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1 SECONDO CONGRESSO PROVINCIALE 8 MARZO 2017 LOMAZZO (CO) FARE COMUNITA’, GENERARE VALORI

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SECONDO CONGRESSO PROVINCIALE

8 MARZO 2017 LOMAZZO (CO)

FAREE

COMUNITA’, GENERARE

VALORI

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Care amiche e cari amici sono trascorsi quattro anni dall’ultimo congresso, il

primo congresso della Cisl Scuola dei Laghi l’8 marzo 2014. Nel corso del

quadriennio c’è stato l’avvicendamento del segretario generale e si è

integrata la segreteria: l’abbiamo fatto in modo condiviso e responsabile

mettendo al primo posto il bene della nostra organizzazione e l’interesse dei

nostri iscritti. Sono stati anni impegnativi sotto tutti i punti di vista.

L’unificazione territoriale ci ha richiesto energie nuove: abbiamo voluto

imparare a lavorare insieme togliendo di mezzo gli atavici condizionamenti

campanilistici e territoriali ereditati dai nostri padri; abbiamo voluto imparare

a lavorare insieme apprezzando l’uno il lavoro dell’altro; abbiamo imparato a

lavorare sui nostri difetti per trovare strade comuni e principi condivisi;

abbiamo allargato i nostri orizzonti e ci siamo dati letture comuni della realtà e

delle contraddizioni che viviamo ogni giorno. Amo dire che “abbiamo bruciato

le navi” per non fare ritorno ai luoghi da cui ciascuno proviene perché

abbiamo scelto di darci una casa comune. Vi riconsegniamo una

organizzazione con i conti economici con il tesseramento in ordine. Abbiamo

promosso e attivato competenze nella Cisl Scuola attraverso la diffusione di

responsabilità gestite in autonomia all’interno di precisi obiettivi e risultati.

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Abbiamo un gruppo stabile di lavoro di studio e aggiornamento sulle pensioni

e il sistema pensionistico; abbiamo implementato consulenza (recentemente

è stata aperta una nuova sede a Besozzo e altre ne apriremo) anche grazie

al lavoro di tanti amici a cui siamo profondamente grati, persone che

dedicano il loro tempo alla Cisl Scuola; stiamo mettendo a punto un accordo

che intendiamo sottoscrivere con il sindacato svizzero per la tutela dei

lavoratori della scuola in Ticino.

Abbiamo attivato:

un servizio di consulenza a sostegno del lavoro del personale ATA,

un servizio specifico per i docenti di religione cattolica,

un accordo di programma, con lo studio legale che segue le nostre attività

che ci ha permesso di inserire in GAE della provincia di Como 350 diplomati

magistrali a costi vicini allo “zero” per i nostri iscritti.

Abbiamo potenziato i servizi di consulenza rivolti ai lavoratori della scuola

paritaria e della formazione professionale. Abbiamo progettato e realizzato

numerose iniziative formative di cui vi darà conto il segretario organizzativo.

Abbiamo creato un gruppo di lavoro, con la partecipazione del nostro

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Patronato INAS e del Dipartimento salute e sicurezza della Cisl dei Laghi,

che ha il compito di far emergere e monitorare il fenomeno dello stress da

lavoro correlato e offrire servizi per la difesa della salute e sicurezza nei

luoghi di lavoro. Siamo presenti su tutti i tavoli di contrattazione delle scuole

di ogni ordine e grado delle province di Como e Varese (ca 160 istituti a cui si

devono aggiungere le scuole paritarie e i centri di formazione professionale).

Abbiamo realizzato un buon livello di raccordo e intesa con i nostri colleghi di

Flc CGIL, Uil scuola, Snals, Gilda-Insegnanti..

Consegniamo a questo Congresso una Cisl Scuola che ha lavorato, agito e

pensato seriamente e un’organizzazione unita perché abbiamo voluto

valorizzare quello che unisce senza cancellare le storie che sono il motore

della nostra identità.

IL NOSTRO TEMPO

Viviamo in un momento difficile. Siamo immersi in una crisi multipla senza

confini che è contraddistinta dalla percezione diffusa di uno stato di

impotenza, mancanza di prospettive, precarietà nel presente e impossibilità di

immaginarsi un futuro anche prossimo. Facciamo fatica a ragionare di futuro

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perché il futuro rappresenta più una minaccia che una opportunità. Noi tutti

siamo cresciuti col desiderio di futuro possibile, raggiungibile con l’impegno e

la determinazione. I nostri figli, i nostri studenti non hanno le certezze che

avevamo noi; vivono in un tempo dominato da quello che Spinoza chiamava

“le passioni tristi” pervaso da impotenza e incertezza che porta a richiudersi

in se stessi. La povertà la incontriamo quotidianamente nelle nostre strade, la

vediamo sulla faccia della gente che conosciamo. La povertà visibile,

concretamente vissuta e percepita è il dato evidente di una crisi che ha

ragioni politiche, finanziarie, economiche, culturali e sociali. Una povertà fatta

di mancanza di beni essenziali alla propria vita ma anche, se non soprattutto,

fatta di perdita di un patrimonio culturale che rende fragili e incapaci d’agire

perché disorientati.

Le ragioni della crisi le conosciamo anche se fatichiamo a capirne la portata e

la reale dimensione. Ma una criticità, sulla quale non ci si sofferma

abbastanza o la si assume come un dato ormai ineluttabile, è particolarmente

preoccupante. L’assenza di governo che pervade tutti i settori della vita

sociale quotidiana. Ciò che un tempo per comune accettazione veniva

comunque gestito in modo “politico” anche dalla politica, oggi non è più così.

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Oggi la politica ha rinunciato a governare, orientare, decidere e dialogare con

i corpi intermedi della nostra società. Si è creato un vuoto insostenibile tra la

politica e il cittadino ( che tale fatica a sentirsi ) per lasciare il posto alle spinte

particolaristiche di soggetti che dicono di rappresentare i bisogni collettivi.

Soggetti che acquisiscono spazi pubblici facendo leva sul populismo più

becero determinato da un nichilismo senza futuro e da nazionalismi

minoritari che sono pericolosi in sé ma che condizionano l’agenda della

politica e dominano i dibattiti. Abbiamo a che fare con una politica che ha

perso la forza della Garanzia, tirata per la giacca da chiunque dica di aver

dalla propria parte il consenso elettorale e la credibilità sociale, una politica

incapace di assumersi la responsabilità di scelta andare in un senso o

nell’altro. Questa crisi è sicuramente determinata da una mancanza o dalla

paura di manifestare un di progetto ma soprattutto è il risultato del crollo di

una tensione ideale e del venir meno di una spinta alla ricerca di azioni

rivolta al bene comune che trova una motivazioni nella coscienza profonda

del primato della persona.

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…SIAMO NEL TEMPO DELLA POST VERITA’

L’Economis in un articolo di qualche mese fa intitolato “Il mondo della post-

verità” ha dedicato una ventina di pagine a spiegare perché la sempre più

frequente diffusione non soltanto di menzogne, ma di un totale disinteresse

per la realtà, è preoccupante per il mondo intero. Aiutati dalla tecnologia, da

una iper-quantità di fatti e da un pubblico sempre meno incline alla fiducia,

molti raggiungono nuove e pervasive vette di falsità facendo venir meno

quello in cui intere generazioni hanno creduto di poter fondare le proprie

convinzioni: la ricerca della verità attraverso il dialogo, il confronto. In questo

clima la forza dell’oggettività non è più lo strumento per affrontare e magari

risolvere i problemi della società.

Basta pensare a cosa sono diventati Facebook, Reddit, Twitter o WhatsApp,

se non i “luoghi” in cui persone con convinzioni simili vanno a formare un

gruppo che fa da cassa di risonanza alle medesime idee, le quali acquistano

in questo modo maggiore credibilità, ancora una volta indipendentemente

dalla loro veridicità ( pensiamo al pullulare di gruppi dei genitori dei nostri

alunni !.....) Perché dico questo. Perché in una dimensione globale

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dell’informazione noi siamo immersi e in questa dimensione è sempre più

difficile ragionare su fatti oggettivi; esistono più realtà tutte ugualmente

accettabili e la sintesi più nessuno è in grado di proporle perché, laddove ci

fosse, perderebbe forza e rilevanza. Da qui la rinuncia ad essere soggetti

autonomi e pensanti e la relativizzazione di tutto “tanto le cose vanno così…”

nonchè la rinuncia a trovare spazi comuni in cui condividere pensieri e azioni.

Ma questo è anche il clima in cui secondo me è vento avanti il “progetto” della

buona scuola. Una riforma prima dichiarata in forma iperbolica da una

politica scollegata dalla realtà ma pressata dalle emergenze a cui essa

stessa non sa dare risposte strutturate e di sistema. Quello che è mancato è

drammaticamente sotto i nostri occhi. Per fare una riforma occorre, o sarebbe

occorsa, la serenità, l’intelligenza politica, una analisi reale-vera e condivisa

della realtà ed una visione di futuro prossimo, consapevolezze tecniche,

giuridiche e amministrative e uno sguardo “buono” verso la scuola che non

può essere il luogo di scontro dei conflitti irrisolti di una società che sta

perdendo – ha già perso - se stessa

Non si dà cambiamento rincorrendo false chimere. La fretta di assumere

informazione e giudizi porta con se la rinuncia a ragionare su ciò che viviamo

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la rinuncia a riflettere, studiare, trovare soluzioni, allacciare relazioni positive

e costruttive anche nei nostri ambienti di lavoro.

FERE COMUNITÀ, GENERARE VALORI

Noi non siamo rassegnati e non guardiamo con pessimismo al presente. Non

è il nostro stile. Il nostro slogan, slogan coniato per i nostri Congressi

propone un principio e suggerisce un cambiamento.

Di per sé non c’è comunità se non esiste un’ intenzione, un sentimento, un

desiderio di stare insieme per un fine condiviso; stare insieme e abitare i

luoghi in cui si mettono condividono i saperi perché diventino patrimonio di

tutti. Non pensare da soli e agire insieme diviene per noi un imperativo, per

noi che siamo sindacato; ma deve esserlo anche per la politica, il mondo

della cultura delle associazioni, dell’impresa, della scuola. Fare comunità

diventa un imperativo etico che raccoglie una sfida.

Noi, che siamo immersi nelle “cose del mondo” possiamo essere attori e

promotori di comunità? Possiamo essere o Immaginare di essere generatori

di “cose nuove”?

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Quali sono le nuove sfide che pongono a noi stessi l’imperativo di “starci”

perché i momenti più creativi del sindacato sono state proprio marcate dalle

“crisi”?

Il nostro è un sindacato centrato sul concetto di partecipazione, per noi il

“prender parte” è un atto costitutivo dell’essere sindacato. Ma l’essere e il

fare comunità non è un dato acquisito. Abbiamo alcune criticità da affrontare.

Se da una parte continua l’adesione al nostro sindacato in termini numerici

dall’altra si percepisce l’adesione sindacale come il “salvagente” di cui prima

o poi posso aver bisogno e poco altro. I nostri iscritti sono più propensi a dire

in privato che sono Cisl che a manifestarlo pubblicamente. Per prepararci a

questo congresso abbiamo organizzato in poco più di un mese 31

assemblee! Un impegno non indifferente che ha visto una buona e convinta

partecipazione di lavoratori; una partecipazione significativa e importante ma

al di sotto delle nostre aspettative sotto il profilo numerico. Le assemblee

abbiamo raccolto delusioni, apprensioni per il futuro, perdita di fiducia

individuale, stanchezza, senso di solitudine e inutilità, ma anche desiderio di

ritrovare forza e motivazione per continuare a lavorare per un lavoro

riconosciuto utile e significativo.

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Da dove ri-partire allora? Quali compiti ci diamo?

Dalla necessità di dare segnali forti. Da un sindacato della scuola che sta

fisicamente in mezzo ai lavoratori, che conosce il lavoro e ambisce,

attraverso il lavoro, a promuovere opportunità e riscatto sociale. Ripartire da

un sindacato che lavora per generare sicurezza economica e professionale,

benessere lavorativo a difesa della salute ( da qui il nostro progetto “salute e

sicurezza”), servizi efficaci e creazione di spazi per un welfare aziendale

anche nella scuola, sviluppo umano e professionale attraverso il lavoro e le

buone pratiche ma anche strumento di cui i lavoratori dispongono per

valorizzare al meglio il proprio lavoro; un sindacato che si propone come sfida

per il cambiamento e non ri-propositore di vecchi modi di essere e di agire

per difendere micro interessi . Un sindacato che apre al futuro, che ridà

speranza che il lavoro è sia fattore di crescita economica e di ben-avere della

persona ma anche fattore di ben-essere individuale legato alla realizzazione

personale. Un sindacato capace di difendere e valorizzare la funzione

sociale, culturale educativa e formativa della scuola che ha come suo

primario obiettivo la promozione e il sostegno dei saperi non annacquati. Da

un sindacato che ri-parte “dalla base morale del lavoro e delle professioni,

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dando al lavoro una dimensione di responsabilità verso di sé e verso gli altri,

per sviluppare quel progetto di società del quale tutti sentiamo l’urgenza”1.

UN SINDACATO…..PER QUALE SCUOLA

Recentemente i media hanno mosso numerosi attacchi al mondo della

scuola. Si tratta di prese di posizione in molti casi vere in altri pretestuose e

strumentali. E’ sicuramente vero il motivo che ha determinato una levata di

scudi in relazione all’accordo sulla mobilità. La Cisl scuola dei Laghi insieme

ai territori della Lombardia, in un documento datato 9 settembre 2016, dava

conto di alcune questioni estremamente rilevanti che avrebbero determinato

situazioni critiche nelle scuole della provincia di Como e Varese. Il documento

sottolineava che ripartizione degli organici effettuata dal MIUR sul territorio

nazionale, con un taglio considerevole posti a fronte di un aumento di 5.229

alunni, avrebbe penalizzato moltissimo la nostra regione e il nostro territorio.

La scuola lombarda e quella comasca e varesina non fa eccezione, ha nel

tempo dimostrato di essere un sistema di qualità , pur operando ormai da

anni in condizioni particolarmente critiche, con scarsissime risorse d’ogni tipo

(economiche, tecniche, strutturali…) per attuare la progettualità curricolare ed

extracurricolare che comunque sono aumentate in modo esponenziale in

questi anni.

1 Carlo Maria Martini Aggiornamenti Sociali 3/1997 104. Etica del lavoro

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La zona prealpina è da tempo un “territorio di transito “, nel quale si assume

il ruolo e si staziona il meno possibile, per poi trasferirsi altrove.

Un organico di diritto contratto rispetto a quello di altre regioni unito al

fenomeno dei trasferimenti non consente, in molte situazioni, di garantire la

continuità “umana”, educativa e formativa

La questione vera, da affrontare in modo saggio, in tempi di contrazione di

risorse, tagli alla spesa, bilanci pubblici da fare quadrare e contratti che non

si rinnovano, un uso corretto degli organici diventa un elemento di

garanzia, di giustizia sociale e uguaglianza di opportunità. Ma soprattutto di

considerazione per la professionalità di molti dirigenti, degli insegnanti e

degli operatori di continuare far funzionare le scuole. Senza un organico

adeguato e stabile, i carichi di lavoro nelle nostre scuole e le incertezze sui

tempi e sui modi del proprio lavoro divengono condizioni inaccettabili e fonte

di continuo disagio.

Il contratto sulla mobilità ha messo in luce la delicatezza che comportano le

azioni sindacali poiché i rischi sono tanti e le ricadute oltre che essere

imprevedibili hanno effetti duraturi e dirompenti per lo stesso sindacato; per

queste ragioni abbiamo mosso critiche costruttive, articolate ma decise

sull’abbattimento del vincolo triennale di permanenze sul posto perché non

possiamo nascondere l’evidenza dei fatti: oggi i posti lasciati liberi son troppi;

posti che faticosamente si riescono a coprire attraverso la chiamata dalle

graduatorie spesso esaurite, posti che nei casi più fortunati vengono coperti

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attraverso le domande di messa a disposizione ai dirigenti di docenti anche

senza titoli.

Purtroppo dobbiamo fare i conti con un sistema scolastico che è tutt’altro che

un sistema, perché è un insieme disarticolato e mal governato di realtà in cui

debolezze e eccellenze si stemperano in un indistinto. La scuola oggi è una

realtà diretta più dai tribunali amministrativi e dai Giudici del lavoro che da

scelte ferme, praticabili e discusse con le parti sociali. Più che mai, per

uscire dal tunnel, occorre puntare su una scuola in cui una vera ed efficace

autonomia gestionale e organizzativa, non dichiarata ma attuata, diventi

l’effettiva possibilità per creare servizi scolastici adeguati alle reali necessità e

siano tali da determinare l’effettiva creazione comunità professionali

finalizzate ad uno scopo a cui la scuola deve rispondere:

“l’educazione e la formazione integrale ed integrata di uomini e

cittadini”2 e ancora, luoghi in cui "la missione fondamentale dell'istruzione è

di aiutare ogni individuo a sviluppare tutto il suo potenziale e a diventare un

essere umano completo, e non uno strumento per l'economia; l'acquisizione

delle conoscenze e delle competenze deve essere accompagnata da

2 Emmanuel Mounier filosofo del “personalismo”

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un'educazione del carattere, da un'apertura culturale e da un interessamento

alla responsabilità sociale"3.

In una realtà stemperata e senza confini certi il nostro “sistema scolastico ”

ha in molti casi rinunciato ad essere esigente e, rincorrendo chimere pseudo

scientifiche e “tecnologiche”, ha trascurato di dedicare più attenzione allo

sviluppo del pensiero critico, e divergente, alla necessità di saper

argomentare, ragionare esprimersi in modo chiaro e corretto, al dovere di

richiamare alle responsabilità individuali di ciascuno ad egire ed essere

persone libere e per ciò esse stesse artefici del proprio destino. Ha rinunciato

a coltivare, nella miglior tradizione italiana, una solida “formazione di base”

punto indispensabile di passaggio obbligato verso I'acquisizione di nuove

competenze tecniche”4.

Una delle sfide possibili per noi è proporsi di lavorare per promuovere una

comunità ben regolata anche per via contrattuale, in cui i ruoli siano ben

definiti, rispettati per la propria autorevolezza e il proprio senso specifico; una

comunità di “ragione e d’azione” in cui il dirigente afferma il suo ruolo di

orientamento e di garante dell’istituzione scolastica; collegi dei docenti che 3 Rapporto della Tavola rotonda degli industriali europei -febbraio 1994-

4 (libro bianco su Formazione e Istruzione Bruxelles, 29.11.1995)

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sappiano assumersi il compito di elaborare percorsi e capaci di lavorare sulla

complessità dandosi strumenti di analisi, ricerca, azione, verifica. Una

comunità in cui diverse ed indispensabili figure di sistema svolgono azioni di

sostegno e supporto al lavoro, alla progettualità, alla formazione permanente,

alle relazioni con il territorio all’implementazione efficiente-efficace ed utile

delle reti del “fare e del sapere”.

Una scuola in cui si lavora, come comunità professionale, sul merito, sul

lavoro fatto bene, sulle prospettive di sviluppo certe e verificabili,

sull’ambizione di avere un ruolo forte ed importante per lo “sviluppo di società

e di civiltà”.

Una scuola in cui si sperimentano modelli organizzativi che sappiano uscire

dagli schemi rigidi a cui siamo troppo abituati: la didattica esclusivamente

frontale, le classi, gli orari…

La recente proposta per via legislativa ( L 107/15) dell’organico potenziato (

invocato a gran voce almeno 15 anni fa dalla Cisl Scuola) avrebbe dovuto

riorganizzare i modi di far ed essere scuola. L’organico potenziato è stato un

complessivamente un flop (soprattutto nella scuola secondaria di primo e

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secondo grado) perché nei fatti è servito più che altro a garantire la

sostituzione dei colleghi assenti. Però, forse, è mancato un pensiero sul

“perché e come cambiare” attraverso un organico dell’autonomia; per quello

che si è visto i PTOF hanno “pensato al futuro” (?) ri-articolando i modi e i

tempi della didattica e nei fatti si è riprodotto il passato determinando,

soprattutto in alcuni ordini di scuola, un numero infinito di “ore a disposizione”

avvilendo un numero considerevole di bravi docenti, parcheggiati nelle “sale

insegnanti” in attesa di una supplenza!

COME VA LA SCUOLA…..LO SCENARIO

I dati del rapporto Ocse-Pisa 5 sulle competenze dei 15enni fotografano una

situazione in

cui gli studenti hanno ottenuto risultati più positivi in matematica che in

italiano e scienze, le difficoltà delle ragazze, il divario Nord-Sud, il «vizietto»

di marinare la scuola, le tante bocciature, la dispersione scolastica intesa non

solo come abbandono ma anche come caduta d’interesse.

5 Rapporto OCSE-PISA 2016. PISA (Programme for International Student Assessment) è un’indagine internazionale

promossa dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) con periodicità triennale per accertare le competenze - lettura, matematica e scienze - dei quindicenni scolarizzati.

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Il rapporto segna in modo preoccupante il numero enorme di ragazzi sotto la

soglia minima di competenze: parliamo di giovani condannati a condizioni di

semi analfabetismo in un mondo sempre più permeato dalle nuove tecnologie

e dalle scoperte scientifiche. Il 23,4 % dei quindicenni italiani, quasi un

ragazzo su quattro, non possiede le nozioni di base né tanto meno è in grado

di immaginare un procedimento o elaborare un modello scientifico ma ancora

saper parlare correttamente, scrivere, argomentare. Sulle eccellenze l’Italia

accusa un ritardo particolarmente significativo visto che siamo fermi al 4,1 %

contro una media Ocse quasi doppia (7,7%). Lo stesso vale nella lettura: un

ragazzo su 5 è sotto la soglia della sufficienza (21 %), cioè non è in grado di

comprendere un testo complesso o di mettere insieme informazioni

provenienti da fonti diverse. Una condizione che contraddice la missione

stessa della scuola di formare dei cittadini consapevoli. Quanto ai super

bravi, vanno cercati col binocolo: parliamo di uno striminzito 5,7 per cento

contro l’8,4 della media Ocse.

L’anello debole della scuola è la scuola “media”

È proprio in questo tratto di scuola che si cristallizza la forbice maschi-

femmine in matematica e scienze: mentre in altri Paesi le ragazze sono alla

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pari con i compagni in matematica e addirittura davanti di 10 punti in scienze

(si veda l’ultimo rapporto Timms 6), in Italia le ragazze restano indietro di 7

punti in matematica e di 10 in scienze; mentre il 92 % dei bambini di quarta

elementare dice che gli piace molto studiare scienze, alle medie solo il 77 %

è discretamente interessato contro un 23 % che dice che non gli piacciono. E

per la matematica è anche peggio. Alle elementari piace all’82 % dei bambini

contro un 18 % di scettici. Alle medie un ragazzino su due la detesta e

inizia ad angosciarsi. E con il piacere crolla anche la fiducia in se stessi e

sulle proprie capacità e potenzialità.

Ma c’è ancora un altro dato, più sociologico ma non per questo meno

inquietante, che pesa sui pessimi risultati dei nostri ragazzi: la loro

propensione a marinare la scuola. Non che questo “vizietto” non ci sia anche

negli altri Paesi, ma da noi è molto più marcato. In media nei Paesi Ocse 1

studente su 5 confessa di aver marinato la scuola nelle due settimane

precedenti il test Pisa. Nel caso degli italiani la percentuale esplode,

diventando fenomeno di massa: più di un ragazzo su due (il 55 %) infatti bigia

6 acronimo per Trends in International Mathematics and Science Study, la rilevazione internazionale delle competenze

dei ragazzi di quarta elementare e terza media che viene effettuata ogni 4 anni su 600 mila ragazzi di 60 Paesi e regioni

di riferimento.

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la scuola, la tendenza negli ultimi anni sta peggiorando, con effetti purtroppo

drammatici che riguardano la scuola ma non solo…

A questo si aggiunge l’esercito «disperso»: poveri e immigrati

Oltre a segnalare una sostanziale staticità del sistema scolastico, con pochi

miglioramenti nel lungo periodo, il rapporto Ocse-Pisa mette in rilievo anche

una delle principali fragilità del sistema scolastico: la scuola ormai da tempo

non è più un «ascensore sociale», cioè chi proviene da famiglie socio-

culturalmente svantaggiate ha molte meno probabilità di chi ha un

background anche economicamente migliore di riuscita. Anzi ha il triplo di

possibilità di fallire. Se si considera che il 20 % dei quindicenni è fuori dal

sistema scolastico, nel restante 80 % che costituisce il campione Ocse, quasi

uno studente su quattro non arriva al risultato minimo di competenze al di

sopra dell’analfabetismo moderno: la maggior parte di questi studenti parte

da una situazione di svantaggio sociale che non riesce a colmare, non solo

per «colpa» loro ma perché frequentano scuole con meno risorse o

professori meno preparati, dove non sono definiti programmi di

accompagnamento del percorso scolastico che potrebbero fare la differenza.

Ciò che manca è il “valore aggiunto “ della scuola che dovrebbe partire dalle

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reali condizioni di partenza degli alunni per offrire percorsi che permettano

una valutazione reale dell’efficacia della scuola attraverso i risultati raggiunti.

Solo uno su quattro di questi ragazzi ce la fa: siamo sotto la media Ocse e i

risultati degli altri Paesi europei. Anche i ragazzi immigrati, di prima o

seconda generazione - nati e scolarizzati dall’inizio in Italia- costituiscono

uno degli anelli deboli del sistema scolastico. Il 40 % circa degli studenti

immigrati rischia di essere tra i meno bravi a scuola, i cosiddetti «low

performers». In assenza di vere e proprie politiche a loro dedicate, rischiano

più spesso dei loro coetanei bocciature o addii prematuri alla scuola. Questo

deve essere messo anche in relazione al fatto che i fondi specifici dell’art.9 (

forte flusso migratorio) arrivano ad anno scolastico abbondantemente iniziato

e in modo inadeguato alle reali necessità.

La spesa per l’istruzione

I dati del rapporto OCSE PISA danno un quadro desolante. Potremmo

obiettare che i dati non danno il quadro reale o particolare in cui noi stessi

siamo inseriti, e in cui agiamo e lavoriamo. Ma noi – il sindacato- abbiamo il

compito di porci i problemi generali per far sintesi di sistema e non solo delle

realtà belle che conosciamo.

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Allora parliamo anche di investimenti dello Stato sulla scuola:

l’Italia è ancora all’ultimo posto in Ue per percentuale di spesa pubblica

destinata all’educazione (7,9% nel 2014 a fronte del 10,2% medio Ue) e al

penultimo posto per quella destinata alla cultura (1,4% a fronte del 2,1%

medio Ue). (Dati EUROSTAT 2015)

Se si guarda alla percentuale sul Pil la spesa italiana per l’educazione è al

4,1% a fronte del 4,9% medio Ue, penultima dopo la Romania (3%) insieme a

Spagna, Bulgaria e Slovacchia.

Però, tra gli investimenti dello Stato ci sono, li conosciamo bene anche

perché sono tra gli argomenti molto dibattuti nelle nostre assemblee.

200 milioni premialità,

381 milioni di euro bonus docenti,

100 milioni per l’alternanza scuola lavoro

28 milioni sono stati investiti per portare laboratori creativi,

5 milioni per 500 biblioteche scolastiche,

140 milioni per gli ambienti digitali,

bando per il wi-fi da 88 milioni

MOF 236 milioni di euro

dall’informativa nota 14207 settembre 2016 -ex legge 440/97 per

complessivi 76.730.000 euro ( di cui, solo a titolo d’esempio, 6milioni 800

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mila euro per corsi di recupero, funzionamento amministrativo didattico 11

milioni 771 mila 778 euro, fondo per atti vandalici 4 milioni, sviluppo del

sistema nazionale di valutazione 4 milioni e 600 mila euro, biblioteche

scolastiche innovative 2 milioni 500 mila euro, welfare dello studente e diritto

allo studio 3 milioni 500 mila euro, piano nazionale orientamento scolastico 2

milioni 320 mila 222 euro, cittadinanza e legalità 2milioni 400 mila euro.

Prevenzione cyber bullismo 2 milioni…)

La questione allora non è solo investire di più ma è anche quella di investire

meglio, in modo incisivo e non correre il rischio di buttare i soldi!

Riconquistare spazi d’azione

La scuola rappresenta un modello organizzativo con una sua propria

caratteristica e specificità che la diversifica da altri modelli lavorativi in quanto

la professionalità più diffusa, quella docente, ha un proprio organo di

rappresentanza che dovrebbe concorre in modo originale e peculiare a

definire procedure organizzative, modalità d’impiego delle risorse umane,

tecnologiche e finanziarie, modi di gestione dei processi fondamentali

d’insegnamento, apprendimento, accoglienza, orientamento, valutazione…

Ma nella scuola si “scontrano” sovrapposizioni di ruoli e competenze (

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gli organi Collegiali, il Collegio docenti,il Dirigente,la RSU, il direttore

Amministrativo) che potenzialmente sono conflittuali; a questo si aggiunga

una legislazione contraddittoria che mantiene alti i livelli di conflitto.

Quale via possibile può essere percorsa? Diventa indispensabile far acquisire

ai diversi attori coinvolti una solida e adeguata cultura della relazione, della

negoziazione e della gestione dei conflitti per orientare la comunità a svolgere

il proprio compito che è anche quello di utilizzare le risorse in modo

funzionale e strategicamente utile. In questo il sindacato può e deve avere

spazi d’azione e di responsabilità

E’ largamente condiviso tra gli studiosi di fenomeni economici che, uno dei

motori per raggiungere gli obiettivi strategici in ambito lavorativo e

d’organizzazione d’impresa, si debba investire nelle politiche di

valorizzazione delle persone poiché dalle loro competenze, dai loro

comportamenti e motivazioni dipende il risultato. In una prospettiva di questo

genere il lavoratore non viene considerato esclusivamente un costo bensì

una risorsa indispensabile ad incrementare il valore per chi fruisce di un

servizio ed efficace “strumento” per il raggiungimento del risultato che

l’amministrazione si è data.

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Tutto questo c’entra anche con la Contrattazione e il Contratto?

Credo proprio di si.

Con l’accordo del 30 novembre 2016, si pongono le condizioni per un

modello di sviluppo centrato sull’innovazione organizzativa e sulla qualità del

lavoro.

Affermare che “I lavoratori sono il motore del buon funzionamento della

pubblica amministrazione” può suonare come un’ovvietà, invece ne sintetizza

l’aspetto più innovativo: quello di una discontinuità netta con gli strumenti e le

impostazioni dell’ultimo decennio. Si apre una stagione in cui il ruolo della

contrattazione e dei suoi protagonisti, le parti sociali, tornano al centro della

scena e a loro viene affidato il compito di attuare un processo di riforma, che

è allo stesso tempo organizzativo, culturale ed economico.

A monte di questo accordo c’è una scelta precisa: fare in modo che le

relazioni sindacali generino valore condivisibile da tutti i portatori di interessi

(governo, lavoratori pubblici, cittadini utenti). Rinnovare i contratti nazionali

diventa necessità organizzativa comune affinché questo processo possa

innescarsi e produrre cambiamenti. Affermare che i contratti non possono

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venir modificati per via legislativa è un dato positivo da cui partire poiché è

sotto agli occhi di tutti quanto abbia danneggiato l’interferenza della

decretazione “brunettiana”. Riconoscere che motore del buon funzionamento

della Pa e della scuola, in particolare, siano le persone che ci lavorano è il

presupposto che legittima la contrattazione7, modalità per sua natura

‘interattiva’ e partecipata, che permette di distribuire attraverso tutto il sistema

dei servizi l’energia di quel motore: motivazione, saperi e competenze

professionali, esperienza, intelligenza, creatività, insomma tutto il capitale

cognitivo di cui la Pa dispone. Le tante invasioni legislative, per controllare

per via burocratica e normativa il “sistema”, hanno ridotto gli spazi della

libertà “d’impresa” e hanno avvilito l’attiva e la responsabile partecipazione

dei lavoratori, limitandone il potenziale proattivo di una parte significativa del

sindacato riformista che noi rappresentiamo. Oggi la contrattazione

nazionale e integrativa può tornare ad essere riconosciuta, se le condizioni

verranno sottoscritte senza ambiguità e reticenze, come la via più giusta per

definire e gestire tutto ciò che attiene al lavoro: la disciplina dei rapporti e le

relative tutele. La gestione di materie come il finanziamento dei trattamenti

7 NELLE RACCOMANDAZIONE DEL CONSIGLIO sul programma nazionale di riforma 2015 dell'Italia si fa riferimento alla contrattazione

di secondo livello come occasione per riallineare i salari, migliorare la produttività e promuovere azioni innovative

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economici accessori e i sistemi premiali deve tornare alla

responsabilità delle parti negoziali , per essere utilizzata come leva di

miglioramento organizzativo e di valorizzazione delle professionalità.

Siamo all’altezza del compito? Abbiamo bisogno di fissare la nostra

attenzione sul “Lavoro lavorato”, quello che uno fa è l’uomo in azione nel

lavoro su una nuova cultura del lavoro che non può essere il “posto di

lavoro”. Questo approccio necessitata dall’evoluzione dei modi di pensare al

lavoro che non può essere un optional; questa prospettiva è una sfida

culturale per il sindacato, una partecipazione verso la qualità, l’innovazione

dei modi in cui si lavora. Noi, il sindacato della scuola, dobbiamo e possiamo

essere protagonisti dello sviluppo di un pensiero strategico che si confronta

con il contesto in cui il lavoro si svolge.

Il contratto diviene allora il luogo del confronto e delle strategie. Il contratto è

la condizione per ri-dare dignità e professionalità , un “giusto salario” per

una Lavoro che diventa lo snodo per affrontare e realizzare sviluppo umano,

sociale e culturale e motore per nuove frontiere dell’economia.

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Per via contrattuale abbiamo bisogno di riformulare i tempi del lavoro fuori

da ambiguità che sono state da sempre il pretesto per sminuire il peso e la

portata del lavoro nella scuola che un Ministro della Repubblica ha

considerato un part time se paragonato ad altri lavori!

Abbiamo necessità di regolare per via contrattuale l’emergere di figure

professionali presenti nella scuola, (nella legge 107/15 comma 83 vi è il

riferimento “vuoto” al 10 % dei lavoratori che possono svolgere incarichi di

supporto organizzativo …) a cui demandare in modo stabile, riconosciuto e

riconoscibile compiti organizzativi, di orientamento e sostegno all’attività

compresa la ricerca e la formazione permanente e di implementazione delle

buone pratiche pedagogiche e didattiche. In quest’ottica anche la figura del

Tutor può diventare sia un supporto alla formazione iniziale sia alla

formazione continua e permanente all’interno della scuola o tra reti di scuole

se a questa figura attribuiamo valore strategico. Un CCNL che sappia

differenziare ruoli e carriere anche per rispondere al legittimo desiderio di

molti di potersi dedicare ad “altro” nel corso della propria vita professionale

mettendo a frutto le risorse e le competenze in un quadro di sviluppo coeso e

orientato quale deve essere la scuola.

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VALORIZZARE LA RSU: SNODO CRUCIALE PER UN SINDACATO

RIFORMATORE

“Vogliamo che i luoghi del lavoro (del lavoro che c’è, ma anche del lavoro

desiderato, atteso, rivendicato, perché il lavoro che manca resta una fra le più

acute emergenze) diventino sempre di più il riferimento privilegiato del nostro

modo di essere e fare sindacato. I luoghi del lavoro sono quelli dai quali il

sindacato trae in prima istanza la sua legittimazione e ai quali deve sentirsi

impegnato a rendere conto..”: Questo è quanto è stato scritto qualche mese

fa in occasione della giornata della RSU nella scuola.

Se è vero che l’accordo politico di fine novembre 2016 ridà alla contrattazione

di secondo livello senso e opportunità strategica occorre chiedersi quale sia

lo stato dell’arte della contrattazione d’istituto e quale nuova “cultura della

Contrattazione” abbiamo bisogno di proporci. Alle tante RSU che

quotidianamente si fanno carico anche oltre misura del lavoro dei colleghi in

ogni scuola va tutta la nostra gratitudine. Sono le punte avanzate del

sindacato. Ma quali sono i costi umani e professionali di questo impegno?

Cosa occorre fare perché il sindacato sia sostegno e presenza viva e co-

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artefice di iniziative innovative? Quali legami forti instaurare con le nostre

RSU per porre al centro il lavoro nella scuola? Credo che una necessità

non derogabile sia quella di far si che una contrattazione responsabile nella

scuola acquisisca dignità e valore. Serve alzare l’asticella delle possibilità

offerte dalla contrattazione di secondo livello in cui si deve contrattare,

aspetti economici, organizzazione del lavoro, welfare aziendale. Per far

questo il sindacato deve in modo sistematico fornire strumenti d’azione e

contenuti che devono passare attraverso la formazione per poter reggere

in modo competente il ruolo innovativo e generatore di opportunità a cui sono

chiamate le nostre RSU. Il nostro obiettivo deve essere anche quello di

creare una nuova coscienza sindacale tra i lavoratori della scuola basato sul

principio della solidarietà e della condivisione.

…alcune attenzioni

PERSONALE ATA

Le scelte politiche scolastiche degli ultimi governi hanno fortemente

penalizzato il personale ATA addirittura ignorato nella recente riforma

scolastica. Sono 50000 i posti tagliati negli ultimi anni ( 252661 lavoratori nell’

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a.sc. 2007/08 ora 203.534) .La mancanza di personale ha creato enormi

problemi di funzionalità che imporrebbe un decisivo cambio di rotta per

evitare il collasso delle istituzioni scolastiche. Riteniamo prioritari i seguenti

obiettivi:

consolidamento dell’organico di fatto in organico di diritto

piano straordinario di immissione in ruolo su tutti i posti vacanti

la revisione della norma sulle supplenze contenute nella legge di

stabilità 2015 che limita fortemente la possibilità di sostituzione del

personale assente

l’istituzione dell’organico funzionale e/o potenziato anche per il

personale ATA

l’estensione anche per le scuole del primo ciclo delle figure tecniche per

l’assistenza ai laboratori

l’indizione di concorsi per l’assunzione di direttori dei servizi

amministrativi

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limitare fortemente il fenomeno di far ricadere sugli uffici scolastici

compiti e mansioni improprie che devono essere svolti da altri uffici

della PA

Anche per il personale ATA occorre dar seguito in modo serio e sistematico

al piano di formazione triennale in una prospettiva di continuità permanente in

modo da valorizzare le figure professionali presenti nelle scuole e favorire

processi di riorganizzazione funzionali.

MERITO E “PREMIALITÀ”

Nelle molte assemblee che abbiamo organizzato si è trattata la questione del

merito e della premialità.

Una valutazione molto diffusa è quella che esprime forti critiche e perplessità

insieme alla convinzione che i modi con cui è stato gestito il riconoscimento

abbia creato solchi profondi all’interno delle scuole: fratture che vanno

ricomposte per ritrovare senso e valore aggiunto. Credo fermamente che la

questione della premialità sia innanzitutto legata a percorsi condivisi e gestiti

concordemente all’interno della scuola: se esiste un orientamento comune

proposto e ratificato dal piano dell’offerta formativa vuol dire che

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concordemente si è stabilito di raggiungere obiettivi e risultati e questo è il

primo compito che deve avere una comunità educativa orientata quale è la

scuola. I risultati vengono raggiunti perché ci si dà obiettivi di sistema e

questi devono comunque riguardare tutti quelli che perseguono gli stessi

risultati. Se questo è l’orientamento il lavoro di ciascuno potenzia il lavoro di

tutti per un unico risultato. Allora la premialità perde quella rilevanza

soggettiva per divenire progettualità di sistema finalizzata all’emersione

delle buone pratiche di “comunità”.

La “premialità” deve anche essere “ l’occasione per costruire una cultura

professionale fondata sulla capacità di riflettere sui dati dell’esperienza

quotidiana e ri-costruirla continuamente nell’attività di progettazione e di

documentazione. Dunque una professionalità capace di confrontare la propria

esperienza con quella degli altri docenti, in una dimensione di ricerca

cooperativa, che qualcuno tuttavia deve saper coordinare e gestire, sotto il

pro- filo sia didattico che organizzativo”8.

8 Ivana Barbacci “Prima del merito..questioni di metodo” SCUOLA E FORMAZIONE

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ISTITUZIONE DEL SISTEMA INTEGRATO DI EDUCAZIONE E DI

ISTRUZIONE DALLA NASCITA SINO A SEI ANNI

Il percorso formativo relativo al settore dell’infanzia sta per subire dei forti

cambiamenti. Con atto n. 380 del 16 gennaio 2017, è stato approvato dal

Consiglio dei Ministri lo Schema che istituisce il sistema integrato di

educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni.

Con questo decreto il governo chiarisce che le finalità del sistema integrato

sono quelle di promuovere la continuità del percorso educativo e scolastico

riducendo gli svantaggi culturali, sociali e relazionali e favorendo l’inclusione

di tutte le bambine e di tutti i bambini.

Si ipotizza che ciò possa avvenire attraverso l’ampliamento dell’accessibilità

dei servizi educativi per l’infanzia su tutto il territorio nazionale e l’offerta

formativa venga diversificata in relazione alla tipologia di utenza

organizzando spazi, attività e tempi e prestando particolare attenzione ai

bisogni delle famiglie.

Nel decreto emerge un’attenzione particolare alla formazione del personale

educativo e docente per il quale è richiesta la qualifica universitaria, che

diverrà il principale titolo di accesso alla professione dall’anno scolastico

2019/2020, e alla formazione continua in servizio al fine di garantire interventi

educativi di qualità. Sono inoltre previsti momenti di compresenza tra le

diverse figure che si avvalleranno anche di un coordinamento pedagogico

territoriale.

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Il sistema integrato d’istruzione sarà costituito dai servizi educativi per

l’infanzia articolati in nido e micronido, servizi integrativi intesi come spazi

gioco, centri per bambini e famiglie, servizi educativi in contesto domiciliare e

sezioni primavera e saranno gestiti dagli enti locali in forma diretta o indiretta,

da altri enti pubblici o da soggetti privati e dalle scuole dell’infanzia statali o

paritarie.

Lo schema del decreto prevede anche l’istituzione di poli per l’infanzia che

accoglieranno, in un unico plesso o in edifici vicini, più strutture di educazione

e di istruzione per bambine e bambini fino a sei anni di età. Nel decreto

vengono anche stabiliti i diversi compiti concernenti lo Stato, le Regioni e i

Comuni.

Alle famiglie sarà richiesto di partecipare economicamente alle spese di

funzionamento dei servizi educativi per l’infanzia.

L’idea di fondo che traspare dalla lettura di questo decreto è quella di creare

un sistema basato sulla continuità educativa e sulla generalizzazione della

scuola dell’infanzia dove i diversi attori cooperino alla realizzazione di un

percorso formativo rivolto ai bambini dai 0 ai 6 anni organico ed integrato.

Ciononostante non mancano i nodi di criticità, come ad esempio

l'integrazione nel sistema delle due fasce d'età. Asili Nido e Scuole

dell’infanzia hanno attualmente finalità differenti e ciò ha portato nel tempo a

differenziare la tipologia di preparazione del personale che opera nelle

diverse istituzioni e i loro interventi educativi e didattici. La formazione in

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entrata auspicata nel decreto, la costituzione di un coordinamento

pedagogico e la compresenza del personale dei servizi educativi per

l'infanzia e dei docenti di scuola dell'infanzia potrebbe in parte colmare

queste differenze ma non è al momento chiaro come dovrebbe essere gestita

tale compresenza e quali dovrebbero essere le rispettive mansioni

considerando anche il fatto che l’inquadramento giuridico ed economico è

differente.

Se la formazione deve divenire lo strumento cardine per il miglioramento

della qualità dell’offerta formativa allora è giusto che essa venga finalmente

contrattualizzata riconoscendo ai docenti l’impegno che dovrà

necessariamente essere quantificato e garantendo corsi con un alto livello di

qualità.

Le coperture finanziarie necessarie alla realizzazione del sistema integrato

dovranno tener conto di più variabili: da un incremento delle assunzioni dei

docenti della scuola dell’Infanzia che in questi anni è avvenuta con il

contagocce e degli educatori, alla costituzione e gestione di nuove sezioni

che difficilmente potrà essere sostenuta anche solo in parte dai comuni

senza un opportuno sostegno da parte dello Stato. A tal proposito è

necessario evitare che tale sostegno venga richiesto alle famiglie mediante

una partecipazione alle spese.

Non da ultimo il decreto appare mancante di tutta quella parte concernente

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l’inclusività dei bambini con bisogni speciali.

ALTERNANZA SCUOLA LAVORO

Nella legge 107/15 si trova un indubbio desiderio rendere la scuola “un sicuro

veicolo di mobilità sociale, possibile solo se risponde anche alla necessità di

competenze per il sistema produttivo, che lamenta la debolezza dei profili

formativi in uscita dal sistema scolastico. C’è un’emergenza sociale, legata

alla percentuale impressionante di NEET (cioè di giovani che non si trovano

né in condizione lavorativa, né in apprendistato, né a scuola) che testimonia

la crisi economica di questi anni, ma anche la difficoltà della scuola a fornire

una spinta esistenziale decisiva alle nuove generazioni. È sempre più difficile

motivare verso la cultura, lo studio disinteressato, l’apprendimento. Dipende

da quello che succede durante l’ora di lezione: troppo spesso è l’erogazione

amministrativa di un sapere già codificato che non lascia più margini alla

scoperta, alle domande, alla voglia di capire dei ragazzi. Ma dipende anche

dal rinchiudersi della scuola in se stessa, senza gettare ponti levatoi verso ciò

che sta fuori dalle scuole.

“Un’ ipotesi presente nel documento è quella di costruire contatti espliciti tra

la cultura della scuola e la cultura del fuori-scuola, del mondo delle imprese e

dei servizi, trasformando anche le istituzioni scolastiche in organismi che

producono (e vendono) tecnologie e prodotti innovativi. Uno stage non deve

più essere un’eccezione, così come un viaggio all’estero. L’alternanza non

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può essere un abbellimento ex-post di curricoli ingessati9”. L’alternanza

così come viene attuata oggi pur generando valore aggiunto per gli

studenti non costituisce certo un modello. Non è che con la spasmodica

ricerca del posto dove mandare in alternanza i propri studenti che si affronta il

problema. La debolezza del nostro “sistema scolastico” ha manifestato anche

in questo ambito tutta la sua fragilità. Quello che è certo che oggi il gran

lavoro degli insegnanti coinvolti nell’alternanza e che muovono centinaia di

migliaia di studenti, è legata a meri aspetti burocratici. Non esistono nella

maggior parte delle situazioni d’alternanza protocolli d’intesa tra i

diversi attori produttivi del territorio e la scuola che definiscano compiti e

azioni condivise e certe in capo a ciascuno. E’ per questa ragione che la Cisl

scuola dei Laghi ha elaborato un “Protocollo d’intesa per l’alternanza

scuola lavoro” (proposto alla UST Cisl dei Laghi) tra scuola e mondo delle

imprese con l’obiettivo di promuovere un modello economico e sociale

basato sulla crescita intelligente, sostenibile e inclusiva nella convinzione che

il sistema di istruzione e formazione sia lo strumento primario per un efficace

sviluppo umano e professionale, capace di sostenere l’inserimento qualificato

dei giovani nel mercato del lavoro e di soddisfare il fabbisogno di competenze

del Paese.

9 Giancarlo Cerini “La buona scuola al tempo dei gufi”

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SCUOLA PARITARIA

Nel corso di questo quadriennio la CISL/SCUOLA ha contribuito al rinnovo

del CCNL applicato dalle tre sigle datoriali più importanti e rappresentative di

questo comparto: AGIDAE – ANINSEI – FISM; per quest’ultima si è giunti al

rinnovo dopo nove anni!

Un lasso di tempo così lungo è espressione inequivocabilmente di come la

crisi economica non abbia risparmiato un settore imprescindibile per i nostri

bambini di età compresa fra 2,5 anni e l’inserimento nella scuola primaria.

In questi ultimi anni per effetto della crisi che ha colpito le famiglia scuola

paritaria ha subito l’inevitabile contraccolpo occupazionale con una rilevante

perdita di posti di lavoro (drammatica la situazione per i nidi privati), sia per la

contrazione degli iscritti sia per la riduzione dei contributi dello Stato alle

scuole.

La CISL SCUOLA dei Laghi si è impegnata in prima linea per contrastare

questo drammatico fenomeno, mettendo in campo tutti gli strumenti giuridico-

sindacali utili al contenimento dell’urto, dall’applicazione di accordi di secondo

livello a quelli di solidarietà.

Il segmento d’istruzione della scuola dell’infanzia è presente capillarmente

sul nostro territorio fra le provincie di Como e Varese e non solo garantisce il

diritto all’istruzione ma contribuisce in modo significativo alla formazione

culturale ed esperienziale del personale docente che in molti casi confluisce

nei ruoli dello Stato.

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FORMAZIONE PROFESSIONALE L’esito della consultazione referendaria del dicembre scorso ha evitato che la

delega sulla formazione professionale, oggi di pertinenza regionale, tornasse

al MIUR o al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Se tale disegno fosse andato a buon fine ( la FP in Lombardia è un settore

indispensabile al nostro tessuto industriale-alimentare e dei servizi in genere),

avrebbe potuto compromettere seriamente uno dei settori che a buna ragione

può essere considerato, in ItaIia e non solo, una punta avanzata del sistema

formativo e d’istruzione professionale.

E’ prassi consolidata, da anni, che la Regione Lombardia valuti puntualmente

l’efficacia e l’efficienza della proposta formativa dei singoli soggetti che

erogano formazione professionale, richiedendo ai singoli Centri, una volta

concluso l’iter formativo degli allievi, quale sia la percentuale degli occupati

rispetto al numero complessivo dei partecipanti a quel singolo corso di

formazione. In sintesi, monitora il successo formativo/occupazionale dei

singoli soggetti erogatori di servizi.

Anche nella FP assistiamo alla scandalosa situazione del mancato rinnovo

del ccnl, scaduto ormai da 5 anni, senza che vi siano segnali tangibili di

riapertura del confronto.

E’ interesse pressante per il nostro sindacato che si debba riaprire senza

esitazioni un tavolo di concertazione al fine di rinnovare un contratto che

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riconosca l’importante e continuo impegno professionale degli operatori di

questo settore.

LA DIRIGENZA SCOLASTICA

Non possiamo far finta che il problema non esista. La dirigenza scolastica

sta attraversando un momento difficile e per alcuni versi paradossale. La

politica anche in questo caso è la grande assente; da una parte attribuisce un

ruolo strategico ai dirigenti scolastici dall’altro mostra indifferenza alle

difficoltà gestionali e organizzative di ogni tipo e diminuisce gli stipendi come

dimostrano le incredibili vicende del Fondo unico Nazionale. Il nodo della

retribuzione non può essere estranea al sindacato nel momento in cui si

affrontano i temi delle responsabilità esercitate nei luoghi di lavoro; la

questione retributiva anche per i dirigenti deve essere affrontata e

diversificata in relazione agli effettivi carichi di lavoro che non è per tutti

uguale.

La legge 107/15 si è occupata dei dirigenti senza pensare alla dirigenza;

parla di autonomia organizzativa e gestionale senza fornire strumenti,

giuridici,economici,normativi Anche il lavoro dei dirigenti è caratterizzato da

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insicurezza, insostenibilità e conflittualità in molti casi resa problematica da

una inadeguata formazione “sistemica” perché questa è la caratteristica della

realtà che i dirigenti dovrebbero gestire con competenze plurime e capacità di

leadership.

La dirigenza scolastica deve poter esercitare funzioni e responsabilità

finalizzate alla valorizzazione del patrimonio umano di cui dispone: abile

costruttrice di un clima collaborativo e partecipato che sappia promuovere la

ricerca e il lavoro di gruppo a tutti i livelli: organi collegiali, programmazione,

realizzazione e valutazione della didattica e della gestione dei progetti. Il

dirigente deve poter promuovere innovazione educativa, didattica e

organizzativa. La debolezza della dirigenza scolastica, deprivata di effettive

possibilità d’azione e decisione è dannosa al sistema scolastico; una

dirigenza che non dirige perché ha poche certezze, in molti casi diventa solo

l’esercizio autoritario per l’affermazione di un primato che è solo e

sempre foriero di conflitti che assorbono energie infinite e non portano a nulla

se non l’inasprirsi delle relazioni.

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Vi ringrazio per la pazienza e l’attenzione.

Ho detto tanto, spero in modo sensato, ma ho tralasciato molto.

E quello di cui non ho parlato forse è più importante e varrebbe la pena

soffermarsi.

Spero però di aver dato qualche spunto di riflessione per soffermarsi a

riflettere nei lavori di gruppo.

Ma una cosa per me è certa: per continuare il percorso che abbiamo

delineato occorre investire nella qualità del nostro lavoro. Abbiamo bisogno

di idee, energie, impegno. Occorre dar spazio all’innovazione e alla capacità

da coltivare di anticipare il futuro attraverso una lettura schietta, reale,

condivisa e ragionata del presente.

Saper far sintesi politiche,culturali deve diventare la nostra forza d’azione.

Uno spazio da privilegiare è la formazione agita su noi stessi e sui nostri

iscritti.

Dobbiamo uscire dal conformismo delle idee dominanti per aprirci all’ascolto

di idee diverse, magari divergenti, per essere attenti ai segnali deboli e a

quelli d’allarme che ci giungono. Abbiamo bisogno di darci un nuovo modo di

essere e di far sindacato; un sindacato che sappia coniugare servizi, tutela

delle professioni e del lavoro, con iniziative di promozione umana,

professionale dei lavoratori della scuola. Permettetemi di dedicare un’ultima

attenzione per la giornata di oggi, l’8 marzo. Una data voluta per il nostro

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Congresso per le ragioni che potete immaginare. A tutte voi la mia

gratitudine per ciò che siete. Per la instancabile tenacia che mettete nelle

vostre azioni e per la caparbia volontà di ottenere ciò che è giusto ottenere.

Per la instancabile volontà di fare del lavoro nella scuola, lavoro “maltrattato

da tutti e spesso mal considerato”, una fonte di vita, di conoscenza e di

umanità. Un lavoro che genera valori.

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Dedicato alle donne

Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe,

i capelli diventano bianchi,

i giorni si trasformano in anni.

Però ciò che è importante non cambia;

la tua forza e la tua convinzione non hanno età.

Il tuo spirito e` la colla di qualsiasi tela di ragno.

Dietro ogni linea di arrivo c’è una linea di partenza.

Dietro ogni successo c’è un’altra delusione.

Fino a quando sei viva, sentiti viva.

Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo.

Non vivere di foto ingiallite

insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni.

Non lasciare che si arrugginisca il ferro che c’è in te.

Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto.

Quando a causa degli anni

non potrai correre, cammina veloce.

Quando non potrai camminare veloce, cammina.

Quando non potrai camminare, usa il bastone.

Però non trattenerti mai!

Madre Teresa di Calcutta