come - opera nomadi

16
Periodico su strada Anno 15 1 marzo 2010 S O L I D A R I E T À N°341 2,00 Anno XV - N° 341 - 1 marzo 2010- Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB Milano QUALUNQUE RICHIESTA DI DENARO, AL DI LÀ DEL PREZZO DI COPERTINA, NON È AUTORIZZATA COME IN CIELO COSÌ IN TERRA COME IN CIELO COSÌ IN TERRA COME COME

Upload: others

Post on 02-Dec-2021

37 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: COME - OPERA NOMADI

Periodicosu stradaAnno 151 marzo2010

S O L I D A R I E T À

N°341€ 2,00

Anno X

V - N

° 34

1 - 1

mar

zo 2

010-

Poste

Ital

iane

s.p.a

. - Sped

izio

ne

in a

bbonam

ento

postal

e - 70

% - D

CB M

ilano

QU

ALU

NQ

UE

RIC

HIE

STA

DI

DEN

AR

O,

AL

DI

LÀD

EL

PR

EZZO

DI

CO

PER

TIN

A,

NO

AU

TOR

IZZA

TA

COME IN CIELOCOSÌ IN TERRACOME IN CIELOCOSÌ IN TERRA

COMECOME

Page 2: COME - OPERA NOMADI

2 Popolo senza patria

Il GruppoIl Gruppo Solidarietà COME è una cooperativa editoriale non a scopo di lucro che si occupa di diversità e dal 1996 ha scelto di informare attraverso il periodicoSolidarietà COME. L’attività del Gruppo ha creato numerosi posti di lavoro, coinvolgendo diversi migranti in un’efficace distribuzione su strada. Il Gruppo è una struttura indipendente che non si avvale di alcun finanziamento esterno, ed è basato su risorse derivanti direttamente dalle vendite.La “forza vendita”, interamente composta da diffusori immigrati, trattiene il 50% del prezzo di copertina, mentre i restanti oneri contributivi restano a carico dellacooperativa. Questo conferisce un forte carattere sociale all’iniziativa della “distribuzione su strada della cultura”: lo scopo è diffondere in Italia una maggior cono-scenza di altre realtà, soprattutto africane, costruendo allo stesso tempo percorsi di emancipazione sociale per gli immigrati coinvolti.Fino ad oggi sono state direttamente coinvolte all’interno delle attività del Gruppo circa 1000 persone; questa cifra, rapportata al numero di individui coinvolti neiPaesi di provenienza, riguarda almeno ventimila tra uomini, donne e bambini. Si tratta dei componenti delle famiglie allargate di ogni diffusore. Tutto ciò ha come obiettivo l’inserimento sociale, non perdendo di vista la finalità: favorire la creazione di opportunità di lavoro locale, con la costituzione di im-prese autonome nei Paesi di origine, in particolare in Senegal.Riteniamo che il futuro di chi arriva in Europa, oltre che una possibilità d’inserimento, costituisca una tappa, un momento per attrezzarsi di quel sapere necessario

per costruire nel proprio Paese valide alternative di sviluppo.

Per l’italiano medio, la vista nel proprio quartiere di una famiglia di “zingari” provoca inquietudine

Zingari, cioè romdi Carlo Cuomo

Direttore responsabileElisabetta Alessandrini

RedazioneMarcello Andreetti(caporedattore)Emanuela Cerveri(redattore)Chiara Stefani(redattore)Marco Costa(ricerca iconografica)

Il numero è stato realizza-to in collaborazione conOPERA NOMADI MILANO

I testi, dove non diversamente segnalato, sono stati realizzati daMAURIZIO PAGANI e GIORGIO BEZZECCHI

Copertina e reportage fotografico di PAOLO POCE(le foto di pagina 4 sono del-l’archivio Opera Nomadi)

Redazione e ufficio pubblicitàVia Tortona 18 20144 MilanoTel. 02/58.11.33.25Fax 02/[email protected]

Progetto grafico e impaginazioneGruppo Solidarietà Come

EditoreGruppo Solidarietà ComeSocietà Cooperativa

Stampato pressoA. G. Bellavite s.r.l.Via 1° maggio, 4123873 - Missaglia (LC)

RegistrazioneTribunale di Milano n. 157dell’11 marzo 1996

CopyrightI contenuti sono liberamenteriproducibili previo consen-so scritto della redazione.

SOLIDARIETÀ CCOOMMEE È STAMPATO SECONDO LA

FILOSOFIA GREENPRINTING

VOLTA ALLA SALVAGUARDIA

DELL’AMBIENTE ATTRAVERSO

L’USO DI MATERIALI A BASSO

IMPATTO AMBIENTALE, OLTRE

ALL’UTILIZZO DI ENERGIA

RINNOVABILE E

AUTOMEZZI A METANO.

COMECOMEwww.solidarietacome.it

Per l’italiano medio,‘normale’, anche sedemocratico e di sini-stra, la parola ‘zinga-

ro’, la vista nel proprioquartiere di una famiglia dizingari (la roulotte, i moltis-simi bambini, le donne conle gonne lunghe) provocanoinquietudine, diffidenza,qualche ribrezzo. Nessun’al-tra minoranza etnica suscitaun così forte e totale senti-mento di ‘sgradevolezza’,nessuna è altrettanto misco-nosciuta, ignorata. Noi, i‘gagé’ - i non zingari - nonsappiamo niente di questecomunità, di questo piccolopopolo che vive tra noi dapiù di cinque secoli. Ma cre-diamo di sapere. Al postodella conoscenza mettiamoun mito e crediamo che ilmito sia conoscenza.“Sono molti, moltissimi -pensano i ‘gagé’ -, dilagano,ci invadono; sono vagabon-di senza arte né parte, no-madi disordinati; sono pigrie ladri; maltrattano e sfrutta-no i loro bambini; non sonouna realtà etnica sono unarealtà malavitosa; sono infi-di, violenti, pericolosi; sono- come recitava il titolo diun vecchio film sui borgata-ri romani – sporchi, brutti ecattivi”. Nel nostro immagi-nario collettivo questo mitonegativo convive, a sprazzi -complice un po’ di mediocrecinema e mediocrissima let-teratura e tanti ambigui no-stri desideri -, con un mitodiverso, opposto, che espri-me fascinazione: “Sono li-beri, ‘figli del vento’; sonomusicisti straordinari; le lo-ro donne sono voluttuose e iloro uomini fieramente viri-li; non si piegano alle falselusinghe della civiltà e delprogresso; loro sì, che sonofelici!” La diversità bastanon vederla com’è, bastaesorcizzarla nei sogni dellenostre nevrosi, delle nostrepaure, dei nostri ambigui

desideri.Prevale, comunque, forte-mente, il primo mito, quellonegativo. Ogni fatto di cro-naca viene accolto se con-ferma il mito, rimosso se locontraddice. Se Brambillaruba, conferma semplice-mente che ci sono i ladri; seuno zingaro ruba, confermache gli zingari sono tutti la-dri; se un bambino vienestuprato in una famiglia bor-ghese di Milano o venduto aNapoli o prostituito ad Am-sterdam c’è allarme per lasorte e il destino dell’infan-zia; se un bambino zingaroviene ‘ceduto’ per svaligiareappartamenti, si rafforza lanostra certezza che gli zin-gari maltrattano e sfruttano iloro bambini. Eccetera. Nonbisogna stupirsi. Già nel-l’Ottocento (e ancora og-gi...) quanta parte dell’opi-nione pubblica rimuoveva ilfunzionamento strutturaledella finanza e dell’industriacapitalistica per vedere soloil finanziere ebreo o, nellaFrancia cattolica, la ‘banqueprotestante’? E Lenin defi-niva l’antisemitismo ‘il so-cialismo degli imbecilli’...Non si tratta, badare bene,di un mito negativo passivo.Esso viene agito. Questo no-stro ‘sguardo’ sulla realtàzingara ha drammaticheconseguenze pratiche su diloro.Sulla localizzazione delleloro comunità, per esempio.I campi attrezzati dai comu-ni (pochi, bruttissimi) biso-gna cercarli lungo le ferro-vie, le tangenziali, i canali,le periferie più abbandonate,lontani dalle linee di tra-sporto, dai servizi, dai nego-zi, dalle scuole. Lontani dailuoghi della ‘gente per be-ne’. Gli stessi zingari, per iloro insediamenti spontanei,scelgono di sfuggire al no-stro ‘sguardo’ e di stare lon-tani e nascosti. ‘Popoli dellediscariche’, scrive Leonardo

Piasere. Popoli che le nostresinistre paure collocano nel-le nostre discariche. Di fat-to, per gli zingari vige l’a-partheid.Non solo per gli insedia-menti. Certo, nessuna leggevieta loro di prendere i mez-zi di trasporto, di entrare neinegozi e nei bar, di andare a

scuola, di frequentare i ser-vizi sanitari. Ma entrare inun negozio o in un bar è en-trare nel territorio del so-spetto, della fretta di servirtiper vederti uscire; a volte,non ti servono. Se prendi untram, la gente si scansa. Cisono medici di base che ri-fiutano l’iscrizione di zinga-ri o che, come ripiego, chie-dono loro di frequentarel’ambulatorio solo determi-nati giorni, per ‘non distur-bare la gente normale’. Cisono stati scioperi di genito-ri perché gli zingarelli nonfrequentassero la scuola escuole che ne scoraggianol’iscrizione; nelle scuole,quando va bene, c’è assi-stenzialismo paternalistico esolo in pochi casi c’è acco-glienza vera, intelligente erispettosa. Se uno zingarocerca lavoro deve nasconde-re la propria appartenenzaetnica, camuffarsi, mentire;se no, il lavoro offertoscompare d’incanto.Un bambino zingaro crescecosì, sotto questo sguardo,in queste condizioni, in que-sto clima di fastidio, diffi-denza, disprezzo. Nell’a-partheid. Ed è questo che

partorisce, fra gli zingaripresenti in Italia, tassi dimorbilità, di mortalità, dianalfabetismo, di disoccupa-zione che sono a livello bo-liviano o honduregno. Ed è questo che partorisceanomia.Minoranza misconosciutadicevamo, ignorata. Ormai

sappiamo nomi-nare gli osseti delsud e del nord, i ceceni, iturchi gagauzi, gli armeni egli azeri Bosnia, gli albanesidel Kosovo e della Macedo-nia, gli ungheresi della Voi-vodina e della Transilvania,le comunità etniche di LosAngeles una per una - manon sappiamo riconoscere enominare quell’arcipelagodi comunità che formano,fra di noi, il popolo zingaro. Gli si nega l’identità socio-economica, etnica, linguisti-ca, storica. Sappiamo tantecose sulla natalità e morta-lità nel mondo, sulla fame,le malattie; ma ignoriamoquei pochi drammatici datisocio-economici che riguar-dano donne, uomini, pochis-simi anziani e moltissimibambini che da cinque seco-li vivono fra di noi. Pensia-mo alla Spagna del 1492 eper noi significa scopertadell’America, cacciata degliEbrei e dei Mori; e rimuo-viamo il bando antizingarodel 1499. Parliamo di MariaTeresa d’Austria ma nonsappiamo niente del suo ten-tativo di etnocidio culturaledegli zingari. Parliamo del-

i ‘gagé - i non zingari - non sannoniente di questo popolo che vive tra noi

da più di cinque secoli. Nessun’altra minoranza etnica suscita uncosì forte sentimento di ‘sgradevolezza’

Page 3: COME - OPERA NOMADI

3Popolo senza patria

l’Olocausto ma cancelliamoil loro Olocausto (Porraj-mos): 500.000 morti nei la-ger. Celebriamo la Resisten-za ma rimuoviamo la loropartecipazione alla lotta ar-mata. Da anni, inchiodatidavanti alle nostre TV, ci in-digniamo per gli eccidi nel-l’ex Jugoslavia; ma non ciinterroghiamo mai sulla sor-te degli zingari jugoslavi, sucosa significhi, nell’orroregeneralizzato, l’essere zin-garo musulmano, oggi, nellaBosnia o nell’Erzegovina (equando, per sfuggire all’or-rore, arrivano tra di noi, de-vono - per scansare la nostraostilità -nascondersi nellediscariche delle nostre peri-ferie più degradate dove iloro bambini muoiono difreddo o nei roghi di fuochiimprovvisati e da dove ordi-nanze sindacali e prefettizieli sgomberano brutalmen-te). L’apartheid, quindi, nonè solo territoriale, compor-tamentale; è ancheapartheid cognitivo: segre-ghiamo gli zingari nelle pe-riferie oscure della nostraignoranza per farli riaffio-rare nei luoghi mitologicidelle nostre paure.Con questo numero del Ca-lendario del Popolo (n. 606Febbraio 1997) vorremmodare un contributo al pas-saggio dal mito alla cono-scenza della realtà zingara e,quindi, dalle ricadute pesan-ti e discriminatorie del mitonegativo all’azione consape-vole e rispettosa che può na-scere da una conoscenza ra-zionale. Precisiamo quindi,in apertura, alcune sempliciverità.Gli zingari non sono ‘molti,moltissimi’, non dilaganonon ci invadono. Sono in unPaese di circa 56 milioni diabitanti, 100/110.000 (circail due per mille della popo-lazione italiana...) di cui70/80.000 cittadini italiani e20/30.000 cittadini stranieriprovenienti per l’essenziale,da varie parti dell’ex Jugo-slavia. Sono pochi, pochis-simi quindi e non tendono aconcentrarsi in specificheparti del territorio. Le loroscelte insediative si basanopiuttosto su strategie di di-spersione territoriale. (i datiriportati da C. Cuomo si ri-feriscono a c.ca 13 anni fa,prima dell’arrivo in Italiadei gruppi di rom Romeni.La popolazione zigana cen-sita oggi in Italia ammonta a160.00 persone. A Milano,gli zingari non sono più di4000 – 4500).Quasi metà di questo picco-lo po¬polo ha meno di 15anni, meno del 3% supera i60 anni. Isolati nelle nostre

periferie più degradate, glizingari muoiono giovani. Itassi di morbilità e di morta-lità sono alti fra gli adulti,altissimi fra i bambini. LaScolarizzazione è bassa e ir-regolare, l’analfabetismo di-retto o di ritorno diffusissi-mo; la disoccupazione, ge-neralizzata. Nessun parago-ne è possibile con la struttu-ra demografica, le condizio-ni di salute, la scolarizzazio-ne, l’inserimento al lavorodel resto della popolazione.Sono arrivati nel nostro Pae-se in momenti diversi: i sintidal Nord, via terra, nei primianni del Quattrocento; i romnell’Italia meridionale, viamare, provenienti dalle zonegrecofone del morente Im-pero bizantino, nella secon-da metà del Quattrocento;gli harvati, dall’est, con lemodifiche territoriali dellaprima guerra mondiale e(già allora!) con le tragedieche la seconda guerra mon-diale aveva creato in Slove-nia, Croazia, Istria, Dalma-zia. Più recentemente, a par-tire dagli anni ‘60, la crisieconomica jugoslava haprodotto una ripresa di mo-vimenti dall’est verso l’Ita-lia e, infine, il precipitaredella guerra, delle pulizie et-niche e dei massacri un arri-vo massiccio a partire dal1991.Definirli ‘nomadi’ è sbaglia-to è fuorviante. Il nomadi-smo, con certe forme e certesue regole, è uno dei modi diessere delle comunità zinga-re; sono numerosissimi inve-ce - nel tempo storico e nellospazio geografico - i gruppisemi sedentari o compiuta-mente sedentarizzati, peresempio nell’Italia centrale emeridionale, in Spagna, inUngheria, in molte parti del-l’ex-Jugoslavia, nell’imperobizantino e in quello ottoma-no, a Bassora sin dal VII se-colo. Meglio definirli (“no-

minarli”, come dicevamo so-pra) zingari, come vuole unatradizione “gagé” consolida-ta, o meglio, con i sostantivirom e sinti, come si autode-finiscono, seguiti, volta pervolta, da un aggettivo speci-ficativo (harvati, kalderas,xoraxané, abruzzesi, ecc).Sono - in Italia come nel re-sto del mondo - un popolo,composto di tante comunitàdistinte. Ed è come tali che vanno ri-conosciuti, nominati, indivi-duandone le diversità speci-fiche, comunità per comu-nità, e i tratti comuni.Parlando di zingari, occorredistinguere gli aspetti giuri-dici da quelli antropologici.Giuridicamente, con tutte leconseguenze pratiche checiò comporta sul piano deidiritti formali, si possonodistinguere gli zingari pre-senti in Italia sulla base del-la cittadinanza: cittadini ita-liani (la maggioranza), cit-tadini della comunità euro-pea (francesi, spagnoli,ecc.), cittadini extra-comu-nitari (soprattutto ex-jugo-slavi). Antropologicamente,però, è molto più significa-tivo sul piano scientifico e

più rispettoso della sogget-tività delle comunità zinga-re distinguere per aggrega-zioni e comunità etnico-lin-guistiche: vedi la tradizio-nale distinzione rom/sinti,indipendente dalla cittadi-nanza; i lovara, di origineungherese-rumena ma spes-so, nelle stesse comunitàpresenti in Italia con citta-dinanza o italiana o france-se o spagnola; l’intensità dirapporti tra rom harvati, cit-tadini italiani e rom slove-ni, croati, istriani, dalmati,cittadini ex jugoslavi, con-frontata con la freddezza dirapporti tra rom harvati erom abruzzesi, cittadini ita-liani gli uni e gli altri.Gli zingari sono quindi unpopolo articolato in comu-nità, plasmato dalla sua sto-ria - storia della difesa orgo-gliosa della propria identitàe storia delle proprie strate-gie di adattamento al mutaredelle situazioni, interagendocon le culture ospiti e dallanostra secolare ostilità, dalsuo modo di rispondere, persecoli, alla storia delle no-stre persecuzioni.Un popolo portatore di tra-dizioni e di culture: modi

specifici di rapportarsi al ci-bo, al sesso, agli anziani e aibambini, di definire e viverele regole della comunità.Un popolo che parla una lin-gua neo-indiana, divisa indialetti - frutto dei modi di-versi in cui questa lingua hainteragito, nel tempo storicoe nello spazio geografico,con le parlate dei popoli in-contrati e dei paesi attraver-sati - ma con un robustofondo comune lessicale,morfologico, sintattico.Sono - qui e oggi - un certomodo, contraddittorio e la-cerante, di tenere insieme, inun equilibrio instabile, valo-ri e modelli di vita tradizio-nali con i valori e modelliche la TV, in ogni sganghe-rata roulotte, propone loroquotidianamente.Sono il prodotto del nostrodisprezzo di oggi, che li ac-compagna dalla culla allatomba; della segregazionenei nostri meschini e me-diocri campi comunali; deibrutali e continui sgomberinotturni che sbattono gli‘abusivi’ da una discaricaall’altra. E della loro resistenza -adattamento a tutto questo.

In una giornata non bella per la sinistra si è spento aMilano Carlo Cuomo. Un male rapido e perentorio

ha chiuso la vita di un comunista giramondo, poliglot-ta, colto, buono, simpatico, disposto al cercare ancorae al provarci ancora. E una perdita grave per una cittàdove la sinistra è flebile e triste. Il Manifesto perde unamico carissimo, un prodigo azionista, un lettore acca-nito e severo. Nelle assemblee Carlo ci toglieva la pel-le -- per i suoi gusti non eravamo mai abbastanza di si-nistra, mai abbastanza spregiudicati ma ci voleva be-ne. Faceva telefonate in punta dei piedi, per segnala-re sulla pagina milanese le iniziative dell’Opera Noma-di o della Filef. Agli zingari e agli immigrati, alle mi-noranze che calamitano l’odio, l’esclusione, il razzi-smo, Cuomo aveva dedicato questi ultimi anni. Era in-vidiabile la sua capacità di tenere insieme le piccoleazioni concrete e la voglia di pensare in grande, dimescolare la fontanelia per un campo nomadi con la

rilettura di Marx. Carlo era un meticcio per nascita, vi-ta e cultura. Era nato 65 anni fa ad Atene da madregreca. A 17 anni è a Parigi, dove si laurea in storia allaSorbona. A Milano arriva nel ‘55 un anno dopo entranel Pci dove affascina tutti e tutte cantando Brassens -e lì resta fino all’uscita dal Pds degli ingraiani con cuidà vita alla Convenzione per l’alternativa. Consiglierecomunale e più volte assessore negli anni ‘60 e ‘70, co-nosceva bene e da dentro Milano. L’ha vista cambiare,insieme alla politica, in modi che non gli piacevano:non ha reagito con la rassegnazione o con l’accidia; lapolitica per lui continuava ad essere indispensabile co-me l’aria. Era disposto a fare riunioni politiche anchela vigilia di Natale, si teneva libero solo quando arriva-vano in anteprima a Milano i film da Venezia. Que-st’anno non c’è riuscito, è morto con il desiderio del-l’ultimo Kusturica. E di molte altre cose.

DI MANUELA CARTOSIO (DA “IL MANIFESTO”, 10 OTTOBRE 1998)

È MORTO UN COMUNISTA NOMADE

Page 4: COME - OPERA NOMADI

4 Popolo senza patria

Le persecuzioni di rom e sinti costituirono anche in Italia, a dispetto dei revisionisti, un momento drammatico

Porrajmos dimenticato

La scarsità delle fontidisponibili in Italiacontinua a costituireun limite oggettivo per

la ricerca storica sul “Porraj-mos”, licenziando in modosommario quanto superficia-le riletture assolutorie o revi-sionistiche degli eventi, tesea minimizzare anche in que-sto ambito il peso del fasci-smo sulla storia nazionale, ledeportazioni, le stragi, il ge-nocidio.L’assenza, nel nostro Paese,negli anni che precedettero laguerra e poi durante il secon-do conflitto mondiale, di unaesplicita legislazione razzialerelativa agli zingari, non de-ve trarre in inganno.In realtà già gli scritti suglizingari degli scienziati Rena-to Semizzi e Guido Landra,consulenti di Mussolini edestensori delle leggi razziali,segnarono tra il 1938 e il1940 una prima svolta signi-ficativa e poi un cambio dirotta repentino nella politicadel regime.Inoltre l’ampia discreziona-lità nell’applicazione estensi-va di alcune norme anti -ebraiche e il ricorso a dispo-sizioni prefettizie in materiad’ordine pubblico, consenti-rono l’invio al confino e l’in-ternamento nei campi di pri-gionia dei rom sul territorionazionale o la deportazioneverso i lager nazisti, segnan-do una continuità di sostanzacon quanto di più cruento ed

efferato andava avvenendoad opera dei nazisti nei terri-tori dell’Europa Orientale.I rom stranieri, insieme a sal-tibanchi e girovaghi, venneroa trovarsi nel mirino dellapolizia fascista già dal 1926,respinti oltre frontiera ben-chè provvisti di regolare pas-saporto.Nel 1938, ebbero inizio nelleregioni del Nord Est vari ra-strellamenti e deportazioni inmassa di famiglie rom versoil meridione e le isole.La repressione mostrò benpresto, dal 1941, in conse-guenza dell’occupazione na-zifascista dei territori jugo-slavi, il suo aspetto piùcruento ad opera dei nazio-nalisti ustascia di Ante Pave-lic che, in più occasioni, tra il1929 e il 1941, avevano tro-vato protezione e rifugio inItalia, per volere dello stessoMussolini.In seguito alle prime disposi-zioni d’internamento inviatedal capo della polizia di allo-ra Arturo Bocchini ai prefettidel Regno e al questore diRoma con Circolare dell’11settembre 1940, zingari stra-nieri e italiani furono arresta-ti e trasferiti nei campi pro-vinciali allestiti dal Ministerodell’Interno a Bolzano, Ber-ra, Boiano, Agnone, Tossicìa,Ferramonti, Vinchiaturo enelle isole, tra cui la Sarde-gna, la Sicilia e le Tremiti, inregime di internamento libe-ro, in cui i rom si dispersero,

sprovvisti di ogni mezzo disussistenza.Nel 1941, con Circolare 27aprile, il Ministero emisequindi un ordine esplicito fi-nalizzato all’internamentodegli zingari italiani, che an-darono ad aggiungersi, inmolti casi in luoghi destinatiesclusivamente a loro, aglioltre 50 campi destinati al-l’internamento civile.A Tossicìa vennero rinchiusi118 rom provenienti dallaSlovenia, che troverannoscampo con la fuga, dopo l’8settembre del 1943, unendosiin Emilia, Liguria e Piemon-te, anche alle milizie parti-giane, nelle cui fila combat-terono alcuni rom e sinti insi-gniti della medaglia d’oroper la resistenza.I documenti disponibili nonpossono raccontare tutto,specie quando sono trascrittisolo da altri, o perché trascu-rano la dimensione orale esociale delle testimonianzeraccolte tra i sopravvissuti,che ci portano a riflettere suuna condizione dei rom mol-to più critica e pericolosa,conseguenza dell’adesionedel regime ad una più ampiapolitica razziale estesa ancheagli zingari.Tranne che in studi più re-centi, “la memoria custoditanelle comunità rom” è statadi fatto ignorata, tralasciandodi indagare i racconti dei per-seguitati e di incrociarli con idati riscontrabili negli archi-vi statali, comunali, dellequesture e dei giornali dell’e-poca, rimuovendo e tacendoun vuoto storico e una forteresponsabilità sociale.I piani di sterminio del popo-lo rom vennero attuati nonsolo nei territori annessi daldominio nazista ma anchedai governi collaborazionisti,in particolare in Romania eJugoslavia, che furono, conla Polonia, tra i principaliteatri di questa efferata per-secuzione.Molto si è scritto sul “campozingari per famiglie”, il fami-gerato zigeunerlager di Au-schwitz - Birkenau e sugliesperimenti condotti su cavieumane da Mengele e dai suoicollaboratori, i cui criminisono rimasti largamente im-puniti.Poco o nulla si conosce dellatragedia del campo di Jase-novac, in Croazia, attivo dalnovembre ‘41 al 25 aprile’45, nella regione di Lonja,presso la linea ferroviaria

Zagabria – Belgrado, cherappresenta l’altro luogosimbolo dei crimini com-messi contro il popolo romdagli ustascia collaborazioni-sti (i fascisti croati).La persecuzione dei rom esinti in territorio croato è giàattiva nel luglio ’41, primacon la schedatura delle fami-glie ad opera dei comuni,delle polizie locali e delleprefetture, poi con i primitrasporti (29 aprile ’41 daZagabria – 300 persone) enel ’42 la deportazione versoi luoghi d’internamento di-venta di massa.Jasenovac, istituito sotto ilnome di “comando dei cam-pi di raccolta e di lavoro”,prevedeva la gestione di 5sottocampi: uno di questi,Stara Gradisca, denominatoil “mattonificio”, per lungotempo rappresentò la partepiù spietata dell’internamen-to in quanto “campo dellamorte principale”, destinatoalla liquidazione di personepericolose e sgradite per l’or-dine pubblico e la sicurezza:

ebrei, serbi, antifascisti croatima soprattutto zingari.Il numero delle vittime di Ja-senovac, stimato dalla Com-missione di Stato dell’ex Ju-goslavia si attesta tra le 600 ele 800.000 unità, una cifranon precisa in quanto giànell’aprile del ’45 gli usta-scia avevano eliminato quasiogni traccia dei loro crimini,distruggendo elenchi di vitti-me, riesumando cadaveri perbruciarli e distruggendo gliedifici del campo.In Serbia l’armata tedescadella Wehrmacht perseguitòed uccise in modo sistemati-co la popolazione rom.Non c’è dunque modo di co-noscere l’esatto numero diquanti morirono nel com-plesso nei campi di concen-tramento, o di fame e di fred-do in tutta Europa.Interi gruppi sparirono da zo-ne di antico insediamento,come l’Olanda, insieme allagenerazione degli anziani,

depositari del sapere e delletradizioni.Non solo i limiti della preci-sione statistica e lo stato diguerra generalizzato, ma lastessa struttura sociale deigruppi e il loro prudente“mimetismo”, che rendevaparziale il censimento ana-grafico dei nuclei familiari,la forte dispersione territoria-le, le sommarie registrazionidegli internati e la distruzio-ne dei documenti rendonoarduo il compito.I fatti che col trascorrere deltempo sono stati resi notidalle testimonianze e dai do-cumenti ritrovati, hanno ri-proposto la comparazione diun destino comune tra ebreie zingari: che cioè quest’ulti-mi, fatte salve le distinzioni,siano stati perseguitati al paridei primi, in quanto biologi-camente esistenti e non comesostenuto fin nell’immediatodopoguerra, per la loro pre-sunta asocialità.Senza contate che anche persinti e rom vale ciò che qual-cuno ha sostenuto, ovvero:

“non è forse vero-simile il ritrova-mento di un ordine scritto daHitler circa lo sterminio de-gli ebrei europei… quantomaggiore è il crimine, tantominore è la possibilità che sene trovino prove scritte…”.Oblìo degli eventi e obbligomorale di dichiararsi a favoredella memoria scadono, og-gigiorno, talvolta, nel perico-lo di un facile conformismo,una banalizzazione del maletale da esorcizzare e liquida-re la questione della colpa edelle responsabilità che ri-mangono in molti casi anco-ra aperte.A più di 60 anni dalla libera-zione da Auschwitz, occorre-rebbe che la società tutta siinterrogasse sulle vicende diquel passato e al rapporto trai popoli europei e quello zin-garo, e su quanto insidiosa-mente le ideologie di ieri sinascondano in molte critichee pregiudizi dell’oggi.

L’invio al confino e l’internamentodei rom nei campi di prigionia in Italia o ladeportazione verso i lager, hanno segna-to una continuità di sostanza con quanto andava avvenendo ad opera dei nazisti

Page 5: COME - OPERA NOMADI

5Popolo senza patria

I“poveri” sono “scarti”,come i rifiuti e come talivengono separati, esclu-si, immessi nei cicli

ininterrotti di smaltimento(Bauman)... Sono il “segretooscuro e vergognoso” diogni produzione o di ognicondizione sociale a cui,ostinatamente, non diamo unnome. L’Ordinanza “Berlusconi”della primavera del 2008,denominata “emergenzarom”, seguì in ordine ditempo l’emergenza rifiutiesplosa a Napoli, stabilendouna strabiliante ridondanzae trattamento istituzionaletra due “emergenze” così in-tuitivamente divergenti traloro.Gli atti successivi (censi-menti su base etnica e reli-giosa, schedature con la rile-vazione di impronte digitaliper i minori, liste di concit-tadini riservate alle prefettu-re, regolamenti di aree di so-sta destinati nel tempo a pri-vare gli zingari delle loroabitazioni ecc.), segnaronosolo il rapido evolversi dipolitiche pubbliche off li-mits, come lo sono rimasti ighetti urbani, sociali e cultu-rali in cui costringiamo que-ste persone a ripararsi dallanostra violenza.Del resto, la stucchevole re-torica demagogica e accusa-toria che colora a tinte fortiil dibattito sulle comunitàzigane, annichilendo la ca-pacità dei cittadini di com-prendere le conseguenze didiscutibili azioni pubblichee la portata sulla nostra so-cietà, nasconde l’esistenzadi una realtà chiaramentemanipolata e difficile da in-terpretare per l’assenza, in

primo luogo, di un’informa-zione credibile.Gli interessi sono moltepli-ci, investono direttamente lecarriere di politici che occu-pano più poltrone di poterecontemporaneamente, il la-voro di giornalisti e intellet-tuali compiacenti e un po’supini, inondando di conte-nuti scandalistici i talkshow, la cronaca dei quoti-diani, le opinioni comuniche si vanno formando at-torno a contenuti inesistentie trattati con scarsa compe-tenza.Non mancano del restonemmeno i più modesti emediocri appetiti economicie di egemonia culturale incui si è ficcato il “terzo set-tore”, povero di idee e con-tenuti innovativi, ma attra-versato da scandalosi com-promessi e sottomissioni al-la sfera politica, che spessis-simo nè condiziona e gover-na indirettamente l’operato.Come? Innanzitutto attra-verso il filtro imposto sulladestinazione delle risorsepubbliche, le esclusioni, li-mitazioni e i ricatti implicitidi tagliare convenzioni, in-carichi ecc. in cambio di unsilenzio imbarazzante manecessario per continuare adesistere. Cioè quello che comune-mente viene definito “clien-telismo”.Leggere le gravi responsabi-lità pubbliche attuali in chia-ve giuridico – amministrati-vo, cioè quella che ha pro-dotto, in breve tempo, uninedito corpus di provvedi-menti legislativi e regola-mentari di forte carattere di-scriminatorio, ci sembra nonsolo riduttivo se non fuor-

viante, ma anche un po’ ipo-crita. Perché, la gran parte di que-ste leggine e decreti o deli-bere sindacali, oltre che pro-spettare una compulsivastrategia globale di rigetto ocontrasto “etnico”, nasconodalla commistione e sparti-zione di un sistema di go-

verno pubblico saldamentein mano ad una greve mer-canteria politico ammini-strativa, che si è certamenteassicurata i favori dell’opi-nione pubblica attraverso in-tense campagne di disinfor-mazione e panico morale,ma che non rinuncia al con-tempo a fare affari.Certamente razzista è il trat-tamento che molti rom, in-dividui e comunità intere,ricevono dalle istituzioninel modo di considerare lequestioni complesse o quel-le più ordinarie, ma soprat-tutto di ignorarli sistemati-camente e di allontanarli,privandoli di aspettative dicambiamento e speranza nelfuturo.Si sta cioè inesorabilmenteperdendo quel principio diequità ed eguaglianza a tute-la dei cittadini di fronte aipoteri pubblici, ingenerandouna diffusa cultura sociale

razzista, segregazionista,violenta e spessissimo ille-gale di cui sono responsabiliquelle stesse Autorità Pub-bliche che le dovrebberosorvegliare e garantire.Non può dunque essere ac-cettabile accontentarsi diesprimere solo genericheparole di conforto e solida-rietà rivolte a chi subiscecontinui soprusi della pro-pria dignità e dei diritti, co-me nel caso dei ripetutisgomberi di insediamentitemporanei che sono dive-nuti trofei e classifiche daesibire e pubblicare sullecronache cittadine dei gior-nali... mentre prevale il si-lenzio, che talvolta suonacome un assenso, sui pro-cessi che li determinano e lisostengono.Gli sgomberi di esseri uma-ni dalle baraccopoli dellacittà non sono un fatto tran-sitorio o imprevedibile, maparte integrante di un pro-cesso di ghettizzazione, chesi discuta di volumetrie ur-banistiche intorno alla Fiera

Rho – Pero con laconseguente dissipazionedel territorio e dell’ambien-te, o degli interessi che ruo-tano attorno all’Expo mila-nese con le inevitabili colatedi cemento sulla città, ma-gari trascurando di monito-rare aspetti ben più insidio-si, come le infiltrazioni ma-fiose nella gestione degli ap-palti pubblici.Questi fenomeni “collatera-li” non si contrastano, cometaluni si illudono di poter fa-re, facendosi portatori di un“male minore”, qualchecentro privato d’accoglienzao di carità in più o in menoinvece di servizi pubblici, ol’ipocrisia di progetti socialida cui i naturali interlocutoririmangono per lo più esclusi(ma allora, a chi servono?),rinunciando a un’idea disviluppo e convivenza chepoggi su solide basi idealialternative e fatti concreti.

Oggi gli “zingari” vengonocacciati dai loro “campi”(anche quelli comunali incui sono stati regolarmenteautorizzati a vivere) nonperché vi sia un interessegenerale a migliorare la lorocondizione sociale, affron-tando i complessi problemiche talvolta li attanaglianoma, più semplicemente, per-ché sugli spazi che occupa-no si sono posati gli occhi diimprenditori che hanno lemani sulla città e controlla-no il potere politico e per-ché, col razzismo, si guada-gnano voti.Ma l’inesorabile drenaggioculturale che colpisce il no-stro vivere quotidiano, ov-vero il continuo cedimentoverso quella larga e trasver-sale rappresentanza politicache si offre di sublimare lepaure di noi cittadini offren-doci ordine e sicurezza, an-ziché case a costi sociali incui abitare e servizi pubblicimigliori, non serve a gover-nare una società natural-mente multiculturale e mol-to più complessa di quantola vorremmo.Tutto quello che è stato co-struito in questi anni nel la-voro con le comunità rom esinte viene rimosso, ignora-to, fatto sparire come se nonfosse mai esistito. Non se ne parla, non si vuo-le che se ne parli e quandolo si fa, prevalgono contenu-ti smaccatamente autoritari-stici o assimilazionistici.Le esperienze di mediazio-ne culturale e sociale, scola-rizzazione, lavoro, abitarecon le proprie famiglie nellacittà e nei quartieri, vengonoconsiderate un ostacolo, nonun patrimonio al quale attin-gere.Milano, ancora una volta sipropone dunque come “la-boratorio” a cui guardareper trarre esempio, sì, ma dipolitiche sociali inique e in-quinate dal veleno del razzi-smo diffuso, seguita in que-sta deriva “irrefrenabile” damolte amministrazioni Co-munali, come quella rho-dense (e in questo stessogiornale parliamo di esempipositivi nati in quel territo-rio che dimostrano l’esattocontrario di quanto ci vienedetto dai politici che la am-ministrano).Ma gli esempi, come dice-vamo, si potrebbero allarga-re con poche, pochissimeeccezioni...

Gli sgomberi non sono un fatto contingente, ma parte integrante di un processo di ghettizzazione

Politiche che separano

...I poveri sono ‘scarti’ come i rifiuti, il segreto oscuro e vergognosodi ogni produzione o di ogni condizione

sociale a cui, ostinatamente, non diamo un nome

Page 6: COME - OPERA NOMADI

Popolo senza patria

di Tommaso Vitale

Campi nomadi e sgomberi sono stati gli unici strumenti utilizzati a Milano negli ultimi dieci anni

Il campo dell’esclusione

All’inizio deglianni ’90 a Mila-no la presenza digruppi zigani

non era particolarmenteproblematica. La città ve-deva la presenza di otto di-versi gruppi stanziali di cit-tadinanza italiana e di unpaio di gruppi con cittadi-nanza Jugoslava. Diversigruppi di caminanti sicilia-ni e di sinti piemontesi elombardi transitavano dallacittà per periodi abbastanzalimitati. I problemi di insediamentoabitativo, temporaneo econtinuativo, erano affron-tati in via amministrativadal Comune di Milano edal suo relativo ufficio no-madi. Anche la polizia lo-cale aveva un ufficio dicompetenza, con funzionaridedicati a occuparsi solodel rapporto con gli inse-diamenti zigani e la media-zione dei conflitti di vici-nato. Vi era un’unica asso-ciazione che si occupava di“zingari”, l’Opera Nomadidi Milano, sezione locale diun’organizzazione a om-brello di livello nazionale,a Milano assai vicina alPartito Comunista Italiano.L’Opera Nomadi sosteneval’auto-organizzazione coo-perativa di alcuni gruppiper la manutenzione delverde pubblico, i servizi dide-rattizzazione e le inizia-tive di mediazione cultura-le in scuole e ospedali, fa-vorendo e facilitando le re-

lazioni con le istituzioni.Nel complesso il quadroera assai stabile, senzanuove immigrazioni, conun alto livello di conoscen-za e prevedibilità dei rap-porti reciproci. Vi erano ogni tanto tensio-ni legate a furti negli ap-partamenti e a commerci il-legali di elettrodomestici ecomponentistica elettrica,spesso attribuiti – più omeno a ragione - a gruppizigani transitanti dallacittà, senza tuttavia chequesti fatti si politicizzas-sero eccessivamente, ovve-rosia senza che venisseroripresi da partiti politici su-scitando schieramenti e di-battito pubblico. In questo contesto, la mag-gior parte dei gruppi ziganiaveva adottato una strate-gia di invisibilità, deciden-do di non rivendicare unapolitica dell’identità fina-lizzata a garantire specifi-cità culturali. I rapporti conl’amministrazione eranocaratterizzati da interlocu-zioni senza clamori, unacerta capacità di ascolto etentativi di progettazionepartecipata. Ciclicamente, nei momentidi difficoltà lavorativa, al-cune famiglie inviavano ledonne maggiori di 12 annia leggere la mano, perfor-mando un’identità stereoti-pica, più che altro legataalla magia e al controllodella sorte. Per il resto i circa 2.500

rom e sinti che abitavano incittà restavano certamenteinvisi, ma comunque quasiimpercettibili, nella vita or-dinaria così come nelle di-namiche dell’opinione pub-blica.Questa invisibilità ricercatadai diversi gruppi zigani,era al contempo asseconda-ta, tollerata ma anche man-tenuta dalla collocazionespaziale dei principali inse-diamenti zigani. Dopo annidi diffusione per piccolinuclei di famiglie estese,fra le trenta e le quarantapersone, all’interno dellearee rurali del capoluogolombardo, a partire dallaseconda metà degli annisettanta, con l’invenzioneamministrativa dello stru-mento del “campo noma-di”, gruppi familiari fra lo-ro eterogenei erano staticoncentrati in poche areecomuni, assai segregate,tendenzialmente ai marginidella città, distanti dai flus-si della socialità. Stabilità nella presenza deigruppi zigani, prevedibilitàdei rapporti istituzionali,strategie di invisibilità maanche marginalità spazialee segregazione scolastica eabitativa erano quindi itratti principali che aveva-no caratterizzato la presen-za rom nella capitale eco-nomica d’Italia nel corsodegli anni ottanta. Diverse cose cambiano giànella prima metà degli anni’90. Innanzitutto politica-

mente: la sinistra al gover-no cittadino crolla sotto leindagini della magistratura,per eccessi di corruzioneendemica e viene sostituitada una giunta monocoloreleghista, guidata, quindi, da

un unico partito, con unforte carattere populista edetno-nazionalista. Vengonocosì meno i riferimenti po-litici dei rom all’internodell’amministrazione, maanche e soprattutto l’abitu-dine all’interlocuzione di-retta, al riconoscimento eall’ascolto attivo delle mi-noranze. In secondo luogo, a seguitodel protrarsi delle guerrenella ex-Jugoslavia, inizia-no lentamente alcuni flussiimmigratori di rom checercano rifugio nel NordItalia. Giungono primanuovi gruppi di xoraxanédalla Bosnia, di harvatidalla Croazia e dell’Erze-govina, e di rom serbi. Dal’97 inizieranno anche mi-grazioni più consistentidalla Macedonia e dal Ko-sovo. Questi nuovi gruppi,

con stili di vita e riferimen-ti culturali assai differentida quelli dei gruppi tradi-zionalmente presenti nellacittà ambrosiana (per altrogià questi assai eterogeneifra loro), vengono tuttaviaclassificati in base aglistrumenti di policy a dispo-sizione dell’amministrazio-ne meneghina, e quindi ca-tegorizzati come “nomadi”,ritenuti non meritevoli diaiuto in quanto rifugiati po-litici, ma “per cultura” ca-paci di muoversi e arran-giarsi in autonomia, pertan-to da controllare ma non dasupportare. È solo dal 1999, tuttavia,che la giunta di centro de-stra al governo della cittàadotta una politica di radi-cale semplificazione deisuoi strumenti di “dialogo”nei confronti dei gruppi zi-gani. Niente più interlocu-zione diretta, niente piùstudio e approfondimento,niente più ascolto e offertadi opportunità lavorative,in particolare alle coopera-tive di rom sostenute dal-l’Opera Nomadi.

Negli anni il go-verno locale in-terromperà il servizio for-nito dalle mediatrici cultu-rali rom nelle scuole e nel-le istituzioni sanitarie, in-terromperà le collaborazio-ni storiche con i rom con-sulenti degli uffici compe-tenti, annullerà ogni inizia-tiva di promozione cultura-le e lotta all’antiziganismo,e stabilirà nuove modalitàdi gestione dei “campi” co-munali. Senza entrare nella cronacadei problemi principali, pe-raltro già affrontati in que-sto numero monografico diCome, qui interessa sottoli-neare la dinamica politicaprincipale di questo decen-nio. Per ottenere consensopolitico la giunta (non soloil suo vice-sindaco, ma lagiunta tutta, nei diversi an-

Dal 1999 a Milano esiste una poli-tica di “semplificazione degli strumenti

di dialogo” nei confronti dei gruppi zigani, con l’abbandono di ogni tentativo

di approfondimento e ascolto

6

Page 7: COME - OPERA NOMADI

7Popolo senza patria

ni) ha proceduto a ridurregli strumenti di politicapubblica che aveva speri-mentato e messo a regimeprecedentemente, lasciandosolo i due strumenti del“campo nomadi” (poi ribat-tezzato “campo rom”) edello sgombero. Campi e sgomberi diven-terà il binomio di una poli-tica estremamente sempli-ficata, senza sostegni allepregevoli iniziative digruppi formali e informalidel terzo settore capaci dipromuovere legami sociali,di vedere i gruppi rom co-me una risorsa e di mediar-ne le relazioni con i quar-tieri.Dietro questo impoveri-mento della varietà di stru-menti dell’azione pubblicausati in precedenza non viè una generica esigenzaneomanageriale a contene-re la spesa. Il costo di cam-pi e sgomberi, soprattuttodegli sgomberi, sarà pro-gressivamente sempre piùoneroso. Si pensi che solonelle prime due settimanedel febbraio 2010 sono sta-ti effettuati 18 sgomberi,ciascuno con costi per l’u-so del personale di polizialocale, di mezzi di traspor-to, di demolizione e smalti-mento rifiuti. Semmai l’usosistematico della coppia“campi & sgomberi” rivelal’intenzione di un tratta-mento differenziale deigruppi zigani, finalizzato ainteriorizzarli e mantenernela marginalità. A fini diconsenso elettorale, ovvia-mente, per affermare unapresenza politica effettivadel Comune, ma non solo.Anche per mostrare una

città e un governo localecapace di esercitare unaviolenza legittima. L’esercizio legittimo dellaforza è prerogativa delloStato, e avviene attraversol’esercito (i carabinieri conriferimento alle questioniurbane) e alla Polizia diStato, non a caso così chia-mata. Il fatto che il control-lo dei campi e le modalitàdi sgombero delle baracco-poli avvengano sistematica-mente attraverso l’uso dellapolizia locale, e in partico-lare del Nucleo Problemidel Territorio non va sotto-valutato. Non a caso di re-cente (10 febbraio 2010) ilsindacato SdL della polizialocale di Milano ha annun-ciato un esposto alla procu-ra, diffidando il vicesindacoe i responsabili del coman-do di polizia locale a proce-dere nell’uso della polizialocale per gli sgomberi, daloro considerati interventidi ordine pubblico, in as-senza di ufficiali di pubbli-ca sicurezza. Sottostante la politica deicampi e degli sgomberi,con il sistematico uso dellasola polizia locale, si stagiocando, quindi, una parti-ta complessa che non puòessere trascurata. Da un lato vi sono ovvia-mente obiettivi demagogicia fini di consenso politico(in particolare nelle rela-zioni di coalizione con laLega Nord) e di consensoelettorale grazie all’affer-mazione di una certa “ef-fettività” (non certo di effi-cacia) dell’azione di gover-no locale, attraverso i nu-meri degli sgomberi e la di-minuzione delle presenze

nei campi comunali. Dimi-nuzione sistematicamentedefinita “sfoltimento”, ter-mine alquanto agghiaccian-te a detta delle organizza-zioni internazionali cheguardano sconcertate aquanto avviene a Milano. Dall’altro, tuttavia, vi èqualcosa di diverso, chenon attiene solo all’ingra-

ziarsi il voto dei cittadiniattraverso l’esasperazionedegli stereotipi e la levadella paura. Ciò che oggi è in gioco sul-la pelle dei rom, dei sinti edei caminanti è anche untentativo di Milano di affer-mare un ruolo e un maggio-re potere autonomo, pro-vando a ridefinire i poteri ei mezzi legittimi della città.L’uso ciclico e ricorsivo de-gli sgomberi forse non èben visto da tutta la mag-gioranza al governo dellacittà, ma i suoi effetti di ri-definizione dei poteri e deigradi di autonomia sonotutt’altro che sottovalutati. Sulla pelle dei rom si sta

giocando una partita tuttastrumentale all’affermazio-ne di un potere municipalepiù marcato, nei confrontidei Comuni limitrofi, dellaRegione, della Provincia,ma anche di Prefettura(cioè del Ministero degliInterni) e Questura. Un potere assai “vecchio”,che non passa da strumenti

sofisticati più re-centi, auspicatidall’Unione Europea, al-l’insegna della programma-zione strategica, attraversoil coordinamento aperto emultilivello, le negoziazio-ni indirizzate e i pilotaggiconcertativi. Si tratta di unpotere che semmai passadall’esibizione dell’uso del-la forza, in sé e per sé, aprescindere da esigenze diaccountability sugli esiti esul bilancio costi benefici.Laddove i costi si vedonosulle persone, sulla finanzelocale, ma anche sull’intel-ligenza istituzionale di cuila città, in altri periodi, ave-va comunque dato prova.

L’esibizione dell’uso della forza èun modo di procedere miope che

prescinde da un bilancio costi-benefici,ma che soprattutto impedisce una

programmazione strategica

Tommaso Vitale è Ricercatore di Sociologia presso l'Università di Milano Bicocca dove insegna“Scienza politica” e “Sviluppo locale”, ed è membro del comitato di redazione della rivista “Par-tecipazione e conflitto. Rivista italiana di studi sociali e politici”.Molte informazioni su politiche e interventi per i rom e i sinti nelle città europee su:http://web.me.com/tommaso.vitale/Tommaso_Vitale/Local_Policies_for_Roma_and_sinti_in_Europe/Local_Policies_for_Roma_and_sinti_in_Europe.html

INTOLLERANZASENZA TEMPO

BANDO PUBBLICATO A MILANOSOTTO IL GOVERNO DI DONCARLO D’ARAGONA (1609)

Philippus Dei gratia Rexe. Dux Mediolani“Vedendo per esperienzal'illustriss. et Eccelleniss.Signor Don Carlo d'Ara-gon, Duca di Terranova,Principe di Castelverrano,et Governatore del Statodi Milano per Sua MaestàCatholica, et suo Capitangenerale in Italia, et Che'Inumero di Cingari crescetanto come fa ogni giornoin grandissimo danno de'sudditi di questo Stato, perli furti, molti eccessi, altrimali che succedono percausa loro, et volendo inogni modo riparare a que-sti danni, inherendo all'al-tre gride in tal maniera or-dinate; ha commandatoche si pubblichi il presentebando.Co'I quale fa intendere, etcommanda S. Ecc., à tuttili Cingari d'ogni sesso,che fra tre giorni doppò lapublicatione della presenteprossimi sequenti, debba-no essersi partiti affattod'ogni Città, terra, et Luo-go al governo suo sottopo-sto, sotto pena a gli Huo-mini della galera per cin-que anni, et della publicafrusta alle donne. Et di più concede Sua Ec-cellenza facoltà, et ampiaauttorità ad ogni personadi qualsivoglia conditione,che passati detti tre giorni,& trovado delli detti Cin-gari nello Stato, si huominicome donne, li possanosvaligiare, et levargli tuttele robbe che si troverannofiavere impune, & questonon ostante qualsivoglia li-cenza, o permissione chesi trovi S.Ecc. havere con-cessa da hoggi à dietro, lequali precisamente, et par-ticolarmente revoca. Avvertendo che chi nonobedirà, et si troverà tra-vestito d'altro habito chedel proprio, o non esservero Cinghero, o cinghe-ra, ma andar fra essi pergoder della licentiata vitaloro, sarà punito capital-mente, et che queste penesaranno irremissibilmenteessequite ne' transgressori.Dat. in Milano à 20. diMaggio 1587. Signat.Don Carlo dAragon. ViditFiliodonus. Calmona.”

Page 8: COME - OPERA NOMADI
Page 9: COME - OPERA NOMADI

TTeessttii aa ccuurraa ddii AAnnnnaa DDoorriiaa,, TTeerreessaa MMaannggaannoo ee AAnnddrreeyy MMeecckkaa

IIlllluussttrraazziioonnii ddii KKeettttii BBrraaiiddiicc ee AAnnddrreeaa GGaattttii

DDaa ““AAbbbbeecceeddaarriioo””.. 11999966 OOppeerraa NNoommaaddii -- CCooooppeerraattiivvaa ““RRoommaannoo DDrroomm””

Page 10: COME - OPERA NOMADI

10 Popolo senza patria

Opera Nomadi lavora per la scolarizzazione dei bambini rom di Rho, vicino a Milano, da quasi 12 anni

Scuola zigana

“La sveglia suo-na tutte lemattine alle6.40, poi il

caos”, racconta Eliča, 31anni, di etnia rom, origina-ria della Macedonia, in Ita-lia da 25 anni, “viviamo inun piccolo prefabbricato ela mattina siamo in cinquea prepararci e fare colazio-ne, non ti dico i litigi per ilbagno! Mia figlia Giulianafrequenta il primo anno diun istituto professionale,Jessica va alle medie, Sa-mantha alle elementari eDenis va all’asilo”, diceEliča con orgoglio. Nel campo comunale diRho vivono molte famigliee numerosi figli così, ognimattina, un gruppetto dibambini di tutte le età, ac-compagnati dalle mamme,si raduna nel parcheggiodel campo e aspetta il pul-mino dell’associazioneOpera Nomadi che li ac-compagni a scuola. C’è chiè nervoso perché ha la veri-fica di geografia, chi è con-tento perché ha due ore dieducazione fisica, il piùpiccolino piange perchévuole la mamma mentre ipiù grandi parlottano delCampionato di calcio. Opera Nomadi lavora per lascolarizzazione dei bambinirom di Rho da quasi 12 an-ni e, durante questo arco ditempo, ha visto crescere lapartecipazione delle fami-glie del campo e di tuttaRho a questo progetto ed il

successo scolastico di moltiragazzi, risultati incorag-gianti soprattutto se si con-sidera il punto di partenzadi molte famiglie della co-munità rom, ovvero un gra-do di scolarizzazione pari azero e la presenza di com-portamenti devianti di mi-crocriminalità, anche in etàprecoce.La comunità rom di Rho,fino a metà degli anni ’90,viveva nei pressi di Mug-giano, a Milano, in unacondizione fortemente di-sagiata, caratterizzata dalripetersi di moltissimisgomberi (come sta nuova-mente avvenendo oggigior-no con lo sperpero sconsi-derato di risorse pubblicheche aggravano anzichè ri-solvere i problemi) e da nu-merosi incidenti, anchemortali, che colpivano in-nanzitutto i bambini, legatialla precarietà delle condi-zioni di vita. Il campo comunale di Rhovenne inaugurato quasi treanni fa, dopo che ben dueamministrazioni di centro-sinistra incontrarono osta-coli molto forti per la suarealizzazione, nonché l’in-dizione di un referendumcontrario al progetto di ac-coglienza, che venne re-spinto infine per non averraggiunto il quorum validodi votanti.Quello che normalmentenon viene detto e accettatoè che l’idea di governareuna città confrontandosi

con i suoi abitanti, concitta-dini rom compresi, e di tro-vare insieme soluzioni so-stenibili, anziché proclama-re demagogicamente l’al-lontanamento degli “indesi-derati” di turno, fa sì che irisultati che si raggiungonosiano decisamente miglioridi qualsivoglia politica vio-lenta, discriminatoria oaddirittura apertamenterazzista.Ci fu un momento in cuidelle 150 persone di grup-po rom che vivevano a Rho(grazie a questa politica eall’accordo con le ammini-strazioni comunali prece-denti il numero non crebbemai significativamente, al-trove invece sì), ben oltre50 frequentavano regolar-mente le scuole, dal nidoalle medie.Anche se non esiste una ri-levazione precisa circa lascolarizzazione dei minorirom in Italia, si stima chesolo il 30% dei minori inetà scolare sia iscritto ascuola sul territorio nazio-nale, mentre una percen-tuale minore ha una fre-quenza scolastica regolareed un numero ancora piùbasso arriva a raggiungereun soddisfacente successoscolastico. Quello che spesso e volen-tieri ci si dimentica di os-servare è che questi datinon derivano però da unfattore culturale proprio deirom ma, al contrario, sonostrettamente legati alla con-

dizione sociale e ai pregiu-dizi che portano inevitabil-mente sulla strada dell’e-marginazione: scarsa scola-rizzazione, comportamentidevianti e condizioni preca-rie non sono la causa, ma laconseguenza e, di qui, l’e-strema importanza di pro-muovere l’integrazione che

passi prima di tut-

to attraverso la scuola. A Rho, promuovere la sco-larizzazione non ha signifi-cato solo disporre di unpulmino messo a disposi-zione da una associazionesenza alcun corrispettivoeconomico pubblico - an-che se tale servizio sarebbeessenziale poiché le scuolesono troppo lontane dalcampo per raggiungerle apiedi - ma investire sullacollaborazione di mediatriciculturali zingare, esperien-za unica nel suo genere, ov-vero di donne che hanno ri-cevuto una formazione ade-guata per svolgere una fun-zione di mediazione tra lascuola e le famiglie.Parlare, dialogare, confron-tarsi cioè, da pari a pari con

le comunità zingare.L’attività delle mediatrici(nata a Milano all’iniziodegli anni ‘90 e poi pro-gressivamente svuotata delloro significato culturale in-novativo dalle più recentipolitiche comunali) è a Rhocoadiuvata dal lavoro didue educatrici professionalidell’associazione.La portata del progetto,unica nel suo genere in tut-ta l’area della provincia mi-lanese, è data anche dal fat-to che la relazione tra la co-munità rom ed i cittadinirhodensi – in particolaredocenti e genitori non rom -ha visto una costante e po-sitiva crescita: se all’iniziogli insegnati ed i genitorierano turbati dalla presenzadi bambini rom nelle classie guardavano con diffiden-za i nuovi arrivati, con iltempo si sono sviluppaterelazioni di conoscenza efiducia reciproca. L’integrazione avviene sot-to svariate forme e occasio-ni, nonostante entrambe lecomunità vivano in luoghifisici separati, il “campodei rom e le case dei gagè,nei molti momenti di unavita sociale comune cheriempiono i nostri impegni

e abitudini quoti-diane nel vivere nelle stessacittà.Non un solo fatto in questolunghi anni ha contrappo-sto la convivenza di questedue distinte comunità ep-pure, gli zingari continuanoa venir associati ad un’im-magine negativa, pericolo-sa, inquietante e dunque,respinti.Inseguendo una normalitàche è sempre molto diffici-le da conquistare e vedersiriconosciuta, da alcuni annianche i bambini rom parte-cipano alle gite di classe,spesso anche per moltigiorni lontano da casa. Fino a pochi anni fa unevento del genere era sem-plicemente impensabile.

E noi, società maggioritaria,‘gente perbene, dedita alla legalità e alrispetto delle regole’, siamo davvero disposti a rompere con i pregiudizi e i fantasmi del passato? “

di Cecile Michel

Page 11: COME - OPERA NOMADI

11Popolo senza patria

Tuttavia, non bisogna di-menticarsi delle difficoltàche sono tutt’ora presenti:“la scuola è uno spaccatodella società”, dice Mauri-zio Pagani, Opera Nomadidi Milano, “e il muro delpregiudizio esiste anchequi e si traduce nei tentati-vi di allontanamento dallaclasse dei bambini rom daparte di alcuni insegnantidi fronte alle prime diffi-coltà d’inserimento”.Con il pretesto di problemio ritardi didattici, che ri-guardano peraltro solo al-cuni bambini rom, gli inse-gnanti mettono talvolta inatto strategie complessivenon dette – ma tremenda-mente efficaci – di affida-mento al di fuori della clas-se a educatori, volontari oinsegnanti di sostegno, conil risultato che questi bam-bini perdono innanzituttol’occasione di socializzarele proprie esperienze chesono alla base di una positi-va integrazione.Questo fatto è anche unodei principali motivi percui spesso “i rom non rag-giungono un adeguato suc-cesso scolastico”, magariarrivando alla fine dellascuola primaria senza saperleggere o scrivere... macom’è possibile questo “sevengono tutti i giorni ascuola”? Per quanto riguarda il rap-porto tra i bimbi rom e ita-liani, continua Pagani,“quando sono piccoli gene-ralmente non ci sono parti-colari problemi… mentre èquando crescono che ini-ziano a fare i conti anchecon sovrastrutture di carat-

tere culturale indicate dallafamiglia o dal gruppo d’ap-partenenza”. Tuttavia ci sono luoghi ooccasioni, come le feste dicompleanno, le partite dipallone o i doposcuola chefavoriscono una frequenta-zione anche fuori dal con-testo scolastico: purtropposono casi sporadici e limi-tati. È molto difficile che igenitori “gagè” decidano diportare i loro figli in uncampo rom, come è diffici-le anche che i genitori romportino i figli nelle case deibambini non rom: purtrop-po al di fuori delle murascolastiche si ignoranospesso reciprocamente.“Ma almeno si rispettano”,l’opposto cioè di quello checomunemente caratterizza“l’operato di chi ha o svol-ge delle funzioni nei servizipubblici rivolti alla colletti-vità che non guarda al “be-ne comune”, ma segue su-pinamente indicazioni mio-pe e violenti di una politicache ha perso spessore cul-turale e dignità”.Spesso il razzismo nasceproprio lì, prima di allar-garsi alla società, all’inter-no di politiche pubblichevessatorie e discriminanti.A Milano, prima dei fami-gerati decreti emergenzialigovernativi, questo stile dicomportamento venne ad-dirittura sancito dall’impo-sizione agli zingari di uncosiddetto “Patto di legalitàe socialità”. Ma a quale altro concittadi-no è mai stato imposto dimettere per iscritto cheavrebbe mandato i propriofigli a scuola pena l’allon-

tanamento dalla propria ca-sa? E quali sono poi, ai finipratici, i risultati che sipossono conseguire con po-litiche inique e ricattatorieche contribuiscono adiffondere i pregiudizi? In nessun altro Paese del-l’Unione Europea, è quasisuperfluo aggiungerlo, tuttociò sarebbe ammesso…Ma un’esperienza unica edeccezionale, con tutta pro-babilità la prima in assolutoin questa parte della Regio-ne più ricca d’Italia, è co-munque data da Giuliana,la figlia maggiore di Eličache è arrivata la massimogrado di istruzione da partedi una ragazza rom: un cor-so superiore triennale perestetista e parrucchiera.L’esperienza è assoluta-mente inedita anche perchéa quindici anni le ragazzerom di questa comunità ingenere prima si sposavano,preparandosi ad avere deifigli. La scelta di Giulianaè stata inizialmente vistacon un po’ di preoccupazio-ne da parte della comunitàche l’ha avvertita come unmomento di grande cam-biamento e rottura delleesperienze precedenti, mail sostegno da parte dellafamiglia e della comunità èstato comunque molto for-te, come forte è stata la de-terminazione di Giuliana edi sua mamma, Eliča. Giuliana ha deciso di rive-lare a scuola di essere romsolo dopo qualche mese pertimore di essere giudicatain base alla sua appartenen-za etnica, “ma quando lanotizia è stata diffusa nonha generato scalpore né dif-fidenza, ma solo curiosità eapprezzamento poiché laragazza era già stata valuta-ta positivamente per il suolavoro e per quello che leiè, come persona”, concludePagani. L’esperienza di Rho dimo-stra quindi che stabilità abi-tativa, condizioni di vita di-gnitose, possibilità di fre-quentare le scuole sono ilprimo passo verso un’effet-tiva e positiva integrazione.Ma Eliča mi ricorda che“l’integrazione, quella ve-ra, è a due direzioni. Noi abbiamo fatto e voglia-mo fare ancora molto inquesto senso guardando alfuturo”. E noi, società maggiorita-ria, gente perbene, ammini-stratori tutti dediti alla “le-galità e al rispetto delle re-gole”, cosa siamo disposti afare per rompere con i pre-giudizi e i fantasmi del passato?

Quando Opera Nomadi Milano mi ha chiesto diraccontare la storia di una famiglia rom cono-

sciuta alcuni mesi fa, avrei dovuto descrivere la vitaquotidiana delle persone che la compongono nel-l’invisibilità, proprio sotto i miei occhi.Li ho visti un giorno caldo di giugno nel parco sot-to casa mia. Sono stata avvicinata da due musettisorridenti che ho scoperto poi essere due dei com-ponenti più piccoli di una famiglia composta damamma, papà e 9 figli. I nostri primi incontri sonostati caratterizzati da continui allontanamenti e av-vicinamenti, diffidenza da entrambe le parti e tan-te domande rimaste per un po’ di tempo in sospe-so. Dopo essermi permessa però di scavalcare unmuro costruito su pregiudizi e stereotipi lontani neltempo, sono riuscita a far incontrare i due mondi: ilmio e il loro. Dopo tutto quello a cui ho assistito pochi giorni fa,preferisco invece raccontare ciò che seguirà nelleprossime righe.Immaginate questa scena: persone in divisa, arma-te, arrivano e vi minacciano di buttare giù la vostracasa, di portarvi via i vostri bambini, così voi sietecostretti a prendere le poche cose che avete e inca-strarle disordinatamente in valigie o sacchi rime-diati di fortuna, e scappare veloci come topi a rifu-giarvi sotto a un ponte per restare sempre più nel-l’ombra. Immaginate ancora che, durante questacorsa sfrenata verso l’invisibilità, non riusciate aprendere tutto e lasciate indietro molti dei vestitiper i bambini, le scarpine con cui vostro figlio didue anni si ripara dal freddo, le coperte con cui viriscaldate la notte e l’unico piatto dentro il qualemangiate. Immaginate poi che fuori faccia freddo,molto freddo, perché è inverno inoltrato, che si stiafacendo buio e che voi non sappiate dove trovarerifugio almeno per i vostri bambini. Questo non è un racconto, né parole inventate persottolineare che qualsiasi sgombero, non seguitoda reali interventi di politica sociale, è inammissibi-le in una società moderna e soprattutto è deplore-vole, per chi lo ordina, compierlo in inverno. È solociò a cui io ho assistito in prima persona e di ciò cheè accaduto ieri nei due mondi che, una volta tantosi sono incontrati. Sfortunatamente le persone indivisa, che hanno sgomberato la famiglia che cono-sco, insieme a una decina di altri loro parenti e chesenza nessuno scrupolo hanno buttato giù la casadi queste persone minacciando di portargli via ibambini, appartengono al mio. [...] Quello che mi chiedo è come mai questi duemondi si incontrano, a livello “istituzionale”, quasisempre e solo per azioni di minaccia e violenza gra-tuita da parte chi è più forte verso il più debole. Non sarebbe forse più consono, per una società chesi professa da anni “aperta all’inclusione dell’altroe del diverso” e “attenta alle esigenze delle fascepiù deboli della popolazione”, che questi incontriavvenissero per lo meno in pace o che fossero fina-lizzati alla risoluzione di qualcosa, come ad esem-pio il potenziamento degli operatori e delle risorseche si occupano dell’inserimento scolastico deibambini, o l’apertura di sportelli informativi dedi-cati alle comunità rom o una maggiore aperturadel mondo del lavoro a persone che erroneamentesi crede non siano portatrici di alcun mestiere.Non credo che questa lettera, scritta per Opera No-madi Milano, servirà a cambiare le cose, ma dopoaver partecipato ad una scena che anni fa ho letto,sui banchi di scuola, in riferimento alle persecuzioninaziste a carico degli ebrei (ovviamente per venire aconoscenza di quelle subite anche dal popolo rom,sono dovuta diventare più grande, e approfondireprivatamente l’argomento perché sui libri di forma-zione giovanile lo spazio dedicato è esiguo), non mela sono sentita di descrivere la “vita normale di unafamiglia rom a due passi da casa mia”.Mi chiedo come sia possibile definire normale unavita dedita ad un olocausto continuo.

DI CHIARA PROFETI

Una normale famiglia rom a due passi da casa nostra

Page 12: COME - OPERA NOMADI

ÈGordana, 45 anni,nata in Serbia da unafamiglia rom e tra-sferitasi in Italia 35

anni fa, a raccontarci e rac-contarsi, ad accompagnarci acasa sua e, davanti ad unbuon caffè alla “turca”, spie-garci cosa vuol dire essereuna donna rom, una madre euna lavoratrice. Si svegliapresto tutte le mattine, prepa-ra la colazione per i suoi figliche vanno a scuola, fa le pu-lizie, prepara il pane nellastufa a legna che riscalda unpo’ alla volta tutte le stanze esolo dopo, ha finalmente unpo’ di tempo per dedicarsi alsuo lavoro di sarta e a sestessa. La macchina da cucire, ap-poggiata per terra sulla sca-tola di cartone, i ritagli distoffa colorata e gli ultimi cddi musica pop, serba e rome-na, attende, immobile e “so-spesa”, come le cose chesembrano circondare la suavita di ogni giorno.Il lavoro è una delle princi-pali preoccupazioni per lei eper le donne rom che primadi questo, un lavoro non loavevano mai avuto, forsenon ci avevano nemmenopensato.Cinque anni fa, raccontanoMaurizio Pagani e GiorgioBezzecchi, seguimmo Car-men Di Rocco (Opera No-madi Roma) in un progetto

di auto imprenditoria femmi-nile denominato “Antica Sar-toria Romanì”, per “offrireuna concreta possibilità di la-voro alle donne e creare am-biti di socializzazione e di li-bertà del mondo femminile,al di là degli impegni richie-sti dalla famiglia”.Ne nacque un’esperienza cheabbiamo cercato di fare an-che nostra, riportandola nella“città della moda”, perché lafantasia e creatività delledonne rom trovassero unospazio proprio e il riconosci-mento che meritano, anchese da qui, tra i quartieri po-polari di Baranzate, V.le Sar-ca o Rho, la prospettiva delloskyline del Centro apparelontana e sbiadita, come leopportunità.Così, da oltre due anni, trepiccoli gruppi di donne si ri-trovano per lavorare insiemedue, tre volte la settimana:hanno iniziato con la confe-zione di prodotti tessili per lacasa come tovaglie, tovaglio-li, grembiuli da cucina e co-priletti realizzati con pezzi distoffe diverse, sapientementeuniti in patchworks colorati.Gli ottimi risultati incorag-giano e, presa confidenzacon le macchine da cucire,oggi alcune di loro realizza-no gonne, abiti da sera, cor-petti e borse. Tutti questi prodotti sonovenduti a cooperative, negozi

e privati.Nel 2007, eravamo proprioagli inizi ricorda Eliča, “ab-biamo venduto 500 borse dijuta alla fiera “Fa’ la CosaGiusta” , dove anche que-st’anno sarà presente unostand della nostra sartoria “ele abbiamo fatte tutte in solidue mesi! Alla fine eravamostremate, era difficile lavora-re così tanto, badare ai figli ealle faccende di casa, ma èstato molto importante pernoi fare questa esperienza:per noi lavorare significa nonsolo imparare una professio-ne, guadagnare qualcosa e ri-trovarci tutte insieme, ma so-prattutto dimostrare airhodensi, ai milanesi, agliitaliani che vogliamo inte-grarci e avere una vitanormale”. Anche se da “zingari”.L’integrazione è un temamolto caro ad Eliča che in-fatti continua “so che moltiitaliani ci considerano spor-chi, ladri e che pensano chenon rispettiamo le leggi enon vogliamo integrarci, manon è così. Questo è perchénon ci conoscono: se ci si co-nosce, ci si rispetta, ci si ca-pisce e nasce la fiducia. Èvero che ad alcuni di noi noninteressa, o hanno paura adintegrarsi e, in un certo sen-so, li capisco perché io, diorigine macedone ma da ol-tre venti anni in Italia, alla fi-ne non mi sento né macedo-ne né italiana, perché con lenuove leggi e la discrimina-zione nei nostri confronti co-me facciamo a sentirci italia-ni se poi siamo discriminatidai nostri stessi concittadi-ni?”. Difficile rispondere, mafacile intuire come Eliča e lealtre vedano il loro lavoro disarte come parte di una pos-sibile soluzione al problemadell’integrazione e comemezzo per sentirsi realizzate,come donne e come madri difamiglia.Da settembre 2009, la Fon-dazione Ismu sostiene il pro-getto avviato dall’Opera No-madi. Oltre a lavorare a casae nei loro “campi”, le sarte“romnià” si ritrovano in unnegozio di Quarto Oggiaro adisegnare cartamodelli e rita-gliare stoffe. All’esterno, lepersone del quartiere si af-facciano sulla vetrina, qual-cuna trova il coraggio di en-trare e chiedere se c’è postoanche per una sua conoscen-te. Lo chiamano “Progetto

Coesione”, un modo di stareinsieme agli altri senza averpaura delle differenze.Ci sono donne adulte ma an-che ragazze giovani, lavora-no ma cercano anche di im-parare a leggere, scrive e stu-diare. Argentina mi confida:un giorno abbiamo appeso incasa di Gordana il calenda-rio settimanale dei turni alnegozio. Natascia, 17 anni, ad un cer-to punto ha detto rivolta atutte noi: a me tocca giovedì,ma che cos’è giovedì?Nel frattempo sta ancheprendendo forma un’altrainiziativa dell’Opera Nomadi

e della Cooperativa

Sociale Romano Drom cheintegra e amplia il progettosartoria. È stato infatti proposto aqueste donne un corso di for-mazione pratico in cucinapresso lo Spazio Forma diMilano, per arrivare ad orga-nizzare eventi e feste. Ange-lina, moglie di un musicistamolto noto, Jovic Jovica, cheorganizza concerti ed eventi,mi porge il suo biglietto davisita con stampato il suo nu-mero di telefono: “Da Ange-lina: cucina rom a domici-lio”. Di fronte a questaesplosione di creatività e fan-tasia, è facile non stupirsi delfatto che il progetto della sar-toria sia stato esportato an-che dal campo rom di Rho, aBaranzate, fino alle donnesinte che abitano a Treviglio.“Le donne rom, esattamentecome le non rom, chiedonodi poter avere delle speranze,di avere delle possibilità, inambito lavorativo e sociale.Come tutti noi hanno esigen-ze di normalità, per loro, lapropria famiglia e per i lorofigli”, continua Maurizio Pa-gani, “e la sartoria è un’atti-vità, prima ancora che im-prenditoriale, di valore socia-le ed educativo”. AggiungeEliča: “Io voglio una vitanormale, come tutti. Non vo-glio essere giudicata in quan-to ‘rom’ perché siamo perso-ne come tutti gli altri, non

abbiamo nulla di diverso evogliamo le stesse cose: mipiace fare la mamma, pren-dermi cura della mia fami-glia e lavorare. Mi manca so-lo una casa più grande, per-ché questa è troppo piccolae, visto che ci viviamo incinque, non posso lavorare acasa e sono costretta a cucirealtrove: questo però mi portaa passare meno tempo con imiei figli e mi dispiace”. Diversamente a quanto moltipossono pensare, il progettodella sartoria è stato accoltobene anche dagli uomini del-la comunità: e questo non so-lo perché in questo modo ledonne contribuiscono econo-

micamente allavita familiare senza peraltrodistogliersi dalla cura dei fi-gli e della casa, ma perchél’iniziativa è stata progettataincludendo gli uomini, ren-dendoli partecipi del proget-to. Tuttavia ci sono delle dif-ficoltà che vanno dalla ca-renza di risorse, che sono mi-nime, alla mancanza di luo-ghi e strutture adeguate: co-me ci ricorda Eliča, i prefab-bricati del campo sono trop-po piccoli per questo generedi attività. Vi è infine un pro-blema legato al riconosci-mento, esterno ed interno al-la comunità, del loro lavoro:un riconoscimento economi-co e lavorativo, che si tradu-ce nella mancanza di acqui-renti stabili, e quindi di unguadagno costante, ed un ri-conoscimento di carattere so-ciale. Le donne rom devonoanche combattere contro chi– istituzioni, associazioni,singoli - svaluta il loro lavo-ro in quanto precario edinformale, contro chi pensache “il lavoro serio sia un’al-tra cosa”. Invece è proprio laflessibilità e la creatività diquesto progetto a conferirgliserietà: “soluzioni creative”,“flessibilità”, “innovazio-ne”… non è questa la “for-mula anticrisi” di cui tanto siparla sui giornali? Con il vantaggio di essere unprogetto tutto al femminile.

12 Popolo senza patria

di Cecile Michel

Un progetto tutto al femminile per trovare una via “creativa” all’inserimento sociale e lavorativo

Un vestito per sentirsi ‘normali’

Le donne rom, come tutti, hannoesigenze di normalità, così la sartoria èun’attività di valore sociale ed educativo,

prima che imprenditoriale

““

Page 13: COME - OPERA NOMADI

13Popolo senza patria

Le cooperative sociali rom rappresentano un’esperienza valida, cancellata però senza ragione dalle istituzioni

Lavoro quindi esistoU

no degli stereotipiclassici che vengo-no attribuiti aglizingari è che “lo-

ro”, del lavoro, non sapreb-bero che farsene…Fedele a questo adagio,l’Assessore alle Politichedella famiglia di Milano,Mariolina Moioli, tra i pri-mi atti del proprio mandatoimpose l’interruzione delleconvenzioni con le 3 Coo-perative Sociali rom che trail ’92 e il 2000 si erano co-stituite a Milano.La “Romano Drom”, accan-to alla “Laci Buti” e “NeviBait”, vantava una ricca

esperienza di mediazionesociale e lavorativa che, fi-no a quel momento, avevapermesso a molti giovani eadulti rom di inserirsi nelmondo del lavoro.Sarà un caso, o forse soloun’eccezione che confermala regola, ma ad oggi nessu-na di quelle persone che co-minciarono quel percorso diallora ha perso l’abitudinedi cercarsi o mantenereun’occupazione anche se,per ironia della sorte, nel2007 vennero messe perstrada proprio dal Comunedi Milano.Tra gli animatori storici del-la Cooperativa, nonchè“Consulente dell’UfficioNomadi del Comune” percirca vent’anni, vi era ancheGiorgio Bezzecchi, un “romHarvato”, storica figura del-l’Opera Nomadi milanese enazionale.Anch’egli, nonostante fossepassato sotto alla lente dialmeno cinque sindaci, nonresistette alle ‘epurazioni’ ealle politiche discriminato-rie avviate nei confrontidelle comunità zigane.Oggi Bezzecchi continua alavorare con l’Opera Noma-di di Milano e la Cooperati-va Romano Drom.Un po’ di storia...Nel 1994 si costituisce lacooperativa Romano Drom.Inizialmente si occupa prin-

cipalmente di interventi dipulizia e servizi di piccolamanutenzione degli stabili,attività che dà lavoro a cin-que ragazze zingare: lecommesse arrivano preva-lentemente da privati piùqualcosa dal pubblico. Dal1999 al 2004 la RomanoDrom allarga le sue attivitàa lavori di imbiancatura,traslochi, assemblaggiosempre per i privati e nellostesso periodo parte unaconvenzione con il settoredecentramento del Comunedi Milano per la pulizia e lapiccola manutenzione dicinque centri giovanili.

Nel complesso la cooperati-va dà lavoro a una decina dipersone. Nel 2004 il servi-zio viene messo in garad’appalto e la cooperativaperde la gara a favore diuna grossa società privata. Nel 1999 era stata inoltrestipulata una convenzioneper l’attuazione di interventidi controllo, manutenzione emediazione sociale sulle

strutture dell’Amministra-zione Comunale all’internodei campi sosta che, fino al2007 dà lavoro a altri seizingari. Nel giugno 2007 laconvenzione non viene piùrinnovata.Nel corso del tempo la coo-perativa ha avuto in affida-mento dai Servizi Socialidel Ministero di Grazia eGiustizia, 20 tra adulti e ra-gazzi rom detenuti o ex de-tenuti per i quali ha attivatotirocini e inserimenti lavora-tivi, non sulla base di con-venzioni, e dunque di finan-ziamenti, ma solo sulla basedi un riconoscimento forma-

le della propria funzione so-ciale. Ovviamente i tirocinie gli inserimenti lavorativiavvenivano all’interno delleattività della cooperativa equindi delle convenzioni sti-pulate con il Comune. Tolte le convenzioni la coo-perativa non è più in gradodi svolgere tale compito. “La vicenda delle coopera-tive e quella delle mediatri-

ci culturali scolastiche sonoil segnale di una precisastrategia politico ammini-strativa. Dall’arrivo dei rom romenie di politiche emergenzialipubbliche “differenziali”,gli zingari”italiani” scom-paiono. Scompaiono letteralmente.Le amministrazioni non sene occupano più, per loronon esistono”, sono solo unpeso di cui disfarsi al piùpresto. Ed è esattamente quello chesta avvenendo oggi, con lachiusura dei campi comuna-li senza alcuna politica so-

ciale alternativa. Spesso anche con il soste-gno interessato di chi neicampi ci lavora, ma hasmesso di far sentire la pro-pria voce critica.Per rendersi conto della gra-vità della situazione occor-re, al di là del valore simbo-lico, dare un peso reale ainumeri: tra le persone coin-volte nelle cooperative e le

mediatrici culturali romstiamo parlando di una set-tantina di persone. Poche sipotrebbe pensare. Ma pro-viamo a fare due conti. Stia-mo parlando di una comu-nità di neanche 4.000 perso-ne (di cui la metà bambini). Uno stipendio mensile dicirca 700/800 euro basta al-le esigenze di sopravviven-za di una famiglia zingara. Famiglia allargata, media-mente composta da una de-cina di persone. Dieci per settanta vuol diresettecento persone cheavrebbero potuto sopravvi-vere onestamente e che non

possono più farlo. Non solo, ma se le coopera-tive fossero state adeguata-mente sostenute dalle istitu-zioni, avrebbero potuto darevia via lavoro a più persone. Quanto sarebbe costato alleistituzioni un investimentoin tal senso? Quanto costa oggi, alle isti-tuzioni, l’emergenza socialeche si è creata?

La Romano Drom, insieme all’Opera Nomadi e al Consor-zio Sir – Arca di Noè, sta lavorando oggi, grazie ad un

contributo della Fondazione Cariplo ad un nuovo ambiziosoprogetto: riprendere la strada dei lavori che per moltissimigiovani e adulti rom restano un miraggio, realizzare unastruttura permanente e un’attività culturale che sia occasionedi riconoscimento e valorizzazione della cultura zingara.Il progetto prevede di attrezzare un piccolo museo etnogra-fico nel campo comunale rom di Via Impastato a Milano, re-staurando una antica carrozza gitana trainata a cavalli erecuperando una serie di oggetti tradizionali della cultura edella storia, dei rom come strumenti musicali, abiti originalie tradizionali, fotografie, documenti storici e gioielleria arti-gianale. Creare cioè una mostra permanente della culturarom aperta al pubblico e in modo particolare alle scuole delterritorio, con l’obiettivo di avvicinare il campo e i suoi abi-tanti alla città e i cittadini alla vita di tutti i giorni di una nor-male comunità zigana a Milano.In Europa esistono pochissime esperienze che richiamino al-l’idea del museo zigano. La più significativa non poteva che essere nei pressi di Sain-tes Marie de la Mer. Qui rom, Manouche e Gitani ogni me-se di maggio arrivano dai quattro angoli d’Europa e ancheda altri continenti per venerare la loro Santa, Sara la Nera

(Kalì), patrona dei gitani. L’Associazione “Amici dei Gitani”espone presso il Centro Culturale, documenti che raccontanole origini, la storia, le violenze e le discriminazioni subite dalpopolo gitano.Invece ad Heidelberg dal 1997 è aperto il Centro culturale edi documentazione sinti e rom di Germania che dispone diun’area di circa 700 m² suddivisa su tre piani e ospita laprima esposizione permanente sul genocidio dei sinti e deirom ad opera del regime nazista. Il percorso affronta tutte lefasi della storia e della persecuzione di queste popolazioni,dalla graduale emarginazione e privazione dei diritti basila-ri fino al loro sistematico annientamento. Scopo del centro èfare luce su questo lato poco chiaro della storia tedesca e in-vitare le persone alla riflessione sul fatto che la politica na-zionalsocialista di persecuzione e sterminio delle due comu-nità è stata quasi omessa dai libri di storia e dai memorialisull’Olocausto. Una fiamma eterna ricorda gli oltre 500.000sinti e rom che secondo le stime sono caduti vittima del “Por-rajmos”compiuto in Europa. Il campo di Via Impastato ospita Goffredo Bezzecchi, padredi Giorgio, ultimo dei sopravvissuti che ha subito la deporta-zione nei campi di concentramento in Italia e che rappre-senta una testimonianza importante di una pagina troppospesso dimenticata sui libri di storia.

Un museo nel campo rom

Page 14: COME - OPERA NOMADI

14 Popolo senza patria

La tradizione musicale dei “popoli erranti” è sempre frutto di intensi scambi culturali

Virtuosismi balcanici

Da sempre, rom esinti insieme agliebrei sono, loromalgrado, popoli

erranti e le loro musiche so-no frutto di scambi tra leloro culture e quelle deipaesi in cui si sono ritrovatia vivere.Dalle lontane terre delnord-ovest indiano, la mu-sica zingara è arrivata finoa noi in forma orale, maiscritta sugli spartiti. Nei secoli, gli zingari han-no adeguato la propria mu-sica ai suoni delle cultureattraversate durante le lorolunghe peregrinazioni, ap-prendendo con precisionele arie e le melodie popolaridei luoghi di insediamentostorico, interpretandole poisecondo fantasia. La diversità di risultati otte-nuti da queste unioni è taleche ci si può chiedere se siacorretto parlare di una verae propria musica “zingara”.Eppure, nei numerosi stiliche si sono venuti a crearesi possono riconoscere varielementi in comune, primafra tutte la pratica moltofrequente dell’improvvisa-zione, con rapidi cambi ditempo, ritmi sostenuti, tal-volta note lunghe e appas-sionate, un alto grado divirtuosismo, una spiccatasensibilità quasi sentimen-tale e una ricca “ornamen-tazione”, fatta di cesellaturee arabeschi. La presenza della musicazingara in Europa è moltoantica: già nel ‘400 suonavaun’orchestra zingara allacorte di Sigismondo, Impe-ratore del Sacro RomanoImpero. La musica classica occiden-tale ha attinto a questa tra-dizione musicale parallela,rinnovando il proprio stile e

i propri ritmi. Molti grandicompositori, come Schu-bert e Beethoven, adottaro-no finali “all'ongarese”,mentre Franz Liszt, che eb-be tra i suoi maestri di mu-sica un rom ungherese,scriverà, in un saggio del1859, che l'intera musicatradizionale dell'Ungheriasi deve agli zingari, “dotatidi un senso musicale d'in-credibile profondità, certa-mente sconosciuto a qual-siasi altro popolo”. Tra leopere classiche ispirate atradizioni zingare, ritrovia-mo la “Carmen” di Bizet ele “Danze Slave” diDvorák; più in generale, sipuò dire che tutti i compo-sitori “colti” dell'epoca ro-mantica, da Brahms aSchubert, da Ravel a De-bussy a Ciajkovskij, pren-deranno spunti artistici dal-la tradizione musicale diquesto popolo. In alcuni Paesi il ruolosvolto dagli zingari per lapreservazione delle arietradizionali è stato fonda-mentale, basti pensare allaTurchia, e ai musicisti del-lo storico quartiere diIstanbul, Sukulele, o allaRomania, dove i rom lauta-ri (gli antichi menestrelliche mettevano in musica ifatti della vita) sono diven-tati gli esecutori professio-nisti, o semi-professionisti,della tradizione popolarerumena.Dalla provincia di Timisoa-ra, fino a tutto il territoriodei Balcani, è del resto for-tissima la presenza di unamusica zingara intrisa difiati e ottoni (famosissimoè il Festival di Guca che sitiene ogni anno in Serbiatra la prima e la secondasettimana di agosto). Si tratta dello stile mutuato

dalle bande militari dell'im-pero ottomano che ha in-fluenzato i musicisti di tuttala regione, dando vita allecosiddette fanfare, forma-zioni composte prevalente-mente da strumenti a fiato. Un esempio di questo tipodi musica noto al pubblicoè stato il famoso gruppoFanfare Ciocârlia, i cuicomponenti hanno arricchi-to con arie tradizionali inuovi stili dal gusto moder-no, come il rap. Non è difficile oltremodopercepire una stretta paren-tela tra l'origine delle fanfa-re e quella del jazz, alla cuinascita ha contribuito inmodo fondamentale l'in-fluenza delle bande militaridella Louisiana, tanto che,in modo un po' approssima-tivo, la musica di GoranBregovic, compositore ser-bo-bosniaco che reinterpretaliberamente motivi della tra-dizione zingara macedone, èstata spesso definita una sor-ta di jazz “balcanico”. Tuttavia, l'unico artista eu-ropeo capace di imporsinell'Olimpo del jazz classi-co americano fu DjangoReinhardt, il prodigiosochitarrista zingaro manou-che, la cui storia viene tra-sversalmente ripercorsa nelfilm di Woody Allen “Ac-cordi e disaccordi” del1999. Alla fine della guerra, inuna Parigi liberata, i soldatiamericani impazzivano peril musicista autodidatta eanalfabeta che, in seguitoad un drammatico incidentenella sua roulotte, perse l'u-so delle ultime due dita del-la mano sinistra, vedendosicosì costretto a elaborareuna tecnica assolutamente

innovativa denominataSwing String, mescolanzadi tradizione zingara euro-pea e jazz americano. Nonostante i suoi trionfi in-ternazionali (ebbe la soddi-sfazione di suonare conLouis Armstrong, ColemanHawkins e Duke Ellington),il chitarrista manouche tor-nava sempre tra la sua gen-te in Camargue, a St. Mariede la Mer, luogo sacro pertutte le comunità zingare,che ci si ritrovano il 24 e 25maggio di ogni anno a cele-brare Santa Sara. In Italia manca una tradi-zione musicale zingara verae propria.A differenza della Spagna,dell'Ungheria e dei Paesidell’area balcanico jugosla-va, gli artisti professionistisono pochi: ancora oggi peri matrimoni zingari impor-tanti vengono chiamati mu-sicisti da Sarajevo o da Bel-grado, anche se un'impor-tante eccezione è però co-stituita dal musicista, poetae cattedratico rom abruzze-se Santino Spinelli, fonda-tore dell'Alexian Group, La musica zingara può tut-

tavia, essere senza dubbioconsiderata tra le realtà cul-turali più vitali presenti an-che in molte città italiane.Feste private o celebrazionidi matrimoni, vedono impe-gnati sempre più frequente-mente i musicisti rom. Molto più facile risulta in-vece ascoltare la musica diun “Taraf”, termine con ilquale tradizionalmente siindica in Romania il gruppodi musicisti rom, e che è di-ventata infatti una parola diuso comune tra i musicisti egli appassionati perchémolti e imprevedibili sono iTaraf che circolano per lecittà, agli angoli delle stra-de, nelle underground no-strane.Se a Roma, per i matrimonipiù “importanti” capita chepossa essere invitato unmusicista del calibro di Sa-ban Bajramovic, stella dellamusica rom d’oltreadriati-co, a Milano, un nome sututti si è imposto all’atten-zione del mondo artistico edegli amanti della buonamusica, quello di Jovic Jo-vica e del suo gruppo, i“Muzikanti”.

La musica occidentale è quasi sempre intre quarti, o in quattro quarti.

È così che siamo abituati a sentirla, primaancora che a pensarla.

Quella rom balzella e salta in nove ottavi, oin sette quarti. Cercare di capire perché unrom coperto d’oro e gioielli chieda la caritàai semafori è come volere all’improvviso

suonare i Beatles in nove ottavi

Da che sono nato nella mia vita c'è musica. Il mio bisnonno era violinista.

È morto a 106 anni, sdraiato sul letto, conla testa appoggiata al muro e il violino in

mano, mentre suonava. L'abbiamo trovato così e abbiamo fatto

fatica a separarlo dal violino, perché le sue dita erano rigide.

Non riesco a pensare a una morte più dolceJOVIC JOVICA

Page 15: COME - OPERA NOMADI

15Popolo senza patria

Opera Nomadi di Milanoè un’associazione di ca-rattere autonomo e

apartitico, iscritta al registroprovinciale del volontariato.È formata da soci che aderi-scono annualmente con uncontributo minimo di 10 €.Oltre la metà dei soci iscrittisono appartenenti alle comu-nità zingare di Milano e Pro-vincia.L’Associazione di Milano nonaderisce all’Opera Nomadi Na-zionale con sede a Roma, dicui non condivide l’attualestrategia politica e operativa,benché per lunghi anni gliesponenti del Direttivo abbia-no ricoperto anche i più altiincarichi del Direttivo Nazionale, contribuendo ad affermare unalunga tradizione di lavoro al fianco delle comunità rom e sinte ri-salente ai primi anni ’60.L’Opera Nomadi di Milano raccoglie idealmente l’esperienza el’impegno di uno dei suoi storici fondatori, Carlo Cuomo, di cui ri-cordiamo dalle pagine di questo giornale non solo il cocciuto einstancabile attivismo che lo contraddistingueva, ma anche e so-prattutto la capacità culturale e politica di leggere e anticipare ifenomeni sociali in trasformazione.Fino a circa un decennio fa, L’Opera Nomadi è stato l’unico Enteche in modo organico e continuativo ha cercato di costruire unindirizzo di politiche pubbliche generali che guardassero anche aibisogni delle comunità zingare, favorendone l’insediamento sulterritorio cittadino, la scolarizzazione dei bambini, la formazionedelle cooperative rom, gli interventi a tutela della salute di unpiccolo popolo che ha, ancora oggi, una prospettiva di vita mediainferiore a molti dei Paesi del Terzo Mondo, il riconoscimento del-la loro peculiarità culturale e linguistica.La realizzazione dei primi campi nomadi comunali a metà deglianni ‘80 (ben diversi da quello tristemente noto di via Tribonianomesso su in fretta e furia dalla Giunta Albertini e portato a com-pimento dall’attuale Giunta guidata dal Sindaco Moratti), doveancora vivono moltissimi rom italiani, fu il primo concreto ricono-scimento della loro esistenza e del diritto di poter vivere serena-mente a Milano.Certo, si dirà, e non senza ragione, che in molti casi questi luoghidi vita si sono trasformati nel corso del tempo in una sorta di

“ghetti”, da “superare”, come sisuol dire oggigiorno.E’ vero, ma questo dimostra, anchea distanza di molti anni, non la loroinadeguatezza intrinseca (ogni indi-viduo dovrebbe essere libero di sce-gliere come vuol vivere, a “noi”,tutt’al più, spetterebbe il compitodi sostenerlo nella conquista deipropri diritti..) ma, come dimostra-no anche i recentissimi fatti di viaPadova, la drammatica mancanza dipolitiche sociali e di integrazione inquesta città.Tra gli interventi che ancora riman-gono gli unici di questo tipo avvia-ti con successo a Milano, vi fu laformazione e l’inserimento di me-diatrici culturali rom nelle scuole enei consultori familiari, condotta

con il sostegno dell’allora Provveditorato agli Studi e del Dipar-timento di Pedagogia dell’Università Statale di Milano (poi tra-sferitosi al Dipartimento di Scienze della Formazione Primariadell’UNI Bicocca).Per la prima volta, eravamo all’inizio degli anni ’90, alcune donnedi queste comunità ebbero l’occasione di trovare uno spazio pro-prio, riconosciuto dalla comunità d’appartenenza, da dedicare aloro, alla loro istruzione, alla ricerca di un lavoro, al benesseredelle altre donne e dei tanti bambini che cominciavano ad andarea scuola con sempre maggiore assiduità.Vennero poi la costituzione di 3 Cooperative rom (quelle rimastesenza appalti pubblici per mano e volontà dell’Assessore alle Poli-tiche Sociali Mariolina Moioli), interventi di scolarizzazione deiminori, formazione degli insegnanti, sostegno critico alle politi-che pubbliche.In particolare, la Leggere Regionale n. 77/89 a tutela delle “popo-lazioni tradizionalmente nomadi e seminomadi della Lombar-dia”… venne “ispirata” direttamente da Carlo Cuomo.L’Opera Nomadi intervenne con i propri operatori, spesso nellacompleta latitanza dei servizi pubblici, nei campi comunali fino al1995, quando l’allora Assessore Ombretta Colli cercò di istituireuna sorta di “nomadopoli” cittadina. Ciò nonostante, fino all’inizio del 2007, pur tra molte difficoltà,l’Opera Nomadi è sempre stata presente nei campi comunali mi-lanesi nel tentativo, sempre più contrastato, di promuovere poli-tiche sociali volte a favorire il positivo inserimento delle comunitàzingare nel tessuto sociale cittadino.

La non accettazione della sottoscrizionedel “Patto di Legalità e Socialità” impostoalle comunità zingare dalle autorità pub-bliche, con l’avvallo e la partecipazione diuna parte importante dell’associazionismocattolico milanese, determinò uno spar-tiacque netto tra la necessità di continua-re, in forma autonoma, l’intervento a fa-vore delle comunità rom e sinte e il nettorifiuto di sottoscrivere e concorrere a de-terminare politiche pubbliche discrimina-torie e inefficaci.Oggi, l’Opera Nomadi continua a svolgerela propria azione sociale e culturale nelsolco dell’eredità passata ma svincolatadalla commistione clientelare di politichepubbliche non trasparenti quando nonapertamente lesive dei diritti inalienabilidei soggetti più deboli. Partecipa alle atti-vità del “Tavolo rom”, istituito presso laCamera del lavoro di Milano, di cui è statouno dei primi più convinti Enti sostenitori,pur non condividendone l’attuale strate-gia politica e operativa.

OPERA NOMADI MILANOwww.operanomadimilano.org

I ROM E L’AZIONE PUBBLICAa cura di:Giorgio Bezzecchi, Maurizio Pagani e Tommaso VitalePagine 288 - 20,00 € - Teti Editore

I gruppi zigani sono molti e differenti. Abitano da secoli iltessuto urbano d’Europa. Sono parte integrante della sto-ria italiana, soggetti in uno stato di diritto. Spesso, tuttavia, le politiche nei loro confronti assumonotratti marcatamente discriminanti e di frequente gli entilocali adottano vere e proprie forme di razzismo istituzio-nale. Altre volte, politiche e provvedimenti ben intenzio-nati falliscono per le proteste e le mobilitazioni locali, maanche per il mancato ascolto e coinvolgimento dei direttiinteressati, i rom e i sinti.Il volume tenta di fornire idee e appigli per uscire da que-sto senso di impotenza: i diversi contributi che lo com-

pongono mostrano strade concretamente percorribili nell’azione pubblica. Guardando alla sfida di una politica democratica e partecipata, questo libro racconta una plura-lità di casi empirici che aiutano a capire come è possibile rispettare i diritti fondamentali delleminoranze, moltiplicando il consenso sulle politiche necessarie per una migliore convivenza.

OPERA NOMADI MILANOwww.operanomadimilano.org

Page 16: COME - OPERA NOMADI

COMEOOPPEERRAA NNOOMMAADDII SSEEZZIIOONNEE DDII MMIILLAANNOO OONNLLUUSSVIA DE PRETIS, 13 - 201410284891841 3393684212 [email protected] OOPPEERRAA NNOOMMAADDII

MMIILLAANNOO