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7 IL CASOLARE Non era ancora spuntata l’alba, e tre uomini camminavano per una mulattiera che portava in alta montagna. Dal loro equipaggiamento si capiva che erano scalatori. Non parlavano, la strada era lunga, sulle spalle avevano dei pesanti zaini con corde e piccozze appese esternamente, il sentiero era ripido, ghiaioso, passava fra boschi e selve; corsi d’acqua scorrevano dalle cime e si immettevano in un fiu- miciattolo che da piccolo si allargava, serpeggiava, formando delle piccole cascate arrivando alla pianura con grande fragore immettendosi nel lago. Dopo un’ora di cammino la cresta di una montagna si illu- minò di un colore dorato, gli uomini si fermarono guardando lo spuntare del sole. Un altro giorno stava per cominciare, il sole prometteva bene; sostarono e si guardarono intorno: il bosco si stava ri- svegliando, caprioli e scoiattoli si rincorrevano; dal più grosso al più piccolo animaletto del bosco, erano tutti alla ricerca frenetica di cibo. «Chissà se la donna del casolare è ancora viva?». «Carlo, la donna si chiama Angela e spero proprio che viva ancora». «Lei è il nostro angelo, tante volte abbiamo avuto bisogno del suo aiuto, ha sempre aiutato tutti gli appassionati della montagna! Una volta mi ospitò per diversi giorni dopo che mi ero ferito in seguito a una caduta, mi trattò con gentilezza come un figlio, mi medicava con le sue erbe e guarii presto e bene, senza volere essere ricompensata». «Ospita tutti quelli che bussano alla sua porta, quasi tutti noi che passiamo dal suo casolare le portiamo qualche cosa. Vedrai, quando apriamo gli zaini sembra una bambina che aspetta i regali di natale, le si illuminano gli occhi, io prendo un pacchetto per volta, mi piace la sua reazione, lei i soldi non

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Il CASolARe

Non era ancora spuntata l’alba, e tre uomini camminavano per una mulattiera che portava in alta montagna.

Dal loro equipaggiamento si capiva che erano scalatori.Non parlavano, la strada era lunga, sulle spalle avevano dei

pesanti zaini con corde e piccozze appese esternamente, il sentiero era ripido, ghiaioso, passava fra boschi e selve; corsi d’acqua scorrevano dalle cime e si immettevano in un fiu-miciattolo che da piccolo si allargava, serpeggiava, formando delle piccole cascate arrivando alla pianura con grande fragore immettendosi nel lago.

Dopo un’ora di cammino la cresta di una montagna si illu-minò di un colore dorato, gli uomini si fermarono guardando lo spuntare del sole.

Un altro giorno stava per cominciare, il sole prometteva bene; sostarono e si guardarono intorno: il bosco si stava ri-svegliando, caprioli e scoiattoli si rincorrevano; dal più grosso al più piccolo animaletto del bosco, erano tutti alla ricerca frenetica di cibo.

«Chissà se la donna del casolare è ancora viva?».«Carlo, la donna si chiama Angela e spero proprio che viva

ancora».«lei è il nostro angelo, tante volte abbiamo avuto bisogno

del suo aiuto, ha sempre aiutato tutti gli appassionati della montagna! Una volta mi ospitò per diversi giorni dopo che mi ero ferito in seguito a una caduta, mi trattò con gentilezza come un figlio, mi medicava con le sue erbe e guarii presto e bene, senza volere essere ricompensata».

«ospita tutti quelli che bussano alla sua porta, quasi tutti noi che passiamo dal suo casolare le portiamo qualche cosa. Vedrai, quando apriamo gli zaini sembra una bambina che aspetta i regali di natale, le si illuminano gli occhi, io prendo un pacchetto per volta, mi piace la sua reazione, lei i soldi non

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li vuole, non ne conosce il valore, non sa come spenderli: non vive come noi cercando di guadagnare sempre più».

«Beata lei che non conosce le scadenze da pagare, però io non potrei vivere così isolato, io sono amante della compa-gnia, quando ho bisogno di solitudine vengo in montagna, e la montagna, con la sua aria pura e il suo silenzio, provoca in me un rilassamento benefico».

«Su, mettiamoci in cammino, abbiamo ancora tre ore per arrivare da Angela».

Il casolare di Angela era a metà strada fra il piano e l’alta montagna, il sentiero gli passava davanti, quasi per tutti gli scalatori che passavano era una fermata d’obbligo sia nell’an-data che nel ritorno, e quasi tutti le portavano qualche cosa; sapevano tutti della solitudine di Angela, se qualcuno le do-mandava il perché lei sorrideva, non diceva niente, ma qualcu-no insisteva nel voler sapere allora rispondeva: «Aspetto una persona, se vado al piano non so dove andare, io abito in questa casa da quando avevo diciotto anni, ho sempre vissuto qua, ho le mie abitudini, i miei amici scalatori».

I tre proseguivano in silenzio, il peso sulle spalle e il sentiero erano faticosi, ma lo sguardo si beava del paesaggio: fiori, pia-nori e ruscelli, insieme agli uccellini accompagnavano il loro cammino.

«Guardate, si vede un filo di fumo: Angela è in casa, non vedo l’ora di togliermi dalle spalle questo peso».

Fatti ancora un centinaio di passi, oltrepassata una curva, il casolare era davanti a loro.

«Però non è così brutto come me lo aspettavo; però è tra-scurato, si vede che manca la mano di un uomo».

Un vecchio cane come avvertì la presenza di persone co-minciò ad abbaiare.

Richiamata dall’abbaiare si affacciò sulla porta una donna anziana col sorriso sulle labbra.

«Guarda chi si vede! Siete i primi scalatori».Il capocordata le strinse le mani. «le presento i miei amici,

questo è Aldo il più anziano, questo è Carlo il più allegro e più curioso, io la conosco da molti anni e voglio sapere se mi ricorda».

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«Ma certo che mi ricordo di lei, è uno dei migliori scalatori, sempre gentile, e poi non è stato ospite in casa mia per diversi giorni? Vuole farmi l’esame per vedere se ho perso qualche rotella? Guarda, luigi, che ti conosco e ti ringrazio del tuo interessamento». Si guardarono e si abbracciarono felici del loro ritrovarsi. «Venite in casa che si mangia assieme».

entrarono, con un sospiro si tolsero gli zaini, luigi iniziò a frugare e a tirar fuori dei pacchettini, e li dispose sulla tavola. Angela lo guardava, il suo sorriso diventava sempre più lumi-noso; le sorridevano anche gli occhi.

«Dai, apri!».lei scartò il primo pacchetto e restò un attimo con la testa

bassa. Con le mani allargò poi alla vista di tutti uno scialle di lana azzurro, lo guardò. «È molto bello, non ho mai avuto regalo così bello!».

«Su, guarda anche gli altri, sono tutti tuoi!».«Mi confondi, cosa ho fatto per meritare tutti questi regali?».«Scarta e non parlare, c’è di tutto, zucchero, riso, pomodori,

fagioli, frutta sciroppata, biscotti e caramelle, io non so come ringraziarti».

Anche Carlo aprì lo zaino e porse due sacchetti con farina per polenta e farina per gnocchi, e una lattina di olio d’oliva, Angela batteva le mani: era felice.

Aldo, più severo, le porse un sacchetto di sale e una mantella invernale.

erano tutti felici: chi aveva dato e chi aveva ricevuto.«Se volete potete mangiare una zuppa fatta con le prime

erbe primaverili».Finito lo spuntino, si misero gli zaini in spalla si salutarono;

poi si avviarono lungo il sentiero.«Che impressiono vi ha fatto Angela?».«Carlo, per me è una donna coraggiosa, da giovane doveva

essere una bella ragazza, io che sono un uomo e credo di non avere paura di niente, non ci starei neppure un mese così da solo».

«A parte la solitudine, ma pensate alle forti nevicate inver-nali, ai temporali, è sola, si potrebbe ammalare, ferirsi, nem-meno io vivrei così».

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«Hai ragione, Aldo, è una vita difficile la sua, per noi, ma lei à abituata, io ho vissuto per pochi giorni con lei e non mi sembrava paurosa o infelice. Qualche volta la sorprendevo mentre guardava il fondo valle e vedevo una grande tristezza nei suoi occhi, come di persona che attende invano una per-sona che non arriva mai».

Arrivati al pianoro dove intendevano piantare la tenda per il bivacco, si diedero da fare, il lavoro era coordinato da mani esperte e abituate.

la tenda era pronta, il fuoco era acceso, circondato da pie-tre; sopra vi misero una grata di ferro e lì preparano la loro cena; poi, stanchi della faticosa giornata, si ritirano in tenda per la notte.

Al mattino, appena spuntò il sole, i tre erano pronti. Fecero colazione, pane e uova sode e una tazza di caffè, si caricarono di corde e chiodi per la scalata alla montagna e si avviarono.

Arrivarono davanti alla parete, la guardarono, la studiarono, non era la prima volta che salivano, ma la scalata è sempre un’incognita, e dopo il gelo invernale le sorprese non manca-no mai.

«Io salgo per primo, tu Aldo secondo, e tu Carlo chiudi. la giornata è bella non ci dovrebbero esserci difficoltà».

Incominciarono a salire, fatti i primi chiodi con molta pru-denza, poi più sicuri incuranti dei sassi che si staccavano, sali-rono con gioia e spavalderia, dopo ore di salita si ritrovarono in cima, uno spettacolo così limpido e chiaro non l’avevano mai visto.

essendo la più alta vetta, da lì vedevano tutte le cime e le catene, le vallate solitarie, i boschi e le pinete, qualche piccolo ruscello che dalla fonte piano piano si ingrossava formando un torrente, la visuale era tanto bella che decisero di mangiare sulla vetta.

Dopo aver pranzato, ritornarono a valle dall’altro versante più boschivo e senza rocce.

Arrivarono alla tenda quasi al tramonto del sole, si lavarono a una pozza d’acqua lì vicino, si ristorarono e andarono in tenda, fuori era fresco, Aldo leggeva, Carlo e luigi giocavano a carte.

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Il secondo giorno cambiarono parete, questa era molto dif-ficile, con pochi facili passaggi. Dovettero stare molto attenti, non parlarono, e quando arrivarono alla cima tirarono un re-spiro di sollievo e si strinsero le mani.

«Anche questa volta è andata bene, il tempo è stato favo-revole, non so se domani sarà così, si vede tutto scuro dietro quei monti a nord, è già stato fin troppo bello, su queste alture il tempo cambia da un’ora all’altra».

Prima che arrivassero alla tenda le nubi avevano coperto tutto il cielo, il sole era sparito e l’aria si era fatta gelida.

Tutta la notte il vento e l’acqua imperversarono, non la-sciando dormire nessuno.

«Copriamoci bene, facciamo sacchi e bagaglio, tanto di sca-late non ne facciamo più».

Smontata la tenda e caricati gli zaini si guardarono.«era così bello, pazienza... la montagna è così, ci ritornere-

mo» salutarono l’altura e tornarono a valle.Mancava circa una mezz’ora al casolare di Angela, un forte

scroscio d’acqua accompagnato da fiocchi di neve investì i tre scalatori.

«Ci mancava proprio questa!» disse Carlo «Per fortuna An-gela è in casa, e il camino è acceso».

Vista dall’alto la casupola non era piccola, quadrata, con il porticato sull’entrata, divisa in due parti, la grande cucina da una parte e due camere dall’altra, appoggiate alla parete nord la stalla e la legnaia che erano in comunicazione grazie a una porta sul retro, così in inverno non si doveva uscire.

Il cane diede il segnale che stava arrivando gente, Angela si affacciò alla finestra, li stava aspettando, ravvivò il fuoco e aprì la porta.

«Avanti, vi aspettavo».luigi entrò per primo.«Signora Angela, è una gioia rivedere lei e la sua casa!».«È da tanto che vi aspettavo, cominciavo a pensare male».«A metà strada siamo stati investiti dalla bufera, acqua, neve

e grandine, il sentiero era diventato un piccolo fiume, abbia-mo faticato molto, per fortuna la sua casa è stata il nostro faro».

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entrati in casa vennero accolti da un gradevole tepore.«Come si sta bene» disse Aldo «non ne potevo più».«Su spogliatevi, toglievi gli abiti bagnati e scaldatevi, io vi

preparo una tisana che vi scalderà internamente. Questa notte la passerete da me, il tempo domani cambierà, vedete: quando le nubi vanno in quella direzione il giorno dopo si rassere-na».

era sera, il fuoco dava luce e una lucerna brillava sulla tavo-la, si parlava delle montagne.

Carlo non ne poteva più di parlare di montagne, voleva sa-pere di Angela, come mai viveva da sola e allora incominciò: «Signora Angela...».

lei si guardò in giro. «Non vedo nessuna signora, io sono Angela per tutti».

Carlo continuò: «Io volevo sapere come fa a vivere così sola, non sente il bisogno di compagnia, non le pesa la solitudi-ne?».

«Sì, mi pesa la solitudine; a volte piango, ma non è sempre stato così. Io abitavo in valle, la mia famiglia aveva una casa sulla strada principale del paese: i miei genitori, due fratelli maschi e io ero la più piccola; si andava d’accordo, io e i miei fratelli finito l’inverno si andava all’alpeggio con le mucche e si ritornava in autunno prima del freddo. Un anno mia madre si ammalò e in famiglia decisero di mandare all’alpeggio un ragazzo, io restai a casa per curare la mamma. Una mattina presto lungo la strada si sentì un rumore di campanacci e di campanelle, andai alla porta, vi passava un gregge guidato da un pastore seguito da due somari e tante pecore; per ultimo vi erano delle capre e un giovane pastore con un capriolo ap-pena nato in braccio. Quando i nostri occhi si incontrarono il mio cuore ebbe un balzo: mi innamorai subito di lui, anche lui mi guardò a lungo, poi mi disse: “Aspettami verrò a trovarti”. Alla domenica all’uscita dalla messa mi attendeva, appena mi vide mi si avvicinò.

“Io mi chiamo Martino e tu?”.“Io mi chiamo Angela e ho diciotto anni”.“Io ventuno, faccio il pastore con mio padre e abito in un

casolare ai piedi del monte” e con la mano mi additò la mon-

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tagna. “Io vorrei conoscerti, appena ti ho visto ho capito che eri la ragazza che aspettavo”.

Ci ritrovammo ancora tre volte e mi disse “Io non ho più dubbi, se sei d’accordo vorrei parlare con i tuoi genitori”.

“Anch’io non ho dubbi” gli dissi “per me sei il primo uomo e sarai anche l’ultimo, non amerò mai nessun altro, te lo giu-ro”. Ne parlai a mia madre e le spiegai il mio innamoramento con gioia.

“Angela non devi avere premura, sei ancora giovane, non devi prendere il primo venuto, ti possono capitare altri gio-vani magari più belli, e devi pensare che se scegli Martino io avrò poche occasioni di vederti, di aiutarti, guarda che la vita non è soltanto amore: c’è la nascita dei figli, ci sono le malattie e chi ti può curare meglio della mamma? Rifletti questa notte e domani ne riparleremo”.

Io avevo già deciso: o Martino o nessuno d’altro. Quando mia madre mise al corrente mio padre della mia decisione, apriti cielo! Non ho mai visto mio padre così furioso, si alzò dalla seggiola, picchiò un forte pugno sulla tavola. “Ma sei diventata matta, non ragioni più, vuoi andare in quella casu-pola ad abitare come un eremita? Non pensi alla tua fami-glia? Io e la tua mamma stiamo invecchiando, i tuoi fratelli si sposeranno... chi verrà a trovarti? Pensaci, sarai sempre sola”. I miei familiari erano assolutamente contrari, io ero più che mai decisa, non c’erano argomenti per farmi desistere dal mio proposito. Mio padre mi disse: “Se lo vuoi, se sei determinata, prendilo, io ti accompagnerò all’altare, finita la cerimonia la tua famiglia per te sarà morta, non ci vedrai più, né io, né tua madre, né i tuoi fratelli, e non venire a piangere: la porta della mia casa per te rimarrà chiusa”. Il giorno delle nozze mio pa-dre mi accompagnò in chiesa, dalla casa alla chiesa c’era tutto il paese; tutti sapevano della mia scelta, c’erano i pro e i con-tro; tutti mi guardavano, nessuno parlava. Mio padre rigido, diritto guardava davanti, non sorrideva a nessuno, dietro mia madre i fratelli e qualche parente, sembrava più un funerale che un matrimonio. Sul portale della chiesa mi attendevano Martino e i suoi parenti; quando ci avvicinammo il mio futuro suocero mi si accostò, mi disse: “Ti auguro un avvenire felice”

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poi prese Martino per mano “Andate, che Dio vi benedica!”. All’uscita la mamma, le amiche e le zie mi abbracciarono, mio padre e i fratelli non li vidi più. Io e mio marito ci avviammo per il sentiero incontro alla nuova vita. Mio suocero tornò il giorno dopo, con le mie poche cose e con i saluti di mia ma-dre. Voi penserete che io fossi triste, invece no, io ero felice. Martino era un pastore, di solito si dice “è un povero pastore” quasi pensando a un uomo non solo povero di soldi, ma an-che povero d’intelletto. Il mio Martino era bello, intelligente e molto gentile, aveva delle finezze con me che i giovani della pianura non si sognano di avere. Lui suonava il flauto e mi dedicava dei brani creati per me. Quando andava al piano o nelle fiere non arrivava mai a casa con le mani vuote, nel suo zaino vi erano tanti regali, io aprivo i pacchetti con tanta gioia, lui era felice di vedermi felice. Se andava con le pecore all’al-peggio al ritorno portava mazzi di fiori, oppure piccole pietre luccicanti o fossili belli da vedere con impressi piccole foglie o insetti, ve li farò vedere domani. Mio suocero mi rispetta-va, si rivolgeva a me sempre con modi gentili, io gli volevo bene, mi chiedeva sempre se desideravo scendere al paese, oppure alle fiere dove si incontrava gente nuova, e si potevano comperare tante belle cose, poi diceva: “Guarda che i soldi non mancano, se desideri qualche cosa devi chiedere, sei una donna che merita, hai fatto felice mio figlio, la casa è sempre pulita, e io trascorro i mie ultimi anni contento”. Io stavo bene così, non mi mancava niente, la mia famiglia mi aveva ripudiata, la gente del paese non sentiva la mia mancanza, e io non sentivo la loro, così vivevo isolata, mi bastavano mio ma-rito e mio suocero. Il mio piccolo regno mi dava gioia, piccole cose riempivano la mia giovane esistenza. Gli arrampicatori di pareti montagnose si fermavano al casolare e portavano notizie da tutte le parti del mondo. Dopo otto mesi di questa vita semplice e gioiosa mi accorsi di aspettare un figlio, non vi dico la felicità di mio marito, mio suocero voleva una bambi-na per darle il suo nome. Ma le cose non andarono così. Mio suocero dopo l’inverno gelido si ammalò, morì ai primi giorni della primavera, ora riposa su nel giardinetto al fianco di sua moglie. lasciò un grande vuoto, ora eravamo soli, mancavano

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pochi mesi alla nascita del piccolo e mio marito voleva che an-dassi al piano, dalla mia famiglia, mi diceva: “Vado io: parlerò ai tuoi genitori” io non volevo. “Come facciamo senza che nessuno che ci aiuta?”.

“Proprio tu che ai aiutato molte pecore e caprette a mettere nel mondo i loro cuccioli”.

“Ma tu non sei una pecora”.“Io non trovo nessuna differenza. I figli degli uomini e i

cuccioli degli animali nascono tutti allo stesso modo, quindi non preoccuparti, vedrai che tutto andrà bene, ora i giorni sono più lunghi, il freddo è passato e la gente comincia ad andare ai monti alti, se avremo bisogno chiederemo il loro aiuto”.

Una sera di giovedì, mio marito dopo avere sistemato nei recinti gli animali tornò e mi trovò a letto.

“Angela, è ora?”.“Credo di sì”. Dopo un paio d’ore avevo dato alla luce una

bambina. Mio marito era emozionantissimo: se la stringeva a sé, me la porgeva...

“Guarda come è bella, sono così felice che non mi stanche-rò mai di ringraziarti”.

Dopo due giorni, era sabato, gli scalatori salivano la monta-gna, mio marito era così felice, voleva dirlo a tutti i passanti, li invitava in casa, anche quelli che non conosceva: a tutti dove-va far sapere la sua gioia, mostrare sua figlia. Un scalatore ci disse: “Prima dell’inverno arriva mio fratello missionario an-che lui appassionato di montagna; lui la battezzerà, che nome le avete dato?”.

“Alba”.“Perché Alba?”.“Perché come l’alba sarà la luce di questa casa”.Passarono gli anni, Alba aveva dodici anni, cresceva bene,

sempre allegra aiutava in casa, era la nostra gioia.Mi accorsi di aspettare un altro bambino, quando mi sentii

sicura lo dissi a Martino, la gioia e l’amore che vidi nei suoi occhi non li posso descrivere. In me cresceva il bambino, e in Martino l’amore per me era raddoppiato, alla sera davanti al focolare mi scioglieva le mie lunghe trecce, i capelli erano

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lunghi e ondulati morbidi al tatto, non per dire o vantarmi, ero una bella donna, e Martino mi amava, scusatemi se mi divago, mi pettinava lungamente e parlava di noi, dell’amore che avevamo l’uno per l’altra, dei figli e del loro avvenire, non si sentiva nessun rumore, la pace regnava in tutta la casa. era-no gli ultimi giorni di settembre, Martino mi disse: “oggi la giornata è bella, porto le pecore ai piedi delle rocce, e credo che sarà l’ultima volta, poi starò nei pascoli bassi, così sarò più vicino alla casa, io dall’alto ti vedrò e basterà un tuo segnale e io sarò da te”.

Dopo pranzato io e Alba si lavorava sedute al sole fuori dalla porta, io rammendavo delle calze e Alba ricamava un centrotavola, a un tratto il sole si oscurò, guardai il cielo, die-tro alla casa, era tutto scuro. Allora mi alzai e corsi nel prato per riparare le galline e gli agnellini. Alba corse in casa per chiudere in tutta fretta porte e finestre. Appena in tempo, il temporale si scatenò con forza: tuoni e fulmini e scrosci d’ac-qua, le nubi coprirono tutto eravamo isolate e completamente sole. Alba piangeva, io la incoraggiavo ma avevo paura pure io, non avevo mai visto un temporale così violento. Mi ritrovai in ginocchio, gli occhi rivolti alla madre di Gesù... “Santa Ma-ria prega per noi, proteggi mio marito, solo Tu lo puoi aiuta-re”. Passato il temporale, il cielo ritornò sereno e l’arcobaleno tracciò il suo arco in segno di pace fra la terra e il cielo. Si fece sera, ma Martino non tornava, non riuscivo a contenere l’ansia, non sapevo cosa fare, ormai si era fatto buio e lui non tornava. Alba mi domandò: “Perché papà non torna?”.

Io cercavo di rassicurare la piccola, ma l’angoscia mi stringe-va la gola, volevo fare qualcosa... Andavo sulla porta, rientra-vo, misi la lucerna alla finestra e chiamai Martino, ma nessuno mi rispose. Alba si era addormentata e io aspettavo, al minimo rumore correvo alla finestra; tenni il fuoco acceso, ma spuntò il sole e Martino non era arrivato. Svegliai Alba: “Vado a cer-care tuo padre, magari è ferito, tu non ti muovere dalla casa, io dall’alto vedo se arriva e scendo subito. Se arriva qualche rocciatore spiegagli che tuo padre non è tornato a casa e la mamma è andata a cercarlo”. l’ho cercato tutto il giorno, ho gridato il suo nome fino a quando ho avuto voce, nessun indi-

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zio, tutto silenzio, ritornai a casa stanca, sfiduciata, la bambina mi attendeva, quando mi vide mi venne incontro.

“Mamma, non l’hai trovato?”.Il giorno dopo raccomandai alla bambina di non allontanar-

si da casa. Partii per l’altro versante, l’ansia mi faceva fare degli sforzi faticosi, ma un forte dolore al basso ventre mi costrinse a fermarmi, mi portai le mani alla pancia: “Povero figlio mio, era così forte il pensiero per tuo padre che non ho pensato a te”. Camminai ancora per circa un’ora, mi fermai ansante, il dolore mi toglieva il respiro e delle fitte si facevano sentire a intervalli di pochi minuti. “Signore, aiutami Tu, ti prego per il bambino... sono sola, aiutami”. lì, sola, piangendo e gridando persi il mio bambino, il figlio che Martino aspettava con tanto amore. Rimasi stesa per molto tempo, non avrei voluto alzar-mi più, ma il pensiero di Alba sola mi costrinse a reagire. Con le mani e un bastone feci una buca e la coprii di foglie, vi ap-poggiai il piccolo corpo sopra, misi dei fiori e coprii tutto con terra e muschio, mi impressi nella mente il grande albero che tuttora – se pure sono passati molti anni – ricordo benissimo, faticosamente ritornai a casa. Alba mi aspettava quando vide la mia faccia così desolata si mise a piangere. Andai a letto, vi rimasi per due giorni assistita dalla bambina. Se non avessi avuto mia figlia non so se sarei sopravissuta, la perdita di mio marito – ormai non speravo più di vederlo tornare vivo – e il rimorso di avere perso il bambino mi angosciavano così tanto che persi la voglia di vivere. Ma il tempo passa, io avevo trent’anni, mia figlia dodici, si doveva sopravvivere. Passò la settimana, la domenica arrivarono tre scalatori, quando senti-rono di Martino mi assicurarono che avrebbero cercato e av-visato le guardie forestali. Al lunedì arrivarono le guardie e dei volontari fra i quali i miei due fratelli, dopo avere spiegato la scomparsa di mio marito, gli presentai mia figlia e domandai dei nostri genitori, mi assicurarono che malgrado l’età stavano bene e mi pregavano di ritornare in famiglia. Dopo ricerche accurate mi spiegarono.

“Ti ricordi quel giorno vi fu un brutto temporale, Martino per arrivare più in fretta a casa prese il sentiero che porta al di-rupo, un sentiero molto pericoloso quando ci sono temporali,

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più ancora quando si ha un gregge di pecore, le pecore sono animali molto paurosi e quando sono presi dalla paura non ascoltano più nessuno. Proprio vicino al sentiero un fulmine colpì un grosso albero, ti puoi immaginare le pecore scappare impazzite dal terrore, correvano e andavano diritte verso il dirupo, è bastato che cadesse la prima, le altre sono cadute tutte a tasta bassa, è rimasto solo l’asino, era ancora vicino al dirupo, di tuo marito nemmeno l’ombra. Un volontario si è calato con una fune sostenuta da altri, giù fra le sue pecore giaceva morto Martino”.

Non vi dico il grande mio dolore quando lo vidi disteso su di una barella intrecciata da rami e foglie. Nel tentativo di salvarle è stato travolto, penso che sia stato l’istinto di metter-si davanti alle pecore, se avesse pensato solo un attimo non sarebbe successo quel che è successo, le pecore si potevano ricomprare, ma mio marito purtroppo non c’era più. lo ab-biamo messo sotto terra vicino ai suoi genitori, benedetto dal prete e attorniato da parenti e amici. I miei fratelli insistevano perché io e la bambina tornassimo a valle. Io preferii restare, mi sembrava di fare torto a mio marito abbandonando tutto, così tirai avanti».

Carlo il più curioso disse: «Dov’è finita la bambina?».«Mia figlia si è fatta grande, gli scalatori che passavano le of-

frivano di andare con loro, io non vidi niente di male e diedi il mio permesso, la raccomandai al più anziano del gruppo, dopo la prima volta quasi sempre accompagnava un gruppo di due o tre persone diventando anche lei scalatrice e accompagnatri-ce di scalatori inesperti. All’età di diciotto anni si innamorò di un giovane di città, Alberto, io capii subito del suo interessa-mento per il giovane, era un ragazzo che io giudicai non adat-to per mia figlia, si vedeva dai modi, dal parlare e dagli abiti che indossava che era una persona ricca e mia figlia non era alla sua altezza. Io le parlavo e le spiegavo delle difficoltà che inevitabilmente avrebbe incontrato. Per lei io avrei voluto uno delle nostre parti, un bravo ragazzo che magari si adattasse ad abitare qua da noi e a dare vita ancora al nostro casolare, vo-levo un avvenire così per mia figlia. Ero sola, quando partiva per le scalate, lei andava sempre davanti; era in prima fila, gli

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altri la seguivano, lui non le si accostava mai come per farmi vedere che per lei erano tutti uguali, li seguivo con lo sguardo, li vedevo salire, lei sempre davanti, ma io sapevo che appena non l’avessi più vista lui gli si sarebbe accostato, io ero gelosa della sua giovinezza, avevo paura della loro intimità, tremavo all’idea che mi lasciasse. Domandavo a lei e agli uomini che l’accompagnavano, ma quando scendevano avevano sempre premura di ritornare alle loro case, così io non sapevo mai niente da loro. Se chiedevo come avevano passato la giornata rispondevano “Bene”; e se domandavo come si comporta-va mia figlia rispondevano “È giovane, beata gioventù, fan-no una bella coppia”, oppure “Non angustiarti, se sono fiori fioriranno”. Non osavo chiedere, ma la osservavo, vedevo i cambiamenti, si vestiva con più cura; la vedevo specchiarsi, si pettinava i lunghi capelli fino quando li vedeva lucidi. Non giocava più col cane, le lunghe corse erano finite. Una sera, tornati dalla scalata, mi dissero che volevano sposarsi. Io rea-gii male, le misi davanti tutti i pericoli cui andava incontro, lei non mi ascoltava, anzi mi disse che le assomigliavo:

“Tu, mamma, quando dicesti a tua madre che ti saresti spo-sata, lei ti disse che avresti vissuto da sola lontano dalla fami-glia, famiglia che io qua sola con te non ho mai conosciuto, non ho mai visto la mia nonna sorridere, non ho mai visto come è fatto il mondo. Forse finirò male come dici tu, ma io voglio vivere, vedere tutte le cose chi il mio innamorato mi descrive, andrò a vivere in città, voglio avere figli miei, soprat-tutto vivrò fra la gente, mamma, ti prego non negarmi questa mia forse unica possibilità”.

Riflettei le sue parole e capii che aveva ragione, così la lasciai andare. Non vi dico il dispiacere che ebbi, abituata alla sua compagnia la cercavo sempre con lo sguardo; da allora capii cosa era la solitudine. ora sono sola, triste e vecchia».

Si alzò, si avvicinò al focolare e disse: «Carlo, fammi un pia-cere, lì di fianco al focolare c’è un botola, si nota poco, perché fatta con lo stesso legno del pavimento, ma guarda bene con la candela troverai una maniglia, stai attento: ci sono dieci gra-dini, su di uno scafale troverai una bottiglia di vino, la tenevo per una grande occasione (speravo di rivederla) ora questa

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occasione è arrivata, serve per fare passare la malinconia, e per essermi confidata una volta con persone amiche».

Carlo tornò con la bottiglia. «Non credevo di trovare una così bella cantina, mi pareva di sentire il profumo del formag-gio».

«Quando avevo in casa mio suocero e mio marito si face-va tanto formaggio pecorino e lì stagionava, si vendeva, mio marito quando ritornava aveva sempre regali per me. ora il formaggio non c’è più, ma se hai guardato bene ci sono vasi di erbe per tisane, e marmellate di frutti di bosco che faccio con lo zucchero che mi portano i miei amici scalatori, ci sono castagne secche e miele che rubo alle api, conservo il cibo che mi portano in cambio di amicizia e di rifugio per tante perso-ne. ora brindiamo e andiamo a riposare».

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lA SToRIA DI AlBA

Alba partì dal casolare con la felicità nel cuore, salutata la madre ridendo tese la mano al suo innamorato e disse addio alle montagne.

Erano giovani, sani, belli tutti e due, lui figlio di famiglia benestante, pieno di gioia di vivere, forse non rifletté molto sulla scelta fatta.

Alba era bella, di una bellezza giovanile, ma sapeva appena leggere e scrivere e aveva letto qualche libro di suo padre, ma le mancavano i comportamenti di donna informata ed educa-ta come le ragazze cui era abituato lui.

Capì subito l’errore appena la presentò alla madre che, trop-po educata alla finzione, l’accolse con garbo la baciò sorriden-te, ma suo figlio percepì subito la contrarietà della madre.

Accompagnata Alba nella camera destinata a lei, Alberto le disse: «Vedrai che tutto andrà bene, io ti amo, tu ti abituerai al nostro modo di vita, ora riposati».

Alberto uscì.Alba si guardava in giro, la prima impressione dalla casa la

lasciò sgomenta, il vasto giardino, lo scalone d’entrata, l’inter-no della casa erano per lei cose mai viste, ora si trovava nella stanza a lei destinata, la trovava fredda, troppo ordinata, e non osava toccare nulla.

Poco lontano dalla porta della camera di Alba la madre di Alberto lo stava aspettando, con un cenno di capo senza una parola gli intimò di seguirla.

«Cosa credi di fare con quella? Io nella mia casa non la vo-glio, non mi aspettavo da te un affronto simile. Mi porti in casa una montanara, maleducata, senza istruzione, cosa dirà tuo padre, le tue sorelle i tuoi amici... cosa diranno di te?».

«Mamma, capisco il tuo punto di vista, ma io le voglio bene, sono innamorato di lei, vedrai col tempo si adatterà a noi, è bella, buona sincera e mi piace così».

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«Io ti ripeto che non la voglio».«Non essere così drastica, guarda il lato buono della cosa,

dove trovi una ragazza così? Vorresti che io sposassi una delle amiche delle mie sorelle, tutte smorfie e finzioni, che guarda-no a te con un occhio e con l’altro adocchiano un altro? Io mi sono impegnato, non posso rimandarla a sua madre».

«Per la terza volta io ti dico che non la voglio, arrangiati e pensaci tu a sistemarla».

Alberto chiese consiglio a un amico, sicuro di trovare una soluzione.

«Caro Alberto, ti sei proprio messo in un bel guaio, tua ma-dre ha ragione, nel nostro ambiente non la puoi portare, di-venteresti tu e lei la burla di tutti, sai come sono cattivi e pre-tenziosi: non ammettono gente estranea nei loro confini, sarà beffata dalle donne e corteggiata dagli uomini, in poco tempo sarà rovinata e anche tu».

«Cosa devo fare? Sono combattuto, il mio amore per lei da una parte, e le cose che tu dici purtroppo sono vere».

«Ci sarebbe una soluzione, non so se ti piacerà, ma credo sia l’unica. Prendile un appartamento fuori città, la sistemi bene e lì la potrai amare, di matrimonio non ne parlare più, capirà anche lei che è impossibile».

Alberto di carattere impulsivo ma anche debole, facile a disconoscere i suoi progetti, alla fine ammise di non avere pensato bene alla situazione. Dopo pochi giorni di soggiorno nella casa famigliare, Alba stessa lo implorò di portarla lonta-na da quella casa, capiva che non era bene accetta, la mamma la guardava con commiserazione, le sorelle la compativano e il padre la osservava con bonomia nauseante.

L’appartamento era bello, spazioso, le finestre immettevano su di un panorama agreste.

«Alba, ti piace?».«Sì, è bello, cosa facciamo ora? Tu stai con me o torni in

famiglia?».«Vedi, la situazione è un po’ difficile. Io non vorrei lasciar-

ti sola, ma la mia mamma non è pronta ad accertarti, io ti ho portata subito in famiglia, ma ho forse sbagliato, ho visto come ti trattavano, tu stessa mi hai chiesto di portarti via.

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ora torno in famiglia, ma non ti lascerò sola, ti insegnerò le cose di questa società, ti porterò a visitare città, ti porterò al mare che non hai mai visto, a fare acquisti nei negozi, ma, ti prego, non prendermi troppo sul serio, io voglio che tu resti la ragazza buona e semplice che sei, la ragazza che amo più della mia vita. Vedrai, non ti abbandonerò: sarai la mia donna per sempre».

Alba, felice delle promesse di Alberto, senza accorgersene da fidanzata divenne donna mantenuta.

Alberto la colmava di regali, la portava a visitare cose mai viste, ma sempre lontana da parenti e amici.

Trascorsero parecchi anni.Alba era impreparata a questa situazione, si aspettava che

Alberto la sposasse, ora sapeva parlare bene, conosceva cose nuove, pensava che la suocera e la famiglia per amore di suo figlio l’avrebbero accettata.

Una sera, dopo cena, la madre di Alberto gli fece un cenno, dicendogli che doveva parlargli.

«Credo che ti sia passata la cotta per la montanara» gli disse con disprezzo «perché ho una bella e brava signorina da farti sposare».

«Mamma, cosa dici? Io la donna da sposare l’avevo, tu con le tue idee di grandezza e di perbenismo non hai voluto ac-contentarmi».

«Figurati» rispose con disprezzo. «Comunque è ora di met-tere su famiglia e la ragazza che ti propongo ne ha tutti i re-quisiti».

Batti oggi, batti domani, la ragazza era carina, gentile, il che piace alle mamme, amica delle sorelle, con dote che soddisfa-ceva papà.

Alberto, quasi senza accorgersene si trovò coinvolto, tutte le occasioni erano buone per incontrarsi, i raggiri della mamma cominciarono ad avere un certo effetto su Alberto, si sentiva ringiovanito, le sue donne non gli davano tregua; le partite a tennis, le merende fuori porta, le gite al mare erano attrattive a cui non si poteva rinunziare.

le serate per la maggior parte le passava da Alba, da Alba trovava l’amore, la sincerità e la pace. Ma presto si accorse che

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non gli bastava, voleva far conoscere la sua realtà, camminare a testa alta con la donna che amava, ma non era possibile, non aveva il carattere di opporsi, essendo l’ultimo dei figli crebbe sottomesso e ubbidiente ai voleri dei familiari.

Così, piano piano, iniziò a diminuire gli incontri con Alba e a intensificare gli incontri organizzati dalle sorelle.

Una sera, dopo aver assistito a uno spettacolo teatrale, do-vette accompagnare la ragazza a casa, ma lei era più furba di Alba, usava le sue armi di seduzione al momento giusto e calcolato.

Nello scendere dalla macchina si trovò davanti Alberto che le aveva aperto la portiera, subito ne approfittò per abbrac-ciarlo.

«Caro, ho aspettato questo momento, io ti amo» dicendo questo gli offrì la bocca per un bacio d’amore.

Alberto non perse l’occasione la strinse a sé e si baciarono con passione.

«Vedi quella finestra illuminata? Sono i miei genitori che mi attendono, vuoi salire un momento? Avranno molto piacere di conoscerti».

Salirono, dopo i saluti, la ragazza presentò ai genitori Alber-to come suo fidanzato.

Ad Alberto non importò di essere stato raggirato con tanta furbizia, per il momento andava bene così.

la mamma e le sorelle erano felici i loro piani si erano rea-lizzati, cominciarono a parlare di matrimonio.

Per Alberto andava bene così, aveva la fidanzata e l’amante, una non sapeva dell’altra, così viveva da uomo libero e felice.

Un giorno Alba, tornando da una passeggiata, si trovò di fronte un amico di Alberto, si salutarono; Alba domandò se andava ancora in montagna (voleva avere notizie della madre), ma lui le rispose:

«No, è tanto che non vado: si è persa la compagnia, e tu come stai? e ora cosa fai?».

«Come cosa faccio?».«Sì, volevo dire, ora che Alberto si è sposato, come vivi,

cosa fai?».Alba sentì il suo corpo raggelarsi, la vista le si oscurò. «Se è

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uno scherzo è di cattivo gusto, ripetimi quello che hai detto».«Scusami, Alberto non ti ha detto niente?».«Accompagnami a casa».Fatto l’ultimo tratto di strada nel più assoluto silenzio, aper-

ta la porta di casa, Alba si lasciò scivolare su di una poltrona.ora doveva cominciare tutto da capo.«Alba, io ho fatto una cosa imperdonabile, ma credevo che

Alberto ti avesse detto del matrimonio, quando hai parlato con lui l’ultima volta?».

«Venerdì sera mi ha chiamato al telefono e mi ha detto che impegni urgenti, questioni private di suoi clienti, lo portavano in diversi Stati europei, ne era dispiaciuto perché prevedeva la lontananza di oltre un mese, sono quattro giorni che non ho sue notizie».

«Sapevo che Alberto era di carattere debole, ma non l’ho mai giudicato un vile, sono molto dispiaciuto per quello che ti ha fatto».

«Non riesco a crederti, come ha potuto trattarmi così? Se mi avesse detto che non aveva più amore per me, se fosse stato sincero, l’avrei perdonato, ma così non posso perdonar-lo e non lo voglio più vedere. Raccontami cosa è successo sabato». Alba aveva il cuore spezzato, il corpo era tutto un tremore non si alzava dalla poltrona, era senza forza e volontà di reagire.

«Sabato ci siamo trovati al duomo, io ero il suo testimone».«Ma tu sapevi che era fidanzato?».«Sì e no, Alberto non parlava mai di quella donna, quando

una volta chiesi di lei, mi rispose “È un’amica delle mie sorel-le, non c’è niente da dire: io amo Alba”».

«Come ha fatto a tenere tutto nascosto?».«Per lui è stato facile, con la scusa dell’amicizia con le sorelle

gli amici non ci badavano, e lui si è lasciato corteggiare da persone più abili di lui».

«Anche io non mi sono accorta di nulla, era sempre pre-muroso, diceva e dichiarava a ogni occasione il suo amore per me, quando si assentava aveva sempre un motivo valido. Come ha potuto farmi un affronto così grave, non lo merita-vo, lo amavo così tanto, perché non mi ha più voluta?».

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«Io ti chiedo scusa per lui, e ti domando per la seconda vol-ta, ora cosa farai?».

«Non ti so rispondere, ho bisogno di riflettere, lasciami sola, quando avrò preso una decisione ti telefonerò».

Rimasta sola non riusciva a coordinare le idee, un momento si indignava del torto subito, lacrime copiose che non poteva trattenere la scuotevano tutta, alla fine stanca e avvilita si ad-dormentò.

Si svegliò, era notte e tutto era buio, non si mosse, e rico-minciò a pensare.

“Non posso più vivere in questa casa, e non lo voglio più ri-vedere, non voglio scuse né spiegazioni. Cosa è meglio per me? Appena si fa giorno mi cercherò un piccolo alloggio. I soldi per i primi tempi non saranno un problema, userò quelli che mi ha dato la mamma quando, prima della partenza dal casolare, mi disse: «Questi soldi erano di tuo padre, li do a te, fanne buon uso, io non li voglio, non ne ho bisogno». Beh, questi soldi non li ho mai usati, li userò per una nuova sistemazione”.

Trovò subito un piccolo appartamento all’ultimo piano di un palazzo con ascensore, era ammobiliato e lontano dalla casa che stava lasciando. Ritornò, prese le poche cose perso-nali che aveva, consegnò le chiavi al portiere e, senza voltarsi, caricò tutto su di un taxi e partì per una nuova vita.

l’appartamento era nuovo, o quasi, il proprietario uno sca-polo, persona ordinata tanto che gli altri proprietari degli ap-partamenti nella palazzina quasi non ne notarono la presenza, per ragioni di lavoro dovette trasferirsi all’estero, incaricando il portiere di affittarlo a persone o persona affidabile. Alba chiese al portiere, una persona discreta ed educata, se poteva vedere l’appartamento e il prezzo dell’affitto. Salirono: la casa era piccola e ariosa con un bel panorama; le piacque, pagò subito l’affitto e si sistemò. Per tre giorni non uscì di casa, troppo il dolore, troppo l’amarezza, troppo il dispiacere. Poi uscì e prese conoscenza del nuovo rione, i negozi erano belli, pieni di roba buona; fece la spesa, doveva rifornirsi di tutto, il commerciante, viste le pesanti borse le offrì aiuto.

«Signora, se mi dà nome, via e numero mando il ragazzo».Alla sera telefonò all’amico di Alberto:

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«Pronto, sono Alba».«Sì, tutto bene? Cosa hai deciso?».«Per prima cosa mi sono trasferita dall’altra parte della città,

mi trovo bene, ti do l’indirizzo, ma ti prego non darlo ad Al-berto, giurami che non lo informerai, non voglio più saperne ne di lui, né della sua famiglia».

«Te lo giuro, da me non lo saprà, posso venire a trovarti?».«Ti ringrazio, ma è meglio che tu non venga».Passato un mese Alberto tornò da Alba, sul portone c’era

il portiere. «Buonasera signore, attenda un momento» ritornò con le

chiavi «Queste me le ha date la sua signora, prego».Alberto rimase perplesso, prese le chiavi e salì, aprì la porta

accese la luce, si guardò attorno, tutto era in ordine, l’ordine di Alba, ma lei non c’era, i cassetti e l’armadio erano colmi delle sue cose, vestiti, scarpe, pellicce, profumi, tutti i regali ricevuti: non mancava nulla “Possibile che non mi abbia la-sciato nemmeno una lettera, un rimprovero? Niente, me lo sono meritato; dovevo affrontare le mie responsabilità, dove-vo essere sincero, sono stato un vigliacco, un debole, ora mi merito tutto il malcontento che ho in me”.

Uscito non sapeva cosa fare, Alba non c’era, la moglie era in visita dalla suocera e dalle sorelle... decise allora di andare al ritrovo dove certamente avrebbe trovato qualche amico.

Infatti li trovò, e fra battute e scherzi gli fecero festa.Alberto ci stette, ma si stancò subito, il suo pensiero fisso

era Alba e gli amici con le loro insinuazioni lo infastidivano. Si avvicinò al suo migliore amico, ma non sapeva come avviare il discorso.

«Come va?».«Domando a te come va! Sei tornato dopo un mese dalle

nozze, sei tu che avrai novità! Come sta la sposina?».«Senti, non ho voglia di chiacchiere inutili, mi trovo nei guai

con Alba, sai qualche cosa? Sono stato a trovarla, volevo spie-garle il mio comportamento, ma non c’è più, il portiere mi ha dato le chiavi e non sa dove si trova».

«Cosa credevi dopo quello che le hai fatto, ti aspettavi che ti ricevesse a braccia aperte, perché non le hai detto niente?

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Perché ha dovuto saperlo da altri? Non immagini il dolore che le hai dato?».

«Sì, capisco di non avere agito bene, ma devo ritrovarla, le devo spiegare e farmi perdonare».

«Credo sia troppo tardi».«Ma tu sai dove si trova?».«Mi spiace, io non lo so».Alberto salutò tutti e lasciò gli amici.Appena fu fuori gli amici si chiesero: «Ma cosa aveva per es-

sere così triste, non è appena tornato dal viaggio di nozze?».«Quando si tira troppo la corda si rompe, ha voluto tenere

un piede in due scarpe, così è caduto».«Racconta, noi non sappiamo niente, cosa ha fatto?».e lì, seduti al tavolo con davanti un bicchiere di vino, gli

amici ascoltarono la storia di Alberto e Alba.Il narratore si lasciò trasportare e nel raccontare disse più del

dovuto. I commenti non finivano più, chi diceva che Alberto aveva fatto bene a non dire niente, Alba era una mantenuta, e le mantenute quando stancano, si lasciano. Altri dicevano: «Guarda che è stata lei a lasciarlo. e non ha portato via niente, nemmeno i regali più costosi, ciò vuole dire dignità» e parla-vano, parlavano, l’argomento era interessante e tutti volevano dire la loro opinione.

Si fece tardi, si alzarono per andare alle loro case quando uno del gruppo disse «Ma tu come fai a sapere queste cose così spiegate bene, la conosci?».

«Sì, e ti dico che è una brava ragazza».«Sarà, ma ci credo poco. Magari sai anche dove abita?».«Certo che so dove abita» e rivelò il suo indirizzo.«Perché non lo hai dato ad Alberto?».«Ho promesso di tacere, non lo vuole più vedere. Vi racco-

mando tacete anche voi, mi sono lasciato sfuggire l’indirizzo, vi prego di non tradirmi».

«Magari qualche amico che la consoli avrà piacere di ricever-lo, che ne dici?».

«Non dire stupidaggini, non è il tipo».«Beh sentiamo che tipo è?».«Su, andiamo a casa, si è fatto tardi; ne riparleremo un’altra

volta».

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l’eReDITà DI ANGelA

Gli anni passarono e Angela era sempre più anziana, la figlia tanto amata non tornava.

Lei sapeva che la sua vita stava per finire, stava quasi sempre nelle vicinanze della casa. Si avvicinava l’inverno, gli scalatori erano scesi a valle con tanti saluti e abbracci, vuotando sul tavolo tutte le cibarie che contenevano negli zaini, guardano se aveva abbastanza legna per i periodi freddi, controllarono ogni cosa e si augurano di rivederla a primavera.

erano le ultime giornate di sole, Angela voleva salire, anche se sapeva che sarebbe stato faticoso per lei.

Che sarebbe stata l’ultima volta.Salì, arrivò sudata ma felice di rivedere la piccola fossa di

suo figlio, si chinò e accarezzò il muschio che lo copriva, gli mise dei fiori, si sedette vicino e gli parlò.

«Fra poco verrò da te, e saremo assieme col tuo papà».Poi si riposò, ridiscese attentamente la discesa, arrivò al ca-

solare stanca ma felice di essere riuscita a salire e scendere senza combinare guai.

Passò l’inverno e i primi scalatori arrivarono in vista del ca-solare.

«Come mai il camino è spento?».«Strano, fa ancora freddo, che sia ammalata?».Allungarono il passo, tutto attorno non c’era un segno di

vita.Davanti alla porta erano ammucchiate foglie e rami secchi,

ma le ante della finestra erano aperte. Chiamarono Angela, ma nessuno rispose.

Allora abbassarono la maniglia della porta, si aprì e sentiro-no odore di morte.

Nella camera nel letto, coperta fino al mento e ben conser-vata dal freddo con gli occhi aperti guardava per l’ultima volta i suoi amici.

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la avvolsero nella coperta, e la seppellirono vicino al suo Martino.

Riordinarono la stanza, chiusero la porta, appesero la chiave al chiodo, scesero a valle, tristi, senza salire in parete.

Avvertirono i nipoti, figli dei fratelli, e ritornarono alle loro case.

Alba intanto cercava di ambientarsi nel nuovo rione, si in-formava presso i bottegai se sapevano di persone che avesse-ro bisogno di aiuto come curare bambini o altri servizi.

Aveva bisogno di lavoro: i soldi della mamma non sarebbero durati in eterno, aveva bisogno anche di un contatto umano, era sempre triste, viveva ritirata e cercava di non farsi notare.

Una sera sul tardi sentì il campanello di casa suonare.“Chi mai sarà? Sarà forse Alberto? Io non apro”.Attese, non risuonarono più, pensò che avevano sbagliato e

riprese a leggere il suo libro.Tre sere dopo il campanello risuonò.“Ma chi chiama?”.Di notte il portiere non era di servizio, scese le scale, intravi-

de attraverso il vetro due figure maschili e senza aprire chiese: «Cercate qualcuno?».

«Sì, cerchiamo la signora Alba».«Sono io, che volete?».«Vogliamo la tua compagnia».«Io non vi conosco!».«Siamo amici di Alberto, abbiamo saputo che sei sola, ti vor-

remmo fare compagnia! Su, apri abbiamo con noi del buon vino e staremo allegri».

Alba a quelle proposte rimase allibita, di corsa risalì le scale, si richiuse in casa e scoppiò in un pianto angosciato.

Ma chi osava proporle quelle cose?“Io non sono una donna che si vende, ho ceduto solamente

per amore. Alberto mi ha tradito, io ero ingenua, giovane, ho creduto, ho avuto fiducia, cosa farò ora, a chi mi rivolgerò per avere un consiglio?”.

Il giorno dopo era sabato, scese per la spesa, per la strada si guardava attorno per vedere volti conosciuti, e prese a per-correre una strada con pochi passanti, a un tratto sentì una

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campanella suonare e si accorse di una chiesina con la porta centrale aperta; vi entrò come attirata da una calamita.

la chiesina era spoglia ma accogliente, la statua della Ver-gine Maria era attorniata da cuori per grazie ricevute e ceri e fiori adornavano l’altare.

Si sedette su una panca, cercando di pregare e di pensare cosa doveva fare.

A un tratto le si accostò un prete.«Vuole confessarsi?».Alba lo guardò: era un vecchio prete con la faccia più buona

e sorridente che lei avesse mai visto.«Noi suoniamo la campana per invitare i fedeli alla confes-

sione. Non sei cristiana? Non sei stata battezzata?».«Io sono nata in alta montagna, mi ha battezzato un mis-

sionario, amante delle montagne, ma non sono mai andata in chiesa; quel poco che so di religione l’ho appreso da mia madre».

Il prete le fece cenno di seguirlo e la portò in un locale die-tro all’altare.

«Siediti, credo che tu, più che di una confessione, hai biso-gno di una persona amica che ti aiuti in un momento delicato, sbaglio?».

«No, ha detto il vero».«Le vie del Signore sono infinite».Alba iniziò a parlare, raccontò tutto della sua infanzia soli-

taria, della morte tragica del padre, di avere abbandonato la madre, della fiducia e dell’amore per Alberto e del suo tradi-mento.

«ora sono molestata da uomini che non conosco, una per-sona sola sapeva il mio recapito e deve aver parlato, dopo avermi promesso di non darlo a nessuno. Non so più cosa fare, ho paura, sono uomini volgari e prepotenti».

«Io sono anziano e ho esperienza da vendere, ti comprendo, ti chiedo: la tua mamma vive ancora?».

«Sì, credo di sì, ma è tanto tempo che l’ho lasciata, ormai sarà anziana, ma è sempre stata in buona salute, era forte, coraggiosa e spero tanto che viva ancora».

«Con la tua speranza nel cuore, io ti consiglierei di ritornare

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da lei, sei giovane ancora, e hai un casolare in montagna dove passano tante persone che amano i monti, potresti fare del tuo casolare un rifugio che sia di ristoro per tutti i passanti».

«Grazie tante per il consiglio, io non ci sarei arrivata, è pro-prio una buona idea».

«Ti do la mia benedizione, e ricordati di pregare, ché il tuo Creatore ascolta sempre chi nel bisogno lo invoca».

Alba tornò nell’appartamento, raccolse le sue poche cose e, quando fu pronta per partire, consegnò le chiavi al portiere.

«Come mai se ne va? Non si trovava bene?».«Mi trovavo benissimo, ma mia madre mi aspetta».Dopo una notte e una giornata di treno, finalmente vide le

sue montagne; non si ricordava di come erano belle.Mancava poco al natale e già pregustava la gioia di vedere il

presepio che la mamma preparava per lei e diceva sempre:«Queste statuine in legno le ha fatte tuo nonno per tuo pa-

dre, quando io non ci sarò più abbine cura».“Quest’anno non sarai sola, ma dividerai la gioia del natale

con tua figlia”.Arrivando al sentiero iniziò la salita, non era più abituata e

presto le mancò il respiro, rallentò.“Ma perché vado così di fretta? Sono stanca, il viaggio in tre-

no e le mie pene di cuore mi hanno tolto la pace e la gioia di vi-vere. Quando arriverò al casolare e avrò abbracciato mia madre lascerò tutte le mie pene e dispiaceri fuori dalla porta, cambierò la mia vita, ritornerò fiduciosa come prima di partire. Sembra che voglia nevicare, devo arrivare prima che faccia buio”.

Allungò il passo e finalmente vide la casa.Come era tutto silenzio, il cane non abbaiava “Non ha anco-

ra avvertito la mia presenza”.Anche il camino non fumava.Quando fu vicina alla casa avvertì un abbandono totale, e la

neve incominciava a cadere lentamente.Picchiò alla porta.«Mamma, sono io e sono tornata al casolare, mamma aprimi

sono Alba, sono ritornata».Invano picchiò, nessuno rispose: il casolare era vuoto e ab-

bandonato.

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Alba, stanca, sudata dalla salita si appoggiò alla porta pian-gendo, poi piano piano un grande freddo invase tutto il suo corpo, si lasciò cadere, un velo di neve la coprì.

Alba chiuse gli occhi per non riaprirli mai più.Quando ritrovarono il corpo di Alba era primavera.Il caso venne pubblicato sui giornali cittadini.l’amico, confessò la verità ad Alberto: «Alba era fuggita da

te per il grande dispiacere di essere stata abbandonata, e di essere stata presa per una poco di buono dai nostri amici che la insidiavano nella sua casa e per la strada. Io stupidamente mi sono lasciato scappare di bocca il suo indirizzo».

«Come, tu sapevi dove abitava? Quando ti chiesi di lei hai detto di non sapere niente».

«Scusami, io avevo promesso ad Alba... anzi, mi fece giurare di non dirti dove abitava».

«Forse se tu avessi parlato avremmo potuto evitare questa tra-gedia. Io sono stato vile, non ho saputo imporre la mia volontà, io amavo Alba, sono disperato, sento un odio profondo per chi mi costrinse a delle scelte contro la mia volontà, i miei amici e i miei parenti mi hanno tradito, non voglio vedere più nessuno, non voglio più vivere in questo paese. Devi farmi un grande piacere, mi devi accompagnare in montagna per vedere dove è stata sepolta, devo chiederle perdono, le devo almeno questo».

Alberto abbandonò la famiglia e la moglie e decise di partire per l’America, portando nel cuore un grande dolore per il male fatto ad Alba.

la famiglia rimproverata e incolpata di quello che era suc-cesso non se la prese poi così tanto, ma quando Alberto fece le valige e partì, la maliziosa moglie, le sorelle pettegole, la mamma piena di superbia, piena di sé, che si credeva superio-re a tutti, capirono i loro sbagli.

la sua camera era vuota, mancava il suo sorriso, la sua pre-senza; avevano perso il figlio e la colpa era di tutti loro.

Il padre non interveniva mai, a lui bastava essere in pace e fare i suoi comodi, anche quando era suo dovere come soste-nere il figlio nei suoi diritti di libertà e di scelte.

Non capiva la scelta fatta da Alberto, e chiedeva alla moglie «Ritornerà?».

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AlBeRTo e l’AMeRICA

Una targa di ottone brillante portava il nome di un suo ami-co avvocato.

Senza farsi annunciare dalla segretaria si precipitò nello stu-dio.

«Ciao Alberto, qual buon vento ti porta?».«Brutto tempo, sto per partire: vado in America, ti devo in-

caricare di un grosso favore. Devi ottenermi il divorzio da mia moglie, qualunque sia la spesa, dalle tutto quello che vuole, ma che non la veda più, quando sarò sistemato ti farò avere mie notizie, non darai il mio indirizzo a nessuno, compresa la mia famiglia».

«Alberto, vuoi spiegarmi cosa ti è successo per prende-re queste decisioni? Guarda che si può rimediare a tutto, in quanto al divorzio rifletti: non c’è matrimonio senza litigio, siediti, parliamone, ti preparo un cordiale... bevi e vedrai che tutto si aggiusterà. Comincia dal principio».

Come davanti a un confessore Alberto confidò all’amico tutto il suo dolore, l’amore, il rimpianto, la tragedia della mor-te e il rimorso che tormentava il suo animo senza pace.

l’Avvocato restò senza parole.«Come hai potuto fare tutte queste cose? Dovevi venire pri-

ma, consultarmi, povero Alberto, quanta sofferenza! Sì, hai ragione, cambiando continente lontano dai luoghi e dalle per-sone che conosci forse troverai ancora fiducia in te stesso, la vita ha sempre in riserbo quello che noi non speriamo più».

Da Genova la nave lasciava la banchina, Alberto appoggiato al parapetto guardava con indifferenza le persone, tutti grida-vano, si salutavano, si baciavano, chi piangeva, chi sventolava dei fazzoletti... solo per Alberto non c’erano né baci né saluti, con un senso di fastidio si avviò alla sua cabina dove un ca-meriere stava vuotando le valige disponendo le sue cose nei vari scomparti.

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«Signore, io sarò il suo cameriere personale per tutto il viag-gio, di qualunque cosa dovesse aver bisogno, faccia conto su di me, io mi chiamo Gino, per servirla» fece un cenno di sa-luto e uscì.

la cabina era piccola, un letto, una ribalta per tavolino dove un vaso di fiori omaggio del capitano abbelliva il piccolo lo-cale, si sedette, guardò attraverso l’oblò lo stacco della nave dalla banchina.

Non pensava a nulla, non guardò la terra che lasciava; prese la testa fra le mani “Alba, aiutami tu”.

Anche nei giorni successivi Alberto continuò a pensare a lei. “Da tre giorni navighiamo, tutti i giorni per me sono uguali; mi appoggio al parapetto, guardo il sorgere del sole e aspetto di vederlo tramontare”.

Una sera gli si avvicinò un signore: «Posso farle compa-gnia?».

Alberto lo guardò e gli sorrise.«Mi scusi, la vedo sempre solo, triste, non frequenta il salone

da ballo con i giovani e neppure le sale da gioco, sulla nave dopo tre giorni si sa tutto di tutti, solo lei non è classificato, però io non l’ho avvicinata per curiosità: la vedevo così triste, la osservavo anche nella sala da pranzo, non si unisce mai alle persone allegre! Io non voglio sapere nulla della sua tristezza, ma la capisco, anch’io sono appena uscito da un tremendo dolore. Ho perso mia moglie da circa un anno, una donna che adoravo, mi creda, certi dolori non passano mai, mi scusi la sto magari disturbando?».

«No, mi faccia compagnia, ma questa sera non parliamo dei nostri dispiaceri, cominciamo a conoscerci, io mi chiamo Al-berto Dotti, sono piemontese, abitavo a Torino».

«Io sono Mario Grandi, sono lombardo ma non ci abito più: sono cittadino americano».

Si strinsero le mani, Alberto sentì nella stretta e nel sorriso di Mario di avere trovato un amico.

«Sono venuto in Italia per portare mia figlia a conoscere i suoi parenti italiani, e per farle ammirare le bellezze delle sue città, l’arte, la musica la cordialità delle persone, il dolce clima della primavera è stato un rivivere la mia gioventù. Dopo la

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grande crisi del 1928 gli affari di mio padre andavano di male in peggio; io abitavo nel Veneto, paese di emigranti: mio pa-dre aveva un’officina meccanica, aggiustava le poche macchi-ne in circolazione e coltivava un pezzo di terra e una vigna, ma erano tempi duri, d’accordo con mia madre vendettero tutto; io avevo cinque anni e sono figlio unico, così partimmo per l’America. Io, pur essendo piccolo, capivo il dispiacere dei miei genitori, vedevo mia madre che di nascosto si asciu-gava gli occhi, di sicuro non c’era niente, né il presente né il futuro, si aveva solo fiducia nella provvidenza di Dio. Arri-vati al porto americano io non vidi nulla, ero tanto stanco di vivere su quella nave che non sopportavo più né le persone né il suo rumore. Al porto trovammo il fratello di mio padre con moglie e tre figli, feci subito amicizia con i miei cugini. I grandi avevano tante cose da raccontarsi, non finivano mai di abbracciarsi fra lacrime e sorrisi. Partimmo da New York, sul treno ricominciarono a parlare dei parenti: la zia mancava dal paese da cinque anni e voleva sapere tutto dei genitori, i fratelli, del paese, gli amici... “Scusami, mi domandi così tante cose che non riesco a risponderti!”. “Hai ragione, il viaggio è lungo e abbiamo tempo di raccontarci tutto” ricordo mia ma-dre che diede alla zia un piccolo pacchetto, dicendole: “Guar-da cosa ti manda la tua mamma” la zia frettolosa lo aprì e sul grembo caddero delle foto, non sapeva se prendere prima le foto o leggere la lettera. Allora guardò le foto e lacrime di commozione le riempirono gli occhi, il marito la guardò e disse: “Fammi vedere”. Allungò la mano, lei gli diede le foto, lo zio le strinse la mano e la zia si mise a singhiozzare. Vedi, Alberto questi sono ricordi che mi sono rimasti nella mente a distanza di molti anni. Con l’aiuto di suo fratello mio padre aprì un’officina: riparava le macchine, il lavoro non mancava e sopra l’officina avevamo due locali per l’abitazione. Io sono cresciuto a Boston, avevo la compagnia dei cugini e dei loro amici, non avevo nessuna nostalgia, frequentavo con gioia la scuola, quando avevo tempo libero andavo all’officina dove imparavo il mestiere da mio padre. ora facciamo il giro della nave, poi io mi ritiro in cabina, domani ci ritroveremo e parle-remo ancora, grazie sei un buon ascoltatore».

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Tutti i giorni passavano ore e ore parlando e approfonden-do la loro amicizia.

Una sera Mario disse: «Perché non andiamo nel salone da ballo, io sono vecchio per danzare, ma tu sei giovane e hai bisogno di compagnia giovanile, io posso essere tuo padre e ragiono da uomo adulto, tu ti trovi bene con me, ti sei liberato dei tuoi tristi pensieri, ma devi frequentare i giovani: vedrai fra questi ti presenterò mia figlia, un tipo tutto pepe ma con un cuore buono e generoso».

Il salone da ballo era un salone grandioso con un chiarore soffuso, quasi una penombra per i balli lenti, luci psichedeli-che per i balli moderni, l’orchestra a tutto volume e i ballerini giovani si esibivano in balli frenetici.

«Cosa ne dici? Qua non c’è spazio per la malinconia, la gio-ventù esprime tutta la sua esuberanza, eccola, la vedi, che ti dicevo giudica tu, non è tutta pepe? Guardale gli occhi brilla-no di felicità, è l’unica gioia della mia vita».

Non troppo alta, il corpo armonioso, i capelli castano scuri con ondulazioni naturali, quando girava la testa sembravano mossi dal vento, vestiva con eleganza, era molto ammirata e corteggiata, il padre la guardava con amore e orgoglio.

«Ciao papà, stai bene?».«Sì, sto bene, ti presento Alberto Dotti: questa è mia figlia

Margherita» si strinsero la mano e Alberto chinò leggermente il capo; si guardarono provando simpatia reciproca.

«Questo giovane è un amico appena trovato, viene in Ame-rica per la prima volta».

«Io sono sicura che lo aiuterai a inserirsi».«Certo, ci puoi contare!».«Signore, è in buone mani».Alberto sorrise. «Grazie».«Vi saluto, gli amici mi aspettano» e con passo svelto si al-

lontanò.I due uomini uscirono dal salone, camminarono ognuno se-

guendo i propri pensieri, il signor Mario si fermò: «Credimi, quello che ho detto a mia figlia del mio aiuto è tutta mia inten-zione, mi sei simpatico e credo in te, io le persone le giudico subito e difficilmente sbaglio».

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«la ringrazio, non la deluderò. Io le devo raccontare il mio passato».

«Se non vuoi non sei obbligato».«No, lo voglio. Io, giovane di buona famiglia, lavoravo in

banca, mio padre era proprietario, il lavoro mi piaceva, non avevo nessun pensiero, mia madre mi coccolava: ero l’unico maschio con due sorelle, mia madre era la signora padrona della casa, si doveva ubbidienza ai suoi voleri, mio padre era buono, lavoratore, adorava la famiglia, amava mia madre e lasciava a lei la responsabilità della casa. ero appassionato del-la montagna, le scalavo, quando arrivavo sulle cime era una conquista e mi sembrava di possedere il mondo. Conobbi una ragazza che abitava ai piedi delle rocce. A volte accompagnava i rocciatori nelle scalate, anche difficili, abitava con la madre in un casolare, vivevano sole, il padre era morto, era bella, sem-plice: mi innamorai, anche lei mi amava, io ero il suo primo uomo, per lei ero tutto quello che una donna può desiderare, le promisi di sposarla e per me abbandonò la madre e i suoi monti che amava tanto».

Alberto raccontò tutto con commozione e rimpianto, ave-va bisogno di confidare le sue pene; più parlava, raccontava, spiegava e più sentiva il nodo che gli opprimeva il cuore scio-gliersi.

Quando smise di raccontare prese il viso tra le mani e pianse.«Su, Alberto, non piangere, nella vita tutti sbagliamo; vedrai,

il tempo è medico e pian piano guarirai, sei giovane, la vita avrà in serbo per te altre occasioni per darti gioia e felicità».

Alberto strinse la mano di Mario e senza aggiungere parola si avviò alla sua cabina.

Il giorno dopo quando si incontrarono Alberto era più se-reno, fecero il giro della nave, non parlarono delle confidenze della sera e si avviarono alla sala della prima colazione dove trovarono Margherita attorniata dalle sue amiche, la ragazza bella, sempre sorridente, si comportava educatamente; do-mandò se poteva dividere la colazione con loro.

«Sai che sono sempre felice di averti vicina».li guardò con sguardo birichino: «Sì, avete bisogno tutti e

due di allegria, siete sempre così seri, così presi dai vostri di-

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scorsi che non oso intromettermi. Che ne dite di prendere il sole in compagnia?».

«lo sai che il sole forte non lo sopporto, ma Alberto è gio-vane, sono sicuro che verrà».

Margherita venne chiamata dalle amiche, salutò e guardan-do Alberto, disse: «la aspetto!» e se ne andò.

«Alberto, quella ragazza è tutta la mia vita, quando rimasi vedovo mi è stata di grande aiuto la sua presenza in casa, il dolore della perdita è stato straziante. l’amore tra me e mia moglie ci univa, difficilmente non eravamo d’accordo, si am-malò, una malattia lunga e dolorosa, le sono sempre stato vi-cino, non si lamentava mai, morì lasciandomi solo, quando una coppia di sposi viene divisa dalla morte quello che resta si sente solo, come se una parte di sé se ne fosse andata con lei; ma dopo la vita ti obbliga a reagire, il lavoro, gli operai, la famiglia gli interessi... ma non è più come prima. Quando tornavo dal lavoro lei era sempre in attesa del mio ritorno, mi domandava come avevo passato la giornata, io le raccontavo tutto e la stanchezza mi passava, stavo bene con lei... ero fe-lice. Ne è passato di tempo, quando lavoravo con mio padre era dura la vita, si guadagnava poco, appena abbastanza per vivere, poi abbiamo incominciato a vendere qualche ricam-bio, la povertà divenne meno pesante e la gente cominciò a comperare più macchine, noi – io e mio padre – aprimmo un salone di vendita e da allora le cose cambiarono. ora ho di-verse esposizioni in altre città e avrei bisogno di una persona fidata che mi aiuti, gli anni passano, il lavoro mi è sempre più pesante. Ti ho fatto tutto questo discorso perché vorrei che fossi tu a sostituirmi».

«la ringrazio, non ho mai lavorato in questo campo, ma le prometto che mi impegnerò seriamente per essere all’altezza di questa sua scelta».

Questo viaggio che si prospettava per Alberto come una sconfitta della sua vita con questa svolta di proposte Alberto cominciava a sperare in bene.

Quando non si poteva uscire per il troppo vento o pioggia il signor Mario lo istruiva sulle compravendite e sui lavori ine-renti l’azienda.

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Alberto era più sereno, alla sera con il signor Mario o da solo, frequentava le sale da gioco, il salone da ballo trovandosi con Margherita e le sue conoscenze si erano allargate, adesso guardando il cielo non vedeva solo Alba, ma vedeva anche la luna e le stelle, che nel bel mezzo del mare erano a dir poco una favola a occhi aperti.

Alberto stava guardando i ballerini che felici ballavano nel salone, quando si sentì toccato da una mano gentile: era Mar-gherita.

«Mi concede il prossimo ballo? Visto che lei non mi dà que-sta possibilità mi sono offerta io».

«Mi scusi, non osavo, la vedevo sempre in compagnia e non mi sembrava giusto intromettermi».

Da quando Alba era morta il contatto femminile si era spez-zato, non sentiva più il bisogno della vicinanza di una donna. ora, prendendo tra le braccia Margherita, stringendola e bal-lando con lei, gli sembrava che le gambe non trovassero più il ritmo; lei lo guardò e gli sorrise come per dargli coraggio, i loro corpi si trovarono perfettamente, mentre la musica lenta li guidava lui era un ballerino perfetto: sapeva condurla con tatto e gentilezza. Finita la musica, galantemente chinò il capo «Signorina, gradirei ballare il prossimo ballo con lei».

Margherita sorrise. «Molto volentieri».Ballarono finché l’orchestra annunziò l’ultimo ballo.«Grazie, cara Margherita, ho passato con te una bella serata,

tu per me hai trascurato le tue amiche, mi guardano, sorri-dono fra loro, diranno a ragione che sono egoista, che ti ho rubata a loro, ma il ballo era così delizioso che non mi sono accorto del tempo che passava. Buonanotte e sogni felici, ci rivedremo domani».

«Anch’io ti devo ringraziare, era la serata che io volevo».Tornata dalle amiche, gioiosa e felice, le amiche bonaria-

mente commentavano: «Chi è quel bel giovane che noi non avevamo mai notato? È un nuovo corteggiatore? Sei innamo-rata di lui? Io dico di sì, non l’hai mai mollato un minuto e questo è insolito per te».

«Come posso rispondere a tutte queste domande, prima cosa è un conoscente di mio padre, io lo vedo per la terza vol-

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ta, non sono stata corteggiata, ho solo ballato e vi giuro che non ho mai ballato con nessuno così bene, mi guidava con maestria e seguivo la musica come sognando. ora vi saluto tutte, vado a dormire sperando di continuare il mio sogno».

Ma anche i pensieri di Alberto facevano fatica a lasciare quella serata. “Ancora tre giornate di navigazione, dopo cosa ne sarà di me, solo in un paese straniero? Il signor Mario mi promette lavoro e amicizia, io mi fido, mi sembra una persona di parola onesto e sincero, anche sua figlia mi piace è bella, briosa... ma cosa vado a pensare, non è pane per i miei denti, prima di fare pensieri sulle donne mi devo sistemare, trovare un buon lavoro che mi dia soddisfazione e cercare di lenire questo mio dolore che mi tormenta giorno e notte”.

«Vedi, Alberto, stiamo per arrivare in America: quella specie di nuvola davanti a te è la città di Boston, non si distingue ancora. Quello che vedi è una nuvola di case, di gru, di navi che non ti immagini; tu, abituato alla calma delle città italiane, anche le più rumorose non si possono paragonare a queste, ma ti abituerai... io ti aiuterò. In Italia hai studiato l’inglese ma quando sentirai parlare l’inglese di Boston non capirai niente, è come se avessero messo nel frullatore tutte le lingue d’eu-ropa, imparerai questo idioma, e l’inglese che hai studiato lo parlerai con gli inglesi».

la nave entrò in porto e Alberto capì cosa intendeva il si-gnor Mario con la calma delle città italiane, era tutto al massi-mo, ogni rumore veniva amplificato da altri più forti.

Non capiva più niente, terminate le formalità dello sbarco scesero e Alberto si trovò circondato da persone sconosciute che lo salutavano, lo abbracciavano... da tutto questo entusia-smo lo salvò Margherita, che lo presentò alle zie, ai cugini e amici, ben presto divenne “l’amico italiano”.

Salirono su una macchina guidata da un autista, fuori città nel bel mezzo di un parco vi era la casa del signor Mario, Al-berto rimase imbarazzato, non si aspettava queste grandezze.

«Vedi questa è la casa» disse il signor Mario «per ora abiterai a casa mia, poi si vedrà».

Sulla gradinata che portava all’entrata vi era la servitù, che salutava il padrone che ritornava.

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Margherita affidò Alberto a una cameriera che lo accompa-gnò alla camera che gli era stata assegnata.

Il tempo passava, con gli insegnamenti e i consigli avuti si trovò subito a suo agio con i clienti e i fornitori di macchine, i numerosi saloni di proprietà del signor Mario erano gestiti da persone di fiducia, lo accettarono con gentilezza e cortesia come il sostituto del padrone, e Alberto doveva riferire solo a lui.

la vita nelle città che visitava per lavoro lo distrasse dai suoi dispiaceri e senza volere si adattò al sistema di vita america-no.

Nella casa ritornava per la domenica, sempre ben accolto, e riferiva del lavoro svolto nella settimana al signor Mario che era sempre molto soddisfatto.

Quasi non ricordava più di essere ospite, gli sembrava di tornare a casa propria.

Così passò un anno di vita americana. Margherita un giorno disse al padre: «Ma è possibile che in questa casa ci sono due uomini che non si accorgono dell’unica donna della casa che soffre per loro e non mi domandate né volete sapere il per-ché?».

«Scusami cara, ma io non ho notato la tua sofferenza, sei sempre allegra, esci con i tuoi amici, i soldi non ti mancano... cosa ti manca? Cosa ti fa soffrire?».

«Io sono innamorata di Alberto e sono sicura che mi con-traccambia, ma non oserebbe mai chiedere di sposarmi, io devo aspettare fino alla vecchiaia?».

«Queste sono cose vostre, io cosa posso fare? Non posso fare da intermediario fra voi due».

«Sì, è proprio questo che devi fare, ma non capisci che lui non oserebbe mai, io la figlia del padrone che lo ha accolto nella sua casa, dato un buon lavoro e la fiducia in se stesso, lo capisci questo? Se non parli tu, lui non farà mai il primo passo, e io resterò zitella».

«Non esagerare» disse sornione il padre «vedremo di siste-mare le cose, io non ti farò soffrire, ma sii paziente: devo aspettare il momento giusto, nel frattempo rifletti; devi essere sicura, non è più un ragazzo».

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«Ma quante volte ti devo dire che sono innamorata, io vo-glio sposare lui o nessuno».

Passata la settimana Alberto ritornò a casa, e riferì il lavoro della settimana.

«Sono molto contento di te, di come lavori, dell’accordo che hai coi clienti e i fornitori e ancora dico che il mio istinto e la mia fiducia nelle persone non sbagliano mai! Vieni, facciamo un giro nel giardino, è primavera e il roseto è tutto in fiore, vedrai il giardino voluto da mia moglie! lei era appassionata, conosceva i nomi dei fiori; quando non la trovavo in casa ero sicuro di trovarla nel giardino, ha fatto molti sacrifici nei primi anni di matrimonio, aspettando i primi clienti, stava nel salone di esposizione con la bambina, e alla sera ritornava triste, ma una sera quando la vidi così bella con la piccola fra le braccia e con un sorriso che le illuminava il viso capii prima che lei parlasse che aveva venduto la sua prima vettura, poi, finita la crisi si incominciò a vendere bene... che bei tempi... come era-vamo felici. Dimmi, non hai intenzione di farti una famiglia, con moglie e figli? Se è una domanda che ti dà fastidio, non rispondermi, capirò».

«Signor Mario, voglio essere sincero con lei: da quando l’ho conosciuta per me è stato come un padre, molto meglio del mio padre vero, sa tutti i miei guai passati, ora comincio a sta-re meglio, il lavoro, la conoscenza delle persone, la loro ami-cizia mi hanno molto aiutato, penso anche, come dice lei, a formarmi una famiglia e a volere una moglie, anzi ne conosco una che mi piace molto, sono sicuro di esserne innamorato».

«e allora cosa c’è che ti frena nel dichiararti?».«Prima cosa, io sono più grande di lei; secondo, non so

come dichiararmi: non vorrei sembrare ingrato nei confronti del padre, non vorrei che pensasse che agisco per interesse».

«Sbaglio o stai parlando di Margherita?».«Sì, è proprio di vostra figlia, mi sono innamorato sulla nave

quando mi invitò a ballare con lei».«e tu hai aspettato un anno senza dare nessun segno?».«Non ho mai osato, ma più il tempo passava più la amavo,

se non ha piacere che io sposi sua figlia, capirò».

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«Per me va bene, però io non sono mia figlia, lo devi do-mandare a lei».

Sul viale arrivava Margherita, un fiore tra i fiori.«Cosa state complottando voi due? Avete una faccia da co-

spiratori!».«Va bene, noi abbiamo cospirato, ora io mi ritiro nel mio

studio, andate avanti voi a cospirare».Due mesi dopo si sposarono, per una donna innamorata

non c’è ostacolo che la ferma.Gli uomini credono di scegliere la donna di cui sono inna-

morati, chiedono la loro mano, ma se la donna non vuole non le resta che metterla in tasca.

Quel primo anno di matrimonio fu l’anno più felice della vita di Alberto. Una sera, rientrando, trovò Margherita in giar-dino, lei lo chiamò e gli si avvicinò, poi disse: «Sorpresa!».

Alberto la guardò e lei gli diede un foglio.«Guarda».era l’esito di una visita: di lì a poco sarebbe divenuto padre.la strinse e la baciò: «Cara, fai di me l’uomo più felice della

terra!».era al secondo mese di gravidanza, andarono a dirlo al si-

gnor Mario, che per la felicità pianse e disse: «È la notizia più gradita che aspettassi» e abbracciandoli li ringraziò.

Il parto si concluse con la nascita di un figlio maschio sano e bello, erano tutti felici.

Alberto e il suocero prepararono una grande festa per pre-sentare il neonato a parenti e amici.

Alberto una sera disse alla moglie, mentre il piccolo dor-miva e loro stavano seduti vicini, in un momento di intimità: «Volevo dirti una cosa, il nostro bambino è stato ammirato da tutti i tuoi parenti, non pensi che dovrei informare anche i miei genitori?».

«È da tanto che aspetto queste parole, qualunque cosa ti abbiano fatto, la nascita di un nipotino vi può riavvicinare, e tu devi saper perdonare».

«Hai ragione, ho pensato molto a queste cose, e credo che la colpa di quello che è successo fosse più mia che loro. Se io

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avessi avuto più carattere non mi sarei lasciato convincere, non mi sarei sposato sapendo che ero promesso a un’altra donna; sono stato immaturo, ho avuto una vita facile, tutto quello che volevo mi era concesso, ogni mio desiderio appagato, ero il figlio viziato della famiglia, solo ora riconosco i miei torti, torti di cui, da figlio viziato, ancora cerco di incolpare gli altri. Mi trovo molto pentito e con il tuo aiuto cercherò di rimediare».

«Io ti sarò sempre vicina, la cosa bella che devi fare è ricon-ciliarti con la tua famiglia. Scrivi loro una lettera, di’ che ti sei sposato, che hanno un nipotino, che stai bene in salute, vedrai ti risponderanno, questo primo passo vi farà riavvicinare».

«Margherita, sei più assennata di me anche se sei più gio-vane. oltre all’amore che mi dai e che io ricambio con tutto il cuore, mi dai saggi consigli e suggerimenti, subito dopo il fidanzamento sei stata il mio angelo custode, non so come avrei potuto avere tutto questo, l’inserimento nella tua fami-glia, nella vita e nelle abitudini americane, i tuoi parenti mi hanno accettato e mi rispettano per l’amore tuo che ti unisce a loro, poi la cosa più bella di tutte è nostro figlio, prima ti amavo per te stessa, era l’innamoramento di due persone che si incontrano e si amano, ora il mio amore dopo la nascita di nostro figlio è più profondo, e rende veramente la nostra unione unica, responsabile per sempre. Margherita, è tutto or-ganizzato, partiremo il mese prossimo, al porto di Genova ci saranno le mie sorelle ad attenderci, e direttamente partiremo per Torino, sosteremo per circa due mesi. Il ritorno lo faremo in aereo».

«Alberto, ti ringrazio proprio: il mese prossimo sono tre anni che siamo sposati e sono molto felice di rivedere l’Italia e fare la conoscenza dei tuoi parenti, soprattutto di tua madre».

Saputo del programma dei due sposi, il padre ne fu felice: «Vi auguro una buona vacanza, io mi impegnerò che tutto vada bene, non preoccupatevi, divertitevi, in special modo tu, Alberto, che in questi anni ti sei impegnato nel lavoro meglio e più di me, vi accompagnerò al porto».

E dal porto il signor Mario salutava sua figlia, suo genero e il piccolo Mario che fra le braccia della nutrice lo salutava con la manina.

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Piano la nave si staccò dal porto, Alberto strinse a sé Mar-gherita che, girata dalla parte del porto, salutava il padre anche se non lo vedeva più.

Il viaggio proseguiva e i due sposi erano felici, ai passeggeri sembravano una coppia in luna di miele. Margherita badava al piccolo e faceva sì che non gli mancasse niente, all’ora delle pappe era sempre presente, Alberto lo portava a passeggio, orgoglioso di suo figlio.

le serate erano tutte per Margherita, erano sempre presenti nei saloni delle feste e lei era molto ammirata per la sua ele-ganza, per la sua gentilezza con tutti: erano una coppia perfet-ta, non era più la signorina spensierata circondata da amiche e amici, ma una signora innamorata del marito e si notava la loro felicità.

Quando furono al termine del viaggio quasi spiaceva di es-sere già arrivati, si erano trovati molto bene, avevano fatto nuove amicizie e si promisero di rivedersi al loro ritorno in America.

All’arrivo a Genova guardavano fra la folla presente indivi-duando le sorelle, che Alberto riconobbe subito, e le indicò alla moglie. la nave si fermò; le sorelle, accompagnate dai mariti, riconobbero Alberto e con sventolii di fazzoletti lo salutarono.

evaso il controllo i passeggeri scesero.Alberto era commosso: abbracciò le sorelle, conobbe i co-

gnati e presentò la sua famiglia.«Questa è mia moglie Margherita e questo è mio figlio Ma-

rio».Per tutti fu un momento di gioia, Margherita era piaciuta

alle cognate e le cognate a Margherita.Passati i convenevoli delle presentazioni Alberto domandò

dei genitori: «Come stanno?».«la mamma bene, papà purtroppo è morto due anni fa: un

male che non perdona lo ha portato alla fine in pochi mesi. Ma non ti crucciare, nostro padre ha sempre fatto una bella vita».

Alberto restò ferito dalla notizia, non disse niente ma rima-se colpito dall’indifferenza delle sorelle, pensò a suo padre e sentì rincrescimento e dolore.

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la sorella aveva capito di non aver avuto tatto nell’annun-ziare la morte del padre, ma lei era fatta così, assomigliava come carattere alla mamma.

Il cognato per rompere l’imbarazzo creatosi disse: «Partia-mo, e a metà strada faremo sosta, pranzeremo, e prima di sera saremo a casa, tu con la tua famiglia soggiornerete dalla mamma che di spazio ne ha in abbondanza».

«Noi avevamo stabilito di soggiornare in albergo. Non vo-gliamo disturbare, siamo in quattro; il bambino è piccolo, a volte di notte piange, la mamma ne sarà disturbata e noi ci sentiremmo imbarazzati».

«Non ti preoccupare, conosci la mamma: se tu vai in un al-bergo si offenderà. Prima ti fermi da lei poi se non ti troverai bene cambierai».

«Cosa ne dici, Margherita?».«Proviamo, io personalmente desidero conoscere la tua

mamma, e vorrei avere un buon rapporto con lei, spero che mi accetti come una figlia, e con me anche nostro figlio. Bi-sogna anche capirla, lei vive sola, avrà le sue abitudini, vive nella tranquillità, noi le sconvolgeremo il suo sistema di vita, se disturberemo sta a noi comprenderlo e regolarci. Senza of-fenderci troveremo un’altra soluzione».

Più si avvicinava alla casa, più Alberto si sentiva preso dai ricordi del passato, un’ansia lo opprimeva. Non parlava, Mar-gherita gli prese la mano come per rassicurarlo, si guardarono e si sorrisero e Alberto acquistò fiducia in se stesso.

la villa della mamma era isolata da un giardino ben curato e da alberi ombrosi. Appena varcato il grande cancello il viale portava all’ingresso, sulla porta principale stava sua madre.

Alberto sentì il cuore battere; era molto emozionato, la ma-dre era sempre quella, col suo portamento fiero ed elegante, un poco smagrita ma sempre diritta e non sorrideva mai.

Lei dalla porta non si mosse, aspettò che i figli venissero da lei, Alberto l’abbracciò.

«Mamma, mi sei mancata, anche papà mi manca, perdona-mi». Poi prese la mano della moglie. «Ti presento mia moglie Margherita e nostro figlio Mario».

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la mamma prese la piccola mano del nipotino e solo allora sul suo volto spuntò un sorriso.

Dopo una leggera cena, decisero di ritirarsi tutti nelle loro camere.

Alberto baciò la madre.«Tu e tua moglie prendete la camera rosa, è più tranquilla e

avete il bagno personale; il piccolo può stare in fondo al corri-doio, nella camera dove dormivi tu da piccolo, staranno bene lui e la bambinaia, vi auguro un buon soggiorno».

Dopo due giorni Margherita si ambientò nella casa, e la suo-cera ogni giorno che passava la trovava sempre più disponibi-le e affettuosa.

Ad Alberto, dopo le spiegazioni, sembrava di non essersi mai allontanato.

Girando nel parco con Margherita le additava i posti dove giocava e dove si nascondeva quando non voleva essere tro-vato. A un certo punto la condusse un po’ più lontano dalla casa.

«Dove mi porti?».«Ti porto in un posto dove io da bambino andavo tutti i

giorni! Vedi quelle voliere? Mio padre era un appassionato di piante e fiori, ma più di ogni cosa adorava i volatili, ne aveva una gran quantità...».

Più si avvicinavano più sentivano il canto degli uccelli, ma il grido dei pavoni sovrastava tutti gli altri.

«Credevo che dopo la morte di mio padre tutto questo non esistesse più».

«Credo che tua madre abbia tenuto tutto questo in ricordo di suo marito, è come continuare la sua passione».

la voliera era fatta a scomparti, lunga cinque metri e larga due, la fine era chiusa da una piccola casetta dove ripararsi la notte, dove gli uccelli deponevano le uova che poi covavano per la nascita dei loro piccoli. In ogni recinto vi era una specie diversa, Margherita non aveva mai visto tanti uccelli allevati in un giardino.

«Alberto, dimmi il loro nome, queste così carine color caf-felatte come si chiamano?».

«Sono tortore! le vedi così piccine, ma la mattina presto

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svegliano tutti con il loro tubare. Questi li conosci, sono pap-pagalli, ma sono diversi gli uni dagli altri».

«Quelle galline con la coda rotonda non le ho mai viste...».«Queste che tu chiami galline sono galli cedroni: con le loro

femmine vivono sulle nostre montagne».«Questi, se non sbaglio, sono piccioni; davanti alle vostre

cattedrali ne ho visti tanti!».Dopo avere visto gli uccelli si avviarono per il viale.«Guarda le rimesse... chissà se ci trovo ancora la mia auto

coperta da un telo!». la sua macchina sembrava che lo aspet-tasse, tolto il telo scoprì che non soltanto era pulita, ma giran-do la chiavetta il motore rispose subito.

«Sono sorpreso, dopo tanti anni passati sembra che sia stata sempre usata, la trovo come l’avevo lasciata!».

«Certo, io mi sono presa cura della casa, del giardino, degli uccelli, e delle macchine, ero convinta che tu saresti tornato a casa e volevo che quando fosse accaduto, tu potessi trovare tutto come l’avevi lasciato».

«Grazie tante, mamma».«Se volete fare un giro di prova, al piccolo e alla bambinaia

ci penso io».La mamma era sempre disponibile sia con il figlio che con

la nuora. Un giorno disse ad Alberto: «Mi piace tua moglie, si capisce che è una brava mamma e una sposa innamorata del marito, io mi trovo bene con lei, mi è simpatica ma non hai speso una parola per parlarmi dei suoi parenti».

«Cara mamma, l’America non è come l’europa: gli ameri-cani sono tutti emigranti e sono pochi che hanno lì parenti; sono gli italiani i più imparentati, quando un italiano emigra, appena trovato lavoro e un alloggio offre ospitalità a fratelli o cugini fino a quando non trovino anche loro lavoro e alloggio, poi saranno loro a ospitare altri parenti. Quindi anche la fami-glia di mia moglie è stata ospite del fratello, mio suocero e suo padre erano appassionati di motori e dal poco si è fatto una posizione da ricco signore! È stato lui che ho conosciuto sulla nave e che mi ha offerto lavoro e mi ha insegnato il mestiere, ora con sua figlia sono l’uomo felice che ho sempre deside-rato di essere. Per essere più precisi i loro avi abitavano nella

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regione del Veneto, regione di emigranti, grandi lavoratori che si adattano a tutti i mestieri».

«Bene, sono contenta e ti auguro tanta felicità! Che tu goda il benessere la salute e la gioia della famiglia».

Alberto portò Margherita a visitare la città di Torino, por-tarono il piccolo nel grande parco del Valentino, polmone di frescura dei torinesi, visitarono il Piemonte e la lombardia, le città più importanti e piccoli paesi come sul lago di Como.

Margherita non era abituata a paesi così piccoli con la chiesa e la piazzetta dove si ritrovano gli abitanti. Restava meraviglia-ta nel vedere che cordialmente si salutavano e si fermavano a parlare sempre sorridenti, i piccoli negozi dove si trovava di tutto, i mercatini ti offrivano le merci più svariate... Margheri-ta era felice, avrebbe voluto comprare tutto.

Passarono molto del loro tempo divertendosi, e Margherita non voleva più ritornare in America.

«Io vorrei abitare in Italia» disse un giorno ad Alberto «se non possiamo abitarci, mi devi promettere che ritorneremo».

Mettendosi la mano sul cuore Alberto disse: «Cara, te lo prometto».

Passati due mesi prepararono le valigie per il ritorno, e si recarono all’aeroporto.

«Mamma, ti auguro salute e serenità».Dopo l’abbraccio del figlio venne abbracciata dalla nuora.«Ci rivedremo presto, Alberto mi ha promesso di ritornare,

grazie di tutto».Guardando il piccolo Mario la nonna perse tutta la sua com-

postezza: il piccolo le tese le braccia «Nonna, nonna» la chia-mò e dai suoi occhi scesero lacrime d’emozione.

«Mamma, non piangere, ti prego, ci rivedremo presto!».All’aeroporto americano ad attenderli c’era il signor Mario,

dopo i baci e gli abbracci partirono verso casa, Margherita descriveva il viaggio.

«Ho visto il tuo paese; Venezia e Trieste, due città bellissi-me!».

«Sono contento, pensa che io abitavo in provincia e non ho mai visitato né Venezia né Trieste!».

«Come? eri a pochi chilometri...».

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«Quando io ero giovane l’Italia era appena uscita dalla guer-ra, la prima guerra mondiale, i campi di battaglia erano proprio posizionati in quei paesi, la miseria più nera era la padrona di tutti noi. Non si pensava a visitare città, eravamo sempre alla ricerca di un lavoro che desse da mangiare alla famiglia, dalla nostra regione gli uomini validi erano tutti emigranti. era una vita dura, io ho avuto fortuna, ma tanti sono rimasti poveri come lo erano in Italia».

A fatica, Alberto e Margherita tornarono alla vita di tutti i giorni.

«Alberto, è passato un mese dal nostro ritorno, nei miei oc-chi rivedo ancora con gioia le bellezze da noi visitate, ho an-che portato a casa un regalo tanto bello da condividere!».

«Sai che non ricordo, è qualche cosa che mi sfugge?».«Guardami, la mia bella figura, il viso roseo e gli occhi lu-

centi, guardami!».«Sì, ti guardo, sei la mia amata mogliettina, ti vedo felice,

cosa c’è che io devo vedere?».«Aspetto un bambino, un bimbo concepito nella gioia e nel-

la felicità italiana!».Alberto era felice, tutto il tempo libero era per la moglie e il

piccolo Mario.Il signor Mario, alla notizia, chiese alla figlia: «Sei andata dal

ginecologo?».«Sì, padre».«Ti ha detto se è maschio o femmina?».«È troppo presto per essere sicuri, ma il dottore pensa sia

femmina».e femmina fu.Per la felicità di tutti nacque sana bella, come una piccola

bambola, decisero di chiamarla Angela.Cresceva bene, i genitori li vedevano come i più belli, i più

buoni e bravi, come tutti i genitori vedono i loro figli.Un giorno che si trovava in ufficio, Alberto ricevette un

messaggio: era il cognato che con dolore annunziava la morte di sua madre. Decise allora di far ritorno a casa. Margherita vide la macchina ritornare, e pensò “Che cosa insolita... cosa

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succede? Non aveva niente quando è uscito” e anche il signor Mario si unì alla figlia.

«Cosa è successo?».Alberto con voce emozionata le raccontò della morte di sua

madre.«Come è successo?».«Non so, ho ricevuto un fax, ma non dice niente di più,

preparami la valigia, parto subito, vorrei vederla ancora per un’ultima volta».

«Alberto, se non ti dispiace, ti vorrei accompagnare» disse timidamente il signor Mario.

«Ne sarei felice, non finirò mai di ringraziarla».Dopo avere dato disposizioni ai suoi dipendenti, e dopo aver

salutato moglie e figli, genero e suocero partono per l’Italia. All’aeroporto italiano ad attenderli c’era il cognato di Alberto, che allargò le braccia con affetto. Si abbracciarono.

«Cosa ha causato la sua morte, ha sofferto? Ha pensato a me prima di morire?».

«Non posso risponderti a nessuna delle tue domande, era-vamo in giardino tutti, lei si è alzata dalla poltrona dicendo: “Rientro un momento, torno subito”. Dopo un quarto d’ora, non vedendola ritornare, mia moglie ha detto: “Vado a ve-dere se ha bisogno di qualche cosa”. Ma un urlo ci ha fatto accorrere: era seduta composta, una mano appoggiata sulla testa... sembrava riposasse, invece un infarto l’aveva colpita mortalmente».

Alberto volle entrare solo, non aveva parole, guardava la madre con intensità, le prese la mano gelida. In quel preciso momento si rivide piccolo, e ricordò tutto l’amore che la ma-dre gli aveva donato, ricordò il bambino amato e coccolato, i rimproveri e le correzioni da giovanotto che erano sempre os-servazioni per il suo bene, ma che lui non sempre accettava.

«Mamma cara, perdonami se ti ho male giudicata, perdona la mia presunzione e la mia superbia».

Dopo averla accompagnata al camposanto, insieme a figli e parenti e tanti amici, fra pianti e abbracci con promesse di rivedersi, si riavviarono tutti a casa.

Alberto camminava con il suocero.

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«Ma è possibile che la morte ci privi delle persone più care, persone con cui abbiamo condiviso una vita, senza una paro-la... chi pensava che sarebbe morta? era una donna piena di energie, non mi pare vero che non la vedrò mai più!».

A casa trovarono il notaio.«Per volere della signora vi devo informare del suo testa-

mento».Il signor Mario si girò per uscire dallo studio, ma Alberto

lo prese per la mano: «Resta, non c’è niente che tu non possa sentire».

Il Notaio prese una grossa busta, staccò i sigilli, prese il te-stamento, guardò i figli, e disse: «Vostra madre sapeva che doveva morire, il suo cuore era ammalato e si era preparata le sue volontà:

Cari figli,quando sentirete le mie volontà io non sarò più con voi, perciò vi dico,

la cosa più bella di questo mondo è la famiglia, siete tutti e tre sposati: amatevi e parlate ai vostri figli dei loro nonni, vi lascio con rimpianto, vi abbraccio.

La vostra mamma.

Alle mie due figlie lascio i miei gioielli, meno le fedi mia e di vostro padre: le darete ad Alberto, troverete nella nostra banca dei soldi già a voi intestati.

La villa con annesso giardino e parco, la parte sociale della banca sono per Alberto, così spero che tornerà in Italia con la sua famiglia, vorrei tanto prendesse il posto lasciato da vostro padre, miei adorati figli, per l’amore che io avevo per voi vi prego di rispettare il mio volere, vi abbrac-cio tutti».

Passato un anno, sistemati tutti gli affari americani la villa ospitava la famiglia di Alberto, Margherita aspettava il terzo figlio, nonno Mario era felice di dividere tanta gioia con figlia genero e nipotini: non c’è felicità più grande per un nonno vedersi attorniato dai suoi nipotini.

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Il casolare

7 Il CASolARe

21 lA SToRIA DI AlBA

29 l’eReDITà DI ANGelA

34 AlBeRTo e l’AMeRICA