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DIAGNOSTICA Collana Guide Didattiche Diabete

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DIAGNOSTICA

Collana Guide DidatticheDiabete

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2G U I D A D I D AT T I C A : D I A B E T E A L S O M M A R I O

RINGRAZIAMENTIDAVID LESLIEDavid Leslie è medico specialista e professore di diabetologia e autoimmunologia a Londra, Regno Unito. È stato co-redattore della rivista Diabetes Metabolism Research and Reviews, reviews editor della rivista Diabetic Medicine e membro del comitato editoriale della rivista Diabetes Care. Precedentemente è stato presidente dell’Association of Physicians of Great Britain and Ireland.

CAS WEYKAMPIl dottor Weykamp è biochimico clinico e direttore del laboratorio MCA dell’ospedale Queen Beatrix a Winterswijk, nei Paesi Bassi. È organizzatore a livello nazionale del programma di valutazione esterna della qualità EQA (test di idoneità) dei laboratori medici e produce la maggior parte dei campioni richiesti per tali programmi nel suo laboratorio certificato ISO 13485. Il dottor Weykamp è un esperto riconosciuto a livello mondiale della standardizzazione e certificazione di HbA1c ed è attualmente il coordinatore di rete del gruppo di laboratori che eseguono il metodo di riferimento della International Federation of Clinical Chemistry and Laboratory Medicine (IFCC), responsabile per la standardizzazione a livello mondiale dei dosaggi di HbA1c.

ANDREA MOSCAIl professor Andrea Mosca è un biochimico clinico con una vasta conoscenza tecnica ed esperienza sulle strumentazioni di analisi chimica, ematologica e immunochimica. Il professor Mosca è membro dal 1986 della Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica (SIBioC-Medicina di Laboratorio) e siede nel consiglio direttivo di tale organizzazione. È stato segretario del gruppo di lavoro IFCC sulla standardizzazione dell’emoglobina A1c e membro del gruppo di lavoro IFCC sui test Point-of-Care (PoCT). Attualmente ricopre la carica di presidente del gruppo di lavoro IFCC sulla standardizzazione dell’emoglobina A2.

RANDIE R. LITTLERandie R. Little è professoressa incaricata di attività di ricerca presso il Dipartimento di Patologia e Anatomia ed il Dipartimento di Pediatria dell’Università del Missouri, e dirige il Laboratorio di Diagnostica del Diabete. La dottoressa Little è la coordinatrice della rete NGSP ed è membro del comitato direttivo dell’NGSP e del Progetto Integrato IFCC sulla HbA1c. Ha pubblicato più di 100 articoli nel campo dei test per il diabete. Le aree di interesse del suo lavoro di ricerca includono i test e la standardizzazione dell’emoglobina glicata (HbA1c), la valutazione e il confronto di metodi relativi alla HbA1c, l’uso della HbA1c per la diagnosi e lo screening del diabete, l’uso dell’albumina glicata e la standardizzazione della misurazione dell’insulina e del peptide C.

GARRY JOHNGarry John è consulente e professore di biochimica clinica e vanta una vasta conoscenza tecnica ed esperienza nell’ambito della chimica della HbA1c e del diabete. Il professor John è un esperto riconosciuto a livello mondiale della standardizzazione dell’emoglobina A1c e della certificazione e dell’uso della HbA1c nel diabete. Il professor John è stato presidente del gruppo di lavoro IFCC sulla standardizzazione dell’emoglobina A1c, il quale ha sviluppato la procedura di misurazione di riferimento che ha permesso la standardizzazione a livello mondiale delle misurazioni di HbA1c. Attualmente presiede la task force IFCC sull’implementazione della standardizzazione di HbA1c e ha collaborato strettamente con numerose organizzazioni internazionali, inclusa l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la International Diabetes Federation, in relazione a numerose iniziative per il miglioramento della cura del diabete.

SCOTT A. RUETTENIl redattore Scott A. Ruetten è direttore di programma di ricerca e sviluppo presso Abbott Diagnostics.

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3G U I D A D I D AT T I C A : D I A B E T E A L S O M M A R I O

COME UTILIZZARE QUESTA GUIDA DIDATTICAQuesta guida è organizzata in sei sezioni e un’appendice. Ciascuna sezione include un elenco di obiettivi di apprendimento e, alla fine, alcune domande. L’appendice include la bibliografia per ciascuna sezione, nonché letture consigliate per approfondire gli argomenti trattati nella guida, un glossario dei termini e le risposte corrette alle domande della sezione.

Questa guida didattica costituisce (1) una panoramica sul diabete e (2) una guida per l’uso dell’emoglobina glicata (HbA1c) come strumento clinico per lo screening dello stato di salute generale e il monitoraggio dei pazienti che si sospetta siano affetti da diabete, nonché dei pazienti a cui è già stata diagnosticata questa patologia. La guida presenta una panoramica delle metodologie di riferimento, dei metodi di dosaggio disponibili, della standardizzazione e della certificazione. La guida fornisce anche una panoramica sulla fisiologia della HbA1c e dei relativi derivati o varianti emoglobinici nonché sulle raccomandazioni/precauzioni per l’uso di HbA1c nella pratica clinica.

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4G U I D A D I D AT T I C A : D I A B E T E

INDICERINGRAZIAMENTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2

COME UTILIZZARE QUESTA GUIDA DIDATTICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3

PREMESSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5

SEZIONE 1: DAVID LESLIEINTRODUZIONE AL DIABETE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .6

SEZIONE 2: DAVID LESLIEASPETTI SPECIFICI DELLA MALATTIA DIABETICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

SEZIONE 3: CAS WEYKAMPMETODI PER LA DETERMINAZIONE DI HbA1c: METODOLOGIE DI DOSAGGIO E STANDARDIZZAZIONE IFCC . . . . . . . . . . . . . .25

SEZIONE 4: ANDREA MOSCAEMOGLOBINA GLICATA E INFLUENZA DI VARIANTI E DERIVATI . . . . . . . . . . . .35

SEZIONE 5: RANDIE R. LITTLESTANDARDIZZAZIONE IFCC E PROGRAMMI DI CERTIFICAZIONE NGSP . . . 46

SEZIONE 6: GARRY JOHNPRATICA CLINICA E RACCOMANDAZIONI PER L’USO DEL TEST DI HbA1c . . . 58

APPENDICEAPPENDICE A: GLOSSARIO DEI TERMINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70APPENDICE B: BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .75APPENDICE C: RISPOSTE CORRETTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82

In copertina: modello di insulina umana

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5G U I D A D I D AT T I C A : D I A B E T E TO R N A A L S O M M A R I O

Il diabete mellito ha assunto le proporzioni di un’epidemia mondiale, colpendo fisicamente più di 300 milioni di persone, con un impatto economico sull’assistenza sanitaria dell’ordine dei miliardi di dollari. Con l'evoluzione delle conoscenze sul diabete nell'arco degli ultimi 25-50 anni, sono cambiate anche le opzioni per i criteri diagnostici. Dai giorni in cui si assaggiava l’urina per verificarne la dolcezza è avvenuta un’evoluzione che ha portato a dispositivi palmari che possono essere utilizzati al letto del paziente e a strumenti di laboratorio che eseguono centinaia di test all’ora per diagnosticare e monitorare il diabete.

Negli anni '60 si era consolidato l'utilizzo del test di tolleranza al glucosio orale (OGTT) per l’identificazione del diabete di tipo 2 (precedentemente chiamato diabete ad esordio in età matura o non insulino-dipendente). Purtroppo esistevano incoerenze relative al modo in cui il test doveva essere eseguito, alla quantità di glucosio che doveva essere ingerita e ai cutoff diagnostici della glicemia. Entro il 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva standardizzato tali parametri, e da allora si sono utilizzati più comunemente per la diagnosi i valori di glucosio plasmatico a digiuno (FPG), specialmente negli Stati Uniti.

I recenti progressi nelle prestazioni analitiche dei dosaggi utilizzati per misurare l’emoglobina glicata (HbA1c) hanno consentito l’introduzione di un nuovo standard di test di laboratorio per il diabete. La HbA1c è una specifica sub-frazione di emoglobina glicata che si forma tramite legame del glucosio all’estremità N-terminale della catena beta dell’emoglobina (Hb). La durata di vita media degli eritrociti umani è approssimativamente di 90–120 giorni; di conseguenza la concentrazione di HbA1c riflette strettamente il livello di glicemia medio durante tale periodo. La HbA1c risulta pertanto adatta per il monitoraggio del controllo a lungo termine della glicemia negli individui affetti da diabete. Come mostrato attraverso gli studi Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) e United Kingdom Prospective Diabetes Study (UKPDS), il rischio di complicazioni diabetiche, incluse nefropatia e retinopatia diabetiche, aumenta in correlazione con uno scarso controllo glicemico. La HbA1c è un indicatore dei rischi di sviluppo e progressione di queste complicazioni nei soggetti affetti da diabete.

Gli strumenti diagnostici e di monitoraggio continuano a migliorare l’individuazione e il monitoraggio del diabete. I recenti progressi nei metodi di produzione, nei materiali di riferimento e nelle metodologie di riferimento hanno portato all’uso della HbA1c per la diagnosi del diabete. Recenti raccomandazioni per l’uso di HbA1c come strumento diagnostico per il diabete sono state attualmente pubblicate dalla OMS, dalla American Diabetes Association (ADA) e nell’Unione Europea (UE). È necessaria un’attenta comprensione delle condizioni del paziente e del metodo del produttore per assicurarsi di utilizzare in maniera affidabile la HbA1c per il monitoraggio e la diagnosi del diabete.

PREMESSA

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G U I D A D I D AT T I C A : I N T R O D U Z I O N E A L D I A B E T E 6 TO R N A A L S O M M A R I O

OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO

Al termine di questa sezione si sarà in grado di:

• Dare la definizione di diabete e descriverne prevalenza e cause a livello mondiale

• Spiegare la classificazione del diabete e la sua relazione con glucosio e HbA1c

• Identificare la causa del diabete con riferimento all’insulina, e del diabete di tipo 1 e tipo 2

• Specificare i fattori che determinano quando non deve essere utilizzata HbA1c a scopi diagnostici

SEZIONE 1 INTRODUZIONE AL DIABETE

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DIABETE MELLITOIl diabete mellito è descritto nel modo migliore come una patologia o condizione metabolica caratterizzata da iperglicemia. L’iperglicemia può essere causata da difetti nella secrezione di insulina, difetti nell’azione dell’insulina o, più spesso, entrambi.

La diagnosi di diabete può presentare delle difficoltà, poiché tipicamente non viene compiuta sulla base di un singolo test ematico; tuttavia un’elevata glicemia a digiuno farà sospettare che il paziente possa essere affetto da diabete, e ciò solitamente porta a ulteriori controlli e analisi.

Oggi solitamente si diagnostica il diabete quando viene identificata un’iperglicemia cronica mediante glicemia a digiuno persistentemente elevata, associata a glucosio elevato dopo test di tolleranza al glucosio orale, oppure HbA1c superiore al cutoff clinico. Un paziente può presentare sintomi del diabete, come sete o poliuria. I criteri diagnostici presentati di seguito sono basati sulla definizione di diabete mellito data dalla OMS nel 2000.

Criteri per la diagnosi di diabete mellito

I test diagnostici sul paziente rivelano almeno una delle seguenti condizioni:

A. Sintomi del diabete, più una concentrazione di glucosio plasmatico casuale di 11,1 mmol/L (200 mg/dL), dove casuale è definito come di qualsiasi momento del giorno indipendentemente dal tempo trascorso dall’ultimo pasto del paziente. Sintomi classici del diabete includono poliuria, polidipsia e perdita di peso inspiegabile.

B. Livello di glicemia a digiuno di 7,0 mmol/L (126 mg/dL), dove a digiuno è definito come in assenza di apporto calorico per almeno otto ore.

C. Glucosio a due ore post-carico di 11,1 mmol/L (200 mg/dL) durante un OGTT. Il test deve essere eseguito come descritto dalla OMS, utilizzando un carico di glucosio contenente l’equivalente di 75 grammi di glucosio anidro dissolto in acqua.

In assenza di iperglicemia inequivocabile, questi criteri devono essere confermati ripetendo il test in una diversa giornata. La terza misura (OGTT) non è raccomandata per l’uso clinico di routine.

DIAGNOSTICARE IL DIABETE I criteri della OMS considerano solamente l’uso di valori a digiuno e 120 minuti dopo un OGTT per stabilire una diagnosi di diabete. Punti temporali intermedi sono utilizzati nei criteri del National Diabetes Data Group (NDDG). Poiché la riproducibilità dell’OGTT è scarsa e l’implementazione del test è difficile sia per il medico che per il paziente, si è verificato un passaggio all’utilizzo delle concentrazioni di glucosio a digiuno o, più recentemente dell’emoglobina glicata.

L’emoglobina glicata, o emoglobina A1c (HbA1c), è più affidabile sia analiticamente che funzionalmente, poiché non richiede né il digiuno né un carico di glucosio. Inoltre la HbA1c possiede un elevato valore predittivo positivo per il diabete per un cutoff superiore a 6,5% (o 48 mmol/mol, come raccomandato dalla International Federation of Clinical Chemistry and Laboratory Medicine [IFCC]). I soggetti possono essere affetti da diabete secondo altri criteri e a livelli di HbA1c inferiori. Sicuramente un livello di HbA1c pari a 6,0% (42 mmol/mol secondo IFCC) o superiore è solitamente considerato anomalo e richiede ulteriori accertamenti.

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CONCENTRAZIONE DI GLUCOSIO, % A1C (MG/DL)

Sangue intero venoso Sangue intero capillare

Plasma* venoso

Diabete mellito A digiunoo a 2 ore post-carico di glucosio o entrambe o HbA1c ≥6,5% (48 mmol/mol secondo IFCC)

≥6,1 (≥110) ≥10,0 (≥180) ≥10,0 (≥180)

≥6,1 (≥110)≥11,1 (≥200)

≥7,0 (≥126)≥11,1 (≥200)

Alterata tolleranza al glucosio (IGT)

A digiuno (se misurato)e a due ore post-carico di glucosio

<6,1 (<110)≥6,7 (≥120)e <10,0 (<180)

<6,1 (<110)≥7,8 (≥140)e <11,1 (<200)

<7,0 (<126)≥7,8 (≥140)e <11,1 (<200)

Alterata glicemia a digiuno (IFG)

A digiuno ≥5,6 (≥100)e <6,1 (<110)

≥5,6 (≥100)e <6,1 (<110)

≥6,1 (≥110)e <7,0 (<126)

e (se misurato)a due ore post-carico di glucosio

<6,7 (<120) <7,8 (<140) <7,8 (<140)

Tabella 1-1: diagnosi di diabete mellito e altre categorie di iperglicemia . *Possono essere utilizzati i valori a digiuno o due ore dopo OGTT con 75 g da soli oppure un test di glucosio casuale in presenza di sintomi diabetici (sete e poliuria) . Solitamente la diagnosi di diabete deve essere confermata ripetendo il test. Se si utilizza sangue intero, mantenere il campione a 0–4 °C, centrifugarlo oppure sottoporlo immediatamente a dosaggio utilizzando una provetta di raccolta con inibitore della glicolisi .

FORME DI DIABETEIl diabete mellito, che etimologicamente significa "una fontana di urina di miele", deve essere distinto da altre cause di diabete per la poliuria. Esistono numerose forme differenti di diabete mellito, ma le due forme principali, che sono responsabili del 98% dei casi, sono il diabete di tipo 1 e di tipo 2.

Il diabete di tipo 1 (precedentemente chiamato diabete mellito insulino-dipendente o diabete giovanile) e il diabete di tipo 2 (precedentemente chiamato diabete mellito non insulino-dipendente o diabete ad esordio in età matura) rappresentano due distinti processi patologici. Circa il 90% di tutti i casi di diabete sono di tipo 2 e si presentano principalmente durante l’età adulta. Per definizione, i malati di diabete di tipo 2 non dipendono dall’insulina per la sopravvivenza. Al contrario il diabete di tipo 1 rappresenta circa il 5–10% dei casi ed è un diabete immunomediato che deriva dalla distruzione autoimmune cellulo-mediata delle cellule beta del pancreas. Il diabete di tipo 1 spesso si presenta nei bambini e richiede insulina, cosa che significa, secondo la vecchia definizione, che essi sono dipendenti dall’insulina per la sopravvivenza. Clinicamente tale distinzione può risultare poco chiara, specialmente quando il diabete di tipo 1 è diagnosticato in età adulta, oppure quando il diabete di tipo 2 è diagnosticato durante l’infanzia. Pertanto né la dipendenza da insulina né l’età al momento della diagnosi costituiscono caratteristiche determinanti del diabete di tipo 1.

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Nella fisiologia normale, un’aumentata secrezione di insulina solitamente compensa una riduzione della sensibilità all’insulina. Nel diabete di tipo 2, gli individui presentano insulino-resistenza e la carenza di insulina è solitamente relativa, contrariamente alla carenza di insulina assoluta che si osserva nel diabete di tipo 1. La maggior parte dei pazienti affetti da diabete di tipo 2 è obesa e l'obesità stessa contribuisce in parte allo sviluppo di insulino-resistenza. Tuttavia, anche la secrezione di insulina è difettosa in questi pazienti e non è in grado di compensare l’insulino-resistenza. Nel diabete di tipo 1, dalla distruzione autoimmune delle cellule beta pancreatiche deriva una secrezione ridotta o (in stadi successivi) nulla di insulina. La velocità di distruzione delle cellule beta può variare ed esistono più predisposizioni genetiche ad essa correlate.

Diabete di tipo 1 (distruzione delle cellule beta, che solitamente dà luogo a carenza assoluta di insulina)

A. Immunomediato

B. Idiopatico

Diabete di tipo 2 (può variare da prevalente insulino-resistenza con carenza di insulina relativa a prevalente difetto di secrezione con insulino-resistenza)

Altri tipi specifici

A. Difetti genetici della funzione delle cellule beta

B. Difetti genetici dell’azione dell’insulina

C. Malattie del pancreas esocrino*

D. Endocrinopatie*

E. Indotto da farmaci o sostanze chimiche*

F. Infezioni*

G. Forme rare di diabete immunomediato*

H. Altre sindromi genetiche talvolta associate al diabete

I. Diabete mellito gestazionale (GDM)

Forma ridotta delle indicazioni fornite dal gruppo di studio della OMS sul diabete mellito

* Le cause contrassegnate dagli asterischi sono definite diabete "secondario" . La definizione odierna del diabete di tipo 1 lo descrive come "che spesso dà luogo a carenza assoluta di insulina" piuttosto che "solitamente"1-1 .

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DIABETE MELLITO DI TIPO 1Il diabete autoimmune di tipo 1 è dovuto a carenza di insulina di gravità variabile, che spesso, specialmente nei bambini, conduce al diabete insulino-dipendente. Nei paesi occidentali quasi tutti i pazienti soffrono della forma immunomediata della malattia (tipo 1A), che può presentarsi a qualunque età, ma rappresenta la seconda malattia cronica più comune nell’infanzia dopo l’asma. Il diabete di tipo 1 è caratterizzato da una mancanza di insulina causata dalla distruzione autoimmune delle insule.

DIABETE MELLITO DI TIPO 2Il diabete di tipo 2 è una malattia cronica comune ed è il principale responsabile dell’epidemia mondiale di diabete. La malattia è probabilmente eterogenea, ma coinvolge una insufficiente secrezione di insulina (in gran parte determinata geneticamente) nel contesto di una ridotta sensibilità all’insulina o aumentata insulino-resistenza. Probabilmente l’aumento dell’obesità associata a un ridotto esercizio fisico, nel contesto dell’industrializzazione, e l’aumento del consumo di cibi ad elevato apporto energetico contribuiscono al drammatico incremento dell’incidenza di questa malattia. Poiché nel diabete di tipo 2 l’iperglicemia si sviluppa gradualmente, questa patologia spesso non viene diagnosticata per molti anni, fino a quando non diviene sufficientemente grave da far sviluppare i sintomi nei pazienti. Ciò è preoccupante poiché i pazienti diabetici sono a rischio di complicazioni sia macrovascolari che microvascolari.

FISIOLOGIA DEL DIABETE Sebbene il diabete sia definito da un aumento della glicemia, la causa dell’iperglicemia è dovuta a una secrezione inadeguata di insulina nel contesto di gradi di sensibilità all’insulina. L’insulina è l’ormone chiave nel metabolismo del glucosio. Il glucosio che è presente nel sangue proviene da tre fonti principali:

(1) Il tratto digestivo; proviene da carboidrati ingeriti che sono idrolizzati o convertiti nel fegato

(2) Il rilascio dalle riserve epatiche di glicogeno e da altre riserve di glicogeno (processo chiamato glicogenolisi)

(3) Mediante nuova sintesi di glucosio da precursori (processo chiamato gluconeogenesi)

L’insulina gioca un ruolo chiave nel metabolismo del glucosio epatico e nell’utilizzo del glucosio da parte dei muscoli e degli adipociti; ne consegue che livelli inadeguati di insulina tenderanno a causare un aumento della glicemia. Gli squilibri metabolici del diabete riflettono l’ampia azione metabolica dell’insulina.

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NORMALE METABOLISMO DEL GLUCOSIONegli individui sani, le concentrazioni glicemiche si mantengono entro limiti molto stretti, con qualche fluttuazione dopo l’assunzione di cibo. Le concentrazioni di glucosio aumentano dopo i pasti, ma pasti normali non innalzeranno la glicemia al di sopra di ~8 mmol/L (144 mg/dL), e la normoglicemia viene solitamente ristabilita entro quattro ore nei soggetti sani (Figura 1-1).

70

60

50

40

30

20

10

μmol/

l

Insulina

** ** ** ** **** * *

** *

Pastip<0,05p<0,01

mm

ol/l 7

5

3

Glucosio

NEFA

μmol/

l

500

400

300

200

100

Soggetti obesi

8∞ 13∞ 18∞ 24∞ 8∞

Soggetti magri

Figura 1-1: insulina e glucosio plasmatici in soggetti magri (linea rossa) e obesi (linea blu) sottoposti all'assunzione di tre pasti in un giorno, in condizioni di laboratorio . I valori sono medie (±SEM) .1-2

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Complessi di acidi grassi non esterificati (NEFA) contenenti glucosio vengono immagazzinati come glicogeno. Per un uomo di 70 kg di peso, sono immagazzinati in totale 700–1000 g di glicogeno (idratato), prevalentemente nel fegato (60–125 g) e nei muscoli scheletrici (400–600 g). Il glicogeno è sintetizzato da glucosio e substrati gluconeogenici (lattato, piruvato e glicerolo, più alcuni amminoacidi). Il fegato ha un ruolo centrale nell’omeostasi del glucosio poiché lo assorbe e immagazzina (come glicogeno) dopo l’assunzione di cibo e lo rilascia nella circolazione tra i pasti (Figura 1-2). Poiché anche i reni sono importanti per l’omeostasi del glucosio, può presentarsi ipoglicemia anche durante un’insufficienza renale. Il glucosio è prodotto mediante la gluconeogenesi nel fegato, dove due molecole a tre atomi di carbonio, come il glicerolo (derivato dalla degradazione dei grassi), sono combinate con lattato o piruvato (derivati dalla glicolisi anaerobica), o altri amminoacidi, per sintetizzare glucosio, che contiene sei atomi di carbonio.

Glucosio

Glucosio

Recettore di insulina

Glicogeno

Amminoacido

FFA

FFA

Amminoacido

TriglicerideGlicolisi/ossidazione

Proteina

Figura 1-2: la stimolazione del recettore dell’insulina influenza numerosi flussi di metaboliti attraverso la membrana cellulare .1-3

Il glucosio fornisce circa il 40–60% (per una dieta occidentale) della spesa energetica totale della giornata e costituisce la principale fonte energetica post-assorbimento o durante l’esercizio fisico. Tuttavia, le cellule possono anche utilizzare i corpi chetonici o gli acidi grassi per il loro fabbisogno energetico e utilizzare alternativamente tali fonti energetiche.

Il glucosio viene intrappolato all’interno di una cellula (dato che tutti i trasportatori di glucosio [GLUT] sono potenzialmente bidirezionali) mediante la sua fosforilazione da parte di una famiglia di esochinasi (ad esempio glucochinasi) alla sua entrata nella cellula. La glucochinasi rappresenta uno stadio limitante la velocità nel metabolismo del glucosio, quindi questo enzima è un fattore determinante cruciale della secrezione di insulina dalle cellule beta. Le mutazioni con perdita di funzione della glucochinasi causano una forma di diabete giovanile con esordio in età matura (MODY).

SINTESI, SECREZIONE E AZIONE DELL’INSULINAL’insulina è il principale ormone che regola l’immagazzinamento e il rilascio di energia. Essa è una proteina codificata da geni situati sul cromosoma 11 ed è espressa nelle cellule beta delle insule di Langerhans nel pancreas, le quali sintetizzano e rilasciano l’ormone. Prima del rilascio come ormone attivo, l’insulina esiste come proormone chiamato proinsulina, la cui struttura è mantenuta da una catena di connessione, il peptide C. Quando il peptide C, che è relativamente inattivo, è scisso dalla proinsulina, viene prodotto l’ormone attivo, l’insulina, pronto per la secrezione. Tali eventi cellulari, che innescano il rilascio di insulina dai granuli secretori di queste cellule, sono illustrati nella Figura 1-3.

L’insulina entra nella circolazione portale del fegato, un bersaglio primario dell’azione dell’insulina. Il fegato estrae e degrada circa il 50% dell’insulina secreta. Sebbene l’insulina sia il principale regolatore del metabolismo intermedio, le sue azioni possono essere modificate da altri ormoni, inclusi glucagone, adrenalina e steroidi.

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Assorbimento di glucosio

Glucosio

Glut 2

Metabolismo

Cellula beta pancreatica

ATP/ADP

K+

Ca2+

Canale del potassio sensibile ad ATP Canale del calcio

voltaggio-dipendente

Rilascio di insulina

Granuli di riserva

Glucochinasi

Glicolisi, respirazione

Depolarizzazione

Figura 1-3: secrezione di insulina .1-4

BIOSINTESI DELL’INSULINAL’insulina è un ormone peptidico del peso molecolare di 5807 Dalton che comprende 51 amminoacidi organizzati in due catene collegate da due legami disolfuro (figura 1-4).

A-9Ser

A-1Gly

A-6Cys

A-11Cys

A-16Leu

A-19Tyr

A-20Cys

B-6Leu

B-7Cys

B-8Gly

B-12Val

B-17Leu

B-19Cys

B-23Gly

B-28Pro

B-24 Phe Ser in mut.

umanoB-25 Phe

Leu in mut. umano

B-29 Lvs Pro in

Humalog

B-30 Thr Ala in bovino

e suino

A-21 Asn Gly in Lantus

A-10 Isl Val in bovino

A-8 Thr Ala in bovino

A-7Cys

A-2 Ile

A-4Glu

A-5Gln

A-12Ser

A-13Leu

A-14Tyr

A-15Gly

A-17Glu

A-18Asn

B-1Phe

B-2Val

B-3Asn

B-4Gly

B-5His

B-9Ser

B-11Leu

B-10 HisAsp in

mut. umano

B-13Glu

B-14Ala

B-15Leu

B-16Tyr

B-18Val

B-20Gly

B-21Glu

B-22Arg

B-26Tyr

B-27Thr

Legame disolfuro

Legame disolfuro

Legame disolfuro

A-3 ValLeu in

mut. umano

Figura 1-4: struttura dell’insulina .1-5

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SECREZIONE INSULINICA NORMALE

Una secrezione insulinica inadeguata e/o l’insulino-resistenza costituiscono le cause di tutte le forme di diabete. Un canale del potassio (K+) ATP-dipendente, sensibile a sulfonilurea, presente sulla membrana delle cellule beta delle insule trasmette il segnale che porta alla chiusura del canale del K+, all’influsso di calcio e alla secrezione (esocitosi) di insulina. Lo stimolante più importante di questo canale è l’iperglicemia, mentre le sulfoniluree, che stimolano il canale, sono usate in terapia. La secrezione di insulina è direttamente correlata all’assunzione di cibo e al contenuto di zuccheri del cibo consumato (Figura 1-5).

CISTIFELLEA

Dotto epatico destro e sinistro

MILZA

PANCREAS

Dotto cistico

Duodeno

Dotto pancreatico accessorio

Papilla duodenale minore

Papilla duodenale maggiore DIGIUNO

Dotto pancreatico

Dotto epatico comune

Dotto biliare comune

TESTA

CORPO

CODA

Figura 1-5: produzione di insulina associata all’assunzione di cibo .

LA MANCANZA DI CIBO INIBISCE IL RILASCIO DI INSULINA

IL CIBO RICCO DI ZUCCHERI STIMOLA IL RILASCIO DI INSULINA

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OBIETTIVI DI APPRENDIMENTOAl termine di questa sezione si sarà in grado di:

• Descrivere l’epidemiologia del diabete e le cause del diabete di tipo 1 e 2

• Spiegare la classificazione del diabete e la sua relazione con glucosio e HbA1c, come pure i test clinici disponibili

• Spiegare la sindrome metabolica, le complicazioni del diabete e le presentazioni cliniche del diabete

• Identificare le fasi della gestione delle complicazioni diabetiche

SEZIONE 2 ASPETTI SPECIFICI DELLA MALATTIA DIABETICA

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EPIDEMIOLOGIA DEL DIABETE MELLITOIl diabete colpisce circa l’8% della popolazione adulta, con un rischio nel corso della vita superiore al 50% in alcuni gruppi etnici (Figura 2-1). La OMS stima che a livello mondiale nel 2010 circa 235 milioni di persone erano affette da diabete e ci si aspetta che tale numero raddoppi, arrivando a circa 438 milioni, entro il 2030. Il diabete rappresenta quindi il più comune disturbo metabolico. Il tasso di aumento dell’incidenza del diabete sta raggiungendo in alcuni paesi proporzioni epidemiche e procede in grande misura in modo analogo all’aumento dell’obesità. Alcune popolazioni, in particolare i nativi americani Pima, i nauruani del Sud Pacifico e gli arabo-sauditi, presentano un’incidenza particolarmente elevata della malattia, in particolare del diabete di tipo 2.

Tipicamente i programmi di screening della popolazione a livello mondiale rivelano che per circa la metà dei soggetti affetti da diabete di tipo 2 la malattia non era stata precedentemente diagnosticata. Lo screening per il diabete è quindi raccomandato e viene solitamente concentrato su gruppi ad elevato rischio, a causa del costo dello screening su intere popolazioni. Test relativamente semplici, come il glucosio a digiuno o la HbA1c, sono sempre più raccomandati come fase iniziale di tale screening, ma la HbA1c ha l’aspetto positivo di essere indipendente dalla compliance del soggetto.

Americhe2000: 33 milioni2030: 66,8 milioni

Asia e Australasia2000: 82,7 milioni2030: 190,5 milioni

Europa2000: 33,3 milioni2030: 48 milioni

Medio oriente2000: 15,2 milioni2030: 42,6 milioni

Africa2000: 7 milioni2030: 18,2 milioni

I dieci paesi con il maggior numero di individui a�etti da diabete sono:India CinaUSA IndonesiaGiappone PakistanRussia BrasileItalia Bangladesh

Prevalenza del diabete (%) negli individui di 35–64 anni di età

<3 3–5 6–8 >8

2000 = Numero di individui a�etti da diabete nel 2000

2030 = Numero di individui a�etti da diabete nel 2030

Fonte: Wild, et al. 2004.

Anno 2000 2030Posizione Paese Individui a�etti da diabete (mln)

1 India 31,7 79,4

2 Cina 20,8 42,3

3 USA 17,7 30,3

Figura 2-1: prevalenza a livello mondiale del diabete negli individui di 35–64 anni di età nel 2000 e corrispondenti cifre previste per il 2030, secondo la OMS . Riprodotto con l’autorizzazione della OMS .2-1

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CAUSA DEL DIABETE DI TIPO 1 Il diabete di tipo 1 è dovuto all’interazione dell’ambiente con una sottostante suscettibilità genetica che porta a una risposta autoimmune, la quale danneggia o distrugge le cellule che secernono insulina. Il rischio di sviluppare il diabete autoimmune ad esordio nell’infanzia è di circa 1 a 400 nella popolazione generale. Il rischio è dell’1,0% nella popolazione adulta, circa del 6% per un fratello/sorella di paziente diabetico e circa del 50% per un gemello monozigotico di paziente diabetico. Nonostante l’aumento dell’incidenza del diabete di tipo 1 nei bambini, specialmente nei bambini molto piccoli, si prevede che entro il 2020 la maggioranza dei bambini affetti da diabete presenterà il diabete di tipo 2. L’incidenza di malattia del diabete di tipo 1 sta aumentando, specialmente nei bambini estremamente piccoli, ma tale incidenza rimane molto al di sotto di quella del diabete di tipo 2 ad esordio in età matura.

Si può verificare una lenta progressione a carenza di insulina nei pazienti affetti da diabete autoimmune, con circa il 10% dei pazienti adulti che presentano inizialmente una forma di diabete di tipo 1 che non richiede insulina, chiamato diabete autoimmune latente dell’adulto (LADA). Il LADA è caratterizzato dalla presenza di anticorpi contro la decarbossilasi dell’acido glutammico (GADA) associati al diabete. Probabilmente questa è una forma di diabete di tipo 1 autoimmune che comprende anche il diabete insulino-dipendente ad esordio giovanile e alcuni casi di diabete tendente alla chetosi (KPD). Il diabete di tipo 1 autoimmune è associato ad altre malattie autoimmuni (in particolare la malattia tiroidea autoimmune e la celiachia), ed anche queste mostrano suscettibilità genetica, in gran parte mediata dai geni dell’antigene leucocitario umano (HLA) del cromosoma 6. Nel diabete di tipo 1 autoimmune sono anche coinvolti altri geni della risposta immunitaria e una variante del gene dell’insulina. La natura del fattore ambientale rimane non chiarita.

CAUSA DEL DIABETE DI TIPO 2 Il diabete di tipo 2 è dovuto all’interazione dell’ambiente con una sottostante suscettibilità genetica che porta alla perdita dell’omeostasi del glucosio (Figura 2-2). STORIA NATURALE DEL DIABETE MELLITO DI TIPO 2

Azione dell’insulina

Concentrazione di insulina

Necessità di insulina

Insufficienza delle cellule beta

Euglicemia

Iperglice

mia

Insulino-resistenzaDisfunzione delle cellule beta

Normalità IGT Sindrome X

Risp

osta

Y

Diabete Progressione del diabete

Figura 2-2: progressione della risposta nel diabete di tipo 2 .2-2

L’ereditabilità del diabete di tipo 2 è elevata e i geni associati a tale rischio includono geni coinvolti nello sviluppo del pancreas e geni associati al rischio di obesità. Un tipico paziente affetto da diabete di tipo 2 è sovrappeso (indice di massa corporea [IMC] medio alla presentazione >27 kg/m2), con una distribuzione centrale dell’obesità (spesso valutata mediante circonferenza della vita o rapporto vita-fianchi: Figura 2-3). Altri fattori di rischio indipendenti per il diabete includono nascita da madre affetta da diabete mellito gestazionale, elevato peso alla nascita oppure peso eccezionalmente basso alla nascita. Il basso peso alla nascita predispone sia al diabete che all’obesità, poiché la malnutrizione intrauterina può pre-programmare il bambino a rispondere in modo inappropriato ad un ambiente con abbondanza calorica.

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Le velocità di progressione a diabete di tipo 2 conclamato sono variabili, ma la malattia solitamente si presenta durante la vita adulta. Si prevede che il diabete di tipo 2 ad esordio nell’infanzia diventerà la forma prevalente della malattia entro il 2020 circa. Approssimativamente l’85% dei pazienti con diabete di tipo 2 sono affetti dalla sindrome metabolica, un insieme di iperglicemia, obesità, ipertensione, basso colesterolo HDL e trigliceridi elevati. Tale sindrome non è da considerarsi superiore alla somma delle sue parti e il termine è attualmente usato con cautela; tuttavia essa mostra la natura multipla del processo patologico, riflettendo l’effetto dominante dell’insensibilità all’insulina.RELAZIONE TRA IMC E RISCHIO DI DIABETE DI TIPO 2

Risc

hio r

elativ

o cor

retto

per

l'età Uomini Donne

1,0

Indice di massa corporea (kg/m2)

2,9

1,01,0 1,0

4,3 5,0

1,5

8,1

2,2 2,4 6,7 11,6

21,3

42,1

15,8

27,6

40,3

54,0

93,2

<22 <23 23-23,9 24-24,9 25-26,9 27-28,9 29-30,9 31-32,9 33-34,9 35+

25

50

75

100

Figura 2-3: relazione tra IMC e rischio di diabete di tipo 2 .2-3

PRESENTAZIONI CLINICHE DEL DIABETEI pazienti affetti da diabete possono presentare sintomi dovuti al glucosio elevato oppure le complicazioni diabetiche. La classica triade di sintomi associati al diabete che sono direttamente dovuti all’elevata glicemia include:

• Poliuria

• Sete

• Perdita di peso

Tali sintomi sono associati al diabete, indipendentemente dalla sua causa, tuttavia sono riscontrati più spesso nei bambini affetti da diabete di tipo 1 e, in grado estremo, possono essere associati alla chetoacidosi diabetica. I segni clinici del diabete di tipo 2 possono essere minimi fino a quando non si presentano significative complicazioni cliniche. Indicatori precoci includono uno o più dei seguenti sintomi:

• Aumentata sete/minzione

• Lenta guarigione delle infezioni

• Visione offuscata

Nella maggioranza dei casi la diagnosi è suggerita da test diagnostici di routine.

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TEST PER L’IDENTIFICAZIONE DEL DIABETE

GLUCOSIO NELLE URINELa glicosuria non consente di formulare diagnosi di diabete ma suggerisce la necessità di ulteriori accertamenti. Circa l’1% della popolazione è affetto da glicosuria renale, ereditata come tratto autosomico dominante o recessivo associato ad una bassa soglia renale per il glucosio.

GLICEMIA La glicemia, in particolare l’OGTT, ha rappresentato lo standard di riferimento per la diagnosi del diabete; tuttavia preoccupazioni riguardanti la riproducibilità dell’OGTT e la limitata compliance, che si aggiungono alla "scomodità" di esecuzione del test, hanno determinato un concentrarsi dell’interesse sulla HbA1c. La glicemia a digiuno rimane un aiuto diagnostico prezioso e il suo utilizzo è determinato dal medico. La glicemia, valutata dal paziente utilizzando sangue capillare oppure in laboratorio utilizzando sangue intero (venoso o capillare), è utile per la gestione della malattia e fornisce informazioni immediate riguardanti la qualità del controllo glicemico. La HbA1c differisce per il fatto che rappresenta una valore medio relativo agli ultimi tre mesi, influenzato prevalentemente dai 30 giorni più recenti.

HbA1c La HbA1c ha il vantaggio di essere accurata, semplice e, attualmente, riproducibile grazie alla standardizzazione e armonizzazione dei dosaggi a livello mondiale. Un vantaggio della HbA1c rispetto alla misurazione del glucosio è costituito dal fatto che non si richiede il digiuno e che non sono presenti le difficoltà proprie dell’OGTT. Il cutoff preciso per la diagnosi di diabete rimane controverso. Nella maggior parte degli studi un livello di 6,5% (48 mmol/mol secondo IFCC) è specifico per la diagnosi di diabete, ma manca di sensibilità e può non individuare molti casi. L’accuratezza del test è ulteriormente complicata da molti fattori che modificano i livelli di HbA1c a causa di variabilità biologica, fattori genetici (quali durata di vita degli eritrociti, etnia ed emoglobinopatie), fattori ambientali (ad esempio carenza di ferro) e interferenze (ad esempio con la vitamina C).

COMPLICAZIONI DIABETICHEIl diabete è associato a danno ai vasi sanguigni, ai nervi, ai reni e al fondo dell’occhio. Tali cambiamenti hanno un impatto sui grandi vasi sanguigni (malattia macrovascolare) e sui piccoli vasi sanguigni (malattia microvascolare). La glicemia rappresenta un importante determinante di tali rischi. Infatti il livello glicemico che predispone a malattia oculare microvascolare (retinopatia diabetica) è alla base dell’attuale definizione di diabete (Figura 2-4).2-4

NORMALITÀ RETINOPATIA DIABETICA

Retinopatia non proliferante Retinopatia proliferante

Emorragia

Essudati cotonosi

Edema maculare

Microaneurisma

Crescita anomala dei vasi sanguigni

Figura 2-4: retinopatia di origine diabetica .2-4

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MALATTIA MACROVASCOLARELa malattia macrovascolare associata al diabete include la malattia cardiovascolare, cerebrovascolare e vascolare periferica. Clinicamente queste patologie sono rispettivamente associate a ictus, angina e claudicazione. Il rischio di sviluppare una malattia macrovascolare clinicamente significativa è cinque volte maggiore in un paziente affetto da diabete che in un individuo non diabetico. I principali fattori di rischio modificabili associati a questa complicazione della malattia includono fumo, obesità, ipertensione e dislipidemia, nonché, in una certa misura, iperglicemia. L’insieme di questi fattori di rischio, tranne il fumo, costituisce la sindrome metabolica (Figura 2-5), che è la somma delle sue parti e pertanto rappresenta una preziosa guida per ricordare ai medici l’ampiezza delle strategie di gestione.2-5

INSULINA

Cervello

Miocardio

Macrofagi

Vasi sanguigni di resistenza

Pancreas

Fegato

Macrofagi

Arterie

MuscoloCapillari

Grasso

Figura 2-5: sindrome metabolica .

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MALATTIA MICROVASCOLARELa malattia microvascolare è associata a retinopatia, neuropatia e nefropatia, tipicamente risultanti da danno ai capillari più piccoli. Clinicamente queste patologie possono essere associate rispettivamente a disturbi visivi, intorpidimento dei piedi e presenza di proteine nelle urine. Nei casi peggiori queste stesse complicazioni microvascolari possono portare a cecità, ulcere/amputazioni dei piedi e insufficienza renale. I principali fattori di rischio modificabili associati alla malattia microvascolare sono gli stessi della malattia macrovascolare, ossia fumo, obesità, ipertensione, dislipidemia e iperglicemia, ma l’iperglicemia rappresenta un fattore maggiormente dominante. Dato il differente effetto dell’iperglicemia sulla malattia microvascolare e sulla malattia macrovascolare, è stato affermato che il diabete è una patologia che comprende due malattie: una malattia associata a malattia macrovascolare (e ai suoi fattori di rischio associati) e l’altra associata a malattia microvascolare (prevalentemente dovuta all’iperglicemia).

COSTO DEL DIABETEIl diabete determina un costo notevole. Tale costo è dovuto alla prevalenza della malattia (specialmente del diabete di tipo 2), alla cronicità della malattia, alla gravità delle complicazioni, e al fatto che sia la malattia che le sue complicazioni possono essere trattate (Figura 2-6). I costi diretti (stimati come i costi di trattamento, diagnosi e cure mediche) sono approssimativamente pari ai costi indiretti (perdita di produzione economica dovuta a malattia o morte), almeno nei paesi industrializzati, e circa il 75% dei costi diretti riguarda la gestione delle complicazioni diabetiche croniche a lungo termine (Figura 2-6).

<5050-449500-1499

1500-2999

Dati non disponibili

3000-64996500

Figura 2-6: costi sanitari medi per il 2011 relativi al diabete, per individuo affetto da diabete di 20–79 anni di età (costo indicato in milioni di dollari) .2-6

GESTIONE DEL DIABETE La gestione si focalizza sui fattori di rischio che predispongono alle complicazioni e sull’identificazione e il trattamento delle complicazioni diabetiche. Gli approcci chiave includono: educazione, dieta, esercizio fisico, terapia farmacologica con terapia ipoglicemizzante orale, sostanze iniettabili come exenatide o liraglutide, insulina e chirurgia bariatrica.

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DIABETE DI TIPO 1 I bambini affetti da diabete di tipo 1 solitamente necessitano di trattamento con insulina dal momento della diagnosi. Tuttavia, la maggioranza dei pazienti adulti affetti da diabete autoimmune non necessitano di insulina, almeno inizialmente, e la maggior parte rimane indipendente dall’insulina per molti anni. I regimi insulinici includono più iniezioni di insulina, con un mix di insulina ad azione rapida e ad azione lenta, oppure pompe per l’infusione sottocutanea continua di insulina.

DIABETE DI TIPO 2 I pazienti affetti da diabete di tipo 2 sono solitamente gestiti mediante terapie orali o iniezioni con sostanze diverse da insulina. Tipicamente il trattamento è cumulativo, implicando dieta ed esercizio fisico inizialmente, a cui si aggiunge la terapia orale e quindi progressivamente più compresse o sostanze iniettabili (come un agonista GLP-1 o l’insulina). I regimi insulinici spesso iniziano con insulina ad azione lenta assunta al momento di coricarsi, ma possono poi evolvere in regimi simili a quelli per il diabete di tipo 1, benché solitamente non includenti pompe per l’infusione sottocutanea di insulina. Il ruolo della chirurgia bariatrica rimane dubbio, ma la chirurgia viene proposta ai pazienti affetti da marcata obesità e iperglicemia refrattaria al trattamento convenzionale. Il numero di terapie, le risposte variabili a tali terapie e la gamma di effetti collaterali hanno condotto ad un approccio più personalizzato, come illustrato nelle più recenti linee guida. Terapie orali attualmente in uso includono metformina, sulfoniluree, glinidi, inibitori della dipeptidil peptidasi IV (DPPIV), inibitori del trasportatore sodio-glucosio (SGLT2), glitazoni e acarbosio. Le sostanze terapeutiche iniettabili includono agonisti GLP-1 e insulina.

DIETA ED ESERCIZIO FISICOL’assunzione eccessiva di calorie e l’inadeguato esercizio fisico hanno un ruolo centrale nell’epidemia di diabete di tipo 2; ne consegue che la dieta e l’esercizio fisico sono fondamentali per la gestione del diabete di tipo 2 e in effetti per tutte le forme di diabete, come pure le misure volte a evitare l’evoluzione dell’alterata tolleranza al glucosio in diabete. Il rispetto a lungo termine di qualsiasi piano dietetico è notoriamente difficile. I consigli dietetici sono in gran parte empirici. Un approccio ragionevole consiste nel suggerire una dieta non differente da quella proposta alla popolazione sana, possibilmente con una particolare enfasi sull'astensione dal consumo di zuccheri raffinati. I pazienti sovrappeso (IMC 25–30 kg/m2) dovrebbero iniziare una dieta dimagrante di circa 4–6 MJ (megajoule, o 1000–1600 kcal) al giorno (Figura 2-7). Sebbene le diete a basso contenuto di grassi abbiano soltanto un impatto ridotto sul colesterolo sierico, esse possono limitare l’aumento dei trigliceridi sierici.

L’alcol non deve essere bandito, ma si deve tener conto del suo contenuto energetico; l’obiettivo è <28 unità di alcol a settimana per gli uomini e <21 unità a settimana per le donne. I pazienti che assumono insulina devono evitare episodi di consumo smodato di alcol perché potrebbero essere colpiti da grave ipoglicemia. Una unità di alcol corrisponde approssimativamente a un bicchiere di vino oppure a un bicchierino di vodka. Si raccomanda che l’assunzione quotidiana di sale non sia superiore a 2,3 g al giorno per limitare l’ipertensione.

GESTIONE DELLE COMPLICAZIONI DIABETICHE La gestione delle complicazioni diabetiche è dominata dalla prevenzione di tali complicazioni. Molto del tempo impiegato per la cura del diabete si basa sul presupposto che la prevenzione sia non solo fattibile, ma anche efficace dal punto di vista economico. La gestione della malattia macrovascolare nel diabete è la stessa attuata per la malattia cardiovascolare, cerebrovascolare e vascolare periferica in generale. Per contro, le complicazioni microvascolari sono esclusive del diabete. Quindi il trattamento della retinopatia diabetica include la fotocoagulazione laser per la retinopatia proliferante o la terapia anticitochinica per l’edema maculare, nonché la vitrectomia per un’emorragia vitreale non risolta. Gli inibitori del recettore dell’angiotensina vengono impiegati precocemente per limitare l’evoluzione in nefropatia diabetica.

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GESTIONE DEL DIABETE

Glicemia1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

Figura 2-7. Gestione del diabete con dieta ed esercizio fisico .2-7

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1. Esistono molte forme diverse di diabete mellito, ma le due forme principali, che sono responsabili del 98% dei casi, sono il diabete di tipo 1 e il diabete di tipo 2. Approssimativamente di quale percentuale è responsabile il diabete di tipo 2?

A 75%

B 90%

C 50%

D 10%

2. Il diabete rappresenta un problema di dimensioni mondiali; secondo le previsioni della OMS quanti milioni di persone saranno colpiti dal diabete entro il 2030?

A 238

B 100

C 438

D 450

3. Il diabete è una patologia in cui:

A Il corpo non produce sufficiente insulina

B Gli eritrociti hanno una forma scorretta

C Il corpo produce insulina che non funziona in modo efficace

D A e C

4. Il diabete di tipo 1 viene classificato principalmente secondo:

A L’età del paziente alla diagnosi

B La dipendenza da insulina

C L’insulino-resistenza

D La predisposizione genetica

E Tutte le affermazioni precedenti

5. Circa l’85% dei pazienti con diabete di tipo 2 sono affetti da sindrome metabolica, che è caratterizzata da un insieme di patologie, inclusi:

A Iperglicemia

B Obesità

C Ipertensione

D Basso colesterolo HDL e trigliceridi elevati

E Tutte le affermazioni precedenti

6. Il diabete di tipo 1 è dovuto all’interazione dell’ambiente con una sottostante suscettibilità genetica che porta a una risposta autoimmune, la quale danneggia o distrugge le cellule che secernono insulina.

A Vero

B Falso

7. I principali fattori di rischio modificabili associati a malattia microvascolare e malattia macrovascolare includono:

A Fumo

B Obesità, ipertensione e dislipidemia

C Iperglicemia

D Tutte le affermazioni precedenti

8. La malattia microvascolare è associata a retinopatia, neuropatia e nefropatia, tipicamente risultanti da danno ai capillari più piccoli. Clinicamente, queste patologie possono portare a tutte le seguenti conseguenze, eccetto:

A Cecità

B Insufficienza renale

C Infarti

D Ulcere/amputazioni dei piedi

DOMANDE DI REVISIONE: SEZIONI 1 E 2Le risposte sono disponibili alla fine di questa guida didattica.

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OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO

Al termine di questa sezione si sarà in grado di:

• Descrivere i vari metodi di riferimento e di produzione per la misurazione di HbA1c

• Spiegare l’impatto di varianti e derivati di HbA1c e delle condizioni preanalitiche del campione sui metodi di misurazione

• Identificare la metodologia di riferimento del sistema di standardizzazione IFCC

• Comprendere e applicare il modello degli obiettivi qualitativi IFCC per la HbA1c a livello di un singolo laboratorio e di un gruppo di laboratori

SEZIONE 3METODI PER LA DETERMINAZIONE DI HbA1c: METODOLOGIE DI DOSAGGIO E STANDARDIZZAZIONE IFCC

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METODOLOGIE DI DOSAGGIO DI HbA1cUna diagnosi e un monitoraggio del controllo diabetico efficaci ed efficienti richiedono un buon marcatore per la stima della glicemia media relativa ad un periodo di una certa lunghezza. La HbA1c soddisfa tale necessità di un siffatto indicatore affidabile che possa guidare la terapia. La HbA1c è la frazione di emoglobina che presenta glucosio legato alla valina N-terminale della catena β. La reazione di glicazione dipende dalla durata del tempo per cui gli eritrociti sono presenti nella circolazione e dai livelli ambientali di glucosio. Poiché gli eritrociti hanno una durata di vita di 3–4 mesi, la HbA1c riflette i livelli glicemici medi dei tre mesi precedenti.

L’importanza ricoperta dalla HbA1c come uno dei principali strumenti diagnostici è solidamente riconosciuta e pertanto non sorprende che per essa siano stati sviluppati molti dosaggi commerciali. I metodi presentano specificità e selettività differenti e, con esse, lo possono potenzialmente essere anche i valori della HbA1c. Per rendere possibile un uso clinico ottimale, i risultati di metodi diversi dovrebbero essere equivalenti. Il sistema di riferimento IFCC per la HbA1c serve come punto di riferimento analitico per la standardizzazione di tutti i metodi commerciali per la HbA1c. Questo capitolo tratta dei principi analitici su cui si basano i principali metodi commerciali e del sistema di riferimento IFCC.

METODI COMMERCIALI PRINCIPALIEsistono due principali concetti analitici che si basano rispettivamente su: (1) separazione e quantificazione delle frazioni e (2) reazioni chimiche (Figura 3-1). I principi analitici derivati da tali concetti sono illustrati nelle Figure da 3-2A a 3-2E.

METODOLOGIE PER HBA1C

Elettroforesi capillare

HPLC a scambio ionico

Cromatografia di a�nità

Di separazione

Di�erenze di carica

Chimiche

Dosaggi immunometrici Dosaggi enzimatici

STANDARDIZZAZIONE IFCC

Figura 3-1: metodologie per HbA1c .

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Figura 3-2: principi analitici .

METODI DI SEPARAZIONEL’emoglobina glicata (HbA1c o A1c) e l’emoglobina non glicata (A0) possiedono differenti proprietà che permettono la separazione di entrambe le frazioni e la quantificazione di A1c come frazione della somma A1c + A0. Tale concetto viene applicato con la cromatografia a scambio ionico (IEC), l’elettroforesi capillare (EC) e la cromatografia di affinità (AC).

E: Dosaggio enzimatico

B: Elettroforesi capillare

HbMetHb

H2O2 Color

A: Cromatografia di affinità

NH CH2Hb

O – C

HO—CH

HO—CH

HO—CH

CH, OH

NHOH

OH

OH

B

Hb NH CH2

O – C

HC—OH

O — CH

O — CH

CH, OH

OH

NH B

Acido boronico immobilizzato Emoglobina glicata

Celluleematiche

Agenteemolitico

Prima reazione(misurazione di Hb)

Agentestabilizzante

Enzimafruttosil-peptide ossidasi

POD eagente colorante

Agenteossidante

Fruttosil-peptidepeptide

Azide-metHb

ESTREMITÀ N-TERMINALE DELLA CATENA BETA

Fru-Val-His-Leu-Thr-Fru-Val-His-Leu-Thr-

C: Dosaggio immunometrico

Eccesso di anticorpi anti-HbA1c

Polyhaphem

Complesso anticorpo-polyhaphemMisurazione con turbidimetro

Concentrazione

Trasmittanza

+

D: Cromatografia a scambio ionico

Controione [Na+]

FASE MOBILE FASE STAZIONARIA

Resina

Carica �ssa [B-COO–]

Hb

+

+–

Pretrattamento Seconda reazione(misurazione di HbA1c)

Proteasi

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Cromatografia a scambio ionico (IEC)

A causa del legame del glucosio all’estremità costituita dalla valina β, il punto isoelettrico di A1c differisce di 0,02 unità pI da quello di A0. Ciò rappresenta una differenza isoelettrica sufficiente per consentire la separazione mediante IEC, ma tale differenza è così piccola che solamente appositi strumenti per cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC) daranno prestazioni soddisfacenti.3-1 I campioni vengono sottoposti al dosaggio uno alla volta, e ciò stimola i produttori a trovare un equilibrio tra la più elevata cadenza analitica e la qualità della separazione. Oltre ad A0 e A1c, nel cromatogramma sono visibili altre frazioni emoglobiniche, come l’emoglobina fetale (HbF), emoglobine minori (HbA1a/b) e l’emoglobina carbammilata, nonché varianti genetiche come l’emoglobina delle cellule falciformi (HbS). Ciò può essere considerato un vantaggio (rivelazione di varianti) o uno svantaggio (potenziale interferenza con HbA1c).

La Figura 3-3 mostra un tipico cromatogramma IEC eseguito da uno dei più nuovi strumenti commerciali: in una corsa di circa 70 secondi vengono separate A1c e A0 e si osservano le frazioni minori X e Y. Non è presente separazione alla baseline: è richiesto uno stretto controllo delle condizioni di separazione (colonna ed eluenti) e del software (calibrazione, impostazioni di cutoff e di baseline) per ottenere prestazioni ottimali.

Elettroforesi capillare

Anche questo metodo utilizza le differenze di carica. Il campo elettrico a elevato voltaggio (10.000 volt) e il flusso elettroosmotico inducono una buona separazione. La Figura 3-3 mostra l’elettroforetogramma caratteristico: A1c e A0 sono separate più che completamente l’una dall’altra e dalle emoglobine minori X e Y. Il tempo di corsa di circa 300 secondi è sostanzialmente più lungo di quello della IEC, ma viene raggiunta una cadenza analitica elevata con il funzionamento in parallelo di più (2–12) capillari.3-2 Come con la IEC, si osservano le varianti emoglobiniche, cosa che può essere ritenuta un vantaggio oppure uno svantaggio. La separazione affidabile delle frazioni richiede un controllo meno stringente delle condizioni rispetto alla IEC. Piccoli cambiamenti dei tamponi e del campo elettrico non avranno alcun impatto sulla quantificazione. La vera difficoltà di questo metodo risiede nell’ottenere una calibrazione esattamente identica nei capillari in parallelo.DIFFERENZA DI CARICA: TRACCIATI DI SEPARAZIONE

XYA1c

A0

0 30 60

HPLC a scambio ionico Elettroforesi capillare

A0

YXA1c

A0

A1c

Cromatografia di a�nità

Figura 3-3: tipici tracciati di separazione di IEC, EC e AC . A0 rappresenta l’emoglobina non glicata e A1c rappresenta l’emoglobina glicata . X rappresenta altre frazioni di HbA e Y rappresenta specificamente le frazioni di HbA2 .

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Cromatografia di affinità

La cromatografia di affinità stima le frazioni di eluizione sia di emoglobina glicata (GHb, prevalentemente ma non esclusivamente HbA1c) che di emoglobina non glicata (NGHb, prevalentemente ma non esclusivamente HbA0). Il glucosio della GHb ha affinità per l’acido boronico, mentre ciò non si verifica per la NGHb. Pertanto la NGHb scorrerà liberamente attraverso una colonna contenente resina rivestita di acido borbonico, mentre la GHb verrà rallentata e quindi separata dalla NGHb.3-3 Ciò dà luogo al cromatogramma AF in cui, diversamente da quanto accade nella IEC e nella EC, la NGHb si presenta per prima, seguita dalla GHb (Figura 3-3).

Un’altra caratteristica è rappresentata dal fatto che si osservano solamente due frazioni: l’emoglobina glicata e quella non glicata, le quali eluiscono indipendentemente dalla struttura molecolare delle catene proteiche. Ciò implica che le varianti non possono essere distinte: le varianti glicate eluiscono nella frazione GHb e le varianti non glicate nella frazione NGHb. Di nuovo, ciò può essere considerato un vantaggio o uno svantaggio. La glicazione non è limitata all’estremità N-terminale costituita da valina della catena β, ma si verifica per un ulteriore 40% su circa 10 residui di lisina delle catene sia α che β. Queste "altre" glicoemoglobine eluiscono nella frazione GHb. Poiché esse si formano proporzionalmente a HbA1c, la GHb può essere espressa in unità di HbA1c quando lo strumento è appropriatamente calibrato. Un prerequisito per l’equivalenza dei risultati con gli standard di calibrazione è che le emoglobine del paziente possiedano catene β. Ciò è vero per tutte le principali varianti emoglobiniche, con l’eccezione di HbF. Poiché HbF è priva dell’estremità N-terminale costituita da valina, essa presenta un tasso di glicazione inferiore, quindi, quando è presente in quantità notevoli (arbitrariamente >10%, di norma è al di sotto del 2%) i risultati saranno erroneamente bassi.

METODI CHIMICII metodi chimici richiedono due dosaggi indipendenti, rispettivamente di HbA1c e dell’emoglobina totale. La HbA1c è misurata sulla base di una specifica reazione chimica con la valina N-terminale glicata della catena β. L’emoglobina totale è misurata fotometricamente in parallelo. La combinazione di entrambi i risultati dei test permette di calcolare la HbA1c come frazione dell’emoglobina totale. Il fatto che la HbA1c derivi da due test può avere un impatto negativo sulla precisione. Il vantaggio dei metodi chimici risiede nel fatto che possono essere eseguiti su generali strumentazioni di analisi chimica.

Dosaggi immunometrici

Un eccesso di anticorpi anti-HbA1c viene combinato con il campione prelevato dal paziente. Gli anticorpi si legano alla HbA1c, dando luogo alla formazione di un complesso di immunolattice. Gli immunocomplessi risultanti causano intorbidimento, che può essere misurato fotometricamente con turbidimetri, nefelometri o spettrofotometri.3-4 L’emoglobina totale è misurata in bicromatismo durante la fase di preincubazione nella stessa cuvetta. Le varianti emoglobiniche non vengono rivelate e non interferiscono nella maggior parte dei dosaggi, fintanto che la specificità dell’anticorpo è appropriata. Solamente quando sono presenti quantità notevoli di HbF e HbA2 (varianti prive di catene β) possono essere ottenuti risultati erroneamente ridotti. Come per tutti i dosaggi immunometrici, non è presente una relazione lineare tra concentrazione e segnale, cosa che rende la calibrazione a più punti necessaria per ottenere risultati accurati nell’intervallo di HbA1c pertinente.

Dosaggi enzimatici

Nei dosaggi enzimatici è utilizzata una fruttosil-peptide proteasi per scindere la catena β, liberando il fruttosil-peptide. Il peptide risultante, prevalentemente il dipeptide, è lasciato reagire con la fruttosil-peptide ossidasi. La concentrazione di HbA1c è misurata determinando il perossido di idrogeno risultante mediante un reagente che genera colorazione. In parallelo viene misurata fotometricamente l’emoglobina totale come metaemoglobina formata nel processo di pretrattamento.3-5 Le varianti non creano interferenze (tranne HbF o HbA2 potenzialmente aumentate, a causa delle catene β mancanti nel campione). La bilirubina in concentrazioni elevate può potenzialmente interferire e deve essere accertata.

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STANDARDIZZAZIONE IFCC

STORIALe specificità e selettività dei metodi commerciali sono differenti, cosa che ha un impatto sui risultati di determinazione della HbA1c, specialmente su quelli ottenuti da metodi privi di calibrazione. Durante i primi anni successivi alla scoperta della HbA1c ciascun metodo (o addirittura ciascun laboratorio) aveva i propri valori di riferimento. Per un uso clinico ottimale (ad esempio per poter realizzare linee guida cliniche omogenee e confronti tra studi scientifici) è auspicabile l’equivalenza dei risultati. L’equivalenza può essere realizzata mediante armonizzazione o standardizzazione.3-6 Con l’armonizzazione i metodi in commercio vengono calibrati rispetto a un metodo e dei materiali comparativi designati, in modo che tutti i metodi siano allineati tra di loro. Con la standardizzazione, la calibrazione avviene rispetto ad una procedura di misurazione di riferimento scientificamente solida. Si potrebbe dire che l’armonizzazione porta ad una verità relativa e la standardizzazione alla verità assoluta.

Tale bisogno di risultati equivalenti fu chiaramente riconosciuto e ispirò numerose iniziative di armonizzazione su scala nazionale. Negli Stati Uniti il metodo designato fu lo stesso metodo utilizzato nello studio Diabetes Control and Complications Trial (DCCT); tale metodo si è dimostrato stabile per parecchi anni ed era direttamente collegato a dati clinici. Ciò condusse a un programma nazionale con affiliazioni internazionali organizzato dal National Glycohemoglobin Standardization Program (NGSP).3-7 Iniziative simili realizzarono l’armonizzazione in Giappone (JDS/JSCC) e in Svezia (Mono-S). Sfortunatamente tutte si basavano su metodi comparativi designati e non sorprende il fatto che i risultati di questi metodi scelti risultassero diversi. Tale situazione ha creato confusione e per questo motivo la IFCC ha sviluppato un metodo di riferimento per realizzare una standardizzazione a livello mondiale.

METODO DI RIFERIMENTO IFCCIl metodo di riferimento IFCC (IFCC-RM) si basa sul concetto della tracciabilità metrologica (Figura 3-4). HbA1c e HbA0 pure vengono miscelate per preparare calibratori primari che sono utilizzati per calibrare l’IFCC-RM.3-8 Gli eritrociti sono lavati e lisati e di seguito sottoposti a scissione enzimatica (Figura 3-5). Gli esapeptidi risultanti sono quantificati mediante HPLC-spettrometria di massa oppure HPLC-elettroforesi capillare (Figura 3-6).

Con l’IFCC-RM, si assegnano valori a set di sangue intero che servono da calibratori secondari per i produttori. L’IFCC-RM è incorporato in una rete mondiale di laboratori di riferimento dove vengono assegnati valori secondo l’IFCC-RM ai materiali di riferimento secondari IFCC. Questi sono poi utilizzati dai produttori per assegnare valori ai calibratori dei loro kit e successivamente sono utilizzati dai laboratori clinici per calibrare i loro strumenti. Tale catena di tracciabilità di materiali e metodo garantisce che in tutto il mondo i risultati della determinazione di HbA1c che sono comunicati a diabetologi e pazienti sono tracciabili al metodo di riferimento IFCC, rendendo possibili linee guida mondiali con limiti decisionali omogenei per la diagnosi e la terapia. Un controllo indipendente è realizzato da organizzatori di valutazione esterna della qualità/test di idoneità (EQA/PT) che utilizzano campioni ai quali sono pure stati assegnati valori con l’IFCC-RM.

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PM di riferimento secondaria Metodo di riferimento IFCC

Calibratore primario miscela di HbA1c/HbA0 pure

Calibratore secondario set di sangue

Calibratore di lavoro del produttore

Calibratore di prodotto del produttore

Campione prelevato dal paziente

PM di riferimento primaria gravimetria

PM interna del produttore

PM stabilita del produttore

PM di routine in laboratorio

Interpretazione dei risultati del paziente

Definizione IFCC dell’analita

Figura 3-4: la catena di tracciabilità del metodo di riferimento IFCC . PM: Procedura di misurazione .

Val His Leu Thr Pro Glu

PEPTIDE HBA0

Glu Lys Ser

Glu-C

...

Val His Leu Thr Pro Glu

PEPTIDE HBA1C

Glu Lys Ser ...Gluc

Figura 3-5: digestione proteolitica di catene emoglobiniche . Glu-C: Enzima proteolitico endoproteasi Glu C .

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Eritrociti

Emolisato

Scissione enzimatica

Quantificazione degli specifici peptidi

Metodo B HPLC- elettroforesi

capillareMetodo A

HPLC- spettrometria di massa

Sangue

Figura 3-6: fasi del metodo di riferimento IFCC .

PUNTO DI RIFERIMENTO ANALITICO E REFERTI PER IL PAZIENTENei laboratori medici è comune che, una volta stabilito un metodo di riferimento, i risultati destinati ai pazienti siano espressi nelle unità di tale metodo di riferimento. Nel caso della HbA1c, i chimici hanno adottato le unità dell’IFCC-RM, ma si è avuta una resistenza da parte dei medici, che preferivano unità differenti. Questo dilemma è stato risolto ad un meeting di IFCC, International Diabetes Federation (IDF), European Association for the Study of Diabetes (EASD) e American Diabetes Association (ADA): l’IFCC-RM rappresenta l’unico punto di riferimento valido per la standardizzazione della HbA1c, ma sui referti destinati ai pazienti la HbA1c sarà indicata sia nelle unità secondo la IFCC (mmol/mol) che secondo l’NGSP (%). Le unità NGSP sono derivate dalle unità IFCC utilizzando un’equazione fondamentale.3-9,3-10 Non è pratico nella vita quotidiana refertare in due unità e pertanto molti paesi utilizzano o le unità IFCC oppure le unità NGSP. Gli strumenti offrono entrambe le opzioni e le riviste scientifiche seguono la dichiarazione di consenso e pubblicano in parallelo entrambe le unità.

L’equazione fondamentale fornisce un collegamento di ordine superiore ai risultati IFCC e a risultati di determinazione della HbA1c clinicamente significativi provenienti dagli studi DCCT e United Kingdom Prospective Diabetes Study (UKPDS). L’equazione fondamentale di conversione tra unità NGSP e IFCC è: NGSP = (0,09148 x IFCC) + 2,152. Sono disponibili numerosi calcolatori online per la conversione delle unità.

OBIETTIVI QUALITATIVILa qualità analitica della HbA1c è migliorata tanto che, oltre al suo uso originario per il monitoraggio del controllo diabetico, il test è sempre più utilizzato per la diagnosi e lo screening.3-11 Tuttavia, i limiti corrispondenti alla decisione clinica di un basso rischio di sviluppare o di essere affetti da diabete (<40 mmol/mol; <5,8%) e di diagnosi di diabete (>46 mmol/mol; >6,4%) sono così vicini che anche i requisiti di qualità sono stati incrementati. Per affrontare questa questione la task force IFCC sulla HbA1c ha sviluppato un modello per fissare e valutare obiettivi qualitativi (Figura 3-7).

Sono incluse le due principali fonti di errore: imprecisione sull’asse orizzontale e bias sull’asse verticale. L’imprecisione è causata dalla non riproducibilità ed è espressa come coefficiente di variazione. Il bias, la differenza tra ciò che è misurato e il valore vero, è espresso in mmol/mol ed è causato da una calibrazione inappropriata. Il criterio qualitativo è costituito dalla somma dell’imprecisione e del bias ed è espresso come errore totale permesso, che è fissato a 5 mmol/mol (0,46%). Tale criterio viene soddisfatto quando il punto nel grafico corrispondente all’imprecisione e al bias (il punto rosso in figura) cade all’interno del triangolo delimitato dalla linea 2 sigma e dagli assi delle ascisse e delle ordinate. La qualità di categoria superiore è raggiunta quando il punto rosso cade nelle zone colorate: accettabilità in categoria oro, argento e bronzo.

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Sigma

2

Oro Argento Bronzo

Min

Des

Opt 1

2

4

3

(0,37)4

(0,28)3

(0,18)2

(0,09)1

(0,46) (NGSP)5 IFCC

1(0,01)

2(1,4)

3(2,0)

4(2,7)

5 (3,4)

IFCC(NGSP)

Imprecisione in CV %

Bias

Figura 3-7: prestazioni di quattro laboratori di analisi mostrate sul modello di valutazione qualitativa della task force IFCC sulla HbA1c .

La Figura 3-7 mostra le prestazioni di quattro laboratori. Il laboratorio 1 raggiunge appena l’accettabilità secondo il criterio: il valore relativo al bias è eccellente, ma quello relativo all’imprecisione è piuttosto carente. Anche il laboratorio 2 raggiunge appena l’accettabilità, ma con un valore eccellente relativamente all’imprecisione e piuttosto carente relativamente al bias. Il laboratorio 3 non raggiunge l’accettabilità secondo il criterio: i valori relativi sia all’imprecisione che al bias sono piuttosto carenti. Il laboratorio 4 ha valori eccellenti sia relativamente al bias che all’imprecisione e viene premiato con una valutazione di categoria argento.

Il modello può essere applicato a livello di un singolo laboratorio. Il bias è ottenuto da programmi EQA/PT e l’imprecisione è il coefficiente di variazione (CV) intra-laboratorio ottenuto dal controllo qualitativo interno del laboratorio. Può essere tuttavia applicato anche a un gruppo di laboratori: il bias è il bias medio di tale gruppo e l’imprecisione è il CV inter-laboratori di tale gruppo nel EQA/PT. Questa è un’opzione interessante che permettere prestazioni reali dei produttori.3-12

DISCUSSIONESono stati sviluppati più di 100 test commerciali sulla base dei cinque principi analitici. Secondo il concetto della catena di tracciabilità il metodo di riferimento IFCC ha la funzione di punto di riferimento analitico a livello mondiale per la standardizzazione di HbA1c. In tal modo possono essere ottenuti risultati equivalenti per tutti i test. La concentrazione di HbA1c è un parametro longitudinale: i pazienti sono monitorati per anni o addirittura decenni; pertanto è necessario un test affidabile, con risultati altamente riproducibili nel corso di un lungo periodo. Misurazioni accurate di HbA1c dovrebbero essere a disposizione del medico durante la visita del paziente per offrire la comodità di una discussione clinica immediata.

Un altro aspetto dei test su HbA1c è rappresentato dal fatto che tale test è eseguito in volumi elevati e quindi richiede efficienza, una elevata cadenza analitica, affidabilità ed economicità. Il metodo scelto deve anche adattarsi alla struttura organizzativa, ossia deve essere integrato nella generale strumentazione di analisi chimica, in un conveniente strumento di laboratorio autonomo oppure come strumento point-of-care nell’ambulatorio del medico. Le priorità, e quindi la scelta di uno specifico metodo, differiranno a seconda della situazione. Deve essere preso in considerazione il peso attribuito ai punti di forza e di debolezza dei metodi. Gli utenti devono essere consapevoli delle limitazioni del test. Queste sono specificamente dichiarate dal produttore nella documentazione allegata alla confezione. Informazioni utili e indipendenti sulle prestazioni dei rispettivi metodi possono essere ottenute da programmi EQA/PT.

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1. La HbA1c è la frazione di emoglobina che presenta molecole di glucosio legate alla valina N-terminale della catena β. La reazione di glicazione dipende dalla durata del tempo per cui gli eritrociti sono presenti nella circolazione e dai livelli ambientali di glucosio. Gli eritrociti hanno una durata di vita di circa:

A 15 giorni

B 90-120 giorni

C 30 giorni

D 6 mesi

2. Il metodo di riferimento IFCC (IFCC-RM) si basa sul concetto della tracciabilità metrologica, in cui HbA1c e HbA0 pure vengono miscelate per preparare calibratori primari che sono utilizzati per calibrare l’IFCC-RM. Gli eritrociti sono lavati e lisati e di seguito sottoposti a scissione enzimatica. Gli esapeptidi risultanti sono quantificati mediante:

A HPLC-spettrometria di massa

B HPLC-elettroforesi capillare

C Elettroforesi su gel-NMR

D A o B

3. Le due principali reti per la standardizzazione di HbA1c sono:

A IFCC e NGSP

B NGSP e DCCT

C DCCT e OMS

D IFCC e OMS

4. Le unità standard secondo la IFCC per HbA1c sono:

A mmol/L

B mmol/mol

C % NGSP

D mg/dL

5. I principi analitici utilizzati per determinare le concentrazioni di HbA1c non includono:

A Cromatografia di affinità, elettroforesi capillare

B Dosaggi immunometrici

C Spettroscopia nel vicino infrarosso

D Cromatografia a scambio ionico

E Dosaggi enzimatici

6. In un programma EQA/PT, il produttore X presenta un bias di 1,0 mmol/mol (0,09%) e un CV inter-laboratori del 2,0% (1,4% se espresso in unità NGSP). Come viene valutata la prestazione nel modello degli obiettivi qualitativi IFCC?

A Non accettabile

B Accettabile

C Accettabile con qualità superiore di categoria bronzo

D Accettabile con qualità superiore di categoria oro

DOMANDE DI REVISIONE: SEZIONE 3Le risposte sono disponibili alla fine di questa guida didattica.

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TO R N A A L S O M M A R I O

OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO

Al termine di questa sezione si sarà in grado di:

• Descrivere le varie emoglobinopatie, le loro cause e la loro prevalenza a livello mondiale

• Spiegare le caratteristiche mutazionali dell’emoglobina

• Identificare il potenziale impatto delle varianti emoglobiniche sulla misurazione della HbA1c

SEZIONE 4EMOGLOBINA GLICATA E INFLUENZA DI VARIANTI E DERIVATI

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TO R N A A L S O M M A R I O

VARIANTI EMOGLOBINICHE, EMOGLOBINOPATIE E SINDROMI TALASSEMICHEL’emoglobinopatia è un disturbo ematologico causato da un’alterazione della struttura primaria geneticamente determinata dell’emoglobina (nella catena α, β, g e/o d), che spesso causa anemia. Tipicamente le emoglobinopatie sono ereditate con modalità autosomica. L’emoglobinopatia più comune e meglio conosciuta è quella HbS (malattia a cellule falciformi).* Inoltre, le talassemie sono anomalie della produzione delle catene globiniche, le più comuni delle quali sono l’α-talassemia e la β-talassemia. Le emoglobinopatie si riscontrano in tutte le aree del mondo (Figura 4-1) e le talassemie sono maggiormente comuni nelle popolazioni del Mediterraneo e del Sud-est asiatico.4-1,4-2

Hb S

Hb C

Hb E

Talassemia α & β

Figura 4-1. mappa generale delle più comuni forme di emoglobinopatie documentate .4-1,4-2

L’epidemiologia delle emoglobinopatie negli Stati Uniti riflette la diversità di genotipi e fenotipi osservati a livello mondiale. Sebbene i tassi di natalità di individui affetti da malattia a cellule falciformi siano rimasti stabili, l’incidenza dei disturbi talassemici continua ad aumentare in parallelo con le modificazioni demografiche della popolazione statunitense.4-3 Con un aumento del 2000% dell’immigrazione di origine asiatica avvenuto negli ultimi tre decenni, i disturbi emoglobinici come la HbH e la HbE/β-talassemia hanno proporzionalmente acquisito un maggior significato clinico in molti stati, inclusa la California. Tali cambiamenti demografici coinvolgono anche la β-talassemia major, con i bambini di origine asiatica e nativa americana che attualmente costituiscono il 60% degli individui colpiti.

In Europa la β-talassemia rappresenta il più comune disturbo monogenico autosomico recessivo e il 12% della popolazione è portatrice di β-talassemia a Cipro, paese in cui è a rischio di β-talassemia una coppia su 50.4-4

In Grecia la frequenza stimata dei portatori di emoglobinopatie è del 16%, cifra a cui contribuisce per circa il 7% la β-talassemia, per l’8% l’α-talassemia e per circa l’1% l’anemia a cellule falciformi. Sulla base del tasso di natalità annuo si calcola che annualmente si verificano circa 640 gravidanze a rischio di β-talassemia e sindromi a cellule falciformi e ulteriori 120 gravidanze sono a rischio di α-talassemia. (Tuttavia in Grecia il rischio di forme gravi di β-talassemia è basso4-5).

* L’anemia a cellule falciformi è la patologia che si riscontra per omozigosi di HbS . "Malattia a cellule falciformi" (SCD) è un termine più generale che definisce la doppia eterozigosi di HbS in associazione con altre patologie (HbC, β-talassemia, HbD e altre ancora) che causa una sindrome clinica simile .

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TO R N A A L S O M M A R I O

La malattia da HbH si verifica quando tre dei quattro geni per la globina α sono sottoposti a delezione o sono difettosi. Questa malattia ha un’elevata prevalenza nel sud della Cina, nel Sud-est asiatico e a Taiwan.4-6

Ad oggi sono state descritte più di 1.300 varianti di Hb ed è possibile consultare un elenco dettagliato di tali varianti attraverso il servizio creato dal professor T. Huisman.4-7 Senza dubbio la HbS è la variante emoglobinica più comune in Africa, nel Nord America e nell’Europa centrale,4-8 mentre la HbG e la HbE sono le più comuni varianti di Hb che si riscontrano nel Sud-est asiatico.4-9 Un breve riassunto del numero di varianti emoglobiniche e delle mutazioni talassemiche scoperte finora è presentato nella Tabella 4-1.

VOCI PRESENTI NELLA BANCA DATI NUMERO TOTALE DI MUTAZIONI

Varianti emoglobiniche 1270

Mutazioni talassemiche 486

Sia varianti emoglobiniche che mutazioni talassemiche 50

Mutazioni del gene α 1 349

Mutazioni del gene α 2 431

Mutazioni del gene β 894

Mutazioni del gene g 131

Mutazioni del gene d 117

Emoglobine con elevata affinità per l’ossigeno 99

Emoglobine con bassa affinità per l’ossigeno 48

Emoglobine instabili 147

Metaemoglobine 10

Tabella 4-1: numero totale di mutazioni che causano emoglobinopatie e sindromi talassemiche .4-7

I test per emoglobinopatie e talassemie vengono generalmente eseguiti per diagnosticare un disturbo oppure per determinare se un individuo ne è portatore. La condizione di portatore di alcune emoglobinopatie e talassemie è particolarmente critica in situazioni di consulenza genetica, in cui il fenotipo emoglobinico del partner può essere importante se esiste la possibilità che il feto generato sia colpito da una emoglobinopatia omozigote o grave talassemia. Tuttavia, non tutte le varianti emoglobiniche sono patologiche e la maggior parte delle emoglobinopatie è di natura benigna e priva di significato clinico. Per esempio, sebbene l’emoglobina S omozigote rappresenti una emoglobinopatia estremamente significativa, il corrispondente tratto falcemico "puro" (AS, non associato ad α-talassemia) è essenzialmente benigno. I tratti come l’AS, il tratto β-talassemico e il tratto α-talassemico sono particolarmente importarti nei pazienti neonati, per i quali è vitale capire quanto è probabile che siano colpiti da malattia grave rispetto a malattia lieve.

Attualmente la maggior parte dei laboratori effettua lo screening per le emoglobinopatie mediante HPLC o elettroforesi zonale capillare (EC). Le datate tecniche di elettroforesi alcalina e acida sono ancora in uso, ma stanno venendo rapidamente soppiantate dalla HPLC o EC come principali tecnologie di screening. In un laboratorio per emoglobinopatie devono essere disponibili altri protocolli, quali l’isoelettrofocalizzazione (IFE), l’elettroforesi della catena di globina, il test di solubilità in ditionito (test di solubilità delle cellule falciformi) e dosaggi molecolari per mutazioni delle catene di globina α e β. Tuttavia, il singolo esame di laboratorio più utile richiesto per identificare appropriatamente le emoglobinopatie è un emocromo completo ben eseguito, costituito almeno da eritrociti (RBC), emoglobina (Hgb), volume corpuscolare medio (MCV), emoglobina corpuscolare media (MCH) e distribuzione eritrocitaria (RCD). Senza questi dati la capacità del laboratorio di identificare l’importante ampiezza di distribuzione eritrocitaria (RDW) della talassemia e alcune delle emoglobinopatie più rilevanti sarà significativamente limitata.4-10

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TO R N A A L S O M M A R I O

L’orientamento futuro per la caratterizzazione delle emoglobinopatie si concentrerà probabilmente su due approcci: (1) analisi mediante HPLC accoppiata a spettrometria di massa tandem (LC MS/MS) e (2) analisi di identificazione molecolare delle mutazioni delle catene α e β.

Il primo approccio costituisce una logica evoluzione del fatto che le separazioni HPLC sono ora realizzate da numerosi produttori e darà luogo a identificazione "positiva" dal punto di vista della massa, piuttosto che dei tempi di migrazione relativi. Sebbene la LC MS/MS offra un significativo aumento di specificità, il costo strumentale e le competenze necessarie attualmente per tale tecnologia potrebbero inizialmente restringerne l’uso a centri per emoglobinopatie che trattano volumi elevati o a laboratori di riferimento, fino a quando la struttura dei costi relativa a questi metodi verrà ridotta e il loro funzionamento diverrà più semplice. La LC MS/MS avrà certamente un ruolo centrale nella determinazione di alcune modificazioni post-traduzionali dell’emoglobina e di modificazioni prodotte sull’emoglobina da fattori ambientali.4-11

Il secondo approccio, l’identificazione molecolare di mutazioni delle catene α e β, è una tecnologia molto costosa che attende una soluzione economica e completamente automatizzata che ne permetta una più ampia implementazione. Ovviamente l’analisi degli acidi nucleici per la rivelazione e la definizione delle varianti emoglobiniche rappresenta in effetti l’approccio migliore per il futuro.

Le principali caratteristiche delle varianti emoglobiniche più comuni sono riportate nella Tabella 4-2.

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TO R N A A L S O M M A R I O

NOME AMMINOACIDO DNA ELETTROFORESI HPLC* STABILITÀ PRESENZA ALTRE INFORMAZIONI

HbS ß6(A3) GlugVal

GAGgGTG Può essere separata da HbA a pH sia alcalino che acido

Può essere separata da HbA

Stabile Si riscontrano eterozigoti e omozigoti in molti gruppi etnici, ma prevalentemente tra le persone di colore e in alcune tribù di nativi americani

La quantità negli eterozigoti ammonta al 35–40%; la percentuale è inferiore con coesistenza di α-tal; anemia emolitica in omozigosi o in stato HbSC, HbSD, HbS-β-tal (malattia a cellule falciformi, SCD)

HbC ß6(A3) GlugLys

GAGgAAG Può essere separata da HbA a pH sia alcalino (ha la posizione di HbA2) che acido

Può essere separata da HbA

Stabile Prevalentemente nelle persone di colore; documentata anche in molte altre razze e/o gruppi etnici

Quantità negli eterozigoti: 25–45%; in omozigosi dà luogo a patologia emolitica lieve; la SCD è clinicamente significativa

HbD-Punjab ß121(GH4) GlugGln

GAAgCAA Può essere separata da HbA a pH alcalino, ha posizione simile a HbS

Può essere separata da HbA

Stabile Riscontrata principalmente nella valle del fiume Indo (Punjab, Pakistan) e nell’India nord-occidentale; diffusa in Cina, nel Regno Unito, nei Paesi Bassi, in Australia, in Grecia, nei paesi balcanici e in Turchia

Quantità negli eterozigoti: ~40%; riscontrata in combinazione con HbS, HbC, HbE, β-tal, α-tal e in stato di omozigosi; grave malattia a cellule falciformi quando co-ereditata con HbS; la HbD-Punjab è anche nota come HbD-Los Angeles

HbE ß26(B8) GlugLys

GAGgAAG Può essere separata da HbA a pH alcalino (ha la posizione di HbA2; separata da HbA2 mediante elettroforesi capillare)

Può essere separata da HbA, eluisce con HbA2

Lievemente instabile

Diffusa nell’estremo oriente, anche in combinazione con varie varianti di Hb e con diversi alleli β-tal (tal major)

Quantità negli eterozigoti (con 4 geni α): ~30%; microcitosi nel 90% circa degli eterozigoti; la microcitosi è più marcata negli omozigoti, associata ad anemia da lieve a moderata; caratteristiche cliniche della talassemia intermedia negli eterozigoti composti HbE/β-tal

HbG- Philadelphia

α68(E17) AsngLys

AACgAAA Può essere separata da HbA a pH alcalino, ha posizione simile a HbS

Può essere separata da HbA

Stabile La più comune variante della catena α negli afroamericani e negli afrocaraibici; presente anche nel Nord Italia e in Sardegna e in alcune famiglie cinesi

La quantità negli eterozigoti può variare dal 20–25% al 40–45% se associata ad α-tal 2 (delezione 3 .7 kb); la co-presenza con HbS e/o HbC è piuttosto comune

HbO-Arabia β121(GH4) GlugLys

GAAgAAA Può essere separata da HbA a pH alcalino, ha posizione simile a HbA2

Può essere separata da HbA

Stabile Riscontrata principalmente nei paesi balcanici, nella penisola arabica, in Egitto e in tutto l’emisfero occidentale

Quantità negli eterozigoti: 30–40%; riscontrata in combinazione con HbS, HbC, α-tal, β-tal e in stato di omozigosi; grave anemia a cellule falciformi in combinazione con HbS

Hb Lepore- Boston

ibrido dβ (d fino a 87; β116)

–– Può essere separata da HbA a pH alcalino, ha posizione simile a HbS

Può essere separata da HbA, ha posizione parzialmente sovrapposta a HbA2

Stabile Italia, Romania, paesi balcanici, Grecia, Turchia, Cipro, Giamaica, Cuba, Regno Unito, Australia e Messico

Quantità negli eterozigoti: 7–13%, riscontrata in combinazione con HbS, HbC, β-tal; anche in omozigosi; disturbo falcemico relativamente lieve in combinazione con HbS

*A scambio cationico

Tabella 4-2: principali caratteristiche delle più comuni varianti emoglobiniche .

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TO R N A A L S O M M A R I O

POTENZIALE IMPATTO DELLE VARIANTI DI Hb SUL DOSAGGIO DI HbA1c Come considerazione generale, si può dire che l’interferenza dovuta alla presenza di una variante emoglobinica può essere suddivisa in vari contributi: • L’effetto preanalitico, ossia l’impatto dovuto all’effetto potenziale che la variante può avere sulla

normale fisiologia degli eritrociti• La vera e propria interferenza analitica delle varianti emoglobiniche, valutata mediante lo specifico

metodo analitico utilizzato per misurare la HbA1c• La problematica postanalitica, relativa alla refertazione del risultato della determinazione di HbA1c

Inoltre si deve sempre tenere conto del fatto che, nel caso di omozigosi o doppia eterozigosi per una variante emoglobinica (come nei soggetti affetti da anemia a cellule falciformi omozigoti per HbS oppure in stato HbSC), la determinazione della HbA1c non è fattibile poiché non è presente HbA e devono essere utilizzati altri indicatori del controllo glicemico (come la determinazione delle proteine plasmatiche glicate o della glicemia a digiuno).

Quando si sospetta o è accertata la presenza di anemia emolitica, la durata di vita degli eritrociti può essere ridotta e pertanto l’interpretazione del valore della HbA1c deve essere ritenuto sospetto; conseguentemente devono essere utilizzati metodi alternativi per confermare le interpretazioni cliniche. Nei portatori di HbS e HbD-Punjab la durata di vita degli eritrociti è generalmente normale, mentre per lo stato HbAC eterozigote sono stati documentati alcuni casi con riduzione della durata di vita degli eritrociti.4-12

Un altro punto da considerare riguarda le possibili differenze nella cinetica della glicazione tra l’emoglobina A umana (emoglobina "di tipo selvatico") e l’eventuale variante emoglobinica. È molto difficile reperire dati riguardanti questo argomento. Tuttavia, risultati recenti sembrano indicare che, per ragioni non chiare, la HbS possiede una glicazione più elevata rispetto alla HbA nei soggetti che presentano HbAS. Questo fenomeno ha un potenziale impatto sull’uso di metodi che si basano sulla cromatografia di affinità per la misurazione di HbA1c nei portatori di HbS. Sono necessari ulteriori studi per determinare se l’entità della glicazione di altre varianti emoglobiniche comuni, come HbC e HbE, sia differente da quella di HbA.

Al fine di affrontare il secondo punto, risulta pratico raggruppare i metodi per la determinazione di HbA1c secondo i diversi principi su cui si basano, essenzialmente nel modo seguente:4-14

• Metodi immunochimici o enzimatici – Nei metodi immunochimici sono impiegati anticorpi diretti contro gli ultimi 4–10 amminoacidi delle catene β. Nei metodi enzimatici vengono valutati prodotti di scissione di fruttosil-peptidi. Le eventuali varianti emoglobiniche che presentano mutazioni nella struttura primaria che viene analizzata (come HbS e HbC) possono quindi potenzialmente influenzare il risultato della determinazione di HbA1c. Al contrario, se la sostituzione amminoacidica è molto lontana da questa regione b-terminale, (HbD-Punjab, HbE), è molto improbabile che la variante emoglobinica interferisca con la determinazione di HbA1c.

• Metodi di separazione basati sulla carica netta – All’interno di questa categoria sono inclusi i metodi di HPLC a scambio ionico (principalmente a scambio cationico), nonché i vari metodi basati sull’elettroforesi, il più recente dei quali è l’elettroforesi capillare. All’interno di questa categoria sono presenti anche alcune altre tecniche utilizzate raramente (come le minicolonne a scambio ionico, l’elettroforesi su gel di agarosio e l’isoelettrofocalizzazione). Tutte le varianti emoglobiniche con un punto isoelettrico diverso da quello di HbA (7,20) possono teoricamente essere separate utilizzando una tecnica basata sulla differenza di carica netta. Ciò darebbe luogo, nel caso dei cromatogrammi HPLC, alla presenza di alcuni picchi aggiuntivi, che possono interferire con la determinazione della HbA1c a seconda delle sovrapposizioni parziali o totali con i picchi emoglobinici presenti in soggetti sani non portatori. A seconda della variante emoglobinica, le interferenze possono causare diversi effetti.

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TO R N A A L S O M M A R I O

In generale la HbA1c è espressa relativamente all’emoglobina totale, ossia,

(HbA1c)% = (HbA1c) x 100/(Hb totale)

Se la variante emoglobinica (HbX) e il suo addotto glicato (HbX1c) migrano separatamente da HbA e HbA1c rispettivamente, allora la presenza di una quantità definita di HbX nel campione ha effetti trascurabili sulla quantificazione di HbA1c. In effetti la maggior parte degli attuali sistemi HPLC ed EC calcolano l’abbondanza relativa di HbA1c secondo la formula:

(HbA1c)corretta, % = (HbA1c) x 100/([Hb totale] – [HbX])*

Se al contrario HbX e/o HbX1c non sono perfettamente separate da HbA e HbA1c, allora la presenza della variante emoglobinica può interferire nella determinazione di HbA1c causando valori di concentrazione di HbA1c falsati, aumentati o diminuiti.

Le più comuni varianti emoglobiniche (HbS e HbC) sono solitamente ben separate e generalmente non interferiscono con la determinazione di HbA1c.4-13 Al contrario HbD e HbE possono interferire, a seconda del metodo utilizzato.4-14

• Metodi di cromatografia di affinità – Questa categoria include alcuni sistemi HPLC e point-of-care che utilizzano come principio la separazione dei residui di fruttosio legati alla molecola di emoglobina per mezzo di una resina di amminofenil boronato. In effetti questi metodi misurano l’emoglobina glicata totale, non la HbA1c. Nondimeno essi sono generalmente ben allineati ai metodi standardizzati per la determinazione di HbA1c e sono più affidabili per quel che riguarda l’interferenza dovuta alla presenza di varianti emoglobiniche.

È stato pubblicato un riassunto delle possibili interferenze analitiche dovute alle più comuni varianti emoglobiniche nelle tecniche analitiche più utilizzate per la determinazione della HbA1c.4-15 Inoltre si deve ricordare che la HbF può aumentare in modo variabile in associazione con varie sindromi talassemiche e nei pazienti affetti da anemia a cellule falciformi. Solitamente concentrazioni di HbF <5% non hanno un effetto significativo sulla maggior parte dei metodi cromatografici. Inoltre l’interferenza è molto rara nei metodi immunochimici poiché le catene g di HbF presentano una immunoreattività da scarsa a nulla con la maggior parte degli anticorpi utilizzati in tali dosaggi. I campioni che presentano una HbF aumentata possono essere privi delle catene β idonee per una valutazione appropriata della HbA1c con quei metodi che non sono predisposti per rivelare e refertare la variante HbF. Ulteriori informazioni possono essere reperite dall’NGSP.4-15

*Tale correzione è efficace se HbX migra/eluisce dopo HbA e generalmente non viene eseguita se HbX migra/eluisce prima di HbA .

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TO R N A A L S O M M A R I O

Infine, per discutere il terzo punto (refertazione), si possono dare alcune indicazioni, evidenziate in un documento pubblicato nel 20114-16, che sono le seguenti:

1. Se si utilizza la HPLC o tecniche di separazione simili (EC) si deve analizzare attentamente il cromatogramma (elettroferogramma) per dare un senso a tracciati inusuali dovuti alla presenza di una variante emoglobinica. Quando si riscontra un tracciato anomalo, si presentano due possibilità:

a) Il laboratorio non possiede gli strumenti per eseguire ulteriori accertamenti al fine di chiarire la natura della variante emoglobinica. In questa circostanza si raccomanda assolutamente di non refertare alcun valore di HbA1c e di aggiungere un commento quale "La HbA1c non è risultata misurabile a causa della presenza di una variante emoglobinica; si invita ad effettuare ulteriori accertamenti per caratterizzare la variante".

b) Il laboratorio è in grado di eseguire test aggiuntivi. Se si riscontra una HbS, HbC, HbD, HbE o Hb O-Arabia allora, valutando le informazioni sopra riportate e i dati della Tabella 4-2, il risultato della determinazione di HbA1c può essere refertato solamente se non esiste un’interferenza da parte della variante sul metodo utilizzato per la determinazione di HbA1c. Se la variante appartiene ad altri tipi più rari, allora è difficile dare consigli pratici, se si possiedono molte poche informazioni sulla possibile comorbidità con l’anemia emolitica o altre patologie. Data la persistenza ereditaria della Hb fetale, si devono valutare con cautela i campioni che presentano HbF aumentata quando si utilizzano dosaggi che potrebbero esserne influenzati, come il dosaggio immunometrico e i metodi di affinità con boronato.

2. Quando la concentrazione di HbA1c è <20 mmol/mol (<4,0%) o >142 mmol/mol (>15,0%) oppure la concentrazione è in forte disaccordo con altre informazioni cliniche o di laboratorio relative al controllo glicemico, come la glicemia a digiuno, allora si deve sospettare la presenza di una variante emoglobinica.

3. In tutti casi in cui non può essere determinata la HbA1c è necessario consigliare al medico l’uso di altri esami biochimici per valutare lo stato glicemico. Potrebbe essere di aiuto al medico la determinazione dell’albumina glicata mediante il recente dosaggio enzimatico da poco sottoposto a valutazione.4-17,4-18

IMPATTO POTENZIALE DELLE SINDROMI TALASSEMICHE SUL DOSAGGIO DI HbA1cÈ ben noto che l’entità della formazione di emoglobina glicata è correlata alle concentrazioni variabili di glucosio nel sangue nel corso della normale durata di vita di un eritrocita. Pertanto qualsiasi condizione che può alterare la sopravvivenza degli enterociti può invalidare l’interpretazione della HbA1c come misura accurata e integrata del controllo glicemico nei precedenti 60–90 giorni. In effetti la presenza di anemia da carenza di ferro, che è associata a un’aumentata sopravvivenza degli eritrociti, può produrre valori di HbA1c superiori a quelli che ci si aspetta dal controllo glicemico medio.4-19 Al contrario, la presenza di anemie emolitiche può dare luogo a valori di HbA1c inferiori, dovuti a una diminuita sopravvivenza degli eritrociti.4-21

Nel caso delle sindromi talassemiche possono essere presenti anemie gravi in varie forme (talassemia major) e un’anemia più lieve può essere riscontrata nelle forme minor. Esistono pochi dati sulla sopravvivenza degli eritrociti nella talassemia minor, ma è stata dimostrata una significativa riduzione della sopravvivenza degli eritrociti nei portatori di β-talassemia.4-21 Tuttavia, Polage et al4-22 non sono stati in grado di dimostrare, nei soggetti non affetti da diabete o con una forma lieve di iperglicemia, alcun effetto della condizione di portatori di β-talassemia sull’emoglobina glicata misurata mediante varie tecniche di separazione e immunochimiche. Solamente con una tecnica (metodi Synchron) è stato rilevato un effetto significativo, probabilmente correlato a una non linearità della misurazione di HbA1c nell’intervallo di bassa emoglobina totale. Purtroppo non esistono dati che provano che, tra i pazienti diabetici, i portatori di β-talassemia possono presentare risultati alterati per la determinazione dell’emoglobina glicata.

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TO R N A A L S O M M A R I O

DERIVATI EMOGLOBINICI E LORO POTENZIALE INTERFERENZA NEL DOSAGGIO DI HbA1cEssenzialmente si possono formare tre addotti emoglobinici come modificazioni post-traduzionali dell’emoglobina umana. In particolare, si possono formare addotti emoglobinici dalla reazione dell’emoglobina umana con acido isocianico (Hb carbammilata), l’addotto con composti acetilati (Hb acetilata) e quello formato dalla reazione dell’emoglobina con il glutatione (glutationil-Hb) (Figura 4-2).

(Hb) – NH2

+N=C=O

H

(Hb) – NH2

+HO O

O

O

CH3

(Hb) ß93 Cys

SH+

HSO

HOOC

NH2

COOHNH

HN

O

(Hb) – NH

– C – NH2

O

(Hb) – NH

C

O

CH3

HO O

OH

+

(Hb) ß93 Cys

S

SOHOOC

NH2

COOHNH

HN

O

A: Hb carbammilata

B: Hb acetilata

C: Hb glutationilata

Figura 4-2: schemi di reazione per la formazione di A: Hb carbammilata, B: Hb acetilata, C: glutationil-Hb .

Hb CARBAMMILATAI gruppi amminici liberi delle catene β dell’emoglobina umana possono reagire con l’acido isocianico, un prodotto formato dalla decomposizione spontanea dell’urea o dall’ossidazione del tiocianato da parte della mieloperossidasi.4-23 Lo schema di reazione è illustrato nella Figura 4-2 e il prodotto di tale reazione è l’emoglobina carbammilata (cHb). La cHb è stata rivelata per la prima volta nei pazienti uremici e può raggiungere il 2% dell’emoglobina totale,4-24 aumentando in correlazione con il grado di esposizione a elevate concentrazioni di urea nel sangue. In effetti è stato precedentemente documentato che una concentrazione di urea di 1 mmol/L è associata alla formazione dello 0,063% di Hb carbammilata in vivo.4-25 In effetti alcuni autori hanno proposto che la cHb potrebbe essere utile per differenziare i pazienti affetti da insufficienza renale acuta o cronica.4-26 Alcune precedenti pubblicazioni hanno suggerito un’interferenza analitica da parte della cHb sulla determinazione di HbA1c. Un articolo del 2013 ha mostrato che una cHb aumentata non comportava differenze clinicamente significative nei metodi valutati.4-27 È stato mostrato che il problema di una riduzione marcata della durata di vita degli eritrociti nei pazienti con insufficienza renale rappresenta un elemento da tenere in considerazione per i risultati della determinazione di HbA1c in tali pazienti.4-28

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Hb ACETILATAGli stessi gruppi amminici N-terminali che reagiscono con il glucosio possono reagire con agenti acetilanti per formare un acetil-amminoderivato mediante il meccanismo illustrato nella Figura 4-2. L’aspirina (acido acetilsalicilico) è un farmaco molto comune e nei pazienti diabetici si raccomanda una bassa dose di aspirina per la prevenzione della malattia cardiovascolare sia primaria che secondaria.4-29 Alcuni studi hanno evidenziato una potenziale interferenza dell’aspirina nei dosaggi di HbA1c, specialmente nei metodi di HPLC ed elettroforetici,4-30 poiché la Hb acetilata possiede una carica elettrica e una mobilità in queste tecniche essenzialmente molto simili a quelle di HbA1c. Tuttavia, uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, effettuato piuttosto di recente su 12 pazienti che hanno assunto una dose di aspirina di 300 mg al giorno o una dose identica di placebo per otto settimane, non è stato in grado di confermare questi risultati.4-31 Considerando che la dose preventiva di aspirina raccomandata è pari a 75–162 mg al giorno, si può concludere che normalmente in vivo l’aspirina non interferisce con la determinazione di HbA1c.

GLUTATIONIL-HbÈ ben noto che la conservazione degli eritrociti per un periodo di tempo prolungato nelle condizioni dello stoccaggio di sangue può causare l’accumulo di danni irreversibili degli eritrociti, che in ultima istanza potenzia l’emolisi e lo stress ossidativo dopo trasfusione.4-33,4-34 Le specie reattive dell’ossigeno (ROS) che si formano durante la conservazione degli eritrociti sono i principali responsabili delle modificazioni ossidative caratteristiche dell’emoglobina e della membrana degli eritrociti. Esistono numerosi sistemi enzimatici che possono effettuare la detossificazione da tali specie reattive dell’ossigeno. La concentrazione del tripeptide glutatione ridotto (g-1-glutammil-1-cisteinilglicina: GSH) rappresenta il fattore limitante principale di questi processi enzimatici, i quali richiedono anche alcuni altri agenti riducenti, come la vitamina E, la vitamina C e il β-carotene.4-35 Normalmente il glutatione ridotto è abbondante negli eritrociti, ma può essere ossidato alla sua forma disolfuro (GSSG) in risposta a una perturbazione ossidativa. Tuttavia, il GSSG è rapidamente ridotto dall’azione della glutatione reduttasi4-36, producendo nuovamente GSH.

Se il GSSG si accumula all’interno dell’eritrocita, può creare addotti emoglobina-glutatione mediante reazioni di scambio tiolo-disolfuro sui residui 93β Cys, secondo lo schema illustrato nella Figura 4-2. Quindi, lo stress ossidativo può essere indicato, oltre che dal rapporto di GSH su GSSG, dal contenuto di Hb glutationilata ed è stato dimostrato che nel diabete e nelle iperlipidemie concentrazioni aumentate di glutationil-Hb con elevata affinità per l’ossigeno e bassa cooperatività possono portare a un apporto ridotto di ossigeno ai tessuti.

Nella maggior parte dei sistemi HPLC a scambio ionico, la glutationil-Hb eluisce prima della HbA, formando un altro derivato secondario (HbA1d o HbA3), che è solitamente ben risolto dalla HbA1c.4-37 Si sa molto poco riguardo alla possibile interferenza della HbA1d sulla determinazione di HbA1c mediante metodi immunochimici, ma tale interferenza non sembra probabile poiché il sito di legame del glutatione con le catene β dell’emoglobina umana è molto lontano dai residui N-terminali della catena β dove si lega il glucosio.

DISCUSSIONELa possibile interferenza dovuta ai vari meccanismi summenzionati deve essere presa in considerazione attentamente dal medico che richiede il test di laboratorio oppure dal professionista che si occupa di analisi di laboratorio che esegue tale test. Infatti il risultato della determinazione di laboratorio deve fornire un numero preciso e accurato, insieme a una interpretazione chiara. Se il paziente è portatore di una variante emoglobinica è necessario verificare se tale variante può interferire con la determinazione di HbA1c. La scoperta di una variante emoglobinica si verifica piuttosto di frequente durante la determinazione della HbA1c ed è ancora opinabile se, in questi casi, anche tale scoperta debba essere refertata.

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TO R N A A L S O M M A R I O

1. L’emoglobinopatia è un disturbo ematologico causato da un’alterazione della struttura primaria geneticamente determinata dell’emoglobina (nella catena α, β, g e/o d), che produce emoglobine varianti e spesso causa anemia. Tipicamente le emoglobinopatie sono ereditate con modalità autosomica. La variante emoglobinica più comune e meglio conosciuta, specialmente in Africa, nel Nord America e nell’Europa centrale, è:

A HbC

B HbS

C HbD

D HbE

2. Le talassemie sono anomalie della produzione di catene globiniche, la più comune/le più comuni delle quali è/sono:

A Le talassemie α e β

B HbC e HbS

C HbE

D HbA1c

3. La maggior parte dei laboratori effettua lo screening per le emoglobinopatie mediante cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC) o elettroforesi zonale capillare (EC). Il singolo esame di laboratorio più utile richiesto per identificare appropriatamente le emoglobinopatie è un emocromo completo ben eseguito, costituito dalle seguenti opzioni, ad esclusione di:

A RBC, Hb

B MCV, MCH

C RDW

D Colorazione cellulare

4. I seguenti addotti emoglobinici si possono formare come modificazioni post-traduzionali dell’emoglobina umana, ad esclusione di:

A Addotto carbammilato

B Addotto acetilato

C Addotto glutationilato

D Addotto idrossilato

5. L’interferenza dovuta alla presenza di una variante emoglobinica può essere suddivisa in tre contributi, che includono tutte le seguenti opzioni, ad esclusione di:

A Effetti preanalitici, come quelli che hanno un impatto sulla normale fisiologia degli eritrociti

B Interferenza analitica della variante emoglobinica che ha un impatto sullo specifico metodo analitico utilizzato per misurare la HbA1c

C Interferenza analitica originata dal volume del campione

D Problematica postanalitica relativa alla refertazione del risultato della determinazione di HbA1c

6. La HbA1c può essere usata per la diagnosi nei pazienti in cui si riscontrano le seguenti condizioni:

A Diabete di tipo 1

B Gravidanza

C Turnover degli eritrociti normale

D Funzionalità renale anomala

DOMANDE DI REVISIONE: SEZIONE 4

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TO R N A A L S O M M A R I O

OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO

Al termine di questa sezione si sarà in grado di:

• Descrivere la storia della standardizzazione di HbA1c

• Spiegare i programmi IFCC e NGSP

• Identificare i fattori chiave che influenzano l’uso della HbA1c

• Descrivere i cambiamenti delle prestazioni dei dosaggi di HbA1c avvenuti nel tempo

SEZIONE 5STANDARDIZZAZIONE IFCC E PROGRAMMI DI CERTIFICAZIONE NGSP

46GUIDA DIDATTICA: STANDARDIZZAZIONE IFCC E PROGRAMMI DI CERTIFICAZIONE NGSP

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COLLEGAMENTO TRA HbA1c ED ESITI CLINICI DI DIABETEPrima del 1993 la HbA1c era utilizzata in modo generale per stimare il livello di controllo glicemico. Una HbA1c più bassa era indice di un glucosio medio più basso, ma non esistevano specifici obiettivi di trattamento e non vi era l’unanime convinzione che un controllo più severo dei livelli di glucosio portasse a esiti migliori. Solamente nel 1993 con la pubblicazione dei risultati dello studio DCCT si stabilì solidamente l’importanza della HbA1c come indicatore sia della glicemia media che dei corrispondenti rischi relativi agli esisti.5-1

Il DCCT è stato uno studio prospettico, a lungo termine, randomizzato, che ha fornito prove definitive del fatto che uno stretto controllo glicemico riduce significativamente il rischio di complicazioni diabetiche a lungo termine e che ha permesso di fissare obiettivi di trattamento specifici per la HbA1c. Subito dopo la pubblicazione dei risultati del DCCT, la ADA raccomandò una HbA1c di 7% e un limite di azione di 8% come obiettivo di trattamento generale per tutti i pazienti affetti da diabete.5-2 Tuttavia, la mancanza di standardizzazione rese difficile per gli operatori sanitari l’uso di questi obiettivi relativi alla HbA1c nella pratica clinica, dato che non esisteva il modo di sapere come i risultati dei test dei loro pazienti fossero confrontabili con quelli del DCCT. I risultati dei test di idoneità del 1993 mostrarono che esisteva una variabilità considerevole all’interno dei metodi e tra i metodi e che erano presenti differenze negli analiti refertati (HbA1c, HbA1 o GHB totale). Ad esempio, un risultato di 7% secondo un metodo poteva corrispondere a 9% secondo un altro metodo.

Considerando l’impatto positivo che la standardizzazione delle determinazioni di HbA1c avrebbe avuto per la cura dei pazienti diabetici, nell’aprile 1993 il comitato per gli standard della AACC (American Association for Clinical Chemistry) istituì un sottocomitato per la standardizzazione della HbA1c. L’obiettivo del sottocomitato era sviluppare un piano per la standardizzazione della HbA1c che in ultima istanza avrebbe permesso ai singoli laboratori clinici di mettere in relazione i risultati dei loro dosaggi di HbA1c con quelli del DCCT, nel quale erano state stabilite le relazioni tra i valori di HbA1c da una parte e la glicemia media e i rischi di sviluppo di complicazioni diabetiche croniche dall’altra.

Sebbene il DCCT fu completato nel 1993, i sistemi per il dosaggio di HbA1c dello studio erano destinati a rimanere in essere come parte di un altro studio a lungo termine sul diabete, sponsorizzato dai National Institutes of Health, chiamato Epidemiology of Diabetes Interventions and Complications (EDIC), che continua a seguire i soggetti del DCCT.5-3 Per avviare un programma di standardizzazione in tempi ragionevoli, il sottocomitato raccomandò che il metodo di riferimento del DCCT fosse utilizzato come metodo comparativo designato per la standardizzazione mentre si stavano eseguendo studi per valutare altri metodi di riferimento candidati e per sviluppare standard di HbA1c purificata. La standardizzazione dei risultati della determinazione di HbA1c ai valori del DCCT avrebbe permesso ai singoli laboratori clinici di fornire ai pazienti diabetici e ai loro operatori sanitari risultati di test che potevano essere messi direttamente in relazione con i rischi di sviluppo e/o progressione di complicazioni diabetiche croniche. Sebbene il DCCT avesse incluso solamente pazienti affetti da diabete di tipo 1, anche i risultati di uno studio simile su pazienti affetti da diabete di tipo 2, l’UKPDS,5-4 mostrarono una relazione diretta tra il controllo glicemico (misurato mediante la HbA1c) e il rischio di complicazioni. Fortunatamente i risultati degli studi DCCT e UKPDS erano collegati allo stesso metodo comparativo designato.

Fu riconosciuto che i risultati di determinazione della HbA1c refertati secondo tale metodo comparativo designato non erano valori "veri", poiché era noto che esisteva una certa non-specificità nella misurazione. Tuttavia furono considerate di primaria importanza la convenienza, la coerenza nel tempo e una relazione diretta con gli esiti clinici. La stabilità a lungo termine di questo metodo è mostrata nella Figura 5-1.

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TO R N A A L S O M M A R I O

12,0

11,0

10,0

9,0

8,0

7,0

6,0

5,0

4,0

HbA

1c%

med

ia, %

1984

1985

1986

1987

1988

1989

1990 1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

LTQCHPLC QC int. bassoHPLC QC int. medioHPLC QC int. elevatoBlu QC CNRosso QC CN95 QC int. basso95 QC int. elevato95 QC int. medio

Figura 5-1: HbA1c media misurata dal CPRL (Central Primary Reference Laboratory) per 9 diversi campioni di controllo della qualità (ciascuno indicato con un colore) . Ciascun punto rappresenta la media di 34–653 misurazioni eseguite nel corso di ciascun anno di utilizzo . Per ciascun punto il CV era < 3% . (R . Little)

I primi sforzi per standardizzare i risultati di determinazione della HbA1c tra laboratori clinici utilizzando un "calibratore universale" si dimostrarono fattibili per alcuni metodi di dosaggio.5-5 Tuttavia, studi successivi mostrarono che un tale approccio, benché semplice, non funzionava per alcuni dei metodi esistenti, a causa di effetti matrice dovuti dall’uso di materiali trattati.5-6 Poiché un obiettivo importante era permettere la standardizzazione della maggior parte dei metodi di dosaggio esistenti e futuri, fu proposto che la standardizzazione rispetto ai risultati del DCCT potesse essere eseguita nel modo migliore a livello della produzione, in corrispondenza della quale si potevano determinare i materiali e il modello di standardizzazione più appropriati per ciascun metodo. Fu anche proposto che la verifica della standardizzazione del metodo dovesse basarsi su confronti con il metodo comparativo designato eseguiti su campioni freschi, per evitare qualsiasi potenziale effetto matrice dovuto all’uso di materiali trattati.

RETE E PROCESSO DI CERTIFICAZIONE NGSPIl National Glycohemoglobin Standardization Program ha avviato l’implementazione delle raccomandazioni del sottocomitato AACC nel 1996. L’approccio dell’NGSP alla standardizzazione del dosaggio di HbA1c è stato modellato sul U.S. Cholesterol Reference Method Laboratory Network program.5-7 Il programma per il colesterolo si basava sull’esecuzione di confronti con il metodo di riferimento per il colesterolo eseguiti sullo stesso campione suddiviso e in tal modo forniva ai produttori un mezzo per stabilire la tracciabilità al sistema nazionale di riferimento per il colesterolo. Per la standardizzazione della HbA1c, una rete di laboratori di riferimento è sottoposta a calibrazione rispetto a valori di riferimento del DCCT.

La rete e il processo NGSP sono mostrati nella Figura 5-2. L’NGSP è costituito da un comitato direttivo e da una rete di laboratori di riferimento (Laboratory Network) che include il Central Primary Reference Laboratory (CPRL) e i laboratori di supporto Primary Reference Laboratories (PRL) e Secondary Reference Laboratories (SRL). Il comitato direttivo lavora con il Laboratory Network per implementare il programma di standardizzazione della HbA1c secondo il protocollo. Il comitato è responsabile del controllo dei cambiamenti di politica/protocollo e della revisione delle relazioni trimestrali presentate dal Laboratory Network.

La rete NGSP è costituita da un nucleo amministrativo (NETCORE), un CPRL, due PRL (uno negli Stati Uniti e uno in Europa) e otto SRL (tre negli Stati Uniti, quattro in Europa, e uno in Asia). Il NETCORE coordina il processo di certificazione e riferisce direttamente al comitato direttivo. Il NETCORE analizza tutti i dati di certificazione e di monitoraggio della rete, invia relazioni al comitato direttivo e rilascia certificati a laboratori e produttori. La distribuzione dei laboratori della rete NGSP è mostrata in Figura 5-3.

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TO R N A A L S O M M A R I O

Comitato direttivo NGSP

Nucleo amministrativo (NETCORE)

CPRL

Laboratory Network

dell'NGSP

PRL PRL

SRL SRL

SRL SRLMonitoraggio della

rete NGSP (mensile)

Rete di laboratori

IFCC

Monitoraggio della rete IFCC/NGSP

(2 volte all'anno)

Certificazione Test di idoneità

Sangue fresco Sangue fresco Sangue fresco

Certificazione di produttori e laboratori (livelli I e II)

Laboratorio clinico comune

21Calibrazione

3

NGSP = National Glycohemoglobin Standardization ProgramCPRL = Central Primary Reference Laboratory PRL = Primary Reference Laboratory SRL = Secondary Reference Laboratory5-8

Figura 5-2: rete e processo NGSP .

= PRL NGSP= SRL NGSP= Approvato da IFCC= Candidato all'entrata nella rete IFCC

Columbia, MO, USAMinneapolis, MN, USA

Atlanta, GA, USA

Boston, MA, USA

Norwood, MA, USA Milano, ItaliaBonn, Germania

Reims, FranciaZwolle, Paesi Bassi Winterswijk, Paesi Bassi

Dusseldorf, GermaniaPenzberg, Germania

Chungcheongbuk-do, Corea del Sud

Calcutta, India

Pechino, Cina

Shanghai, Cina

Tokyo, GiapponeKawasaki, GiapponeKanagawa, Giappone

San Paolo, Brasile

Figura 5-3: mappa che mostra la distribuzione dei laboratori delle reti NGSP e IFCC .

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TO R N A A L S O M M A R I O

Il CPRL e i PRL eseguono le analisi di HbA1c utilizzando lo stesso metodo di dosaggio a scambio cationico Bio-Rex 70; il CPRL è situato nell’originario laboratorio di riferimento del DCCT. Il CPRL fissa la calibrazione iniziale per il programma di standardizzazione sulla base del punto di riferimento utilizzato nel DCCT. In tal modo i risultati clinici possono corrispondere a quelli riportati negli studi DCCT/EDIC e UKPDS, cosa che faciliterebbe l’uso degli obiettivi di trattamento raccomandati dalla ADA. I PRL servono da laboratori di supporto per il CPRL con il fine di assicurare che la funzione del CPRL continui senza interruzione, nel caso in cui il CPRL non sia più in grado di soddisfare le esigenze del programma. I PRL e SRL calibrano i loro dosaggi in modo che i risultati provenienti da campioni ematici freschi corrispondano a quelli del CPRL. Il CPRL gestisce un programma di monitoraggio mensile per tutti i laboratori della rete NGSP utilizzando campioni riuniti di sangue intero congelato. Gli SRL lavorano direttamente con i produttori per assisterli nella calibrazione dei loro metodi e per fornire dati per la certificazione di tracciabilità al DCCT. Gli SRL utilizzano metodi commerciali molto precisi che fanno uso di diversi principi metodologici (inclusi HPLC a scambio ionico, HPLC di affinità con boronato, dosaggio immunometrico ed elettroforesi capillare), ma utilizzano uno schema di calibrazione che è differente da quello fornito dal produttore. Gli specifici criteri di certificazione e di monitoraggio della rete sono descritti sul sito web dell’NGSP.5-8

La Figura 5-2 mostra anche i tre principali processi dell’NGSP. I laboratori della rete NGSP possono assistere i produttori nella calibrazione dei loro metodi. Una volta calibrati, i metodi possono essere certificati dal produttore. Il processo di certificazione è costituito dallo scambio di 40 campioni di sangue intero fresco o congelato, che rappresentano un intervallo specifico di valori di HbA1c, tra un produttore e un SRL NGSP. Al produttore viene conferito un certificato di tracciabilità se 37 su 40 dei singoli risultati rientrano nel 6% dalle medie dell’SRL sui duplicati. Ogni certificato vale per un anno; pertanto, per mantenere una certificazione continua, il processo di certificazione deve essere ripetuto annualmente. Un riassunto dei criteri di certificazione e monitoraggio NGSP è mostrato nella Tabella 5-1.

TIPO DI CERTIFICAZIONE

N. DI CAMPIONI CONFRONTATI

CRITERI DI CERTIFICAZIONE

MONITORAGGIO (SÌ/NO)

PROTOCOLLO DI MONITORAGGIO

Produttore 40 37–40 risultati rientrano nel ±6% No –

Laboratorio di livello I 40 38–40 risultati rientrano nel ±6% Sì 10 campioni

trimestralmente

Laboratorio di livello II 40 37–40 risultati rientrano nel ±6% No –

Tabella 5-1: criteri del programma di certificazione e monitoraggio NGSP .

I criteri sia di certificazione che di monitoraggio sono divenuti più stringenti nel corso degli anni dall’avvio dell’NGSP e sono stati resi più severi arrivando al ±6% nel 2014. I singoli laboratori possono essere certificati se lo desiderano. Questi laboratori solitamente partecipano a studi clinici o eseguono test in volumi elevati. Il processo di certificazione per i laboratori è uguale a quello dei produttori, ma esistono due livelli di certificazione per i laboratori. I criteri per la certificazione di livello II sono gli stessi applicati ai produttori. La certificazione di livello I è più stringente: 38 dei 40 singoli risultati devono rientrare nel 6% dalla media dell’SRL. I laboratori di livello I sono inoltre monitorati trimestralmente usando lo stesso processo e gli stessi criteri utilizzati per il monitoraggio mensile dei laboratori della rete NGSP.

Il terzo componente del processo NGSP è la vigilanza sui dati di idoneità per la HbA1c del College of American Patholgists (CAP). Tale processo è critico per monitorare la riuscita dell’NGSP, assicurandosi che i comuni laboratori clinici (non solamente i grandi laboratori certificati) forniscano risultati che sono tracciabili alle raccomandazioni e ai dati sugli esiti clinici. L’indagine CAP GH-2 viene eseguita due volte all’anno e vi hanno partecipato circa 3.000 laboratori nel 2013. A iniziare dal 1998 sono stati utilizzati campioni di sangue intero fresco e sono stati assegnati valori bersaglio mediante la media degli SRL NGSP. La valutazione è diventata basata sull’accuratezza nel 2007 e da allora i criteri di accettabilità sono stati gradualmente resi più stringenti, fino ad arrivare al limite attuale di ±6% per l’obiettivo NGSP nel 2013. Ciò spinge ulteriormente i laboratori e i produttori a migliorare la qualità dei test per la HbA1c a mano a mano che si progredisce lungo la via dell’aumento dell’accuratezza dei risultati dei test.

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TO R N A A L S O M M A R I O

LA RETE IFCC FORNISCE UN PUNTO DI RIFERIMENTO A LIVELLO MONDIALE Nel 1995 fu istituito il gruppo di lavoro IFCC sulla standardizzazione della HbA1c, che includeva membri del comitato direttivo dell’NGSP, come pure soggetti coinvolti in altri programmi di standardizzazione nazionali (Svezia e Giappone). Il gruppo iniziò a sviluppare un metodo di riferimento di ordine superiore e materiali di riferimento che soddisfacessero i requisiti della direttiva europea sui dispositivi diagnostici in vitro (IVD) secondo cui doveva essere dimostrata tracciabilità a metodi di riferimento di ordine superiore.5-9 Il metodo IFCC sarebbe stato altamente specifico per HbA1c e avrebbe quindi fornito una stima accurata dei "valori veri" con tracciabilità documentata e priva di lacune ai materiali di riferimento puri. La IFCC ha istituito una rete di laboratori che include19 laboratori/metodi al momento della redazione di questo documento.

La distribuzione dei laboratori approvati dalla IFCC e candidati all’entrata nella rete è mostrata nella Figura 5-3, insieme alla distribuzione dei laboratori NGSP. Ciascun laboratorio della rete IFCC utilizza uno o entrambi i due metodi approvati dalla IFCC, HPLC-spettroscopia di massa e HPLC-elettroforesi capillare,5-10,5-11 i quali danno risultati essenzialmente identici tra loro, poiché tali metodi utilizzano gli stessi materiali di riferimento primari per la calibrazione. Benché sia il CPRL NGSP che i metodi IFCC siano elencati come metodi di riferimento nella banca dati del Joint Committee on Traceability in Laboratory Medicine,5-12 il metodo IFCC è il metodo di riferimento di "ordine superiore". La IFCC offre anche ai produttori materiali rappresentativi della matrice (sangue intero congelato) con valori assegnati dalla rete IFCC al fine di stabilire e controllare la tracciabilità.5-13

Il metodo di riferimento IFCC per la HbA1c fu approvato dai membri nazionali della IFCC nel 2001. Tuttavia, esisteva un notevole ostacolo all’implementazione del programma IFCC poiché esisteva un bias tra i risultati NGSP e quelli IFCC: benché i risultati dei due sistemi fossero altamente correlati, i risultati IFCC erano inferiori rispetto ai risultati NGSP di una quantità tra 1,5% e 2,0% HbA1c su tutto l’intervallo di misurazione. Nonostante il fatto che la rete e il processo IFCC fornivano tracciabilità a un "valore vero" e che il metodo IFCC sarebbe diventato il punto di riferimento per la standardizzazione internazionale, esistevano preoccupazioni, espresse dall’NGSP e da importanti organizzazioni mediche, relative al fatto che il cambiamento dei valori refertati nella pratica di routine potesse generare confusione. Un set di risultati poteva essere confuso con l’altro, causando interpretazioni erronee che potevano avere un impatto negativo sulla cura fornita al paziente. Inoltre non esistevano prove che il cambiamento dei risultati refertati da quelli NGSP a quelli IFCC avrebbe migliorato la qualità della cura fornita al paziente. Tali preoccupazioni hanno portato ad anni di dibattito riguardante quali valori dovessero essere refertati nella pratica clinica.

Nel 2007 IFCC, ADA, EASD e IDF rilasciarono una dichiarazione di consenso sulla standardizzazione a livello mondiale della HbA1c.5-14 Tale dichiarazione riconobbe che il sistema di riferimento IFCC doveva essere il punto di riferimento per la standardizzazione mondiale, ma raccomandò anche di refertare la HbA1c in entrambe le unità IFCC e NGSP. Per evitare qualsiasi confusione i risultati IFCC dovevano essere refertati in mmol/mol. A quel punto i valori IFCC refertati in mmol/mol sarebbero stati circa 10 volte superiori ai risultati NGSP, i quali avrebbero continuato ad essere refertati come una percentuale. Fu anche concordato che i valori potessero essere refertati come glicemia media stimata (eAG), come precedentemente raccomandato da numerose organizzazioni mediche, se l’esito di un imminente studio che avrebbe esaminato la relazione tra glicemia media e HbA1c avesse mostrato che ciò era fattibile.

Benché la successiva pubblicazione dei risultati di questo studio stabilì una relazione lineare tra glicemia media e HbA1c e dichiarò che i risultati della determinazione di HbA1c potevano essere refertati come eAG,5-15 molti esperti ritennero che esisteva troppa variabilità nella relazione HbA1c/glucosio e che la eAG non dovesse essere refertata.5-16 Le dichiarazioni aggiornate basate sui meeting di consenso del 2009 e 2011 non hanno più incluso la raccomandazione di refertare la eAG. Tuttavia, queste dichiarazioni più recenti hanno sollecitato le riviste a richiedere che i manoscritti presentati riportassero la HbA1c sia in unità SI (IFCC, mmol/mol) che NGSP/DCCT (%) e hanno sottolineato che delle tabelle di conversione dovevano essere facilmente accessibili alla comunità che si occupa di diabete.5-17–5-19

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TO R N A A L S O M M A R I O

La Figura 5-4 mostra una visione schematica del processo IFCC. La IFCC fornisce ai produttori materiali di riferimento secondari (set di sangue intero riunito) con valori di HbA1c assegnati dalla IFCC stessa. Essa fornisce un programma di monitoraggio per i produttori costituito da 24 campioni di sangue intero ogni anno, in cui i partecipanti sottomettono un risultato ogni due settimane. La IFCC fornisce anche un servizio di assegnazione dei valori a campioni dei produttori nonché a programmi EQA. La EQA consente ai laboratori clinici di confrontare i propri risultati con i valori assegnati dalla IFCC per assicurarsi di stare refertando risultati che sono in accordo con le linee guida cliniche.

Pazienti

Medici

Laboratorio clinico

Rete di laboratori IFCC Assegnazione dei valori

Test di idoneitàCalibratori dei kit

Materiali di riferimento secondari IFCC

Produttore Organizzatore di EQA/PT

Linee guida cliniche

Figura 5-4: visione schematica della catena qualitativa del processo IFCC .

UNITÀ PER LA REFERTAZIONENonostante le raccomandazioni presenti nelle dichiarazioni di consenso, sono i singoli paesi a decidere come i risultati della determinazione di HbA1c sono refertati. Attualmente alcuni paesi hanno deciso di refertare la HbA1c in percentuale NGSP, alcuni hanno deciso di refertare in mmol/mol secondo IFCC, alcuni di refertare in entrambe le unità e alcuni non hanno ancora raggiunto una decisione. Solamente gli Stati Uniti raccomandano di refertare la eAG insieme alla HbA1c e in questo paese si progetta di continuare a refertare la HbA1c come percentuale NGSP.

Benché ancora manchi un consenso a livello mondiale sulla refertazione di HbA1c, oggi esiste un percorso chiaro per mettere in relazione i diversi risultati refertati. Con l’uso di un’equazione fondamentale che si basa su molti anni di confronti tra le reti NGSP e IFCC, (NGSP=[0,09148 · IFCC]+2,152), le unità NGSP e IFCC possono essere convertite tra loro con facilità. Numerosi siti web, incluso il sito web dell’NGSP, possiedono ora strumenti per facilitare una semplice conversione tra le unità. Un valore di HbA1c pari a 48 mmol/mol in unità IFCC si traduce in una HbA1c di 6,5% in unità NGSP. L’equazione fondamentale è continuamente monitorata mediante continui confronti su campioni per assicurarsi che la relazione tra i "valori veri" (IFCC) e gli studi clinici/obiettivi di trattamento (NGSP/DCCT) rimanga stabile. È necessaria cautela quando si confrontano valori tra le unità, in particolare relativamente all’imprecisione. I valori per il coefficiente di variazione percentuale (CV%) non si traducono direttamente, cosicché un CV del 2% in unità NGSP non equivale a un CV del 2% in unità IFCC.

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TO R N A A L S O M M A R I O

STATO ATTUALE DELLA MISURAZIONE DI HbA1cSi è avuto un aumento stabile del numero di metodi e laboratori che sono stati certificati da quando è stato avviato l’NGSP nel 1996 (Figura 5-5). Circa 170 metodi e 140 laboratori sono stati certificati tra il settembre 2012 e l’agosto 2013. Questo continuo aumento della certificazione documenta la capacità dei produttori di migliorare continuamente i loro metodi a mano a mano che i criteri di certificazione divengono progressivamente più stringenti. L’aumento delle certificazioni sia di produttori che di laboratori riflette anche la continua domanda di metodi e laboratori che siano in grado di soddisfare le necessità dei team terapeutici, della ricerca clinica e degli studi clinici che si occupano di diabete. Gli obiettivi di precisione e bias per i dosaggi di HbA1c devono essere stringenti per soddisfare le attese cliniche e diagnostiche. Un elenco di metodi e laboratori certificati dall’NGSP (aggiornato mensilmente) è disponibile sul sito web dell’NGSP.5-20

140130120110

1009080706050403020100

Num

ero d

i cer

tifica

zioni

1996–97

1997–98

1998–99

1999–00

2000–01

2001–02

2002–03

2003–04

2004–05

2005–06

2006–07

2007–08

2008–09

2009–10

2010–11

2011–12

2012–13

Metodi Laboratori (USA) Laboratori (al di fuori degli USA)

Figura 5-5: aumento del numero di metodi e laboratori (all’interno e al di fuori degli Stati Uniti) certificati ogni anno dal dicembre 1996 (prima certificazione NGSP) fino al novembre 2012 .

L’NGSP utilizza dati provenienti dal programma di test di idoneità su HbA1c del CAP per verificare la riuscita della standardizzazione e i miglioramenti della misurazione di HbA1c. La Figura 5-6 mostra dati CAP provenienti dalle indagini sulla HbA1c del 1993, 1999, 2004 e 2013. Entro il 2004 negli Stati Uniti virtualmente tutti i risultati erano refertati come HbA1c percentuale. È chiaro che, nonostante tutti gli ostacoli al miglioramento della misurazione di HbA1c, sono stati fatti progressi notevoli dal 1993, quando il DCCT si è concluso. Ad esempio, il CAP ha adottato una valutazione basata sull’accuratezza per l’indagine GH2 del 2007. Gli originari limiti di accettabilità del ±15% sono stati progressivamente resi più stringenti fino a diventare del ±6% nel 2013. I risultati CAP del 2013 hanno mostrato che le medie della maggior parte dei metodi erano vicine al valore bersaglio NGSP, ma alcune presentavano ancora un bias significativo. La variabilità intra-metodo era molto piccola per la maggior parte dei metodi; tuttavia per alcuni era ancora piuttosto elevata.

Si deve notare che la certificazione NGSP è eseguita dal produttore, tipicamente utilizzando un singolo lotto di reagenti e calibratori, mentre l’indagine CAP coinvolge singoli lavoratori che possono utilizzare molti lotti diversi di reagenti e/o calibratori. Ciò potrebbe spiegare perché alcuni metodi hanno mostrato delle prestazioni subottimali, benché fossero certificati NGSP al momento dell’indagine. I tassi di accettabilità cumulativi per tutti i laboratori partecipanti alla prima indagine CAP del 2013 erano compresi tra il 93,4% e il 95,3% per ciascuno dei tre campioni, indicando che la maggioranza dei laboratori utilizza metodi che hanno buone prestazioni.

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TO R N A A L S O M M A R I O

CATENA QUALITATIVA8,0

7,5

7,0

6,5

6,0

5,5

5,0

4,5

4,0

3,5

3,0

2,5

Gruppi di metodo

Valore bersaglio DCCT/NGSP

HbA

1c%

1993 1999 2004 2014 HbA1c

HbA1

GHB totale

Figura 5-6: ciascun metodo confrontato al valore bersaglio NGSP/DCCT (linee tratteggiate) nel 1993, 1999, 2004 e 2014 sulla base dei dati dell’indagine CAP GH2 . I simboli rappresentano la media di ciascun gruppo di metodo; le barre di errore sono di ± 2 SD .

Recenti linee guide per le analisi di laboratorio nella diagnosi e nella gestione del diabete raccomandano che il CV intra-laboratorio dovrebbe idealmente essere inferiore a 2% e il CV inter-laboratori dovrebbe essere inferiore a 3,5%.5-21 È incoraggiante che la maggioranza (ma certamente non tutti) dei partecipanti all’indagine CAP utilizzino metodi che possono fornire CV intra-laboratorio <2%, e che la maggior parte dei laboratori utilizzi metodi con CV inter-laboratori, intra-metodo <3,5%.

La Figura 5-7 mostra i CV complessivi (risultati di tutti i metodi combinati) per ciascun singolo campione CAP dal 2000 fino al 2013, separati in tre categorie sulla base del livello di HbA1c (4–6%, 6–8%, 8–10%). Questi dati mostrano che i CV per l’insieme di tutti i metodi stanno diminuendo dal 2000 e che alcuni CV delle ultime indagini sono <3,5%. L’obiettivo costituito da CV pari a 3,5% per i risultati di tutti i metodi a tutti i livelli di HbA1c sta quasi per essere raggiunto.

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TO R N A A L S O M M A R I O

2000

A20

00B

2001

A20

01B

2002

A20

02B

2003

A20

03B

2004

A20

04B

2005

B20

06A

2007

A20

08A

2008

B20

09A

2010

A20

10B

2011A

2012

A20

12B

2013

A

8

7

6

5

4

3

2

1

0

CV%

Indagine

y = –0,1394x + 6,6571

R2 = 0,7365

A: HbA1c 4–6%

2002

A20

03B

2005

A20

05A

2006

B20

07A

2007

B20

08B

2009

A20

10A

2010

B20

11A20

11B20

11B20

12A

2013

A

8

7

6

5

4

3

2

1

0

CV%

Indagine

y = –0,099x + 5,065

R2 = 0,7333

B: HbA1c 6–8%

2000

A20

00B

2001

A20

01B

2002

B20

03A

2003

B20

04A

2004

B20

05B

2006

A20

07B

2008

A20

09A

2010

A20

10B

2011A

2011B

2012

A20

12B

2013

A

8

7

6

5

4

3

2

1

0

CV%

Indagine

y = –0,0936x + 5,53

R2 = 0,6333

C: HbA1c 8–10%

Figura 5-7: CV per tutti i risultati di determinazione della HbA1c nelle indagini GH2 CAP effettuate tra il 2000 e il 2013, per campioni con valori di HbA1c assegnati di A: 4–6%, B: 6–8%, e (C) 8–10% . La linea continua in grassetto rappresenta la linea di tendenza .

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TO R N A A L S O M M A R I O

DISCUSSIONELe reti NGSP e IFCC servono scopi differenti ma complementari, la prima applicando limiti definiti di accettabilità basati su requisiti clinici alle prestazioni dei metodi e l’altra fornendo tracciabilità a una base di accuratezza. I continui confronti tra le reti assicurano che i risultati rimangano coerenti nel tempo. Esistono ancora domande senza risposta relative a come i cambiamenti da una scala di misurazione all’altra influiranno sulla standardizzazione mondiale della HbA1c e sulle cure per i pazienti.

Esistono alcune evidenze del fatto che un cambiamento della scala dei risultati di determinazione di HbA1c può influenzare il controllo glicemico del paziente. Tale effetto psicologico è stato documentato in Svezia, quando è avvenuto un cambiamento dalla calibrazione svedese Mono-S a valori confrontabili con quelli del DCCT: dopo la correzione per la più elevata calibrazione del dosaggio DCCT i risultati di HbA1c dei pazienti sono effettivamente diminuiti in modo significativo, indicando un miglioramento del controllo glicemico.5-22 Al contrario, quando il laboratorio è tornato alla calibrazione Mono-S il controllo glicemico dei pazienti è peggiorato. Benché il cambiamento secondo la IFCC da percentuale a mmol/mol aumenterà i risultati della determinazione di HbA1c dei pazienti, è difficile prevedere quale effetto avrà un aumento talmente grande (di quasi dieci volte con un cambiamento da unità NGSP a unità IFCC) sulle cure per i pazienti. Finora solamente uno studio, proveniente dal Regno Unito, ha documentato che la conversione alla refertazione SI per HbA1c non conduceva ad alcun marcato peggioramento a breve termine della glicemia nei pazienti con controllo glicemico iniziale scarso.5-23 Molto dipenderà da come i cambiamenti saranno implementati dai singoli paesi. L’educazione degli operatori sanitari e dei pazienti sarà essenziale per evitare un impatto negativo sulla cura del paziente.

I produttori hanno dato una risposta alla necessità di metodi migliori: più del 93% dei laboratori partecipanti all’indagine CAP GH2, utilizzando vari metodi, ha fornito risultati che cadevano entro il 6% dalle assegnazioni di valore NGSP e i CV per tutti i risultati dell’indagine si avvicinano a 3,5% o sono inferiori. Tale miglioramento è vitale per un’accurata diagnosi del diabete nonché per una cura ottimale dei pazienti affetti da diabete.

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TO R N A A L S O M M A R I O

1. Il DCCT e l’UKPDS sono stati studi importanti che:

A Hanno determinato l’impatto clinico di uno scarso controllo del glucosio sulla funzionalità epatica

B Hanno stabilito metodi di standardizzazione per la HbA1c

C Hanno dimostrato una relazione diretta tra il controllo glicemico (misurato mediante la HbA1c) e il rischio di complicazioni

D Hanno provato che la HbA1c risultava migliore del glucosio per il monitoraggio del diabete

2. I miglioramenti nella misurazione e nella standardizzazione della HbA1c si riflettono nei risultati dell’indagine CAP. L’attuale valutazione dell’indagine di idoneità CAP è:

A Comparata all’interno di gruppi equivalenti

B Comparata all’interno di gruppi equivalenti con un limite del ± 6%

C Basata sull’accuratezza con assegnazione di valore secondo NGSP e un limite del ± 6% 

D Basata sull’accuratezza con valori assegnati secondo IFCC in millimoli per mole

E Basata su limiti del ±10%

3. Recenti linee guida per le analisi di laboratorio sulla HbA1c per la diagnosi e il monitoraggio del diabete raccomandano che i CV intra-laboratorio e inter-laboratori devono essere:

A Entrambi inferiori a 2%

B Rispettivamente inferiori a 2% e a 3,5%

C Inferiori alla variabilità biologica di HbA1c

D Entrambi inferiori a 3,5%

4. Lo scopo dell’NGSP è:

A Sviluppare un piano per la standardizzazione a livello mondiale e convertire le misurazioni a unità di millimoli per mole

B Sviluppare e implementare un piano che permetta ai laboratori clinici di mettere in relazione le loro misurazioni di HbA1c con risultati provenienti da studi clinici

C Standardizzare la HbA1c a un "valore vero"

D Mostrare la tracciabilità a un metodo di ordine superiore

5. La certificazione NGSP include:

A Il confronto con la rete del metodo di riferimento IFCC

B Il confronto di 40 risultati di singoli campioni con un Secondary Reference Laboratory appartenente all’NGSP

C La certificazione di tracciabilità a un valore vero percentuale

D Studi sull’interferenza di comuni varianti di Hb

6. Nel mondo la HbA1c è refertata:

A Solamente come una percentuale

B Solamente in millimoli per mole

C Come una percentuale e/o in millimoli per mole

D In millimoli per litro

7. Un metodo può essere sia tracciabile alla IFCC che certificato dall’NGSP:

A Vero

B Falso

DOMANDE DI REVISIONE: SEZIONE 5

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58 TO R N A A L S O M M A R I OG U I D A D I D AT T I C A : P R AT I C A C L I N I C A E R A C C O M A N D A Z I O N I P E R L’U S O D E L T E S T D I HbA 1c

OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO

Al termine di questa sezione si sarà in grado di:

• Descrivere la molecola di HbA1c e ciò che ha un impatto sulla sua fisiologia

• Enunciare gli intervalli di riferimento raccomandati per la HbA1c

• Identificare gli usi diagnostici della HbA1c e le limitazioni di questo marcatore

• Riconoscere come utilizzare la HbA1c a scopi diagnostici

SEZIONE 6PRATICA CLINICA E RACCOMANDAZIONI PER L’USO DEL TEST DI HbA1c

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59G U I D A D I D AT T I C A : P R AT I C A C L I N I C A E R A C C O M A N D A Z I O N I P E R L’U S O D E L T E S T D I HbA 1c

TO R N A A L S O M M A R I O

MISURAZIONE DELL’EMOGLOBINA A1c (HbA1c) NEL SANGUELa misurazione dell’emoglobina A1c (HbA1c) nel sangue è la valutazione del controllo glicemico a lungo termine più ampiamente utilizzata e rappresenta una componente essenziale della gestione dei pazienti affetti da diabete mellito. Più di recente è stato riconosciuto il suo ruolo nella diagnosi del diabete di tipo 2. La HbA1c si forma quando il glucosio si lega post-trascrizionalmente e non enzimaticamente all’amminoacido valina in posizione N-terminale della catena β della molecola di emoglobina (Hb). La quantità di HbA1c formata dipenderà dai livelli ambientali di glucosio e dalla quantità di tempo per cui la Hb è esposta al glucosio. Gli eritrociti rimangono nel sangue per circa 120 giorni.6-1 Tuttavia, non esiste una relazione matematica semplice tra glicemia media e HbA1c ed essa può essere forse vista nel modo più corretto come un indice "pesato per il tempo” della glicemia media. Modelli matematici e dati clinici mostrano che la glicemia media dei 30 giorni immediatamente precedenti al prelievo di sangue contribuisce approssimativamente per il 50% al risultato finale, mente i 90–120 giorni precedenti contribuiscono solamente per circa il 10%,6-2–6-5 come mostrato nella Figura 6-1.

INFLUENZA CUMULATIVA PER MESE SU UN PRELIEVO DI SANGUE EFFETTUATO NEL MESE DI MAGGIO (ASSUME UNA DURATA DI VITA DEGLI ERITROCITI DI QUATTRO MESI)

0

10

20

30

40

50

60

6

15

27

52

febbraio marzo aprile maggio

Influenza cumulativa di eritrociti e livello di glucosio plasmatico

Figura 6-1: effetto del tempo sul valore di HbA1c derivato da cellule ematiche prodotte mensilmente .

Inoltre, i modelli matematici e i dati clinici mostrano che una grande variazione della glicemia media si riflette in un cambiamento piuttosto rapido (ossia che avviene in 1–2 settimane piuttosto che 3–4 mesi) del livello di HbA1c. Indipendentemente dal livello iniziale di HbA1c, il tempo necessario per raggiungere un punto intermedio tra il livello iniziale e il nuovo livello di stato stazionario è in modo relativamente costante di 30–35 giorni. Pertanto è difficile definire accuratamente quale sia il periodo di tempo per il quale la HbA1c riflette in maniera migliore la glicemia media. È necessario che vi sia un equilibrio nella frequenza di esecuzione dei test, in modo da poter ottenere la valutazione più accurata della glicemia di un paziente. Non esistono dati certi a sostegno di alcuna particolare calendarizzazione dei test.

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TO R N A A L S O M M A R I O

EMOGLOBINA A1c PER IL MONITORAGGIOAlcune organizzazioni hanno sviluppato raccomandazioni che specificano "valori obiettivo" di HbA1c nei pazienti. Molte raccomandazioni oggi utilizzate si basano sugli esiti del DCCT6-6 e dell’UKPDS.6-7 Questi studi hanno documentato il valore di HbA1c correlato alla previsione del rischio di sviluppo di complicazioni microvascolari (Tabella 6-1). Più recentemente numerose organizzazioni, inclusa l’ADA6-8 e la OMS,6-9 hanno appoggiato l’uso della HbA1c per la diagnosi di diabete. Nonostante l’adozione quasi plebiscitaria della HbA1c, sono state espresse preoccupazioni a proposito di carenze della misurazione di HbA1c, in particolare l’inaccuratezza della misurazione e l’impossibilità di usarla per un grande sottogruppo di individui. Questi argomenti sono trattati di seguito.

LINEE GUIDA DI INTERVENTO IFCC (mmol/mol) NGSP

Intervallo di riferimento normale 20–42 4,0–6,0%

Obiettivo di trattamento 53 7,0%

Limite per il cambiamento di terapia (precedente raccomandazione ADA)

64 8,0%

Tabella 6-1: Linee guida di trattamento per HbA1c .

REQUISITI DI ACCURATEZZA PER HbA1cAlcuni studi sulla variazione biologica hanno indicato che la variazione intra- e interindividuale in soggetti non diabetici era rispettivamente di 1,7% e 4,0% in unità NGSP.6-10 Un altro studio ha riscontrato una variazione intraindividuale della HbA1c di 1,2% nei non diabetici e di 1,75% nei pazienti affetti da diabete di tipo 1. È interessante che i valori corrispondenti per la glicemia a digiuno erano di 5% e 30%.6-11 Ciò illustra una delle caratteristiche allettanti dell’utilizzo della misurazione di HbA1c per lo screening e la gestione del diabete: una inferiore variabilità intraindividuale e interindividuale dell’analita. Una più recente valutazione della variazione biologica di HbA1c negli individui sani, che ha fatto uso di un dosaggio calibrato dalla IFCC, ha riscontrato una variazione intra- e interindividuale rispettivamente di 2,5% e 7,1%. Questi autori hanno utilizzato tali dati per calcolare gli obiettivi analitici auspicabili per l’imprecisione, il bias e l’errore totale, ottenendo rispettivamente 1,3%, 1,9% e 3,9% (unità IFCC).6-12

Linee guida della ADA/EASD6-13 e del National Institute for Clinical Excellence (NICE)6-14 raccomandano di valutare i regimi di trattamento sulla base di una variazione misurata della HbA1c di 0,5% in unità NGSP (ad esempio da 8 a 7,5%) o superiore. Entro il 2010 l’80% dei laboratori utilizzava un metodo per la determinazione di HbA1c che poteva distinguere accuratamente una variazione <0,5% di HbA1c.6-15 I metodi per la misurazione di HbA1c continuano a migliorare ed è probabile che la variabilità sarà ulteriormente ridotta.

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TO R N A A L S O M M A R I O

EMOGLOBINA A1c IN GRAVIDANZAEsiste un vivace dibattito a proposito del valore della HbA1c in gravidanza. Quest’ultimo è indubbiamente di grande importanza per l’assistenza prenatale delle donne affette da diabete, ma è meno chiaro quale sia il suo valore durante la gravidanza in generale. Nel Regno Unito le linee guida NICE sul diabete in gravidanza (National Collaborating Centre) raccomandano di non utilizzare di routine la HbA1c per valutare il controllo glicemico nel secondo e nel terzo trimestre di gravidanza.6-16 Le linee guida mondiali IDF su gravidanza e diabete raccomandano di non utilizzare la misurazione di routine della HbA1c per la gestione del diabete mellito gestazionale (GDM).6-17

Una revisione sistematica della HbA1c prima del parto, degli esiti diabetici materni e di una selezione degli esiti della prole6-18 ha riscontrato che la HbA1c alla diagnosi di GDM era associata positivamente a glucosio post-partum alterato. Le donne affette da diabete di tipo 2 o alterata tolleranza al glucosio post-partum presentavano una HbA1c media alla diagnosi di GDM superiore a quella delle donne con glucosio post-partum normale (P ≤ 0,002) e un aumento dell’1% della HbA1c alla diagnosi di GDM era associato a un odds ratio 2,36 volte superiore per glucosio post-partum alterato sei settimane dopo il parto (intervallo di confidenza del 95%: 1,19, 4,68). L’associazione tra HbA1c e peso alla nascita variava sostanzialmente tra gli studi, con coefficienti di correlazione compresi tra 0,11 e 0,51. Altri studi recentemente pubblicati hanno riscontrato relazioni contrastanti tra i livelli di HbA1c e gli esiti neonatali, ma hanno trovato una certa correlazione con gli esiti materni.6-19–6-21

EMOGLOBINA A1c PER LA DIAGNOSICon l’evoluzione delle conoscenze sul diabete avvenuta nell’arco degli ultimi 50 anni sono cambiati i criteri diagnostici per questa patologia. Classicamente la diagnosi di diabete viene determinata come la soglia glicemica per la progressione a malattia microvascolare, prevalentemente a retinopatia. Entro gli anni '60 l’OGTT si era affermato come il mezzo tramite cui doveva essere identificato il diabete di tipo 2, ma esistevano incoerenze relative al modo in cui il test doveva essere eseguito, alla quantità di glucosio che doveva essere ingerita e ai cutoff diagnostici della glicemia. Questi criteri sono stati standardizzati dalla OMS nel 19806-22 e da allora si sono evoluti, con il valore del glucosio plasmatico a digiuno (FPG) che ricopre un ruolo più importante per la diagnosi negli Stati Uniti.6-23 L’incorporazione della HbA1c negli attuali criteri diagnostici è stata raccomandata da due relazioni.6-8, 6-24

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TO R N A A L S O M M A R I O

RIEPILOGO• La relazione dell’International Expert Committee del 2009 sul ruolo del dosaggio di HbA1c nella

diagnosi di diabete ha appoggiato l’uso della HbA1c per la diagnosi di diabete.

• L’International Committee ha concluso che il cutoff per la diagnosi di diabete deve essere fissato a HbA1c ≥6,5% (48 mmol/mol). Gli individui con una HbA1c di 6,0–6,4% devono essere considerati a rischio elevato di progressione a diabete, ma "questo intervallo non deve essere considerato una soglia assoluta alla quale devono essere avviate misure preventive".

• Nel 2010 l’ADA ha adottato una HbA1c ≥ 6,5% per la diagnosi di diabete e di 5,7–6,4% per identificare una categoria corrispondente a rischio aumentato di diabete futuro (Tabella 6-2).

CONDIZIONE HbA1c IFCC HbA1c NGSP/DCCT

Diabete ≥ 48 mmol/mol ≥ 6,5%

Rischio di diabete 39–46 mmol/mol 5,7-6,4%

Basso rischio/normalità < 39 mmol/mol < 5,7%

Tabella 6-2: cutoff diagnostici per la HbA1c .

La relazione ADA riassume indicazioni per assicurare una standardizzazione nazionale della diagnosi di diabete. Queste non sostituiscono la valutazione clinica individuale del paziente. In particolare, si deve notare che la diagnosi di diabete di tipo 1 non deve basarsi sulla HbA1c, che probabilmente rappresenta un indicatore non buono, poiché i pazienti possono essere soggetti a un incremento talmente rapido del glucosio che la HbA1c non risulta aumentata inizialmente. Per tali pazienti la priorità è evitare la chetoacidosi diabetica mediante una diagnosi tempestiva e il trattamento insulinico.

Più recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità6-9 ha affermato:

La HbA1c può essere utilizzata come test diagnostico per il diabete a condizione che siano operanti test di garanzia della qualità stringenti, che i dosaggi siano standardizzati secondo criteri allineati ai valori di riferimento internazionali e che non sussistano condizioni che precludono la sua misurazione accurata.

È raccomandata una HbA1c di 48 mmol/mol (6,5%) come punto di cutoff per la diagnosi di diabete. Un valore inferiore a 48 mmol/mol non esclude il diabete diagnosticato utilizzando test sul glucosio.

È ampiamente riconosciuto che il rischio cardiovascolare nella popolazione aumenta con l’aumento della HbA1c. La OMS e altri utilizzano la comparsa della retinopatia diabetica come "spartiacque" in corrispondenza del quale il diabete viene diagnosticato. Si è discusso per molti anni sulla misurazione migliore per diagnosticare il diabete; la misurazione del glucosio plasmatico ha rappresentato il determinante primario, a digiuno oppure dopo carico di glucosio. Tuttavia, con il miglioramento della standardizzazione della HbA1c e l’assicurazione di una buona qualità, l’uso di questo analita è ora sostenuto per la diagnosi del diabete di tipo 2.

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TO R N A A L S O M M A R I O

Una importante differenza tra la raccomandazione della OMS e quella data dall’ADA è rappresentata dal fatto che la OMS fornisce solamente un unico punto limite, a 48 mmol/mol (6,5%), al di sopra del quale viene affermato che l’individuo è affetto da diabete. Non vengono fornite indicazioni sui valori inferiori a questo punto limite, eccetto l’affermazione che i pazienti la cui HbA1c è al di sotto delle 48 mmol/mol (6,5%) possono ancora soddisfare i criteri basati sul glucosio per la diagnosi di diabete secondo la OMS. Il punto limite unico è stato ad esempio adottato in alcuni paesi ed è stato sviluppato un semplice algoritmo diagnostico che non include il glucosio plasmatico (Figura 6-2), mentre paesi come il Giappone possiedono un algoritmo complesso che include la HbA1c e il glucosio plasmatico (Figura 6-3).

INDIVIDUI NON MALATI FISICAMENTE O MENTALMENTE, IMPROBABILE DIABETE DI TIPO 1, IMPROBABILE AUMENTO RAPIDO DEL GLUCOSIO:

Possono mostrare sintomi diabetici per due mesi ma, anche in assenza di sintomi, sono a rischio di diabete

HbA1c ≥ 48 mmol

Indagine per la presenza di diabete Ripetizione del test

HbA1c ≥ 48 mmol

DIABETE*

Elevato rischio di diabete Misure relative allo stile di vita e

monitoraggio con frequenza almeno annuale

Assenza di diabete, ma può esserci elevato rischio di diabete

Misure relative allo stile di vita e monitoraggio come da indicazioni cliniche

HbA1c 42–47 mmol/mol HbA1c < 42 mmol/mol

HbA1c venosa esaminata in laboratorio

*Valori di HbA1c > 120 mmol/mol indicano probabilmente una marcata iperglicemia che può richiedere accertamenti urgenti .

Figura 6-2: situazioni non urgenti in adulti di età superiore ai 18 anni .6-7, 6-23

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TO R N A A L S O M M A R I O

DIAGNOSI DI DIABETE IN GIAPPONE

solamente FPG

FPG+HbA1c

solamente HbA1c

Sistemi tipici o retinopatia diabetica

Ripetere l'esame dopo 1 mese,

l’FPG è critico

Diagnosi di diabete

Diagnosi di diabete

Sospetto diabete

FPG+HbA1c

solamente FPG

solamente HbA1c

Nessuno dei due

Diagnosi di diabete

Sospetto diabete

FPG+HbA1c

solamente FPG

solamente HbA1c

Nessuno dei due

no Ripetere l'esame, preferibilmente

dopo 1 mese

Ritestare FPG e HbA1c entro

3-6 mesi

Diabete come:• Glucosio plasmatico a digiuno (FPG) ≥7,0 mmol/l (126 mg/dL)• HbA1c ≥48 mmol/mol (6,5%)• OGTT a 2 ore ≥11,1 mmol/l (200 mg/dL)• Glucosio plasmatico casuale ≥11,1 mmol/l (200 mg/dL)

Figura 6-3: diagnosi effettuata in Giappone che utilizza HbA1c e glucosio plasmatico .6-25

CONSIDERAZIONI DA EFFETTUARE QUANDO SI UTILIZZA LA HbA1c PER LA DIAGNOSIQuando si utilizza la HbA1c per la diagnosi è importante rendersi conto che i soggetti per i quali si ottiene una diagnosi positiva possono essere diversi da quelli identificati mediante il glucosio plasmatico (a digiuno o dopo carico di glucosio). Tuttavia, è riconosciuto che non esiste una singola misurazione relativa all’iperglicemia che può essere considerata lo standard di riferimento per la sua relazione con un rischio aumentato di complicazioni microvascolari oppure macrovascolari.6-3 Alcuni studi suggeriscono che l’uso di una HbA1c ≥6,5% manterrebbe una prevalenza del diabete simile a quella ottenuta con gli attuali criteri diagnostici, ma che la patologia verrebbe diagnosticata solamente in circa la metà dei casi utilizzando entrambi i criteri. Al contrario studi provenienti dal Regno Unito suggeriscono che l’uso di una HbA1c ≥ 6,5% potrebbe aumentare o diminuire la prevalenza del diabete rispetto all’uso di un test di tolleranza al glucosio orale, indicando quindi che potrebbe esistere una variazione in questa relazione a seconda della regione geografica.6-25,6-26 Inoltre è stato chiaramente dimostrato che la relazione tra glucosio a digiuno/a due ore e HbA1c all’interno dell’intervallo di riferimento non diabetico non è affatto tanto stringente quanto lo è quando sono inclusi i pazienti affetti da diabete (R quadrato = 0,26 per FPG e 0,14 per il glucosio a due ore).6-27 Conseguentemente, fino a metà dei soggetti attualmente positivi alla diagnosi effettuata utilizzando il glucosio non riceverebbe diagnosi positiva utilizzando la HbA1c e la metà dei soggetti positivi alla diagnosi effettuata utilizzando HbA1c attualmente non riceverebbe diagnosi positiva utilizzando il glucosio.6-27

La sovrapposizione dell’effetto dell’etnia e dell’età ha una marcata influenza su queste proporzioni. I dati Whitehall II provenienti dal Regno Unito hanno mostrato che, mentre il 91% dei soggetti di razza bianca con una HbA1c ≥ 6,5% era affetto da diabete secondo il GTT, i valori superiori normalmente riscontrati nei soggetti asiatici e di colore facevano sì che solamente il 61% e il 50% rispettivamente di tali soggetti erano affetti da diabete anche secondo la diagnosi mediante glucosio.6-25 L’aumento della HbA1c che normalmente si verifica con l’età è probabilmente responsabile solamente del 15% dei pazienti anziani dello studio Rancho Bernardo Study che presentano una HbA1c ≥ 48 mmol/mol (≥ 6,5%) e affetti da diabete secondo la definizione mediante glucosio, un terzo essendo in effetti completamente normoglicemico al di sopra di tale HbA1c.6-28

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TO R N A A L S O M M A R I O

SITUAZIONI IN CUI LA HbA1c NON PUÒ ESSERE UTILIZZATA PER LA DIAGNOSISulla base delle raccomandazioni ADA e OMS è riconosciuto che la HbA1c non deve essere utilizzata per la diagnosi di diabete nelle situazioni descritte di seguito. In tali pazienti la HbA1c deve essere misurata come parte della valutazione clinica, ma un valore <48 mmol/mol (6,5% HbA1c) non esclude il diabete.

• Tutti i bambini e i giovani

• Gravidanza, attuale o recente (<2 mesi)

• Sospetto diabete di tipo 1, indipendentemente dall’età

• Breve durata di sintomi diabetici

• Pazienti a elevato rischio di diabete colpiti da malattia acuta (una HbA1c ≥48 mmol/mol conferma un diabete preesistente, ma un valore <48 mmol/mol non lo esclude e tali pazienti devono essere nuovamente sottoposti a test una volta che l’episodio acuto si è risolto)

• Pazienti che assumono medicinali che possono causare un rapido aumento del glucosio, ad esempio corticosteroidi o antipsicotici (se l’assunzione è iniziata di recente). La HbA1c può essere utilizzata per i pazienti che assumono tali medicinali a lungo termine (ossia >2 mesi) e che non sono clinicamente malati

• Danno pancreatico acuto o chirurgia pancreatica

• Insufficienza renale

• Infezione da HIV

Il giudizio clinico è necessario per ciascun paziente al fine di prendere in considerazione la possibile presenza di condizioni che possono causare l’inappropriata esclusione dalla categoria di diagnosi di diabete o l’inappropriata inclusione nella stessa.

FATTORI DA CONSIDERARE:

EMOGLOBINE ANOMALE (VARIANTI EMOGLOBINICHE)La misurazione della HbA1c dipende dal fatto che l’emoglobina circolante sia prevalentemente HbA. La presenza e prevalenza di emoglobinopatie (non HbA) varia da razza a razza e da paese a paese. Ad esempio, dati provenienti dagli Stati Uniti stimano che almeno il 10% dei 26 milioni di cittadini di colore del paese presentano un tratto HbS o HbC.6-26 La capacità di identificare e rendere conto delle emoglobine anomale dipende dalla particolare strumentazione per HbA1c che si utilizza. La maggior parte di tali strumentazioni è capace di individuare alcune emoglobinopatie, ma non tutte.6-29,6-30 Alcune non indicheranno la presenza di emoglobinopatie quando producono un risultato.6-28 I pazienti affetti da emoglobinopatie possono anche presentare una sopravvivenza degli eritrociti alterata, cosa che influenzerà tutte le misurazioni di HbA1c.

ANEMIAÈ ben noto che l’anemia emolitica, qualunque sia la sua causa, può dare luogo a valori di HbA1c inferiori a quelli attesi a causa di una ridotta sopravvivenza degli eritrociti. Tuttavia, l’anemia da carenza di ferro può portare a un aumento inappropriato di 11–16 mmol/mol (1-1,5%) della HbA1c, che cala dopo il trattamento con ferro.6-31 Questa comune patologia, che colpisce più di tre milioni di donne negli Stati Uniti,6-32 sembra influenzare anche la HbA1c in soggetti non affetti da diabete, sebbene forse non in maniera tanto marcata quanto negli individui affetti dalla malattia.6-33 La carenza di ferro può quindi portare a una sovradiagnosi. I pazienti con insufficienza renale possono mostrare sia carenza di ferro che anemia emolitica, subendo in tal modo un effetto non prevedibile sul risultato della determinazione di HbA1c.

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TO R N A A L S O M M A R I O

DURATA DI VITA ALTERATA DEGLI ERITROCITIUna terapia con eritropoietina recentemente iniziata darà luogo ad una diminuzione della HbA1c dovuta all’aumentata produzione di eritrociti e quindi alla riduzione della durata di vita media degli stessi. Una diminuzione della durata di vita degli eritrociti si verificherà in presenza di alcune emoglobinopatie, di artrite reumatoide o con farmaci come gli antiretrovirali, la ribavirina e il dapsone. Una HbA1c aumentata indica una durata di vita degli eritrociti aumentata, come si verifica con la splenectomia.

ETNIAI risultati del Diabetes Prevention Program (3819 individui di 25 anni di età affetti da IGT) indicano che l’etnia rappresenta un fattore indipendente per quanto riguarda i livelli di HbA1c. "Correggendo per la concentrazione di glucosio e una serie di altri fattori, i livelli medi di HbA1c erano di 5,78% per gli individui di razza bianca, 5,93% per gli ispanici, 6,00% per gli asiatici, 6,12% per i nativi americani e 6,18% per gli individui di colore (P <0,001).”6-34

In una meta-analisi di dati provenienti da sei differenti studi di popolazione, il confronto tra popolazioni di razza bianca, africane di colore e native americane ha mostrato differenze significative nella correlazione tra diagnosi mediante HbA1c a 48 mmol/mol e mediante OGTT. In due delle tre popolazioni di razza bianca più del 90% dei soggetti con diagnosi positiva di diabete effettuata mediante OGTT presentavano anche una HbA1c ≥ 48 mmol/mol, ma questo valore si riduceva rispettivamente al 50% e 62% nelle popolazioni africane di colore e native americane.6-26

Benché non esistano attualmente linee guida per l’interpretazione dei valori di HbA1c in relazione alla razza o etnia, le evidenze suggeriscono che questa è un’area che richiede ulteriori studi.

ETÀÈ noto che i livelli di glicemia subiscono alterazioni con l’età. Una meta-analisi di dati provenienti dal Framingham Offspring Study e dal National Health and Nutrition Examination Survey hanno mostrato che, nei pazienti non diabetici, si riscontra un aumento approssimativo di 7 mmol/mol di HbA1c (0,6% NGSP) tra le età di 40 e 70 anni.6-35 Lo studio ha incluso il delineamento dei gruppi di studio per escludere i soggetti affetti da IFG e/o IGT.

SESSOBenché non esista una differenza nei valori medi di HbA1c tra uomini e donne, la variazione intraindividuale è superiore nelle donne che negli uomini. Tuttavia ciò non è risultato significativo.6-12

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TO R N A A L S O M M A R I O

PRECEDENTI METODI PER LA DETERMINAZIONE DI HbA1cI metodi più recenti hanno superato alcune delle interferenze che in passato creavano problemi, ma resta importante ricordare la presenza delle interferenze ogniqualvolta viene prodotto un risultato che non è in accordo con la situazione clinica. Le interferenze includono:

Ittero e iperlipidemia

I campioni gravemente itterici possono dare valori di HbA1 falsamente aumentati con i metodi che si basano sulla separazione di carica, se si utilizzano emolisati di sangue intero, poiché la bilirubina migra con l’emoglobina veloce e assorbe alla lunghezza d’onda di rivelazione. Anche l’iperlipidemia può causare un falso aumento della HbA1, poiché la lattescenza eluisce nella prima frazione di HbA1 e assorbe a 415 nm. Il problema può essere amplificato se l’analisi è eseguita su campioni postprandiali. Poiché l’iperlipidemia si scontra piuttosto comunemente nei diabetici, questa limitazione deve essere tenuta in considerazione.

Acetilazione da parte dell’aspirina

L’aspirina modifica numerosi siti, presumibilmente lisine, sulle catene sia α che β di HbA. L’acetilazione con aspirina dei residui di lisina conferisce una carica negativa alla proteina modificata. L’emoglobina modificata possiede proprietà elettroforetiche e cromatografiche (a scambio ionico) alterate, migrando davanti alla HbA0, come HbA1. I pazienti in terapia a lungo termine con una dose elevata di aspirina possono presentare un aumento di un fattore due dell’emoglobina modificata. Inoltre è stato dimostrato un aumento lineare della HbA1 con l’aumento della concentrazione di aspirina e del tempo di incubazione degli eritrociti, dell’emolisato o della HbA0 purificata. È pertanto probabile che i pazienti che ricevono una dose elevata di aspirina presentino livelli aumentati di HbA1.

Carbammilazione causata da uremia nell’insufficienza renale

Sono stati documentati livelli aumentati sia di HbA1 che di emoglobine HbA1c-simili in pazienti con uremia dovuta a insufficienza renale. Nell’insufficienza renale un numero significativo di pazienti presenta alterata tolleranza al glucosio e quelli in dialisi sono solitamente sottoposti a tale terapia con un liquido di dialisi a elevato contenuto di glucosio. È probabile che si verifichi un certo aumento di HbA1 a causa della presenza della concentrazione di glucosio aumentata (benché i pazienti con insufficienza renale cronica tendano ad avere una sopravvivenza ridotta degli eritrociti). Pertanto nei pazienti uremici i risultati della determinazione di HbA1c ottenuti utilizzando metodi che si basano sulla separazione di carica devono essere interpretati con cautela. Vale anche la pena di notare che i pazienti con insufficienza renale sono spesso predisposti ad anemia con sopravvivenza degli eritrociti alterata, cosa che, come detto precedentemente, avrà anch’essa un effetto sul livello di emoglobina glicata.

DISCUSSIONESebbene possa risultare impossibile bloccare l’inesorabile evoluzione verso livelli pandemici del diabete, una terapia appropriata può avere un effetto sul controllo glicemico di questi pazienti e in tal modo limitare le complicazioni a lungo termine e il carico associato sui costi sanitari. Per raggiungere un buon controllo è necessario che sia disponibile un mezzo accurato e affidabile per la valutazione della situazione glicemica dei pazienti.

Da molto tempo è riconosciuto che l’emoglobina A1c svolge un ruolo centrale nel raggiungimento di un buon controllo del glucosio, ma la variabilità nel modo in cui essa è refertata a livello mondiale ha limitato l’adozione universale di obiettivi bersaglio in tutti i paesi. Per limitare l’effetto globale del diabete e il suo carico economico è vitale un accordo su un sistema di standardizzazione per la misurazione della HbA1c accettato a livello mondiale. Ciò continuerà a permettere un approccio internazionale alla formulazione e all’implementazione di linee guida per la diagnosi e il monitoraggio del diabete.

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TO R N A A L S O M M A R I O

1. La HbA1c si forma quando il glucosio si lega post-trascrizionalmente e non enzimaticamente:

A Alla valina N-terminale dalla catena β dell’emoglobina

B Al destrosio presente nel plasma

C Alle proteine libere presenti nel plasma

D Alla serina N-terminale dell’emoglobina

2. La quantità di HbA1c formata dipenderà dai livelli ambientali di glucosio e dalla durata di tempo per cui la Hb è esposta al glucosio. Benché la concentrazione di HbA1c sia influenzata dai 90–120 giorni di durata di vita media degli eritrociti, grandi variazioni di glucosio che avvengono nel seguente numero di giorni precedenti all’analisi del campione di HbA1c possono influenzare la concentrazione di HbA1c:

A 2 giorni

B 10 giorni

C 30 giorni

D Circa 90–100 giorni

3. Nominare due importanti studi che hanno dimostrato una relazione diretta tra controllo glicemico (misurato mediante la HbA1c) e rischio di complicazioni.

A CALIPER + UKPDS

B DCCT + OMS

C DCCT + UKPDS

D OMS + CALIPER

4. Le misurazioni di HbA1c devono essere accurate poiché una piccola variazione pari al/allo____ indica la necessità di un cambiamento del regime di trattamento.

A 0,1% NGSP

B 0,5% NGSP

C 1,0% NGSP

D 2,0% NGSP

5. È riconosciuto, sulla base delle raccomandazioni di ADA e OMS, che la HbA1c non deve essere utilizzata per la diagnosi di diabete:

A Nei bambini

B Durante la gravidanza

C Nei soggetti che si sospetta siano affetti da diabete di tipo 1 o in condizioni cliniche di rapida variazione dei livelli di glucosio

D In condizioni cliniche di turnover variabile degli eritrociti

E Tutte le affermazioni precedenti

6. L’uso della HbA1c per la diagnosi di diabete ha recentemente ricevuto il sostegno di molti gruppi, inclusa l’ADA. La concentrazione di cutoff della HbA1c raccomandata per la diagnosi di diabete è:

A >5,7% NGSP (39 mmol/mol)

B >6,0% NGSP (42 mmol/mol)

C >6,5% NGSP (48 mmol/mol)

D Circa 7% NGSP (53 mmol/mol)

7. I fattori da considerare quando si utilizza la HbA1c per la diagnosi del diabete e per il monitoraggio dei pazienti affetti da diabete includono:

A Etnia e potenziale emoglobina anomala

B Anemia e fattori che influenzano il turnover degli eritrociti

C Età e sesso del paziente

D Potenziali varianti di Hb

E Tutte le affermazioni precedenti

DOMANDE DI REVISIONE: SEZIONE 6

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69G U I D A D I D AT T I C A : D I A B E T E TO R N A A L S O M M A R I O

APPENDICEAPPENDICE A: GLOSSARIO DEI TERMINI

APPENDICE B: BIBLIOGRAFIA

APPENDICE C: RISPOSTE CORRETTE

69GUIDA DIDATTICA: APPENDICE TORNA AL SOMMARIO

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70G U I D A D I D AT T I C A : A P P E N D I C E TO R N A A L S O M M A R I O

APPENDICE A: GLOSSARIO DEI TERMINIα-talassemia: le talassemie sono disturbi ematologici ereditari autosomici recessivi causati dall’indebolimento e dalla distruzione degli eritrociti. Le α-talassemie coinvolgono i geni HBA1 e HBA2 e sono anche connesse alla delezione del cromosoma 16p. Le α-talassemie danno luogo a una produzione ridotta di globina alfa con meno catene di globina alfa, determinando un eccesso di catene β negli adulti e un eccesso di catene g nei neonati. Si osservano curve di dissociazione dell’ossigeno anomale dovute all’eccesso di catene β, le quali formano tetrameri instabili (chiamati emoglobina H o HbH costituita da quattro catene beta).

Metodi di cromatografia di affinità: la cromatografia di affinità separa le proteine sulla base di un’interazione reversibile tra una proteina o gruppo di proteine e uno specifico ligando che è stato accoppiato a una matrice cromatografica. Questa tecnica è ideale per la cattura di prodotti intermedi o finali in un protocollo di purificazione, ogniqualvolta sia disponibile un ligando adatto per la proteina o le proteine di interesse.

American Diabetes Association (ADA) la American Diabetes Association è un’associazione con sede negli Stati Uniti che si adopera per combattere le conseguenze del diabete e per aiutare le persone che ne sono affette. L’ADA finanzia la ricerca finalizzata alla gestione, alla cura e alla prevenzione del diabete. L’ADA eroga servizi a centinaia di comunità, fornisce informazioni sia ai pazienti che agli operatori sanitari e tutela le persone affette da diabete.

Anemia: l’anemia può essere caratterizzata come una diminuzione del numero di eritrociti (RBC) o la presenza di una quantità di emoglobina inferiore al normale nel sangue.

Aterosclerosi: malattia progressiva caratterizzata dall’ispessimento della parete arteriosa dovuto alla deposizione di materie grasse.

β-talassemia: la talassemia è causata da geni varianti o mancanti che influenzano la modalità con cui l’organismo produce emoglobina e le β-talassemie sono dovute a mutazioni del gene HBB sul cromosoma 11. La gravità della malattia dipende dalla natura della mutazione. Le mutazioni sono caratterizzate a seconda del fatto che impediscano del tutto la formazione di catene β (tal major) oppure che permettano in una certa entità la formazione di catene β (tal intermedia), ma in entrambi i casi si verifica un eccesso relativo di catene β senza formazione di tetrameri.

Bilirubina: la bilirubina, precedentemente chiamata ematoidina, è il prodotto di degradazione, di colore giallo, del normale catabolismo del gruppo eme. Il gruppo eme si trova nell’emoglobina, una componente principale degli eritrociti. La bilirubina è escreta nella bile e nell’urina, in cui la presenza di livelli aumentati di bilirubina può indicare alcune malattie. Questa sostanza è responsabile del colore giallo dei lividi e del colore di fondo giallo paglia dell’urina.

IMC (indice di massa corporea): l’IMC, o indice di Quetelet, è una misura del peso relativo basata sulla massa e sull’altezza di un individuo. Le unità in cui il valore è universalmente dato sono i kilogrammi per metro quadrato.

HPLC di affinità con boronato: separazione delle proteine glicate da quelle non glicate che sfrutta l’affinità per la matrice di boronato dei 1,2 cis-dioli dello zucchero presenti nelle proteine glicate.

Elettroforesi capillare (EC): l’elettroforesi capillare raggruppa un insieme di metodi di separazione elettrocinetici eseguiti all’interno di capillari di dimensioni submillimetriche e di canali microfluidici e nanofluidici. Spesso EC si riferisce a elettroforesi zonale capillare (EZC), ma anche ad altre tecniche elettroforetiche, incluse, tra le altre appartenenti a questa classe di metodi, l’elettroforesi capillare su gel (CGE) e l’isoelettrofocalizzazione capillare (CIEF). In questi metodi l’analita migra attraverso soluzioni elettrolitiche sotto l’influenza di un campo elettrico, viene separato secondo la mobilità ionica e può essere concentrato per mezzo di gradienti di conduttività e pH.

Malattia cardiovascolare: spettro di malattie del cuore e dei vasi sanguigni, incluso il restringimento dei vasi sanguigni del cuore (arteriosclerosi).

Diabetes Control and Complications Trial (DCCT): il Diabetes Control and Complications Trial è stato uno studio medico fondamentale condotto dal U.S. National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases (NIDDK) nei tardi anni '90. Il DCCT ha cambiato significativamente i principi della gestione del diabete, mostrando che un trattamento intenso mirato a mantenere le concentrazioni glicemiche prossime all’intervallo normale era in grado di diminuire la frequenza e la gravità delle complicazioni diabetiche.

Diabete mellito (DM): il diabete mellito, o semplicemente diabete, raccoglie un gruppo di malattie metaboliche che implicano livelli ematici di zucchero aumentati per un periodo di tempo prolungato, producendo sintomi di minzione frequente e sete e fame aumentate. Quando il diabete non viene trattato può causare complicazioni acute, inclusa la chetoacidosi diabetica e il coma iperosmolare non chetosico. Le complicazioni gravi a lungo termine includono cardiopatia, ictus, insufficienza renale, ulcere del piede e danno agli occhi. Il diabete è dovuto al fatto che il pancreas non produce sufficiente insulina oppure al fatto che le cellule dell’organismo non rispondono in maniera appropriata all’insulina prodotta.

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Diabete, tipo 1: il diabete di tipo 1 deriva dall’incapacità dell’organismo di produrre sufficiente insulina, la causa esatta di ciò essendo ignota. Questa forma di diabete era precedentemente chiamata "diabete mellito insulino-dipendente" (IDDM) o "diabete giovanile". Il diabete di tipo 1 autoimmune è associato ad altre malattie autoimmuni, come la malattia tiroidea autoimmune e la celiachia, le quali mostrano anch’esse suscettibilità genetica in gran parte mediata dai geni HLA del cromosoma 6.

Diabete, tipo 2: il diabete di tipo 2 inizia con l’insulino-resistenza, una condizione in cui le cellule non rispondono all’insulina in modo appropriato. Con la progressione della malattia si può sviluppare anche una carenza di insulina. Il diabete di tipo 2 era precedentemente chiamato "diabete mellito non insulino-dipendente” (NIDDM) o "diabete ad esordio in età matura". La causa primaria è l’eccessivo peso corporeo e l’esercizio fisico non sufficiente.

Chetoacidosi diabetica: la chetoacidosi diabetica (DKA) è una complicazione potenzialmente letale che si presenta nei pazienti affetti da diabete mellito e che si verifica prevalentemente nei pazienti affetti da diabete di tipo 1. In alcune circostanze la DKA può verificarsi negli individui affetti da diabete di tipo 2, poiché è determinata da una carenza di insulina. In assenza di insulina l’organismo passa a bruciare acidi grassi e a produrre corpi chetonici acidi, i quali causano la maggior parte dei sintomi e delle complicazioni.

Retinopatia diabetica: la retinopatia diabetica è la patologia causata da complicazioni derivanti dal diabete, in cui si presenta un danno alla retina che può infine condurre a cecità. È una manifestazione oculare del diabete che colpisce fino all’80% della totalità dei pazienti che hanno sofferto di diabete per 10 anni o più a lungo.

Metodi enzimatici: un metodo enzimatico per l’analisi della HbA1c coinvolge tipicamente una prima reazione nella quale una proteasi scinde il dipeptide glicato dall’estremità N-terminale delle catene β di HbA1c. A ciò segue una seconda reazione nella quale il dipeptide glicato reagisce con la fruttosil-peptide ossidasi (FPOX). Ciò genera perossido di idrogeno che reagisce in presenza di perossidasi (POD) con un reagente di colorazione per generare un cromogeno che può essere misurato. La variazione di assorbanza viene misurata per determinare la concentrazione di HbA1c ed è combinata con la misurazione dell’emoglobina per calcolare la quantità di HbA1c rispetto alla concentrazione di emoglobina totale.

Programmi EQA/PT: i programmi di valutazione esterna della qualità o di test di idoneità sono utilizzati a livello internazionale per valutare e monitorare la qualità delle prestazioni analitiche dei dosaggi utilizzati nei laboratori clinici. I risultati sono valutati da esperti di pari competenza oppure mediante confronto con i valori bersaglio del metodo di riferimento.

Terapia con eritropoietina: l’eritropoietina è un ormone che stimola la produzione degli eritrociti e dell’emoglobina nel midollo osseo ed è sintetizzata in risposta a bassi livelli di ossigeno nei tessuti. Gli agenti che stimolano l’eritropoietina trattano l’anemia mediante l’aumento del numero di nuovi eritrociti generati dall’organismo, riducendo la necessità di trasfusioni di sangue.

Glicemia media stimata (eAG): la HbA1c è un indice della glicemia media (AG) relativa a un periodo che va dalle settimane ai mesi precedenti. Essa dipende in parte dalla durata di vita degli eritrociti, che è in media di circa 120 giorni, e dalla media pesata dei livelli glicemici durante i precedenti 120 giorni. I livelli glicemici dei 30 giorni precedenti contribuiscono al livello di HbA1c in modo sostanzialmente maggiore rispetto ai livelli glicemici dei 90–120 giorni precedenti. La AG stimata (eAG) è stata utilizzata come misurazione più consueta della glicemia. In uno studio recente essa è stata calcolata combinando risultati pesati provenienti da almeno due giorni di monitoraggio continuo del glucosio eseguito quattro volte, con auto-monitoraggio giornaliero includente sette misurazioni del glucosio capillare effettuato almeno tre giorni alla settimana. È stato riscontrato che la relazione tra eAG e HbA1c basata su analisi di regressione lineare era: eAG (mg/dl) = (28,7 · HbA1c) – 46,7, r2 = 0,84 (Diabetes Care. 2008;31:1-6).

European Association for the Study of Diabetes (EASD): la EASD è un’associazione universitaria non-profit fondata nel 1999 allo scopo di far progredire la ricerca sul diabete tramite vari metodi.

Diabete gestazionale: il diabete gestazionale è la terza forma principale di diabete, che si verifica quando donne in gravidanza, che non hanno una storia pregressa di diabete, sviluppano un livello glicemico elevato.

Gluconeogenesi: la gluconeogenesi (GNG) è un processo metabolico che dà luogo alla generazione di glucosio a partire da substrati contenenti carbonio che non sono carboidrati, come piruvato, lattato, glicerolo, amminoacidi glucogenici e acidi grassi. La GNG costituisce uno dei due principali meccanismi utilizzati dagli esseri umani e da molti altri animali per evitare che i livelli glicemici si abbassino eccessivamente (ipoglicemia). La gluconeogenesi è presente nelle piante, negli animali, nei funghi, nei batteri e in altri microrganismi. Essa avviene principalmente nel fegato e, in misura minore, nella corticale renale. Un altro mezzo per il mantenimento dei livelli glicemici è la degradazione del glicogeno (glicogenolisi).

Glucosio: il glucosio è una molecola a sei atomi di carbonio prodotta nel fegato mediante la gluconeogenesi come combinazione di due molecole a tre atomi di carbonio, come il glicerolo. Il glucosio è prodotto anche mediante la glicogenolisi nel fegato e nei muscoli. Il glucosio rappresenta la principale fonte energetica costituita da carboidrati per l’uomo.

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Emoglobina glicata (HbA1c): l’emoglobina glicata o emoglobina A1c è una forma di emoglobina che viene misurata principalmente per identificare la concentrazione di glucosio plasmatico media relativa a periodi prolungati di tempo. La HbA1c si forma in un processo di glicazione non enzimatica attraverso l’esposizione dell’emoglobina al glucosio plasmatico. Livelli normali di glucosio producono una quantità normale di emoglobina glicata, ma con l’aumento della quantità media di glucosio plasmatico aumenta anche, in maniera predicibile, la frazione di emoglobina glicata. Quest’ultima è influenzata in maniera prevalente dalle settimane che precedono la raccolta del campione. Pertanto la HbA1c serve come marcatore dei livelli glicemici medi relativi ai precedenti tre mesi. Quantità superiori di emoglobina glicata indicano un peggiore controllo dei livelli glicemici.

Glicemia: la glicemia è la presenza o concentrazione di glucosio nel sangue e include l’ipoglicemia (glucosio basso), l’euglicemia (glucosio normale) o l’iperglicemia (glucosio aumentato).

Glicogeno: Il glicogeno è un polisaccaride multiramificato costituito da glucosio, che serve come forma di riserva di energia negli animali e nei funghi. Nell’uomo il glicogeno rappresenta il principale polisaccaride di riserva a lungo termine costituito da glucosio ed è generato e conservato principalmente nelle cellule del fegato e dei muscoli.

Glicolisi: la glicolisi, la cui etimologia deriva dalle parole greche glykys (dolce) e lysis (dissoluzione), è il processo metabolico che converte il glucosio in piruvato. Tale processo rilascia energia libera che è utilizzata per formare i composti a elevata energia ATP (adenosin trifosfato) e NADH (nicotinammide adenin dinucleotide ridotto).

Glicosuria: la glicosuria è l’escrezione di glucosio nelle urine, laddove tipicamente l’urina non contiene glucosio poiché i reni sono in grado di riciclare tutto il glucosio filtrato nel flusso sanguigno. La glicosuria è quasi sempre causata da livelli glicemici aumentati ed è nella maggior parte dei casi dovuta a diabete mellito non trattato.

HbS (malattia a cellule falciformi): nella malattia a cellule falciformi, la HbS è la forma di anemia a cellule falciformi in cui è presente omozigosi della mutazione di Hb. Ci si può riferire all’anemia a cellule falciformi anche come HBSS, malattia SS, emoglobina S o con permutazioni di tali nomi. Negli individui eterozigoti che possiedono un solo gene falcemico e un gene dell’emoglobina adulta normale, la condizione è chiamata HbAS o tratto falcemico. Esistono stati eterozigoti che rappresentano altre forme più rare di malattia a cellule falciformi.

Emoglobinopatia: L’emoglobinopatia è una struttura anomala di una delle catene globiniche della molecola di emoglobina causata da un difetto genetico. È ereditata geneticamente come disturbo monogenico e, nella maggior parte dei casi, è ereditata come tratto autosomico codominante.

Emocromo completo: un emocromo completo è un insieme di test che forniscono informazioni sugli eritrociti e sui leucociti presenti nel sangue del paziente e tipicamente è costituito almeno da eritrociti (RBC), emoglobina (Hgb), volume corpuscolare medio (MCV), Hgb corpuscolare media (MCH) e distribuzione eritrocitaria (RCD).

Emolisi: l’emolisi è la rottura degli eritrociti con rilascio del contenuto citoplasmatico nel fluido plasmatico circostante. L’emolisi può verificarsi prima (in vivo) o dopo (in vitro) la raccolta di un campione ematico.

Iperglicemia: l’iperglicemia è una condizione in cui una quantità eccessiva di glucosio, tipicamente superiore a 11,1 mmol/L (200 mg/dL), circola nel plasma sanguigno. Come con l’ipoglicemia, i sintomi clinici possono non risultare evidenti fino a quando non si osservano valori ancora più elevati.

Iperlipidemia: l’iperlipidemia implica livelli aumentati in modo anomalo di qualsiasi o di tutti i lipidi e/o le lipoproteine presenti nel sangue. Essa, nella forma più comune, corrisponde alla dislipidemia o a qualsiasi livello lipidico anomalo. Queste molecole liposolubili sono trasportate in una lipoproteina con capsula proteica che ne determina la densità. La densità della lipoproteina e il tipo di apolipoproteine che essa contiene determinano il destino della particella e la sua influenza sul metabolismo. Le iperlipidemie sono solitamente suddivise nei sottotipi primario e secondario.

Ipoglicemia: l’ipoglicemia è un’emergenza medica che implica una concentrazione anormalmente bassa di glucosio nel sangue. Può produrre vari sintomi ed effetti, ma i problemi principali derivano da un apporto inadeguato di glucosio al cervello, che dà luogo a una compromissione della funzionalità. Episodi ripetuti di ipoglicemia possono infine determinare condizioni asintomatiche.

Metodi immunochimici: i dosaggi immunometrici sono metodi analitici che rivelano interazioni tra anticorpi e antigeni, originariamente utilizzati per rivelare grandi molecole biologiche. Questi dosaggi utilizzano una rivelazione immunochimica per la misurazione di composti o metaboliti nel sangue e nei tessuti. La nuova generazione di questi dosaggi basati sugli anticorpi è in grado di rivelare piccoli composti sintetici e, di conseguenza, applicazioni recenti includono biomarcatori dell’esposizione a sostanze chimiche diffuse nell’ambiente e dell’effetto delle stesse.

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Insulina: l’insulina è un ormone necessario per consentire al glucosio di entrare nelle cellule per produrre energia. Esiste come proormone chiamato proinsulina, la cui struttura è mantenuta da un peptide di connessione (peptide C).

Insulite: questa patologia è caratterizzata dall’invasione delle insule di Langerhans del pancreas da parte dei linfociti, che producono una risposta infiammatoria o autoimmune, determinando la distruzione delle cellule beta del pancreas.

International Diabetes Federation (IDF): la IDF è un’organizzazione mondiale la cui missione è migliorare la vita delle persone affette da diabete e di quelle a rischio per questa patologia. L’organizzazione opera a livello mondiale o locale per seguire le problematiche delineate nel Global Diabetes Plan dell’organizzazione stessa.

International Federation of Clinical Chemistry (IFCC): il gruppo di lavoro della International Federation of Clinical Chemistry (IFCC-WG) sulla standardizzazione della HbA1c ha sviluppato metodi di riferimento per l’analisi della HbA1c e ha istituito una rete di laboratori per l’esecuzione di tali metodi. I due metodi di riferimento sono la spettroscopia di massa e l’elettroforesi capillare. Ciascun laboratorio appartenente alla rete utilizza miscele preparate di emoglobina A1c ed emoglobina HbA0 purificate come calibratori. Questi due metodi di riferimento sono stati sviluppati per misurare in modo specifico il residuo N-terminale glicato della catena β. L’emoglobina è prima scissa in peptidi mediante un enzima proteolitico; a ciò segue la HPLC accoppiata a spettrometria di massa oppure elettroforesi capillare degli specifici peptidi N-terminali glicati e non glicati.

HPLC a scambio ionico: la cromatografia liquida ad alta prestazione a scambio ionico (o cromatografia ionica) è la separazione di ioni e molecole polari basata sulla loro affinità per la resina a scambio ionico. Questo metodo può essere utilizzato per grandi proteine, piccoli nucleotidi, amminoacidi o qualsiasi tipo di molecola carica.

Ittero: l’ittero, dalla parola greca ikteros, si osserva come una pigmentazione giallastra della pelle, delle membrane che si trovano sopra la sclera dell’occhio e di altre membrane mucose. È causato da iperbilirubinemia nel sangue e nel fluido extracellulare.

Diabete tendente alla chetosi (KPD): il diabete tendente alla chetosi è una forma intermedia di diabete che possiede alcune caratteristiche sia del diabete di tipo 1 che del diabete di tipo 2. Il KPD è diagnosticato facilmente mediante una singola caratteristica, la chetoacidosi, e si presenta in quattro forme, a seconda della presenza o assenza di autoanticorpi contro le cellule β (A+ o A−) e di una riserva funzionale di cellule β (β+ o β−).

Diabete autoimmune latente dell’adulto (LADA): il LADA è caratterizzato dalla presenza di anticorpi associati al diabete. Agli adulti affetti da LADA può inizialmente essere diagnosticato il diabete di tipo 2 sulla base della loro età e a seconda di alcuni fattori di rischio per il diabete di tipo 2, come una considerevole storia famigliare per la patologia o l’obesità. Il metodo diagnostico più comune è la rivelazione di anticorpi contro la decarbossilasi dell’acido glutammico (GAD); tuttavia sono comuni anche gli anticorpi contro le cellule delle insule (ICA).

Complicazioni macrovascolari e malattia macrovascolare: questa malattia è costituita da una serie di complicazioni che derivano dall'aumento ripetuto del glucosio nell’organismo dei diabetici. Un meccanismo patologico è rappresentato dal processo di aterosclerosi, che porta al restringimento delle pareti arteriose in tutto il corpo, dando luogo a infiammazione cronica e danno alla parete arteriosa nel sistema vascolare periferico o coronarico. Complicazioni aggiuntive includono la nefropatia diabetica, che conduce all’insufficienza renale, come si osserva nella proteinuria o nella microalbuminuria, e la disfunzione nervosa periferica. La malattia macrovascolare derivata da diabete è associata a malattia cardiovascolare, cerebrovascolare e vascolare periferica, che può determinare condizioni cliniche come ictus, angina e malattia cardiaca.

Sindrome metabolica: la sindrome metabolica è un insieme di condizioni che includono iperglicemia, obesità, ipertensione, basso colesterolo HDL e trigliceridi e colesterolo elevati.

Complicazioni microvascolari e malattia microvascolare: questa malattia è costituita da una serie di complicazioni microvascolari che derivano daIl’aumento ripetuto del glucosio nell’organismo dei diabetici. La retinopatia diabetica potrebbe rappresentare la patologia più comune ed è responsabile di migliaia di nuovi casi di cecità ogni anno solamente negli Stati Uniti. Nel United Kingdom Prospective Diabetes Study (UKPDS) è stato riscontrato che lo sviluppo della retinopatia diabetica nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 era in relazione sia con la gravità dell’iperglicemia che con la presenza di ipertensione. La maggior parte dei pazienti affetti da diabete di tipo 1 sviluppa evidenze di retinopatia entro 20 anni dalla diagnosi.

National Glycohemoglobin Standardization Program (NGSP): l’NGSP è un’organizzazione internazionale la cui missione è standardizzare i risultati dei test di laboratorio per l’emoglobina A1c a quelli degli studi Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) e United Kingdom Prospective Diabetes Study (UKPDS). L’NGSP e il comitato direttivo associato sono organizzati per implementare test di certificazione dei laboratori mediante un Central Primary Reference Laboratory (CPRL) e laboratori di supporto Primary Reference Laboratories (PRL) e Secondary Reference Laboratories (SRL).

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National Institute for Clinical Excellence (NICE): l’NICE è un’organizzazione internazionale che lavora per migliorare gli standard di assistenza sanitaria fornendo consulenza e assistenza per incoraggiare l’uso di trattamenti clinicamente efficaci ed economicamente vantaggiosi. L’NICE lavora rigorosamente sulla base di una politica non-profit con compensi che si basano sul servizio fornito e porta avanti attività di ricerca, come la generazione di casi di studio, la preparazione di strumenti che assistano nell’analisi dei dati e la promozione dell’ampliamento delle conoscenze in maniera collettiva per mezzo di meeting internazionali.

Test di tolleranza al glucosio orale (OGTT): l’OGTT, o test da carico di glucosio, è un esame medico in cui si somministra oralmente glucosio e si prelevano campioni ematici per determinare quanto velocemente il glucosio viene rimosso dal sangue. Solitamente questo esame è utilizzato per testare il diabete, il diabete gestazionale, l’insulino-resistenza e talvolta l’ipoglicemia reattiva. Generalmente il test è eseguito con una dose considerevole di glucosio (circa 75 g) ingerita per bocca e i livelli ematici vengono controllati per un periodo di due ore.

Poliuria: la poliuria è caratteristicamente definita come una condizione di produzione o passaggio di urina eccessivi o abbondanti in maniera anomala. La produzione e il passaggio di urina aumentati possono anche essere chiamati diuresi e compaiono frequentemente in associazione a sete aumentata (polidipsia).

Condizioni preanalitiche: le condizioni preanalitiche dei campioni diagnostici includono fattori di raccolta del campione, come l’influenza di uno o più agenti presenti nella provetta Vacutainer, le condizioni per la separazione del plasma e la temperatura e il tempo di conservazione prima e dopo la separazione del plasma.

Eritrociti (RBC): gli eritrociti costituiscono il tipo più comune di cellule ematiche e il mezzo principale per l’apporto di ossigeno (O2) ai tessuti dell’organismo attraverso il flusso sanguigno del sistema circolatorio nei vertebrati. Gli eritrociti assorbono ossigeno nei polmoni o nelle branchie e lo rilasciano nei tessuti per mezzo dei capillari dell’organismo.

Sulfoniluree: classe antidiabetica di farmaci per la gestione del diabete mellito di tipo 2, i quali agiscono aumentando il rilascio di insulina dalle cellule beta del pancreas.

Cromatografia liquida accoppiata a spettrometria di massa tandem (LC MS/MS): la LC MS/MS tandem implica la cromatografia liquida accoppiata a più passaggi di selezione e rivelazione mediante spettrometria di massa. La MS tandem è eseguita nello spazio, implicando la separazione fisica delle componenti strumentali, oppure nel tempo, utilizzando una trappola ionica.

Catena di tracciabilità del metodo di riferimento IFCC: la IFCC e il gruppo di lavoro sulla standardizzazione di HbA1c hanno sviluppato due metodi di riferimento, la spettroscopia di massa e l’elettroforesi capillare, per l’analisi della HbA1c mediante una rete di laboratori. Ciascuno dei due metodi di riferimento utilizza miscele preparate di emoglobina A1c ed emoglobina HbA0 purificate come calibratori nella prassi di laboratorio.

Diabete di tipo 1: patologia cronica nella quale il pancreas produce poca insulina oppure non ne produce affatto, causata da vari fattori, quali la genetica e l’esposizione ad alcuni virus. Il diabete di tipo 1 compare tipicamente durante l’infanzia o l’adolescenza, ma può anche svilupparsi negli adulti e nel passato era noto come diabete giovanile o diabete insulino-dipendente.

Diabete di tipo 2: patologia cronica che coinvolge la modalità con cui l’organismo metabolizza il glucosio, nella quale l’organismo resiste agli effetti dell’insulina oppure non produce insulina sufficiente per il mantenimento di un livello di glucosio normale. In passato il diabete di tipo 2 era noto come diabete ad esordio in età matura o diabete non insulino-dipendente.

United Kingdom Prospective Diabetes Study (UKPDS): l’UKPDS è stato uno studio clinico randomizzato multicentro su terapie glicemiche, che ha coinvolto più di 5100 pazienti con diagnosi recente di diabete di tipo 2 e che si è svolto dal 1977 al 1997 in 23 centri clinici del Regno Unito. Lo studio ha dimostrato in maniera conclusiva che le complicazioni del diabete di tipo 2 potevano essere ridotte migliorando il controllo glicemico e/o della pressione sanguigna.

U.S. Cholesterol Reference Method Laboratory Network program (CRMLN): il CRMLN convalida sistemi di test che soddisfano lo standard di riferimento per accuratezza e riproducibilità. Il processo e i requisiti sono stati sviluppati dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) per la misurazione del colesterolo totale e del colesterolo HDL utilizzando obiettivi analitici conformi al National Cholesterol Education Program (NCEP).

Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): come parte delle Nazioni Unite, la OMS è l’autorità dirigente e di coordinazione responsabile di svolgere un ruolo guida relativamente a questioni sanitarie di rilevanza mondiale. La OMS determina il programma di ricerca sanitaria fissando norme e standard e fornendo supporto tecnico alle nazioni per quel che riguarda i bisogni e le tendenze in campo sanitario.

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APPENDICE B: BIBLIOGRAFIASEZIONE 11-1 World Health Organization. Use of glycated haemoglobin (HbA1c) in the diagnosis of diabetes mellitus. Abbreviated

Report of a WHO Consultation. WHO/NMH/CHP/CPM/11.1. Geneva, World Health Organization, 2011.

Seino Y, Nanjo K, Tafima N, et al. Report of the committee on the classification and diagnostic criteria of diabetes mellitus. J Diabetes Invest. 2010;1(5):212-228.

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1-3 Saltiel AR, Kahn CR. Insulin signalling and the regulation of glucose and lipid metabolism. Nature. 2001;414:799.

1-4 Cartailler J. Insulin secretion. Resources from the Beta Cell Biology Consortium (www.betacell.org), funded by NIDDK U01-DK-072473; June 24, 2014. http://www.betacell.org/content/articleview/article_id/1/page/2/glossary/0/.

1-5 http://members.tripod.com/diabetics_world/Insulin_amino_acid_Structure.htm. June 23, 2014.

1-6 http://www.walgreens.com/marketing/library/contents.jsp?docid=8812&doctype=2. June 23, 2014.

SEZIONE 22-1 http://www.who.int/diabetes/actionnow/en/mapdiabprev.pdf. June 23, 2014.

2-2 DeFronzo RA, Bonadonna RC, Ferrannini E. Pathogenesis of NIDDM: a balanced overview. Diabetes Care. 1992;15(3):318-368.

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2-3 Chan JM, Rimm EB, Colditz GA, Stampfer MJ, Willett WC. Obesity, fat distribution and weight gain as risk factors for clinical diabetes in men. Diabetes Care. 1994;17(9):961-969.

2-4 http://adam.com/vau/indexhtml#diabetic retinopathy.

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2-7 http://eastpennfoot.wordpress.com/2013/01/09/controlling-type-2-diabetes-with-exercise/. November 21, 2014.

2-8 American Diabetes Association. Economic costs of diabetes in the U.S. in 2007. Diabetes Care. 2008;31:596-615.

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BIBLIOGRAFIA, CONTINUA

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APPENDICE C: RISPOSTE CORRETTESEZIONI 1 E 21. B, 2. C, 3. D, 4. E, 5. E, 6. A, 7. D, 8. C

SEZIONE 3 1. B, 2. D, 3. A, 4. B, 5. C, 6. C

SEZIONE 4 1. B, 2. A, 3. D, 4. D, 5. C, 6. C

SEZIONE 5 1. C, 2. C, 3. B, 4. B, 5. B, 6. C, 7. A

SEZIONE 6 1. A, 2. C, 3. C, 4. B, 5. E, 6. C, 7. E

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