, se sono rispettati i requisiti previsti dalla normativa sui rifiuti. In questo senso, a differenza di quanto osservato incidentalmente poc’anzi, la digestione

anaerobica di effluenti zootecnici trova migliori presupposti della combustione diretta ai fini della configurazione come attività non soggetta alla disciplina sui rifiuti.

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A conclusione della trattazione preliminare sin qui svolta sulla natura giuridica (prodotto-rifiuto) degli effluenti zootecnici trattati a scopo energetico, in attesa di un consolidamento legislativo e giurisprudenziale delle innovazioni recentemente apportate in sede comunitaria e nazionale alla questione, si ritiene opportuno procedere all’analisi dei diversi profili di tutela e controllo delle opzioni tecniche esaminate senza escludere a priori né l’ipotesi che i biocombustibili utilizzati siano prodotti (o meglio sottoprodotti) né quella che siano da considerare rifiuti. La successiva verifica dell’una o dell’altra ipotesi nelle diverse tipologie e fattispecie (cioè nei casi concreti) varrà come elemento di valutazione comparata delle medesime in termini di possibili ostacoli, vincoli e conseguenti costi.

Localizzazione, realizzazione ed esercizio dell’imp ianto: le regole ed i controlli ambientali

Valutazione di impatto ambientale

La procedura di VIA (valutazione di impatto ambientale) è preposta ad esaminare trasversalmente tutti i prevedibili effetti sull’ambiente, e sul patrimonio culturale e paesaggistico locale, determinati dalla presenza di un impianto, non solo nei profili di inquinamento più strettamente regolati e controllati quali emissioni, reflui e rifiuti dunque, ma anche in quelli visivi, acustici, olfattivi ecc. che possono incidere negativamente sulla qualità del contesto territoriale e sanitario locale , compresi gli effetti prodotti in fase di costruzione e gli effetti della logistica (traffico locale dovuto al trasporto dei materiali in entrata e uscita) in fase di funzionamento. Si applica, per quanto riguarda l’oggetto del presente studio, ai progetti di impianti che superano determinate soglie di capacità, appartenenti alle seguenti categorie:

• impianti termici per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda • impianti di recupero energetico di rifiuti non pericolosi mediante operazioni di

incenerimento o di trattamento (allegato C, lettera R1, della parte quarta del decreto legislativo 152/2006

• impianti per l’allevamento intensivo di pollame o di suini Per ciascuna categoria sono previste soglie dimensionali rispettivamente di:

• applicazione obbligatoria della procedura di valutazione • obbligo di una procedura di verifica preliminare (screening) sulla necessità di

successiva applicazione della procedura di valutazione; • esclusione di ogni procedura di VIA

Di seguito sono indicate soglie e livelli di competenza procedimentali per categorie di impianto, come previste delle vigenti disposizioni regionali (L.r. 40 /1998 e s.m.i., tra cui da ultimo l’aggiornamento degli allegati disposto con D.c.r. 30 luglio 2008, n. 211−34747)

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applicative della nuova disciplina nazionale sulla VIA (Parte seconda del D.lgs 152/2006, come modificata dal D.Lgs 4/2008). Procedura di valutazione di competenza provinciale Impianti termici per la produzione di energia elettrica, vapore e ac qua calda con potenza termica complessiva superiore a 150 MW Impianti di recupero rifiuti non pericolosi , con capacità superiore a 100 t/giorno Impianti per l’allevamento intensivo di pollame o di suini con più di: 85.000 posti per polli da ingrasso, 60.000 posti per galline; 3.000 posti per suini da produzione (di oltre 30 kg); o 900 posti per scrofe. Procedura di verifica di competenza provinciale Impianti termici per la produzione di vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 50 MW Impianti di recupero rifiuti non pericolosi , con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno, Impianti per l’allevamento intensivo di animali il cui numero complessivo di capi in rapporto alla superficie di terreno funzionalmente asservito all’allevamento sia maggiore di 40 quintali di peso vivo di animali per ettaro Sono pertanto esclusi da ogni procedura di VIA Impianti termici per la produzione di vapore e acqua calda con potenza termica complessiva inferiore a 50 MW Impianti di recupero rifiuti non pericolosi , con capacità complessiva inferiore a 10 t/giorno, Impianti per l’allevamento di animali (indifferentemente dalla localizzazione in area protetta) con un numero di animali inferiore o uguale a: 1.000 avicoli; 800 cunicoli; 120 posti per suini da produzione (di oltre 30 kg) o 45 posti per scrofe; 300 ovicaprini; 50 posti bovini

In considerazione delle soglie dimensionali sopra indicate, si può ritenere che l’assoggettabilità delle tipologie di impianto considerate in questo studio alla procedura di valutazione o alla procedura di verifica sia di norma esclusa qualora esse siano configurate come meri impianti energetici, mentre assuma rilievo se siano configurate come impianti di recupero (energetico) di rifiuti non pericolosi o, in ogni caso, come parte del ciclo produttivo di un nuovo sito di allevamento intensivo. Le criticità interpretative sulla configurabilità o meno come impianti di gestione rifiuti sono già state presentate nel paragrafo precedente, cui si rimanda. Non presenta più dubbi invece la questione della applicabilità del regime della VIA, ricorrendone i presupposti sopra presentati, agli impianti di recupero rifiuti ammessi al

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regime autorizzativo semplificato di cui agli articoli 214 e 216 del D.lgs 152/2006 tra i quali sono compresi anche assetti regolati di utilizzo della pollina e del biogas. Il D.P.C.M. 7 marzo 2007 ha infatti eliminato l'esclusione dalla procedura di V.I.A. introdotta per tali impianti dal D.P.C.M. 3 settembre 1999 (articolo 3, comma 1, lettera l) e confermata nella versione originaria del Codice ambientale del 2006. Il provvedimento di abrogazione citato ha in tal modo adeguato l’ordinamento nazionale alla disciplina comunitaria, dando adempimento ad una sentenza di condanna dell’Italia della Corte europea di giustizia ’(23 novembre 2006 - Causa C-486/04) che aveva stabilito il principio della equiparabilità di tutti gli impianti di gestione rifiuti, siano essi di smaltimento o di recupero - anche se destinati ad essere eserciti in regime autorizzatorio semplificato - ai fini dell’obbligo di valutazione di impatto ambientale.

Autorizzazioni

L’aspetto principale di controllo ambientale degli impianti considerati è quello delle emissioni in atmosfera. Si possono qui identificare i seguenti regimi di controllo autorizzativo, applicabili secondo la configurazione dei combustibili utilizzati e delle caratteristiche dimensionali e tecnologiche.

Regime di regolazione e controllo delle emissioni degli impianti energetici

La Parte quinta del D.lgs 152/06 (art.269) prevede l’obbligo di autorizzazione per “tutti gli impianti che producono emissioni”. L’autorizzazione stabilisce “i valori limite di emissione, le prescrizioni, i metodi di campionamento e di analisi, i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite e la periodicità dei controlli di competenza del gestore”. In particolare, i valori limite di emissione (VLE) sono fissati dall’autorità competente

provinciale (Lr 43/2000). sulla base dei valori e delle prescrizioni previsti dalla normativa nazionale (allegato I alla Parte quinta), oltre che dai piani e programmi regionali relativi alla qualità dell'aria, salvo casi di localizzazione in aree di particolare tutela, dove possono essere previsti limiti più severi. Per nuovi impianti energetici di potenza termica nominale inferiore a 50 MW che utilizzano

le tipologie di biomasse consentite come combustibili (allegato X alla Parte quinta del D.lgs 152/2006) sono previsti i seguenti VLE.(riferiti ad un tenore di ossigeno nell’effluente gassoso dell’11%):

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D.lgs 152 /06 Parte quinta Allegato I – Parte III – Valori di emissione per specifiche tipologie di impianti

Per nuovi impianti energetici di potenza termica nominale inferiore a 50 MW che utilizzano

il biogas consentito come combustibile (allegato X alla Parte quinta del D.lgs 152/2006) sono previsti i seguenti VLE, distinti nelle due opzioni tecnologiche:

• motori a combustione interna (.(valori riferiti ad un tenore volumetrico di ossigeno pari al 5% dell’effluente gassoso anidro)

• turbine a gas fisse (valori riferiti a un valore volumetrico di ossigeno pari al 15% dell’effluente gassoso anidro

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Va precisato che le biomasse solide utilizzabili come combustibili, che cioè non ricadono nella disciplina dell’incenerimento dei rifiuti (art.267, comma 2) non comprendono materiali

di origine animale, ma solo materiale vegetale (prodotto da attività diverse quali coltivazioni dedicate, trattamento esclusivamente meccanico di coltivazioni agricole non dedicate, interventi selvicolturali, da manutenzione forestale e da potature ecc.), la cui conversione energetica può essere effettuata attraverso la combustione diretta, oppure previa pirolisi o gassificazione (allegato X alla Parte quinta). Per quanto riguarda l’utilizzo energetico del biogas, è consentito come combustibile,

anziché come rifiuto recuperabile, se prodotto dalla fermentazione anaerobica di sostanze organiche “non costituite da rifiuti”, se cioè non proviene da “discariche, fanghi, liquami e altri rifiuti a matrice organica”. In tal caso, l’utilizzo deve avvenire nel “medesimo comprensorio industriale in cui è stato prodotto”. (allegato X alla Parte quinta) Nel caso contrario, l’utilizzo rientra nella disciplina dei rifiuti. Si ricava da tali disposizioni che il trattamento per combustione diretta degli effluenti avicoli e suinicoli di cui qui si tratta , non riguardando prodotti combustibili consentiti, deve necessariamente rientrare nella nozione e disciplina della gestione di rifiuti (D,lgs 152/2006 Parte quarta; Dlgs 133/2005). La qualificazione del processo di trattamento degli effluenti avicoli e suinicoli attraverso fermentazione anaerobica e diretto utilizzo del biogas prodotto rimanda invece alla specifica valutazione delle condizioni gestionali alla luce dei criteri che definiscono i sottoprodotti, di cui si è trattato nel primo paragrafo. Nei limiti di applicazione della disciplina ordinaria appena esposti, sono di seguito indicate le tipologie rilevanti di impianti esclusi dall’obbligo di autorizzazione delle emissioni, in quanto ritenuti, secondo una tradizionale espressione “attività a inquinamento atmosferico poco significativo” (art. 269 comma 14):

• impianti di combustione, compresi i gruppi elettrogeni a cogenerazione alimentati con biomasse consentite come combustibili (allegato X) o a biodiesel; di potenza termica nominale inferiore a 1 MW

• impianti di combustione alimentati a biogas rispondente ai requisiti consentiti (allegato X) di potenza termica nominale complessiva inferiore o uguale a 3 MW;

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L’esercizio di tali impianti può eventualmente essere sottoposto all’onere di una mera comunicazione preventiva dell’avvio, se così disposto in via generale dall’autorità territorialmente competente (art. 269 comma 15)

Regime di regolazione e controllo degli impianti di trattamento energetico dei rifiuti

A conferma della distinzione tra biomasse vegetali e animali già richiamata, la normativa nazionale sull’incenerimento e coincenerimento dei rifiuti (D.lgs 133/2005 recante

attuazione della direttiva 2000/76) esclude dal proprio campo di applicazione, gli impianti che “trattano esclusivamente”, tra le altre categorie di rifiuti, “rifiuti vegetali derivanti da attivita' agricole e forestali”; “rifiuti vegetali derivati dalle industrie alimentari di trasformazione, se l'energia termica generata e' recuperata”, “rifiuti di legno ad eccezione di quelli che possono contenere composti organici alogenati o metalli pesanti o quelli classificati pericolosi” (art..3) La stessa normativa prevede che (art. 4, c.1) gli inceneritori - o meglio i termovalorizzatori, visto che l’introduzione di un obbligo di recupero energetico specificamente regolato per le nuove installazioni (D.lgs 152/2006 art.182 c.4) ha reso questa funzione una caratteristica essenziale di tali impianti – sono soggetti per la realizzazione e l’esercizio alla autorizzazione prevista per tutti gli impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, ora disciplinata dalla Parte quarta del Codice ambientale (D.lgs 152/2006 art 208). L’autorizzazione di questi particolari impianti di gestione rifiuti deve peraltro imporre i criteri tecnico-costruttivi e funzionali delle diverse fasi operative e, in particolare, i VLE più restrittivi previsti dalla specifica normativa con diverso grado di severità in caso di incenerimento (processo di trattamento termico di rifiuti per il loro smaltimento) o coincenerimento.(processo di produzione di energia che utilizza rifiuti come combustibile principale o ausiliario). (D.lgs 133/2005 art.9) Prima dell'avvio dell’esercizio, l'autorita' competente verifica che l'impianto soddisfi le condizioni e le prescrizioni disposte nell'autorizzazione. (D.lgs 133/2005 art.4 c.8)

Regime di controllo semplificato per particolari tipologie di impianti di recupero rifiuti

L’esercizio di particolari tipologie di impianti di recupero rifiuti è subordinato ad una mera comunicazione di inizio attività alla Provincia territorialmente competente, e può validamente proseguire, se l’impianto, realizzato nel rispetto delle necessarie autorizzazioni, opera conformemente a prescrizioni tecniche appositamente emanate, che definiscono tipologie, provenienza, contenuto (materiale ed energetico) e limiti quantitativi dei rifiuti trattati, oltre a modalità e parametri di trattamento. (D,lgs 152/2006 artt 214-216) Nella fase di realizzazione dell’impianto. che precede necessariamente la comunicazione di avvio delle operazioni, vale la disciplina autorizzativa applicabile in via generale agli impianti di gestione dei rifiuti e agli impianti che producono emissioni in atmosfera, di cui è

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competente la Provincia, oltre a tutti gli altri atti e permessi del caso che sono di competenza delle autorità locali. Solo in caso di successiva modifica sostanziale dell'impianto. la comunicazione sostituisce l'autorizzazione normalmente prevista (D.lgs 152/2006 art. 269), per quanto riguarda le variazioni qualitative e quantitative delle emissioni (art. 216) La disciplina tecnica che definisce le condizioni di conformità degli impianti di recupero dei rifiuti non pericolosi ammessi al regime semplificato prevede in particolare limiti di

emissione non inferiori a quelli stabiliti per gli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti dalla normativa vigente (vedi sopra) (Dlgs 152/06 art.214.4.b) In attesa di nuova approvazione ministeriale, continuano ad applicarsi le norme tecniche emanate dal Dm 5 febbraio 1998 in attuazione della previgente legislazione sui rifiuti (D,lgs 22/1997),.come successivamente modificate e integrate; da ultimo, dal Dm 5.4.2006 n.186, che ha adeguato la disciplina in adempimento alla intervenuta sentenza di condanna della Corte di Giustizia europea (sent. 7 ottobre 2004 causa C-103/02) pronunciata a carico dell’Italia per non aver stabilito le quantità massime dei rifiuti ammissibili agli impianti di recupero in regime semplificato. Per quanto riguarda gli impianti qui considerati, sono previste e regolate due tipologie di recupero energetico rispettivamente di pollina (>6 MW) e di biogas (>0,5 MW). Di entrambe si richiamano di seguito a titolo indicativo riferimenti rilevanti

Pollina

Impianto

• impianti dedicati (non impianti industriali) al recupero energetico di pollina di potenza termica nominale non inferiore a 6 MW

Caratteristiche tecnologiche

• bruciatore pilota a combustibile gassoso o liquido; • alimentazione automatica del combustibile; • regolazione automatica del rapporto aria/combustibile anche nelle fasi di

avviamento; • controllo in continuo, in particolare, di ossigeno, monossido di carbonio, ossidi di

azoto e temperatura nell'effluente gassoso, (D.lgs 152/2006 Articolo 294).

Rifiuti ammessi

• codice 020106 - feci animali, urine e letame raccolti separatamente e trattati fuori sito]

• quantità max (t/a) 70.000 (Allegato 4 Suballegato 2)

Requisiti minimi energetici

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• P.C.I. minimo sul tal quale 8.000 kJ/kg

Valori limite emissioni (VLE)

• (tenore di ossigeno dei fumi anidri dell'11% in volume): NOx (come valore medio giornaliero) 200 mg/Nm3

Biogas (utilizzo)

Impianto

impianti di conversione energetica, anche integrati con il sistema di produzione del gas, di potenza termica nominale superiore a 0,5 MW

Rifiuti ammessi

• codice 190699 -] • quantità max (t/a) 214.250

Requisiti minimi energetici e contenuto del biocombustibile

• Metano min. 30% vol • H2S max 1.5% vol • P.C.I. sul tal quale min 12.500 kJ/Nm3.

Valori limite emissioni (VLE)

motori fissi a combustione interna che rispettano i seguenti valori limite di emissione riferiti ad un tenore di ossigeno nei fumi anidri pari al 5% in volume:

• Polveri (valore medio rilevato per un periodo di campionamento di 1 ora) 10 mg/Nm3

• HCl (valore medio rilevato per un periodo di campionamento di 1 ora) 10 mg/Nm3 • Carbonio Organico Totale (valore medio rilevato per un periodo di campionamento

di 1 ora)150 mg/Nm3 • NOx 450 mg/Nm3 • Monossido di carbonio 500 mg/Nm3

Caratteristiche tecnologiche

• Negli impianti dedicati oltre i 6 MW, controllo in continuo dell'ossigeno, del monossido di carbonio, degli ossidi di azoto e della temperatura nell'effluente gassoso, [come previsto da D.lgs 152/2006 Articolo 294 - Prescrizioni per il rendimento di combustione]

Regime di controllo integrato dell’inquinamento

Nei casi in cui l’impianto di recupero energetico degli effluenti di allevamento sia collocato, come parte del ciclo produttivo, all’interno di un sito rientrante nel campo di applicazione della disciplina sul controllo integrato dell’inquinamento (Direttiva 2008/1, nuova versione codificata della direttiva IPPC 96/61), le autorizzazioni alle emissioni e alla gestione dei rifiuti

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laddove rilevanti, sia in caso di nuovo insediamento che di sua modifica sostanziale mediante inserimento del nuovo impianto energetico, rientrano nell’ambito dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) del sito, regolata dalla normativa nazionale di attuazione (D.lgs 59/2005) e dalle disposizioni di raccordo del Codice ambientale (D.lgs 152/06 artt 213; 267 c.3). Le soglie di applicazione dell’AIA agli allevamenti intensivi di pollame o di suini sono le seguenti:

• 40.000 posti pollame; • 2.000 posti suini da produzione (di oltre 30 kg), o 750 posti scrofe.

Procedimento

In qualunque caso, che si tratti di prodotti, residui o rifiuti combustibili, l’utilizzo energetico di biogas o direttamente di biomasse (anche animali) di origine agricola per generazione o cogenerazione elettrica, comunque configurato, è considerato produzione di energia da fonti rinnovabili (FER) e come tale promosso dalla legislazione comunitaria e nazionale. Tra i diversi strumenti di promozione è indicata la “riduzione degli ostacoli normativi”, intesa come facilitazione del percorso/processo di controllo autorizzativo che condiziona i tempi di realizzazione degli impianti. La legislazione nazionale (Dlgs 387/2003 recante recepimento della direttiva 2001/ 87) ha dato attuazione a questa disposizione prevedendo l’integrazione in un solo procedimento degli atti amministrativi di diversi profilo necessari ai fini della costruzione e avvio degli impianti FER, al di sopra di una certa soglia minima di potenza fissata in 200 kW per le biomasse e 250 kW per il biogas. In questi casi l’ autorizzazione unica è rilasciata dalla Regione o altro soggetto istituzionale da questa delegato (in Regione Piemonte, la Provincia territorialmente competente) entro il termine massimo di 180 giorni dall’inizio del procedimento (art.12), mentre al di sotto delle predette soglie è sufficiente la denuncia di inizio attività indirizzata al Comune, come previsto dalla normativa urbanistico-edilizia,. Il procedimento unico comprende pertanto tutti gli atti di controllo rilevanti secondo il caso specifico (materiali trattati e configurazione impiantistica). Per quanto riguarda la tutela ambientale, si tratta in primo luogo della valutazione di impatto ambientale (VIA), e delle autorizzazioni alle emissioni e alla gestione dei rifiuti, (ovvero, nel caso, l’ autorizzazione integrata ambientale) già trattati. Alla conferenza dei servizi appositamente convocata dall’autorità competente, partecipano oltre ai soggetti responsabili dei controlli ambientali citati (appartenenti alla stessa amministrazione provinciale) le altre autorità competenti ai controlli di volta in volta necessari nei settori di tutela altrimenti rilevanti quali, in particolare, beni culturali e paesaggistici, territorio (vincolo idrogeologico), sicurezza (prevenzione incendi), igiene pubblica e sanità, urbanistica e edilizia (permesso di costruire); nonché il gestore della rete elettrica cui l’ impianto si deve connettere.

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L’autorizzazione, se occorre, costituisce variante dello strumento urbanistico (è comunque prevista l’ammissibilità dell’insediamento degli impianti in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, compatibilmente con le norme di tutela e promozione del settore agricolo) A rafforzamento dell’efficacia dell’autorizzazione unica, le opere autorizzate sono assistite per legge da dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza.

Si osserva in particolare che l’integrazione nel procedimento unico della VIA (D.lgs 152/06

art.208) è compatibile con la specifica disciplina regionale (L.r. 40/1998) che già prevede (art.13) l’integrazione tra valutazione ambientale (previo eventuale esperimento della fase di verifica) e rilascio di autorizzazioni, nulla osta, pareri o altri atti di analoga natura di altre amministrazioni pubbliche richiesti per la realizzazione dell’installazione. Analoghe disposizioni di raccordo sistematico finalizzate al procedimento unico sono rinvenibili nella normativa sull’incenerimento dei rifiuti (D.Lgs 133/2005 art.5 c.3), sull’AIA (D.lgs 59/2005 art.1 c.5).

Produzione di energia rinnovabile e efficiente: inc entivi economici

Energia elettrica da fonti rinnovabili (biomasse)

Il citato provvedimento di recepimento della direttiva comunitaria 2001/77 sulla

promozione dell’energia elettrica generata da fonti rinnovabili (D.lgs 387/2003), oltre a disporre nuove condizioni di favore e di priorità nel sistema di accesso ai servizi di sistema (connessione degli impianti alle reti elettriche, dispacciamento, trasmissione e distribuzione dell’energia immessa), ha previsto meccanismi incentivanti di remunerazione e cessione dell’energia prodotta confermando, con previsioni particolari da attuarsi a favore dell’uso energetico di biomasse prodotte nel settore agro-forestale (art.5), il regime già introdotto dal decreto Bersani del 1999 di liberalizzazione dell’energia elettrica (D.lgs 79/1999). L’incentivo funziona mediante assegnazione di certificati verdi, titoli rappresentativi di elettricità generata da fonti energetiche rinnovabili (FER): tali certificati sono valorizzabili, a complemento dei ricavi ordinari di vendita dell’energia, nello specifico mercato istituito nel settore elettrico da obblighi di legge sulla quota FER di energia importata o prodotta annualmente. Tale regime è stato fortemente innovato, con particolare riferimento alle biomasse di origine agro-forestale, a partire dalla Finanziaria 2007 (L296/2006)) recante previsioni (art.1 c.382) orientate a favorire lo sviluppo di “distretti locali agro-energetici”. Nello stesso senso, il successivo provvedimento d’urgenza collegato alla Finanziaria 2008 (D.L 159/2007 convertito in L.222/2007, art.26 c.4bis, modifica della L296/2006 art, 1 c.382) ha formulato in termini più favorevoli per l’elettricità generata da biomasse agro-forestali il vigente meccanismo dei certificati verdi (CV), disponendo in particolare un aumento

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convenzionale delle quantità riconosciute ai produttori dal Gestore Servizi Elettrici (GSE) mediante un coefficiente moltiplicativo dell’ energia prodotta nell’anno precedente (1,8). Lo stesso provvedimento ha inoltre previsto per gli impianti di potenza inferiore a 1 MW, quale opzione alternativa all’assegnazione di CV, una remunerazione complessiva “in conto energia” incentivata, simile a quello già introdotta con successo per il fotovoltaico, basata su una tariffa onnicomprensiva fissa e garantita (300 €/MWh). Ai sensi del provvedimento citato, tutte le forme privilegiate di incentivo citate, di durata estesa a 15 anni, sono riservate ad impianti che utilizzino biomasse agricole ottenute nell’ambito di filiere regolate convenzionalmente o comunque “corte”, cioè con raggio di approvvigionamento entro i 70 chilometri, rinviando ad un successivo provvedimento ministeriale il compito di definire le modalità di garanzia di tale condizione (“tracciabilità” della filiera). La stessa Finanziaria 2008 (L. 244/2007 art.2 c.144-154) ha disposto una revisione generale del regime di incentivazione della produzione di energia elettrica da FER basata sugli elementi e criteri differenziati per fonte (coefficienti moltiplicativi per il calcolo dei CV – valori della tariffa onnicomprensiva alternativa per piccoli impianti) già anticipati per le biomasse agricole da filiera locale. Nel confermare le specifiche disposizioni già previste dal collegato fiscale per le filiere agro-forestali locali, la legge ha quindi affidato all’ Autorità per l’energia elettrica e il gas il compito di stabilire le modalità di copertura dei costi e di erogazione della tariffa. L’attuazione effettiva del nuovo sistema di incentivazione delle FER è stato disposto con D.m 18 dicembre 2008 dal Ministero dello sviluppo economico, peraltro ancora con una formulazione transitoria minima del coefficiente CV (1,1) e della tariffa onnicomprensiva (220

€/MWh) applicabile alle biomasse da filiera locale, in attesa dell’emanazione del previsto provvedimento di regolazione delle garanzie di origine da parte del Ministero delle politiche agricole e alimentari (condizione della piena applicazione degli incentivi). Più recentemente nuove iniziative legislative sono state adottate a parziale modifica del regime istituito. Per le biomasse di origine agro-forestale, in particolare, il Ministero competente ha presentato nel febbraio 2009 un disegno di legge mirato al rafforzamento della

competitività del settore agroalimentare (C2260), attualmente all’esame del Parlamento, che in chiave di semplificazione prevede una tariffa onnicomprensiva definitiva (280 €/MWh) a tutti gli impianti di microgenerazione (potenza inferiore a 1 MW) che, senza distinzione di origine,.utilizzino tali combustibili in misura non inferiore all’80%. Per impianti di proprietà o “gestiti in connessione” con aziende agricole, l’incentivo in conto energia manterrebbe, ai sensi del Ddl, la cumulabilità con qualunque eventuale sussidio in conto capitale o conto interessi sino al 40% del costo dell’investimento. Tale cumulabilità, come già previsto dal regime vigente, è invece esclusa in generale per tutte le altre tipologie di fonti rinnovabili (art.2 c.152 L.244/2007). Alla luce del Ddl citato rimane invece inalterato, allo stato, il regime dei CV applicabile per scelta o per necessità (potenza superiore ad 1 MW) ad impianti che utilizzano biomasse agro-

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forestali. In mancanza di una regolamentazione delle filiere locali, il coefficiente

moltiplicativo applicabile in via transitoria, ai sensi del citato Dm 18.12. 2008, è quello previsto per l’utilizzo delle altre biomasse o rifiuti biodegradabili (1,1).

Energia termica in cogenerazione – teleriscaldament o

La quota calore delle energia prodotta in nuovi impianti di cogenerazione, non riconosciuta dagli incentivi di cui al paragrafo precedente (certificati verdi e tariffa onnicomprensiva riservati alla quota di elettricità), può essere valorizzata mediante il meccanismo (analogo a quello dei certificati verdi) dei titoli di efficienza energetica (TEE o “certificati bianchi”) rappresentativi di riduzioni di energia consumata (elettricità, gas, altri combustibili) negli

usi finali, ottenute mediante interventi di efficienza energetica e valorizzabili economicamente, in aggiunta ai connessi risparmi in bolletta, attraverso la domanda di mercato generata dagli obblighi disposti a carico dei distributori nazionali di elettricità e gas di realizzare obiettivi quantitativi annuali di risparmio energetico presso gli utenti. Questi titoli negoziabili non sono viceversa applicabili all’energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili che ricevono i certificati verdi o una tariffa agevolata. (art.18 D.Lgs 387/2003). I D.m.20 luglio 2004 hanno fissato i suddetti obiettivi, rispettivamente in attuazione dei

provvedimenti di liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica e del gas (D.lgs 79/1999 e 164/2000) e hanno incluso tra le tipologie ammesse di interventi di efficienza energetica sia l’installazione presso gli utenti finali di impianti a biomasse per la produzione di calore, sia la climatizzazione diretta di edifici già climatizzati con fonti fossili effettuata tramite

rete di teleriscaldamento da impianti di cogenerazione che utilizzino combustibili sia fossili che rinnovabili (consentiti ex Allegato X alla Parte quinta del D.lgs 152/2006 o rifiuti biodegradabili). Per una trattazione dettagliata del regime dei TEE - da ultimo aggiornato dai provvedimenti

di recepimento della direttiva 2006/32 sull’efficienza energetica negli usi finali (D.lgs

115/2008 e di modifica dei D.m del 2004 (D.m 21.12. 2007) - si rimanda alla relazione finale del progetto svolto sul tema dalla Fondazione Ambiente per conto della Regione Piemonte, completato nel maggio 20073. Tra le innovazioni rilevanti recate dai provvedimenti citati rileva qui segnalare la disposizione che ha equiparato ai risparmi di gas naturale ( con conseguente riconoscimento dei relativi titoli di tipo II) gli interventi che ottengono risparmi “in altre forme di energia”, quali ad es. combustibili derivati dal petrolio come gasolio e GPL (D.lgs.115/2008 art.7), che in precedenza ricevevano titoli di tipo III, meno valorizzati dal mercato. La modifica ha pertanto determinato un maggiore beneficio economico per interventi di questo tipo che siano localizzati in zone montane o agricole non servite dalla rete del gas naturale.

3 “Azioni preparatorie per l’attuazione del mercato dei titoli di efficienza energetica su scala regionale” – Relazione finale pubblicata on line sul sito FA www.fondazioneambiente.org

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Allo stato attuale è peraltro presente, per le stesse tipologie di intervento menzionate, un notevole ostacolo al riconoscimento dei TEE, rappresentato dalla intervenuta sospensione della relativa procedura di approvazione dei risparmi ottenibili da parte dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG) in caso di utilizzo del metodo di valutazione analitica. Il provvedimento dell’Autorità (Delibera 1775/2005) che ha adottato le relative schede

tecniche di quantificazione dei risparmi – scheda n..21 (“piccoli sistemi di cogenerazione per la climatizzazione invernale ed estiva degli ambienti e la produzione di acqua calda sanitaria nel settore civile”) e n.22 (“sistemi di teleriscaldamento per la climatizzazione ambienti e la produzione di acqua calda sanitaria nel settore civile”) è stato infatti annullato dal TAR Lombardia nel 2006 (sent. n. 1829/06) a seguito del ricorso di un soggetto obbligato. La sentenza del TAR è stata confermata nel maggio 2008 dal Consiglio di Stato Pur rimanendo possibile per tali progetti ottenere i TEE utilizzando la più complessa procedura di valutazione dei risparmi a consuntivo (che richiede tra l’altro al proponente la presentazione dei dati specifici di consumo energetico rilevati presso utenze diffuse, nel caso del teleriscaldamento, e la definizione di un programma di misurazione dei risparmi sottoposto all’approvazione dell’’Autorità), la sospensione dei procedimenti di verifica basati su metodo analitico (che ammette invece più semplicemente valori energetici medi nel calcolo dei risparmi), ha in effetti bloccato il riconoscimento dell’incentivo per questi interventi. Rimane infatti incerta la possibilità di una valutazione ex ante dei risparmi ottenibili, in attesa che vengano adottate nuove schede tecniche prive degli elementi censurati in sede giurisdizionale o vengano stabiliti i criteri di incentivazione tramite TEE della cogenerazione

ad alto rendimento, come previsto dal provvedimento di attuazione della direttiva

comunitaria 2004/8 che ne regola la promozione (D.Lgs 20/2007 art.6), Per favorire lo sviluppo di sistemi di teleriscaldamento alimentati a biomasse (e geotermia), a partire dalla Finanziaria 1999 sono state introdotte agevolazioni fiscali mirate a diminuire i costi di allacciamento alla rete ed erogazione del calore a carico degli utenti. Lo strumento utilizzato è stato quello del credito di imposta riconosciuto direttamente al gestore per ogni utenza allacciata e per le quantità di energia termica erogate, da trasferire per competenza (quota di energia singolarmente somministrata) alle singole utenze come sconto sul prezzo di cessione praticato in bolletta. Per quanto riguarda l’allacciamento, la misura del contributo introdotto dalla Finanziaria 2001 è stata fissata in Lire 40.000 per ogni kW (equivalenti a 20,66 €/kW) di potenza impegnata (L. 388/2000 art.29) Per quanto riguarda invece il costo del calore erogato, con limitazione territoriale ai comuni ricadenti nelle zone climatiche E ed F, la misura è stata fissata inizialmente dalla Finanziaria 1999, nell’ambito della regolazione del gettito della c.d. carbon tax (L.448/1998 art.8), in lire 20 per ogni Kwh di calore fornito. Tale misura è stata quindi aumentata di lire 30 a partire dall’ottobre 2001 (D.L. 356/2001 conv.L.418/2001), con successive proroghe, sino alla sua recente conferma a titolo definitivo disposta dalla Finanziaria 2009 (L.203/2008), per un ammontare equivalente di 0,025 €/kWh.

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La disponibilità di risorsa in Provincia di

Cuneo

Quantificazione della pollina sul territorio provin ciale

Lo smaltimento degli scarti di allevamento e della pollina in particolare si pone come uno tra i principali problemi gestionali del settore. La procedura tipica per lo smaltimento della pollina è costituita dallo spargimento su terreno agricolo con finalità di concimazione o per la creazione di lettiere. Tale procedura sta tuttavia incontrando crescenti difficoltà sia per l’aumento dei costi di spargimento sia per le problematiche ambientali legate a questo utilizzo (emissioni diffuse e lisciviazione di ammoniaca) (Cormati, 2008). Una alternativa è costituita dall’utilizzo energetico, che però si scontra con la legislazione in materia di energia, che generalmente considera a tutti gli effetti la pollina come un rifiuto (Panvini, 2008). Questo implica tra l’altro che gli impianti abbiano una potenza al focolaio di almeno 6 MW, pertanto il loro dimensionamento deve avvenire in modo che sia possibile un conveniente approvvigionamento e che l’energia prodotta, in particolare per quanto riguarda il calore, trovi un adeguato utilizzo. Sulla base dei dati disponibili alle associazioni di categoria, nella Provincia di Cuneo sono operativi 322 produttori avicoli in 94 comuni, per un totale di 6.470.000 capi. La produzione annua di pollina per ciascun capo è mediamente 19 kg ed il potere calorifico inferiore della pollina è circa 6.124,12 kJ/kg (riferito al tal quale). Ipotizzando che un impianto funzioni almeno 6.000 ore/anno, il fabbisogno minimo di pollina da considerare è circa 21200 t, che è la produzione corrispondente a circa 1.100.000 capi. La localizzazione di un impianto deve essere fatta in modo che sia in vicinanza a grossi allevamenti o in vicinanza a gruppi di allevamenti in modo che la produzione complessiva di pollina sia sufficiente alla richiesta dell’impianto. Nella tabella e figura seguenti sono stati raggruppati i dati relativi al numero di capi complessivamente presenti nel territorio provinciale e la disaggregazione su base comunale.

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Capi avicoli per Comune

COMUNE CAPI COMUNE CAPI1 GENOLA 675000 48 VILLANOVA MONDOVI' 317002 SANT'ALBANO STURA 546300 49 MONFORTE D'ALBA 310003 SANTO STEFANO BELBO 251500 50 FRABOSA SOTTANA 310004 VILLAFALLETTO 219450 51 BARGE 302505 ROCCA DE' BALDI 209000 52 NOVELLO 300006 MONASTEROLO DI SAVIGLIANO 203500 53 MONTEROSSO GRANA 300007 REVELLO 190500 54 LEQUIO TANARO 300008 NEIVE 156000 55 MANTA 283009 DRONERO 148000 56 CERVASCA 25100

10 MONDOVI' 144300 57 ROCCAVIONE 2500011 CARAGLIO 138620 58 CORNELIANO D'ALBA 2310012 SANFRONT 137000 59 ALBARETTO DELLA TORRE 2200013 MARGARITA 135000 60 BOSIA 2150014 MOROZZO 116500 61 MONTANERA 2100015 FOSSANO 111250 62 BORGOMALE 2100016 CASTIGLIONE TINELLA 100000 63 ENVIE 2082017 RUFFIA 99400 64 VILLAR SAN COSTANZO 2040018 VALDIERI 97000 65 VOTTIGNASCO 2000019 CERESOLE ALBA 93100 66 SOMANO 2000020 RACCONIGI 91000 67 FEISOGLIO 2000021 PIANFEI 90000 68 COSTIGLIOLE SALUZZO 2000022 BUSCA 89900 69 BORGO SAN DALMAZZO 2000023 SANTA VITTORIA D'ALBA 87000 70 BERNEZZO 2000024 CHIUSA DI PESIO 82700 71 VALGRANA 1900025 BRA 76000 72 BEINETTE 1850026 CLAVESANA 75000 73 PIOZZO 1750027 SAVIGLIANO 74600 74 RODELLO 1600028 CENTALLO 72130 75 CERRETTO LANGHE 1600029 SOMMARIVA PERNO 70450 76 MONTICELLO D'ALBA 1500030 GOVONE 69350 77 RIFREDDO 1450031 BELVEDERE LANGHE 65000 78 BAGNOLO PIEMONTE 1325032 BENE VAGIENNA 61500 79 SERRAVALLE LANGHE 1000033 SCARNAFIGI 60400 80 DIANO D'ALBA 1000034 BOVES 59400 81 CASTELLETTO STURA 1000035 CAVALLERLEONE 52000 82 CANALE 950036 SINIO 50400 83 MOIOLA 800037 DEMONTE 50000 84 CASTELLINALDO 750038 CASTINO 50000 85 GUARENE 700039 DOGLIANI 49000 86 GORZEGNO 700040 PIASCO 47900 87 VEZZA D'ALBA 600041 CUNEO 47000 88 MONTA' 600042 COSSANO BELBO 44800 89 ROSSANA 450043 VENASCA 44000 90 SAN MICHELE MONDOVI' 120044 GAIOLA 40000 91 SALUZZO 83045 NARZOLE 37200 92 CAVALLERMAGGIORE 60046 MORETTA 36220 93 VERZUOLO 40047 LEVICE 32000 94 CARAMAGNA PIEMONTE 250

Si osserva che solo nel caso del Comune di Genola si raggiunge una disponibilità di risorsa prossima a quella richiesta per il fabbisogno minimo di un impianto. E’ opportuno pertanto considerare la distribuzione sul territorio in modo da valutare la possibilità di effettuare una raccolta da più Comuni. Nella figura seguente sono stati riportati sul territorio provinciale il numero di capi avicoli presenti.

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Capi avicoli nel territorio provinciale

Meno di 20.000 capi

Tra 100.000 e 500.000 capi

Tra 20.000 e 50.000 capi

Più di 500.000 capi

Tra 50.000 e 100.000 capi

Questa rappresentazione consente di individuare aree all’interno delle quali la produzione sarebbe sufficiente per il funzionamento di sistemi energetici funzionanti alimentati a pollina, secondo i dettami e le soglie imposte dalla vigente normativa.

Quantificazione degli scarti di allevamento suino s ul territorio provinciale

Bisogna ricordare che la consistenza di capi suini in Provincia di Cuneo al 30 giugno 2009, secondo i dati forniti dall’anagrafe nazionale zootecnica, ammonta a 816.895, suddivisi macroscopicamente in 281.000 grassi, 460.000 tra lattonzoli magroncelli e magroni, 52.000 scrofe e scrofette, 600 verri. La produzione di liquami/letami suini basata sui valori forniti dalla normativa regionale (regolamento 10/R del 2007) e sulla composizione del “parco bestiame” sopra definito” fa segnare una media ponderata valutabile all’interno del range 3-3,5 t liquame/ anno/ capo; di conseguenza è attesa una produzione di liquami suini tra i 2,4 e

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i 2,8 milioni di metri cubi (o tonnellate) all’anno, distribuiti come mostrato nella figura seguente.

Produzione di liquame suino nel territorio regionale - fonte: Bacini agroenegetici piemontesi: biomassa ed energia

2013, Corintea, 2008

La produzione specifica di biogas che potrebbe essere attesa dai liquami sopra quantificati a valle di un impianto di digestione anaerobica si aggira intorno ai 28 Nm3 di biogas per tonnellata di liquame tal quale, valore riferito ad un liquame con un contenuto di sostanza secca del 10%, un tenore di solidi volatili (SV) dell’80% sulla sostanza secca ed una producibilità di 350 Nm3 di biogas/t di SV. In letteratura si parla in ogni caso di un range di

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20-35 Nm3 biogas / t tal quale di liquame. Pertanto, assumendo un tenore di metano nel biogas pari al 54% (dato in genere sottostimato), si ottiene una produzione di biogas pari a a 73 milioni di Nm3/anno, corrispondente ad una energia primaria potenziale annua di 393 GWh termici, convertibili in motori a combustione termica in 150 GWh elettrici ed altrettanti termici. In termini di potenza elettrica, si potrebbero ottenere circa 23 MW elettrici per 6.500 ore/anno. Ai fini pratici tuttavia, conoscere la potenzialità complessiva dell’intera provincia cuneese non è rilevante in quanto convogliare in un unico impianto tutti i liquami prodotti non è una soluzione praticabile. Infatti, come conseguenza di una tale scelta progettuale, si verificherebbero problemi relativi alla raccolta e al trasporto della materia prima che a loro volta darebbero origine a problemi di viabilità e aumento dei costi variabili dell’impianto (particolarmente quelli legati al trasporto dei liquami) tali da portare ad inficiare significativamente i benefici derivanti dalla valorizzazione energetica e economica dell’impianto. È inoltre di sostanziale importanza sottolineare come impianti di digestione anaerobica alimentati a soli liquami/letami suini non risultino economicamente sostenibili oltre a presentare degli inconvenienti di natura ambientale nient’affatto trascurabili, come verrà descritto nei prossimi capitoli. La presente analisi rimane pertanto incentrata sulle possibilità di utilizzo energetico delle deiezioni avicole, in sinergia o meno con altre deiezioni a seconda delle caratteristiche di fattibilità tecnico-economica e di sostenibilità ambientale che verranno opportunamente esplicitate nel seguito.

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Casi studio

L’utilizzo business-as-usual della pollina

L’attuale configurazione della pollina è sostanzialmente caratterizzata da stoccaggio e spandimento ed entrambe queste fasi sono caratterizzate da peculiari esternalità ambientali (causate essenzialmente da emissioni in atmosfera, v. analisi ambientali dei casi studio) e costi diretti di mercato (es. tabella successiva)

Voci di costo diretto per l’utilizzo BAU della pollina

Voce Costo

Asservimento (superficie per lo spandimento)

600 EUR/ha/a- 1500 EUR/ha/a

Trasportoda calcolarsi per

raggi di 10-15 km

Affitto attrezz. spandim. 75 €/ha - 125 €/ha

ManodoperaMolto variabile in funzione

della gestione e dimensione dell'impianto

Attività agronomica

Da non considerare in un'analisi differenziale:

sarebbe stata fatta in ogni caso

Ipotesi energetiche di base nella conduzione dei ca si di studio

Nell’analisi di casi di studio relativi all’utilizzo di pollina a fini energetici, sono stati considerati due scenari. Il primo prevede che l’energia ricavata sia utilizzata dall’allevamento stesso. In particolare, come si vedrà, è importante che produzione e fabbisogno si incontrino per ciò che riguarda l’energia termica, che non è convenientemente accumulabile se non per periodi di tempo limitati. Invece, qualora risulti in eccesso rispetto alle necessità dell’allevamento, è sempre possibile cedere l’energia elettrica alla rete. Questa soluzione potrebbe essere particolarmente indicata per allevamenti isolati e di piccole dimensioni.

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È da sottolineare che i dati relativi alla produzione di pollina sono dati aggregati per Comune e dunque valutano la produzione dell’insieme di allevamenti siti nei singoli Comuni, fatto questo che è necessario affrontare in sede di progetto di fattibilità più che in una analisi di scenari energetici quale quella condotta in questo studio. Il secondo scenario prevede invece la cessione del calore generato ad una rete di teleriscaldamento. A tal fine la produzione di pollina deve essere sufficientemente elevata così come l’utenza, per giustificare il costo della rete. Per la valutazione del fabbisogno termico dei singoli allevamenti sono state fatte delle ipotesi riguardanti il processo di allevamento che sono esposte qui di seguito. Ciclo di allevamento: si è tenuto conto di una durata del ciclo di vita degli animali pari a 60 giorni; inoltre, tra una nidiata e la successiva devono intercorrere 14 giorni di vuoto sanitario. Nel complesso, ciascun ciclo di allevamento dura 74 giorni. Capannone di allevamento: i capannoni hanno il tetto non piano così da facilitare l’areazione grazie all’effetto camino. L’altezza del tetto è di 2,7 metri alla gronda e 5,3 metri al colmo. La larghezza e la lunghezza del capannone sono state poste rispettivamente pari a 14 metri e 100 metri; ne è risultata dunque un’area di 140 m2. Per la valutazione del volume da riscaldare, si è fatta una media tra le due altezze e si è ottenuto un volume di 5600 m3. La densità di allevamento è stata posta pari a 10 bestie/m2. Temperature necessarie: durante il ciclo di vita delle galline e dei polli è necessario mantenere temperature che vanno dai 35 °C dei primi giorni ai 20 °C dalla quarta settimana in poi (per un totale di 39 giorni). Nella tabella successiva sono riportate le temperature e il tempo per il quale è necessario mantenerle. Nel valutare i casi di studio, si è ipotizzato che – come è la prassi negli allevamenti – le temperature maggiori siano ottenute mediante lampade riscaldanti che circoscrivono la zona calda all’interno della quale stanno i pulcini. Dunque, per tutti i 60 giorni del ciclo di vita, nell’allevamento sono mantenuti mediamente 23 °C , mentre i picchi di temperatura sono coperti dalle lampade (F. Petacchi, C. Sargentini e G. Lorenzini, 2007). Periodo Tmin Tmax Tmedia

Giorni 1-3 32 °C 35 °C 33,5 °C Giorni 4-7 29 °C 32 °C 30,5 °C II settimana 26 °C 29 °C 27,5 °C III settimana 24 °C 26 °C 25 °C Dalla IV settimana in poi 20 °C 24 °C 22 °C

Ore di riscaldamento: i capannoni, avendo bisogno di calore per così dire di processo, non rientrano nella categoria di edifici che devono rispettare le 14 ore massime al giorno; di fatto, per la crescita dei polli, bisogna che i locali siano scaldati eventualmente anche per 24 ore al giorno. Per ciò che riguarda gli edifici residenziali, le ore di riscaldamento sono invece 14. Pollina: per ciò che attiene la pollina, è stata considerata una produzione pari a 20 kg/anno per ogni bestia. Il suo potere calorifico è posto pari a 6124,12 kJ/kg. Impianto termico: l’impianto, ipotizzato per i casi di studio B e C (vedi prossimi paragrafi) è di due tipi, un turbogas con ciclo esterno e un ciclo ORC. In tabella sono riportati per ciascuna tipologia il rendimento elettrico e quello termico potenziali. Come si vedrà meglio

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Cogenerazione da scarti di attività di allevamento:

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nei prossimi capitoli nell’utilizzo reale i rendimenti annui potrebbero essere sensibilmente diversi a seconda dell’utilizzo dell’energia termica durante il corso dell’anno solare.

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analisi integrata e ricadute potenziali sul territorio cuneese

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Impianto Potenza [kW IN]

ηηηηel ηηηηter ηηηηtot Turbogas in generazione diffusa

564 0,17 0,6 0,77

Ciclo ORC 6.000 0,18 0,66 0,83

Ore annue di funzionamento dell’impianto: 6.000 ore all’anno. Gradi Giorno (GG): i gradi giorno dipendono dalla singola località ed esprimono –sotto forma della differenza in gradi tra la temperatura esterna e la temperatura interna desiderata valutata su tutta la stagione di riscaldamento - la quantità di calore da fornire per mantenere le condizioni di temperatura volute all’interno dell’ambiente. Gradi Giorno effettivi (GGeff): Poiché nel caso del capannone il numero di giorni in cui il riscaldamento è necessario può essere inferiore alla durata della stagione di riscaldamento, invece dei gradi giorno, nel calcolo sono utilizzati i gradi giorni effettivi valutati come:

caambasr

caeff gtt

g

gcaGGGG ⋅−+

⋅⋅= )(

Dove: ca è il numero di cicli di allevamento durante la stagione di riscaldamento; gca è la durata di un ciclo di allevamento espressa giorni; gsr è la durata in giorni della stagione di riscaldamento; ta è la temperatura media da tenere nei capannoni, scelta pari a 23 °C; tamb è la temperatura ambiente di riferimento per il calcolo dei gradi giorno (normalmente 20 °C). Fabbisogno termico E (kWh): il fabbisogno termico è valutato su base mensile facendo ricorso alle temperature esterne medie mensili delle località esaminate. È calcolato come segue:

VhGGE eff ⋅⋅⋅= α

dove: α è il coefficiente volumico di scambio (W/m3), h sono le ore giornaliere di riscaldamento invernale e V è, ovviamente, il volume lordo riscaldato. Fabbisogno termico specifico Ets, edifici residenziali (kWht/m3): il fabbisogno termico per il riscaldamento di 1 metro cubo di edificio residenziale è calcolato come:

hGGE effts ⋅⋅= α

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Caso studio A – Utilizzo della pollina in co-digest ione anaerobica con effluenti zootecnici

Tra i vari processi di digestione anaerobica, certamente il più comune è quello condotto ad umido, vale a dire con un tenore di sostanza secca inferiore al 10%. La pollina si presenta ormai pressoché totalmente sotto forma palabile, con tenori di umidità sotto al 50% anche nel peggiore dei casi, pertanto pare evidente come essa possa prestarsi alla digestione anaerobica in forma “diluita” con altri materiali a basso tenore di sostanza secca, quali i liquami/letami suini e bovini. Sussiste tuttavia una seria limitazione all’uso della pollina in codigestione anaerobica che consiste nel tenore di azoto presente, come ben noto, nella stessa. L’azoto dei materiali digerendi entra infatti in digestione sotto forma organica (proteine e amminoacidi), ma si converte, per idrolisi, in larga maggioranza in ammoniaca (ammoniaca libera disciolta in equilibrio con lo ione ammonio) che può raggiungere alte concentrazioni e inibire il processo di digestione stesso: livelli superiori a 3.500 mg/l di azoto ammoniacale portano al blocco delle attività biologiche (Chiumenti, 2007) La gestione delle deiezioni avicole e la direttiva nitrati). È noto l’effetto “tampone” svolto da alcuni materiali come le deiezioni suine stesse o specifici reagenti chimici aggiunti a tal uopo, i quali tenderebbero a ridurre il pH del materiale da digerirsi e quindi anche il potenziale inibente dovuto all’ammoniaca libera. È tuttavia evidente che la necessità di forti diluizioni da svolgersi nei confronti della pollina da parte di materiali a più basso tenore di azoto e di sostanza secca porterebbe a ratei di produzione di biogas (che sono in qualche modo proporzionali alla sostanza secca) assai contenuti rispetto alle dimensioni, anche economiche, dell’impianto di co-digestione che ne scaturirebbe, e quindi l’investimento potrebbe risultare anche anti-economico. Va sottolineato inoltre come i flussi di massa di azoto non subiscano variazioni sostanziali durante la digestione anaerobica e che quindi vadano gestiti in ogni caso a valle della stessa. Tale aspetto è particolarmente problematico per quanto riguarda le emissioni diffuse di ammoniaca dalla fase di stoccaggio e di spandimento, molecola certamente odorosa e precursore, insieme agli ossidi di azoto, delle polveri fini (PM10), parametro di grande preoccupazione sanitaria e ancora non risolto in tutta l’area padana. Al fine di rendere ambientalmente compatibile la digestione anaerobica di pollina ed effluenti zootecnici, la fase di stoccaggio del digestato dovrebbe avvenire in serbatoi con copertura rigida per minimizzare la volatilizzazione dell’ammoniaca, mentre lo spandimento andrebbe svolto con sistemi allineati alle Migliori Tecniche Disponibili del settore, quali l’iniezione in profondità e l’incorporazione immediata. Una valida alternativa tecnologica per la gestione dell’azoto a valle della digestione anaerobica è certamente rappresentata da sistemi di strippaggio dell’ammoniaca e assorbimento in soluzione di acido solforico, con produzione di un sottoprodotto fertilizzante a base di solfato di ammonio. Inoltre, vanno ad acquisire crescente interesse anche alcuni trattamenti biologici innovativi (Sharon et al., 2008). Le criticità ambientali legate alle emissioni diffuse di ammoniaca si verificano anche per impianti di digestione anaerobica alimentati da reflui zootecnici suini o bovini e colture

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energetiche, quali il mais, il sorgo, il triticale, in quanto proprio l’aggiunta di tali colture va ad incrementare, in modo talvolta sostanziale, il contenuto di azoto organico del digerendo rispetto alla configurazione ante operam in cui le deiezioni sono semplicemente stoccate in attesa dello spandimento, nei tempi e modi indicati dalla normativa di settore. A tali aspetti critici vanno inoltre aggiunte le cosiddette emissioni da “post-metanazione”, ovvero i rilasci incontrollati di metano dallo stoccaggio del digestato che, insieme all’emissione di altri gas serra quali il protossido di azoto (N2O), possono incidere negativamente sul bilancio ambientale globale della digestione anaerobica, come evidenziato in un recente intervento pubblico da parte di Arpa Piemonte (Biogas e recupero energetico: tra il presente ed il futuro, convegno organizzato da ASL CN1 a Savigliano, in data 1 e 2 aprile 2009). Gli aspetti rilevati portano a concludere che la digestione anaerobica della pollina non

sembra la soluzione preferibile per valorizzarne il contenuto energetico, per motivi innanzitutto economici, ma anche tecnici ed ambientali. La tecnologia ad oggi di maggiore

interesse e percorribilità per la gestione delle deiezioni avicole risulta essere quella della

combustione ed è su questa opzione tecnologica che nei prossimi capitoli verrà concentrata l’analisi economico-tecnico-ambientale di dettaglio.

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Caso studio B – Utilizzo di pollina in un impianto di taglia elevata con asservimento ad una rete urbana di teleriscaldamento

Analisi energetica

Nel presente caso di studio si è inteso esaminare la possibilità di installare un impianto a biomassa animale di grande taglia. In particolare, si è scelta una potenza che rispettasse l’attuale normativa del settore e per la quale non solo ci fosse un’adeguata produzione di pollina, ma anche una domanda di calore corrispondente il più possibile alla produzione termica dell’impianto. Dai dati disponibili per la Provincia di Cuneo, una possibile area adatta all’installazione di questo tipo di impianto è quella nei dintorni del Comune di Genola: il numero di nuclei familiari (secondo dati ISTAT del 2001) – e quindi indirettamente di edifici da riscaldare - e la produzione di liquami del Comune stesso e di quelli limitrofi sono condizioni favorevoli all’utilizzo di calore prodotto a mezzo di un ciclo ORC e immesso in una rete di teleriscaldamento. Il Comune di Genola presenta le seguenti caratteristiche:

• si trova in zona climatica E, ha perciò una stagione di riscaldamento di 180 giorni (dal 15 ottobre al 15 aprile);

• ore al giorno di riscaldamento: 14; • i gradi giorno misurati sono 2.724; • i capi annualmente presenti negli allevamenti della zona (Genola) sono 1.113.802; • la produzione di pollina è pari a 21.162 tonnellate/anno

Si intende nel seguito presentare il caso di un impianto ORC comprendente, oltre ai dati prettamente energetici relativi all’impianto stesso e alla sua utilizzazione, anche un’analisi economica volta ad indagare i tempi di ritorno dell’investimento. Come anticipato, è stato considerato un funzionamento annuo dell’impianto di 6.000 ore. Nel caso di impianti alimentati a biomasse dove la combustione avvenga in forni a griglia costruiti secondo i dettami posti dalla Direttiva 89/369/EU, si hanno costi di investimento variabili fra 1 ed 1,5 milioni di Euro per t/h ed il costo unitario diminuisce all’aumentare della taglia (Turri e Zago, 2005): i dati di costo che sono qui presentati sono stati ricavati dunque a partire dal costo di impianti di taglia diversa per i quali si è trovata una correlazione che illustri il variare del costo in funzione della taglia (Torassa, 2009).

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I costi di investimento sono da ripartire percentualmente tra le voci mostrate nella tabella seguente:

Costi di investimento e costi di gestione per l’impianto ORC

COSTI DI INVESTIMENTO €

Impianto, edifici, opere civili 1.549.600

Forno, equipaggiamenti 1.478.000

Centrale termica 562.500

Rete di teleriscaldamento 1.758.000

Posa della rete di teleriscaldamento 384.000

Totale costi di investimento 5.732.100

COSTI ANNUI DI GESTIONE €/t di pollina €/anno

Costo personale 40 846.500

Manutenzione ordinaria, revisioni ed altri costi 13,50 285.700

Totale costi annui di gestione 1.132.200

L’impianto nel suo complesso è formato non solo da un ciclo ORC per coprire il carico di base della rete di teleriscaldamento lungo l’arco dell’anno, ma anche da caldaie a gas per coprire i picchi di richiesta termica. Molto importante è poi la rete di teleriscaldamento che unisce il sistema di produzione dell’energia termica agli utilizzatori. Considerati i dati climatici del comune di Genola e la produzione di pollina, gli ulteriori dati importanti per inquadrare correttamente l’analisi svolta sono i seguenti:

• è stato scelto un impianto per l’alimentazione della rete di teleriscaldamento di taglia pari a 8.000 kW. In tale impianto, il ciclo ORC è dimensionato in modo da coprire 50% della potenza termica di picco, mentre le caldaie di integrazione coprono il restante 50% la ragione di questa scelta è chiarita di seguito;

• la trasmittanza per unità di volume media degli edifici è stata posta pari a 0,9 W/(m3K) (Verda et al, 2004);

• l’efficienza della rete di teleriscaldamento è stata considerata pari al 90% (Verda V., C.Ciano, 2005)

Con queste considerazioni, l’energia termica che è possibile ricavare mediante il ciclo ORC è pari a 8.716 MWh annui, quella da fornire con caldaie a gas nei momenti di massima richiesta è pari a 2.184 MWh. Questa differenza nell’energia resa alla rete tra il ciclo ORC e la caldaia deriva dal fatto che hanno un utilizzo completamente differente: il ciclo ORC è utilizzato a pieno carico per coprire la richiesta di base della rete, le caldaie coprono unicamente le richieste nei giorni in cui il fabbisogno termico aumenta e nelle ore in cui c’è contemporaneità di richiesta da parte dell’utenza. La figura mostra la curva cumulata di una rete di teleriscaldamento caratterizzata da una potenza di picco di 8 MW, ottenuta a partire da dati sperimentali relativi a una rete di teleriscaldamento (Verda V., C.Ciano, 2005). La curva in

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blu si riferisce alla potenza complessivamente richiesta alla centrale, mentre la curva in rosso si riferisce al funzionamento del ciclo ORC. Ciascun punto sulla curva rappresenta il numero di ore per le quali la potenza termica è superiore al valore indicato. A titolo di esempio il punto nel quale le due curva si incontrano corrisponde a 1.840 ore una potenza di 4 MW. Questo significa che per 1.840 ore la potenza termica richiesta alla centrale è superiore a 4 MW, il che significherà anche che per 1.840 ore il ciclo ORC funzionerà a piena potenza con completo utilizzo del calore immesso sulla rete. La differenza tra la potenza richiesta alla centrale e quella fornita dal ciclo ORC, rappresentata dalla distanza in ordinata tra le due curve, è la potenza fornita dalle caldaie. Per tutte le ore nelle quali le due curve coincidono il ciclo ORC fornirà l’intera potenza richiesta dall’utenza. In queste ore la potenza è inferiore a 4 MW, pertanto parte del calore prodotto dall’impianto dovrà essere smaltito da una torre evaporativa, senza che possa essere utilizzato dall’utenza civile. Naturalmente in casi specifici nei quali fosse presente una utenza industriale o fossero raggiungibili alcuni capannoni utilizzati per allevamento avicolo, tale curva potrebbe essere modificata in modo da ridurre la quota di calore non utilizzata. Le aree sottese alle due curve rappresentano l’energia associata al sistema al quale la curva si riferisce. Specificamente, l’area al disotto della curva blu è l’energia complessivamente richiesta in una stagione di riscaldamento alla centrale termica. Tale energia ammonta a 10.900 MWh. L’area al disotto della curva rossa rappresenta l’energia fornita in una stagione dal ciclo ORC. Tale energia rappresenta l’80% del fabbisogno complessivo.

Curva cumulata della rete di teleriscaldamento

La produzione annua di energia elettrica si attesta attorno ai 6 GWh.

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La produzione termica così ottenuta è in grado di riscaldare una volumetria di circa 317.460 m3 che, considerando case di superficie media pari a 100 m2 e con soffitti mediamente alti 3 m, corrisponde a circa 1.000 unità abitative. Se si fa l’ulteriore ipotesi di un’unità abitativa per famiglia, all’incirca è possibile riscaldare l’intero parco residenziale di Genola.

Analisi ambientale

L’impianto di combustione alimentato a pollina e funzionante secondo il ciclo Rankine a fluido organico è stato pensato per una potenza termica in ingresso col combustibile pari a 6 MW, vale a dire la taglia minima imposta dal D.M. 5/02/1998 sul recupero dei rifiuti in procedura semplificata. Il secondo punto da definire nella progettazione dell’impianto è certamente la portata di pollina in alimentazione alla macchina, parametro dipendente dal potere calorifico della pollina e cioè, sostanzialmente, dall’umidità della stessa. Da dati di letteratura emerge come le moderne tecniche di allevamento abbiano progressivamente ridotto il tenore di umidità della pollina, fino a valori al di sotto del 15%, comunque generalmente inferiore al 50% anche nel peggiore dei casi. Nella presente analisi si è preso come materiale di riferimento una pollina di ovaiole non essiccata, con una umidità del 42% e un potere calorifico inferiore di 1.463 kcal/kg, dalle caratteristiche chimico fisiche dedotte dalle analisi riferite dallo studio GASPO (CTI, 2008) e riportate nella seguente tabella. È importante tuttavia sottolineare comunque che la composizione sul secco delle polline non varia in modo sostanziale passando dalla pollina di ovaiole, quelle dei broilers, riproduttori o tacchini, come si può evincere dal suddetto studio. Anche gli inquinanti prodotti dalla combustione e il quantitativo di fumi che ne scaturiscono (da 15.000 a 20.000 Nm3/h) non sono soggetti a grandi variazioni, come pure quindi le caratteristiche dei sistemi di abbattimento delle emissioni che verranno adottati al fine del rispetto dei limiti di norma. I risultati dell’analisi tecnico-economica che seguirà sono ritenuti pertanto rappresentativi anche per deiezioni avicole differenti dalla pollina di ovaiole.

Analisi di pollina di ovaiole

(g su 100 g di secco)

C 34,11

H 4,64

N 4,86

S 0,27

O 18,62

Cl 0,13

ceneri 37,5

Sulla base dei dati riportati, l’impianto da 6 MW risulterà alimentato da circa 3.500 kg/ora di pollina di ovaiole il che equivale, considerando un funzionamento pari a 6.000 ore/anno, ad un bacino di ovaiole pari circa a un milione e centomila esemplari (il dato di produzione di pollina assunto per le ovaiole è pari a 19 kg/capo/anno).

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Al fine di confrontare nuovi scenari gestionali per la pollina con la condizione ante operam (detta più propriamente BAU, business as usual, vale a dire la gestione classica delle deiezioni avicole, raccolta-stoccaggio-spandimento) è di fondamentale importanza definire le possibilità energetiche ed i carichi ambientali delle diverse configurazioni, a partire naturalmente dalle emissioni in atmosfera.

Considerazioni energetiche di contorno utili all’analisi ambientale

Come già descritto nei paragrafi precedenti, l’impianto di combustione ORC sarebbe in grado di produrre una potenza di 4 MW termici e 1 MW elettrico per 6.000 ore anno, corrispondente a una produzione energetica di 24.000 MWh termici e 6.000 MWh elettrici. L’efficienza energetica complessiva, quella che viene in genere definita come “tasso di utilizzo del combustibile”, ammonterebbe ad un potenziale dell’83% valore perfettamente in linea con quanto richiesto dalle migliori tecniche disponibili (MTD o BAT, secondo l’acronimo inglese) del settore energetico. Al fine di recuperare l’energia termica disponibile (migliorando così anche i bilanci ambientali, come si vedrà nella prosecuzione) si è pensato di realizzare una rete di teleriscaldamento civile (anche indicato come TR nel seguito) che sostituisca impianti termici esistenti in un raggio tecnicamente raggiungibile. A tale fine, occorre considerare che la potenza di picco da fornire è pari a circa 25 W/m3, il consumo annuo di 40 kW/m3, le perdite della rete di TR pari al 10 % di quanto immesso all’origine e il rendimento energetico delle caldaie sostituite l’80%. Per meglio sfruttare la potenza termica disponibile dall’impianto ORC, che risulterebbe sotto-utilizzata a causa delle ovvie variazioni di carico termico della rete di TR, si è optato per l’affiancamento con una caldaia di integrazione e di emergenza alimentata a gas naturale da 8 MW di potenza nominale, in grado di supplire alle richieste di picco e ai fermi macchina che dovessero interessare l’impianto alimentato a pollina. In tale configurazione, l’impianto congiunto ORC-caldaia ausiliaria fornirebbe energia termica (circa 11.000 MWh, perdite di rete già considerate) per una volumetria, come detto nei paragrafi precedenti, di circa 320.000 m3, energia termica cui l’impianto ORC parteciperebbe circa all’80%. Di conseguenza, la caldaia ausiliaria dovrebbe produrre annualmente circa 7.900 GJ (circa 2.200 MWh, considerando un rendimento energetico della stessa del 90%). Nel caso specifico pertanto, è prevedibile un dato di efficienza energetica complessiva ((Energia elettrica + Energia termica)/ Energia primaria) intorno al 50%. Tale dato potrebbe essere ulteriormente migliorato facendo ricorso alla cosiddetta logica degli accumuli, la quale, prevedendo dei serbatoi coibentati in grado di accumulare acqua calda durante le ore di mancanza di utilizzo (tipicamente la notte e le ore centrali della giornata) da erogare durante i periodi di punta, sarebbe in grado di disaccoppiare la generazione di energia termica dalla richiesta. Tale perfezionamento energetico non viene preso in considerazione nel presente studio ma potrebbe essere approfondito in un eventuale seguito, congiuntamente agli ulteriori vantaggi ambientali che un miglior recupero dell’energia termica cogenerata comporterebbe.

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Sistemi di abbattimento delle emissioni in atmosfera per l’impianto ORC

I limiti di emissione dettati dalla normativa vigente per l’impianto in questione (D.M. 5/02/1998 e smi) sono decisamente contenuti, pari a quelli assegnati all’incenerimento di rifiuti solidi (cfr. D.Lgs. 133/2005). Tale condizione rende necessario il ricorso a misure primarie di contenimento e sistemi di abbattimento delle emissioni inquinanti che andranno ad incidere fortemente sul costo di impianto, sia come investimento che come spese gestionali. Nei capitoli precedenti sono stati riportati dei cenni tecnologici sui possibili presidi ambientali per le emissioni connesse all’utilizzo energetico delle biomasse (ed in appendice vi è un cenno alla questione delle ceneri da combustione di pollina), cui si rimanda per le descrizioni tecniche e prestazionali. Sulla base di tali informative e tenendo conto anche dell’esperienza costruttiva accumulata per gli esistenti impianti di combustione della pollina, la dotazione impiantistica dell’impianto ORC analizzato è stato così immaginato:

1) combustione su una griglia con alimentatore mobile raffreddato ad aria (spreader stoker4), per ridurre le emissioni di NOx e migliorare l’efficienza di combustione;

2) ricircolo dei fumi, per ridurre le emissioni di NOx; 3) SNCR per la riduzione degli NOx a N2: tale sistema di abbattimento viene

predisposto per l’utilizzo a pieno regime, ma spesso l’urea contenuta nella pollina agisce da riducente naturale per gli NOx (Effect of co-combustion of chicken litter and coal on emissions in a laboratory-scale fluidized bed combustor Songgeng Li⁎, Andy Wu, Shuang Deng, Wei-ping Pan, 2008), alleggerendo il carico di tale presidio, talvolta rendendolo superfluo o di mero perfezionamento della prestazione emissiva. Abelha et al. (2003) riportano che normalmente, senza particolari misure primarie, appena il 15% dell’azoto contenuto nella pollina (fuel-bound) viene convertito a NOx; tale percentuale può scendere fino al 7% quando sono applicate misure primarie di contenimento quale l’introduzione dell’aria secondaria in diversi stadi (air staging). In ogni caso, per conservatività, i costi verranno conteggiati come se al sistema SNCR fosse interamente affidato il compito di portare le emissioni di NOx al di sotto dei limiti consentiti ma si ribadisce come spesso esso possa essere considerato quale impianto di emergenza/sicurezza (Dagnall, S.P., 1993. Poultry litter as a fuel. World’s Poult. Sci. J. 49,175–177);

4) multi-ciclone per separare le polveri più grossolane ed alleggerire il compito di sistemi di abbattimento posti più a valle;

5) spray-drier con latte di calce (Ca(OH)2) per l’assorbimento delle sostanze acide (HCl ed SO2): anche in questo caso, una certa percentuale di Cloro e Zolfo contenuti nella pollina, rimangono nelle ceneri quali cloruri e solfati a causa della presenza di Calcio nella pollina stessa, non necessitando quindi di essere abbattuti. L’impianto di assorbimento spray qui trattato viene però dimensionato e i costi dei reagenti conteggiati come se tutto il contenuto iniziale di Cl e S passasse nei fumi e dovesse essere assorbito completamente;

4 In Inghilterra, dove si è sviluppata la tecnologia di produzione di energia termoelettrica da rifiuti avicoli, i più recenti impianti sono stati dotati di "spreader stokers", dispositivi che soffiano il combustibile all'interno della caldaia e assicurano che la maggior parte dello stesso sia combusta a mezz'aria. Questa modifica nella progettazione del sistema di combustione ha portato a una più elevata efficienza di utilizzo della biomassa (CTI, 2008).

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6) filtro a tessuto per l’abbattimento delle polveri (ivi comprese quelle formate a seguito della neutralizzazione delle sostanze acide da parte dell’idrossido di calcio).

I costi degli impianti di abbattimento così descritti sono stati ricavati dalle informazioni riportate nel documento Reference Document on Best Available Techniques in Common Waste Water and Waste Gas Treatment/Management Systems in the Chemical Sector (2003) e vengono illustrate nella tabella seguente.

Costi dei presidi ambientali sull’impianto di combustione ORC della pollina

costo capitale

(Euro) costo operativo

(Euro/anno)

SNCR 62.000 109.5005

Multi Ciclone 24.000 11.600

Spray Dryer (lime) 220.000 51.4006

Filtro tessuto 534.000 193.200

totale 840.000 365.700

Un discorso a parte merita di essere fatto per il controllo degli odori; a tale proposito, lo stoccaggio della pollina in attesa della combustione deve avvenire in strutture chiuse mantenute in depressione e l’aria aspirata a questo scopo può essere utilmente inviata come aria comburente all’impianto di cogenerazione al posto dell’aria esterna, ottenendo il risultato della sua completa deodorizzazione.

Emissioni in atmosfera

Sulla base della composizione media della pollina presa a riferimento, della sua umidità e del potere calorifico inferiore, è possibile definire compiutamente le emissioni in atmosfera dell’impianto di combustione in parola, sia come concentrazioni attese (a monte e valle dei sistemi di abbattimento descritti nei paragrafi precedenti) che come flussi massici (vedi tabella successiva). È importante sottolineare come, in maniera assai cautelativa, le emissioni annue siano state derivate dai limiti di emissione dettati dalla normativa e non dai livelli emissivi effettivamente attesi che, per non pochi parametri, risulterebbero assai più contenuti. A titolo di esempio, i livelli emissivi di polveri a valle di un sistema multi-ciclone + filtro a tessuto sono attesi, fatta salva una corretta manutenzione, nell’ordine di 1-2 mg/Nm3. Al fine di garantire la massima correttezza nella stima delle emissioni in atmosfera dell’impianto di combustione della pollina, occorre considerare anche le emissioni di N2O, molecola cui non viene attribuito un limite in concentrazione dalle normative nazionali ed internazionali in materia, ma che possiede un potenziale clima-alterante molto alto, come

5 È stato considerato un carico di oltre 19 kg/h di NO da abbattere per rispettare il limite di emissione; dati arrotondati al centinaio di Euro 6 È stato considerato un dosaggio di Ca(OH)2 pari a 31 kg/h al costo di 12,5 euro/100 kg di calce idrata; dati arrotondati al centinaio di Euro

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verrà spiegato nel seguito. Alcuni studi di letteratura (P. Abelha et al., 2003 e Henihan A.M. et. al. 2003) riportano concentrazioni di N2O emesse da impianti di combustione della pollina equipaggiati con presidi di contenimento equivalenti a quelli ipotizzati nel presente studio rispettivamente in un range tra 12 e 45 ppm o inferiori a 25 ppm (ossigeno all’11%). Ai fini della presente disamina è stato assunto un valore di 25 ppm, ovvero circa 50 mg N2O/Nm3 (O2 all’11%) Le emissioni della caldaia ausiliaria sono invece basate su fattori di emissione specifici per tale tipologia di impianto, derivati dalle banche dati di AP42 (U.S.EPA), EMEP-CORINAIR e APAT e sono riportate nelle tabelle seguenti.

Emissioni dall’impianto di combustione ORC della pollina

16100 Nm3/h di fumi secchi all’11% di ossigeno, umidità pari a 2900 Nm3/h

conc limite

(mg/Nm 3 11%) emissioni

(kg/h) emissioni

(t/y)

NO2 200 3,23 19,36

HCl 10 0,16 0,97

HF 1 0,02 0,10

SO2 50 0,81 4,84

polveri tot 10 0,16 0,97

VOC 10 0,16 0,97

CO 50 0,81 4,84

N2O 50 (*) 0,81 4.84

CO2 neutra 0 0

(*) in questo caso si tratta di un livello emissivo e non di una concentrazione limite

Emissioni dalla caldaia ausiliaria a servizio del TLR

FE (g/GJ)

caldaia metano emissioni

(t/y)

NO2 59,49 0,63

HCl - -

HF - -

SO2 0,32 0,00

polveri tot 3,20 0,03

VOC 5,35 0,06

CO 27,52 0,29

CO2 53806,08 573,93

Emissioni evitate

Una volta definiti i flussi emissivi relativi alla nuova configurazione che prevede uno specifico impianto per la combustione della pollina, al fine di addivenire ad un bilancio emissivo da cui trarre delle informazioni basilari per l’analisi di scenario occorre definire

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analisi integrata e ricadute potenziali sul territorio cuneese

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anche le emissioni che verrebbero eliminate grazie alle nuove modalità gestionali. Esse sono sostanzialmente di tre tipi:

• emissioni legate alle attività di allevamento, vale a dire l’ammoniaca (NH3), il protossido di azoto (N2O) e il metano (CH4) che non verrebbero più emesse dalle fasi di stoccaggio e spandimento della pollina in quanto sostituite dalla combustione;

• le emissioni relative agli impianti di riscaldamento civile che verrebbero eliminate grazie al ricorso al teleriscaldamento fornito dal cogeneratore a pollina;

• le emissioni relative alla produzione di energia elettrica che verrebbe generata dal nuovo impianto di combustione della pollina.

Emissioni evitate dall’attività di allevamento

Per quanto riguarda il primo punto, ovvero le emissioni dello stoccaggio e spandimento della pollina, sono stati collezionati i fattori di emissioni di NH3, N2O e di CH4 dalle fonti nazionali ed internazionali più autorevoli, come riportato nelle seguenti figure e tabelle.

Emissioni di ammoniaca dalle fasi di stoccaggio e spandimento della pollina

0,000

0,050

0,100

0,150

0,200

0,250

0,300

0,350

LG IP

PC (ova

iole)

BREF IPPC

PREMA (C

RPA 199

7 In

vent

ario)

CORINAIR

ISPRA 2

008

CRPA 200

8

MEDIAIP

CC

emis

sion

i di N

H3

(kg/

capo

/ann

o)

spandimentostoccaggio

Da notarsi che alle emissioni dirette di N2O illustrate nella seguente figura vanno aggiunte anche quelle indirette dovute alla volatilizzazione dell’ammoniaca, valutata in 0,01 kg N-N2O/kg NH3 (IPCC).

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Emissioni dirette di protossido di azoto dalla gestione delle deiezioni avicole

0,000

0,010

0,020

0,030

0,040

0,050

0,060

0,070

0,080

0,090

IPCC

LG IP

PC

UK EF (C

hadw

ick et

al.)

ISPRA 2

008

Gac e

t al (

Franc

e)

MEDIA

emis

sion

i di

N2O

(kg

/kg

di N

esc

reto

)

Emissioni di metano dalle fasi di stoccaggio e spandimento della pollina

kg CH 4/capo/anno fonte

0,030 IPCC

0,0822 ISPRA 2008

0,056 MEDIA

Prendendo a riferimento quindi la produzione annua di pollina con cui verrebbe alimentato l’impianto e l’azoto escreto dalle galline ovaiole (0,7-0,8 kg N/capo/anno) è possibile pertanto addivenire alla stima delle emissioni evitate e, nel caso si tratti di gas clima-alteranti quali metano (GWP7=25) e N2O (GWP4=298), anche l’equivalente in termini di CO2 (vedi tabella successiva).

7 2007 IPCC Fourth Assessment Report (AR4) by Working Group 1 (WG1) and Chapter 2 of that report (Changes in Atmospheric Constituents and in Radiative Forcing)

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Emissioni evitate dall’attività di allevamento avicolo

kg/anno kg/anno kg/anno (t/anno)

stoccaggio spandimento totale CO 2 eq

emissioni di NH 3 88.999,4 111.849,6 200.848,9 -

dirette indirette totale

emissioni di N 2O 42.177,0 6.312,4 48.489,4 14.450

totale

emissioni di CH 4 62.372,9 62.372,9 1.559

Emissioni evitate in ragione del teleriscaldamento

Come già riferito nei paragrafi precedenti, il cogeneratore alimentato a pollina sarebbe in grado, con l’ausilio di una caldaia di integrazione, di fornire calore a una rete di TR permettendo la sostituzione di una energia primaria di circa 54.000 GJ (ovvero 15.000 MWh). A tale energia sostituita corrispondono ovviamente delle emissioni evitate, definibili a partire da adeguati fattori di emissione e dal mix di combustibili utilizzati a scopo di riscaldamento nella provincia di Cuneo (dati ottenuti dal Bilancio Energetico Provinciale) e riportate nella tabella seguente.

Emissioni evitate in relazione all’energia elettric a prodotta

Con lo stesso approccio seguito nei paragrafi precedenti, possono essere stimate anche le emissioni evitate grazie alla produzione in loco di energia elettrica da fonte rinnovabile, quantificabile in circa 6000 MWh all’anno. I fattori emissivi del reparto termoelettrico italiano possono essere ricavati dai report annuali redatti da ENEL (2007), e di seguito riportati: SO2: 0,67 g/kWh elettrico → 4,02 t/anno; NO2: 0,523 g/kWh elettrico → 3,14 t/anno; polveri: 0,024 g/kWh elettrico → 0,144 t/anno; CO2: 496 g/kWh elettrico → 2976 t/anno.

Emissioni da impianti termici sostituiti (dati relativi alla prov. Cuneo)

FE (g/GJ) mix prov emissioni (t/y)

NO2 57,78 3,12

HCl - -

HF - -

SO2 47,14 2,55

polveri tot 2,77 0,15

VOC 10,58 0,57

CO 26,77 1,45

CO2 61.144,71 3.302

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Emissioni legate ai trasporti

Un ulteriore aspetto che va considerato nel confronto tra l’attuale configurazione di utilizzo della pollina (stoccaggio e spandimento) e lo scenario di produzione centralizzata di energia è quello relativo ai trasporti. In tale caso, al fine di comprendere il reale peso di tale contributo, è stato ipotizzato in prima istanza che lo spandimento avvenga mediamente a 15 km dall’azienda agricola con carri da 10 tonnellate mentre l’approvvigionamento dell’impianto di combustione sia effettuato percorrendo mediamente 30 km con mezzi di trasporto da 20 t. I fattori di emissione sono ricavati dal modello europeo COPERT 3, considerando un parco medio (a partire dalla tecnologia convenzionale fino ad arrivare all’EURO IV) per il trasporto all’impianto di combustione e un parco un po’ più vetusto (convenzionale, EURO I e EURO II) per i mezzi destinati al trasporto della pollina in campo. Le emissioni ricavate con l’approccio descritto hanno evidenziato come la fase di trasporto sia trascurabile rispetto alle altre voci di bilancio ambientale e che le due opzioni siano sostanzailmente equivalenti come impatti indotti. Le stime in questione sono riportate nella seguente tabella, ma, valutata la loro consistenza, non verranno considerate nell’analisi di dettaglio che segue.

Emissioni legate ai trasporti

CO

(kg/anno) CO2

(kg/anno) NOx

(kg/anno) NMVOC

(kg/anno) PM esauste (kg/anno)

emissioni spandimento 72 35.895 267 53 19

emissioni approvvigionamento 56 35.895 204 42 14

differenza 16 0 63 11 5

Bilancio emissivo della combustione ORC

Sulla base dei dati riportati nei precedenti capitoli, la Tabella 10 riassume efficacemente i dati emissivi nelle due configurazioni considerate. Come è possibile notare dall’analisi dei valori riportati, l’impianto di cogenerazione alimentato a pollina comporterebbe notevoli diminuzioni delle emissioni di gas ad effetto serra (CO2, metano e N2O), come anche di ammoniaca ed odori, a fronte di un incremento molto contenuto, sulla scala locale, delle emissioni di NOx, polveri e CO. È essenziale sottolineare ancora una volta che le emissioni dell’impianto ORC sono state volutamente sovrastimate per motivi di conservatività, mentre tutti gli altri valori discendono da fattori emissivi rappresentativi delle concentrazioni effettivamente attese al camino. Di conseguenza, almeno per il parametro polveri, considerata l’alta efficienza di abbattimento del filtro a tessuto proposto come dotazione impiantistica, è atteso un bilancio sostanzialmente neutro tra le emissioni ante e post operam anche su scala locale, mentre le emissioni di NOx saranno certamente inferiori a quanto previsto. È inoltre importante evidenziare che gli effetti di dispersione e di diluizione degli inquinanti che avranno luogo in atmosfera non potranno che avvantaggiare l’impianto di cogenerazione rispetto alla configurazione BAU, come sarà ampiamente illustrato nei prossimi capitoli di analisi dedicati alla modellistica di dispersione atmosferica.

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Infine, si sottolinea che il bilancio locale, seppure negativo per quanto riguarda gli ossidi di azoto (è atteso un incremento, a bocca di camino, intorno alle 17 t/anno) è ampiamente positivo per quanto riguarda le emissioni di ammoniaca, per oltre 200 t/anno; si ricorda a tale proposito che entrambi gli inquinanti sono pesanti precursori delle polveri fini (gli NOx con un fattore stimato di neo-formazione dell’88 % e l’ammoniaca con il 64%), pertanto l’incremento degli NOx è ampiamento compensato dalla riduzione delle emissioni di NH3 e il bilancio emissivo, come meglio emergerà nella sezione dedicata al calcolo delle esternalità nelle due configurazioni, non può che essere considerato positivo a qualunque scala.

Bilancio emissivo complessivo

BAU (t/anno) cogenerazione 6 MW (t/anno)

allevamento termico elettrico totale ORC caldaia aux totale

NO2 - 3,12 3,14 6,26 19,36 0,63 19,99

HCl - - - 0,00 0,97 - 0,97

HF - - - 0,00 0,10 - 0,10

SO2 - 2,55 4,02 6,57 4,84 0,00 4,84

polveri tot - 0,15 0,14 0,29 0,97 0,03 1,00

VOC - 0,57 - 0,57 0,97 0,06 1,02

CO - 1,45 - 1,45 4,84 0,29 5,13

CO2 - 3.301,81 2.976,00 6.277,81 0,00 573,93 573,93

NH3 200,85 - - 200,85 - - 0,00

CO2 eq (N2O) 14.449,85 - - 14.449,85 1.441,95 - 1.441,95

CO2 eq (CH4) 1.559,32 - - 1.559,32 - - 0,00

odori - - -

Bilancio emissivo netto (positivi i peggioramenti emissivi)

∆∆∆∆

t/anno

NO2 +13,73

HCl +0,97

HF +0,10

SO2 -1,72

polveri tot +0,71

VOC +0,45

CO +3,69

CO2 -5.704

NH3 -201

CO2 eq (N2O) -13.008

CO2 eq (CH4) -1.559

odori

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Impatto della combustione ORC sulla qualità dell’aria alla scala locale

Mentre si rimanda ai prossimi paragrafi la stima di bilancio ambientale complessivo degli scenari descritti, è possibile calcolare quale sia l’impatto al suolo delle emissioni provenienti dal cogeneratore alimentato a pollina che, come è stato descritto precedentemente, potrebbe far segnare, seppure in misura estremamente contenuta, un bilancio emissivo peggiorativo per quanto riguarda gli ossidi di azoto. Le concentrazioni medie annue che, per tale parametro (NO2), possono essere attese al suolo sono calcolate per mezzo del modello di trasporto e dispersione degli inquinanti ISCST3 (US EPA), sulla base dei dati meteorologici medi orari registrati dalla stazione Arpa Piemonte di Fossano. Le concentrazioni di NOx causate dal nuovo cogeneratore vanno confrontate con quelle evitate, sempre per gli NOx, in seguito allo spegnimento delle centrali termiche domestiche che verrebbero sostiuite dall’impianto di cogenerazione (ca. 320.000 m3, cubatura equivalente ad una popolazione di circa 2.500 abitanti). La simulazione è stata effettuata, per entrambi i casi, sia su di una griglia di calcolo di 20 km x 20 km, con una risoluzione di 200 m x 200 m, sia su un dominio più contenuto ma di maggior dettaglio, 5 km x 5 km, con una risoluzione di 50 m x 50 m. La tabella seguente riassume i risultati dell’elaborazione modellistica sviluppata, mentre le figure successive riportano le mappe isoconcentrazione per entrambe le configurazioni.

Concentrazioni medie annue al suolo di ossidi di azoto

Cogeneratore ORC 6 MW Centrali termiche sostituite Concentrazione media annua sull’intera griglia di calcolo (µg/m3)

0,042 0,021

Concentrazione massima media annua sulla griglia di calcolo (µg/m3)

0,517 0,380

A proposito delle mappe di isoconcentazione, al fine di rendere più comprensibile il loro significato, si è pensato di geo-referirle e sulla cartografia regionale. A tale scopo ed a titolo puramente esemplificativo si è scelto di porre l’impianto di cogenerazione alimentato a pollina nell’area limitrofa ad un allevamento avicolo esistente nei dintorni dell’abitato di Genola, area come ben noto fortemente vocata, e di teleriscaldare lo stesso abitato di Genola avente una popolazione circa equivalente a quella servibile con l’energia termica cogenerata dall’impianto in esame. Si ribadisce comunque che tale contestualizzazione dello studio viene proposta al solo fine di evidenziare gli effetti degli inquinanti emessi sulla scala locale da impianti di cogenerazione alimentati a pollina e di mostrarne le potenzialità in termini di “spiazzamento” di centrali termiche domestiche o utenze termiche industriali presenti in un raggio di fattibilità tecnica della rete di TLR (nella successiva, nella zona sud-orientale della mappa è ben visibile la zona industriale di Fossano, potenzialmente sinergica ai recuperi termici realizzati dall’impianto in questione).

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Concentrazioni medie annuali di NO2 (in µµµµg/m3) “aggiunte” attribuibili all’impianto di cogenerazione ORC da 6

MW (area di calcolo 5 km x 5 km)

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Concentrazioni medie annuali di NO2 (in µµµµg/m3) “evitate” in ragione del TLR servito dall’impianto di

cogenerazione ORC da 6 MW (area di calcolo 5 km x 5 km)

La figura successiva infine riporta la somma dei due contributi, quello addizionale dovuto al nuovo impianto e quello relativo alle emissioni evitate in relazione alle potenzialità di un servizio di TR del concentrico di un Comune limitrofo. Come risulta evidente dall’analisi riportata, le concentrazioni medie annuali attribuibili al nuovo impianto sono pari, nel punto di massima ricaduta, a 0,5 µg/m3, valore da confrontarsi con lo standard di qualità ammessa per legge (DM 60/2002) di 40 µg/m3, concentrazione 80 volte maggiore. Inoltre, le emissioni aggiunte sono ampiamente compensate da quelle evitate, con l’ulteriore vantaggio rappresentato dal fatto che il miglioramento avverrebbe proprio in corrispondenza dell’area abitata, in presenza quindi dei possibili recettori umani, mentre il peggioramento, che, come si è visto, sarebbe di entità trascurabile, corrisponderebbe ad aree scarsamente abitate (tale

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circostanza avrà conseguenze importanti nel calcolo delle esternalità connesse ai due scenari). Sulla base delle considerazioni riportate ed in particolare dei vantaggi derivanti dalla riduzione delle emissioni di ammoniaca e di odori in sede locale, è possibile affermare come l’impatto ambientale dello scenario analizzato possa essere considerato ampiamente positivo anche su tale scala. Tale affermazione è estendibile, in presenza di condizioni al contorno assimilabili, anche ad altri contesti territoriali di inserimento dell’impianto e non solo a quello esemplificato nel presente capitolo.

Concentrazioni medie annuali di NO2 (in µµµµg/m3) come somma dei contributi; positive se incrementali (area di

calcolo 20 km x 20 km)

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Analisi economica

I costi ed i benefici diretti ed indiretti di mercato

I dati di base per l’analisi costi-benefici di mercato a ed i risultati aggregati sono visibili nelle tabelle e figure seguenti.

ORC: parametri di partenza utilizzati nel modello di calcolo per l’ACB di mercato

Ipotesi/parametri del modello di calcolo Unità di mi sura Valore

Energia elettrica

Tariffa onnicomprensiva in filiera corta (alternativa ai CV) euro/MWh 280

Produzione annua di energia elettrica da cedere alla rete MWh 6.000…

Energia termica

Prezzo di acquisto gas naturale da rete euro/Sm3 0,65Prezzo di cessione del calore da teleriscaldamento euro/MWht 95,00Ipotesi di crescita annua del prezzo di cessione del calore da TLR % 0Ipotesi di crescita annua del prezzo di acquisto di gas dalla rete % 1,5Energia termica ceduta agli utenti TLR da ORC MWh 8.716,80Energia termica ceduta agli utenti TLR da CT a gas naturale MWh 2.179,20Fabbisogno annuo di gas naturale/a per la CT di integraz. e riserva Smc 271.404…

Altro

Tasso di sconto annuo per ACB di mercato % 5,00

Tasso di sconto annuo per ACB sociale % 3,50

Credito di imposta per TLR da fonte rinnovabile euro/MWht 25Durata progetto considerata nell'analisi anni 20…

L’analisi ha tenuto conto anche dei benefici economici, per i primi 5 anni di esercizio, ottenuti grazie al meccanismo di incentivazione dei titoli di efficienza energetica (certificati bianchi). Si noti che la tariffa di incentivazione, alternativa ai Certificati Verdi, è stata posta pari a 280 euro/MWh in accordo alle ultime proposte di modifica al regime di incentivazione istituito (v. capitolo Analisi normativa, pag. 73): occorre sottolineare che se l’analisi fosse stata sviluppata con l’incentivo pari a 220 euro/MWh - ceteris paribus - l’indicatore VANdi mercato sarebbe stato comunque positivo; tali considerazioni valgono anche per il caso di studio successivo.

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ORC: risultati dell’analisi economica dei costi e benefici diretti di mercato

ACB di mercato (durata 20 anni, tasso di sconto 5%) Unità Risultati (Valori Attuali)

Costi di investimento € 6.572.000

Costi di gestione € 21.149.000

Benefici da ritiro incentivato En.Elettrica (tariffa onnic. 280 €/MWh) € 18.438.000

Vendita calore per TLR (tariffa a 95 €/MWh) € 12.900.000

VANdi mercato € 4.716.000

IRR % 13,5%

PAYBACK (calcolato con flussi di cassa nominali) anni 7,1

PAYBACK (con flussi di cassa attuali) anni 7,3

Sussidi (tariffa onnic. - prezzo di ritiro non incen tivato) € 13.170.000

ORC: flussi di cassa di mercato annui, in valore attuale (durata 20 anni, tasso di sconto 5%)

-7.000,00

-6.000,00

-5.000,00

-4.000,00

-3.000,00

-2.000,00

-1.000,00

0,00

1.000,00

2.000,00

t t+2 t+4 t+6 t+8 t+10 t+12 t+14 t+16 t+18 t+20

x1

.00

0

Costi di investimento Costi di gestione Ricavi da En.Elettrica Ricavi da TLR

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Il calcolo delle esternalità ambientali

Nel presente paragrafo verranno utilizzati i metodi e gli strumenti descritti in precedenza al fine di calcolare le esternalità dello scenario ante operam (il cosiddeto BAU) e quelle legate ad un impianto di cogenerazione alimentato a pollina della potenza nominale di 6 MW. Le esternalità possono essere calcolate su tre scale diverse, quella locale (legata ad esempio alle emissioni di polveri, CO, SO2 ed odori), quella regionale (in relazione oltre che agli inquinanti primari già elencati per la scala locale anche a polveri secondarie da questi derivati, quali nitrati e solfati di ammonio) e quella globale (attinente alle emissioni di gas climalteranti quali la CO2, CH4 e N2O). Come già accennato, il bilancio ambientale si articola in diverse voci, associabili agli impatti aggiunti dall’impianto di cogenerazione ORC ed a quelli evitati per mezzo della sostituzione termica operata dal servizio di teleriscaldamento, della modifica sostanziale delle attività di stoccaggio e spandimento delle deiezioni avicole e della produzione locale di energia elettrica per la rete nazionale.

Esternalità su scala locale

Sulla base delle concentrazioni di inquinanti previste al suolo dai modelli di dispersione e trasporto precedentemente illustrati, considerata la distribuzione media della popolazione sia in ambito urbano che rurale (la densità media di popolazione, all’esterno dei concentrici urbani, è stata stimata pari a 190 abitanti/km2), applicando le funzioni concentrazione-risposta fornite dalla metodologia ExternE nonché la monetizzazione dei danni calcolati, è possibile ricostruire sia le esternalità aggiuntive dovute all’impianto di cogenerazione sia i costi esterni evitati grazie a tale soluzione. La tabella successiva riporta i risultati del calcolo effettuato ripartiti per inquinante primario emesso.

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Costi esterni sulla scala locale

centrali termiche sostituite dal TLR cogeneratore O RC 6 MW

Euro/anno Euro/anno

PM10 1.786,0 2.999,4

SO2 1.708,1 842,7

CO 0,2 0,2

totale 3.494,4 3.842,3

È importante evidenziare che i valori di costo esterno riportati per l’impianto di cogenerazione a pollina si riferiscono ai valori massimi ammessi alle emissioni dalla normativa vigente, pertanto costituiscono una valutazione molto peggiorativa dei reali danni attesi, in particolare, come già evidenziato per il parametro polveri. È quindi ragionevole considerare un bilancio ambientale positivo sulla scala locale per merito delle emissioni sostituite dal servizio di TR. Per quanto attiene invece la questione delle molestie olfattive che verrebbero evitate o almeno minimizzate da una diversa gestione della pollina rispetto all’attuale stoccaggio-spandimento, il vantaggio in termini di rivalutazione degli immobili nelle zone soggette a molestia olfattiva potrebbe essere quantificato nella misura di larga massima del 5%. Tale vantaggio, considerato il numero di immobili che potrebbero godere del beneficio di una qualità dell’aria più soddisfacente in seguito al miglioramento delle emissioni odorose derivanti dall’allevamento di oltre un milione di capi avicoli, potrebbe quindi essere dell’ordine di alcuni milioni di euro. Tale esternalità positiva, nonostante l’alto grado di incertezza derivante dalla carenza di strumenti di quantificazione sufficientemente sviluppati, può essere comunque considerata rappresentativa dei vantaggi che una soluzione tecnologica quale la combustione della pollina potrebbe apportare su scala strettamente locale. In ogni caso, vista la natura sostanzialmente economica di tale esternalità, essa non verrà conteggiata all’interno del bilancio ambientale complessivo, il quale comprenderà pertanto solamente voci di esternalità correlate agli aspetti sanitari e ambientali dei diversi scenari analizzati.

Esternalità sulla scala regionale

Per quanto riguarda la scala regionale, estesa a tutta l’Europa continentale, il calcolo delle esternalità è stato affidato al software ECOSENSE, sviluppato nell’ambito del progetto europeo ExternE. Tale simulazione è stata effettuata sia per l’impianto di cogenerazione alimentato a pollina che per le centrali termiche domestiche sostituite dal teleriscaldamento. Anche in questo caso giova ricordare che i costi esterni dell’impianto di cogenerazione sono stati calcolati sulla base delle emissioni massime (quindi con una certa sovrastima), mentre le emissioni evitate derivano di fatto da fattori di emissione rappresentativi degli effettivi livelli emissivi attesi. A livello regionale occorre però aggiungere, in qualità di esternalità evitate, il contributo dovuto alle emissioni di ammoniaca eliminate dalle fasi di stoccaggio e spandimento della

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pollina (quantificate in 17.000 €/t) e quello legato alle emissioni medie del parco termoelettrico nazionale, riassunte ed elaborate nella tabella successiva.

Costi esterni della generazione di energia elettrica in Italia

Fattori di

emissione Costo esterno Danno specifico (non Global Warming)

g/kWhe €/t €cent/kWhe

SO2 0,67 9300 0,6231

NOx 0,523 8600 0,44978

PM 0,024 52000 0,1248

Totale=1,198

La tabella successiva raccoglie invece tutti i dati sulle esternalità, aggiunte ed evitate, alla scala regionale. Come è chiaro dai dati mostrati, il bilancio ambientale su tale scala è abbondantemente positivo grazie soprattutto alle esternalità positive correlate alla riduzione delle emissioni di ammoniaca (oltre 200 t/anno).

Costi esterni sulla scala regionale

BAU (EURO/anno) cogenerazione 6 MW (EURO/anno)

allevamento termico elettrico totale ORC + C.I.R

CO - 0,0 - 0,0

nitrati - 43.003,6 26.986,8 69.990,4 146.593,7

SO2 - 1.771,1 (*) 1.771,1 1.789,2

SOLFATI - 29.955,2 37.386,0 67.341,2 26.597,4

PM10 - 2.286,9 7.488,0 9.774,9 7.582,2

NH3 3.414.433 - - 3.414.433 -

totale 3.414.433 77.016,8 71.860,8 3.563.310,6 182.562,4

(*) ricompreso nella voce solfati

Esternalità sulla scala globale

Su scala planetaria, come già accennato, le molecole che contano sono quelle clima-alteranti, quali CO2, N2O e CH4. La tabella successiva raccoglie tutti i dati in merito alle due configurazioni andando ad illustrare la forte positività del bilancio ambientale globale quando la gestione tradizionale della pollina viene sostituita da impianti di cogenerazione di energia elettrica (da immettere in rete) e di energia termica (con la quale servire una rete di teleriscaldamento locale).

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Cogenerazione da scarti di attività di allevamento:

analisi integrata e ricadute potenziali sul territorio cuneese

Fondazione per l’Ambiente T. Fenoglio ONLUS pag. 109 / 144

Costi esterni sulla scala planetaria

t/anno EURO/t

(Watkiss low EST, EcosenseLE)

EURO/anno

caldaia ausiliaria CO2 573,93 19 10.905

CO2 0,00 19 0 cogeneratore ORC

N2O 4,84 5620 27.194

totale esternalità aggiunte 38.099

termico civile sostituito (15 GWh) CO2 3301,81 19 62.734

termoelettrico sostituito (6 GWh) CO2 2976,00 19 56.544

CH4 62,37 437 27.257

CO2 0,00 19 0 stoccaggio & spandimento pollina

N2O 48,49 5620 272.511

Totale esternalità evitate 419.046

Bilancio ambientale complessivo

Al fine di rendere più chiaro il bilancio delle esternalità, positive e negative, dell’impianto, i costi ricavati a tutte le scale sono stati riassunti in una unica tabella, che segue. Come risulta evidente, il bilancio complessivo è fortemente positivo, facendo segnare un vantaggio in termini di costi esterni netti pari ad oltre 3.750.000 Euro/anno. Tale risultato è ancora più significativo se si considera che in tale stima non sono state incluse le esternalità positive legate alla riduzione delle molestie olfattive dell’attività zootecnica (potenzialmente nell’ordine dei milioni di euro in termini di apprezzamento del patrimonio immobiliare dell’area ristretta), mentre i costi ambienatali aggiunti da parte del cogeneratore sono stati ampiamente sopravvalutati attraverso l’applicazione dei limiti di emissione dettati dalla normativa invece che dei livelli emissivi effettivamente attesi a camino.

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Cogenerazione da scarti di attività di allevamento:

analisi integrata e ricadute potenziali sul territorio cuneese

Fondazione per l’Ambiente T. Fenoglio ONLUS pag. 110 / 144

ORC: Bilancio ambientale complessivo

C

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OR

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a 6

MW

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Cogenerazione da scarti di attività di allevamento:

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Nella tabella seguente si può invece apprezzare il risultato dell’inserimento delle esternalità calcolate su base annua (v. tabella precedente) all’interno del modello di calcolo per l’analisi costi-benefici dal punto di vista sociale.

ORC: risultati dell’analisi costi benefici sociale

ACB sociale (durata 20 anni, tasso di sconto 3,5%) U nità Risultati (Valori Attuali)

Esternalità ambientali negative (cioè prodotte dal progetto) € 2.586.000

di cui a scala locale € 44.000

di cui a scala regionale € 2.103.000

di cui a scala globale € 439.000

Esternalità ambientali positive (cioè evitate dal progetto vs. BAU) € 45.907.000

di cui a scala locale € 40.000

di cui a scala regionale € 41.040.000

di cui a scala globale € 4.826.000

VANsociale € 43.321.000

IRR % n/a (VAN ambientale >0 sempre)

PAYBACK (calcolato con flussi di cassa nominali) anni n/a (FC > 0 dal primo anno)

PAYBACK (con flussi di cassa attuali) anni n/a (FC attuali > 0 dal primo anno)

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Cogenerazione da scarti di attività di allevamento:

analisi integrata e ricadute potenziali sul territorio cuneese

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Caso studio C – Utilizzo di pollina per la generazi one diffusa tramite un impianto cogenerativo di piccola taglia

Analisi energetica

In questo caso, si considera che lo sfruttamento energetico della pollina serva a soddisfare in toto o in parte il fabbisogno termico di un allevamento utilizzando un turbogas di piccola taglia alimentato con la pollina prodotta dall’allevamento stesso. È importante qui ricordare che i dati su cui si è svolta l’analisi sono, in realtà, aggregati per comune e quindi, più precisamente, il caso di studio non riguarda un allevamento reale, ma un ipotetico allevamento che sia situato nel comune scelto (per i dati climatici) e che abbia una popolazione avicola pari a quella del comune scelto. Come caso di studio è stata considerata Ruffia che ha le seguenti caratteristiche:

• si trova in zona climatica E, ha perciò una stagione di riscaldamento di 180 giorni (dal 15 ottobre al 15 aprile);

• i gradi giorno misurati sono 2.665; • i gradi giorno effettivi valutati come sopra descritto sono 2.559; • le ore di funzionamento invernale dell’impianto sono 3.503; • il numero di cicli di allevamento possibili durante la stagione di riscaldamento sono

2,43, corrispondenti a 145,95 giorni; • i capi annualmente presenti negli allevamenti sono 99.400; • secondo le ipotesi precedentemente illustrate, i capannoni utilizzati sono 8; • la produzione di pollina è pari a 1.988 tonnellate; • la produzione elettrica annuale del turbogas è pari a 580 MWh

Volendo utilizzare il calore prodotto dal ciclo TG interamente per il riscaldamento dei capannoni, il fabbisogno termico per mantenere negli 8 capannoni i 23 °C richiesti per l’allevamento è di 3.739,22 MWh. L’impianto, funzionando un numero variabile di ore al giorno - in funzione della temperatura media esterna - per i quasi 146 giorni dei cicli di allevamento, produce 2.047,43 MWh sufficienti a coprire il 54,76% del fabbisogno. Nella tabella seguente è riportato un prospetto del funzionamento dell’impianto su base mensile; il totale annuale è riportato nell’ultima riga.

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analisi integrata e ricadute potenziali sul territorio cuneese

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Prospetto di funzionamento dell’impianto con turbogas

Mese Temperatura

media mensile [°C]

GG effettivi

Fabbisogno mensile

[kWh]

Ore al giorno

effettive

Ore mensili

Copertura termica mensile

[kWh]

Prod elettrica

[kWh]

gennaio 3,15 615,41 661.690,98 24,00 744,00 251.659,52 71.303,53 febbraio 4,75 511,06 549.487,41 24,00 672,00 227.305,37 64.403,19 marzo 8,75 441,81 475.036,26 24,00 744,00 251.659,52 71.303,53 aprile 12,75 307,56 330.688,51 24,00 720,00 243.541,47 69.003,42 maggio 16,55 200,01 215.052,90 20,51 635,78 215.052,90 60.931,66 giugno 20,95 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 luglio 23,65 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 agosto 22,75 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 settembre 19,55 103,56 111.347,71 10,97 329,19 111.347,71 31.548,52 ottobre 13,85 283,71 305.047,14 24,00 744,00 251.659,52 71.303,53 novembre 8,25 442,56 475.840,51 24,00 720,00 243.541,47 69.003,42 dicembre 4,55 572,01 615.027,30 24,00 744,00 251.659,52 71.303,53 TOT n/a 3.477,7 3.739.218,7 6.053,0 2.047.427,0 580.104,3

In figura è mostrato il confronto tra fabbisogno termico dell’allevamento e l’energia termica che l’impianto è in grado di produrre

Fabbisogno termico dell’allevamento e produzione termica del turbogas

I costi di investimento e di gestione dell’impianto sono dettagliati nella tabella della pagina successiva.

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analisi integrata e ricadute potenziali sul territorio cuneese

Fondazione per l’Ambiente T. Fenoglio ONLUS pag. 114 / 144

Costi di investimento e costi di gestione dell’impianto a turbogas

COSTI DI INVESTIMENTO €

Caldaia a biomassa, microturbina a gas, gruppo di generazione elettrica 211.000

Totale costi di investimento 211.000

COSTI ANNUI DI GESTIONE €/anno

Costo personale 81.300

Manutenzione ordinaria, revisioni ed altri costi 27.400

Totale costi annui di gestione 108.700

Analisi ambientale

A differenza del precedente scenario energetico di cogenerazione mediante ciclo ORC, il caso di studio analizzato nel presente capitolo, legato alle prestazione di una turbina a gas, si presenta con una taglia più piccola di un ordine di grandezza e si presta bene ad essere un impianto dedicato alle esigenze di una singola azienda. Nello specifico, l’impianto sarebbe alimentato da una portata di 332 kg/h di pollina di gallina ovaiola, con le stesse caratteristiche gia riportate nei capitoli relativi al caso ORC, ed avrebbe un funzionamento continuo per 6.053 ore all’anno. La potenza termica al focolare sarebbe pertanto pari a 564 kW, la potenza elettrica cogenerata di 96 kW e quella termica di 338 kW; il quantitativo di pollina da alimentarsi all’impianto corriponderebbe alle deiezioni annue di circa 106.000 galline ovaiole. Una ulteriore differenza rispetto al precedente caso di studio è l’efficienza complessiva dell’impianto in esame che, per merito delle esigenze termiche dell’allevamento collegato e della configurazione progettuale del recupero termico da effettuarsi, risulterebbe pari al 77%, pressoché il valore massimo possibile per gli impianti del settore energetico. La micro-turbina produrrebbe infatti 580 MWh elettrici e 2047 MWh termici l’anno, andando a sostituire l’energia termica prodotta per l’allevamento da una caldaia a gasolio avente un rendimento energetico dell’80%. L’elevato tasso di utilizzo del combustibile comporterà, come ovvio, dei maggiori benefici ambientali, come verrà analizzato nei successivi paragrafi.

Emissioni in atmosfera

Al fine di raggiungere le medesime prestazioni emissive dell’impianto ORC e il rispetto dei limiti imposti dalla normativa, l’impianto di combustione della pollina asservito alla micro-turbina a gas verrebbe dotato degli stessi presidi ambientali già descritti nei capitoli relativi al precedente caso di studio. I costi degli impianti di abbattimento vengono così riproporzionati in base alle portate emesse (nel caso della microturbina si tratta di 1.514 Nm3/h su base secca, ossigeno all’11%), con l’accortezza di una maggiorazione del 20% per i costi di investimento iniziale così da tenere in considerazione le diseconomie di scala dovute alla piccola taglia impiantistica in questione (vedi tabella successiva). Continuano a valere le considerazioni

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analisi integrata e ricadute potenziali sul territorio cuneese

Fondazione per l’Ambiente T. Fenoglio ONLUS pag. 115 / 144

relative al sovradimensionamento dei dosaggi già accennate in occasione della disamina dell’impianto ORC.

Costi dei presidi ambientali sull’impianto di combustione con micro-turbina

costo capitale (Euro) costo operativo

(Euro/anno)

SNCR 6.700 10.4008

Multi Ciclone 2.600 1.100

Spray Dryer (lime) 23.800 23.0009

Filtro tessuto 57.700 17.400

totale 90.800 51.900

Per quanto riguarda invece il bilancio emissivo ante-post operam, la trattazione risulta molto simile a quanto già riportato per la cogenerazione ORC, pertanto ci si limita a riportare tale bilancio nella tabella successiva riassuntiva che segue. Va sottolineato che, per quanto riguarda le emissioni evitate, alla voce “termico” non figurano gli impatti dovuti alle caldaie domestiche sostituite dal teleriscaldamento, bensì le emissioni di una caldaia a gasolio asservita alle esigenze termiche dell’allevamento che verrebbe spiazzata dal nuovo cogeneratore.

Bilancio emissivo complessivo

BAU (t /anno) microT 564 kW

(t/anno) ∆∆∆∆

allevamento termico elettrico totale totale t/anno

NO2 - 0,61 0,30 0,92 1,84 +0,92

HCl - - - 0,00 0,09 +0,09

HF - - - 0,00 0,01 +0,01

SO2 - 1,16 0,39 1,55 0,46 -1,09

polveri tot - 0,03 0,01 0,05 0,09 +0,04

VOC - 0,15 - 0,15 0,09 -0,06

CO - 0,27 - 0,27 0,46 +0,18

CO2 - 677,95 287,73 965,68 0,00 -966

NH3 19,05 - - 19,05 0,00 -19

CO2 eq (N2O) 1.370,28 - - 1.370,28 136,74 -1.234

CO2 eq (CH4) 147,87 - - 147,87 0,00 -148

odori - -

8 È stato considerato un carico di oltre 1,8 kg/h di NO da abbattere per rispettare il limite di emissione; cifre arrotondate al centinaio di Euro 9 È stato considerato un dosaggio di Ca(OH)2 pari a 2,9 kg/h al costo di 12,5 euro/100 kg di calce idrata; cifre arrotondate al centinaio di Euro

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analisi integrata e ricadute potenziali sul territorio cuneese

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Sulla base dei dati riportati, il bilancio emissivo relativo alla soluzione tecnologica della micro-turbina presenta sostanzialmente le stesse connotazioni di quello dell’impianto ORC, in breve, l’impianto di cogenerazione alimentato a pollina comporterebbe notevoli diminuzioni delle emissioni di gas ad effetto serra (CO2, metano e N2O), come anche di SO2, VOC, ammoniaca ed odori, a fronte di un incremento molto contenuto, sulla scala locale, delle emissioni di NOx, polveri e CO. È essenziale sottolineare ancora una volta che le emissioni provenienti dalla micro-turbina sono state volutamente sovrastimate ponendole pari ai limiti di legge, mentre tutti gli altri valori discendono da fattori emissivi rappresentativi delle concentrazioni effettivamente attese al camino. Come già per il precedente caso studio, considerati inoltre i miglioramenti emissivi relativi all’ammoniaca come precursore di polveri fini, il bilancio emissivo per la nuova configurazione energetica non può che essere pertanto considerato positivo anche alla scala locale.

Impatto dell’impianto micro-turbina sulla qualità dell’aria alla scala locale

Come già effettuato per l’impianto di cogenerazione ORC, anche per il presente caso di studio vengono proposti i risultati del modello di trasporto e dispersione degli inquinanti emessi sulla scala locale, sebbene i flussi in questione siano ridotti di circa un ordine di grandezza rispetto al caso precedente. Anche in questo caso il modello utilizzato è ISCST3 (US EPA) e il parametro di interesse sono gli ossidi di azoto, per i quali la nuova configurazione farebbe segnare un contenutissimo incremento emissivo rispetto alla situazione ante operam; per gli altri inquinanti si prevede un bilancio emissivo neutro se non positivo (vedi SO2), pertanto anche le concentrazioni di inquinante attese al suolo saranno migliorate dal nuovo scenario. In questo caso, le concentrazioni di NOx causate dalla nuova micro-turbina vanno confrontate con quelle evitate, sempre per gli NOx, in seguito alla sostituzione di una caldaia aziendale, ipotizzata a gasolio. La simulazione è stata effettuata, per entrambi i casi, sia su di una griglia di calcolo di 20 km x 20 km, con una risoluzione di 200 m x 200 m, sia su un dominio più contenuto ma di maggior dettaglio, 5 km x 5 km, con una risoluzione di 50 m x 50 m. La tabella successiva riassume i risultati dell’elaborazione modellistica sviluppata, mentre le tre figure che la seguoeno riportano le mappe isoconcentrazione per entrambe le configurazioni.

Concentrazioni medie annue al suolo di ossidi di azoto

micro-turbina 564 kW IN Caldaia sostituita Concentrazione media annua sull’intera griglia di calcolo (µg/m3)

0,010 0,005

Concentrazione massima media annua sulla griglia di calcolo (µg/m3)

0,381 0,240

Similmente a quanto proposto per il caso precedente, anche per lo scenario in esame si è pensato di georeferire le mappe isoconcentrazione sulla cartografia regionale, sempre allo

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scopo di rendere maggiormente comprensibile il loro significato. In questo caso, sempre a titolo puramente esemplificativo si è scelto di porre l’impianto di cogenerazione alimentato a pollina nell’area limitrofa ad un allevamento avicolo esistente nei dintorni dell’abitato di Ruffia. Si ribadisce comunque che tale contestualizzazione dello studio viene proposta al solo fine di evidenziare gli effetti degli inquinanti emessi sulla scala locale da impianti di cogenerazione alimentati a pollina e di mostrarne le potenzialità in termini di “spiazzamento” di centrali termiche esistenti.

Concentrazioni medie annuali di NO2 (in µµµµg/m3) “aggiunte” attribuibili alla micro-turbina da 564 kWIN (area di

calcolo 5 km x 5 km)

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

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Concentrazioni medie annuali di NO2 (in µµµµg/m3) “evitate” attribuibili alla caldaia a gasolio sostituita (area di

calcolo 5 km x 5 km)

La figura successiva infine riporta la somma dei due contributi, quello addizionale dovuto al nuovo impianto e quello relativo alle emissioni evitate in relazione alla sostituzione dell’impianto termico esistente a servizio delle esigenze aziendali. Come risulta evidente dall’analisi riportata, le concentrazioni medie annuali attribuibili al nuovo impianto sono pari, nel punto di massima ricaduta, a 0,4 µg/m3, concentrazione da confrontarsi con lo standard di qualità ammessa per legge (DM 60/2002) di 40 µg/m3, valore 100 volte maggiore. Inoltre, la somma di emissioni aggiunte ed eliminate avrebbe un effetto praticamente neutro sulla concentrazione di ossidi di azoto al suolo, come ben si può intuire dalla già citata figura successiva. Sulla base delle considerazioni riportate ed in particolare dei vantaggi derivanti dalla riduzione delle emissioni di ammoniaca e di odori in sede locale, è possibile affermare come l’impatto ambientale possa essere considerato ampiamente

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

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positivo anche per il presente scenario tecnologico basato sulla cogenerazione per mezzo di micro-turbina. Tale affermazione è estendibile, in presenza di condizioni al contorno assimilabili, anche ad altri contesti territoriali di inserimento dell’impianto e non solo a quello esemplificato nel presente capitolo.

Concentrazioni medie annuali di NO2 (in µµµµg/m3) come somma dei contributi; positive se incrementali (area di

calcolo 5 km x 5 km)

-0.25

-0.2

-0.15

-0.1

-0.05

0

0.05

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Analisi economica

I costi ed i benefici diretti ed indiretti di mercato

I dati di base per l’analisi costi-benefici di mercato a ed i risultati aggregati sono visibili nelle tabelle e figure seguenti.

ORC: parametri di partenza utilizzati nel modello di calcolo per l’ACB di mercato

Ipotesi/parametri del modello di calcolo Unità di mi sura Valore

Energia elettrica

Prezzo di acquisto energia elettrica da rete (medio) euro/MWh 110Ipotesi di crescita annua del prezzo di acquisto dalla rete % 1,5

Tariffa onnicomprensiva in filiera corta (alternativa ai CV) euro/MWh 280

Produzione annua di energia elettrica da cedere alla rete MWh 580

Altro

Tasso di sconto annuo per ACB di mercato % 5,00

Tasso di sconto annuo per ACB sociale % 3,50

Durata progetto considerata nell'analisi anni 15…

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analisi integrata e ricadute potenziali sul territorio cuneese

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Microturbina: risultati dell’analisi economica dei costi e benefici diretti di mercato

ACB di mercato (durata 15 anni, tasso di sconto 5%) Unità Risultati (Valori Attuali)

Costi di investimento € 302.000

Costi di gestione € 1.667.000

Benefici da ritiro incentivato En.Elettrica (tariffa onnic. 280 €/MWh) € 1.686.000

Beneficio da energia elettrica non acquistata € 2.565.000

VANdi mercato € 2.373.000

IRR % 76,7%

PAYBACK (calcolato con flussi di cassa nominali) anni 2,3

PAYBACK (con flussi di cassa attuali) anni 2,0

Sussidi (tariffa onnic. - prezzo di ritiro non ince ntivato) € 1.204.000

Microturbina: flussi di cassa di mercato annui, in valore attuale (durata 15 anni, tasso di sconto 5%)

-400,00

-300,00

-200,00

-100,00

0,00

100,00

200,00

t t+1 t+2 t+3 t+4 t+5 t+6 t+7 t+8 t+9 t+10 t+11 t+12 t+13 t+14 t+15

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.00

0

Costi di investimento Costi di gestione Ricavi da En.Elettrica Ricavi da TLR

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analisi integrata e ricadute potenziali sul territorio cuneese

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Il calcolo delle esternalità ambientali

Nel presente paragrafo, come già nel caso studio precedente, verranno utilizzati i metodi e gli strumenti descritti in precedenza al fine di calcolare le esternalità dello scenario ante operam (il cosiddetto BAU) e quelle legate ad un impianto di cogenerazione alimentato a pollina, con tecnologia micro-turbina a gas, della potenza nominale in ingresso di 564 kWth. Come già spiegato, le esternalità possono essere calcolate su tre scale diverse, quella locale (legata ad esempio alle emissioni di polveri, CO, SO2 ed odori), quella regionale (in relazione oltre che agli inquinanti primari già elencati per la scala locale anche a polveri secondarie da questi derivati, quali nitrati e solfati di ammonio) e quella globale (attinente alle emissioni di gas climalteranti quali la CO2, CH4 e N2O). Il bilancio ambientale si articola in diverse voci, associabili agli impatti aggiunti dall’impianto di cogenerazione micro-turbina ed a quelli evitati per mezzo della sostituzione di una caldaia alimentata a gasolio a servizio dell’azienda avicola, della modifica sostanziale delle attività di stoccaggio e spandimento delle deiezioni avicole e della produzione locale di energia elettrica per la rete nazionale.

Esternalità su scala locale

Sulla base delle concentrazioni di inquinanti previste al suolo dai modelli di dispersione e trasporto precedentemente illustrati, considerata la distribuzione media della popolazione sia in ambito urbano che rurale (la densità media di popolazione, all’esterno dei concentrici urbani, è stata stimata pari a 190 abitanti/km2), applicando le funzioni concentrazione-risposta fornite dalla metodologia ExternE nonché la monetizzazione dei danni calcolati, è possibile ricostruire sia le esternalità aggiuntive dovute all’impianto di cogenerazione sia i costi esterni evitati grazie a tale soluzione. La tabella successiva riporta i risultati del calcolo effettuato ripartiti per inquinante primario emesso.

Costi esterni sulla scala locale

Caldaia a gasolio sostituita Micro-turbina 564 kW IN

Euro/anno Euro/anno

PM10 392,9 714,4

SO2 746,5 200,7

CO 0,0 0,1

totale 1139,5 915,1

È importante evidenziare che, anche per il presente caso studio, i valori di costo esterno riportati per l’impianto di cogenerazione a pollina si riferiscono ai valori massimi ammessi alle emissioni dalla normativa vigente, pertanto costituiscono una valutazione molto peggiorativa dei reali danni attesi, in particolare, come già evidenziato per il parametro polveri. È quindi ragionevole pensare che il bilancio ambientale sulla scala locale sia ancora più positivo di quanto stimato nella precedente tabella.

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Per quanto attiene invece la questione delle molestie olfattive che verrebbero evitate o almeno minimizzate da una diversa gestione della pollina rispetto all’attuale stoccaggio-spandimento, si faccia riferimento a quanto riportato per il caso studio del cogeneratore ORC.

Esternalità sulla scala regionale

Per quanto riguarda la scala regionale, estesa a tutta l’Europa continentale, il calcolo delle esternalità è stato affidato nuovamente al software ECOSENSE, sviluppato nell’ambito del progetto europeo ExternE. Tale simulazione è stata effettuata sia per l’impianto di cogenerazione alimentato a pollina che per caldaia a gasolio sostituita. A livello regionale occorre poi aggiungere, in qualità di esternalità evitate, il contributo dovuto alle emissioni di ammoniaca eliminate dalle fasi di stoccaggio e spandimento della pollina e quello legato alle emissioni medie del parco termoelettrico nazionale, già descritte nei precedenti paragrafi. La successiva raccoglie tutti i dati sulle esternalità, aggiunte ed evitate, alla scala regionale. Come è chiaro dai dati mostrati, il bilancio ambientale su tale scala è abbondantemente positivo grazie soprattutto alle esternalità positive correlate alla riduzione delle emissioni di ammoniaca (oltre 19 t/anno).

Costi esterni sulla scala regionale

BAU (EURO/anno) cogenerazione 564 kW IN (EURO/anno)

allevamento termico elettrico totale Micro-turbina

CO - 76,8 - 76,8 151,6

nitrati - 2.379,6 2.609,2 4.988,8 13327,3

SO2 - 303,7 (*) 303,7 93,0

SOLFATI - 8.401,3 3.614,6 12.015,9 4965,3

PM10 - 253,0 724,0 977 759,2

NH3 323.799 - - 323.799 -

totale 323.799 11.414,4 6.947,7 342.161,2 19.296,4

(*) ricompreso nella voce solfati

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Esternalità sulla scala globale

Su scala planetaria, come già accennato, le molecole che contano sono quelle clima-alteranti, quali CO2, N2O e CH4. La tabella successiva raccoglie tutti i dati in merito alle due configurazioni andando ad illustrare la forte positività del bilancio ambientale globale quando la gestione tradizionale della pollina viene sostituita da impianti di cogenerazione di energia elettrica (da immettere in rete) e di energia termica (con la quale sostituire un impianto termico esistente).

Costi esterni sulla scala planetaria

t/anno EURO/t (Watkiss low EST, EcosenseLE) EURO/anno

CO2 0,00 19 0 micro-turbina

N2O 0,46 5620 2.579

Totale esternalità aggiunte 2.579

caldaia sostituita (2.560 MWh) CO2 677,95 19 12.881

termoelettrico sostituito (580 MWh) CO2 287,73 19 5.467

CH4 5,91 437 2.585

CO2 0,00 19 0 stoccaggio & spandimento pollina

N2O 4,60 5620 25.842

Totale esternalità evitate 46.775

Bilancio ambientale complessivo

Come già proposto per la cogenerazione ORC, al fine di rendere più chiaro il bilancio delle esternalità, positive e negative, dell’impianto, i costi ricavati a tutte le scale sono stati riassunti nella tabella che segue. Anche in questo caso, il bilancio complessivo è fortemente positivo, facendo registrare un vantaggio in termini di costi esterni netti pari ad oltre 367.000 Euro/anno. Si ricorda che tale stima non include le esternalità positive legate alla riduzione delle molestie olfattive dell’attività zootecnica e pertanto il bilancio potrebbe risultare ancora più favorevole allo scenario energetico analizzato (es. riduzione valore degli affitti per edilizia residenziale in zona colpita da molestie olfattive stimabile in percentuali pari al 30%, EC-DG RP, 2008)

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Micro-turbina: bilancio ambientale complessivo

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Nella tabella seguente, analogamente al caso studio precedente, si può invece apprezzare il risultato dell’inserimento delle esternalità calcolate su base annua (v. tabella precedente) all’interno del modello di calcolo per l’analisi costi-benefici dal punto di vista sociale.

Microturbina: risultati dell’analisi costi benefici sociale

ACB sociale (durata 15 anni, tasso di sconto 3,5%) U nità Risultati (Valori Attuali)

Esternalità ambientali negative (cioè prodotte dal progetto) € 262.000

di cui a scala locale € 11.000

di cui a scala regionale € 222.000

di cui a scala globale € 30.000

Esternalità ambientali positive (cioè evitate dal progetto vs. BAU) € 4.493.000

di cui a scala locale € 13.000

di cui a scala regionale € 3.941.000

di cui a scala globale € 539.000

VANsociale € 4.230.000

IRR % n/a (VAN ambientale >0 sempre)

PAYBACK (calcolato con flussi di cassa nominali) anni n/a (FC > 0 dal primo anno)

PAYBACK (con flussi di cassa attuali) anni n/a (FC attuali > 0 dal primo anno)

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Conclusioni

Nel quadro degli impegni di Kyoto, della necessità di diversificare l’offerta energetica e dei vincoli della qualità ambientale locale, le elevatissime concentrazioni di attività zootecniche nella pianura padana pongono rilevanti problemi di carattere ambientale ma anche opportunità di miglioramento e di sviluppo economico. I problemi sono portati dall’elevato consumo di risorse naturali, dall’inquinamento locale e globale indotto sotto forma di nitrati nelle acque sotterranee, odori, ammoniaca e gas serra rilasciati in atmosfera dalle fasi di allevamento, stoccaggio e spandimento delle deiezioni zootecniche. Opportunità, invece, si intravedono in possibili usi alternativi delle deiezioni. In particolare, l’utilizzo energetico con tecnologie di combustione per la produzione di energia elettrica e termica, attuato con le Migliori Tecniche Disponibili, consentirebbe di ottenere un bilancio economico e ambientale complessivamente positivo, alla scala locale, regionale e globale, rispetto alla situazione attuale caratterizzata dallo “spandimento”. Tale bilancio positivo sarebbe poi certamente migliorato se si tenesse conto dei benefici derivanti dalla riduzione delle molestie odorose in ambito rurale che deriverebbe dalla nuova gestione energetica della pollina ed ancor di più considerando l’eliminazione del rilascio di composti azotati nel sottosuolo, problema di assoluta attualità e gravità per gli acquiferi del Nord Italia (due effetti che, per carenza di dati e complessità dell’analisi, non sono stati oggetto di approfondimento nel presente rapporto). Nella analisi integrata (economica, ambientale, tecnologica, energetica) che la Fondazione per l’Ambiente ha condotto, gli indicatori di sintesi, sia economici in senso stretto sia ambientali, indicano la prospettiva di progetti che possono apportare, grazie ai correnti sussidi, contemporaneamente benefici pubblici e redditività degli investimenti, un caso non frequente, ancorché da verificare negli studi di fattibilità, di progetto “double win” (positivo per la collettività e per i privati). Le prospettive di ricerca e analisi, alla luce dei risultati del presente lavoro, sembrano particolarmente interessanti lungo i seguenti assi: • aggiornamento dei database energetico-ambientali, economici e di esternalità • survey di dettaglio su casi di studio nazionali e internazionali di successo • analisi dettagliata di sensitività nell’ambito dell’analisi integrata • processi tecnologici e tecnologie di abbattimento • possibilità di co-combustione con altri combustibili • studi di dettaglio per la localizzazione ottimale degli impianti • gestione e possibilità di utilizzo delle ceneri come fertilizzanti • estensione della analisi ad altre aree del Piemonte

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APPENDICI

A - La destinazione delle ceneri da combustione di pollina

Per quanto attiene la gestione delle ceneri ottenute dalla combustione della pollina, tale aspetto è ancora largamente controverso e non sono molti gli studi in materia reperibili dalla letteratura. Lo studio GASPO (CTI, 2008) riporta elevate concentrazioni di cloro e di rame nelle ceneri prodotte nel corso di specifica sperimentazione, riconducibili all’uso di disinfettanti e integratori alimentari. Secondo tale studio, le ceneri prodotte , considerate rifiuto secondo l’attuale legislazione, non potrebbero trovare una destinazione nello spandimento a fini agronomici ma potrebbero bensì essere inquadrate nelle procedure semplificate di recupero come materia che prevedono:

• utilizzo in cementificio • produzione di conglomerati cementizi • produzione di fertilizzanti • compostaggio attraverso un processo di trasformazione biologica • utilizzo nell’industria dei laterizi e dell’argilla espansa • formazione di rilevati e riutilizzo per recuperi ambientali

Lo stesso studio afferma poi che “il conferimento delle ceneri in discarica prodotte durante i processi di combustione e gassificazione della pollina è risultata essere un’alternativa preferibile in termini ambientali rispetto a quella del loro spandimento sui terreni come ammendante”. Un’altra analisi in materia (Chiumenti, 2007) riporta inoltre che “il problema delle ceneri è di fatto un non-problema: anche qualora non si volessero utilizzare come fertilizzante, sono sfruttabili nei cementifici e, in ultima istanza, smaltibili in discarica come rifiuto, con un costo di smaltimento pienamente accettabile in una valutazione benefici/costi dell’impianto”. Uno studio di fattibilità americano (Maryland Environmental Service, 2000) afferma testualmente che “le ceneri derivate dall’impianto di combustione della lettiera avicola FIBROWATT in Gran Bretagna, alte in tenore di potassio e fosforo e con un basso contenuto di azoto, sono riutilizzate come un fertilizzante agricolo. Le ceneri hanno altresì un alto valore potenziale come ingrediente nella formulazione di fertilizzanti commerciali e mangimi. Inoltre, poiché le ceneri, ad eccezione dell’azoto, conservano lo stesso contenuto di nutrienti della pollina tal quale in un volume molto più piccolo, esse si rivelano più adatte all’applicazione al suolo rispetto alla lettiera grezza, anche in considerazione dell’eliminazione degli odori e della carica patogena”. Un ulteriore report (Cape Fear Resource Conservation and Development Inc., 2004) incentrato sul recupero delle ceneri di combustione per la produzione di fertilizzanti dichiara che le ceneri derivanti dalla combustione in letto fluido della pollina di tacchino possono

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essere utilizzati per produrre fertilizzanti tipici NPK in impianti di granulazione con proprietà fisiche almeno pari se non migliori di quelli normalmente in commercio. Il valore commerciale delle ceneri di pollina in qualità di sottoprodotto viene quantificato in tale studio in un range tra i 35 e gli 80 $/tonnellata. Nella tabella seguente si riporta un esempio di formulazione di fertilizzante granulare a base di ceneri di pollina, acido fosforico e ammoniaca, così come rinvenibile nello studio citato.

Formulazione di un fertilizzante granulare a base di ceneri di pollina

Sulla base di quanto riportato, sembra evidente agli scriventi che la cenere di combustione non debba costituire un problema per gli impianti tecnologici di cogenerazione, bensì rappresenti una risorsa di nutrienti da usarsi al meglio, nell’ovvio rispetto delle normative vigenti. Del resto, l’attuale gestione delle deiezioni avicole prevede nella maggior parte dei casi l’utilizzazione agronomica (fatta in proprio o tramite il conferimento a terzi), gestione che deve fare i conti con i limiti allo spandimento imposti dalla direttiva nitrati, in particolare nelle zone cosiddette vulnerabili, la cui presenza risulta massiccia in Provincia di Cuneo (vedi figura nella pagina successiva). In tali aree, non può essere infatti superato un apporto pari a 170 kgN/ha/anno, e tale circostanza pesa sugli allevatori, compresi ovviamente quelli di suini e di bovini, i quali devono ricercare superfici adatte alla propria consistenza zootecnica, mediante acquisto o asservimento di terreni spesso sempre più lontani dal proprio centro aziendale e il cui reale utilizzo a fini agronomici è messo in discussione dai fattori economici legati ai trasporti.

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Zone vulnerabili da nitrati in provincia di Cuneo

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In parte della Provincia di Cuneo come in altre realtà presenti in pianura padana ad alta concentrazione zootecnica ed elevata vulnerabilità degli acquiferi, la produzione dell’azoto può risultare localmente eccedentaria rispetto ai limiti consentiti, e ciò si traduce in voci di costo aggiuntive, talvolta molto pesanti, per la gestione delle deiezioni (CRPA, 2008; CRPA, 2007). All’interno dello scenario descritto, la cessione della pollina ad un impianto di cogenerazione e la possibile vendita delle ceneri di risulta come precursore di fertilizzanti rappresentano delle ulteriori possibilità di vantaggio economico o di risparmio legato alla scelta di una destinazione energetica della biomassa. Analisi più approfondite, potenzialmente oggetto di una futura prosecuzione del presente studio, potrebbero anche evidenziare i vantaggi ambientali legati alla produzione evitata di molecole destinate al confezionamento di fertilizzanti, quali quelle contenenti fosforo e potassio, nonché le relative esternalità.

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B – Valutazione delle esternalità

Modelli atmosferici di dispersione utilizzati

Come è stato descritto nel dettaglio nei capitoli precedenti seguente, buona parte della valutazione delle esternalità legate ad un ciclo produttivo si basa sulla determinazione delle concentrazioni di inquinante al suolo provocate dalle emissioni al camino dello stesso. A tale proposito ed al fine di calcolare le concentrazioni medie orarie e annue nella scala locale verrà utilizzato il modello ISC3 (U.S. EPA, 2002); si tratta di un modello nato per essere alla base della programmazione, dell’analisi di rischio e della concessione dei permessi all’emissione nella maggior parte degli Stati Uniti. Il modello ISC3 viene consigliato per il calcolo delle concentrazioni al suolo di inquinanti inerti fino a un range di 50 km dalla sorgente, sia per orografie semplici che complesse. Si tratta di un modello a pennacchio stazionario che considera Gaussiana la distribuzione della concentrazione sia in verticale che in orizzontale quando lo strato limite è stabile mentre, quando tale strato è convettivo (durante il giorno), la distribuzione orizzontale è ancora assunta Gaussiana, mentre quella verticale viene descritta per mezzo di una funzione di densità di probabilità bi-Gaussiana (Willis and Deardorff, 1981). Per quanto riguarda invece la scala regionale, estesa a tutta l’Europa continentale, le concentrazioni al suolo sono state calcolate per mezzo di un modello Lagrangiano orientato secondo i recettori denominato Windrose Trajectory Model (WTM), realizzato dai Laboratori Harwell (Derwent and Nodop, 1986) e incluso nel software ECOSENSE, sviluppato nell’ambito del progetto europeo ExternE di cui ai prossimi capitoli. Il modello WTM è in grado di considerare le trasformazioni chimiche che avvengono in atmosfera e di calcolare le concentrazioni al suolo delle specie acide neoformate; a questo scopo il modello Ecosense contiene, su una griglia che copre l’intero continente, dati di precipitazione e di distribuzione dei venti tratti dall’Istituto Meteorologico Norvegese (Meteorological Synthesising Centre-West of EMEP), nonché inventari delle emissioni di NOX, SO2 e ammoniaca derivanti da CORINAIR.

La metodologia ExternE

I costi esterni derivanti da un qualunque ciclo produttivo rappresentano i costi imposti alla società così come all'ambiente che non si riflettono nei prezzi di mercato e quindi non sono conteggiati dai produttori e dai consumatori di beni; i costi esterni costituiscono un pesante fallimento del mercato che giustifica una forte politica di intervento. Il progetto ExternE (Commissione Europea, 1998) è il primo e, al momento, il più avanzato e affidabile tentativo di usare una metodologia coerente per valutare i costi esterni che derivano da differenti cicli produttivi poiché contiene tecniche di valutazione che integrano analisi tecnico-scientifiche ed economiche derivanti sia da collaudati studi internazionali che da modelli di nuova applicazione. Questa metodologia è basata su un approccio multi-disciplinare che include l'ingegneria, le scienze ambientali, l'ecologia, l'economia, la chimica atmosferica e la modellistica di dispersione, la tossicologia.

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Le tecniche di valutazione delle esternalità si suddividono in metodi diretti ed indiretti: per quel che riguarda i costi esterni dovuti all’inquinamento, le tecniche dirette caratterizzano l’impianto da analizzare (caratteristiche tecniche, flussi e sostanze inquinanti emesse..), determinano il “sentiero di impatto” delle sostanze inquinanti nel raggio di una determinata distanza e misurano gli effetti su particolari recettori. Il metodo diretto non effettua valutazioni economiche ma l’analisi tecnica prodotta, basata sulla modellistica atmosferica della dispersione e su funzioni tossicologiche di dose-risposta, può valutare, in termini statistici, la probabilità di determinati eventi negativi (per esempio, la probabilità di una certa patologia respiratoria o la perdita di determinate quantità del raccolto). Venendo ora ai metodi indiretti, essi sono basati sulla percezione del danno che la gente pensa di ricevere a causa dell'inquinamento atmosferico; conseguentemente, queste tecniche osservano i comportamenti reali della gente che riceve il danno ed ottiene da questi comportamenti una valutazione puramente economica. Il principio fondante nella valutazione monetaria è l’ottenimento della disponibilità a pagare (WTP, willingness to pay) al fine di evitare un effetto negativo o a essere pagati (WTA) per accettarlo. I principali metodi indiretti sono:

• la valutazione edonistica, basata sul rapporto fra determinati fattori ambientali (inquinamento, zone verdi, rumore…) e alcuni mercati reali, quali quello dei beni immobiliari, il mercato del lavoro o le spese sanitarie;

• il metodo del costo di viaggio, derivati dalla disponibilità a pagare per visitare luoghi di particolare pregio ambientale;

• la valutazione contingente che consiste in questionari proposti ai consumatori quando non esiste un mercato reale cui riferirsi.

Entrambi i metodi diretti ed indiretti per la valutazione dei costi esterni sono autosufficienti ma, se usati singolarmente, rischiano di effettuare valutazioni parziali dell’intero processo. In effetti i metodi indiretti sono in parte basati su valutazioni soggettive e trascurano gli aspetti scientifici che spiegano il rapporto fra la quantità delle emissioni e gli effetti sulla salute umana. D'altra parte, le tecniche dirette, che sono basate su un approccio tecnico-scientifico che deriva dalle ricerche sperimentali ed epidemiologiche più recenti, ignorano la monetizzazione dell'effetto sugli uomini e sull'ambiente. Ovviamente, il metodo migliore per una valutazione esauriente dei costi esterni è l'integrazione delle due tecniche: la metodologia ExternE applica pertanto l'analisi indiretta (la disponibilità a pagare o a essere pagati in presenza di un rischio valutato) a valle dal metodo diretto, mettendo insieme il meglio della multi-disciplinarità dell’approccio. Tale procedimento costituisce il cosiddetto approccio dei “sentieri di impatto”, rappresentato nella Figura 1; l'analisi è basata su 4 fasi e continua in maniera sequenziale a partire dalle emissioni verso la valutazione dell’impatto e la conseguente monetizzazione. La prima fase individua le caratteristiche tecnologiche principali del ciclo produttivo, i flussi emessi, le concentrazioni delle sostanze inquinanti (mg/Nm3) e le caratteristiche del camino (numero, altezza e diametro). La seconda fase consiste del calcolo della concentrazione media annua delle sostanze inquinanti al suolo sulla base di modelli atmosferici di dispersione; tale modellistica ha la necessità di tenere conto non solo del trasporto fisico delle sostanze inquinanti dovuto ai venti ma anche della trasformazione chimica delle stesse.

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L’analisi sulla scala locale si focalizza generalmente su distanze fino a 20 km dalla sorgente (Friedrich e Bickel, 2001). In tale area modelli Gaussiani sono solitamente impiegati nella predizione della concentrazione media annua al suolo. Gli effetti degli inquinanti secondari entro la suddetta distanza risultano infatti essere poco significativi. Su scala più vasta invece gli effetti di nitrati e solfati non sono più trascurabili e la loro modellizzazione richiede in genere l’impiego di modelli più complessi su distanze di migliaia di km. La terza fase individua i soggetti esposti alle sostanze inquinanti nella zona considerata e le caratteristiche corrispondenti (il numero, la distribuzione e la classe di età delle popolazioni interessate, il tipo e la distribuzione dei raccolti, etc..). Nella stessa fase sono applicate opportune funzioni concentrazione-risposta al fine di determinare gli effetti sui vari ricevitori (questi effetti sono misurati in casi annui aggiuntivi di bronchite cronica o di attacchi di asma per la salute umana, in perdita di raccolto nel caso dei danni sull’agricoltura, ecc..). Le funzioni concentrazione-risposta nel caso della salute umana derivano sia da studi epidemiologici osservazionali, sviluppati cioè osservando la correlazione tra l’inquinamento atmosferico misurato e la salute di popolazioni reali, a cavallo di città diverse (cross-sectional) ovvero nella stessa città (longitudinali), sia da studi di laboratorio; in entrambi i casi, tali studi sono stati effettuati sia negli Stati Uniti che nell’Europa Occidentale. Per quel che riguarda quindi l'analisi degli effetti sulla salute umana, i quali costituiscono generalmente la quasi totalità dei danni monetari totali, le corrispondenti funzioni concentrazione-risposta (fer, exposure response functions) sono espresse come casi aggiuntivi/(anno*persona*µg/m3); questo approccio è chiaramente lineare, senza soglia. Per molte sostanze inquinanti, esiste chiaramente una soglia al livello individuale, nel senso che la maggior parte della popolazione non è realisticamente a rischio di effetti acuti sulla salute se sottoposta ai livelli di inquinamento atmosferico di fondo che sussistono correntemente nelle nostre città. Non esiste tuttavia una soglia a livello della popolazione; sembra cioè che, per una popolazione numerosa, anche a basse concentrazioni di fondo, qualche individuo vulnerabile sia esposto a concentrazioni che hanno un effetto negativo. Di conseguenza, la scelta di non prevedere alcuna soglia è ora abbastanza accettata ed è generalmente applicata nel calcolo degli effetti sulla salute umana dovuti all’inquinamento atmosferico. Infine la quarta fase monetizza gli impatti fisici calcolati sulla base delle tecniche indirette descritte. Ai fini della trattazione che seguirà, è importante specificare che la metodologia ExternE prevede funzioni concentrazione-risposta e monetizzazione per le principali sostanze inquinanti, inclusi i classici macro-inquinanti, quali le polveri, gli ossidi di zolfo (SO2) e il monossido di carbonio (CO), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), le diossine e i furani (PCDD/DF), il Cadmio (Cd), l’Arsenico (As), il Nickel (Ni), il Cromo (Cr), il benzene, i nitrati e i solfati. Nella Tabella 1 vengono riportate sia le funzioni concentrazione-risposta, sia le monetizzazioni consigliate dal programma ExternE in relazione a svariati effetti sulla salute e a differenti inquinanti, utilizzate nella presente analisi. Relativamente alla mortalità cronica dovuta alle polveri e alla mortalità acuta dovuta all’SO2, espresse in entrambi i casi in “anni di vita persi” (YOLL), si applica, come consigliato da ExternE, un tasso di sconto del 3%. Si sottolinea che nel caso di sostanze cancerogene (IPA, PCDD/DF, Cadmio, Cromo, Nichel, Arsenico, Benzene) la monetizzazione del danno derivante è stata equiparata al valore

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statistico di vita (VOSL), stimato dalla metodologia ExternE in 3,4 MEURO, sottintendendo cautelativamente un tasso di sconto pari a zero.

La metodologia dei sentieri di impatto utilizzata dal modello ExternE

1^ fase : individuazione e descrizione analitica della tecnologia oggetto dell’analisi (chi produce esternalità)

1^ fase : determinazione di tutti i “carichi inquinanti” (si conoscono le concentrazioni emesse)

2^ fase : analisi della dispersione delle emissioni sul territorio

2^ fase : stima delle concentrazioni di inquinanti sul territorio stesso.

3^ fase : individuazione dei corpi “ricettori”, scelta e applicazione delle funzioni dose-risposta (i risultati di impatto dipenderanno quindi dalle concentrazioni di inquinanti presenti sul territorio)

3^ fase : conseguente stima dei danni fisici (impatti) sui corpi ricettori

4^ fase : valutazione economica dell’impatto ambientale (monetizzazione dei danni fisici).

Quantificazione dei costi esterni ambientali

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Alcune sostanze inquinanti emesse in atmosfera non sono prese in considerazione dalla metodologia ExternE e non è quindi possibile calcolarne il danno. Esistono però in letteratura delle dosi di riferimento cui fare rinvio al fine di valutare il rischio correlato a tali sostanze. Nel caso ad esempio del mercurio e dell’acido cloridrico, l’U.S. EPA propone come concentrazione di riferimento (RfC) per l’inalazione cronica dei valori pari rispettivamente a 0,3 µg/m3 e 20 µg/m3; tali valori si riferiscono a una inalazione giornaliera per tutta la durata della vita. I livelli di concentrazione di tali sostanze riscontrabili al suolo e riferibili alle emissioni di un impianto di combustione della pollina, stante il rispetto dei limiti imposti dalle esistenti normative, risultano inferiori a tali soglie di alcuni ordini di grandezza, pertanto la valutazione delle esternalità effettuata sulla base dell’approccio ExternE rimane esaustiva. Per quanto concerne l’applicazione pratica della metodologia ExternE fin qui illustrata ai casi reali esaminati, si fa presente che, sia a livello locale che a livello regionale, tale metodologia può essere rappresentata dalla seguente formulazione:

dove Dj è il danno espresso in EURO/anno dovuto a un qualsiasi inquinante in relazione al jesimo effetto sulla salute (ad esempio bronchite cronica) di cui tale inquinante è ritenuto responsabile, C(x,y) è la concentrazione media annua al suolo dell’inquinante, ρ(x,y) è la densità dei recettori, ferj è la funzione concentrazione-risposta e €j è la monetizzazione dello specifico effetto sulla salute (EURO/caso). Discretizzando il territorio in n celle di dimensione prestabilita, il danno complessivo riferibile a una sorgente inquinante può essere calcolato come segue: dove i indica i diversi inquinanti, Ci è la concentrazione al suolo dell’inquinante analizzato nella cella iesima, Pi è l’intera popolazione della cella iesima e αj rappresenta la frazione di popolazione recettrice dell’impatto jesimo (adulti asmatici, bambini, etc..). La metodologia ExternE non si limita inoltre a stimare il danno dovuto all’inquinamento atmosferico sulla salute umana, ma considera anche altri recettori quali i raccolti agricoli, i materiali degli edifici, le foreste e gli ecosistemi; va detto che, come già accennato, il danno sulla salute umana rappresenta la quasi totalità del danno totale ed è su tale recettore che il presente studio è focalizzato. Il programma ExternE si è infine occupato anche del danno provocato dalle emissioni atmosferiche a livello planetario, quantificando economicamente l’impatto dovuto alle emissioni di CO2, metano e altri gas serra in relazione al riscaldamento globale. A tal proposito, i documenti più recenti (Externalities of Energy: Extension of accounting framework and Policy Applications, 2005; Externalities of Energy: methodology update) riportano una stima di 19 €/tCO2, di fatto il costo marginale di abbattimento calcolato nell’ambito del protocollo di Kyoto, il quale verrà usato nella presente trattazione. Tale valore

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è talvolta indicato come “low estimate”, mentre Watkiss et al. (2005) indicano un “high estimate” di 80 €/tCO2. Per quanto riguarda gli altri gas ad effetto serra, segnatamente N2O e CH4, il modello ECOSENSE, disponibile anche in una versione “light” on line (http://ecoweb.ier.uni-stuttgart.de/ecosense_web/ecosensele_web/frame.php), fornisce le seguenti stime di costo, rispettivamente 5620 €/tN2O e 437 €/tCH4.

Funzioni concentrazione-risposta e relativa monetizzazione dei danni consigliate dal programma ExternE

Effetto sulla salute Fonte Recettore fer (casi/anno/ persona/ µµµµg/m 3)

Costo unitario (EURO2000/caso)

Uso di broncodilatatore Dusseldorp et al., 1995 Adulti asmatici 1,63E-01 40 Tosse Dusseldorp et al., 1995 Adulti asmatici 1,68E-01 45

Sintomi respiratori minori (LRS)

Dusseldorp et al., 1995 Adulti asmatici 6,06E-02 8

Uso di broncodilatatore Roemer et al., 1993 Bambini asmatici 7,75E-02 40

Tosse Pope and Dockery, 1992

Bambini asmatici 1,33E-01 45

Sintomi respiratori minori (LRS)

Roemer et al., 1993 Bambini asmatici 1,03E-01 8

Infarto (CHF) Schwartz and Morris, 1995

Adulti > 65 1,85E-05 3.260

Tosse cronica Dockery et al., 1989 Bambini 2,07E-03 240 Giorni di attività ridotta

(RAD) Ostro, 1987 Adulti 2,50E-02 110

Bronchite cronica (CB) Abbey et al., 1995 Adulti 2,45E-05 169.330 Ammissioni ospedaliere per

motivi respiratori (RHA) Dab et al., 1996 Intera popolazione 2,07E-06 4.320

Ammissioni ospedaliere per motivi cerebro-vascolari

(CVA) Wordley et al., 1997 Intera popolazione 5,04E-06 16.730 P

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S

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AT

I10

Mortalità cronica (YOLL) Pope et al., 1995 Intera popolazione 1,57E-04 96.500 Ammissioni ospedaliere per

motivi respiratori (RHA) Ponce de Leon, 1996 Intera popolazione 2,04E-06 4.320

SO2 Mortalità acuta (YOLL) Anderson & Toulomi,

1996 Intera popolazione 6,16E-06 165.700

CO Infarto (CHF) Schwartz and Morris, 1995

Adulti > 65 5,64E-07 3.260

Cancro al polmone U.S.EPA, 1990 Intera popolazione 0,1/70*0,9 3.400.000 IPA Cancro non fatale U.S.EPA, 1990 Intera popolazione 0,1/70*0,1 485.943

PCDD/DF Cancro LAI Intera popolazione 1,4/70 3.400.000 Cadmio Cancro LAI Intera popolazione 1,2/100/70 3.400.000 Cromo Cancro WHO Intera popolazione 4/100/70 3.400.000

Arsenico Cancro LAI Intera popolazione 4/1000/70 3.400.000 Nichel Cancro U.S. EPA Intera popolazione 4/1000/70 3.400.000

Benzene Cancro U.S. EPA Intera popolazione 8/10^6/70 3.400.000

Sempre nell’ambito del programma ExternE, esiste una lunga serie di implementazioni della metodologia descritta, eseguita a livello dei singoli paesi dell’Unione a 25. A titolo informativo, il Clean Air For Europe (CAFE) Programme (2005) fornisce, a livello italiano, i seguenti costi marginali, a tonnellata emessa, con riferimento all’anno 2010: NH3: 17000 €/t;

10 I nitrati vengono considerati come PM10 e perciò possiedono le stesse funzioni concentrazione-risposta; i solfati sono invece assimilati a PM2,5 e le fer riportate vanno moltiplicate per 1,67

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NOx: 8600 €/t; PM2.5: 52000 €/t; SO2: 9300 €/t; VOC: 1600 €/t. Tali costi tengono presente sia dell’impatto a livello locale, in un raggio, cioè, di 20 km, sia di quelli su scala regionale, correlati a questo punto con gli inquinanti secondari generati in atmosfera dalle molecole sopra elencate. È questo il caso delle polveri fini (PM10 e anche più fini), le quali solo in parte sono formate da particolato primario, ovvero direttamente emesso sotto tale forma, la restante parte essendo costituita da nitrati e solfati di ammonio (derivanti dalle emissioni di NOx, SO2 e NH3) e da composti organici volatili (VOC) nucleati e condensati. Uno studio dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (de Leeuw,2000) riporta dei fattori di formazione del particolato secondario pari all’88% in peso per gli NOx, il 54% per l’SO2 ed il 64% per l’ammoniaca. Come ultimo spunto di analisi, si riporta all’attenzione del lettore la questione delle esternalità legate alla presenza di odori, dette anche costi esterni odoriferi, che, per la trattazione proposta, considerate le molestie olfattive che le attività di allevamento e di spandimento di liquami e letami zootecnici comportano, potrebbero avere un peso per nulla trascurabile. È tuttavia estremamente arduo prevedere, se non in modo qualitativo, il miglioramento atteso nella diffusione di molecole odorose in relazione ai nuovi scenari energetici, i quali in ogni caso eviterebbero lo stoccaggio per lunghi periodi e lo spandimento in campo di materiale biologicamente non stabilizzato come la pollina. In letteratura sono disponibili alcuni spunti analitici riguardanti ad esempio le disamenità residenziali legate alla presenza di una industria chimica in Gran Bretagna (Powe e Willis, 1998). Tale studio quantifica in una perdita del 3% del valore della casa di proprietà in ragione del rumore, degli odori e dell’intrusione visiva determinata dalla presenza di una attività produttiva. Un altro studio, israeliano questa volta (Eshet et al., 2007), incentrato sulle esternalità di una stazione di trasferimento dei rifiuti valutate per mezzo del Metodo dei Prezzi Edonici, riporta un incremento del prezzo delle case pari a 5000 $ per ogni km aggiuntivo di distanza dalla stazione (equivalente a un incremento del valore dell’immobile pari allo 0,06% per ogni punto percentuale nella distanza media dal centro di molestia). Uno studio italiano (Baccheschi et al, 2008) si è occupato invece di stimare il danno determinato dagli odori generati da un impianto di compostaggio. Tale analisi rileva che la Disponibilità a Pagare (WTP) per evitare la molestia olfattiva ammonterebbe al 18 % del prezzo dell’immobile nel raggio di 1 km, e del 7% fino ad un raggio di 4 km. Con metodologie similari, Bazen e Fleming (2004) hanno stimato quale sia la distanza ottimale da un allevamento zootecnico intensivo al fine di minimizzarne le esternalità legate agli odori, giungendo alla conclusione che la distanza minima dovrebbe essere intorno a 1421 m per le aree rurali e 1513 per quelle urbane, distanze che, come ben noto, non risultano di facile applicazione nel territorio padano, conseguendone pertanto la sussistenza di larghe fasce del territorio danneggiate dalle molestie odorose delle attività zootecniche. Le esternalità odorifere, come risulta evidente dai numeri riportati, possono quindi assumere valori assoluti rilevanti in termini monetari, soprattutto in aree rurali ad intensa attività zootecnica. Nel presente lavoro tuttavia, viste le oggettive difficoltà a livello quantificativo

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(sia nel definire i livelli di molestia che le aree danneggiate), esse non verranno stimate se non all’esterno del bilancio ambientale ed a livello di valutazione di larga massima. Le circostanze descritte troveranno applicazione e quantificazione nelle voci del bilancio ambientale per gli scenari considerati, il quale, sia a livello locale che a livello globale, insieme all’analisi tecnico-economica delle varie opzioni, costituirà il cuore della presente trattazione. Va comunque ricordato che la metodologia ExternE descritta nel presente capitolo è affetta da incertezze, rappresentabili con una distribuzione lognormale in conseguenza alla natura moltiplicativa dell’approccio, che sono correlate a:

• dati di emissione; • modellizzazione atmosferica; • estrapolazione di alcuni dati epidemiologici dal laboratorio al campo di applicazione; • estrapolazione di alcuni dati epidemiologici da un’area geografica a un’altra; • assunzioni relative alle condizioni di soglia e alla linearità delle funzioni dose-

risposta; • temi economici, politici ed etici quali la scelta del tasso di sconto; • idiosincrasie dell’analista, etc.

Viste le incertezze connesse allo sviluppo di tale metodologia, l’approccio ExternE si rivela particolarmente adatto al fine di:

1) confrontare differenti impianti o differenti scenari emissivi; 2) localizzare al meglio un’attività industriale tenendo in considerazione le

caratteristiche dispersive e la distribuzione dei recettori dell’impatto; 3) definire e applicare una programmazione territoriale coerente e 4) costruire uno strumento affidabile per la valutazione di impatto ambientale e il

perseguimento di una politica di prevenzione dell’inquinamento atmosferico.

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