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NICOLA ZINGARELLI NICOLA ZINGARELLI E IL « GIORNALE STORICO DELLA LETTERATURA ITALIANA » (con stralci di una corrispondenza medita) 1. La collaborazione di Nicola Zingarelli al « Giornale Storico » non va oltre un articolo nel volume 48°, 1906: 13 pagine (pp. 368- 380) di Appunti lessicali danteschi (una nota, più che un saggio vero e proprio, anzi un « articoletto », per dirla col Renier che gliene an- nunziava la pubblicazione e l’invio dei 30 estratti di rito) e due recen- sioni, all’edizione della Vita nuova di Barbi (volume 520, 1908, pp. 202-210) ed al libro di Robert de Labusquette Auteur de Dante. Les Beatrices (volume 770, 1921, pp. 288-298): di tono elogiativo, e si di- rebbe quasi riguardoso, com’era naturale, la prima sul lavoro del Bar- bi; severa, analitica, interpretativa, secondo il suo stile recensorio, la seconda 1 . * Relazione presentata al Convegno Nazionale « Piemonte e letteratura nel ‘900 » (S. Salvatore Monferrato, 18-20 ottobre 1979) compresa nel voi, degli Atti di quel Con- vegno. Esprimo la mia gratitudine al dott. Celuzza, direttore della Biblioteca Provinciale di Foggia, e al personale di quella biblioteca, per le cortesie prodigatemi nella consulta- zione delle carte del Fondo Zingarelli. 1 Si veda la serie ininterrotta, ed ormai vicina al centenario, del « Giornale storico della letteratura italiana », Torino, Loescher, dal 1883, 1

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Page 1: (con stralci di una corrispondenza medita) Appunti ... · quel rinnovamento, e proprio di Pasquale Villari è quel noto saggio sulla Filosofia positivi ed il metodo storico, pubblicato

NICOLA ZINGARELLI

NICOLA ZINGARELLI E IL « GIORNALE STORICO DELLA LETTERATURA ITALIANA »

(con stralci di una corrispondenza medita)

1. La collaborazione di Nicola Zingarelli al « Giornale Storico » non va oltre un articolo nel volume 48°, 1906: 13 pagine (pp. 368-380) di Appunti lessicali danteschi (una nota, più che un saggio vero e proprio, anzi un « articoletto », per dirla col Renier che gliene an-nunziava la pubblicazione e l’invio dei 30 estratti di rito) e due recen-sioni, all’edizione della Vita nuova di Barbi (volume 520, 1908, pp. 202-210) ed al libro di Robert de Labusquette Auteur de Dante. Les Beatrices (volume 770, 1921, pp. 288-298): di tono elogiativo, e si di-rebbe quasi riguardoso, com’era naturale, la prima sul lavoro del Bar-bi; severa, analitica, interpretativa, secondo il suo stile recensorio, la seconda1.

* Relazione presentata al Convegno Nazionale « Piemonte e letteratura nel ‘900 »

(S. Salvatore Monferrato, 18-20 ottobre 1979) compresa nel voi, degli Atti di quel Con-vegno. Esprimo la mia gratitudine al dott. Celuzza, direttore della Biblioteca Provinciale di Foggia, e al personale di quella biblioteca, per le cortesie prodigatemi nella consulta-zione delle carte del Fondo Zingarelli.

1 Si veda la serie ininterrotta, ed ormai vicina al centenario, del « Giornale storico della letteratura italiana », Torino, Loescher, dal 1883,

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MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________

Un po’ poco, se si pensa alla immensa bibliografia del romanista

lessicografo pugliese distesa con ben 357; titoli in oltre 50 anni di atti-vità erudita e letteraria su più disparati argomenti di materia neolatina, romanza dantesca, linguistica e letteraria, in volumi, saggi, note recen-sioni nelle maggiori riviste, dalla « Rassegna critica della letteratura italiana » a « Romania » a « Studi medioevali » al « Bullettino della Società dantesca italiana» ai e Rendiconti del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere » all’ « Archivio glottologico » al « Giornale dan-tesco » a « La cultura » di De Lollis, e via dicendo, non senza frequen-ti puntate divulgative sulle terze pagine dei quotidiani, soprattutto « La stampa » e « Il giornale d’Italia » di Bergamini2.

Un po’ poco anche se si considerano le sollecitazioni che gli veni-vano dai direttori del « Giornale », dal Renier, dal Novati, e soprattut-to dal Cian, come si può leggere nella corrispondenza di cui dirò tra poco, nella quale è anche, sia pure nelle forme della civiltà epistolare tra gente di lettere, non poca cordialità ed affermazioni di stima.

Certamente Zingarelli aveva le sue pigrizie epistolari e certe len-tezze di lavoro, che sembravano contraddire una laboriosità e capacità

e l’utilissimo e precisissimo Indice compilato da C. DIONISOTTI, per i primi 100 vo-lumi (1883-1932), Torino, Loescher, 1948.

2 Per la bibliografia dello Zingarelli si veda il volumetto di E. FLORI, Bibliografia degli scritti di N. Zingarelli, MDCCCLXXXIV-MCMXXXII, Milano, Hoepli, 1933, of-fertogli in occasione dei cinquant’anni di insegnamento.

Intorno allo Zingarelli si vedano i profili di A. PIROMALLI, N. Z. e di F. PICCO-LO, Z. filologo e critico, nella serie I critici dell’Editore Marzorati, Milano, 1969, II; la bibliografia già accennata; il Saggio bio -bibliografico, di M. PENZA, nel vol. N. Zinga-relli, Scritti vari e inediti nel primo centenario della nascita, 1860-1960, a cura di un Comitato per le onoranze in Cerignola, Bari, Cressati, 1963; E. LOIODICE, Le tradi-zioni popolari nella Capitanata e N. Zingarelli nei ricordi dell’autrice, Foggia, Ammi-nistrazione Provinciale, 1974; A. VALLONE, Correnti letterarie e studiosi di Dante in Puglia, Foggia, Studio editoriale dauno, 1966; dello stesso Vallone, le pagine relative nel Dante, rifatto per la Storia dell’editore Vallardi e La critica dantesca nel 900, Firen-ze, Olschki, 1977; La critica dantesca nell’800, Firenze, Olschki, 1978; 1 Manoscritti della Biblioteca provinciale di Foggia, a cura di P. DE Cicco, Foggia, Amministrazione Provinciale, 1977.

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sedentaria rimaste proverbiali; ma nel caso nostro esse non potrebbero spiegare (o forse potrebbero fin troppo) tante cadute di offerta, la len-tezza svogliata di certe recensioni, silenzi e rinvii di impegni pur as-sunti senza entusiasmo.

E’ vien quasi da chiedersi se non ci fosse qualcosa di non casuale, di intimamente discordante, anche se mai dichiarato. Se non ci fosse, insomma tra lo studioso ed il « Giornale » dall’una parte e dall’altra, una certa freddezza e diffidenza resistenti negli anni e mai cadute completamente.

Nel fondo dei manoscritti della biblioteca Zingarelli, acquisita dal-la Biblioteca Provinciale di Foggia, ed attentamente catalogato, si pos-sono leggere le lettere del Gaspary e di quasi tutti i personaggi grandi e piccoli della romanistica e della filologia italiana ed europea, tra fine Ottocento ed i primi trentacinque anni del Novecento: una corrispon-denza di un cinquantennio, diligentemente conservata ed ora ordinata, che getta luce su molti particolari di quella vita ed esperienza di stu-dio, ed anche, tra le pieghe, su talune vicende non prive di interesse della cultura e della vita accademica italiana. Su un tale carteggio si era soffermato il Vallone pubblicando qualche lettera nel suo studio sulle Correnti letterarie e studiosi di Dante in Puglia, ed ora si annun-zia imminente la pubblicazione di tutta la corrispondenza con il Barbi ed altri maestri della filologia italiana, a cura della Prencipe - Di Don-na3.

3 Lo studio del Vallone è indicato nella nota precedente. La pubblicazione della

Prencipe-Di Donna, annunziata come imminente, non è ancora disponibile all’atto della presente relazione. La cortesia dell’autrice mi ha offerto copia del volume (N. Z. Car-teggi, a cura di C. PRENCIPE DI DONNA, Foggia, Apulia, 1979) che ho potuto con-sultare mentre correggevo queste bozze per gli Atti, trovando molte conferme a quanto avevo scritto. Il volume, preceduto da una breve introduzione, e accompagnato da note precise, pubblica le lettere di Zingarelli al Barbi e a Pascarella e quelle di alcuni studiosi allo Z. Dello stesso volume, successivamente, ho avuto incarico di fare la presentazione in una serata organizzata in Foggia dell’Istituto Dauno di Cultura e della Biblioteca Provinciale, e mi è occorso di recensirlo in « Rapporti », 16-17 (1980) pp. 108-110.

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Mi limiterò, pertanto, a dare solo qualche saggio di questa corri-

spondenza, che potrà lumeggiare il rapporto Zingarelli - « Giornale storico », dal quale potrà trarsi forse, qualche considerazione su taluni aspetti non trascurabili della storia della cultura italiana nei suoi con- trastati svolgimenti ed opposizioni di scuole ed aree culturali.

2. Zingarelli, come si sa, pugliese di nascita e napoletano di studi,

era stato nei suoi giovani anni, intorno al 1880, allievo del D’Ovidio e dello Zumbini, in una università quale Napoli che ancora risentiva del rinnovamento desanctisiano e di una tradizione culturale romantico-hegeliana, e che anche nei maestri della nuova generazione, quali D’Ovidio e Zumbini appunto, e poi via via, Torraca, Montefredini, Percopo e Scherillo, si mostrava attenta alle nuove dottrine del metodo storico passate in Italia dopo il ‘70 per la suggestione della grande fi-lologia tedesca e francese; ma non perdeva (e forse non poteva perde-re) il collegamento con la tradizione « filosofica » più che « filologica » di cui era nutrita fin dal Sei-Settecento; tentava perciò di elaborare forme di metodo intermedio nell’ideale di una « critica intera », per dirla con l’aspirazione del D’Ovidio, in cui glottologia, filologia, criti-ca letteraria ed estetica si fondessero con pienezza di risultato. Così non era raro negli scritti del D’Ovidio stesso e del Torraca e dello Scherillo, tracce di resistente consenso e radicati semi fruttuosi dell’insegnamento non solo del De Sanctis, ma di Settembrini, Villari, De Meis, Spaventa4.

4 Per quanto attiene alla cultura letteraria e filosofica napoletana nell’Ottocento, si

rimanda tra l’altro al vol. di G. OLDRINI, La cultura filosofica dell’Ottocento, Bari, La-terza, 1973; al saggio di M. SANSONE, La letteratura a Napoli, dal 1800 al 1860, nel vol. IX della Storia di Napoli, Napoli, 1972; e, naturalmente, agli scritti del De Sanctis, del Croce, del Nicolini, del Gentile, del Galasso, del Dotti, del Vallone e di quanti altri hanno studiato quella cultura ed i relativi fenomeni. Mi sia consentito citare anche tre miei contributi alla storia di quella cultura: M. DELL’AQUILA, Critica e letteratura in tre hegeliani di Napoli, Bari, Adriatica, 1969; La cultura nell’Ottocento, nell’opera di AA. VV., Storia delta Puglia,

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E forse varrà non dimenticare che già quei maestri e

quell’hegelismo erano stati essi stessi partecipi e per sino iniziatori di quel rinnovamento, e proprio di Pasquale Villari è quel noto saggio sulla Filosofia positivi ed il metodo storico, pubblicato nel e « Politec-nico » di Milano nel 1866, in una rivista dunque di un’area culturale ben diversa da quella napoletana, richiamantesi alla lezione dei Catta-neo; saggio al quale si fa comunemente risalire la costituzione da noi di un indirizzo « storico » degli studi.

Senza dire dei saggio desanctisiano su La scienza e la vita, del 1872, così denso di forti sollecitazioni.

Ma i pronunciamenti e le fratture d’ordine metodologico di quei primi anni unitari della cultura italiana sono noti. I casi appunto di Montefredini e dello Zumbini nei confronti del De Sanctis e del Set-tembrini risultano esemplari della inquietudine della cultura napole- tana che avvertiva il suo crescente isolamento nella matrice « filosofi-ca» spregiata dalla nuova filosofia e dall’orientamento predominante verso forme di studio documentario e analitico, contrarie ad ogni ten-tativo di sintesi affrettata e ad ogni fumosità filosofica e divagazione letteraria.

Nè va sottovalutato il fatto, che il Dionisotti ha ben rilevato, la straordinaria congiura del silenzio (se non per le irose insofferenze carducciane) che accompagnò per decenni la Storia desanctisiana da parte della cultura accademica ormai monopolizzata dalla nuova scuo- la, e l’ambito ristrettamente napoletano della disputa intorno alla Sto-ria del Settembrini, lasciata cadere come disputa su cosa di poco rilie-vo e fatto di una cultura ancora attardata5.

Ed. RAI-Adda, Bari, 1978, II; Foscolo nel progetto pedagogico del De Sanctis, in Atti del Convegno nazionale su Foscolo e la cultura napoletana, Napoli, Soc. Ed. Napoleta-na, 1980 e, più ampiamente, in « Italianistica » 1979, 2 e 1980, 2.

5 C. DIONISOTTI, La scuola storica, in Dizionario critico della letteratura italia-na, Torino, UTET, III°, 1973. La scuola storica è anche il titolo di un recente studio di D. CONSOLI, Ed. La Scuola, Brescia, 1979.

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Ma, si sa bene, i discepoli sopravanzano i maestri. E se Zumbini e

D’Ovidio e Torraca a Napoli, e Villari e De Meis a Pisa e a Firenze, pur nelle diverse posizioni assunte, non tagliavano i legami con una matrice filosofico-hegeliana; proprio in Firenze e a Pisa, tra il ‘70 e 1’80 e poi nei decenni successivi, si costituì e venne rafforzandosi una tradizione di comparatistica neolatina, di studi filologici e letterari, un metodo di ricerca che aveva i suoi maestri nel Bartoli, nei Vitelli, nel Comparetti, nello stesso Villari e poi nel D’Ancona, Rajna, Del Lun-go, Barbi.

I nomi dei maestri e dei discepoli di quella scuola, rifluiti poi nelle università d’Italia, sono nella mente di tutti e ciò mi esime dal ricor-darli.

Non era ancora una grande filologia, nel senso mo derno e « ger-manico » del metodo: ed anzi molti entusiasmi ed energie negli stessi maestri risultavano disarmati di una sicura strumentazione, che sarà acquisita solo più tardi, dai discepoli della seconda o terza gene-razione. Ma era la rottura con le fumosità e l’ideologismo tardoroman-tico. Era la ripresa, in prospettiva, con supporti scientifici e metodo storico, di molte istanze della grande tradizione erudita tardo-umanistica e settecentesca: la sola di cui i nostri maestri avessero reale conoscenza e la sola sulla quale potessero fondarsi in attesa di assimi-lare i metodi della nuova filologia europea.

A quella scuola venne Zingarelli, piccolo e vivacis simo pugliese di Cerignola, per un biennio di. specializzazione nel 1883-4, dopo una laurea con D’Ovidio su Parole e forme della Divina Commedia aliene dal dialetto fiorentino che il Monaci gli avrebbe pubblicato due anni dopo negli « Studi di filologia romanza »; e vi trovò i maestri che si è detto e conobbe tra gli scolari anche quasi tutti quelli che gli sarebbero stati compagni nella carriera degli studi e dell’insegnamento. E da Fi-renze passò a Breslavia e Berlino, discepolo di Gaspary, di Tobler, di Schwann, e fu corrispondente di Meyer e di Gaston Paris.

Un cursus, almeno a stare ai dati esterni, di alto livello, del tutto 6

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conforme al rigore degli studi ed alla progressione disciplinare che era propria dei giovani d ingegno avviati alla carriera universitaria: di tutti quei giovani-maestri nati, come Zingarelli, intorno al ‘60 e laureati in-torno ai primi anni ‘80, il Renier, il Novati, con i quali sarebbe venuto in contatto, ma con un diaframma di necessaria riverenza dovuta ad una dismisura, di superiorità, per quelli, saliti presto in cattedra, e di inferiorità per lo Zingarelli impaludatosi nell’insegnamento medio.

Un divario e diaframma che ritroveremo, nell’identico rapporto, iniquo per il nostro, anche nei confronti di giovani della generazione seguente, quali il Bertoni, il De Benedetti, laureatisi intorno al 1901, quando Zingarelli saliva in cattedra a Palermo, eppure presto avviati anch’essi con maggior rigore e disciplina agli studi.

Cosa era accaduto dunque ai piccolo pugliese di Cerignola per un tal declassamento psicologico nei Confronti dei coetanei e poi dei gio-vanissimi leoni della moderna filologia?

Il ripiegamento, dopo gli anni in Germania, sull’insegnamento medio era stato un grave handicap: un ripiegamento necessario per ragioni economiche e familiari; ma quel lavoro e almeno le prime se-di, Santa Maria Capua Vetere, Campobasso, non agevolarono certo il collegamento con gli studi e con i centri ove essi avevano dimora. Più tardi, i licei di Ferrara e di Napoli, gli consentirono una ripresa, che ormai non poteva essere più velocissima. Dagli anni della borsa di studio in Germania e dalla frequentazione del Gaspary aveva portato, oltre gli insegnamenti, anche l’impegno per la traduzione della Storia della letteratura italiana dello studioso tede-sco. La traduzione del primo volume dell’opera, portata avanti proprio in quegli anni ingrati del primo insegnamento medio, gli procurò, com’è noto, non poche amarezze. Innanzi tutto la relazione con il Ga-spary andò deteriorandosi in seguito alle aspre critiche che il maestro rivolgeva al suo traduttore, accusato di volta in volta di infedeltà, di inesattezze grossolane, di scarsa conoscenza della lingua tedesca.

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Così, quella traduzione che Zingarelli aveva pensato potesse costi-

tuire un passo decisivo per un inserimento nel mondo accademico e degli studi, diventava per lui una brutta vicenda di angustie e di crit i-che.

E v’era di peggio: il timore, rivelatosi poi fondato, che non gli ve-nisse tolto di mano il secondo volume dell’opera, con gran danno e di-sdoro. Di qui la resistenza nei confronti del Gaspary; ma, com’è noto, fu battaglia perduta.

Il Gaspary nelle sue lettere è implacabile e perfino collerico. E po-trà farsi forte anche dei rilievi duri di non poche riviste (tra le quali il « Giornale storico ») e di studiosi con cui fu accolta la traduzione del primo volume6.

6 In alcune di queste lettere, pubblicate dal Vallone nello studio cit. Correnti lette-

rarie e studiosi di Dante in Puglia, si parla di « grandissima negligenza », di inesattezza nel riporto delle citazioni, di « frettolosa trasandatezza » e perfino di poca conoscenza del tedesco: «Inoltre si vede di nuovo che Lei non conosce bene il tedesco, lavora col dizionario, e ogni finezza le sfugge »; e si rasenta il litigio: « Pur troppo lo prevedevo che più presto o più tardi la nostra amicizia pericolerebbe per causa di questa benedetta traduzione, e perciò ho tentato in tutti i modi di distogliercela. Lei allora pieno d’ardore per un lavoro di cui non sentiva bene tutte le noie e difficoltà, non ha voluto darmi retta. Ed ora naturalmente Le dispiace di sentire da me la verità, perché è brutta ». Ed altre cose terribili ancora, perfino nella competenza dantesca: « Ora che fa Lei, che pure s’è occupato tanto di Dante? Mi corregge con una conseguenza mirabile il ‘Commedia’ sempre in ‘Divina Commedia’, e così io aveva continuamente a cancellare quella giunta ». Il tedesco conosceva l’italiano benissimo, e nel rivedere le bozze di traduzione forse esagerava, nella durezza particolareggiata ed implacabile della reprimenda, come può vedersi da quel carteggio, di cui un saggio ci ha offerto il Vallone. E Zingarelli ne era stato mortificato e nello stesso tempo ne era stato furioso, aveva sentito la cosa come una ingiustizia ed aveva replicato accusando il maestro di troppo amore per la sua ope-ra. Ma il fatto dava ragione al Gaspary. Il primo volume si ebbe una accoglienza tiepida e non mancarono le critiche anche severe soprattutto sulla traduzione italiana. Il « Gior-nale storico » uscì con una recensione assai dura nel fascicolo del vol. 120 del 1888; ma anche il D’Ovidio non fu tenero, e giustamente il Gaspary poteva dire che « non mi

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3. Quell’accenno al giudizio del « Giornale storico che poteva es-

sere stato e malevolo » secondo l’espressione del Gaspary, fu il primo non gradevole impatto dello Zingarelli con quella che si veniva affer-mando fu dai primi fascicoli come la massima rivista della scuola sto-rica. Si trattò di una recensione assai dura nei con fronti della tradu-zione e del traduttore, con rilievo noi di rado meticolosi e pungenti. Insomma, l’opera di un dilettante presuntuoso e maldestro, del quale si dimenticava il curriculum scientifico regolare per sottolineare una cu-ra frettolosa e arruffata e non poche inesattezze ed errori anche di con-tenuto storico. E si auspicavi che il secondo volume gli fosse tolto di mano, come poi avvenne, affidato, come si è detto, a Vittorio Rossi.

Zingarelli se ne amareggiò molto. Quelli, intorno all’87 erano anni difficili per lui. La cosa poteva voler dire l’uscita definitiva da ogni possibilità di lavoro scientifico e di reinserimento universitario.

fondo sul giudizio del « Giornale storico » che può essere malevole, né su altri giornali, che non ho veduto nemmeno, ma solamente su quello che veggo io stesso e che dettò il D’Ovidio, che certo non potete accusare di parzialità... » (lettera del 25-12-1887). Si in-tuisce un carteggio tempestoso. Zingarelli era mortificato, ma adirato nello stesso tem-po. Inoltre temeva di uscire dal l’intera faccenda ancor più compromesso nella reputa-zione se la traduzione del secondo volume fosse stata affidata ad altri. Fece altri tentati-vi cercò perfino di forzare la mano adducendo ragioni editoriali. Gaspary fu irremovibi-le e furibondo. Decise di togliere l’incarico al suo vecchio discepolo. Consentì solo che nei confronti dell’Editore rimanessero celate le vere ragioni del mutamento, che apparve dovuto a rinuncia dello Zingarelli; ma anche su questa faccenda il Gaspary non fu tene-ro e forse non fu senza ambiguità neppure la condotta dello Zingarelli. Il tedesco come nel suo temperamento, glielo rinfacciò con molta durezza. La traduzione passò nelle mani di Vittorio Rossi, del quale Gaspary non mancò di mostrar soddisfazione con lo stesso Zingarelli ribadendo il suo giudizio nei confronti dell’antico discepolo: « Voi non eravate l’uomo per un tal lavoro; siete troppo impetuoso e impaziente, ve lo dissi sem-pre e se aveste seguito i miei consigli, vi sareste risparmiato alcune amarezze. Ma ora son cose passate, e se guardando il volume forse vi annoia il pensiero che un altro l’ha dovuto tradurre, pure gli vorrete bene per amor mio, e vi troverete dentro non poche co-se aggiunte all’originale tedesco » (lettera del 6 gennaio 1891).

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E ad allontanarlo, in qualche modo, secondo la severa concezione

degli studi letterari d’allora esclusivamente identificati con la filolo-gia, ed in gran parte con la medievistica, da quel mondo accademico e delle riviste specialistiche era anche certa sua assidua frequentazione con gli ambienti artistici e giornalistici napoletani, con scrittori, poeti, critici militanti, artisti, gente della cultura viva e contemporanea, nella cui cerchia rumorosa e cangiante veniva sfogando certi suoi umori, e che, in qualche modo, accogliendolo ed offrendogli possibilità di di-scorso nei caffè, nei giornali e nelle sale di conferenze, lo risarcivano quasi dell’esclusione dalla sfera accademica e scientifica, che egli sen-tiva irosamente, patendone.

Sia a Napoli, come poi a Palermo e a Roma, Zingarelli sarà fre-quentatore dei caffè letterari e delle redazioni dei giornali, e stringerà relazioni affettuose con Ferdinando Russo, Di Giacomo, Pitrè, Salo-mone-Marino, Federico De Roberto, Ferdinando Martini, col De Bo-sis, Corrado Ricci, Bergamini e Pascarella.

D’altro canto, anche per indole, il vivacissimo piccolo Zingarelli, era portato a certe forme di sdoppiamento: la severità e la passione appartata e perfino certosina della ricerca o del lavoro, contrastava con altre ostentazioni e forme di vita in cui si ritrovava l’umore del puglie-se e del provinciale mescolato alla lepidezza napoletana e a irriducibili orgogli di irregolare isolato.

Più tardi, in una sua prosa autobiografica, parlerà di « due vie » che lo avrebbero portato alla comprensione dell’opera d’arte: quella degli studi, e quella della diretta frequentazione degli artisti; comple-mentari l’una all’altra per la interpretazione non solo del testo lette-rario, ma di quella matrice del testo che è la biografia dell’autore, che sarà, com’è noto, uno dei suoi filoni di ricerca preferiti.

L’esempio delle ricerche biografiche su Dante, Petrarca, l’Ariosto, sui trovatori provenzali, offerto da tanti suoi studi conferma questo fi-lone d’interesse, nel quale, come sembra scorgere, l’inclinazione

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storico-positivista per la ricerca documentaria s’incontra e avrebbe dovuto fondersi, nelle intenzioni dello studioso, con una valutazione d’ordine estetico postulata da un interesse mai venuto meno in lui per le cose dell’arte e per la particolare dimensione in cui si muovono gli artisti.

Naturalmente l’equilibrio tra i due poli d’orientamento non era fa-cile e Zingarelli non sempre riuscì raggiungerlo; ed inoltre la sua ri-cerca tendeva ad accumular materiali che poi non gli riusciva di scar-tare che facevano ingorgo e disperdevano o confondevano li linea del disegno interpretativo. Come sarà per il primo mastodontico Dante, del 1902, vera e propria enciclopedia dantesca, ma disordinata e senza una struttura come d’altro canto non poche opere degli studiosi della scuola storica, più adatti al taglio del contributo che non alla sintesi dell’opera complessiva7.

7 Il carteggio e la relazione con il Barbi possono costituire la misura oltre che del

divario di statura critica tra i due studiosi, anche di questi dismisure e dispersioni erudite dello Z., e della difficoltà ch’egli avevi a stringere in un discorso unitario, intorno a temi essenziali e portanti tutto il discorso. La monografia su Dante, nella prima e nella se-condi edizione, risulta indicativa dei caratteri e dei limit i di una tal forma d ricerca che caratterizzò lo svolgimento dello studioso pugliese, e chi contrastava con i metodi della nuova filologia, mentre rimaneva del tutto riprovata dalla critica estetica.

In tal senso anche il rapporto con il Croce, assai limitato nel tempo e nella entità e contraddistinto da freddezza e insofferenza dall’una parti e dall’altra, può essere rivela-tore della dislocazione tutt’altro che felici e sicura dello Z. sia nei confronti della vera filologia che nei confronti della critica d’indirizzo estetico. E può esser significativa una letterina del giovane Croce in cui il filosofo, chiedendogli chi avesse trattato d proposito la interpretazione dei versi danteschi Io mi son un che quando etc., aggiungeva: « Vedo che nel vostro Dante non siete giunto a trattari la poetica dantesca ». (18-1-1901): con invito sottinteso a venire al dunque dopo tanti preamboli eruditi. Ma com’è noto, sareb-be stata attesa vana ed il Croce stesso avrebbe poi scritto accennandone appena sull’« Antologia » che « la non meno vasta e dotta monografia italiana dello Z., in vece dello studio estetico della poesia dantesca, offre una classificazioni degli affetti e degli oggetti che Dante ha rappresentati, e spogli filologici delle sue figure retoriche, e altrettali cose »; provocando naturalmente il risentimento dello Z. che peraltro se ne lamentò solo con gli amici

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MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________

In Zingarelli però un tal ingombro ed affastellamento di materiali

eterogenei nasceva da una sua intima natura e connaturata irriverenza per le regole e i dogmi delle scuole; tenne sempre, infatti, a dichiararsi seguace di studi « liberi e franchi », non senza una punta d’orgoglio, ben comprensibile per la lunga emarginazione patita.

E v’era, inoltre, e sarebbe stato sempre più negli anni, a nuocergli, l’ingombro di un equivoco di orientamento metodologico, le cui cau-se, spesso, non erano da ricercare se non in una sua « irregolarità » e farragine connaturata, orientato com’era verso la neolatina e la comp a-ratistica medioevale con ampiezza e acume di ricerca ma senza preci-sione e rigore di metodo; e, per contro, interessato ai problemi della valutazione estetica senza avere peraltro canoni precisi di riferimento.

Tenuto in sospetto, negli ambienti della ortodossia storico-erudita quali erano Firenze e Torino, per certa sua origine e filiazione « napo-letana », senza ch’egli fosse assolutamente partecipe di quella fruttuo-sa eredità, vide accresciuti i sospetti negli anni per certe sue aperture d’interesse meramente esteriori nei confronti delle posizioni estetiche del crocianesimo, senza peraltro ch’egli avesse assimilato una sola ri-ga di quel pensiero (ed il suo Dante 1902 e 1931 lo dimostra). Dall’altro canto, da crociani e neodesanctisiani era considerato un per-fetto estraneo. La sua posizione, in realtà, era vicina ai filologi eruditi, ma con qualche scostamento e non poche confusioni.

Insomma, non era D’Ancona né Renier, e non era, men che mai, un crociano né uno storicista meridionale; era in sospetto agli uni e a-gli altri; ai primi soprattutto, ai quali era vicino; e prendeva colpi da tutti, tanto più in un’epoca in cui le scuole ergevano steccati e getta-vano fuoco greco su nemici e transfughi, anche quando essi erano solo presunti.

Risulta così assai utile la conoscenza del carteggio zingarelliano con il Barbi che la

Prencipe Di Donna pubblica in questi giorni (N. Z. Carteggi, Foggia, Apulia, 1979), in-sieme alle lettere al Pascarella e di alcuni altri studiosi allo Z.

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Ma ne assestava anche, di colpi, con le sue recensioni puntigliose,

nutrite di una erudizione smisurata che intimoriva gli interlocutori. Gli anni ingrati dell’insegnamento medio, intanto, trascorrevano

veloci; il piccolo operoso pugliese risaliva la china con le sue recen-sioni e gli studi su riviste dantesche e di studi romanzi. Nel 1896 prese la libera docenza con il sostegno del suo maestro D’Ovidio. I suoi ar-ticoli (pubblicati soprattutto sul « Bullettino della Società Dantesca I-taliana » per invito del Barbi, e sulla « Rassegna critica della letteratu-ra italiana » da lui fondata a Napoli con il Percopo) riscuotevano con-senso, anche se non ammirazione. Zingarelli ha la sensazione che po-trà risalire la china e conquistare la cattedra che ritiene gli sia dovuta.

Nello stesso anno 1896 tenta il concorso bandito da Pavia, ma con risultato negativo.

Il Novati, peraltro, che sarà poi suo patrocinatore nella carriera e cui succederà nell’insegnamento a Milano, gli scrive con espressioni incoraggianti, in qualche modo quasi una promessa per l’immediato futuro: « Capisco molto bene come la riuscita di quel concorso non sia stata tale da renderla soddisfatto; ma Ella può tuttavia esser certo che il verdetto della Commissione non fu dettato da alcun malevolo senti-mento verso di Lei; ma rappresentò, a dir così, la somma del rammari-co che i commissari risentivano perché Ella avesse abbandonato — almeno in apparenza — quegli studi ai quali s era rivolto dapprima con ardore e sotto lieti auspici. Io mi rallegro nell’udire da Lei ch’ella ha interpretato il giudizio come voleva essere interpretato; vale a dire come un eccitamento a fare, e non dubito ch’ella potrà in breve dar occasione ai suoi giudici di ritornare sulla loro sentenza; il che tutti fa-ranno, amo crederlo, con pronto compiacimento ».

Vincerà, con il sostegno del Novati, il concorso per la neolatina bandito da Palermo e salirà in cattedra nel 1902.

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4. Ma sarà bene tornare al rapporto tra Zingarelli e il « Giornale »

ed i suoi direttori e redattori: un rapporto contraddistinto nel tempo da una estrema civiltà e perfino cordialità oltre che stima a livello perso-nale ed epistolare, contraddette peraltro da prese di posizioni recenso-rie e critiche della rivista (e dunque dei suoi direttori e collaboratori) non sempre benevole e non di rado contrarie alle affermazioni di con-senso ed ammirazione di certa corrispondenza.

Dei tre fondatori e poi direttori del « Giornale », nel fondo zinga-relliano cui accennavo non vi sono lettere del Graf.

D’altro canto il rapporto dello Zingarelli con il « Giornale » non risulta esser stato precoce; quando esso accenna ad instaurarsi, nei primi anni del ‘900, Graf aveva già ceduto da un pezzo il peso della rivista agli altri due colleghi, soprattutto alle solide spalle del Renier che la sorreggevano dal ‘90, dopo il crescente disimpegno del Novati.

Renier, come moltissimi uomini di cultura e d’insegnamento dell’Italietta tra Otto e Novecento, e poi via via fino a questi nostri an-ni di corrispondenza telefonica più che epistolare, scriveva quasi sem-pre su cartoline postali: e scriveva schietto, preciso, funzionale.

Era uomo rigoroso, come si sa, lavoratore eccezionale, autorevole, circondato da universale stima ed ammirazione; reggeva il « Giornale » con uno stile di perseverante fermezza, temperato da un tratto di na-turale cortesia senza affettazione.

Il gruppo delle missive conservate, in numero di 17 (ma dovettero essercene altre), vanno dal 1901 al ‘09, che sono poi gli anni della prima modesta collaborazione di Zingarelli al « Giornale » ed i più importanti della sua carriera accademica: il concorso di Palermo vinto, lo straordinariato, l’ordinariato, la possibilità, poi sfumata, di passare a Bologna o a Genova.

Ma il Renier parlava poco di queste cose, assai meno del « padrino » Novati. Inoltre, sebbene facesse parte di tutte le commissioni di neo-latina e fosse autorevolissimo, mostrava di mantenersi lontano

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dalle grandi manovre concorsuali verso le quali ostentava una olim-pica superiorità. E però i suoi giudizi avevano peso, proprio perché e-rano fondati sulle cose della scienza e quasi per nulla sulle ragioni del sentimento o del partito preso.

Nella commissione di quel concorso di Palermo avrebbe dovuto esserci anche lui, e lo Zingarelli doveva avergli scritto le cose che si scrivono in questi casi, inviandogli i suoi lavori. Poi Renier si ammalò e non poté partecipare ai lavori della commissione. Ma scrisse in-formandone lo Zingarelli e non gli fece mancare il conforto del suo giudizio:

« Non dubito del resto, che la vittoria sarà sua, qualunque possa essere la commissione. Ciò parmi conforme a giustizia, come già scrissi al Novati, perché ella in questi ultimi anni ha lavorato assai ed ha sempre migliorato la sua produzione critica ».

La « macula » dell’abbandono degli studi e del « traviamento » giovanile, veniva ricordata, come già aveva fatto Novati nell’occasione di Pavia; anche se questa volta per rimarcare un riscatto quasi compiuto.

Al Renier Zingarelli, ormai in cattedra a Palermo, chiede che in-tervenga presso il Loescher per una eventuale ristampa del suo primo volume della Storia del Gaspary al quale avrebbe voluto apportare miglioramenti. Ma la ristampa, per il momento, non si presenta neces-saria. E il Renier, dandogliene notizia con la risposta dell’editore, ag-giunge:

« Per parte mia questo posso dirle. Se la Casa chiederà il mio pare-re, mostrerò per Lei, quella sincera stima che ho realmente da questi anni; malgrado le distrazioni dell’insegnamento medio, Ella ha fatto molto cammino. Ad una seconda edizione del Gaspary Ella potrebbe accingersi con ottima preparazione ed anche nella forma darà al libro quell’aspetto che meglio corrisponde all’invidiabile scioltezza del te-sto tedesco ».

Era una maniera elegante e ferma nello stesso tempo per ribadire il giudizio negativo espresso dal « Giornale » a suo tempo su quella tra-

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duzione (al quale giudizio il Renier stesso, nell’86 non ancora diretto-re ma redattore e fondatore del « Giornale », non poteva non aver sot-toscritto), di indicarne ancora i punti deboli, ma di auspicarne la revi-sione nella fiducia della accresciuta esperienza del traduttore. Per non dire della menzione dell’antica « macula » dell’insegnamento medio, indelebile anche quando cancellata o in via di cancellazione, agli occhi di un « regolare » come era Renier.

Frattanto, proprio in quei mesi, era imminente la pubblicazione dell’attesa monografia su Dante.

Renier se ne dichiara desideroso, ed intanto non esita a riconoscere che « Ella si è accinto ad impresa difficilissima e potrà compiacersi di aver dato all’Italia la prima opera d’insieme sul sommo poeta, che cor-risponda agli studi progrediti » (lettera del 6/1/’03).

Il Dante di Zingarelli uscì, nella sua prima edizione nel 1903, dopo essere apparso in dispense dal 1898 al 02, e confermò la sua natura, già rivelatasi di fascicolo in fascicolo, di vera e propria enciclopedia dantesca, forse farraginosa e certamente piena di infinite minuzie, cor-riva all’orientamento più esteriore degli studi della scuola storica, pri-va di una linea unitaria di sviluppo e forse senza un’idea centrale; ma utilissimo testo di riferimento e quasi « libro da indice » per tutti gli studiosi che in un modo o nell’altro ebbero a farvi i conti.

Il Renier, ricevutane una copia, ne affidò la recensione a Luigi Rocca e ne dava comu nicazione allo Zingarelli, prevedendone la pub-blicazione nel « Giornale » in un fascicolo dell’annata 1905 (come poi puntualmente avvenne), assicurandolo nel contempo in risposta ad una sua maggior premura, che « non sarà troppo tardi perché di quel vo-lume non si può parlare a cuor leggero » (cart. del 30/10/04). Frattanto lo esortava a collaborare al « Giornale » e agli « Studi medievali » la nuova rivista da lui fondata con il Novati.

Questa recensione non riuscì gradita allo Zingarelli che se ne ama-reggiò a lungo. Ne aveva avuta una dal Barbi sul « Bullettino » nella quale il grande maestro, pur non lesinando critiche e rilievi particolari

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e nel far rilevare pregi e manchevolezze, non tralasciava dal segnalare il poderoso sforzo di scrivere un volume sintetico e aveva concluso af-fermando « che nel complesso l’opera è buona e la critica non deve ri-tardare all’autore la lode che si merita »8.

Rocca, invece, nel « Giornale » era stato più esigente; i suoi rilievi erano puntigliosi e penetranti, più sul versante dei difetti « che, pur-troppo, non mancano, anzi sono parecchi e gravi, e danno nell’occhio più facilmente che i pregi ». E ne indicava i « capitali difetti » nel di-segno e piano dell’opera, in cui s’è voluta separare la trattazione della vita da quella degli scritti; la qual cosa se permise di approfondire questioni particolari, « obbligò peraltro ad inutili ripetizioni e ad uno smembramento della materia, tanto più deplorevole quanto più inti-mamente congiunte sono la vita e gli scritti di Dante ».

Ma non si faceva a meno, nell’enumerare gli altri difetti, di sottoli-neare « una grande ineguaglianza di esecuzione, trattazione talvolta eccessivamente lunga e minuta, talaltra troppo lesta e schematica, nel-la forma stessa che, ordinariamente trascurata, varia da una pagina all’altra e giunge alle volte a un grado inesplicabile di rilassatezza »; ed ancora: una quantità di piccole inesattezze, di sviste, di citazioni sbagliate o incomplete, errori di stampa, dimenticanze e semplici irre-golarità che offendono l’attento lettore9.

La conclusione, come molti anni dopo scriverà il Cian, era che il Rocca considerava l’opera « ancora in fieri e ne aveva raccomandato la compattezza » auspicandone quanto prima il rimpasto.

Ma le espressioni con cui Rocca esprimeva un tale concetto erano

8 La recensione del Barbi si può leggere in «Bullettino della Società dantesca italia-

na » XI, 1904, pp. 1-58, e nel vol. Problemi di critica dantesca, Firenze, Sansoni, 1934. 9 La recensione del Rocca si legge nel vol. 460, 1905 del « Giornale storico della

letteratura italiana », pp. 136-176.

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più dure di quanto Cian avesse voluto ricordare; e assai più duro l’articolo che vi si concludeva.

Zingarelli ne era stato assai amareggiato, e se ne sfogava con gli amici. Arturo Farinelli, che non aveva molta simpatia per i sacerdoti regolari della scuola storica, lui anima di girovago e di artista, oltre che di filo. logo e di critico, e dunque in qualche modo vicino a Zinga-relli, anche per certa stessa tendenza all’accumulo del materiale di ri-cerca e difficoltà nell’ordinarlo in disegno comp atto, gli scrisse, scu-sandosi di non aver recensito il volume dantesco e dolendosi per la re-censione di Rocca « calcata in modo davvero infantile su quella di Barbi, poco utile, poco giusta ed è peccato che sia stata accolta nel « Giornale ». Quel bravo sacerdote poteva spacciare altrove la merce sua ».

Ma questa storia delle recensioni all’opera zingarelliana nel « Giornale » non era alla prima amarezza, e non sarebbe stata quella neppure l’ultima.

Dopo le dure osservazioni alla traduzione della Storia del Gaspary, di cui si è detto, il « Giornale » nel suo fascicolo autunnale del voi. 300, 1897 (pp. 328-29) aveva recensito brevemente l’articolo di Zin-garelli su La personalità storica di Folchetto di Marsiglia nella Com-media di Dante. Se ne lodava la dottrina, lo studio analitico, ma si sol-levava qualche riserva, a mio avviso di rilevante importanza, non tanto in sé, quanto come spia di un atteggiamento e di una dislocazione nei confronti non solo di un certo tipo di lavoro dello Zingarelli, ma so-prattutto delle sue matrici culturali e di gusto letterario.

« A qualche lettore — notava il recensore — sembrerà che intorno al soggetto siano qui spese parole più del necessario; né a tutti garberà il modo come le notizie sono disposte, né quel carattere di variazioni sul tema che da qualche tempo vengono assumendo gli scritti critici di alcuni letterati meridionali. Troverà qualcuno che se una simile manie-ra di scrivere di erudizione riesce assai bene, talora persino mirabil-mente, a qualche reputato maestro, non tutti i discepoli possono avervi

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acconcia la penna e abbastanza disciplinato lo ingegno ». La nota, come tante altre di indicazioni ed annunzi bibliografici,

non era firmata. Ma lo stile sembra essere di Renier. D’altro canto quasi tutte le note prive di firma o di sigla si ascrivono a lui, negli anni della sua direzione. E l’osservazione era, nel merito, irreprensibile, soprattutto per quanto atteneva alla scrittura disordinata dello Zinga-relli che non poteva riuscire in quelle variazioni sul tema in cui altri riusciva. E l’allusione alle suggestioni desanctisiane ed estetizzanti ancor vive in D’Ovidio e in Torraca era trasparente, e perfino, nella stoccata, diplomaticamente riguardosa. Ma la cosa che risalta è pro-prio quella freddezza del maggior sacerdote del tempio torinese della scuola storica, nei confronti dei residui di quella cultura critica meri-dionale guardata con condiscendenza e ristretta a prove di bello stile, a piacevoli variazioni sul tema con spreco di parole ed ornamento di svolazzi, come non pochi — bisogna dire — s’eran ridotti a fare.

Sarà inutile dire che quella cultura era stata ben altro, con i suoi maestri e dis cepoli; e proprio i torinesi, per aver avuto ospiti molti e-suli di quelle parti, lo sapevano bene. Ma i tempi erano mutati; anche se di lì a poco, con Croce e Gentile, essa avrebbe preso nuova forza per contestare l’egemonia degli eruditi e dei filologi.

Intanto il povero Zingarelli ne pativa, anche se non senza ragioni ascrivibili alla sua farragine e dismisura, ma non solo per quelle; così la « macula » di un peccato originale gli rimaneva addosso e non ac-cennava a cancellarsi nella reputazione dei sacerdoti del tempio.

Ma Renier era galantuomo. Nel 1899 Zingarelli aveva ripubblicato il suo Falchetto, con non

poche modificazioni. E puntualmente una noterella non firmata appa-riva nel « Giornale » (vol. 340, 1899, p. 424) con espressioni di com-piacimento per aver l’autore tratto profitto dalle discussioni e critiche

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sollevate dalla prima edizione; con questa giunta sintetica ma eloquen-te: « Così va fatto ».

Altre brevi segnalazioni di scritti zingarelliani, tra il 1900 ed il 1904, rimarcano la solita diligenza di ricerca ed erudizione ampia.

Ma nel 1903 ( Zingarelli era già in cattedra a Palermo) una nuova stoccata: breve recensione non firmata al Documentum liberalitatis, un lavoro su testi francesi antichi, provenzali ed italiani, che aveva avuto calorosi giudizi e ringraziamenti epistolari da molti. Ma il « Giornale » non tralascia di notare con una punta di durezza: « Nocque allo Zingarelli non essersi curato di quello che fu già scritto da diversi sulla liberalità nel Medioevo francese. Pare che sia rimasta ignota (o almeno non la menziona mai) persino la stessa grande e classica opera di Alwin Schultz, che per ogni indagine intorno alla storia del costume nell’età di mezzo è veramente fondamentale. » (Vol. 42, anno 1903, 2° semestre).

Ma dal Renier gli venivano anche sollecitazioni ad una collabora-zione al « Giornale » e agli « Studi medievali », la nuova rivista da lui fondata con Novati.

Forse è restrittivo pensare che quel poco di collaborazione zinga-relliana alle due riviste, per ripetuta sollecitazione dei due direttori coincidesse con l’anno 1906, che fu anche quello tra la prova di ordi-nariato dello Zingarelli, e l’occasione di passare a Bologna o a Genova (ed anche per questo i sostegni erano indispensabili). Ma è un fatto che dopo tale data la collaborazione s’interruppe.

Lo Zingarelli, intemperante com’era, commise perfino l’errore, una volta spedito l’articolo degli Appunti lessicali danteschi, di solle-citarne la pubblicazione, certamente in quanto premuto dalle scadenze dell’ordinanato, ricevendone un cortese ma fermo diniego: « subito non mi è possibile inserirli; ma ritengo che nel fascicolo autunnale po-tranno entrare. Abbia pazienza, giacché il “Giornale” è sempre molto occupato ».

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Ma poi l’articolo uscì in tempo per l’ordinariato10. E quando si trattò di sostenerlo per il passaggio a Bologna (andato

in porto, com’è noto, sia pure con molte difficoltà, ma poi revocato dal Ministro, « non essendo la cattedra per ordinario »), gli chiedeva di esserne informato ed aggiungeva: « A Bologna si tratta di fondare l’insegnamento di neolatina che in verità non vi fu mai, tanto che non hanno idea di quel che sia la materia nostra né i professori, né gli sco-lari. Sarebbe desiderabile che Ella ci andasse ».

Renier, il galantuomo che non aveva peli sulla lingua e sapeva dire le cose giuste al momento giusto.

Renier poteva chiedergli con vivace entusiasmo una recensione per la Vita Nuova di Barbi: « Mi dica. Le spiacerebbe di fare per il “Gior-nale” una recensione della Vita Nuova del Barbi? Ne avrei sincero piacere, perché a me ormai il tema è venuto a noia. Mi dica si, se può, e lasci che nella sua « Rassegna » ne parli altri. Me ne scriva qui, la prego. A me basterebbe ricevere l’articolo in gennaio o giù di lì ».

Per Barbi non poteva dire di no, né menar la cosa per le lunghe. La recensione uscì l’anno appresso, nel volume 52° 1908, 2° semestre (pp. 202-210).

La sua « Rassegna » questa volta poteva aspettare.

10 « Giornale storico della letteratura italiana o, voi. 480 (1906), pp. 368-380. Il Re-

nier si mostrava interessato alla sua pubblicazione sui Canzoniere di Dante: « questa pubblicazione m’interessa immensamente e desidero assai di averla. Io stesso poi me ne occuperò ». Ma sul « Giornale » non apparvero recensioni a riguardo.

Renier ebbe parole di sdegno e di solidarietà per gli attacchi denigratori di cui Zin-garelli era stato oggetto da parte del Cesareo, suo terribile collega in Palermo, in alcuni articoli della « Rivista d’Italia o, (si tratta della recensione di G. A. Cesareo al Dante di Z.: L’ultimo Dante, in « Riv. d’Italia », 1906, fasc. 6, pp. 913-931) forse sferrati in con-comitanza del ventilato passaggio a Bologna per una manovra di sbarramento accade-mico.

« Restai addolorato e indignato pei violenti articoli contro di Lei sulla « Riv. d’Italia ». La ingiustizia, l’arroganza, l’insensatezza di questi articoli ne annullano ogni valore agli occhi del pubblico serio o. Analoghe espressioni di stima e di solidarietà gli scrisse il Rajna (lettera del 9-6-1907).

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5. La relazione con il Novati, riccamente documentata

dall’epistolario di questo fondo, ed estesa per tutto l’arco 1896-1915, non riguarda direttamente il « Giornale » né l’ambiente torinese (No-vati, com’è noto fu professore in Milano), riferendosi piuttosto ad una serie di rapporti accademici e di studio di non poco interesse generale e particolare.

Essa tra tutte è la più continua ricoprendo, con le missive conser-vate in questo fondo tutto il periodo dal 1896 al 1915, fino a pochi mesi dalla morte del maestro-collega del quale lo Zingarelli avrebbe occupato la cattedra succedendogli nell’Accademia milanese. Zinga-relli era quasi coetaneo del Novati, come lo era quasi del Renier: solo qualche anno, anagraficamente, li divideva; ma ciò che costituiva la distanza e poneva lo Zingarelli nelle condizioni del discepolo o quanto meno, almeno nei primi tempi, del magister additus, non erano quei due o tre anni di età, ma quei quasi vent’anni che il Renier ed il Novati avevano potuto non trascorrere nell’insegnamento medio e che pote-vano ora vantare di anzianità accademica, oltre che di autorità scienti-fica.

Il Novati poi, non solo nei primissimi anni della loro relazione, ma in ogni fase successiva, per la sua autorevolezza, per le cariche rico-perte, per la direzione delle riviste, dall’e Archivio storico » agli « Studi medievali » allo stesso « Giornale storico », per la direzione di importanti collane editoriali, per la presidenza o vicepresidenza di so-dalizi famosi e benemeriti come la Società storica lombarda », la « Società bibliografica italiana », il « R. Istituto lombardo di scienze e lettere », la e Deputazione di storia patria per le antiche provincie e la Lombardia », la « Società etnologica italiana », la e Società nazionale per la storia del Risorgimento » etc., e soprattutto per le sue molte a-derenze ministeriali ed accademiche, si offrì in veste di mentore e pro-tettore dei quasi coetaneo professore che saliva con qualche ritardo gli scalini della carriera.

Dallo scorcio del secolo, fino al ‘15 non vi è avvenimento impor-tante della vicenda accademica e dell’attività scientifica dello Zinga-relli che non trovi il Novati in veste di consigliere sagace e di sosteni-tore.

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Certo la sua attività era largamente incentrata nella Milano tra i

due secoli, protesa a riconquistare un suo ruolo di capitale culturale e nello stesso tempo imprenditoriale e a differenziarsi per questa strada anche da Torino, rimasta più periferica, anche se la sua università po-teva dirsi la roccaforte di quel metodo storico che li univa tutti, non solo i letterati, ma gli storici, i filosofi, gli scienziati. D’altro canto, com’è noto, il « Giornale » era nato dai discorsi dei giovani Graf, Re-nier e Novati a Firenze, alla scuola del Bartoli e del D’Ancona, anche se poi divenne gloria e patrimonio torinese. In fondo una fede ed uno spirito di scuola li teneva tutti uniti, al disopra della rivalità e delle di-spute accademico-scientifiche. Si riconoscevano tutti, nelle diversifi-cazioni ed ammodernamenti che gli anni avevano imposto, nell’antico ceppo di Villari, D’Ancona, Comparetti, Bartoli, Rajna; avevano in quegli ultimi vent’anni conquistato la cultura e l’università italiana. E proprio al Novati il Renier poteva dedicare un suo ritratto con la dedi-ca significativa e al compagno di battaglia e di vittoria », secondo la testimonianza del Benedetto, giovane caro al Renier che ne seguiva con ammirazione i progressi e la precocità sorprendenti11.

Certo Novati era a Milano, come altri erano a Napoli, a Pavia, a Roma, a Bologna, a Firenze, a Pisa, ed altrove, nei punti chiave del di-spositivo accademico italiano, a governano e regolano affinché esso si identificasse sempre più con e la scuola » e fosse esso stesso e scuola »per la quale era giusto allevar giovani come il Benedetto, e recupera-re studiosi valenti come lo Zingarelli, che si facessero onore « e faces-sero onore alla nostra scuola (la frase è di Renier in una cartolina allo Zingarelli). L’orgoglio della scuola sopravvisse anche nella sua lunga decadenza.

11 Si può leggere nella prolusione di L. F. BENEDETTO, Ai tempi del metodo sto-

rico, tenuta all’Università di Torino nel 1951, ora nel vol. Uomini e tempi, Milano - Na-poli, Ricciardi, 1953.

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Studioso di infaticabile attività, di grandissima onestà intellettuale

e morale, scrittore e parlatore brillante, polemista vivace e qualche volta ostinato nella difesa del suo punto di vista, il Novati, studioso dell’umanesimo tre-quattrocentesco e del Salutati, era però anche lo studioso delle origini, dei provenzali e di Dante, filologo romanzo ol-tre che cultore di studi francesi, non solo medioevali, e basterà citare i suoi lavori su Stendhal.

Il suo rapporto con lo Zingarelli, nel corso di tanti anni, rimane semp re sereno, improntato a stima, benevolenza e poi ad affettuosa amicizia, senza scatti d’umore, senza esagerazioni o effusioni eccessi-ve; il « lei » rimane fino all’ultimo, come con il Renier; ma era lo stile degli uomini d’allora, più contegnosi di quanto non s’usi fare (non so con qual vantaggio) tra conoscenti oggidì12.

12 La prima lettera di questo fondo, del Novati, è del ‘96, in risposta ad una dello

Zingarelli allora professore al liceo « Genovesi » di Napoli. Vi si legge delle premure esercitate dal Novati nei confronti del Vallardi affinché fosse affidato allo Zingarelli il volume su Dante che poi uscirà in fascicoli dal ‘98 al 02, nella vallardiana Storia lette-raria «a cura di una società di professori ».

In effetti il Novati scrisse al Renier affinché sollecitasse il Vallardi all’ « osservan-za delle sue promesse », stante il fatto che «i miei rapporti col cav. Cecilio sono in que-sto momento così poco amichevoli che io non ho nessuna voglia di scrivergli » (cart. del 12-6-98).

Si fa riferimento inoltre al tentativo andato a vuoto dello Zingarelli nel concorso per la cattedra di Pavia. Un risultato che non deve scoraggiarlo essendo la intenzione della commissione di attendere ancora che i suoi studi si consolidassero prima di chiamarlo all’insegnamento di ruolo. Novati trova modo di dirgli la cosa con sobrietà, distacco ed incoraggiamento: « In quanto al concorso di Pavia io non gliene scrissi quand’Ella me ne chiedea per non dare origine a discorsi, i quali avrebbero finito per lasciar il tempo che trovavano. Capisco molto bene come la riuscita di quel concorso non sia stata tale da renderla soddisfatto; ma Ella può tuttavia esser certo che il verdetto della Commis-sione non fu dettato da alcun malevolo sentimento verso di Lei; ma rappresentò, a dir così, la somma del rammarico che i Commissari risentivano perché Ella avesse abban-donato — almeno in apparenza — quegli studi ai quali s’era rivolto dapprima con ardo-re e sotto lieti auspici. Io mi rallegro nell’udire da Lei ch’Ella ha interpretato il giudizio come voleva essere interpretato; vale a dire come un eccitamento a fare e non dubito ch’Ella potrà in breve dar occasione ai suoi giudici di ritornare sulla loro sen-

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Quegli anni di straordinariato furono anche di lavori intenso per

Zingarelli, Qualcuna delle sue cose, come si è visto andava al « Gior-nale »; ma più spesso a « Studi medievali » cui lo sollecitava il Nova-ti, ed alla napoletana « Rassegna » che in qualche modo sentiva più sua. E poi, naturalmente, l’« Archivio glottologico » il « Bullettino dantesco » e via dicendo.

tenza; il che tutti faranno, amo crederlo, con pronto compiacimento ». Una cartolina del 12-4-1898 contiene suggerimenti e osservazioni intese a render più compatto l’ormai compiuto lavoro dantesco di imminente pubblicazione: « Egregio professore, son con-tentissimo ch’Ella abbi riconosciuta la opportunità di restringere alquanto que’ capitoli proemiali e vado certo che la compagine del lavoro ne diverrà più vigorosa. E anche ri-spetto alle note, creda pure che farebbe ottima cosa raggrupparle insieme per ogni capi-tolo; il Rossi ha fatto così; ed anzi ha stese le note ad opera finita; in questo modo è ri-masto padrone di citar i vari lavori colà dove gli tornava più comodo. E così conto di fa-re ancor io ».

Un consiglio che sarebbe potuto valere per tutta l’opera e la vita dello Z., e di cui non sempre questi seppe tener conto.

Entra poi nel merito di una osservazione fatta dallo Zingarelli all sue Noterelle dan-tesche circa Francesco da Buti, mantenendo il suo punto di vista e chiarendo la specifi-cazione colta di quel commentatore, passato dal commento degli antichi, Valerio Mas-simo, Persio o Seneca, ai occuparsi di un poeta volgare.

La corrispondenza di quegli ultimi anni del secolo ci mostra un Novati che si la-menta delle sue molte occupazioni (sarà un leitmotiv di quasi tutti gli incipit della corri-spondenza), chiede scusa dei ritardi nelle risposte, registra l’intensità e la qualità del la-voro dello Zingarelli, vera mente senza soste in quegli anni precedenti il concorso di Pa-lermo, sia nel suo filone provenzale che in quello francese ed alto-italiano, oltre che dantesco.

Questa volta, con il sostegno di Novati e degli altri, e per merito d quel suo prodi-gioso lavoro di recupero, risulterà vincitore. Ma la soddisfazione della vittoria verrà at-tenuandosi per certe accoglienze palermitane, dove pure aveva trovato colleghi valenti che gli saranno affettuosamente vicini, come il Gentile.

Il filosofo siciliano gli scrisse infatti una lettera che merita di esser ricordata: « Castelvetrano 15-3-1908. Ho appreso con molto ritardo, e per caso la tua vittoria

nel concorso di Bologna; e mentre mi rallegro sincera mente e cordialmente della bella e e meritata e opportuna soddisfazioni che hai avuta, devo anche esprimerti un senso di non meno sincero i cordiale rincrescimento pel sospetto che l’importanza dell’università e i fastidio delle tante noie sofferte a Palermo possano indurti a lasciare la nostra Facol-tà, nonostante la difficoltà dello straordinariato. Intendo che tu devi unicamente consi-

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Le cartoline dell’amico-maestro di quegli anni contengono espor-tazioni, ringraziamenti, indicazioni e sollecitazioni di bozze. La nuova rivista « Studi medievali era stata fondata dal Renier e dal Novati, ma era in gran parte sulle spalle di quest’ultimo, come il « Giornale » era su quelle del primo. I primi fascicoli tengono impegnato il direttore, che ne parla come di una creatura ai primi passi, chiede abbonamenti, collaborazione, consensi, pareri.

Ma non mancano riconoscimenti, pur nel gran daffare, per il gran lavoro dello Zingarelli.

« Il documentum liberalitatis è bel documento — mi permetta il bisticcio — della grande padronanza che Ella possiede della vita e del pensiero provenzale. Mi auguro che Ella faccia altri studi dello stesso tipo: essi riusciranno utili agli studi e Le faranno onore ».(cart. del 21/3/03).

gliarti con gli interessi futuri della tua carriera d’insegnante e di studioso; e temo appun-to per ciò di dover perdere quanto prima la tua compagnia. Ma desidero che tu creda, che in Palermo lasceresti in me uno degli amici più affezionati e uno dei colleghi che sentirebbero di più il tuo allontanamento [ ...] G. Gentile

Un’eco di questa situazione palermitana si coglie in una lettera del Novati di qualche anno dopo, del 06, (« Quanto Ella mi ha detto nell’ultima sua riguardo agli at-t riti che hanno luogo nella Facoltà sua, non m’è stato cagione d’alcuna meraviglia. Co-nosco abbastanza il professore di lettere italiane dell’università di Palermo [il Cesareo] per immaginarmi ch’egli non doveva aver preparato al suo collega di neolatina un letto di rose ». Lo Zingarelli, anche per rendere più urgente e necessario il suo passaggio ad altra facoltà (allora appunto sfumava l’occasione Bologna) ed averne l’appoggio del Novati, forse esagerava nel, rappresentare quelle contrarietà e l’ostilità del Cesareo nei suoi confronti.

Ma Novati con molta filosofia aggiungeva « Ma dal più al meno, tutto il mondo è paese ed i prepotenti e vanagloriosi non mancano in nessun luogo. Il peggio è quando alla prepotenza si accoppia il valore scientifico! Allora la vita è dura. Ella può credermi in parola: Ella non ignora certo la lotta ventennale che ho sostenuta io qui. Ma il Cesa-reo? non è uomo che debba in fondo esserle capace di preoccupazioni Ad ogni modo penso bene che ella preferirebbe essere lontano ». E gli proponeva Genova, ove forse si sarebbe reso vacante un posto per il passaggio del De Lollis a Roma. « Certo Genova non è Bologna, ma meglio di Palermo. Cosa ne pensa? ».

Lui, Novati, vent’anni prima era passato appunto da Palermo a Genova, prima di approdare a Milano.

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Ma il giudizio più categoricamente positivo riferendosi ad un suo

contributo agli e Studi » lo aveva pronunciato Renier, ed il Novati lo confiderà all’amico, sicuro di fargli il più gran piacere: « Il Renier ha trovato il suo lavoro ‘eccellente’, ed aggiunge: ‘Parmi che abbia un’importanza superiore al soggetto specifico, perché addita la via che la critica deve battere per rendersi conto del valore reale delle biogra-fie trovadoriche’. Credo che questo giudizio le farà piacere ». (cart. del 20/7/1905)

Con tali garanti sottoporre la sua produzione al vaglio della com-missione per l’ordinariato era andar a colpo sicuro, anche in tempi in cui quel vaglio era severissimo, sovente puntiglioso, ed era campo, non di rado, della fiera guerra delle scuole.

Lo Zingarelli ebbe anche qualche apprensione, e non mancò qual-che rilievo, come gli racconta il Novati. Ma era ben sostenuto e la sua opera era solida e varia.

Insomma, prova superata con pienezza di voti. E il Novati non ri-nunzia a riconoscersene qualche merito, se non altro per il sostegno nella discussione e nella stesura della relazione: « La relazione è stata stesa da me: ho, naturalmente, dovuto tener conto, dettandola, de’ vari umori; ma siccome eran tutti bene disposti, così spero che Ella non la troverà sgradita ». (lettera del 4/1/06)

Le lettere di Novati fanno cenno ad un progetto di viaggio in Sici-lia, per una conferenza a Palermo su invito dello Zingarelli: progetto sfumato per una serie di contrattempi.

E poi ancora la intricata vicenda e la stressante attesa per il pas-saggio a Bologna; le lettere di Novati parlano di prudenza, dell’autorità del Carducci in sostegno di un suo scolaro, di pressioni del Pascoli perché l’insegnamento gli sia lasciato per incarico; finché la Facoltà, per troncare tutto, decide di mettere la cattedra a concorso. Zingarelli, com’è noto, parteciperà e vincerà.

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Ma il Ministero non gli riconoscerà il passaggio, e non essendo la cattedra per ordinario ».

Rimase a Palermo e continuò i suoi studi. Continuamente dal Novati e dal Renier (ma anche dal Barbi per il

« Bullettino ») era sollecitato per collaborazioni e recensioni e si loda-vano con schiettezza i suoi lavori, anche se non mancava di detrattori e di critici difficili.

Novati nelle sue cartoline alternava scuse per i ritardi epistolari, dichiarazioni di stanchezza (qualche volta sincera e pensosa, come av-viene qualche volta anche a quanti si lamentano non senza una qual-che compiacenza: « Io sono oppresso dalle troppe faccende che non mi lasciano il tempo necessario a mandar innanzi i miei lavori. Pur-troppo si perde una preziosissima parte della vita a far ciò che non piace... Perché poi?! » (cart. del 16/6/07) e richieste di lavori (« Io le raccomando molto Vivamente gli e Studi » che hanno bisogno di col-laboratori volenterosi per potersi mantenere in vita, altrimenti andrà a finire che, morto l’Arch. Glottol. morto tutto, resterà solo in piedi il monumentale edificio della Soc. filologica Romana che non è poi così eccelso da fare inorgoglire l’Italia di possederlo ». (cart. dell’8 gen-naio 1907)

Questi inviti di collaborazione si estenderanno fino al ‘15, l’anno della morte del Novati, che seguì di un anno appunto quella del Re-nier. In quell’ultimo anno, nonostante gli altri impegni, Novati si era preso il fardello del « Giornale ».

In una lettera del 18 agosto del ‘15, nell’esprimere rammarico per un mancato incontro a Milano in una visita fattagli dallo Zingarelli, aggiungeva: « Il mio dispiacere è anche maggiore perché non mi è possibile più di affidarle la recensione del recente volume del Barbi: non appena il libro era uscito, alla fine di luglio, passò di qui il prof. Debenedetti che si assunse l’ufficio di parlarne nel Giornale. Sarei stato veramente lieto di rivederla tra i collaboratori del periodico no-stro che ha bisogno più che mai di veder stringerglisi attorno gli amici fidi ed illustri. Veda, caro Professore, di risarcirmi di questo danno,

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inviandomi presto qualche cosa di suo: o art icolo o recensione. Ella mi farà un vero e proprio regalo ».

Si tratta di uno degli ultimi scritti del Novati in questo fondo. Novati, com’è noto, sarebbe morto negli ultimi giorni di quel pri-

mo anno di guerra 1915. Il « Giornale » sarebbe passato per due anni al Gorra, succeduto al Renier sulla cattedra di Torino, ed alla morte di questi, nel 1918 al Cian. A succedere al Novati sulla cattedra di neo-latina l’Accademia milanese avrebbe chiamato lo Zingarelli.

6. Vittorio Cian tenne la direzione del « Giornale storico » dal

1917 al 1937, gli anni in cui la seconda generazione della scuola stori-ca doveva far sempre più i conti con il mutamento degli orientamenti critici imposti dal Croce e con la progressiva supervisione politica del-la cultura imposta dal fascismo.

Quasi coetaneo dello Z., veneto di nascita, come il Renier ma tori-nese di studi e di vita, allievo del Graf e del Renier, il Cian fu come gli altri lavoratore infaticabile, legato nella ricerca agli strumenti del me-todo storico ma non del materialismo positivistico, che anzi nella con-taminazione metodologica e nei confusi presupposti filosofici della sua critica non si mostrava insensibile ad uno spiritualismo imprecisa-to e ai miti, non solo postrisorgimentali, del nazionalismo: la Torino liberale, l’insegnamento desanctisiano ripreso, sia pure per mostrare al Croce che esso apparteneva a Napoli quanto a Torino, alla scuola este-tica quanto alla storica, e soprattutto una sincera ma retorica e qualche volta perfino grottesca ideologia nazionalistica.

In cattedra a Messina fin dal ‘95 per letteratura italiana, e non neo-latina come quasi tutti gli altri, passò poi a Pisa e a Pavia, ed infine nel 1913 a Torino, fino al ‘35. Deputato e poi senatore dal ‘29 non ri-sparmiò, da posizioni nazionalistiche dichiarate, apologie all’imperante fascismo.

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Nella sua corrispondenza un tal orientamento si sente assai più di

quanto non si sentisse in altri, come il Bertoni ed il Farinelli, che pure avevano accettato cariche e funzioni dal regime.

La corrispondenza nei documenti di questo fondo zingarelliano si estende dal ‘14 al ‘34 e risulta abbastanza continua soprattutto per vi-cende legate alla collaborazione sollecitata ma piuttosto svogliata del-lo Zingarelli al « Giornale ».

Ma vi sono anche numerose manifestazioni di stima, ringraziamen-ti, scambi di opuscoli ed estratti (« hai voluto fare — scriveva, ringra-ziando lo Zingarelli che gli aveva contraccambiato con alcuni opuscoli un suo dono — come Romeo col suo Signore, sette e cinque per diece »); c’è un riferimento al Pascarella e alla sua raccolta di sonetti di Sto-ria nostra, un poema cui si dedicherà fino agli ultimi anni di vita, rive-latore del nazionalismo ch’era l’orientamento spirituale del Cian (« E credi tu ch’egli possa darci più il ‘pomera della storia nostra’ ora che ce l’hanno dato i nostri giovani cari con le armi, mentre il povero ami-co si è chiuso e sepolto in oscuro neutralismo tanto dis astroso quanto inesplicabile? Ne hai tu notizie? »).

Ma soprattutto vi è una ripresa pressante di inviti alla collabora-zione, destinati, anche questi a non produrre se non una breve recen-sione nel ‘21 al volume dantesco di Labusquette.

Zingarelli ormai era passato a Milano sulla cattedra di neolatina li-beratasi con la morte del suo caro Novati. Ed in quegli anni collabora-va intensamente a molte riviste autorevoli ed era impegnato in una in-tensa attività di dantista, di romanis ta e di lessicografo.

Cian, con inviti sempre più pressanti e confideziali, lo esortava a dargli qualcosa; e Zingarelli non diceva di no; ma prendeva tempo e altro tempo, fino a far cadere la cosa13.

13 Ecco qualche esempio: « Attendo l’adempimento delle tue belle promesse pel « Giornale » (14-12-1918).

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Naturalmente, aveva le sue buone ragioni, neppure polemiche, ma

di lavoro e di salute. Era immerso sino al collo nel lavoro di revisione e di stampa del

Vocabolario, che sarebbe uscito in prima edizione, presso il Bietti, nel 1922.

Ma a scorrere la Bibliografia degli scritti, ci si avvede che anche in quegli anni in cui si dichiarava impedito, non san pochi i suoi scritti su riviste e quotidiani autorevoli.

Le richieste di collaborazione s’interrompono. Il « Giornale » di Cian non trascura di segnalare, sia pur sobria-

mente i lavori dello Zingarelli. Lo farà anche per il Vocabolario.

28-7-1919: accoglie un saggio di un segnalato per il « Giornale ». « Ma più lieto sarei di avere qualche cosa del mio Z., e tanto più lo spero da che mi dai la buona notizia che lavori molto. Qualche briciola di codesto tuo lavoro, serbala al « Giornale ». E a propo-sito, mi vien un’idea. Giorni sono scrissi al Torraca proponendogli di prepararmi, fra un anno circa, uno studio sintetico — 2 o 3 fogli di stampa — sopra Un mezzo secolo di studi danteschi in Italia (1865-1921) destinato a quel numero straordinario del Suppl. del Giorn. che vagheggio di dare in luce pel ‘21. Ora nel caso che il Torraca non s’assumesse l’impegno, potresti sobbarcarti tu? Ne sarei lietissimo. Anche ho offerto al Torraca di recensirmi il Dante del Granz (la D. C.) Qualora egli non accettase potrei fa-re assegnamento sull’amico Z.? Rispondimi etc. ».

Nel ‘20 una serie di cartoline sulla laboriosa correzione De Labusquette, che poi uscirà nel vol. 77°, 1921, pp. 288-298.

6-7-1921. Sembra che Z. abbia accettato la rassegna di cinquant’anni di studi dante-schi. Cian lo sollecita a consegnare l’articolo. Il vol. si comincia a stampare, con i con-tributi di Galletti, Zonta: « Attendo con impazienza il tuo che vorrei mettere in testa. Vedi di fare uno sforzo e d’accontentarmi ».

C’è anche qualche impennata per mancate risposte: « Poiché non ho avuto l’onore di una risposta ti riscrivo nella fiducia d’essere questa volta più fortunato ».

Nel ‘21 sollecitazioni per l’articolo pel Suppl. dantesco del « Giornale » del 1921. (14.-sett.-21). « Bada poi, caro amico, che io vagheggio l’idea di affidare a te la rasse-gna cumulativa di quanto si pubblicherà di dantesco in occasione del centenario ».

21-8-21. Ancora sulla rassegna dantesca: « ora che hai offerto il tributo del tuo no-bile dantismo al Monastero di Fonte Avellana (come t’ho invidiato!) spero bene che penserai sul serio anche a me e al tuo contributo dantesco al quale tengo assaissimo. Dunque ti prego, testina non lente ».

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Ma uscivano anche certe noterelle piuttosto polemiche dello spe-

cialista di studi petrarcheschi, prima il Chirboli, poi il Calcaterra, su alcuni lavori zingarelliani, che, pur nel tono riguardoso che sembrava ispirarli non risparmiavano qualche frecciatina su certe « forzature » e precisazioni cronologiche e che non persuadono »; ed il Calcaterra en-tra anche in qualche garbata polemica personale.

Intanto usciva la seconda edizione del Dante vallardiano, accre-sciuto smisuratamente, migliorato sotto l’aspetto della precisione, ma non certo sotto quello della compattezza e della struttura.

E v’era stato, com’è noto, tra le due edizioni, tutto un rinnovamen-to della critica dantesca, e la polemica, vivacissima, intorno al volume crociano del 1921.

Zingarelli era molto timoroso di non incorrere in qualche nuovo infortunio. Certo ormai, negli studi danteschi di un certo tipo la sua fama era consolidata; ma era bene che il « Giornale » questa volta lo sostenesse.

Infatti il « Giornale » non mancò di sostenere, con la penna stessa del suo direttore Cian, il vecchio dantista ancora instancabile.

Glielo aveva promesso: 22/4/1931 « Il ‘Giornale’ ne parlerà de-gnamente, con lo scopo di informare con coscienziosa obiettività i suoi lettori delle differenze che corrono fra la I e questa II edizione del suo Dante. S’intende le differenze più notevoli. Farò di tutto per ac-contentarti.

Così nel volume 99°, 1932, uscì nel « Giornale » la recensione del Cian, questa volta positiva e sotto ogni aspetto affettuosa. Si faceva l’elogio di una lunga professione di dantismo scientifico e militante, del coraggio di stringere in una monografia tutta la dantologia dispo-nibile, si indicavano i miglioramenti della seconda edizione sulla pri-ma; si dichiarava aperto e totale consenso; si cercava un collegamento con certe posizioni desanctisiane sulla necessità di non trascurare in Dante l’uomo e l’esule, la forza morale di certe sue posizioni; etc.

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Ma in quella difesa dello Zingarelli, così inusitata mente senza ri-

serve, Cian e il « Giornale » sapevano di difendere il metodo storico e certo orientamento della critica biografico-erudito, contro la montante marea esteticocrociana e contro qualche resistente posizione della cri-tica teologico-simbolica, di cui Pascoli e qualche pascoliano erano e-sempi.

Tutta la scuola storica e il « Giornale » erano sulla difensiva in quegli anni trenta, arroccati nelle cittadelle universitarie, ma ormai in-sidiati anche in quelle; ed aveva dovuto accettare non pochi compro-messi e capitolazioni, come Dionisotti stesso nel suo magistrale saggio non ha mancato di rilevare14.

Valeva la pena allora spezzare una lancia in difesi di uno Zingarel-li, che alla fin fine, in quegli anni noi certo floridi, usciva con un’opera che, tutto sommato, sarebbe sempre stata una pietra di para-gone con cui confrontarsi e alla quale ricorrere.

Così si spiega — e non va trascurato — quell’accenno al De San-ctis, il cui recupero, tentato in estremis da non pochi, e dal Cian in-nanzi tutto, era inteso nel segno nazionalistico ed anticrociano, come un recupero dell’ethos contro l’invadenza dell’estetica della forma; ed un maldestro tentativo di salvataggio di tante ricerche biografiche che invece erano e rimanevano erudite.

La corrispondenza con Cian non presenta che qualche altro spunto. Un ringraziamento per l’edizione del Furioso « semplicemente deli-zioso e, che per la sua originalità ed eleganza squisita è tale da far o-nore a te e al grande editore Hoepli. Naturalmente il ‘Giornale’, per la penna del suo redattore più competente, il Debenedetti, compira il do-ver suo » (30/1/1934). Debenedetti, tra l’altro amico cordiale dello Zingarelli, scriverà invece la recensione acidetta che vedremo.

Infine i rallegramenti per il passaggio, che egli stesso Cian, nella sua qualità di presidente di sezione del Consiglio Superiore aveva proposto di approvare, di Zingarelli alla cattedra di letteratura italiana

14 C. DIONISOTTI, La scuola storica, cit.

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di Milano, liberatasi nel 1931 dopo la morte dello Scherillo: « di pro-porre toto corde l’approvazione della proposta fatti con così bella e giusta unanimità da codesta Facoltà pel trasferimento dell’amico Nicola, il quale, in grazia d questo trasferimento, avrà il bollo ufficiale come aveva titoli di figurare fra gli italianisti. Al futuro collega li ita-lianità letteraria i miei rallegramenti e auguri cordiali ». (18/2/IX° 1931)

7. La corrispondenza e le relazioni con San torre Debenedetti e con Giulio Bertoni si può dire comincino, tra il 1913 e il ‘20, quando quel-le con il Reniere e con i Novati finivano.

E d’altro canto il Debenedetti ed il Bertoni appartenevano ad un’altra generazione, di diciotto anni più giovani dello Zingarelli, si laureavano entrambi alla scuola del Renier e degli altri maestri di To-rino nel 1901, quando lo Zingarelli saliva in cattedra straordinario a Palermo.

L’uno e l’altro, discepoli d’ingegno di quella gran. de scuola, do-minata ora dal Rajna, erano andati a perfezionarsi a Firenze ed aveva-no subito il fascino di quella più duttile scuola filologica, tanto che il Debenedetti pupillo del Renier al quale pure rimase legato da ricono-scenza e da affetto, non esitò a dichiarare in uno dei suoi lavori maturi che « se da queste pagine traspare un certo spirito d’abnegazione e qualche oscura virtù di sacrifizio, sappia il lettore ch’io debbo tutto ai miei Maestri di Firenze »15. La crudeltà dei discepoli, non di rado, com’è noto, è almeno pari all’egois mo dei maestri. Entrambi si erano affinati nella frequentazione di università straniere ed avevano ascolta-to i grandi maestri tedeschi, francesi, il Tobler, il Meyer, il Grober, prendendo consuetudine con i metodi della grande filologia europea.

De Benedetti dopo il periodo all’Archivio di Stato di Firenze farà il suo noviziato d’insegnamento universitario a Strasburgo allora tede-sca, dall’08 al ‘13, quando conseguita la docenza e passata la tempesta

15 S. DEBENEDETTI, prefazione a Il Sollazzo, Torino, Bocca, 1922.

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della guerra, passò come incaricato a Pavia e poi, dal ‘23 ordinario, in-fine a Torino nel ‘28, ove ebbe pure responsabilità di redattore (1929) e il condirettore (1938) del « Giornale ».

Le vicende dell’ultimo decennio di Debenedetti, costretto ad ab-bandonare l’insegnamento ed il « Giornale » per le leggi razziali (1938 e ‘39) sono note, così il suo ritiro a Giaverno, la partecipazione alla Resistenza ed alla lotta antifascista, il ritorno all’insegnamento dopo la Liberazione, la sua solitudine, la sua morte nel ‘48: una vicen-da che non tocca la relazione con lo Zingarelli che s’interrompe nel ‘35 per la morte di questi.

Così come è nota la sua fisionomia intellettuale, il suo gusto per la ricerca, la sagacia dei suoi studi, il rigore e la sobrietà dello stile, l’ideale aristocratico di discrezione ed eleganza che lo portava a scar-tare immensi materiali di scavo per trarne lavori apparentemente esi-gui, ma di estremo interesse e lucidezza. Con Zingarelli poteva incon-trarsi ed ammirare la erudizione la vastità della ricerca, la curiosità in-tellettuale, non certo il disordine e la copia lutulenta di certi scritti e la trasandatezza dello stile che caratterizza tante cose del piccolo puglie-se.

Epperò la loro relazione fu rispettosa e misurata nei primi anni, via via sempre più affettuosa e sciolta16.

16 Ringraziamenti per pubblicazioni ricevute, contraccambi, richieste di giudizi e di

pareri, come in una cartolina del 27-2-27 in cui si ringrazia di un giudizio favorevole e si chiede una opinione sull’articolo Intorno ad alcuni versi di Dante; si lodano alcuni lavori che « hanno, oltre agli altri pregi, quello di essere molto coscienziosi, e perciò si ricorre a lei volentieri ». (1922) si loda un articolo zingarelliano su Monti: « Dei contri-buti che sono apparsi in questo felice centenario (fra l’altro me lo vogliono far passare per un gran poeta!) il tuo è uno dei più seri, importanti e conclusivi. Tutto quello che si riferisce alla storia della lingua ha per noi — naturalmente senza scorze di pedanteria — il massimo interesse ».

Lo invita ad una visita a Torino: « A Torino c’è una esposizione di cui si parla in tutto il mondo: e tu la lasci passare senza nemmeno farci una capatina » (cart. del 14-10-28).

Quando nel ‘28 è chiamato a Torino ne dà comunicazione affettuosa all’amico: « Carissimo, Ricevo ora il telegramma che mi chiama a Torino a succedervi al Bertoni sulla cattedra di filologia romanza.

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Affetto, simpatia, stima, dunque. E tanto più stupisce la recensione puntigliosa e decisamente acida

che Debenedetti avrebbe scritto per il « Giornale » al Furioso uscito presso Hoepli per le cure dello Zingarelli in edizione elegante ma de-stinata ad un vasto pubblico.

La votazione diede ottimi risultati: quindici votanti, quindici voti. Mi affretto a co-municano al mio ottimo amico, etc. » (cart. del 13-11-28); notizie sulla lunga prepara-zione della edizione del Furioso, « quando sia libero dalla influenza e dal Furioso, cioè dalle due influenze, vengo a Milano a passarvi una sera con te. (Cart. del 2-4-28) solle-citazioni di corrispondenza ed augurio di lavoro: « Mio carissimo, da un secolo non ho tue notizie, e per quanto sappia che hai sulle spalle grandi pesi, fra l’altro la nuova ed. della Vita di Dante, non posso non dolermi di così lungo silenzio. La nuova Vita di Dan-te avrà certo un magnifico successo. Non è un augurio, ma una fermissima fiducia. Ho letto in questi giorni quella un po’ romanzesca di Gallarati Scotti. Molto fervore, un senso d’arte non comune, una visione nobile ed elevata della vita spirituale rendono agi-le il libro; ma troppi errori l’ingombrano che potevan senza gran fatica evitarsi e non mancano le inclinazioni per far colpo. Io preferisco quelli che chiamano pane il pane, e acciughe le acciughe ». (Cart. del 9-6-29). Chiede notizie del Dante: «A che punto è il tuo Dante? Desidero che appena venga fuori il « Giorn. Storico » ne parli quando e co-me si conviene... Finito il Dante, prenditi qualche giorno di riposo a Torino ». (cart. del 16-10-29); si parla del Dante di Cosmo: « Il Dante di Cosmo, se già non ti è pervenuto è in viaggio »: Z. ne avrebbe dovuto fare la recensione. Notizie di viaggi e di vacanze, la Spagna, la Grecia. Si associa alle commemorazioni e necrologie dello Schenillo e « del nostro Rajna »: «gli volevo bene anch’io e molto, e le tue parole così affettuose, pur nel tono temperato e austero d’una pubblica commemorazione, mi hanno veramente com-mosso » (cart. del 19-2-31). Una commossa attestazione di amicizia: « Mio carissimo, grazie di tutto e con cuore profondamente amico. Vorrei anch’io poterti una buona volta servire in qualche cosa, e aspetto da lungo tempo tuoi ordini (mi si fanno troppe ordina-zioni) con vivo desiderio. Ci siamo conosciuti tardi, e da pochi anni si è stretta la nostra amicizia, ma quando ti penso, mi pare che risalga alle prime, alle più lontane, alle mi-gliori ».

Ma quando, nel ‘33, si fecero onoranze solenni a Milano per i cinquant’anni di in-segnamento dello Zingarelli, Debenedetti non fu invitato dal Comitato e se ne lamentò con l’amico. Dopo una conferenza tenuta dallo Zingarelli a Torino per la Società di Cul-tura gli scrive affettuosamente: « Carissimo amico, quante volte ritorni nelle nostre con-versazioni il tuo nome non ti saprei dire. La tua visita ha avuto un grande significato per noi che non sapevamo più staccarci da te (fu una vera persecuzione!), e nei Soci della Cultura che, dopo tanti chiacchiericci han sentito finalmente un oratore che dice delle cose buone, lungamente meditate e conquistate con acume e fatica ».

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Mario Casella gli aveva scritto ringraziandolo del « tuo elegantis-

simo Ariosto con bella e sintetica (sic!) prefazione, dove hai saputo adunare ed esporre con ammirevole chiarezza questioni intricate di storia letteraria e d’arte » (lettera del 12/2/1934).

Cian, che era ancora direttore del « Giornale », se ne era dichiarato assai contento, lo aveva detto « delizioso » e ne aveva lodato eleganza ed originalità. Ma passato poi nelle mani dello specialista Debenedetti, « perché il ‘Giornale’ compisse il dover suo », eccone la recensione, cioè alcuni passi, tra ironia e sufficienza:

« Bella carta, bei caratteri, e soprattutto molta roba (ma già comin-cia in nota ad indicare imprecisioni e sconvenienze). Settantacinque pagine d’introduzione. Poi il testo accompagnato da sunterelli che non l’abbandonano mai, e finalmente un Indice del Furioso che è insieme un Indice dell’Innamorato, etc.... Il Proemio discorre della Chanson de Roland e dei suoi derivati, nonché dei poemi amorosi di Chrétien de Troyes; discorre della poesia franco-veneta e della letteratura ro-manzesca toscana da cui trassero ispirazione il Pulci e il Boiardo. Poi parla anche di Ariosto (da pag. 43). L’informazione è amplissima e certo questo capitolo potrà giovare. Solo dispiacciono qua e là certe osservazioni curiose... (e si Citano una serie di « ingenuità » che vani-ficano quella ombra di apprezzamento e consenso che sembrava pure ci fosse). Al testo lo Z. dedica un paio di pagine e ce da rammaricare che un uomo di tanto valore, certo per colpa della fretta, non ci abbia dato intorno a questo punto quanto ci s i poteva ben aspettare da lui. Lo Z. sa che certe correzioni ne implicherebbero non so quante altre; sa

Sulla « fretta » con cui era stata compilata l’edizione, Z. stesso non poteva non es-

sere d’accordo, se aveva scritto al Barbi: « Causa (del ritardo) è stata l’ed. del Furioso, sulla quale mi sono impegnato sei o sette mesi fa. Non ho potuto attendere ad altro, ho trascurato corrispondenza di sorta. Ora è finita, rimangono le ultime revisioni... » (Z. 1-11-1933).

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che è doveroso dar le ragioni di quello che si fa; dice e ripete che edi-zione critica significa ‘fatta con criterio’. E poi... (ed anche qui esempi su esempi di correzioni al testo ritenute arbitrarie e non coerenti).

Poi v’è la questione dei morti resuscitati: alcuni re che muoiono in alcuni canti e si ritrovano resuscitati in altri (Furioso, XL, 73 e XVI, 81-83). Z. con molta ingenuità dichiara, almeno per alcuni, di rifarsi alla « errata » della edizione 1521, e poi per l’ultimo di essi, che non poteva giustificare altrimenti, tira fuori l’invenzione che l’Ariosto si sarebbe rimesso « al benevolo lettore », non potendo far capire nel verso altro dei nomi disponibili. La qual cosa pare « enorme » al De-benedetti, che si sostiene sulla tesi del Rajna circa le edizioni del Fu-rioso, e non può consentire con una forzatura di tal fatta. La svista è svista del poeta, e non valgono giustificazioni posticce.

La recensione prosegue con l’indicazione di qualche altra ingenui-tà del testo (XV, 23, etc.). Ironizza su certi sunti non corrispondenti al fatto. Infine conclude:

« Molte altre cose si potrebbero osservare, ma non è opportuno. Al libro, come già s’accennava, ha nociuto la troppa fretta. Ma anche così com’è può rendere servizi, sia per quei sunterelli cui ho accennato (se nelle scuole si fanno di questi esercizi) sia infine per l’amplissimo in-dice ». (« Giornale storico » vol. 105, 1935, pp. 181-184).

Certo Debenedetti era scrittore e critico assai meno currenti cala-mo dello Zingarelli. La sua edizione del Furioso per i classici di La-terza, uscita nel ‘28, era un miracolo di attenzione e di scrupolo criti-co; e più sarebbe stata, se l’editore non si fosse opposto alla documen-tazione completa di tutte le fasi di elaborazione del poema nelle suc-cessive edizioni curate dall’Ariosto (come sarà fatto poi nella sua edi-zione dal Segre del 1960, basata sui materiali debenedettiani). Inoltre quella introduzione di Zingarelli era ben fragile ed affastellata e non priva di forzature ed ingenuità.

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La recensione, tra ironia e sufficienza, era ineccepibile. Ma non era

né affettuosa né amichevole, come pure era stato l’autore in tanta cor-rispondenza.

Si sa bene, Amicus Plato, sed magis amica veritas. E poi il Debenedetti era di quelli che amavano « chiamar pane il

pane e acciughe le acciughe ». Il « Giornale », e in questo caso Debe-nedetti, sapeva ben fare queste spiacevoli scelte. E Zingarelli non era alla prima amarezza17.

Con arguzia e cordialità aveva invece toccato il problema dei morti resuscitati il Bertoni, il quale, sia pure in una corrispondenza privata e non in una pagina a stampa, se ne era quasi complimentato con lo Zingarelli, anche se non senza ironia:

« E’ saporitissimo (l’Ariosto novissimo): nella introduzione, nella stampa, nei finissimi riassunti, nella magistrale appendice che tu chiami Indice, mentre è una cosa preziosa da consultare. Ho subito no-tato varie novità. Per es. il disseppellimento, almeno di due morti ope-rato dall’Ariosto pare divenga, per merito tuo, una fiaba. Te ne son grato per messer Ludovico » (10/3/34).

Bertoni era modenese, ma torinese ed europeo di studi; allievo del Graf, del Renier, anche lui aveva percorso il curriculum regolare a Fi-renze col Rajna, a Parigi, a Berlino, a Strasburgo, con maestri tedeschi e francesi. Più giovane di diciott’anni dello Zingarelli, la sua libera docenza è del 1905, l’insegnamento a Friburgo in Svizzera dura dal ‘05 al ‘21, quando lo Zingarelli era già ordinario a Palermo e poi a Milano. Nel ‘22 è a Torino, sulla cattedra di Renier; dal ‘29 a Roma, su quella di De Lollis. Una carriera pienamente realizzata, non ostacolata da in-tralci politici; autorevole studioso, fu Accademico d’Italia, coordinato-re di sezione della Enciclopedia Italiana.

17 La figura del Debenedetti è stata recentemente ricordata da C. DIONISOTTI in

un articolo in « Medioevo romanzo » 1978, 2-3, di cui ho avuto notizia solo dopo la stesura di questa relazione. Il Dionisotti mi raccontava anche un aneddoto su certa «in-comunicabilità » tra il gigantesco Cesareo e il piccolissimo Zingarelli che non si rivol-gevano parola, per antiche ruggini accademiche palermitane; ed il Debenedetti, segreta-rio nella commissione di concorso, che era costretto a far da tramite tra i due reciproca-mente muti ed accigliati.

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Le missive sue a Zingarelli sono 25, cominciano dagli anni di Fri-burgo e sciolgono progressivamente la reverenza iniziale verso « l’illustre professore » « nel caro collega e amico » degli ultimi anni; né presentano particolare interesse per il nostro discorso, riducendosi a testimonianze di vita accademica e di civiltà tra letterati.

Ma proprio negli anni del suo maggior « rispetto » Bertoni non si astenne dal venir fuori nel vol. 590, 1912, del « Giornale » con una re-censione a due lavori zingarelliani, quello su Rambaldo di Vaqueiras e l’altro sul Bei cavaliere, con due osservazioni sul primo: « Lo Z. in-torno a questo breve e difficile componimento ha scritto alcune pagine che a me paiono molto infelici, sopra tutto per questo: che, messo su una falsa strada da una cattiva identificazione, s’è lasciato trascinare, dietro vane parvenze, a conclusioni quanto mai arrischiate, anzi, deb-bo dire, erronee ». E passava ad esemplificare argutamente i suoi rilie-vi.

La stessa considerazione vale per le cinque cartoline di Ferdinando Neri, un altro di quei prodigiosi laureati dell’anno 1901 della Univer-sità di Torino (De Benedetti, Bertoni, come si è visto, etc.), arrivati speditamente in cattedra e redattore e poi direttore del « Giornale ». Non contengono se non notizia di scambi di saluti e di opuscoli e un accenno alla controversa questione della attribuzione del Fiore a Dan-te.

8. La corrispondenza con Arturo Farinelli, il germanista e filologo

romanzo di fama e frequentazioni europee, si estende dal 1905 al ‘34 e copre dunque un arco di tempo più esteso. Farinelli era quasi coetaneo di Z., di soli sette anni più giovane, e per giunta senza quel curriculum regolare e prodigioso che faceva dei vari Debenedetti, Bertoni, Neri, dei prodotti finiti della scuola, sempre e comunque diversi anche per-ché più giovani, rispetto a chi da quella regolarità era stato distolto da

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ragioni di vita e solo più tardi era tornato agli studi. Farinelli aveva cominciato con studi tecnici, era stato allievo del

Politecnico di Zurigo e solo dopo molti trascorsi avventurosi e roman-ticamente inquieti era approdato alla filologia romanza ed alla germa-nistica, passando da Zurigo a Parigi ad Innsbruck ove tenne un incari-co d’insegnamento e da cui venne a Torino chiamato da quella univer-sità per la letteratura tedesca.

Inoltre la quasi ossessiva necessità d’indipendenza del Farinelli s’incontrava con la incapacità e diffidenza dello Z. verso schematismi, discipline scolastiche e accademiche. Farinelli aveva notato egli stesso il contrasto ch’era in lui « di una fantasia accesa per un nulla sino al delirio e di una ragione dimessa, fatta di prosa e di caparbietà che dai voli del cielo (lo) conduceva prontamente alla terra.. .il piccolo pedan-te . . .a lato dell’entusiasta ardente che si riteneva non mai contenuto da freni e da briglie... »18.

Senza i romantici atteggiamenti e fervori del germanista, Zingarelli mescolava sovente nella vita e nel lavoro l’attività del certosino pa-ziente e laborioso ricercatore con certi atteggiamenti ed ostentazioni di sregolatezza e di indisciplina formale; e certi « pasticci » e « zibaldoni » in cui spesso si risolvevano le sue ricerche più lunghe e che gli veni-van rimproverati dalla critica, si dovevano in parte al rifiuto di quella disciplina e di quella misura che eran dono di altri.

Farinelli, inoltre, dopo i suoi primi lavori nati da infaticabili ricer-che particolari, da una congerie di erudizione e da una esasperazione del metodo positivo, dopo l’incontro con Croce intorno al 1905-06, veniva sempre più rendendosi conto che « scovar fonti, registrar con-fronti,. senza un pensiero alla creazione intima, desta dall’urto interio-re, accesa dalle scintille cadute, è ozioso trastullo » (prefaz. al Dante in Francia, Milano 1908, p. IX). E via via venne assumendo atteg-giamenti

18 A. FARINELLI, Episodi di una vita. Milano, Garzanti, 1946, p. 36.

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Un tal carattere e temperamento di studioso poteva forse essere di esempio allo Z., proprio per certe Comuni debolezze delle quali, pe-raltro lo Z. non ebbe mai chiara coscienza e non seppe certo liberarsi.

Così Farinelli diventava più che lo specchio della coscienza, come avrebbe potuto, l’amico cui sfogare certi malumori e dal quale avere certi risarcimenti che gli ortodossi della scuola storica gli negavano19.

19 Le prime corrispondenze di Farinelli sono degli anni di Innsbruck, cioè i primis-

simi del 900: e fin da allora il tono è appassionato, affet tuoso, qualche volta eccessivo ed enfatico: « dammi ormai familiarmente del tu — mio diletto — stimatissimo amico. Pur troppo debbo ripetere a te quello che nel marzo scorso scrissi al Galletti: Non par-teciperò mai a nessun concorso in Italia neppure se mi promettessero l’oro di Creso o quella pace ancor più preziosa che io sventuratissimo cercherò invano sino alla morte. Diavolo, ch’io debba essermi mendico nella patria mia! (Da Vienna, 7-5-06, ove era an-dato per cercare di parare il colpo che lo escludeva da Innsbruck, dopo i moti antitalia-ni).

L’esempio sembra eloquente e indicativo del temperamento dell’uomo. Ma da Fa-rinelli, insieme a quelle appassionate dichiarazioni di affetto e di sdegno, gli venivano anche lodi per gli Appunti lessicali danteschi, per l’articolo sul Ventadorn; solidarietà per « la disavventura della recensione del Rocca, per gli attacchi della « Rivista d’Italia », per certe vicende accademiche e concorsuali, etc. ed ancora notizie di sé, foscoliani atteggiamenti di esule desideroso di affetti, (« Ricordo le ore troppo fugaci che passai ottimamente con te a Milano e poi a Roma e pare davvero che sia nei nostri spiriti una specie di sicura consonanza non mai l’ombra di un disaccordo, malgrado la mia turbo-lenza e gli uragani che l’anima mia patisce ». 30-1-1918); alcune feroci accuse al De Lollis, per certe ruggini e risentimenti accademici (pare si fosse opposto alla sua chia-mata a Roma) (« Al D. L. ormai degeneratissimo, incapace di far altro che l’uom genia-le poggiato sul nulla aggrappato ad un lembo dell’Estetica del Croce, che non assimila e non comprende, presuntuoso quanto ignorante...») (16-11-1908): esempi di intemperan-za e detriti di vita accademica, senza varianti negli anni.

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9. Intanto, lo Zingarelli, dopo il secondo Dante vallardiano del

‘31 e l’Ariosto di Hoepli del ‘34, compiuti i cinquant’anni di insegna-mento, si spegneva nel giugno del 1935, quando s’accingeva a pro-nunciare la sua ultima lezione.

Quel volume di Scritti di varia letteratura nel quale gli amici ave-vano raccolto le sue cose più rappresentative per fargliene dono in quel giorno che doveva essere di festa, si ebbe dal « Giornale » una re-censione postuma nell’annata 1080 del 1936 in un breve annuncio a firma di E. Testa nel quale in due righe si accennava ad un « omaggio alla sua cara memoria» e al « compianto maestro ».

Nè il « Giornale », ancora diretto dall’amico Cian, ritenne dovero-so pubblicarne un necrologio, come pure era costume ricorrente della rivista e testimonianza di omaggio e riconoscimento. Ma il piccolo pugliese di Cerignola certo non vi aveva fatto mai affidamento. Aveva imparato a diffidare, e aveva mostrato di non aver mai scambiato i se-gni di civiltà e buon costume epistolare tra gente di lettere, con la pie-nezza del consenso.

Tra lui e il tempio della « scuola storica » — anzi, tra lui e i diversi templi in cui la ricerca letteraria ormai si organizzava e si articolava la feroce guerra delle « scuole » — vi sarebbe stata sempre la « macula» di una origine ibrida, di certe frequentazioni e trascorsi, oltre, beninte-so, e certamente innanzitutto, le sue bizzarrie e intemperanze di stu-dioso.

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LA POESIA DI CRISTANZIANO SERRICCHIO In un elzeviro apparso sulla « Gazzetta del Mezzogiorno » (6-1-

1977), Aldo Vallone scriveva: «A guardar dentro a certa nuova poesia del Sud, poniamo dell’alta Puglia, tra S. Agata di Puglia, Manfredonia e Siponto, due modi sembrano più decisamente proporsi: quello di chi guarda alle cose, alle piccole cose della realtà e della famiglia, e quel-lo di chi, invece, dinanzi alle stesse si pone in stato di reminiscenza e di soggezione [...] attraverso la prima via si giunge a quella civiltà « contadina », di che mi pare genuino rappresentante Gerardo Maruotti, attraverso la seconda via si approda al mito, ad una realtà che più vale e pesa quanto più si sveste del concreto e si rifonde nel passato, e di questo modo mi pare schietto rappresentante Cristanziano Serricchio. E’ evidente che lì, nel primo, domina la cosa in quanto tale e per essa l’elegia della vita rusticana: qui, nel secondo, la suggestione della real-tà e per suo mezzo l’epica della vita umana che guardando nel passato fila insieme presente e futuro [...]. Lì sono rappresentati il contadino, il proprietario o il fattore, il vecchio e il giovane con legami insolubili dinanzi alla casa e alla campagna; qui l’ombra impalpabile, eppure presente, degli dei della terra o del cielo che si ridestano, la forza in-domita di Diomede, creatore e custode di quei luoghi, presente ovun-que « ora che il vento sibila (come si dice nella bella raccolta L’estate degli ulivi), tra i ruderi di San Nicola e nelle cale il pescatore riascolta ‘l’urlo saraceno’ ».

E’ un modo questo abbastanza sui generis di avviare il discorso, stabilire cioè un paragone tra due poeti, dando però più ampio spazio al primo, con un’analisi anche molto lunga ed accurata che qui non ri-porto per comp rensibili ragioni di spazio, e lasciando un po’ in ombra o, almeno, trattando solo di scorcio, il secondo, del quale, invece, an-dava seguita, mi pare, la ben più complessa e quasi trentennale evolu-zione artistica.

Già il primo « tentativo » poetico del Serricchio, Nubilo et sereno (Foggia, Società Dauna di Cultura, 1950), pur rivelando la carenza di un suo nucleo centrale, di una sua reale forza di ispirazione, può esse-re assunto a paradigma di quel ben più nutrito e composto mosaico di idee e di sentimenti presenti tanto nell’Ora del tempo (Lecce, Ed. dell’ « Albero », 1956) che nell’edizioncina Fuori sulle pietre, composta

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« per gli amici » e ormai introvabile, tanto nell’Occhio di Noè (Pado-va, Rebellato, 1961 che nell’Estate degli ulivi (ivi, 1943) e, da ultimo, nelle Stele daunie (Manduria, Lacaita, 1978).

I temi presenti nella prima raccolta (affetti familiari e domestici, serene visioni di paesaggio, aspetti vari e contrastanti della vita), pur ricchi di tepida affabulazione, rivelano una vaga e non mai bene orga-nata struttura sentimentale e di pensiero. Il limite di questa silloge va sicuramente indicato qui, in questo dimensionarsi del poeta su una re-altà un poco troppo personale « privata » oserei dire, cosicché le im-magini, le parole, i fatti non sono mai pienamente allusive, non si ele-vano a valore simbolico, non rivelano una loro pregnanza, ma sono come invischiate dal duro impatto con la realtà della materia, si trasci-nano dietro un congenito torpore che fiacca loro le ali né con sente che ci si possa liberare dalla tentazione di una poesia sola mente visiva, da un impressionismo tout court: « Andiamo verso la sera. / S’accendono insegne / lungo la strada / alla nuovi giornata. / L’aria fresca ristagna. / Sui volti il riso ha il colore delle vetrine accese. / Passano figure snel-le, / morbide sete, / pupille fugaci. / Diafani veli / innanzi a paurosi misteri» (Miraggio); oppure: « Ora tace la sera sul mare / e già posano lievi le forme / dei ricordi in quel lento cullare. / Tra le acacie si rac-queta il vento / nel velato giardino che dorme / e nel sogno appoggiato sul mento / dolci pupille vedo brillare» (Visione).

In altri componimenti, però (Sorrento, Distacco, Cara luminosa innocenza, Il castello, Naufragio), l’impressione, l’immagine è come sospesa, con distaccato candore, sui ricordi storici del l’antica Daunia, sull’ampio ed assolato Tavoliere e sul Gargano interamente avvolti da una solitudine millenaria, ma animati da un respiro d’Alba: « T’ho colta con avidi occhi / emergente da mare. / Al tocco una corolla, / si accese a rive lontane / e li barche, d’ombra nudate, / emersero fresche nel porto. / Un richiamo / ruppe l’intatto silenzio. / Si scrollò una bar-ca / nacque una vela »; un respiro quasi cosmico, universale: « Dov’era un lago increspato di luce, / un vasto richiamo d’aspre cicale / i corpo disfatto geme / dell’estate caduta. / Nell’innocente infantile fiorire / di gemme a passi di bimbi / preme l’ansia d’ignote foreste, / irte di venti e d’urli selvaggi, / risorte / dagli ossi de tempi » (Tavolie-re).

Nell’Ora del tempo è presente ancora il tema dell’infanzia dei ri-cordi, che si è come ammantato di un’atmosfera crepuscolare. Alla callida escogitazione di stampo ironico, caratteristica fondamentale della poesia del « crepuscolo », succederà però qui una più attenta ri-cerca della parola, scavata in interiore homine recante una sua levità e una sua precisa forza d’urto; inoltre all’iniziale impressionistico «gio-co» descrittivo presente nella prima raccolta, fa qui seguito una più coerente ricchezza e purezza di immagini ed una più meditata siste-mazione degli « oggetti » poetici.

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GIUSEPPE DE MATTEIS________________________________________________________________________

Liberatosi finalmente dalle facili tentazioni descrittivistiche ed en-

trato a più diretto contatto con il gruppo dei più noti poeti pugliesi del secondo dopoguerra, orbitanti un poco tutti intorno alla forte persona-lità di Girolamo Comi, ma anche intorno alla rivista da lui fondata, cioè 1’ « Albero », Serricchio sente il bisogno di conferire alla parola e al verso una modernità di accenti, un valore simbolico, una musicali-tà nuova, una salda tensione lirica insomma: « A screpolati muri chiama il sole / a tepori di fibre abbandonate / vecchi simili a barche secche sulla riva / che il vento sfalda lentamente in polvere. / Il tempo è ora quiete, attesa d’ombre, / lento gabbiano che disegna in volo / fili di lievi pensieri, memorie / che tornano al tramonto come vele. / La vita fu penoso remigare / in mari senza prode: / in legno che andò con-tro le tempeste / a sera è un po’ di carta in fondo al tino... ». (Ai muri chiama il sole); bisogno che in parte, ad esempio, si realizza anche in questa raccolta immagine di famiglia: « La sera è ancora un alito di luce / che tinge le vetrine. Un filo / invisibile, che penetra nell’ombra, / è la quiete e ci conduce / fuori del tempo, dove le bimbe / giocano e si tengono per mano / la fanciullezza lieve. / Con occhi d’adolescente / assorta a riposare / riascolti i tempestosi silenzi / gli ignari approdi dell’anima / risolti in docile abbandono. / Sei nella casa lo sguardo buono / che fa crescere, come il pane, / giorno per giorno segreta / un’altra vita » (Segreta un’altra vita). L’ultima lirica della raccolta, Dove ti cerco, mio Dio, già contiene in nuce l’anelito alla preghiera e alla ricerca del Divino, ossia i pressanti interrogativi che costituiranno la tematica di fondo dell’Occhio di Noè: « Nella vastità dei cieli / do-ve ti cerco, mio Dio, la voce è grido / fra mura abbandonate. / Per me-andri, senz’eco, m’aggiro, / per labirinti di mondi / che accendono il silenzio delle notti / di minuscole forme. / Innumeri fili di luce / una mano pietosa / mi tende da abissi remoti... ».

In questo gruppo di componimenti il poeta mette a frutto la sua ca-pacità di filtrazione della parola, alla quale restituisce la primitiva immagine di purezza, « un modo continuamente felice — ha osservato bene il Rosato — di scoprirsi, trovarsi nuovo, lavato e purificato in ogni suo aspetto come dopo il biblico diluvio dovevano mostrarsi i prototipi delle nuove generazioni. L’occhio del Poeta guarda con la stessa colma vibrazione del mistico patriarca sopravvissuto al fini-mondo, ma con in più il presentimento — voluto ad ogni costo per un incondizionato atto di fede — che qualcosa di quella rinnovata vergi-nità possa essere ancora trovabile oggi, guardando nelle cose e negli esseri al di là delle follie della materia »: « Ora i treni forano i monti

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e dalle pietre / di stupefatte lucertole nuove freccie / corrono gli spazi accesi di comete, / e ai tuoni, che innalzano in giganteschi / funghi a-tomi di luce velenosa, / gli uomini affidano tranquilli i minacciati / si-lenzi dei tetti sotto la luna » (L’occhio di Noè).

La furia tecnologica, con il conseguente perenne correre ed affan-narsi dell’uomo, determina in questo poeta dal carattere schivo, taci-turno, quasi contemplativo, un senso di smarrimento, di contenuta di-sperazione a volte: « Solo erravo legato al fragile moto / del remo su rotte sconosciute. / Ma il filo dell’acqua giungeva / alle altezze di uc-celli migratori » (Dopo il diluvio).

L’estate degli ulivi segna il momento di più consapevole forza e-spressiva del Serricchio, ché egli continua, è vero, ad indugiare oriz-zontalmente sul tempo e nello spazio della memoria, qualche volta con venature di compiaciuta svenevolezza, ma cerca di attualizzare e di rendere vivo il proprio discorso tanto dal punto di vista contenuti-stico che dal punto di vista formale e stilistico.

Di tanto in tanto fan capolino nella raccolta moduli desunti dal re-pertorio della poesia ermetica (da « ...la sete [che] spacca le uova alla vipera », « dorme il talamone con occhiaie di pietra », « Il mare rode ancora le pietre e gli anni », « Riemersa dalle spume / una danzante adolescente », un po’ quasimodiani, ai versi « Tre soldati in libera u-scita / che fumano alla brezza... », penniani; dal « Si sta come d’autunno... » e « Madre, di giorno in giorno / come il figlio nato / per mettersi in ginocchio / e, amandoti... », di chiara derivazione ungaret-tiana, al « C’è sempre una timida lucertola / nel mio giardino », di sa-pore pascoliano; dall’ « attenta cicala » o dalle cicale nella stoppia », che ricordano il limìo montaliano delle cicale, al « sole a picco » di Vincenzo Cardarelli), i quali non intaccano, però, il candore delle im-magini né incrinano la compattezza del discorso. Tutto è sostan-zialmente più lieve, più aerato, più sospeso: i ricordi, tristi o lieti, il sole, i colori, il mare, il cielo, il vento, la stessa presenza dell’uomo di pena su questa terra, creatura tanto fragile, inerme, diluviana insom-ma, che non tenta nemmeno di opporsi al dilagante fenomeno dell’avanzata tecnologica: « Erompono frequenti mine dove tra uliveti / superstiti il sole odore di sansa / e nelle cale il mare è stato / l’autunno dolce dei pescatori. / Fra unghie dissacrate si contorcono / abbrividendo le radici e sotto la fragile / crosta, umana di selci scheg-giate, / le ruspe scoperchiano acque e caverne. / Ma, calando nella tramata armatura, il grasso cemento piomba carie e dolore / e attorno alla mole che cresce l’asfalto / disegna strade e spiazzi deserti. / Vasti contenitori d’alluminio / e perfette cupole d’argento / rifletteranno domani, sorgendo, il sole, / e altissime canne refrattarie / gonfieranno di fumo le nubi / e la rosata luce delle pietre / avrà brividi d’acciaio nell’indifeso / disumanante spegnersi del giorno» (Erompono frequen-ti mine).

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All’amara constatazione della forza diluviana, caratterizzata dalla

presenza del « cemento » e dell’ « acciaio », il Serricchio non ha che da contrapporre il ritorno ancestrale, mitico alla propria fanciullezza, la costante, dolente immagine, anch’essa rimemorata, di un’estate garga-nica, di un’ « estate degli ulivi » appunto, dov’egli possa appagare lo sguardo e la mente e possa attingere un soffio di speranza per la dura ripresa: « Non ho che le tue mani stasera / a ridarmi il tepore della spenta estate, a suscitare nel tremulo tocco / della tastiera la luna dei ricordi. / Si leveranno ancora dal mare / con strida di gabbiani e l’eco / rimbalzerà tra i silenzi roccioso / senza voce che chiami / o tinga un’esile speranza. / Non ho stasera che la dolcezza / dei sereni fuochi nella piana / e l’onda che sollevi / muove tra le ventilate ginestre / la calma luce della quiete » (Non ho che le tue mani).

Coglie, a mio avviso, nel segno Bartolo Pento quando scrive (Cfr. « Messaggero veneto », 18 ottobre 1978) che questa lirica è « da an-noverare tra le cose più finemente e comunicativamente calamitanti del libro, sommossa com’è da un affiato tenero (e intenerito), da un flusso affettivo-emozionale che si trasferisce nel segno alfabetico con il fluttuare calmo e rasserenato, — ma saturato anche nel profondo da una pungente e struggente iniziazione elegiaca —,di una condizione di impagabile intimità domestica

L’ultimo libro del Serricchio, Stele daunie, comprende poesie nuove e una cospicua cernita di poesie apparse già in precedenti rac-colte.

Riandando idealmente alla storia delle nobili stirpi italiote, Japigie e Messapiche, che popolarono l’antica Daunia e che, secondo una nota leggenda (non ancora potuta accreditare, sebbene numerosissimi re-perti archeologici della zona di Ascoli Satriano e di Ami facciano supporre, abbastanza seriamente, che esiste ormai sufficiente materiale per poter dimostrare, e forse in maniera inequivocabile e definitiva, la derivazione greca della popolazione italica), ebbero nei Greci i loro più diretti progenitori (si ricorderà, anzi, che una delle leggende più famose è quella di Diomede, a cui già Orazio fece esplicito cenno nel-la quinta satira del libro primo: « Incinit ex illo montis Apulia notos ostentare mihi, ciuos torret Atabulus [...] panis [...] nam Canusi lapi-dosus, aquae non ditior urna / ciui locus a forti Diomede est conditus olim » [la sottolineatura è nostra]. Da qui la Puglia cominciò a mo-strarmi / i noti monti che Scirocco avvampa [...] il pane [...] infatti a Canosa / è duro come pietra: in quel paese / fondato da Diomede esi-ste solamente un orcio d’acqua »), il Serricchio propone al lettore le asciutte ma eloquenti parole delle stele, cioè le « immagini non conte-state d’un tempo / sepolto da spessi strati di silenzio, / i liberi segni

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riscoperti di antichi / ritornanti drammi non conclusi / nel semplice quadro inciso d’una pietra ». Attraverso un’ostinata paziente opera-zione di filtraggio della parola, che non rivela alcun « tremito di voce / o concitato spasmo delle arterie », ma che, semmai, assume un valore catartico e salvifico per l’uomo (Cfr. soprattutto quanto scrive in pro-posito Oreste Macrì nel saggio intitolato Momenti della poesia di Ser-ricchio premesso alla raccolta). l’artista consegna alla pagina l’immagine ricavata da quei « gesti fermi da millenni, passioni / calci-ficate vicende scolorite d’amore / e di lotta, divelte dagli aratri mecca-nici / all’infocato rumore di settembre... ». Serricchio disseppellisce, dunque, parole e gesti e vicende d’amore e di lotta che i tempo non è riuscito a scalfire e che le pietre incise han conservato. Nei luoghi gar-ganici, così cari e familiari a questo poeta (egli vive e svolge attività di preside in una scuola media superiore di Manfredonia, ma è nativo di Monte S. Angelo, il balcone del Gargano, dal quale può ammirarsi l’immensa « piana » di Puglia), « i Dauni primitivi non parole / ma una lenta cronaca di morte / affidarono alle pietre sui dossi delle dune »; qui essi « vennero con vele Quadrate / dalla Tracia [...] e costruiro-no / capanne rotonde lungo i fiumi / e barattarono anfore / colme di grano coi vicini ».

I versi di quest’ultima raccolta sono intessuti di una materia litica, in cui sono rinserrate « archeologiche e mitologiche risonanze ». « Sono versi — come ha osservato Giovanni Tesio (Cfr. ‘Tuttolibri’, 21-10-’78) — levigati e incisi di forte tensione emo tiva e civile », in Quanto « Nei simboli della vecchia Daunia e dei suoi abitanti secolari fanno irruzione improvvisa i simboli della nostra civiltà, nè la forza del poeta si appaga di immagini a sé stanti. La presenza dell’oggi si permea di lontani, un po’ misteriosi richiami, anche tristemente pre-monitori: ‘Pàgano antiche / colpe i braccianti-pastori di questa / morta pianura, dove le stoppie / bruciano su bianche tombe / la fierezza anti-ca’ ». E, giudizio non molto dissimile mi pare esprima Ugo Reale sull’ « Avanti! » (Cfr. il numero del 4 settembre 1978): « Nel Tavoliere, terra cosparsa di memorie di antichissime civiltà, Serricchio legge nel marmo le vicende di lontani fratelli di lavoro, di sofferenze e di spe-ranze; compone una storia di vinti che è vicina a molte condizioni o-dierne, pur nell’evoluzione di millenni ».

La passione storico-archeologica del Serricchio affiora a chiare no-te soprattutto nelle Stele daunie e nel Canto di Diomede, i due poe-metti che sono appena scanditi dalla tecnica versale e che nella loro struttura tematica e stilistica seguono quasi diaristicamente le vicende storiche del passato; una sorta di storia, anzi, che non è avvertita « come romantica nostalgia del passato, ma con la stessa profondità del nostro essere, come qualcosa che arricchisce e potenzia il sentimento del tempo » (Cfr. V. TERENZIO, « La Gazzetta del Mezzogiorno, 22 luglio 1978).

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Quest’ampio scenario di vicende umane e storiche non è turbato

però da momenti di intensa drammaticità, ché ogni immagine ogni re-sto d’antichità è come avvolto da un’atmosfera sacrale da un senso di mistero profondo, da un « velano di solitudine » e di malinconia.

In quest’ultima silloge Serricchio pare raggiunga la sua maturità artistica, poiché riesce a presentare elementi diversissimi fra di loro, affioranti da stele spesse volte indecifrabili, e tuttavia suscitatrici di sentimenti, che egli compone « in limpidi schemi compositivi », con « mirabile senso delle sfumature e delle gradazioni ». Per questo la sua musa è parsa « casta e sobria nel disseppellire i segni, le’ incontamina-te briciole / della memoria... »: « delfini su tombe sommerse », nenia « fenicia », il « talamone » le « isole di Diomede » dove uccelli piango-no ancora la morte dell’eroe garganico analogo a Enea laziale, « il riemerso ossame di trachite » dove si scopre il « ghigno di pietra » della cartaginese dei Tanit. La sobrietà è data dallo stesso timore del sacro o religio coi progenitori defunti, dal vano e dall’impossibile d’una riedificazione alla vita » (Cfr. O. MACRÌ, cit., p. 13). Ma si tratta è evidente, di « sobrietà » scavata anche in altra direzione, in quella, ad esempio, che scaturisce dall’esercizio attento della forma. I versi del Serricchio sono, infatti, sempre « vigili e scanditi » e « sbal-zano in ritmi nitidi e dolenti le atmosfere del tempo, in commistione profonda di significati » (Cfr. G. TESIO, cit.); nel « loro riflettersi ed atteggiarsi stilistico-discorsivo, linguisticocompositivo » risiede, anzi, quella loro impronta di « classicità e di modernità » (Cfr. B. PENTO, cit). E potrebbe trattarsi, infine, di una « sobrietà » desunta dall’auscultazione di vibrazioni biografiche o dianistiche, connotate dal quotidiano e dal domestico o ricavata da sensazioni sfumate, pro-nunciate appena in purezza di linea figurale, in lievitazione di ritmi, come ad esempio accade di fronte alla visione del paesaggio di Borgo Celano: « M’affaccio per empirmi il cuore / di nuovi germogli, sottil-mente / verdi nell’incerto oro del giorno, / graffiato dalle unghie del vento / nascosto fra muraglie mobili / di nuvole in lampeggii remoti. / Un ramo ha il frullo timido / di passera ch’esca dal nido / e il filo di frescura rinnova / le lontananze amiche: / tenero lume di ciclamino / sulle nude colline ».

Il terreno sul quale il Serricchio realizza il nucleo ispiratore della sua poesia non è solamente il recupero della storia passata, aureolata di miti, ma anche quello, non meno realistico ed oggettivo, del pae-saggio garganico, sul quale pare dispiegarsi appieno il canto dell’Estate degli ulivi, silloge che, se per un verso ricorda — come ha giustamente osservato il Macrì — suggestioni e prestiti di grandi poeti meditemranei, Quali Valéry, Ungaretti, Montale, Quasimodo e Comi (amico e maestro in un certo senso, quest’ultimo, del Serricchio),

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ovvero se si scopre in qualche modo vicino alla « peregrinazione lor-chiana nella sotterranea Andalusìa », cui si conformeranno anche, se-condo il folclore della propria terra, « Bodini salentino, Gatto camp a-no, Sinisgalli lucano [e non calabro, come erroneamente crede il Ma-crì], Quasimodo siracusano », Carrieri pugliese — aggiungerei io — per talune predilezioni cromatiche, per il verso opposto rivela la sua piena aderenza alla concretezza della vita.

L’estate degli ulivi, maturato in seno all’insistito ma, per fortuna, vario e mosso registro di « rive corrose, mummie dormienti, città se-polte, strade opache, vuote città, ceneri secche, sogni neri della morte, cardi rinsecchiti, calcinati scogli, relitti di mare, lacrime nude della madre, allucinanti gabbiani lampare campani cicale lucertole braccian-ti pugliesi » (Cfr. O. MACRÌ, cit., p. 12), rivela, infine, un sincero de-siderio del poeta, quello cioè di voler contribuire, come e quando può, alla costruzione di un discorso di speranza e di liberazione per l’uomo: un messaggio validissimo, mi pare, che è stato riproposto con più viva partecipazione e con più sereno equilibrio anche nelle Stele daunie.

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DUE INEDITI DEL POETA GIUSEPPE REGALDI

Di Giuseppe Regaldi1, poeta piemontese dell’Ottocento, si

conservano, nella Biblioteca Comunale di Lucera, ricca di nu-merosi e preziosi manoscritti2, due interessanti lettere, dirette entrambe al sindaco dell’allora capoluogo culturale e letterario della Daunia Giovan Battista Gifuni.

Nella prima lettera il Regaldi riferisce di una sua « acca-demia » (oggi diremmo recital di poesie) tenuta nel 1845 nella casa della nobilissima famiglia Mosca, alla quale parteciparono

1 Giuseppe Regaldi (Varallo 1809 - Bolzano 1883) fu appassionato cultore

di lettere e « poeta estemporaneo ». Era noto soprattutto come improvvisatore, e in questo genere ottenne successi notevoli sia per la prestanza fisica sia per il modo enfatico e tuonante col quale soleva declamare i suoi versi (va però ag-giunto che l’atteggiamento retorico fu una carat teristica piuttosto diffusa in quell’epoca; ciò, anzi, dovrebbe indurre gli studiosi a riesaminare, dopo tanti anni di silenzio e di abbandono, l’opera di questo poeta, specie le Poesie — e-diz. postuma a cura di E. CAMERINI, Firenze 1894, voll. 2 —, nelle quali, a prescindere dall’assai diffuso tono retorico ed ampolloso, vanno apprezzate la versatilità — tutti i metri son da lui trattati con grande destrezza, e per qualsiasi argomento egli sembra abbia pronto un suo armamentario di reminiscenze, concetti e vocaboli —e le doti d’ingegno. Ciò che nocque al Regaldi, comun-que, e che tarpò le ali della sua ispirazione, fu quel suo volersi ergere, a tutti i costi, a poeta ufficiale della scienza). Fu definito l’ultimo degli improvvisatori, né servì a togliergli questo marchio da dosso il lusinghiero giudizio che l’amico e collega Carducci in più occasioni ne diede, lodandone l’ingegno e la bontà. Sul versante della prosa, prodotta perlopiù negli ultimi anni, si dimostrò più equilibrato, manifestando una squisita sensibilità nella descrizione di luo-ghi, di persone e curiosità varie (Cfr. La Dora, 2a ed., Torino 1867 e L’Egitto antico e moderno, Firenze 1882, entrambe apprezzate dal Carducci), conosciu-te dallo stesso poeta nei suoi numerosi viaggi attraverso l’Europa, l’Asia e l’Egitto.

2 Tutti i manoscritti sono, per l’esattezza, 379 e trattano di diversi argo-menti: filosofici, letterari, scientifici; riguardano anche la medicina e l’astronomia. Tra le firme più autorevoli si ricordano quelle di Domenico Co-tugno e Domenico Cirillo, scienziati, Francesco Lastaria, clinico, Del Prete, Di Lecce, Corrado, Caracciolo, Lombardi, De Iorio ed Emanuele Cavalli, tutti in-teressati perlopiù a problemi giuridici, oltre che storici e letterari, - Antonio Sa-landra, statista, i cui diari (Cfr. G. B. GIFUNI, Il diario di Salandra e I retro-scena di Versailles, editi entrambi a Milano, Pan, 1969 e 1971) offrono del mi-nistro troiano un volto abbastanza originale; e, tra gli altri carteggi inediti, non van dimenticati tutti i manoscritti teatrali di Umberto Bozzini, le prose di ro-manzo di Giuseppe Colucci, le poesie, le prose, e soprattutto l’assai cospicuo carteggio di Giuseppe Checchia, che ebbe tra i suoi corrispondenti nomi di grande prestigio della cultura nazionale: Camillo Antona Traversi, Roberto Ar-digò, Giacomo Barzelletti, Giovanni Pastonchi, Giovanni Pascoli, Giacomo 52

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__________________________________________________DUE INEDITI DEL POETA G. REGALDI

gli uomini più culturalmente impegnati della città e di alcuni paesi vicini. Il poeta ebbe calorose accoglienze per il suo « e-stemporaneo poetare », tanto è vero che considerò questa sua visita in Capitanata come uno dei suoi « ricordi » più graditi.

La prima lettera non è datata e non è contenuta in busta, co-sì come è senza busta la seconda missiva, che però reca in cal-ce la data in cui è stata scritta. Le parole che in entrambe que-sto poeta così amato dal Carducci rivolge al sindaco sono di doveroso ringraziamento per le accoglienze ricevute, ma la-sciano intendere anche la meraviglia che egli ha provato nel vi-sitare l’antica città.

Rispettabile Signor Sindaco

L’invito che Le piacque farmi per un esperimento di estem-

poraneo poetare mi è caro argomento del pregio in che si hanno le lettere, e del culto che si presta all’ospitalità nella illustre memorabile Lucera3. Io non ho parole accomodate a riferire le

Zanella, Francesco Torraca, Giovanni Marradi, Benedetto Croce, Nicola Misa-si, Alfredo Galletti, Giovanni Lanzalone, Gaetano Pitta, Mario Rapisardi, A-chille Pellizzari, Ferdinando Russo, Bonaventura Zumbini, Egidio Corra (si coglie qui l’occasione per comunicare che, a cura nostra, apparirà fra poco in stampa tutto il carteggio Checchia). Vanno, infine, ricordati gli autografi di Giacomo Leopardi, dell’archeologo Giuseppe Fiorelli, dello storico Teodoro Mommsen, di Francesco De Sanctis, di Giuseppe Garibaldi, di Ruggiero Bon-ghi, di Umberto Giordano, di Ferdinando Martini, del Cialdini, Minghetti, Cri-spi, Ferri, Barattieri, Rosati, Zanardelli, Bovio, Zuppetta, Salvemini, Silvio Spaventa, Paolo Ferrari, Lombroso, Cantù, Pitrè, D’Ovidio, D’Annunzio, De Amicis, Fogazzaro, Settembrini, Gentile, Serao e Giustino Fortunato, le cui let-tere, indirizzate al prof. Antonio Iamalio, segretario particolare del De Sanctis, trattano, tra l’altro, della questione meridionale e dell’opera letteraria del gran-de critico irpino. Ma, per notizie più det tagliate su quest’argomento, e per tutto quanto concerne anche l’antico e ricco patrimonio culturale conservato nella Biblioteca Comunale di Lucera, si veda la rapida ma precisa sintesi di G. TRINCUCCI, La Biblioteca « R. Bonghi», di Lucera, Lucera, Catapano, 1977, soprattutto le pp. 16-37.

3 Lucera è una bella ed antica cittadina, di circa 30.000 abitanti, a solo 18 Km. da Foggia, capoluogo della Daunia. Per la ricchezza delle sue memorie storiche è da considerare uno dei più importanti centri dell’Apulia. Dal punto di vista artistico, oltre alla buona conservazione dell’anfiteatro romano, d’epoca augustea, rivestono particolare importanza il castello e il Duomo. Il primo, sorto sull’acropoli dell’antica città per opera di Federico II, venne suc-cessivamente ampliato, dal 1269 al 1283, da Carlo I d’Angiò. Enormi e solidis-sime sono le due torri cilindriche dette del « Leone » e della « Leonessa ». L’entrata principale presenta un ampio portale a sesto ribassato all’esterno e a sesto acuto all’interno. Altissime cortine recingono il fortilizio angioino, a pianta di pentagono irregolare, rinforzato tutt’intorno lungo i lati da torri qua-drilatere e pentagonali.

Sempre dai d’Angiò (presumibilmente da Carlo II) fu iniziato il secondo complesso artistico, all’incirca intorno al 1300, misto di forme romaniche e go-

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debite grazie a Lei, ed a’ suoi degni cittadini delle accoglienze fattemi, e della benevolenza con che gli animi si dispongono a ascoltare le mie povere rime. Siccome Ella largheggiando in ogni maniera di cortesia lasciò in mio arbitrio il fissare il gior-no del l’accademia, eleggo il 5 del volgente mese, sabato pros-simo; ed ove un tale giorno a Lei, od a’ suoi concittadini non convenga Ella potrà eleggere qualunque altro giorno che me-glio si con faccia a’ que’ buoni che seco Lei si affamigliarono per farmi onore.

La prego di gradire gli schietti sentimenti di riverenza e d gratitudine coi quali mi reco a distinto onore di protestarmi di Lei,

Dev.mo ed obb.mo Servo G. Regaldi

Rispettabile Signor Sindaco Le accoglienze largite a’ miei versi nella colta Sua Patria

staranno in ogni tempo fra le più care memorie della mia vita poetica. Mi palpiterà il cuore tutte le volte che mi avverrà di ri-cordare l’illustre Lucera, scrivendo dei fatti memorabili, che la rendono gloriosa nelle istorie italiane. Ricordando le rovine maestose del Castello, e gli archi acuti della spendita Cattedrali risentirò un grato olezzo di fiori, un suono soave di musiche, un accorrere di gente festiva, ed un plauso ardente di generosi che alla squisitezza dell’ingegno sanno accoppiare la bontà del cuore. E Lei, rispettabile Signor Sindaco, ricorderò in partico-lar modo chè fatto cortese interprete de’ miei ottimi concittadi-ni, tutto operò che potesse maggiormente onorarmi. Con animo grato ed ossequente sono altero di protestarmi a Lei

8 luglio 1845. G. Regaldi

tiche, fiancheggiato da una torre campanaria cuspidata con due piani di eleganti bifore e monofore. Nell’interno, in tre navate a tetto e arcate di stile gotico, si trovano l’altare maggiore, il ciborio, il pulpito e varie sculture e affreschi d’epoca rinascimentale.

Ma, oltre a questi edifici, van ricordate anche la chiesa gotica di S. France-sco, fondata sempre da Carlo II d’Angiò, che, sotto il profilo strutturale, specie negli sporgenti contrafforti dell’abside poligonale, richiama chiaramente il Duomo, e la chiesa di S. Domenico, nella quale s può ammirare il coro ligneo, di stile barocco, dello scultore Fabrizio Iannulo da Monopoli, eseguito nel 1640.

GIUSEPPE DE MATTEIS

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LA FORMAZIONE PROFESSIONALE NEL SETTORE DEI BENI CULTURALI:

LE BIBLIOTECHE I problemi e le questioni che sempre nascono e si agitano intorno

alle rare occasioni di riflessione tra operatori a vario titolo di settori complessi come quello dei beni culturali, autorizzano qualche libertà nello svolgimento dei temi assegnati.

Per quel che riguarda il settore in cui opero, mi preme sottolineare l’impossibilità di affrontare alcun tema specifico della questione bi-bliotecaria — sia pure quello più tecnicamente e teoreticamente più neutrale e astratto (ammesso che ve ne sia uno) — senza fare i conti con il quadro complessivo e concreto della situazione. Tanto più che non si tratta di un quadro qualsiasi: ignorano o, peggio, parcellizzarlo in tanti problemi —poco importa se tecnico-organizzativi o più am-piamente culturali —, come spesso si è fatto e si continua a fare, signi-ficherebbe illudersi di espungere i problemi generali e di fondo. Come è, infatti, possibile sperare che il caos, lo sperpero, la disorganicità, accumulati in decenni di totale assenza di una politica bibliotecaria non si riverberino su ogni specifico problema tecnico-organizzativo o politico-culturale? Riandare costantemente ai « nodi » non è perciò sintomo di una mancanza di immaginazione né di una volontà di fuga dai problemi specifici e concreti; è, al contrario, voler fuggire il ri-schio di illusorie scorciatoie tecnocratiche o di una totale assenza di analisi sulle cause, sui processi, sulle responsabilità che sono alla base della situazione e sui meccanismi comuni da innescare per superarla.

Si può, per esempio, realisticamente pensare che le biblioteche di-ventino e funzionino quali moderne strutture informative aperte e co-me centri capaci di produrre oltre che di trasmettere e far circolare cultura solo perché si è inventata a tavolino una riverniciata figura di bibliotecario: fuori cioè di una rifondazione, di un duro e lungo lavoro che assegni, ridefinisca moli, compiti, funzioni e obiettivi precisi ai singoli e diversi tipi di istituti nell’ambito di un « sistema nazionale » fondato su diversi livelli territoriali?

Relazione tenuta al Seminario « La formazione professionale nel set tore dei beni

culturali », organizzato dalla rivista Economia, istruzione e formazione professionale, in collaborazione con l’Ufficio Studi del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali e svol-tosi a Bari nei giorni 18-19 maggio 1979. La rivista organizzatrice, in un numero doppio (7/8, luglio-dicembre 1979) ha curato la pubblicazione degli atti.

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GUIDO PENSATO______________________________________________________________________________

E’ vero esattamente il contrario: prendono corpo e saranno più

precisamente delineate nuove figure professionali solo nel vivo di un processo complessivo di costruzione di un moderno « sistema biblio-tecario ».

Il capovolgimento del rapporto: problemi, scelte e volontà politico-culturali generali / problemi tecnici, è stata — secondo i casi, in buona o cattiva fede — la paralizzante risposta data dagli addetti ai lavori e dai responsabili della politica delle biblioteche a quello che resta, da un secolo a questa parte, il problema di fondo della nostra cosiddetta organizzazione bibliotecaria: realizzare il passaggio dalla struttura immediatamente post-unitaria, élitaria, di classe, omogenea a un asset-to sociale ed economico fondato sulla scarsa partecipazione dei cit-tadini, su bassi livelli di scolarizzazione e di cultura a una struttura moderna che facesse e faccia i conti con la società di massa, con gli accresciuti livelli di scolarizzazione e culturali, con la fondamentale esigenza di produttività e di integrazione di tutto il sistema formativo, educativo e culturale nel processo di trasformazione sociale ed eco-nomica.

Sono trascorsi così — tra resistenze, incapacità, tentativi di stru-mentalizzazione — cento anni di storia bibliotecaria italiana, nel corso dei quali, non a caso, si è tentato di consolidare e rendere definitiva una concezione tutta retorica delle biblioteche — sacrari della civiltà! — nell’ambito di quella più generale dei beni culturali come beni da godere non mai da usare!

In questo quadro non c’è problema tecnico che sfugga a un rappor-to di funzionalità alla logica sostanzialmente paralizzante, conservatri-ce che ha caratterizzato la gestione di questo settore.

Non far nulla per modificare e adeguare alla radice la struttura bi-bliotecaria del Paese significa non vedere che per questa strada passa ogni problema tecnico. Affrontare in questo modo per esempio il pro-blema di fornire le biblioteche, le biblioteche italiane oggi, di strumen-ti catalografici, informativi e bibliografici nuovi, rispondenti al ruolo nuovo che esse devono svolgere nella vita democratica, civile e cultu-rale del Paese, significa ignorare che anche le tecniche catalografiche sono espressione di un rapporto di totale identificazione ed omogenei-tà culturale tra le biblioteche e le ristrette élites di utenti che, prima ancora di essere fruitori e destinatari di un codice e di un sistema in-formativo, erano, e sono tuttora in grande misura, coproduttori di quel codice e di quello più generale del sistema culturale e sociale, la cui chiave universale è rappresentata proprio da quella omogeneità.

In questo stesso quadro si comprende bene lo scarso peso che han-no avuto le riflessioni e le sollecitazioni di quanti pure in questi cento anni sono riusciti talora a cogliere la scarsità del contributo che poteva

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_________________________________________LA FORMAZIONE PROFESSIONALE NELLE BIBLIOTECHE

venire dalla « vecchia e solida » e « pertinente » cultura umanistica dei bibliotecari italiani al rinnovamento di strutture di cui si indovinavano compiti ben più complessi, vasti e, soprattutto, qualitativamente nuovi.

Ma provvedimenti, iniziative, novità non ne sono venuti nemmeno per quel che riguarda il reclutamento, la qualificazione, l’aggiornamento degli addetti alle biblioteche. Anzi, di fronte al mo l-tiplicarsi di problemi e ritardi di ogni genere — da quello della scarsi-tà di mezzi e delle scelte legislative a quello della trasformazione e crescita dell’utenza —, la tradizionale strumentazione tecnica e cultu-rale non è bastata più nemmeno a garantire i compiti tradizionali delle nostre biblioteche: conservazione e tutela dei fondi preziosi e antichi, servizio a favore degli alti studi o della ricerca erudita.

Lo stato delle nostre più gloriose istituzioni bibliotecarie, lo scar-sissimo livello di accessibilità del patrimonio, il tributo che siamo co-stretti a pagare all’estero in termini di strumenti di informazione e di ricerca e quindi di dipendenza culturale ed economica sia in campo umanistico che in quello scientifico, sono una conseguenza e una te-stimonianza assurte a livello di luogo comune.

L’immobilismo, la totale assenza di interventi anche in materia di formazione di quadri tecnici e culturali ha prodotto una progressiva e, almeno apparentemente, inarrestabile regressione dei livelli di profes-sionalità: nei grandi istituti come nelle piccole strutture di base.

Nessun rapporto dialettico, di movimento, quindi, almeno fino a ieri, tra nuova — reale o potenziale — utenza, figure professionali e istituzioni bibliotecarie.

Come conseguenza: perdita di identità, confusione e so-vrapposizione di compiti e funzioni, nebulosità di certi nuovi profili professionali — « animatore culturale », « tecnico dell’informazione » — che pure vorrebbero essere la risposta alla molteplicità della do-manda che investe le nostre istituzioni.

Nonostante tutto però i bisogni obiettivi della nostra realtà econo-mica e culturale, oltre che una domanda, esplicita o potenziale, com-plessa e di dimensioni rilevanti, la presa di coscienza dei termini reali e generali dei problemi da parte di larghi strati di addetti ai lavori, l’assunzione diretta di responsabilità da parte delle Regioni e degli En-ti Locali, la conseguente, caotica per molti versi, ma pur sempre viva-cissima proliferazione di esperienze formative: tutti questi fattori spingono ed autorizzano a ritenere improponibile una posizione atten-dista che condizioni alla definizione e alla costruzione del « sistema bibliotecario » la precisazione delle nuove professionalità che, vice-versa, si possono cominciare a precisare, sperimentare, delineare im-mediatamente.

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In particolare, appare fin d’ora chiaro che un’azione specifica va

condotta ai vari livelli — sia attuali sia quelli che emergeranno final-mente dalle riforme in cantiere ormai da qualche lustro — del nostro sistema d’istruzione e di formazione. Uno dei pochi punti concreti che possono essere segnati a favore dell’esperienza degli organi collegiali della scuola è forse proprio la « scoperta » del ruolo che le biblioteche — a cominciare da quelle scolastiche — possono giocare nella realiz-zazione di una ipotesi di radicale trasformazione dei modi e dei conte-nuti della pratica educativa.

E’ quindi necessario non solo che gli insegnanti acquisiscano quel-le nozioni e quelle capacità — che dovranno poi trasmettere e usare insieme agli studenti — relative alla ricerca bibliografica, all’uso delle fonti e delle strutture informative, che devono entrare a far parte inte-grante della pratica educativa a tutti i livelli e in tutte le aree discipli-nari; ma anche che la biblioteca scolastica sia messa in condizione di diventare davvero strumento indispensabile all’attività formativa. E questo è possibile — per quel che riguarda il personale — sia attraver-so l’intervento diretto di Regioni ed Enti Locali (che portata reale a-vrebbe altrimenti ogni discorso sulla loro titolarità della competenza in materia di diritto allo studio?), sia ipotizzando — nel quadro di una riforma dell’istruzione che riconduca anche a una utilizzazione unita-ria e coordinata delle risorse scolastiche — la istituzione di un ruolo di bibliotecari scolastici, — la cui formazione sia specificamente caratte-rizzata sul piano psicopedagogico e didattico. Ma la perdurante fluidi-tà di tutto il processo di riforma consente — a mio parere — ipotesi più avanzate, quale per esempio — nell’ambito di uno stretto collega-mento « secondaria superiore » / « formazione professionale » — la individuazione di corsi biennali di formazione per aiuto-bibliotecari innestati su un auspicabile biennio della « secondaria ».

Per quel che riguarda la biblioteca pubblica — luogo in cui si sono in questi ultimi anni manifestate le esperienze più stimolanti, i bisogni più tumultuosi e contraddittori e quindi anche le ipotesi di professio-nalità più nuove anche se talora confuse — è certo che ampio spazio nella formazione degli addetti va fatto a quelle discipline in grado di conferirle una dimensione sociale e ampiamente educativa rispetto a un utenza complessa, in trasformazione e strettamente legata alla real-tà del territorio. Non quindi una generica infarinatura di sociologia, ma una formazione sociologica e antropologica in grado di cogliere e interpretare i complessi e vari fenomeni della produzione, della comu-nicazione e della fruizione culturale; non una sommaria o invecchiata infarinatura di « storia locale »fatta di dilettantismo, campanili e uo-mini illustri, ma un complesso di strumenti conoscitivi — dalla storia culturale, economica e sociale alla statistica, all’analisi

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delle culture popolari, etc. — collegati a livello pluridisciplinare e in grado di concorrere a configurare la biblioteca pubblica non più come la nebulosa struttura del passato — miraggio del contenitore universa-le ed enciclopedico delle conoscenze o sacrario della cultura provin-ciale — ma come luogo e strumento per l’accesso, veramente aperto a tutti, al complesso delle risorse bibliografiche del territorio; ma soprat-tutto come referente pubblico dei bisogni e delle domande culturali e di lettura di un’utenza organizzata, come strumento critico collettivo attraverso il quale anche l’utenza individuale si moltiplica e si raffor-za.

E’ evidente — a questo punto — che gli stessi aspetti più squis i-tamente tecnici della nuova professionalità del bibliotecario cosiddetto pubblico: catalogazione, gestione dei servizi, cooperazione tra biblio-teche, automazione etc., acquistano un ruolo diverso, perché fonda-mentalmente diretti a misurarsi con problemi affatto nuovi: da quelli posti da un’utenza non tradizionale, a quelli della costituzione della memoria storica dei gruppi sociali produttori di cultura in senso lato.

Non vi è dubbio: rispetto alle certezze immobili della tradizione bibliotecaria italiana, mettersi su questa strada può apparire avventu-roso. Così non è se si rinuncia all’immagine della biblioteca pubblica come « universalità di beni ... immobili » e si sostituisce ad essa quella di un complesso flessibile, variabile e mobile di beni il cui valore au-menta in funzione del numero di scambi che subisce e consente; se si chiede ad essa ed al bibliotecario, come metodo di lavoro, un rapporto costante con il territorio, le sue istituzioni, i suoi gruppi sociali, i suoi bisogni e, come obiettivo, la trasformazione della cultura scritta — ma non solo di essa — da strumento del privilegio culturale di pochi a pa-trimonio diffuso e utilizzabile potenzialmente da tutti. Si tratta, in-somma, di non fermarsi all’obiettivo — che pure è tutto da realizzare — di erogare servizi adeguati a favore dell’utenza così come è.

E’ quindi soprattutto con riferimento al settore della biblioteca pubblica che le strutture formative devono assumersi non come date e definite una volta per tutte, ma capaci, per un lungo periodo, di mis u-rarsi con i bisogni e le esigenze emergenti. Questa parte innovativa del discorso sui bibliotecari delle biblioteche pubbliche nulla toglie all’esigenza — soprattutto nelle grandi istitu-zioni di questo tipo e fatta salva l’ipotesi di strutture di conservazione specifiche con compiti specifici di archivi del libro ai livelli regionali — di formazione rispetto alla parte antica e di pregio del patrimonio: anche se l’obiettivo della produttività culturale e di un diverso uso del-la professionalità pone ugualmente problemi ai vecchi metodi e ai vecchi contenuti formativi.

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Presenta minori problemi — almeno sul piano della definizione dei profili professionali e degli stessi curricula — la formazione dei bi-bliotecari delle università e delle biblioteche speciali di Enti pubblici o privati.

Per queste ultime — per le quali la natura dei materiali e dell’utenza delineano abbastanza chiaramente il rapporto che deve correre tra tecniche biblioteconomiche e di documentazione e cono-scenze specifiche delle materie cui l’istituto si riferisce — il problema fondamentale è quello di non lasciare più oltre all’autoformazione o all’iniziativa del singolo Ente di appartenenza — con conseguenze di estemporaneità e di eterogeneità facilmente immaginabili — ogni ini-ziativa.

Problema, questo, comune, d’altra parte, anche ai bibliotecari delle università e che non sarà risolto fino a quando lo Stato — invece di occuparsi del coordinamento e della gestione di istituzioni, servizi e funzioni di carattere generale e nazionale — continuerà a voler gestire strutture o settori d’intervento il cui carattere generale o nazionale nessuno può sostenere.

Un ruolo determinante rispetto ai problemi di formazione, qualifi-cazione e aggiornamento del settore bibliotecario spetta all’università, aldilà dei termini appena accennati e su vari piani:

1) collaborazione e sostegno alle Regioni e agli Enti Locali nella definizione e nella realizzazione di programmi e corsi di formazione professionale del personale da immettere nei servizi e di aggiornamen-to del personale in servizio;

2) istituzione — in sedi universitarie in cui sono presenti strutture bibliotecarie e di ricerca adeguate — di corsi di laurea imperniati su un’area comune di discipline tecniche specifiche: procedure catalogra-fiche e di classificazione, gestione dei servizi, bibliografia, storia delle biblioteche e della documentazione, statistica, automazione e informa-zione etc.; e di formazione culturale: lingua e storia della cultura e delle istituzioni culturali, storia della scienza, storia della filosofia, so-ciologia della comunicazione e della cultura, etc.; e completate da a-ree di specializzazione: per bibliotecari documentalisti, per biblioteca-ri conservatori, per bibliotecari moderni;

3) istituzione di corsi speciali intermedi pre-laurea; 4) istituzione — in relazione alla natura delle risorse bibliografi-

che del territorio, a specifici piani di sviluppo e al fine della formazio-ne dei docenti — di corsi di specializzazione postlaurea.

Va, comunque, in conclusione ribadito, in presenza di una com-plessa e crescente domanda culturale e di lettura che non riesce a tro-vare referenti istituzionali con caratteristiche e funzioni chiare e defi-

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nite di bisogni di formazione che provengono da tutte le biblioteche italiane; di esperienze formative disparate realizzate ai livelli locali e regionali; di una latitanza pressoché totale da parte dello Stato: in que-sta situazione, va riaffermato che ogni discussione sui profili profes-sionali che non voglia ridursi a mera esercitazione teorica deve costan-temente far riferimento a una serie di precondizioni, che costituiscono la griglia strategica complessiva di ogni ipotesi di politica biblioteca-ria.

In particolare vanno — a mio parere — considerati come obiettivi di fondo e immediati:

— liberare la figura professionale del bibliotecario da quelle con-notazioni burocratico-amministrative che ne impediscono una caratte-rizzazione e uno sviluppo sul piano tecnico-scientifico;

— far coincidere questa battaglia con l’occasione della riforma di tutto il settore del pubblico impiego e della Pubblica Amministrazio-ne;

— ancorare, inoltre, le diverse professionalità non sempli-cisticamente alla natura — giuridica o culturale — del patrimonio li-brario, ma soprattutto alla destinazione di uso, all’utenza configurabi-le;

— definire — attraverso la emanazione delle leggi-quadro e la ri-presa di un confronto ravvicinato e costruttivo — dei ruoli e delle fun-zioni rispettive dello Stato, delle Regioni e del sistema delle autono-mie. Particolarmente per quel che riguarda la formazione del persona-le delle biblioteche, un’azione di coordinamento e di indirizzo da parte dello Stato sarebbe auspicabile. Non costituisce certo un buon viatico su questa strada l’assenza di qualsiasi riferimento al problema della qualificazione e dell’aggiornamento professionale di cui soffre lo stes-so decreto 805 istitutivo del Ministero dei Beni Culturali e Ambienta-li;

— scongiurare — proprio attraverso il confronto delle esperienze di formazione maturate in sede locale e spesso a livello di singole bi-blioteche come risposte immediate ai bisogni emergenti e concreti — il rischio che prendano piede figure professionali parcellizate (più che specialistiche) o anche generalissime (più che polivalenti);

— condurre nell’ambito delle strutture statali e di quelle operanti sul territorio regionale, un’analisi sulla natura e sui livelli della profes-sionalità; che costituisca un quadro preciso delle risorse .disponibili e dei bisogni complessivi presenti nel settore delle biblioteche ai vari li-velli.

Rendere produttiva un’ipotesi di formazione per il personale delle biblioteche significa — come è ovvio — soprattutto legarla stretta-mente agli obiettivi fissati dalla programmazione del settore.

I segnali che continuano a pervenire non sono dei più confortanti.

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Tarda a prendere corpo una sia pure iniziale ipotesi pro- gramma-

toria dello Stato, il quale per di più non trova di meglio — per quel che riguarda la formazione professionale — che ipotizzare, attraverso il Ministero dei Beni Culturali e li occasione della Conferenza Nazio-nale delle Biblioteche, un Centro Nazionale per la Formazione Profes-sionale dei Bibliotecari che ha tutta l’aria di un miraggio nel deserto e rischia di configurarsi — sia pure a livello di ipotesi — come del tutto separato da quel Consiglio Nazionale che, per quanto progressivamen-te svuotato di poteri reali e di funzioni, resta pur sempre l’organo della programmazione.

« Tractant fabrilia fabri »: è stato per decenni l’accorato slogan dei bibliotecari italiani in lotta quotidiana con una burocrazia centrale chiusa e arretrata. La dimensione dei problemi che affliggono il nostro sistema bibliotecario deve, da sola, far giustizia dell’illusione che sia sufficiente a risolverli un quadro professionale moderno e preparato. Al contrario, solo l’impegno comune — accanto agli addetti ai lavori, portatori di una rinnovata professionalità fortemente caratterizzata sul piano sociale — delle istituzioni culturali pubbliche, titolari di strate-gie generali di sviluppo e di una nuova utenza, di nuovi soggetti, tito-lari di bisogni e diritti culturali, può allontanare la sensazione e la pro-spettiva di costruire un bibliotecario fantasma. destinato ad aggirarsi e a celebrare vuoti rituali in immobili cimiteri di carta.

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FRANCESCO BARBERI E LA PUGLIA *

Avv. Francesco KUNTZE (Presidente Amministrazione Provinciale Foggia).

Sono particolarmente lieto di poter accogliere questa sera nella nuova sede della biblioteca Provinciale così illustri rappresentanti del mondo della cultura e delle biblioteche e di poter porgere ad essi il sa-luto dell’Amministrazione Provinciale e dei cittadini di Capitanata. L’incontro di questa sera, che la nostra biblioteca ha voluto organizza-re con l’intelligenza che segna costantemente le sue iniziative, è un’occasione particolare, in un certo senso atipica. rispetto alle con-suetudini semplicemente celebrative che connotano talora gli incontri con il mondo della cultura.

Al Prof. Barberi, ad uno dei maggiori bibliotecari e studiosi della cultura scritta che possa vantare la storia contemporanea delle nostre biblioteche, la biblioteca foggiana e la cultura dauna non tributano sta-sera un omaggio tradizionale, io credo, la cui opera di soprintendente in Puglia in un momento storico, tragico e dolorosissimo per il paese e per la Capitanata è tra le vicende più nobili che registri la cultura mili-tante della nostra terra e di essa credo dirà efficacemente il nostro Dott. Celuzza. Il prof. Barberi è con noi ancora una volta come in-tellettuale protagonista, come uomo di cultura non accademico, al quale la cultura offre un omaggio diverso, nel modo che il prof. Bar-beri, ne sono certo, apprezzerà ben più di ogni altro tradizionale; un omaggio vale a dire che è tutto un contributo di ricerca, di lavoro intellettuale produttivo, di impegno culturale attivo. In una sede che è forse il più bel segno della continuità fra ciò che l’opera vigile e persi-no trepida di Francesco Barberi ha voluto conservare, la vecchia Pro-vinciale, è la nuova Biblioteca che ancora da Barberi hanno ricevuto il segno della vocazione professionale nel suo senso più completo. Que-sta sera il prof. Petrucci e la dott.ssa Vinay dedicheranno a Barberi e a tutti noi interessati al mondo del libro due contributi scientifici che a-vranno in sé oltre la formula del volume miscellaneo e dell’opera di catalogazione a repertorio un valore ulteriore di riflessione critica e di generalizzazione problematica.

* Tavola rotonda tenuta a Foggia nell’Auditorium della Biblioteca Provinciale 22

ott. 1977 con la partecipazione: Avv. F. KUNTZE, Prof. P. RICCIARDELLI, Dott. A. CELUZZA, Dott. A. VINAY, Prof. A. PETRUCCI, Prof. F. BARBERI.

Nella stessa seduta il Prof. A. PETRUCCI ha presentato al pubblico il volume « I manoscritti della Biblioteca Prov.le ».

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La intelligenza scientifica che dedica il meglio di sé negli studi bi-

blioteconomici ad approfondire i temi della pubblica lettura, il loro collegamento costante e dinamico con la polimorfi e talora contraddit-toria — nel versante sociale e culturale — struttura del territorio; i rapporti tra biblioteche ed istituzioni della nostra democrazia rinnova-te, ancora profondamente da rinnovare: penso al solo grosso problema della legge 382 così rilevante e così ancora aperta, per usare un eufe-mismo, nel campo delle biblioteche; i temi della strutturazione a livel-lo nazionale delle maggiori istituzioni bibliotecarie e della loro ade-guazione alla realtà contemporanea dei bisogni del paese, troveranno tutti un’eco competente e appassionata in quanto ci dirà la dottoressa Angela Vinay, che non per la prima volta ci onora della sua presenza e che quale presidente dell’Associazione Nazionale degli operatori delle biblioteche nonché per la sua opera intelligente di responsabile dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico molto ci fa attendere in fa-vore della nostra organizzazione bibliotecaria nazionale.

Al prof. Armando Petrucci, che questa biblioteca ha già avuto la fortuna di ospitare presentando un suo interessantissimo volume « Primo: non leggere », in una occasione di cultura anch’essa non for-male anzi vivacissima, spetta questa sera un compito che egli troverà non solo non sgradevole, ma anzi gradito presentando il « Catalogo dei manoscritti della Biblioteca Provinciale », approntata dal valente direttore dell’Archivio di Stato di Foggia dott. Di Cicco, al quale va il nostro caldo ringraziamenti per l’opera realizzata anche con la valida collaborazione degli operatori della nostra biblioteca: la signora Alto-bella-Galasso, i sig. Ventura e il dott. Mancino per la parte editoriale. Presentando il catalogo il prof. Petrucci potrà essere spero ben lieto di coniugare l’esercizio scientifico della sua nota competenza di paleo-grafo e di studioso della cultura scritta con il piacere d farlo qui in una biblioteca che è a lui carissima come lo fu per suo padre Alfredo Pe-trucci. Non a caso ho ricordato questo nome a tutti noi caro. Il prof. Petrucci me lo consenta qui, così come mi vorrà consentire di rinno-vargli il ringraziamento doveroso e caldo che la Capitanata, non solo la Biblioteca Provinciale gli devono per la generosità da lui dimostrata nel confronto del nostro maggiore istituto bibliotecario, donando ad esso ed a suoi fruitori pubblici un patrimonio di opere che di Alfredo Petrucci e della sua multiforme testimonianza di poeta e d artista insi-gne ci restituiscono la cifra e l’eredità maggiore.

Vorrei chiudere queste mie brevi parole di saluto a voi illustri ospi-ti ed al pubblico venuto così numeroso con un impegno che mi con-sentirete di esprimere, anche se esso, partendo, da occasioni di cultura come queste di stasera ed anzi proiettandola in avanti per generalizza-re il senso può, sembrare scavalcarne limiti; oggi accogliamo

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tra noi e festeggiamo un uomo come Francesco Barberi che della pro-pria competenza di bibliotecario e di organizzatore di cultura ha fatto non una missione solitaria ed in sé trattenuta ma un nodo di passione civile al servizio della comunità. Il nostro impegno di amministratori che lavorano nella stessa direzione di socializzazione delle competen-ze della cultura e dei valori per la reale democrazia nuova è di prose-guire pur tra incertezze e difficoltà personali e storiche il lavoro che uomini come lui ci insegnano e ci invitano a fare ed a proseguire. Una nuova politica della pubblica lettura in Capitanata ha già segnato im-portanti successi. S un compito non facile per realizzarne l’intera cur-vatura di problemi e di implicazioni. Malgrado le difficoltà che ancora esistono e sono realissime non saremmo amministratori autentici né interpreti di una volontà democratica di massa qual è quella che si e-sprime nella « fame di leggere » dei cittadini di Capitanata se non de-dicassimo le nostre migliori energie anche ai problemi di un poten-ziamento del Sistema Provinciale di Lettura, alle residue difficoltà di gestione della nostra « Provinciale », alla collaborazione necessaria con altri livelli di autonomia locale per la creazione di un sistema ur-bano di pubblica lettura. Impegni questi che, ne sono certo, sono nell’auspicio anche dei nostri ospiti di stasera che leggeranno in esso il senso del loro stesso impegno per la riappropriazione sociale viva della cultura e per il rinnovamento civile della nostra società.

Prof. RICCIARDELLI (Presidente dell’Associazione Pugliese del-l’A.I.B.)

Gentili ospiti, signore e signori. Quale presidente della sezione regio-nale pugliese dell’A.I.B., vi ringrazio di essere intervenuti e porgo il mio saluto cordiale a tutti. Ringrazio, con l’occasione, il presidente della Provincia per il rinnovato impegno a nome dell’Amministrazione Provinciale di portare avanti più incisamente il discorso per le biblioteche e per la rete bibliotecarie nella nostra pro-vincia. Un impegno civile, politico e sociale che fa certamente onore alla Giunta Provinciale in carica. Mi sia consentito di rivolgere un più caloroso saluto, a nome dei bibliotecari pugliesi, ai nostri illustri ospiti ed al prof. Barberi, al quale mi lega un antico sentimento di rispettosa amicizia, unita ad una profonda riconoscenza per quanto egli ha sapu-to dare agli studi e alle battaglie di rinnovamento con lui condotte dai bibliotecari italiani. In particolare, desidero personalmente ricordare la lontanissima prima grossa battaglia democratica di Rimini, piena di sussulti innovatori. Allora, per noi più giovani, Barberi fu subito ami-co oltre che maestro. Rivolgo, altresì, un saluto grato ed affettuoso alla dott.ssa Vinay, cara amica e valentissima bibliotecaria, la quale, oggi, alla guida dell’A.I.B. nazionale, va compiendo quella

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preziosissima opera di coordinamento operativo e di sensibilizzazione di massa ai problemi delle biblioteche italiane, di cui le strutture fon-damentali della pubblica lettura avevano inderogabile bisogno. Infine, saluto il prof. Petrucci, che è caro agli studiosi del libro e della cultura scritta, non solo per la sua autorevolezza scientifica (bene e meglio di-ceva il presidente della Provincia), ma anche per quella opera di rin-novamento e direi di codificazione che ha saputo introdurre in un am-bito di studi finora contrassegnato, forse ingiustamente, da un’area di aristocratica riservatezza. La mia singolare veste, doppia veste di am-ministratore e di bibliotecario, lungi dall’essere motivo di qualche im-barazzo, mi suggerisce un’osservazione che non mi pare inopportuna: non credo sia casuale che un bibliotecario, un’operatore della cultura, che si realizza compiutamente nella fruizione pubblica e nella sua so-cializzazione, si trovi in una certa fase della propria vita a gestire la cosa pubblica. Lungi, altresì, dal considerare in qualche modo esem-plare la mia personalissima piccola esperienza, credo di poterne gene-ralizzare il senso, collegandomi proprio a quel che appunto intellettua-li civilmente impegnati come Francesco Barberi, Angela Vinay ed Armando Petrucci hanno fatto e continuano a fare ancora. Essi hanno sentito, come pochi, che è impossibile essere uomini di cultura senza essere in campo con gli altri e per gli altri, al di là di ogni narcisismo ed ogni malinteso senso della neutralità della cultura. Per questo noi siamo stasera lieti di averli tra noi; per questo sono con me ad essi gra-ti tutti gli operatori pugliesi delle biblioteche e l’intera comunità civile di Capitanata.

Dott. ANGELO CELUZZA E’ ancora vivo in me il ricordo di una giornata di studi tenuta in

Arezzo, nell’ambito del Congresso Nazionale delle Biblioteche Italia-ne organizzato dall’A.I.B..

In quella circostanza bibliotecari italiani e stranieri, autorità, il Mi-nistro ai Beni Culturali e Ambientali e il Direttore Ge nerale dell’Ufficio Centrale delle Accademie e Biblioteche onorarono in ma-niera solenne il professore Francesco Barberi, presentando per la pri-ma volta al pubblico il volume « Studi di biblioteconomia e di storia del libro », curato e pubblicato dall’A.I.B. e realizzato con il concorso del Ministero ai Beni Culturali e. Ambientali e della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università di Roma, per festeggiare i 70 anni dell’illustre maestro.

Ho partecipato con trepida commozione a quella cerimonia e ri-cordo l’applauso prolungato, insistente, dei bibliotecari e delle autorità presenti, allorché, emozionato per quanto succedeva proprio a lui, schivo di onori e di paludate cerimonie, prese la parola il prof.Barberi,

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per ricordare il suo lungo impegno a favore delle biblioteche italiane e l’attività di studioso, impegnato in un paese in cui la biblioteca regi-strava e registra forti ritardi.

« In Italia — scrive infatti il Barberi — non è stato, non solo risol-to, ma neppure impostato il problema della biblioteca, a causa delle cui carenze, le popolazioni meridionali guadagnate all’istruzione, cau-sa la mancanza di un servizio di pubblica lettura di che alimentarla, sicché la giungla cresceva subito negli scarsi terreni bonificati, e la ci-viltà contadina — la civiltà degli analfabeti — sopravvive indisturbata fino ai nostri giorni ». Direbbe Gavino Ledda oggi: « lo studio è roba per i ricchi ... quello è per i leoni e noi siamo agnelli » (Padre Padrone, p. 11).

Al bibliotecario, questo sconosciuto, e alla sua formazione ha de-dicato molto dei suoi studi, che, nella bibliografia compresa nel volu-me citato, raggiungono, fino al 31 dicembre 1976, ben 180 voci. Rammenterò alcuni titoli di questi importanti saggi:

1) Al bibliotecario, questo sconosciuto; 2) Il bibliotecario uomo di azione; 3) La formazione del bibliotecario; 4) Preparazione, specializzazione e utilizzazione del personale

delle biblioteche; 5) Gli studi del bibliotecario; 6) Il bibliotecario e la storia delle biblioteche; 7) Un monito coraggioso; 8) Bibliotecario educatore; 9) Obbiettività del bibliotecario. E a proposito di quel sentimento di profonda insoddisfazione che

amareggia spesso i bibliotecari e in generale « tutti coloro che eserci-tano la professione come apostolato » il Barberi nota con acutezza che ciò non dipende da « un sentimento di vanità insoddisfatti, [o da] una velleità di esibizionismo» che fa lamentare ai bibliotecari di non esse-re abbastanza conosciuti dalla società a cui servono: bensì dipende dalla « consapevolezza dell’importante loro funzione sociale e del loro attaccamento ad essa », tutti protesi come sono a cancellare l’immagine di un bibliotecario immerso in un passato di erudizione, allorché il suo tavolo costituiva « un angolo di protetta, tranquilla ope-rosità letteraria ».

A me preme questa sera riportare il discorso sulla Puglia e sul pe-riodo trascorso in Puglia dal prof. Barberi, durante il quale egli operò in qualità di Soprintendente Bibliografico. La nostra terra di Puglia del resto è rimasta ben viva nel suo ricordo, se a distanza di più di venti anni, ad apertura del suo saggio « Biblio-teca e democrazia» pubblicato per la prima volta nella nostra rivista « La Bibl. Prov. di Foggia» A. I (1962) N. 5-6 e poi compreso nel vo-lume « Biblioteca e bibliotecario » riporta l’episodio di un ragazzo pugliese, protagonista di un tentativo di incendio alla biblioteca civica, perché tolto dal padre agli studi.

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« L’insano gesto — scrive il Barberi — di schietta marca meri-dionale, mirava giusto nel senso che il ragazzo, appena tredicenne, volle vedere nella biblioteca pubblica quello che non ne riescono an-cora oggi a vedere tanti educatori e sociologi italiani: lo strumento principale quasi il simbolo della liberazione attraverso il libro — una liberazione alla quale ogni individuo, desideroso e capace, ha diritto in una società democratica ».

A me — dicevo — preme questa sera ricordare il notevole impor-tante contributo dato dal prof. Barberi in favore della costituzione, del-la crescita e dello sviluppo delle biblioteche pugliesi, in genere, e della Provinciale di Foggia, in particolare fondata 40 anni or sono dal Presi-de della Provincia pro tempore prof. Giustiniano Serrilli, e sostenuta con notevoli sacrifici nella realtà che è sotto gli occhi di tutti, dalle amministrazioni democratiche di questi ultimi 30 anni.

Lo farò con il sussidio dei scarsissimi documenti di archivio, so-pravvissuti alle vicende belliche, che riguardano l’attività del prof. Barberi e i suoi rapporti con la Biblioteca Provinciale di Foggia, e in particolare con il suo primo direttore, il compianto dr. Arturo Marco-ne.

Quanta trepidazione si coglie dalla lettera del 28 dicembre 1940 con la quale il prof. Barberi approva la decisione di trasferire nel Con-vento di S. Matteo in S. Marco in Lamis i « manoscritti e stampati pregevoli appartenenti alla biblioteca ».

Suggerisce per la tutela e la salvaguardia del materiale ogni possi-bile precauzione e precisa in ogni dettaglio le operazioni da effettuarsi affinché — egli scrive — « nulla possa andare smarrito o deteriorato ».

La guerra purtroppo si avvicinava a grandi passi e il prof. Barberi divideva con i pugliesi angosce e preoccupazioni.

E’ del 23 settembre 1943 il seguente laconico, ma preoccupato messaggio telegrafico, indirizzato dal prof. Barberi al Marcone, in an-goscia per la sorte dell’amico e della biblioteca, nata da poco ma or-mai semidistrutta dalle bombe piovute dal cielo sulla nostra povera città: « Pregola darmi notizie sue et biblioteca ».

Nella seconda lettera del 15 febbraio 1942, di grande interesse per-ché in essa il Barberi suggerisce, pensoso del futuro della biblioteca, tutto quanto era da predisporre, e l’assunzione dei relativi oneri, per l’applicazione della legge 24 aprile 1941 n. 393, che detta norme per le biblioteche dei comuni capoluoghi di provincia.

Le ultime due lettere sono del prof. D’Amato, il soprintendente della ricostruzione, succeduto in Puglia al Barberi e strappato al nostro affetto prematuramente; e l’altra del dr. Marcone a Beniamino D’Amato.

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Nella prima lettera il D’Amato dà notizia al Marcone del partenza

da Bari del prof. Barberi, chiamato dalla Direzione Generale delle Ac-cademie e Biblioteche a dirigere a Roma Biblioteca Angelica.

Tra l’altro Io informa di quanto accadde al Barberi in Bai in quegli anni difficili, allorché tornando da Roma ebbe la sgradita sorpresa di trovare la casa invasa e requisita e scrive della profonda amarezza del prof. Barberi, ripartito poi per Roma nel luglio successivo.

La seconda lettera, per noi di estrema importanza, è indirizzata dal Marcone al D’Amato. Dopo aver auspicato che buona parte della sua [del D’Amato, cioè] futura attività sia spesa a favore della biblioteca di Foggia, che, tra, le consorelle, è l’unico che abbia subito danni mo l-to gravi e forse irreparabili dalla guerra, continua testualmente: « sarei sconoscente e ingrato se anche parlando con lei e scrivendo a lei suo successore, il mi pensiero non si fermasse un momento a ricordare l’opera veramente mirabile che il dr. Barberi ebbe modo di svolgere i queste stesse regioni, durante il suo lungo ministero di apostolato fra le neglette biblioteche di nostra terra.

Io lo conobbi — continua — appena pochi giorni dopo aver accet-tato di dirigere, contro i miei meriti, questa biblioteca nel 1937. Egli mi fu subito largo di consigli e di aiuti materiali.

Non disdegnò neppure farmi vedere praticamente, pedestremente come si incollava una etichetta sul dorso di un libro. A me ignaro di biblioteconomia fu il dr. Barberi che mi insegnò come si schedava un libro, quali erano i criteri di scelta per incrementare le raccolte e via via tutto quello che poteva servire per dare impulso all’allora nascente Biblioteca Provinciale c Foggia. Soleva dire il dr. Barberi che questa era la sua creatura fra tutte le sue predilette.

Ed invero egli l’aveva vista nascere, ne aveva seguito ogni passo compiacendosene, e, dopo, fu fiero della crescente popolarità di quella biblioteca che rapidamente si portava tra le principali di Capitanata.

Io stesso devo a lui tutto quello che so...Con lui — continua il dr. Marcone — ho diviso i timori, le ansie, le gioie, i trionfi che la biblio-teca ci dava ».

La lettera si conclude con un caloroso invito al prof. D’Amato a non abbandonare la Biblioteca Provinciale di Foggia e lui stesso.

Purtroppo, poco tempo dopo, anche per le amarezze e i disagi af-frontati, di fronte allo stato di lacrimevole abbandono in cui era la sua biblioteca dopo il bombardamento dell’agosto 1942 e dopo aver inva-no chiesto aiuto a destra e a manca alle autorità, il Marcone si ammalò gravemente e decedette, lasciando figli in tenera età.

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Ecco perché, prof. Barberi, abbiamo voluto che lei fosse qui questa

sera tra noi, nella rinnovata sede della Biblioteca Provinciale di Fog-gia, sicuri come siamo che questa sarà la degna continuatrice della sua « creatura prediletta ».

Mi auguro di aver potuto, più che saputo, contenere la serata nei limiti rigorosi di un incontro di studio, fra amici, senza fronzoli né trionfalismi, e né compiacimenti retorici, così come mi ero impegnato telefonicamente con lei.

Se così non fosse, vorrà perdonarmi! Alla serata abbiamo voluto che fossero presenti il Presidente

dell’A.I.B., dott. Angela Vinay, che le esprimerà, prof. Barberi, il rin-graziamento dell’Associazione che verso di lei ha contratto un grosso debito, e il ch.mo prof. Armando Petrucci, ordinario di Paleografia dell’Università di Roma, il quale, con entusiasmo e con squisita corte-sia, ha accettato di presentare il recente importante volume edito dalla Biblioteca « I manoscritti della Biblioteca Provinciale di Foggia », a cura di Pasquale Di Cicco.

Alla dott. Vinay e al prof. Petrucci un grazie sincero; all’amico Armando il rinnovato ringraziamento, che gli esprimo anche a nome di tutti gli studiosi di Capitanata, per aver voluto destinare, in dono a questa Biblioteca, importanti autografi, un ricco epistolario e preziosi disegni e incisioni dell’illustre compianto genitore, prof. Alfredo Pe-trucci, al quale la cultura di Capitanata deve moltissimo.

A lei prof. Barberi, insieme con l’omaggio resole questa sera dalla Puglia tutta intera, la gratitudine dei bibliotecari, dei collaboratori di ieri e di quelli di oggi, tutti uniti nel doveroso debito di rigorosa pro-fessionalità, che riconoscono nel suo lungo e appassionato insegna-mento.

Dott.ssa Angela VINAY (Presidente A.I.B.) Ringrazio per le amabili parole che il Presidente della Provincia e i

colleghi di Foggia hanno avuto nei miei riguardi. Debbo subito ag-giungere che dovrei essere io a ringraziare gli amici di Foggia per questi incontri.

Questa Miscellanea in onore del Prof. Barberi è stata voluta dall’Associazione Italiana Biblioteche e dai bibliotecari tutti, non per un omaggio formale ma per un doveroso atto di riconoscenza per quello che il Prof. Barberi è stato nelle biblioteche da sempre. Non possiamo pensare ad un sol momento della vita delle biblioteche in questi ultimi venticinque anni senza avere Barberi come termine di confronto; e Barberi la persona che ci ha sempre dato le direttive o ha incoraggiato agli studi dei quali il volume miscellanea è la testimo-nianza. Gli studi infatti che sono stati raccolti in questa miscellanea sono indicativi della ricchezza e della varietà degli interessi che hanno animato la vita professionale del Prof. Barberi e dei riflessi che essi hanno avuto sulla nostra vita professionale.

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FRANCESCO BARBERI E LA PUGLIA____________________________________________________________ Troviamo contributi più specificatamente bibliologici dal cinque-

cento al seicento, dall’arte illustrativa alla tipografica; temi che sap-piamo più vicini agli interessi del Prof. Barberi. Ma troviamo anche, e questo significativo e interessante, contributi più tecnici come ad e-sempio quello di Diego Maltese sulla ristrutturazione dei servizi tecni-ci di una biblioteca e quello della dott.ssa Carosella «Considerazione di vent’anni di cooperazione nel campo dell’informazione» o ancora della dott.ssa Califano-Tentori sulla « Biblioteca Nazionale della scienza e della tecnica ». Temi tutti che indicane l’apertura delle bi-blioteconomia ad argomenti diversi da quelli che si è soliti pensare possano avere interessato lo studioso della tipografia italiana.

La caratteristica infatti di Barberi nei confronti dei bibliotecari è sempre stata questa: una grande disponibilità a considerare le novità via via che esse si affacciavano sulla scena inter nazionale e ad indi-rizzare ad esse i giovani colleghi. Il che ha permesso ad intere genera-zioni di realizzarsi in settori specifici in maniera armoniosa e comple-ta. La testimonianza più significativa di questa sua qualità, mi pare si possa ricavare dal bellissimo saggio introduttivo del Prof. Wieder, a-mico personale di Barberi ed amico di molti bibliotecari italiani. Wie-der traccia di Barberi un profilo molto suggestivo. Da un felice con-fronto tra Barberi e Luigi De Gregori — il bibliotecario della vecchia generazione nel quale il giovane Barberi cercò un modello da imitare — Wieder trae la conclusione di una certa rassomiglianza di carattere tra i due, rafforzata da una singolare analogia di carriera

Barberi impersona quella virtù indicata da De Gregori come fon-damentale per i bibliotecari: la modestia. « La semplicità e li schiet-tezza a lui proprie si riflettono perfino nel suo linguaggio dal quale sono stati sempre assenti la declamazione, la retorica e ogni virtuosi-smo. La sua figura, piccola e certo non imponente sembra crescere quando egli si trova ad esporre e a far valere con intimo vigore la pro-pria opinione: chiara, intelligente, creta, sempre frutto di profonda esperienza ».

« Energia e dinamismo, osserva sempre Wieder, nascevano in lui dall’esemplare senso di responsabilità che lo aiutava a rispettare un ordine di priorità nei suoi impegni. La coscienza del dovere, mai ve-nuta meno, e la specifica competenza gli hanno permesso di trovare la giusta via in un mondo di profondo rivolgimento e di continue tensio-ni come quelle che turbano oggi la professione dei bibliotecari nel contrasto fra passato e presente fra tradizione e rinnovamento, fra teo-ria e pratica, fra attività scientifica e attività amministrativa ».

Si può capire come la sua vita professionale abbia dovute subire amarezze e delusioni le quali, in un paese così pieno di ricchezze del

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passato, dovevano venirgli proprio dal fatto che nelle biblioteche ita-liane lo splendore e la miseria si trovano fianco a fianco e che è così evidente il divario tra l’epoca della rinascenza dell’illuminismo e l’inefficienza delle attrezzature di molte biblioteche del presente.

La conoscenza della letteratura specialistica internazionale della biblioteconomia straniera, ad esempio degli Stati Uniti della Repub-blica Federale Tedesca, paese nei quali aveva compiuto viaggi di stu-dio non hanno fatto che accrescere in lui la convinzione che fossero necessari sforzi giganteschi per raggiungere gli sviluppi e progressi degli altri paesi democratici per uscire dall’inferiorità di struttura arre-trata, di mezzi finanziari e di personale insufficiente, di edifici inade-guati.

Di qui i suoi continui decisi sforzi in favore della formazione pro-fessionale, della specializzazione adeguata ai tempi, dell’applicazione dei più qualificati principi funzionali e tecnici, di qui la sua azione impegnata, ammonitrice, stimolante di politica bibliotecaria e cultura-le e la sua propensione per la salvezza e il successo della nostra mo-derna società pluralistica. Particolarmente pensoso per lui è stato il constatare che la famiglia dei bibliotecari italiani relativamente picco-la ma operosa e vivace ha avuto scarsi risonanza e considerazione nell’opinione pubblica, e che la missione da essa svolta non ha trovato la dovuta comprensione nelle autorità politiche e responsabili della vi-ta del paese Wieder osserva, inoltre, molto opportunamente come « un tal instancabile amico dei libri delle biblioteche sia stato anche sempre amico dei giovani e non soltanto grazie alla sua attività di docente u-niversitario. Gli è accaduto così spesso di scoprire nuovi talenti che ha saputo sempre incoraggiare e avviare ad una proficua attività

Questa miscellanea è il risultato di questa attività di stimolo del Prof. Barberi. I contributi che vi sono contenuti sono per ciascuno di coloro che li ha scritti il risultato di un colloquio di un suggerimento, di una suggestione venutagli dal contatto con il Prof. Barberi: funzio-ne instancabile che non ha a tutt’oggi avuto un termine.

Noi consideriamo questa miscellanea non il punto finale di un’attività, ma un momento di riflessione, un momento che con senta a tutti noi di fare un bilancio. Che la sua attività sia ancora nel suo pieno sviluppo appare evidente dalla bibliografia a fin volume: si arri-va al 1976 con la recensione, vivacissima, polemica, al volume del prof. Petrucci « Primo: non leggere », volume che ha suscitato in Bar-beri naturalmente una serie di reazioni e di contrappunti a dimostrare come tutti i problemi sollevati da Petrucci siano per lui ancora oggi problemi vivi, noi problemi da trattare in maniera teorica. Per questo la Miscellanea ha un preciso significato: non si è trattato di esercizio accademico, non ha voluto essere un omaggio formale.

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Ha voluto veramente presentare al Prof. Barberi il frutto di quanto egli ha seminato dimostrandogli che in tutti questi anni nei quali è sta-to « fuori » dall’amministrazione si è continuato a produrre qualche cosa proprio grazie alla sua « presenza » in tutte le sedi dove si tratta di biblioteche. Sottolineo questa sua presenza « produttiva » stimolo ad affrontare i problemi, ad inserirli nel vivo della realtà in cui si vive, calati in un discorso politico generali inteso come premessa necessaria per consentirci di uscire dalle secche in cui da sempre siamo impanta-nati. Prof. ARMANDO PETRUCCI

Il Catalogo dei manoscritti della Biblioteca Provinciale di Foggia,

che io questa sera ho il compito di presentare, è un’open importante ed opportuna, perché rivela un fondo assai ricco di cui ben pochi « addet-ti ai lavori » conoscevano fino ad ogg l’esistenza. Esso comprende la descrizione di circa trecento pezzi in parte già appartenuti alla Biblio-teca Comunale, e in parti acquisiti dalla Provinciale per varie vie, e soprattutto per acquisto. La descrizione dei vari pezzi, opera del Dr. Pasquale Di Cicco Direttore dell’Archivio di Stato di Foggia, è accu-rata ed attenta sia agli aspetti esterni, sia a quelli interni dei singoli manoscritti ma vorrei dire che il pregio maggiore del volume consiste ne] l’organicità e unitarietà del fondo che è descritto: un fondi legato direttamente alla storia della città che lo ospita e al suo territorio, e prevalentemente moderno; tranne, forse, l’unico codice scritto in To-scana nel 1475, che contiene la Vita di Dante del Boccaccio (N. 1 del Catalogo) e che proviene dalla biblioteca Zingarelli. In effetti la rac-colta di manoscritti foggiana è prevalentemente costituita dai fondi già privati appartenuti nel passato a tre studiosi dauni di notevole fama ed importanza: Michele Bellucci, Nicola Zingarelli e Romolo Caggese.

I problemi di conservazione, ordinamento e catalogazione chi i fondi di manoscritti moderni presentano agli studiosi ed a bibliotecari sono molteplici e di non facile soluzione, anche per la diversa tipolo-gia che essi di solito presentano. Essi possono infatti, essere sempli-cemente dei libri manoscritti, eseguiti a volte ad imitazione del libro a stampa, soprattutto al fine di diffondere testi la cui stampa era proibi-ta; possono essere minute, brogliacci, fogli sciolti costituenti la prima stesura d autore di opere poi diversamente elaborate e quindi pubblica-te possono consistere in archivi letterari veri e propri, ove, al di là dei puri e semplici carteggi, confluivano materiali vari, a stampi e mano-scritti, raccolti dal singolo personaggio, infine, essere veri e propri ar-chivi o serie di natura archivistica; nel qual caso vari problemi dell’ordinamento e della descrizione vanno risolti con metodi e criteri

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archivistici, non bibliotecari, privilegiando i concetti di unità organica e di serie, non già quello di singolo pezzo.

Sento anche il dovere, a questo punto, di rispondere ad un quesito che forse alcuni o molti dei presenti si pongono: come mai lo stesso personaggio che qualche tempo fa è stato qui in questa stessa sala, a discutere di temi assai diversi, riguardanti i problemi della pubblica lettura, a proposito di un su libro un po’ « scandaloso » (Primo: non leggere), scritto insiemi con Giulia Barone, torna oggi fra noi a farci tutt’altro discorso di manoscritti moderni, di metodi di descrizione e di conservazione, ecc. ecc.; come si collegano i due discorsi? Ebbene, io credo che proprio a proposito di un fondo di manoscritti come quello foggiano si possa avviare un discorso sul valore sociale, in rapporto con il territorio, di raccolte di documentazione storica quali quella di cui stiamo qui discorrendo; poiché, infatti, a me sembra che ove questi fondi di manoscritti mantengano, come in questo nostro caso, la loro integrità nei tempi, essi finiscono per costituire e rappresentare la memoria storica di una regione, di una città, di un territorio. Ordinarli, catalogarli, studiarli, metterli a disposizione del più vasto pubblico si-gnifica recuperare nelle sue stesse fonti una tradizione storico-culturale con la quale è necessario confrontarsi, anche per avviare pro-cessi di rinnovamento su strade tutt’affatto diverse da quelle che nelle fonti rivivono.

Un esempio eloquente della validità di tale impostazione è fornito qui dai due fondi Zingarelli e Caggese. Nicola Zingarelli, grande stu-dioso di filologia romanza e dantista, autore di un famoso vocabolario della lingua italiana, era nato a Cerignola, ma svolse tutta la sua attivi-tà di letterato e di professore fuori della Puglia, e morì a Milano nel 1935; ebbene, anche l’attività di studioso dello Zingarelli, apparente-mente lontana dagli interessi specifici del territorio dauno, serve a rappresentare al vivo la figura di uno di quei tanti intellettuali pugliesi trasferitisi al Nord fra Ottocento e Novecento, a disegnare il profilo di una figura caratteristica del panorama culturale italiano e della élite colta meridionale del primo Novecento. Un tale discorso vale ancora di più per Romolo Caggese, nato ad Ascoli Satriano, anche lui profes-sore universitario, anche lui morto a Milano nel 1938, e protagonista di una vicenda culturale e politica assai più complessa di quella di Zingarelli, che lo vide prima socialista è poi anche fascista e vicino a Giovanni Gentile. Ebbene, conoscere meglio, attraverso le lettere, i documenti, gli appunti personali, l’archivio privato, le vicende intel-lettuali e politiche di uomini come Zingarelli o Caggese non è indiffe-rente a quella presa di coscienza del proprio passato che è primo dove-re di una comunità cosciente del proprio ruolo storico in una società democratica.

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E’ evidente a tutti che la ricostruzione della civiltà culturale di una

qualsiasi realtà geografico-politica è possibile soltanto se se ne rico-struiscono, ordinano, studiano gli archivi delle testimonianze. Ed io ri-tengo che sarebbe di grande importanza se qui a Foggia la Biblioteca Provinciale e l’Archivio d Stato, attraverso opera di acquisti, ma anche di rilevamento in loco e di riproduzioni, provvedessero a costituire un archivio delle testimonianze della cultura scritta della Daunia di ogni tempo, delle iscrizioni classiche e medievali, ai documenti, a quader-netti del movimento sionista del Manduzio di Sannicandro; e ciò in parte già si sta facendo, e ho fiducia che si continuerà a fare.

Prof. BARBERI

Ringrazio di cuore, prima di tutto, dell’invito che mi è stato rivolto

a questa manifestazione; in secondo luogo, con commozione, delle troppo benevole parole che nei miei riguardi hanno avuto il Presidente dell’Amministrazione Provinciale, il Presi. dente della sezione puglie-se dell’AIB, il Direttore della Biblioteca amico Celuzza e la signora Vinay, Presidente nazionale del l’Associazione.

Penso che non si potesse celebrare in modo migliore il qua-rantesimo anniversario della fondazione della Biblioteca Provinciale che presentando un’opera, la quale ha il valore scientifico che Arman-do Petrucci ha sottolineato, e secondo me ne ha anche un altro. Nella descrizione dei manoscritti — il fondo più pregevole della Biblioteca — mi sembra di cogliere un nesso con la Biblioteca Comunale, che fu riunita a questa dopo cento anni dalla sua nascita. Questo è bello: di-mostra, come meglio non si potrebbe, come una biblioteca viva, as-sume e valorizza l’eredità di istituti più modesti, che in passato assol-sero una nobile funzione. La Comunale, infatti, fondata nel 1833, per oltre un secolo custodì gelosamente il suo patrimonio librario.

L’amico Celuzza, in modo toccante, mi ha provocato riesumando alcuni ricordi. A essi, se permettete, vorrei aggiungerne qualche altro. Fui soprintendente della Puglia e della Lucania dal 1935 al ‘43. Torno a Foggia dopo trentaquattro anni. Nel luglio del 1943 mi recavo da Bari in Abruzzo, pochi giorni dopo un disastroso bombardamento di Foggia. Il treno fu fermato alla stazione prima, perché la ferrovia era saltata: come deportati in Siberia, di notte, attraversammo la città de-serta e ridotta ad allucinanti cumuli di macerie, dalle quali emanava un fetore di cadaveri. Questo ricordo, che si affaccia per primo, accresce la mia ammirazione per una città oggi fiorente e per questa Biblioteca,

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la cui realizzazione spettacolosa dovrebb’essere conosciuta non solo dai bibliotecari e dagli amministratori italiani, anche settentrionali, ma da quegli stranieri che conoscono una realtà bibliotecaria italiana assai diversa.

Nei ricordi che mi legano a questa città torno volentieri agli anni di fervida operosità, quando la mia attività di soprintendente fu affianca-ta dalla iniziativa, che il Preside (così allora si chiamava) della Pro-vincia, Giustiniano Serrilli, — uomo di lettere e umanista di San Mar-co in Lamis — coraggiosamente intraprese di creare una Biblioteca Provinciale: una iniziativa nella quale fu sostenuto dal prefetto Ave-nanti, fascita tutto d’un pezzo, che andò volontario in Russia, di dove non fece ritorno. I prefetti, in generale, non amano le biblioteche, ta-gliano dai bilanci comunali i modesti stanziamenti che le riguardano (mai, però, quelli per le squadre di calcio); ma Avenanti faceva ecce-zione alla regola: una volta redarguì severamente il podestà di San Giovanni Rotondo, il quale, alle prese con la distribuzione delle tesse-re annonarie, si era mostrato insofferente verso di me, che ero andato a parlargli della povera biblioteca comunale (dopotutto, aveva ragione lui).

Delle biblioteche, in particolare di capoluogo di provincia, quella di Foggia mi dette le maggiori soddisfazioni, anche se non potevo prevedere che il seme gettato avrebbe poi dato frutti così eccezionali. Era fin da allora intenzione del Preside Serrilli di dare alla Provinciale una sede più degna dì quella di palazzo Dogana; la guerra travolse il progetto e, in parte, la Biblioteca stessa. Al nome di Serrilli va dove-rosamente associato quello del bravissimo, zelante incaricato della di-rezione Arturo Marcone — spentosi quarantaduenne, perché sofferen-te di cuore — e anche quello dell’anziano direttore della Comunale Rodolfo Santollino: bibliotecario di vecchio stampo, che, tormentato dal conflitto interiore di chi, geloso custode della sua biblioteca, dove-va distaccarsene, pur convinto di ciò che rappresentava di positivo il passaggio del vecchio istituto al nuovo.

In un primo tempo il Preside Serrilli pensò di affidare la direzione di questa al migliore bibliotecario della Puglia, Giambattista Gifuni di Lucera, morto pochi mesi fa in età molto avanzata. Gifuni era affezio-natissimo alla sua città e alla sua biblioteca, e stimato cultore di storia non soltanto locale; era perciò dubbioso se accettare l’incarico. Chi lo dissuase fu l’amico Benedetto Croce, il quale gli disse: — che cosa andate a fare a Foggia? Foggia non ha le tradizioni culturali di Lucera. — Il filosofo napoletano concepiva le tradizioni culturali come qual-cosa di statico, e la biblioteca volta esclusivamente al passato, riser-vata a una élite di intellettuali, sia pure di provincia; non si rendeva conto della missione che in una città-capoluogo la biblioteca pubblica assolve soprattutto verso i giovani, ma anche verso quelli che Giusep-pe Lombardo-Radice chiamava gli analfabeti avvocati, e perfino verso ceti proletari che si affacciavano al mondo dell’alfabeto e dell’istruzione.

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Questo, in una provincia dove qualche decennio prima il braccian-

te Giuseppe Di Vittorio aveva scoperto il vocabolario. Che Benedetto Croce avesse torto non solo in teoria ma anche di fatto lo dimostrò il numero dei lettori che prima della crisi bellica, che impose riduzioni di nevamo le lezioni io, Marcone e Santollino.

Per dare un riconoscimento e una valorizzazione alla nascente Provinciale, nel 1939 proposi al Ministero di tenere

Foggia il corso annuale per dirigenti di biblioteche popolari. I cor-so riuscì in modo sorprendente, perché maestre e aspiranti maestre, che dal certificato di frequenza si ripromettevano i mezzo punto per la loro carriera e i loro concorsi, parteciparono con vivo interesse, “sco-prirono” la biblioteconomia e la bibliografia, si appassionarono a casi difficili di catalogazione. Tenevamo le lezioni io, Marcone e Santalli-rio.

Lasciai la Puglia nel 1943; mi successe Beniamino D’Amato colto e appassionato del suo lavoro; Celuzza lo ha ricordato poco fa, ram-maricandosi per la grave perdita che la sua morte immatura rappresen-tò per la Provinciale di Foggia, e ovviamente non solo per essa.

Alle figure scomparse che ho ricordato vorrei aggiungere un’altra, non di bibliotecario professionista e non foggiano: Giovanni Tancredi di Monte S. Angelo. Egli fu insieme apostolo della biblioteca popolare — che aveva fondato e gestiva con sacrificio nella sua città — e rac-coglitore instancabile delle sue testimonianze orali, scritte, iconografi-che, artigiane. Ho pubblicato anni fa su una rivista di Foggia una lun-ga lettera, che il Tancredi mi scrisse e nella quale si mescolava stra-namente il pessimismo dell’intellettuale meridionale e una spolveratu-ra di fascismo. L’opera di Giovanni Tancredi va ricordata da questa Biblioteca, che ne ha assunto e sviluppato la duplice attività pionieri-stica.

Concludo questi brevi ricordi con le parole del Poeta: quel che è scomparso, ridiviene (per un momento) reale, « und was verschwand, wird mir zu Wirtalich, keiten ». Grazie.

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MOSTRA BIBLIOGRAFICO-DOCUMENTARIA NEL DECIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE

DI ALFREDO PETRUCCI

Foggia. 8 ottobre 1979. Catalogo. Nella ricorrenza del decimo anniversario della morte di Alfredo

Petrucci, l’Amministrazione Provinciale di Foggia e la Sezione Dauna della Società di Storia Patria per la Puglia hanno organizzato per il giorno 8 ottobre, presso la Biblioteca Provinciale, una cerimonia commemorativa in onore dell’illustre conterraneo.

Per l’occasione è stata allestita una mostra, nella quale, accanto ad opere a stampa, sono stati presentati manoscritti, autografi, incisioni di Alfredo Petrucci, donati dal figlio professor Armando alla Biblioteca Provinciale.

La mostra, allo scopo di meglio evidenziare gli interessi culturali e l’attività artistico-letteraria di Alfredo Petrucci è stata articolata in cinque sezioni: « Scritti su Gargano e sulla Puglia »; « Scritti d’arte e di critica d’arte »; « Il poeta e il narratore »; « Incisioni e disegni »; « Epistolario ».

Il contenuto delle opere presentate, i soggetti delle incisioni e dei disegni, gli argomenti dibattuti negli articoli giornalistici e nella fittis-sima corrispondenza con molte personalità del mondo culturale italia-no e straniero consentono di delineare l’eclettica personalità ed molte-plici interessi di Alfredo Petrucci studioso ed artista « non provinciale » della provincia di Foggia.

Nacque a Sannicandro Garganico il 12 marzo 1888 da Carlo e da Gerolamina De Grazia e, poiché il Gargano del secolo scorso era una regione estremamente periferica e depressa, tanto Alfredo quanto i suoi sei fratelli dovettero affrontare notevoli difficoltà per studiare ed inserirsi nella società.

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________

A Napoli frequentò contemporaneamente l’Università e l’Istituto

di Belle Arti; si laureò in Lettere e Filosofia con il filosofo Igino Pe-trone e successivamente entrò nella carriera delle Antichità e Belle Ar-ti. Fu soprintendente ad Ancona, a Siena, dove nel 1915 sposò Nilla Ruggiero, a Bari ed infine a Roma nel 1922, qui rimase sino alla mo r-te, nel 1969.

Nel 1923 vinse insieme ad Achille Geremicca il concorso naziona-le dei romanzo, bandito dalla Società degli autori di Roma, con un li-bro intitolato nel manoscritto « La casa della sapienza » e nell’edizione a stampa « Le parole per tutte le ore ».

Nello stesso anno organizzò a Roma, in Palazzo Salviati, una mo-stra di artisti pugliesi, che fece conoscere, tra gli altri, lo stesso Pe-trucci, il quale vi espose le sue due più note acqueforti: « Beethoven » e « Leopardi ».

A Roma si affermò come esperto in materia di stampe antiche e moderne, divenendo nel 1940 direttore dei Gabinetto Nazionale delle Stampe; questo incarico, cui sarebbe seguita nel 1953 la nomina di conservatore onorario dell’Istituto, fu ricoperto per molti anni, durante i quali allestì importanti mostre: « I capolavori dell’incisione »; « L’Ottocento italiano »; « L’Ottocento europeo »; « Il Durer ».

Sempre nel campo della storia dell’incisione pubblicò opere di ri-lievo come: « Le magnificenze di Roma di G. Vasi »; «Il Caravaggio acquafortista e il mondo calcografico romano »; « I maestri incisori »; le tre parti finora pubblicate del « Panorama della incisione italiana » e cioè « Il Quattrocento »; « Il Cinquecento » e « L’Ottocento ». Infine « Gli incisori italiani all’estero » .

Per questi studi gli fu conferita dal Presidente della Repubblica, nel 1959, la medaglia d’oro dei benemeriti della cultura e dell’arte.

Gli interessi del Petrucci non si limitarono alla storia dell’incisione; infatti, non dimenticò mai la terra d’origine, anzi i suoi primi studi furono rivolti a descrivere e valorizzare i monumenti di Puglia ed in particolare del Gargano, come testimoniano gli appunti, le

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI

bibliografie, i disegni autografi e le fotografie conservati tra le sue car-te.

D’altronde l’amore per la terra d’origine traspare chiaramente nel-le opere; sia che descriva quello splendido monumento che è Castel del Monte, sia che cerchi di risolvere l’affascinante mistero della Tomba di Rotari, sia che si soffermi sui segreti dell’antichissima chie-sa di Siponto, scoprendo in Capitanata, prima che in Toscana, alcuni elementi del cosiddetto « stile pisano ».

Le continue ricerche sulle antichità pugliesi gli ispirarono ancora le belle pagine su San Leonardo di Siponto e quelle intense per la ri-scoperta della rara e pregevole statua premillenaria in legno della Ma-donna di Siponto, da lui portata alla luce della notorietà.

Queste giovanili esperienze storico-artistiche pugliesi e l’amore sempre presente per la sua terra si sintetizzarono, negli anni della vec-chiaia, in una delle opere più riuscite e fortunate — « Cattedrali di Pu-glia » — ricca di incisioni e dis egni originali.

Nell’opera, oltre a rivendicare con forza gli elementi autoctoni dell’arte pugliese, risolse anche il mistero dell’epigrafe all’interno del-la Tomba di Rotari, intuendo e spiegando che il termine « incolamon-tani » costituiva una unica parola per intendere « montanari », cioè a-bitanti di Monte Sant’Angelo.

Inoltre, segnalò due dei più preziosi manufatti in legno della Puglia bizantina: il Cristo benedicente di S. Giovanni in Lamis, camuffato poi da S. Matteo e la Madonna col bambino della chiesa sotterranea di Siponto.

La terra natia divenne anche soggetto di disegni ed incisioni, ap-parsi in giornali, riviste, pubbliche esposizioni e conservati in gallerie italiane ed estere.

Nei suoi disegni accanto ai più suggestivi angoli di antiche città i-taliane — Siena, Bari, Perugia, Cagliari — con le stradine, gli archetti, le torri merlate, è sempre presente il Gargano raffigurato nei suoi mo l-teplici volti: aspro e sereno; tempestoso e calmo. Basti pensare alla Torre costiera, a Rodi, Montepuccio, Vieste ed al Castello dei

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________

Giganti, muraglia stagliata contro un cielo di tempesta.

La sensibilità artistica che si manifesta nei disegni e nelle acque-forti è la stessa che vibra nelle opere letterarie.

Poesie: da « Ruit hora » del 1910 al « Piccolo poema dei nostri giorni » a « Dietro l’opaca siepe », « La Radice e la Fronda », « Tre paesi e tre canti », sino alla raccolta più completa ed intensa « Esita-zione della sera ».

Novelle: « La povera vita » del 1914, « Due scarpette di panno rosso ».

Romanzi: « La luce che non si spegne », « Le parole per tutte le ore », « Il romanzo di una primavera ».

In quasi sessant’anni di attività letteraria Alfredo Petrucci conobbe le correnti poetiche degli ultimi tempi: Futurismo e Crepuscolarismo; Ermetismo e Neo-realismo, ma tale conoscenza gli impedì di cadere negli eccessi e gli consentì di rimanere ugualmente distante dal sem-plicismo crepuscolare o dall’aridità dell’esagerato ermetismo.

Come nella poesia anche nelle novelle Petrucci si mantenne in per-fetto equilibrio tra concreto e fantastico e riuscì a portare la Puglia e le sue genti nella letteratura. Nelle novelle, infatti, non appaiono soltanto i luoghi ed i personaggi dei paesi pugliesi di mare e di montagna, ma vive anche l’intima essenza della Puglia e della sua gente nei momenti di gioia e di dolore.

Oltre che all’amore della terra natia, Petrucci si ispirò anche alla vita quotidiana ed agli affetti familiari, sentimenti che animano opere come il « Piccolo poema dei nostri giorni » del 1918, « La luce che non si spegne » e « Le parole per tutte le ore ».

Si potrebbe parlare ancora a lungo del Petrucci artista, storico, poeta, ma è estremamente difficile seguire tutte le fila della sua straor-dinaria operosità.

Fu, infatti, anche storico di Roma e del Risorgimento; novelliere per l’infanzia in due opere edite dalla S.E.I.: « Fra terra e cielo » e « Arcobaleno »; infine, pubblicista di grande successo nella terza pagina

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI

de « Il Messaggero » e de « Il Gargano » che ospitarono a lungo le sue prose d’arte e di storia, le novelle e le poesie.

Pertanto, oltre ogni altra considerazione, il ritratto che si ottiene di Alfredo Petrucci dalla lettura delle opere, delle lettere e degli appunti è quello di un uomo con una visione senza incertezze del dovere, del giusto, del bene, addolcita però dalla profonda umanità e dalla vivacità dell’intelligenza, pronte sempre a cogliere con sorriso l’intima essenza della vita.

Antonio Ventura

BIBLIOGRAFIA BIORDI, Raffaello, Alfredo Petrucci. In: GARGANO (IL). Anno XX.

1969. N. 7, pag. 3. CAPUANO, Michele, I grandi garganici. Foggia 1966, pp. 215-234.

D’ADDETTA, Giuseppe, Ricordo di Alfredo Petrucci. In: GAR-GANO (IL). Anno XX. 1969. N. 6, pag. 1.

FRATTAROLO, Renzo, Alfredo Petrucci. In: GARGANO (IL). Anno II. 1951. N. 8, pag. 3.

RICORDO di Alfredo Petrucci. In: CRONACHE DI ALTRI TEMPI. Anno XVI. 1969. N. 184.

SERRICCHIO, Cristanziano, Il Gargano, la Puglia, la Natura nel-l’opera di Alfredo Petrucci. Foggia, 1961. « Quaderni de Il Garga-no. 15 ».

SERRICCHIO, Cristanziano, La Puglia nell’opera di un suo figlio. In: STUDI di storia dell’arte bibliologia ed erudizione in onore di Al-fredo Petrucci. Milano-Roma, s. d.

SOCCIO, Pasquale, Ultimo viaggio. In: PETRUCCI, Alfredo, Pernix Apulia, pagine sparse di vita, di storia e di arte pugliese. Bari, 1971, pp. 5-14.

VALLONE, Aldo, La « vaga favolosità » di Petrucci. In: NUOVA ANTOLOGIA. 1971. N. 2045, pp. 63-75.

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C A T A L O G O

MANOSCRITTI

1 - PETRUCCI, Alfredo Antico e moderno. Dissidio fittizio. Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 6; numerazione originale a matita; sciolte; dattiloscritte con correzioni autografe. 2 - PETRUCCI, Alfredo Appunti su correnti artistiche italiane. Cart.; sec. XX; mm. 240 x 185; cc. 22; numerazione recente a matita; sciolte; bianche le cc. 3 - 5 t., 10 - 14 t., 16 - 17 t.; autografo. La disposizione degli appunti è la seguente: Neoclassicismo; Romanticismo; Piemonte; Primo e Secondo romanticismo lombardo; Napoli. 3 - PETRUCCI, Alfredo Artisti foggiani. Bibliografia ed appunti. Cart.; sec. XX; mm. 220 xx 160; cc. 22; numerazione recente a matita; sciolte; bianche le cc. 1 t., 2 - 6 t., 19 t.; autografo. Sotto il frontespizio: « Di pertinenza personale collocate qui temporaneamente per cavarne le notizie bibliografiche utili » e la firma. Notizie su artisti foggiani nelle cc. 14 - 22: Niccolò da Foggia; Bartolomeo da Foggia; Riccardo da Foggia; Gualtiero da Foggia. 4 - PETRUCCI, Alfredo Bibliografia autografa. Cart.; sec. XX (1903-1959); mm. 80 x 120; cc. 2000; sciolte; scritte solo rec-to; autografo. Ricchissima bibliografia artistica, ordinata per schede, nella quale compaiono tutte le opere di Alfredo Petrucci, le recensioni e le opere di vari critici d’arte. 5 - PETRUCCI, Alfredo Bibliografia storico-artistica della Provincia di Bari. Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 30 (in origine numerate sino a 31); sciolte; scritte su r. e t.,; manca-no le cc. 4, 5, 6, 8, 10, 11, 12; le cc. 1, 15, 17, 19, 23, 25, 27, 29 sono numera-te due volte; numerazione originale a penna; autografo. La bibliografia riguarda le seguenti città: Acquaviva delle Fonti; Alberobello; Altamura; Andria; Bari; Barletta; Bisceglie; Bitonto; Canosa; Castel del Mon-te; Ceglie; Conversano; Corato; Egnazia; Gioia del Colle; Giovinazzo; Gravi-na; Modugno; Mola di Bari; Molfetta; Monopoli; Ruvo; Terlizzi; Trani. 6 - PETRUCCI, Alfredo Canti del tempo antico. Un amore provinciale. Cart.; sec. XX; mm. 230 x 140; cc. 9; numerazione recente a matita; sciolte; autografo. 86

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI Poesie. 7 - PETRUCCI, Alfredo Consolazione del canto. Cart.; sec. XX; mm. 180 x 220; cc. 75; numerazione recente a matita; sciolte; dattiloscritte con correzioni autografe. Poesie. 8 - PETRUCCI, Alfredo Dietro l’opaca siepe. Poesie. Cart.; sec. XX; mm. 285 x 200; cc. 58; numerazione originale a matita; sciol-te; dattiloscritte con correzioni ed aggiunte autografe. L’opera si divide in cinque parti: Terra dei padri; Ombre di nuvole in terra; L’ilare burattinaio; Il mio pane; Consolazione del canto. 9 - PETRUCCI, Alfredo Donatello. Cart.; sec. XX (1908); mm. 210 x 140; cc. 44; numerazione originale a penna; sciolte; scritte sul recto; autografo. In fine la data 1908 e la firma. L’opera fu pubblicata a Buenos Ayres nel 1914. 10 - PETRUCCI, Alfredo Disegni, abbozzi di vedute di Siena (1915) e Bari (1915-1922). Cart.; sec. XX (1915-1922); mm. 190 x 130; alcune di diverso formato; cc. 51, sciolte; autografo. I 51 disegni sono stati eseguiti ad inchiostro di china. Ai bozzetti di Siena è allegato un dattiloscritto di cc. 9 intitolato “Vecchie strade di Siena », pubblicato con i disegni a Bergamo nel 1917. 11 - PETRUCCI, Alfredo E così cento e così mille di mille. Cart.; sec. XX (1917); mm. 195 x 145; cc. 4; numerazione recente a matita; sciolte; scritte su r. e t.,; autografo. In fine la data « Bari, 12 giugno 1917 » e la firma. Poesia dedicata ai caduti della Grande Guerra. 12 - PETRUCCI, Alfredo Epigrammi della montagna. (La strigghia e ‘u punzeche). Cart.; sec. XX (1950); mm. 250x 220; cc. 21; numerazione originale a matita; sciolte; scritte su r. e t.; autografo. Allegato dattiloscritto di cc. 23 e la presentazione di Cristanziano Serricchio di cc. 4 dattiloscritte. 13 - PETRUCCI, Alfredo F. Lenormant: “A’ travers l’Apulie et la Lucanie ».

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ Cart.; sec. XX; mm. 227 x 160; cc. 4; sciolte; bianca la c. 4 t.; autografo. Articolo sull’opera di F. Lenormant « A’ travers l’Apulie et la Lucanie ». 14 - PETRUCCI, Alfredo Gargano monum (entale). Cart.; sec. XX; mm. 205 x 150; alcune di diverso formato; cc. 37; numerazio-ne recente a matita; bianche le cc. 1 t.; 5 t.,; 6 r.; 9 r. e t.; 10 t.; 17 t.; 20 t.; 22 t.; 26 t.; 29 t.; 30 - 31 r. e t.; 34 t.; 36 t.; autografo. L’argomento è distribuito nei seguenti paragrafi; Tomba di Rotari (cc. 2-9); Manfredonia. Cappella della Maddalena (cc. 10-16); Lesina (cc. 17-31); Ca-stel del Monte (cc. 32-37). 15 - PETRUCCI, Alfredo Gargano monumentale. Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 42; sciolte; dattiloscritte. Dei dieci paragrafi ne sono conservati solo quattro: il 2° - S. Maria di Siponto; il 5° - S. Maria Maggiore di Monte; l’8° - La Tomba di Rotari; il 10° - Tra-monto dell’età monumentale (in doppia copia). 16 - PETRUCCI, Alfredo Il Gargano e i suoi monumenti medioevali. Con illustrazioni nel testo e fuori testo. Cart.; sec. XX; mm. 280 x 220; cc. 55 (in origine numerate sino a 123); sciol-te; dattiloscritte con correzioni autografe; numerazione originale a penna; sot-to il frontespizio in un riquadro di mm. 50 x 50 un disegno autografo riprodu-cente il « Pellegrino al Gargano ». L’argomento è distribuito nei seguenti paragrafi: Il volto del promontorio (cc. 3-4); 1. Nascita d’uno stile (cc. 5-6); 2. Primitive botteghe garganiche (cc. 7-10; le cc. 7 a 9 sono in duplice copia); 3. I tre amboni di Acceptus (cc. 11-14); mancano le cc. 15 a 38; 8. Il costruttore « Benedictus» (c. 39, manca la e. 40); 9. La cattedra del litigio (cc. 4146); 10. L’« Ecclesia deserta » di Calena (cc. 47-49); 11. Da Calena a Pizzomunno (c. 50, mancano le cc. 51-52); 12. Ric-chezza e povertà di Montesacro (cc. 53-56, manca la c. 54); mancano le cc. 57 a 88; 21. S. Maria di Pulsano (cc. 89-91); 22. L’occhio del Ciclope (cc. 91 bis-94); mancano le (cc. 95 a 110); Note (cc. 111-123). Allegati 22 disegni autografi in bianco e nero. 17 - PETRUCCI, Alfredo Giulio Giannelli. Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 8; numerazione originale a penna; sciolte; dattiloscritte con correzioni autografe. 88

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI In fine la firma. Allegata una poesia autografa con firma di Giulio Giannelli. 18 - PETRUCCI, Alfredo I due solchi. Poema del Tavoliere. Testo di Alfredo Petrucci musica di Raffae-le Gervasio. Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 15; numerazione originale matita; sciolte; dattiloscritte con correzioni autografe. Allegata una seconda copia dattiloscritta del lavoro di cc. 10 numerate origi-nalmente a matita da c. 4 a c. 14. 19 - PETRUCCI, Alfredo Il paesaggio pugliese nella pittura. Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 10; numerazione originale penna; sciolte; scritte su r. e t., autografo. Sono esaminate le opere dei pittori Francesco Netti, Saverio Altamura, Giu-seppe De Nittis, Giuseppe Casciaro, Vincenzo Verrino, Salvatore Maddalena, Francesco Romano. 20 - PETRUCCI, Alfredo Il ratto di Cunizza. Tre atti di Alfredo Petrucci per la musica di [Ettore Porto]. Cart.; sec. XX (1919); mm. 300 x 200; cc. 7; numerazione recente a matita; sciolte; scritte su recto; autografo. Le cc. 1-6 contengono appunti sulla storia di Cunizza la c. 7 una minuta di contratto tra Petrucci e Porto, il quale S’impegna d versare una somma di L. 800 per i tre atti, riservandosi il 10% su ogni utile del lavoro. 21 - PETRUCCI, Alfredo La casa della sapienza (minuta). Cart.; sec. XX (1923); mm. 290 x 210; cc. 24; numerazione recenti a matita; sciolte; bianche le cc. 1-2 t.; 5-7 t.; 11-12 t.; 15-16 t. 20-23 t.; autografo. Fu pubblicato nel 1923 col titolo « Le parole per tutte le ore e vinse il Concor-so Nazionale del Romanzo bandito dalla Società degli Autori di Roma. 22 - PETRUCCI, Alfredo La luce che non si spegne. Cart.; sec. XX (1918); mm. 280 x 205; cc. 84; numerazione originale a matita; sciolte; scritte sul recto; autografo. In fine « Bari, luglio del 1918 » e la firma. Allegate le bozze dell’opera che fu pubblicata a Siena nel 1921 23 - PETRUCCI, Alfredo La maschera di Democrito. Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 20; numerazione recente matita; sciolte; bianche le cc. 2 t.; 4-12 t.; 15-19 t.; autografo.

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ Il lavoro, secondo l’indice riportato a c. 20 t., doveva articolarsi in 4 paragrafi: « Il paradosso del riso », « La sinfonia numerosa », « Il circolo dello spirito », « La visione della vita ». E’ presente solo il primo. 24 - PETRUCCI, Alfredo La nostra lingua. Nozioni di grammatica. Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 37, numerazione originale a matita; sciol-te; dattiloscritte con correzioni autografe. 25 - PETRUCCI, Alfredo La terra canta. Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 105 sciolte; dattiloscritte con correzioni e note autografe. Poesie. 26 - PETRUCCI, Alfredo Lucera. Nicchia affrescata nella chiesa di S. Francesco. Cart.; sec. XX (1916); mm. 285 x 205; alcune di diverso formato; cc. 9; nume-razione recente a matita; bianche le cc. 1 t.; 2 t.; 5-8 t.; autografo. Minuta della relazione alla Soprintendenza ai monumenti della Puglia e del Molise sul ritrovamento a Lucera nella chiesa di S. Francesco di una nicchia affrescata. La c. 2 r. riporta un bozzetto autografo dell’affresco. Allegata una foto. 27 - PETRUCCI, Alfredo Manoscritto autografo di Cattedrali di Puglia. Cart.; sec. XX (1960); mm. 290 x 225; cc. 269 sciolte; scritte sul r.; le cc. 27 a 88 dattiloscritte con correzione autografe; autografo. Allegati n. 33 disegni au-tografi di vario formato - 4 a colori e 29 in bianco e nero; n. 290 fotografie di vario formato e la 1a edizione dell’opera con aggiunta e correzioni autografe. 28 - PETRUCCI, Alfredo Materiali e appunti. Bari vecchia. Cart.; sec. XX; mm. 210 x 140; cc. 14; numerazione recente a matita; bianche le cc. 1 t; 3 t.; 4 r.; 7 r:; 9 r.; 10 t.; 11 r.; 12 t.; 14 r.; autografo. 29 - PETRUCCI, Alfredo Nel buio delle anime. Cart.; sec. XX (1905); mm. 225 x 150; cc. 5; numerazione recente a matita; sciolte; autografo. Infine « Scritto nel 1905, a 17 anni ». 30 - PETRUCCI, Alfredo Obelischi e piramidi. Cart.; sec. XX; mm. 265 x 210; cc. 8; numerazione recente a matita; sciolte; dattiloscritte con correzioni autografe. Sul tergo di ciascuna carta sono riportati titoli autografi di racconti non perve-nuti: c. 1 - Una battiraffia; c. 2 - Lo sguardo di Dio; c. 3 - Le scarpe all’americana; c. 4 - Avventura sul campanile; c. 5 - Inferno e paradiso; c. 7 - L’anello di Angelica; c. 8 - La sorte di capitan Soffione. 90

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI

31 - PETRUCCI, Alfredo Pensieri di critica d’arte (abbozzi autografi). Cart. miscell.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 65, numerazione recente a matita; sciolte; bianche le cc. 3 t.; 6 t.; 8 t.; 9-10 r. e t; 14-16 t.; 20 r.; 21 t.; 22 r. e t.; 24 t.; 26-28 t.; 32 r. e t.; 33-37 t; 39-40 t.; 41 r. e t.; 43 r. e t.; 45 r. e t.; 47-49 t.; 50 r. e t.; 51 t; 53 t.; 56 r. e t.; 59-61 t.; 63-65 t.; autografo. L’argomento è così suddiviso: Il contenuto dell’esperienza (cc 3-10); Impres-sione ed espressione (cc. 11-13); La selezione (cc. 14-25); Il pittore e il qua-dro (cc. 24-32); Lo spettatore e il quadro (cc. 33-37); Il « luogo comune » (cc. 38-41); La materia speciale dell’arte (ce. 42-45); La funzione della cultura (ce. 60-61); Il talento del silenzio (e. 63); Il critico (cc. 64-65). 32 - PETRUCCI, Alfredo Poesie. Cart.; sec. XX (1906-1926-1929); mm. 230 x 140, alcune di diverso formato; cc. 7; numerazione recente a matita; sciolte; autografo. Le poesie sono: I sonetti della Bohéme (Napoli 1906); Spelonca di Calcante (1929); Ecco, s’io batto le ciglia (1926); Solitudine della terra; Da te nato mi sento; Di te felice ninna nanna. 33 - PETRUCCI, Alfredo Relazione alla Soprintendenza ai Monumenti della Puglia e Molise. Cart.; sec. XX (1916); mm. 307 x 210; cc. 3; bianca la e. 2 t. autografo. Minuta di una relazione alla Soprintendenza sui dipinti posseduti dalla signora Giuseppina Villani. Dei diciotto quadri esaminati giudica di valore il « Canta-storie » e il « Ritratto di gentiluomo che attribuisce alla scuola di Giuseppe Ribera. La e. 2 r. riporta un bozzetto del « Cantastorie ». 34 - PETRUCCI, Alfredo Romanzo d’una primavera. (Stesura per la stampa). Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 3, con 23 ritagli di giornale rimontati su fogli bianchi; note e correzioni autografe. Gli articoli di giornale sono i seguenti: La porta chiusa; L’agghiaccio; Inferno e Paradiso; Le scarpe all’americana; Un batti- raffia; Esperienza antelucana; L’anello di Angelica; La caduta de giganti; Lo sguardo di Dio; Storia d’un pa-esello di cartone; La Voce del mare; Avventure sul campanile; Il viaggio più lungo La fiumara; Una cartolina illustrata; L’ultima scivolata; I ceri 91

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ dipinti; Che cosa è l’amore; Le prove; La seconda morte del Pinturicchio; Ve-dere il treno; I poveri occhi; Credo. 35 - PETRUCCI, Alfredo 5. Maria di Siponto. Appunti iconografici. Cart.; sec. XX; mm. 285 x 220; cc. 9; numerazione recente a matita; bianche le cc. 2 r.; 4 t.; 5 t.; 6 r.; 7 t.; autografo. 36 - PETRUCCI, Alfredo Storia. Cart.; sec. XX.; mm. 280 x 220; cc. 54; sciolte; dattiloscritte con correzioni autografe. L’impaginazione autografa del manoscritto è la seguente: cc. 24-31; cc. 37-43; cc. 49-56; cc. 65-66; e. 76; cc. 84-87; cc. 90-91; cc. 96-98; cc. 107-108; cc. 114-117; cc. 134-136; cc. 143-147; cc. 150-152; cc. 157-158; Mancano le cc. 1-23; cc. 32-36; cc. 44-48; cc. 57-66; cc. 67-75; cc. 77-83; cc. 88-89; cc. 92-95; cc. 99-106; cc. 109-113; cc. 118-133; cc. 137-142; cc. 148-149; cc. 153-156. Il materiale è suddiviso nei seguenti paragrafi: Una storia che sembra una fa-vola (cc. 24-31); I primi martiri del Risorgimento (cc. 37-43); La prima guerra per l’indipendenza (1848-1849) (cc. 84-87; 90-91); La terza guerra per l’indipendenza (1866) (cc. 96-98; 107-108; 114-117; 134-136); La guerra mondiale (1914-1918) (cc. 143-146; 150-152; 157-158). 37 - PETRUCCI, Alfredo Stratosfera ovvero il diavolo appicca il fuoco. Romanzo. Cart.; sec. XX; mm. 290 x 220; cc. 232; sciolte; dattiloscritto con correzioni autografe. Del romanzo sono presenti due copie uguali. 38 - PETRUCCI, Alfredo Un processo di veneficio nel ‘600. Cart.; sec. XX; mm. 280 x 220; cc. 8; sciolte; numerazione originale a penna; tutte bianche sul tergo; autografo. INCISIONI E DISEGNI 39 - PETRUCCI, Alfredo Beethoven. 1923; incisione; mm. 290 x 190; firmato. Nel margine inferiore la scritta autografa: « Beethoven, quest’è la tua voce, fiume del mondo che cerca la foce ». 40 - PETRUCCI, Alfredo Gargano. Scogliera. S.d.; incisione; mm. 170 x 240; non firmato. 41 - PETRUCCI, Alfredo Il Gargano. Castello dei Giganti. S.d.; incisione; mm. 130x 160; firmato. 42 - PETRUCCI, Alfredo La Ritrosetta. 92

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI

S.d.; incisione; mm. 200 x 160; firmato. 43 - PETRUCCI, Alfredo Leopardi. 1923; incisione; mm. 350 x 240; firmato. 44 - PETRUCCI, Alfredo Pescatore. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 240 x 180; non firmato. 45 - PETRUCCI, Alfredo Pescatore. S.d.; incisione; mm. 240 x 180; non firmato. [Riprodotto in G. D’ADDETTA, San Menaio e dintorni. Foggia, 1947, pag. 112.] 46 - PETRUCCI, Alfredo Ritratto di vecchio. S.d.; incisione; mm. 390 x 200; firmato. 47 - PETRUCCI, Alfredo Architettura rustica di Sannicandro Garganico. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 270 x 140; firmato. 48 - PETRUCCI, Alfredo Architettura rustica di Sannicandro Garganico. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 160 x 86; firmato. 49 - PETRUCCI, Alfredo Arco della neve. Siena. [1915]; disegno a inchiostro; mm. 155 x 100; non firmato. 50 - PETRUCCI, Alfredo Arco Stalloreggi e angolo via Baldassarre Peruzzi. Bari. [1922]; disegno a inchiostro; mm. 270 x 190; firmato. 51 - PETRUCCI, Alfredo Bari vecchia. 10 aprile 1917; disegno a matita; mm. 280 x 200; non firmato. 52 - PETRUCCI, Alfredo Campanile. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 210 x 130; non firmato. 53 - PETRUCCI, Alfredo Capitello dell’ambone di Acceptus. Santuario S. Michele. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 95 x 90; non firmato. [Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 36.] 54 - PETRUCCI, Alfredo Cattedrale di Otranto. Mosaico pavimentale. S.d.; acquerello a colori; mm. 125 x 175; non firmato. [Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 98.] 55 - PETRUCCI, Alfredo Chiesa abbaziale di San Benedetto a Conversano. Resti di mosaici. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 126 x 197; non firmato. 93

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________

56 - PETRUCCI, Alfredo Corte Colagnano. Bari vecchia. 1920; disegno a inchiostro; mm. 100 x 50; firmato. [Riprodotto in A. PETRUCCI, Pernix Apulia. Bari, 1971, tav. 14.] 57 - PETRUCCI, Alfredo Cripta del Duomo di Otranto. Particolare. Otranto 1910; acquerello a colori; mm. 110 x 110; non firmato. [Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 113.] 58 - PETRUCCI, Alfredo Cripta del Duomo di Otranto. Particolare. Otranto 1910; acquerello a colori; mm. 225 x 125; non firmato. [Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 110.] 59 - PETRUCCI, Alfredo Discesa di Fontebranda. Siena. [1915]; disegno a inchiostro; mm. 190 x 135; firmato. 60 - PETRUCCI, Alfredo Il campanile della Chiesa Madre a Sannicandro Garganico. S.d.; disegno a in-chiostro; mm. 110 x 215; non firmato. [Riprodotto in A. PETRUCCI, Pernix Apulia. Bari, 1971, tav. 175.] 61 - PETRUCCI, Alfredo La Corte di San Giorgio a Sannicandro. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 87 x 58; firmato. [Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 131 e A. PETRUCCI, Pernix Apulia. Bari, 1971, tav. 41.] 62 - PETRUCCI, Alfredo La costa di Maletta. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 150 x 175; firmato. [Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 105.] 63 - PETRUCCI, Alfredo Michele Vocino. Caricatura. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 85 x 160; firmato. 64 - PETRUCCI, Alfredo Montesacro. Avanzi della primitiva cella. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 90 x 130; non firmato. [Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 48.] 65 - PETRUCCI, Alfredo Paesaggio garganico. S.d.; dipinto a olio; mm. 335 x 240; firmato; in cornice. 66 - PETRUCCI, Alfredo Portale di Sant’Antonio Abate. Monte S. Angelo. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 76 x 66; non firmato. [Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 44.] 94

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI 67 - PETRUCCI, Alfredo Portale di Sant’Egidio. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 135 x 100; non firmato. 68 - PETRUCCI, Alfredo Pozzo del Tritone. Squinzano. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 180 x 150; non firmato. [Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 132.] 69 - PETRUCCI, Alfredo Ricordo di Lecce. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 230 x 195; non firmato. [Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 138.] 70 - PETRUCCI, Alfredo Santa Caterina d’Alessandria. Galatina. S.d.; disegno a matita; mm. 310 x 210; non firmato. [Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 129.] 71 - PETRUCCI, Alfredo Tomba di Rotari. Sezione W.E. Monte S. Angelo. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 105 x 65; firmato. [Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 46.] 72 - PETRUCCI, Alfredo Tomba di Rotari. Finestre interne. Particolare. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 170 x 125; non firmato. 73 - PETRUCCI, Alfredo Torre Alemanna presso Ascoli Satriano. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 125 x 110; non firmato. 74 - PETRUCCI, Alfredo Veduta di Siena. [1915]; disegno a inchiostro; mm. 210x 135; firmato. 75 - PETRUCCI, Alfredo Via de’ Termini. Arco delle travi. Siena. [1915]; disegno a inchiostro; mm. 120x 70; firmato. 76 - PETRUCCI, Alfredo Vicolo attraversato da archi. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 110 x 90; non firmato. 77 - PETRUCCI, Alfredo Vicolo attraversato da archi. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 150 x 75; firmato. 78 - PETRUCCI, Alfredo Vicolo del Contradino. Siena. [1915]; disegno a inchiostro; mm. 180x 130; firmato. 79 - PETRUCCI, Alfredo Vicolo del lauro. Bari. 1921; disegno a matita; mm. 260 x 180; non firmato. 95

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ [Riprodotta un’acquaforte dello stesso soggetto in A. PETRUCCI Pernix Apulia. Bari, 1971, tav. 15.] 80 - PETRUCCI, Alfredo Vicolo di Macta Salaia. Siena. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 230 x 120; firmato. OPERE A STAMPA 81 - PETRUCCI, Alfredo Acqueforti di Sanzio Giovannelli. Saggio critico di Alfredo Petrucci. San Benedetto del Tronto, ed. tip. Sciocchetti, 1959. cm. 25, cc. 8 2 tav. f.t. [Sul frontespizio dedica autografa dell’autore a Mario Simone. 82 - PETRUCCI, Alfredo Antonio Piccinni pittore e incisore tranese. Roma, ed. Il Mezzogiorno, 1957. cm. 28,4, pp. 51 tav. dp. n.t.. « Estratto da Il Mezzogiorno. Fascicolo 3-4. Marzo-Aprile 1957. » [Dedica autografa dell’autore a Mario Simone] 83 - PETRUCCI, Alfredo Cattedrali di Puglia. Roma, ed. Carlo Bestetti, (Tivoli, tip. Chicca), 1960. cm. 30,7 pp. 146 300 tav. dp. f.t. 1 allegato pp. 1-17. [Prima edizione di « Cattedrali di Puglia » con ap-punti correzioni e aggiunte autografe nel testo.] (Recensioni allegate alla prima edizione di « Cattedrali di Pu glia »: 1) BIANCALE, Michele, La Puglia delle cattedrali. In MOMENTO-SERA. 2 di-cembre 1960; 2) BIORDI, Raffaello, Cattedrali di Puglia. In FOGLIETTO (IL). 27 ottobre 1960; 3) BIORDI, Raffaello, Nelle sue meravigliose cattedrali risplende la nobiltì della Puglia. In REALTA’ POLITICA. 15 ottobre 1960; 4) CERAVOLO, Pasquale, Cattedrali di Puglia. In ECO (L’) DI BERGAMO 25 novembre 1960; 5) D’ADDETTA, Giuseppe, Cattedrali di Pu glia. In GAR-GANO (IL). 25 novembre 1960; 6) DEL PRETE, Pasquale, Arte e fede di po-polo nelle Cattedrali di Puglia. In GAZZETTA (LA) DEL MEZZOGIORNO. 8 settembre 1960; 7) GABRIELI, Francesco, Pellegrini di Puglia. In MES-SAGGERO (IL) 9 dicembre 1960; 8) MARTINELLI, Valentino, Cattedrali pugliesi. In MOMENTO-SERA. 4 luglio 1964; 9) PISSACROIA, Raffaele A., Cattedrali di Puglia. In VOCE DEL POPOLO. 10 dicembre 1960; 10) SPAI-NI, Alberto, Invito in Puglia. In SECOLO (IL) XIX. 11 dicembre 1960; 11) VOCINO, Michele, Le cattedrali di Puglia. In NUOVO MEZZOGIORNO. 10 ottobre 1960). 84 - PETRUCCI, Alfredo Cattedrali di Puglia. Seconda edizione riveduta ed ampliata. Roma, ed. Carlo Bestetti, (tip. Visigalli-Pasetti), 1963, ed. 2a. cm. 30,5 pp. 571 192 tav. dp. n.t. [Seconda edizione di « Cattedrali di Puglia »] 96

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI 85 - PETRUCCI, Alfredo [Seconda edizione di « Cattedrali di Puglia »] Dietro l’opaca siepe. Poesie. Introduzione di Cristanziano Serricchio. Foggia, ed. Amm. Prov. Foggia, (Napoli, tip. Laurenziana), 1979. cm. 21 pp. 91. « L’Amministrazione Prov.le di Capitanata nel decennale della morte del Poeta. » 86 - PETRUCCI, Alfredo Due scarpette di panno rosso ed altre novelle. Illustrazioni di Salvatore Caba-sino. Roma, ed. tip. R. Danesi, 1942. cm. 28 pp. 117 fig. « Edizione numerata. Esemplare n. 421. » 87 - PETRUCCI, Alfredo Epigrammi della montagna. La strigghia, ‘u pungeche e li meravìgghie. Pre-sentazione di Cristanziano Serricchio. Foggia, ed. Amm. Prov. Foggia, (Napoli, tip. Laurenziana), 1973. cm. 20 pp. 53 6 tav. f.t. 88 - PETRUCCI, Alfredo Forme d’arte paesana in Puglia. Foggia, ed. Giuseppe Pilone, (tip. Frattarolo), 1930. cm. 21,8 pp. 35 7 tav. f.t. «Monografie di arte e storia pugliese. 3.» 89 - PETRUCCI, Alfredo Fra cielo e terra, ovvero il troppo... storpia. Avventura fiabesca. Illustrazioni di A. Urbani Del Fabbretto. Torino, ed. tip. Società Editrice Internazionale, 1953. cm. 26,8 pp. 114 fig. 90 - PETRUCCI, Alfredo I diritti della fantasia e i doveri della civiltà letteraria. Sta in: “LEGGE (LA) di Roger Vailland nel giudizio critico di M. Brandon Albini, T. Fiore, A. Petruc-ci, M. Vocino e a traverso l’inchiesta di « France-Observateur ». Disegni di Petrucci e Vocino. Napoli, ed. Mario Simone, (Foggia, tip. Leone), 1958. pp. 39-52. 91 - PETRUCCI, Alfredo Il Caravaggio acquafortista e il mondo calcografico romano. L’indovina - Le-oni - Borgianni - Maggi - Villamena – Onofri - Mercati - Amici del Caravag-gio. Roma, ed. tip. F.lli Palombi, 1956. cm. 25,7 pp. 160 26 tav. dp. f.t. 92 - PETRUCCI, Alfredo Il Gargano di Alfredo Petrucci. Roma, ed. tip. «La Italiana », 1932. cm. 28 pp. 68 fig. 93 - PETRUCCI, Alfredo Il pellegrino al Gargano. Foggia, ed. Amm. Prov. Foggia, (Napoli, tip. Laurenziana), 1968. 97

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ cm. 24 pp. 27 4 tav. dp. f.t. « Quaderni de La Capitanata 7. » 94 - PETRUCCI, Alfredo La Madonna dagli occhi sbarrati. Foggia, ed. tip. Giuseppe Pilone, 1927. cm. 22 pp. 35 5 tav. f.t. « Monografie di arte e storia pugliese.» 95 - PETRUCCI, Alfredo Le magnificenze di Roma di Giuseppe Vasi. Roma, ed. tip. F.lli Palombi, s.d. cm. 25,8 pp. 151 313 tav. dp. f.t. 96 - PETRUCCI, Alfredo Le parole per tutte le ore. Avventura spirituale di questo e d’ogni altro tempo. Roma, ed. « La Italiana », (Napoli, tip. Laurenziana), 1974. cm. 24 pp. 312 tav. f.t. 97 - PETRUCCI, Alfredo L’incisione carraccesca. Roma, ed. Libreria dello Stato, 1950. cm. 28,6 pp. 131-144 [14] fig. « Estratto dal Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione. N. 11. Aprile-Giugno 1950. » 98 - PETRUCCI, Alfredo L’incisione italiana di Alfredo Petrucci. L’Ottocento. Roma, ed. tip. R. Dane-si, 1941. cm. 37,6 pp. 39 fig. 60 tav. f.t. [in contenitore]. “Edizione Speciale di 1500 esemplari ». 99 - PETRUCCI, Alfredo Muratori in casa. Roma, ed. « Il Mezzogiorno », 1958. cm. 28,5 pp. 3 fig. « Estratto da Il Mezzogiorno. Anno VII. N. 1. Gennaio 1958. » [Dedica autografa dell’autore a Mario Simone.] 100 - PETRUCCI, Alfredo Pernix Apulia. Pagine sparse di Vita, di Storia e di Arte pugliese. Presentazio-ne di Pasquale Soccio. Bari, ed. Adda, (tip. Dedalo litostampa), 1971. cm. 25 pp. 318 fig. 101 - PETRUCCI, Alfredo Pittori pugliesi dell’800. Domenico Caldara. Roma, ed. Associazione Pugliese (tip. Tullio Minervini), 1929. cm. 26,4 pp. 9 1 ritr. 3 tav. f.t. « Quaderni pugliesi. Collezione di cultura regionale diretta da D.M. Simone. N. 1.» 102 - PETRUCCI, Alfredo Rassegna d’arte personale di Luigi Schingo col patrocinio dell’ Ente Autono-mo Fiera di Foggia. Presentazione di Alfredo Petrucci. Foggia. Palazzetto dell’arte 29 aprile - 15 maggio 1962. Foggia, tip. Leone, s.d. [ma 1962]. cm. 17 pp. 36 7 tav. dp. n.t. 98

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI 103 - PETRUCCI, Alfredo Rembrandt fra noi. Roma, ed. Libreria dello Stato, 1951. cm. 28 pp. 188-191 [4] fig. « Estratto dal Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione. N. 11. Aprile-Giugno 1951. » 104 - PETRUCCI, Alfredo Roma. Novanta vedute moderne di D.R. 55 incisioni e disegni antichi. Testo di Alfredo Petrucci. Roma, ed. Banca Nazionale del Lavoro, (Torino, tip. Donaggio), 1949. cm. 42 pp. 64 fig. 91 tav. f.t. 105 - PETRUCCI, Alfredo Savino Papalia incisore. Testo di Alfredo Petrucci. Roma, tip. Lampo, 1959. cm. 29,7 pp. 22 31 tav. f.t. [Dedica autografa dell’autore a Michele Vocino.] 106 - PETRUCCI, Alfredo Tre paesi tre canti. Foggia, ed. Ente Prov. Turismo Foggia, (tip. Pescatore), s.d. cm. 21 pp. 38. « Collana di Quaderni turistici dell’E.P.T. di Foggia. IV. » 107 - PETRUCCI, Alfredo Una città morta: Siponto. Sta in: EMPORIUM. Bergamo giugno 1921. Vol. LIII. N. 318. pp. 320-327 fig. 108 - PETRUCCI, Alfredo Una terrazza, un arco. Roma, ed. Il Mezzogiorno, 1958. cm. 28,4 pp. 7. « Estratto da Il Mezzogiorno. Fasc. 5. Anno VII. Maggio 1958. » [Dedica autografa dell’autore a Mario Simone.] 109 - PETRUCCI, Alfredo Un monumento misterioso: la Tomba di Rotari. Sta in: EMPORIUM. Bergamo novembre 1919. Vol. L. N. 299. pp. 243-252 fig. ARTICOLI GIORNALISTICI DA: EPOCA (L’); LAVORO (IL) D’ITALIA; MESSAGGERO (IL); GARGANO (IL). 1921-1969 (in ordine cronologico). 110 - PETRUCCI, Alfredo Movimento artistico pugliese. Vecchie e nuove mostre. Sta in: EPOCA (L’). 19 febbraio 1921. [ritaglio di giornale] 111 - PETRUCCI, Alfredo La tradizione pittorica in Puglia. Sta in: EPOCA (L’). 26 maggio 1921. [ritaglio di giornale]

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________

112 - PETRUCCI, Alfredo Antiche sembianze d’Italia. Il fascino sempre vivo e nuovo delle contrade se-nesi. Sta in: LAVORO (IL) D’ITALIA. 26 agosto 1927, pag. 3. [ritaglio di giornale] 113 - PETRUCCI, Alfredo Ritorno al borgo natio. Dove non fu offesa la virtuosa Lucrezia. Sta in: MESSAGGERO (IL). 4 giugno 1933, pag. 3. [ritaglio di giornale] 114 - PETRUCCI, Alfredo L’agghiaccio. Sta in: MESSAGGERO (IL). 23 agosto 1933, pag. 3. [ritaglio di giornale] 115 - PETRUCCI, Alfredo Credo. Sta in: MESSAGGERO (IL). 29 settembre 1933, pag. 3. [ritaglio di giornale] 116 - PETRUCCI, Alfredo Il cuore di Brigida. Sta in: MESSAGGERO (IL). 16 novembre 1935, pag. 3. [ritaglio di giornale] 117 - PETRUCCI, Alfredo Una lirica ed una prosa. Sta in: GARGANO (IL). Anno I. 1950. N. 1, pag. 3. 118 - PETRUCCI, Alfredo La grondaia. Sta in: GARGANO (IL). Anno I. 1950. N. 5, pag. 3. 119 - PETRUCCI, Alfredo Raggio sperduto. Sta in: GARGANO (IL). Anno II. 1951. N. 9, pag. 3. 120 - PETRUCCI, Alfredo Dove finisce il mare. Sta in: GARGANO (IL). Anno III. 1952. N. 7, pag. 3. 121 - PETRUCCI, Alfredo Al crocevia dei ricordi. Sta in: GARGANO (IL). Anno III. 1952. N. 7, pag. 3. 122 - PETRUCCI, Alfredo La piccola vita. Sta in: GARGANO (IL). Anno III. 1952. N. 12, pag. 3. 123 - PETRUCCI, Alfredo Si spezza una corda. Sta in: GARGANO (IL). Anno IV. 1953. N. 5-6, pag. 3. 124 - PETRUCCI, Alfredo Dolce sulla tua zolla. Sta in: GARGANO (IL). Anno V. 1954. N. 1, pag. 3. 100

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI 125 - PETRUCCI, Alfredo Come il mendico. Sta in: GARGANO (IL). Anno VI. 1955. N. 1, pag. 3. 126 - PETRUCCI, Alfredo L’epigrafe della « Tomba di Rotari ». Sta in: GARGANO (IL). Anno VI. 1955. N. 3-4, pag. 3. 127 - PETRUCCI, Alfredo Il vecchio campanile. Sta in: GARGANO (IL). Anno VII. 1956. N. 9-11, pag. 3. 128 - PETRUCCI, Alfredo Suono di lontananza. Sta in: GARGANO (IL). Anno IX. 1958. N. 1-2, pag. 3. 129 - PETRUCCI, Alfredo Una terrazza, un arco. Sta in: GARGANO (IL). Anno X. 1959. N. 1-2, pag. 3. 130 - PETRUCCI, Alfredo Casa. Sta in: GARGANO (IL). Anno XI. 1960. N. 1-5, pag. 3. 131 - PETRUCCI, Alfredo Il ligustro. Sta in: GARGANO (IL). Anno XI. N. 1-5, pag. 3. 132 - PETRUCCI, Alfredo I becchini della civiltà. Sta in: GARGANO (IL). Anno XIV. 1963. N. 3, pag. 3. 133 - PETRUCCI, Alfredo Terra di Puglia. Sta in: GARGANO (IL). Anno XV. 1964. N. 1, pag. 3. 134 - PETRUCCI, Alfredo Una medaglia al valore. .Sta in: GARGANO (IL). Anno XV. 1964. N. 7, pag. 3. 135 - PETRUCCI, Alfredo Tavoliere di Puglia. Sta in: GARGANO (IL). Anno XV. 1964. N. 8, pag. 3. 136 - PETRUCCI, Alfredo Una musica dolce e veloce. Sta in: GARGANO (IL). Anno XV. 1964. N. 11-12, pag. 3. 137 - PETRUCCI, Alfredo Puglia di ieri e di oggi. Sta in: GARGANO (IL). Anno XVI. 1965. N. 5, pag. 3. 138 - PETRUCCI, Alfredo Circe e il Gargano. Sta in: GARGANO (IL). Anno XVII. 1966. N. 9, pag. 3. 139 - PETRUCCI, Alfredo Lo spettro. Sta in: GARGANO (IL). Anno XVIII. 1967. N. 1, pag. 3. 140 - PETRUCCT, Alfredo La desolata. Sta in: GARGANO (IL). Anno XVIII. 1967. N. 4, pag. 3.

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ 141 - PETRUCCI, Alfredo La « Murgia » di Sannicandro. Sta in: GARGANO (IL). Anno XIX. 1968. N. 7, pag. 3. 142 - PETRUCCI, Alfredo Hai pregato. Sta in: GARGANO (IL). Anno XX. 1969. N. 2, pag. 3. 143 - PETRUCCI, Alfredo Preghiera. Sta in: GARGANO (IL). Anno XX. 1969. N. 2, pag. 3. 144 - PETRUCCI, Alfredo Si spezza una corta. Sta in: GARGANO (IL). Anno XX. 1969. N. 7, pag. 3.

EPISTOLARIO (1914-1965) (I.) = lettera; (c) = cartolina; (t.) = telegramma; (b.p.) biglietto postale; (b.v.) biglietto da visita; (b.) busta. 1 - J.J.G. ALEXANDER: Prospeet House. Upton. Dideat. Barkshire luglio

1963 (I.). 2 - Roberto ALMAGIA’: Roma 21 maggio 1957 (I.). 3 - Corrado ALVARO: Roma 4 gennaio 1941 (I.). 4 - Luciano ANCESCHI: Milano 16 gennaio 1952 (c.). 5 - Giuseppe ANDRETTA: Roma 19 settembre 1950 (I.). 6 - Ciro ANGELILLIS: 1) Capolona 6 luglio 1927 (I.); 2) Capolona (Arezzo)

29 settembre 1929 (I.); 3) Capolona 10 dicembre 1929 (I.); 4) Capolona 9 ottobre 1930 (c.); 5) Capolona 4 aprile 1931 (c.); 6) Capolona 11 aprile 1931 (c.); 7) Capolona 30 aprile 1931 (c.); 8) Capolona 18 maggio 1931 (c.); 9) Capolona 10 giugno 1931 (I.); 10) Capolona 26 aprile 1937 (c.); 11) Arezzo 18 settembre 1949 (I.); 12) Arezzo 12 febbraio 1954 (I.); 13) Arezzo 10 marzo 1954 (I.); 14) 8.1 s.d. (I.).

7 - Gian Battista ANGIOLETTI: 1) Milano 22 giugno 1928 (b.p.); 2) Roma 13 gennaio 1936 (I.); 3) Roma 13 giugno 1946 (b.p.); 4) Roma 11 dicem-bre 1946 (b.p.).

8 - Guido ARCAMONE: Roma 22 aprile 1953 (I.). 9 - Paolo ARCARI: 1) 8.1. 17 febbraio 1941 (I.); 2) Roma 16 febbraio 1941

(c.). 10 -Carlo Giulio ARGAN: 1) Roma 3 maggio 1951 (b.p.); 2) Roma 20 mag-

gio 1965 (I.). 11 -Romolo ARTIOLI: S.l. 25 febbraio 1929 (I.). 12 -Carlo AZZARITA: Roma 20 giugno 1953 (b.v.). 13 -Antonio BALDINI: 1) Roma 13 luglio 1935 (c.); 2) Roma 18 luglio 1935

(c.); 3) Roma 4 settembre 1937 (c.); 4) Roma 8 settembre 1937 (c.); 5) Roma 28 gennaio 1938 (c.); 6) Roma 1 marzo 1938 (c.); 7) Roma 7 marzo 1938 (c.); 8) Roma 19 settembre 1938 (c.); 9) Roma 2 novembre 1940 (c.); 10) Roma 3 febbraio 1941 (c.); 11) Roma 7 novembre 1944 (c.); 12) Roma 8 gennaio 1945 (c.); 13) Roma 2 gennaio 1947 (c.);

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI

14) Roma 22 novembre 1947 (c.); 15) Roma 24 luglio 1950 (c.); 16) Ro-ma 29 settembre 1950 (c.); 17) Roma 18 gennaio 1952 (c.); 18) Roma 1 giugno 1955 (I.); 19) Roma 6 novembre (b.v.); 20) Roma (b.v.); 21) Roma 13 novembre (b.v.); 22)Roma 20 settembre (b.v.); 23) Roma 17 settembre (b.v.); 24)Roma 25 dicembre (b.v.).

14 -Gino BALZANI: Lecce 2 gennaio 1924 (I.). 15 -Carlo BARBIERI: 1) Portici 20 giugno 1953 (I.); 2) Portici 23 luglio 1953

(I.); 3) Portici 8 gennaio 1954 (c.); 4) Portici 7 novembre 1960 (b.p.). 16 -Piero BARGELLINI: s.l. 8 dicembre 1952 (b.v.). 17 -U. BARONE MELODIA: Roma 16 luglio 1924 (b.v.). 18 -Eugenio BARONI: 1) Sestri Levante 14 settembre 1926 (I.); 2) Genova 23

settembre 1926 (I.); 3) Genova 16 ottobre 1926 (c.). 18 bis - Domenico BARTOLINI: Roma 24 agosto 1953 (b.v.). 19 -Luigi BARTOLINI: 1) Roma 12 novembre 1951 (I.); 2) s.l. 16 giugno

1953 (I.); 3) Roma 22 luglio 1953 (c.); 4) Roma 31luglio 1953 (b.v.); 5) Roma 27 dicembre 1953 (c.).

20 - Arturo BASSI: Trani 21 agosto 1926 (b.v.). 21 - Fortunato BELLONZI: 1) Roma 1 agosto 1951 (I.); 2) Roma 27 agosto

1951 (I.). 22 -Achille BERTINI-CALOSSO: 1) Roma 18 febbraio 1929 (I.); 2) Roma 3

aprile 1929 (c.); 3) Perugia 18 dicembre 1949 (c.). 23 -Antonietta Maria BESSONE-AURELJ: 1) s.l. 1925 (b.v.); 2) Roma 8

agosto 1933 (I.); 3) s.1. s.d. (c.). 24 -Ugo BETTI: 1) Camerino 3 settembre 1911 (c.); 2) Roma 19 gennaio

1933 (c.); 3) Roma 25 novembre 1940 (c.); 4) La Spezia 2 ottobre 1941 (c.); 5) Roma 19 gennaio 1951 (c.); 6) Roma 27 luglio 1951 (c.); 7) Roma 10 febbraio 1952 (c.); 8) Roma 14 ottobre (I.); 9) s.l. s.d. (I.); 10) s.l. s.d. (I.); 11) s.l. s.d. (I.); 12) s.l. s.d. (I.); 13) s.l. s.d. (I.); 14) s.l. s.d. (b.v.; 15) s.l. s.d. (b.v.).

25 - Michele BIANCALE: Roma 22 novembre 1940 (I.). 26 - D. BIANCHI: Fasano 18 ottobre 1926 (c.). 27 - Ranuccio BIANCHI BANDINELLI: Roma 18 ottobre 1945 (I.). 28 - Raffaello BIORDI: 1) Chieti 10 gennaio 1921 (c.); 2) Aquila 23 settem-

bre 1931 (I.). 29 - Carlo BISI: 1) Milano 29 gennaio 1965 (I.); 2) Milano 12 febbraio 1965

(c.); 3) Milano 16 febbraio 1965 (I.). 30 - Mario BLASI: Osimo 30 gennaio 1921 (c.). 31 - Mario BLAVE: Chambéry 2 ottobre 1930 (I.). 32 - Marcello BOGLIONE: 1) Torino 17 gennaio 1930 (I.); 2) Torino 2 feb-

braio 1930 (I.). 33 - Giulio BONARELLI MODENA: Ancona 24 gennaio 1922 (I.). 34 - M assimo BONTEMPELLI: 1) Milano 11febbraio (I.); 2) Milano 23 mar-

zo (I.); 3) Venezia 6 novembre (I.); 4) s.l. s.d. (I.). 35 - Giuseppe BOTTAI: Roma 1 aprile 1943 (I.).

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ 35 - Giuseppe BOTTAI: Roma 1 aprile 1943 (I.). 36 -BOTTEGA DI POESIA - Casa Editrice: 1) Milano 31 maggio 1923 (L);

2) 2 agosto 1923 (I.). 37 -S. BOTTO: Genova 4 aprile 1933 (c.). 38 -Cesare BRANDI: 1) Roma 15 settembre 1959 (I.); 2) Roma 20 gennaio

1961 (I.). 39 - Gustavo BRIGANTE-COLONNA: 1) Roma 1 settembre 1933 (I.); 2)

Roma 25 settembre 1932 (I.). 40 -Laetitia BOSCHI HUBER: Santa Marinella 1 ottobre 1931 (I.). 41 -Paolo BREZZI: Roma 5 giugno 1956 (I.). 42 -Antonio BRERES: Roma 15 marzo 1941 (I.). 43 -Bruno da Osimo: Ancona 25 ottobre 1941 (c.). 44 -Palma BUCARELLI: 1) Roma 28 agosto 1953 (I.); 2) Roma 6 giugno

1965 (I.). 45 -Anselmo BUCCI: 1) Monza 14 maggio 1952 (I.); 2) Monza 25 giugno

1952 (I.). 46 -Salvatore CABASINO: Roma 9 ottobre 1966 (I.). 47 -Giuseppe COCCIA: 1) Torino 5 dicembre 1953 (I.); 2) Torino 5 dicembre

1953 (I.); 3) Torino 26 aprile 1955 (I.). 48 -Sipontino CAFARELLI: Manfredonia 22 gennaio 1931 (I.). 49 -F. CAFFARELLI: Roma 29 dicembre 1960 (I.). 50 -G. CALO’: 1) Firenze 27 novembre 1923 (I.); 2) Roma 29 maggio 1923

(I.). 51 -Temistocle CALZECCHI: Roma 21 dicembre 1921 (b.v.). 52 -Carlo CALZECCHI-ONESTI: 1) s.l. 4 maggio 1929 (I.); 2) Milano 18

febbraio 1933 (I.); 3) s.l. 10 marzo 1933 (I.); 4) s.l. 10 novembre 1941 (I.); 5) Firenze 17 gennaio 1942 (I.); 6) Firenze 26 gennaio 1942 (I.).

53 -Pasquale CAMASSA: 1) Brindisi 25 aprile 1931 (I.); 2) Brindisi 9 giugno 1931 (I.).

54 -Leonardo CAMPANELLI: 1) Torino 10 luglio 1950 (I.); 2) Volturino s.d. (c.).

55 -Raimondo CANAVESSO: Milano 10 novembre 1934 (I.). 56 -Alfredo CAPUANO: 1) Foggia 8 giugno 1914 (c.); 2) Foggia s.d. (b.p.). 57 -Michele CAPUANO: 1) S. Giovanni Rotondo 10 aprile 1959 (I.); 2) 5.

Giovanni Rotondo 8 ottobre 1965 (I.). 58 -Giuseppe CAPUTI: 1) Roma 19 agosto 1945 (I.); 2) Roma 12 aprile 1952

(I.). 59 -Antonio CARBONATI: Roma 26 novembre 1953 (b.v.). 60 -Tommaso CASCELLA: 1) Pescara 10 febbraio 1921 (L); 2) Montecatini

25 ottobre 1928 (c.); 3) Pescara 18 dicembre 1928 (I.); 4) Bari 14 gennaio 1929 (I.); 5) Siena s.d. (b.p.) (b.n. 1).

61 -Piero CASOTTI: Taranto 25 agosto 1926 (I.). 104

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI 62 -Giuseppe CASSIERI: 1) Rodi 30 luglio 1952 (I.); 2) Roma 28 marzo 1953

(I.); 3) Roma ottobre 1958 (I.); 4) Roma 29 novembre 1960 (I.); 5) Roma 14 marzo 1961 (c.); 6) Roma 18 giugno (I.); 7) Roma 19 giugno (I.); 8) s.l. 14 novembre (b.v.).

63 -Giorgio CASTELFRANCO: 1) 28 ottobre 1954 (I.); 2) 18 gennaio 1955 (I.).

64 -Enrico CASTELLANETA: 1) Gioia del Colle 7 giugno 1923 (c.); 2) Gioia del Colle 19 marzo 1924 (I.); 3) Gioia del Colle 27 marzo 1924 (I.); 4) Gioia del Colle 15 aprile 1925 (I.); 5) Gioia del Colle 16 aprile 1924 (I.); 6) Gioia del Colle 25 aprile 1924 (c.); 7) Gioia del Colle 30 aprile 1924 (c.); 8) Gioia del Colle 22 maggio 1924 (c.); 9) Gioia del Colle 4 giugno 1924 (I.); 10) Gioia del Colle 11 luglio 1924 (I.); 11) Gioia del Colle 26 luglio 1924 (c.); 12) Gioia del Colle 15 marzo 1925 (c.); 13) Gioia del Colle 6 luglio 1925 (c.); 14) Gioia del Colle 7 luglio 1926 (c.); 15) Poli-gnano a Mare 15 agosto 1926 (c.); 16) Polignano a Mare 24 agosto 1926 (c.); 17) Polignano a Mare 8 settembre 1926 (I.); 18) Gioia del Colle 27 settembre 1926 (c.); 19) Gioia del Colle 8 ottobre 1926 (c.); 20) Gioia del Colle 14 ottobre 1926 (c.); 21) Gioia del Colle 2 novembre 1926 (c.); 22) Gioia del Colle 13 novembre 1926 (c.); 23) Gioia del Colle 1 dicembre 1926 (c.); 24) Gioia del Colle 11 gennaio 1927 (c.); 25) Gioia del Colle 28 luglio 1927 (c.); 26) Gioia del Colle 16 gennaio 1931 (c.), (b.n. 3).

65 -Onorato CASTELLINO: 1) Torino 22 ottobre 1934 (c.); 2) Torino 25 ot-tobre 1934 (I.); 3) Torino 24 novembre 1934 (I.).

66 -Umberto CAVASSA: Genova 27 maggio 1960 (b.v.). 67 -Angelo CELUZZA: Foggia 16 giugno 1965 (I.). 68 -Pasquale CERAVOLO: 1) Cremona 3 giugno 1923 (I.); 2) Bergamo 12

ottobre 1928 (I.); 3) Retafuori (Bergamo) 14 agosto 1928 (I.); 4) Bergamo 10 maggio 1928 (c.); 5) Bergamo 6 dicembre 1929 (I.); 6) Bergamo 31 ot-tobre 1929 (I.): 7) Bergamo 22 ottobre 1929 (I.); 8) 19 aprile 1929 (I.); 9) Bergamo 7 aprile 1929 (I.); 10) Bergamo 20 dicembre 1930 (I.); 11) Ber-gamo 26 gennaio 1930 (I.); 12) Bergamo 2 gennaio 1931 (I.); 13) Berga-mo 26 gennaio 1931 (c.); 14) Bergamo 3 marzo 1931 (I.); 15) Bergamo 6 ottobre 1931 (b.v.); 16) Peveragno (Cuneo) 20 agosto 1932 (c.); 17) Peve-ragno 9 luglio 1932 (I.); 18) Bergamo 5 ottobre 1932 (I.); 19) Bergamo 27 aprile 1937 (I.); 20) Bergamo 3 giugno 1950 (I.); 21) Bergamo 16 agosto 1950 (I.); 22) Bergamo 14 gennaio 1952 (c.); 23) Bergamo 4 novembre 1960 (I.); 24) Bordighera 6 marzo 1965 (I.); 25) Bergamo s.d. (I.); 26) s.l. s.d. (I.); 27) Bergamo s.d. (I.); 28) Bergamo s.d. (I.); 29) Bergamo s.d. (b.p.); 30) Bergamo s.d. (I.); 31) Bergamo s.d. (I.).

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________

69 -Armando CERMIGNANI: 1) Riviera di Castellammare 1 marzo 1931 (I.);

2) Pescara 18 marzo 1932 (I.); 3) Pescara 11 ottobre 1932 (I.); 4)11 otto-bre 1933 (b.); 5) Pescara 2 dicembre 1934 (I.); 6) Peseara 13 febbraio 1941 (I.); 7) Roma 18 dicembre 1949 (b.v.), (b.n. 5).

La busta datata 11 ottobre 1933 contiene 5 prove di silografia. 70 -Arturo CECCHI: Firenze 6 febbraio 1954 (I.). 71 -Gustavo CHIANTORE: Torino 16 marzo 1929 (c.). 72 -Mario CIAMPI: Foggia 4 agosto 1949 (I.). 73 -Vincenzo CIAMPI: 1) Foggia 14 dicembre 1928 (c.); 2) Foggia 7 aprile

1929 (c.); 3) Foggia 18 giugno 1931 (I.). 74 -Vittorio CIAMPI: Lucera 18 gennaio 1920 (c.). 75 -Vincenzo CIARDO: 1) Pozzuoli 4 gennaio 1926 (I.); 2) Poz- zuoli 22 feb-

braio 1926 (c.); 3) Pozzuoli 8 giugno 1926 (c.) 4) Pozzuoli 8 agosto 1926 (c.); 5) Pozzuoli 14 agosto 1924 (I.); 6) Gagliano del Capo (Lecce) 31 a-gosto 1926 (c.); 7 Pozzuoli 19 agosto 1926 (c.); 8) Pozzuoli 2 novembre 1924 (c.); 9) Napoli 16 dicembre 1926 (c.); 10) Pozzuoli 20 giugno 1927 (c.); 11) Pozzuoli 3 marzo 1929 (I.); 12) Roma luglio 1932 (I.); 13) Napoli 8 marzo 1941 (I.); 14) Gaglian del Capo 27 dicembre 1950 (I.); 15) Roma 5 dicembre 1951 (I.); 16) Napoli 17 novembre 1952 (I.).

76 -Filippo CIFARIELLO: 1) Napoli 4 aprile 1919 (I.); 2) Roma 30 gennaio 1925 (c.); 3) Napoli 5 marzo (I.); (b.n. 6) La busta contiene inoltre una scheda di adesione all’Associazione Nazionale Indipendente Artistico In-dustriale - Camera di Commercio Napoli - Direzione Sociale pel Mezzo-giorno.

77 -Nicola CILENTI: Roma 14 ottobre 1954 (I.). 78 -Pietro CIMARA: Milano 28 settembre 1932 (I.). 79 -Giulio CISARI: Milano agosto 1953 (I.). 80 -Guelfo CIVININI: Firenze 5 febbraio (c.). 81 -Erminio COLANERA: 1) Foggia 8 ottobre 1930 (c.); 2) Foggia 11 gen-

naio 1931 (c.); 3) Foggia 31 gennaio 1931 (c.); 4) S. Severo 22 dicembre 1958 (I.).

82 -Virgilio COLANTONIO: Sannicandro Garganico 22 febbraio 1935 (I.). 83 -Mario COLUCCI: 1) Milano 15 marzo 1921 (I.); 2) Milano 19 marzo

1921 (c.). 84 -Girolamo CONCI: 1) Lucugnano (Lecce) 17 febbraio 1932 (c.); 2) Lucu-

gnano 16 novembre 1950 (c.); 3) Lucugnano 8 aprile 1961 (I.). 85 -Francesco COMO: 1) Taranto 5 maggio 1924 (I.); 2) Manduria 28 aprile

1924 (I.); 3) Taranto 16 agosto 1926 (c.). 106

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI

86 -Vittoria CONTINI BONACOSSI: s.l. 10 maggio 1941 (b.v.) 87 -Giovanni COPERTINI: 1) Parma 18 febbraio 1933 (I.); 2 Parma 22 mag-

gio 1933 (c.); 3) Parma 22 maggio 1953 (I.). 82 bis - Carlo CORRA’: Rimini 6 giugno 1961 (I.). 83 bis - Carlo D’ALESSIO: Taranto 26 dicembre 1959 (I.). 84 bis - Maria DALL’OSSO OSTA: Ancona 12 agosto 1914 (l.). 85 bis - B. D’AMELJ CAROVITA: 1) S. Spirito 24 agosto 1924 (I.). 2) S.

Spirito 12 agosto 1924 (I.); 3) S. Spirito 20 agosto 1924 (I.). 86 bis - Silvio D’AMICO: Roma 28 gennaio 1954 (I.). 87 -Manlio DAZZI: 1) Venezia 13 luglio 1940 (I.); 2) Piné 34 agosto 1940

(I.). 88 -Guglielmo DE ANGELIS d’OSSAT: 1) Roma 16 aprile 1952: (I.); 2)

Roma Pasqua 1951 (c.); 3) Roma Capodanno 1955 (e); 4) Roma 9 giugno 1955 (I.); 5) Roma 19 luglio 1955 (c.) 6) Roma 20 dicembre 1955 (c.).

89 -Alba DE CESPEDES: 1) Roma 18 marzo 1941 (I.); 2) Roma 8 aprile 1941 (I.).

90 -Riccardo DEL GIUDICE: Roma s.d. (b.v.). 91 -Michelangelo DE GRAZIA: 1) Rodi Garganico 30 giugno 1923 (c.); 2)

Rodi Garganico 19 maggio 1937 (I.); 3) Rodi Garganico 15 ottobre 1941 (I.); 4) Rodi Garganico 11 gennaio 1952 (I.).

92 -Idilio DELL’ERA: Siena 1952 (c.). 93 -Matteo DELLI MUTI: Foggia 16 agosto 1929 (c.). 94 -Giuseppe DE LOGRI: Venezia 15 maggio 1956 (I.). 95 -Federico DE MARIA: 1) s.l. 2 settembre 1933 (e); 2) s.l s.d. (b.v.). 96 -Mario DE MEO: Foggia s.d. (I.). 97 -Enrico DE NICOLA: s.l. s.d. (b.v.) (b.n. 7). 98 -Aldo DE RINALDIS: 1) Roma 11 agosto 1935 (c.); 2) s.1 s.d. (b.v.). 99 -Lina DE RINALDIS SFORZA: Roma 7 luglio 1941 (I.). 100 -Gino DE SANCTIS: 1) Roma 13 aprile 1942 (I.); 2) Roma 9 settembre

1942 (b.v.). 101 -G. DE RUBERTIS: 1) Roma 6 novembre 1920 (c.); 2) s.1. 27 febbraio

1929 (I.). 102 -Antony DE WITT: 1) Firenze 1 febbraio 1932 (c.); 2) Firenze 10 marzo

1932 (I.); 3) Firenze 4 marzo 1933 (c.); 4 Firenze 23 febbraio 1965 (I.). 103 -Teoerito DI GIORGIO: Siracusa 24 agosto 1929 (I.). 104 -Filippo DI PIETRO: Urbino 12 luglio 1929 (I.). 105 -Lamberto DONATI: 1) Roma 18 ottobre 1932 (I.); 2) Roma 10 novem-

bre 1952 (c.). 106 -Teodoro EHRNESTAIN: Vienna 29 ottobre 1936 (c.). 107 -Giulio EINAUDI: Torino 28 novembre 1962 (I.). 108 -Nicola FABIANO: 1) S. Nicandro Garganico 3 luglio 193( (I.); 2) S. Ni-

candro Garganico 22 maggio 1932 (I.); 3) Roma 11 giugno 1932 (c.);

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________

4) S. Nicandro Garganico 23 giugno 1932 (I.); 5) S. Nicandro Garganico 30 marzo 1933 (I.); 6) S. Nicandro Garganico 8 maggio 1933 (I.).

109 -Enrico FALQUI: 1) Roma 6 febbraio 1930 (I.); 2) Roma 1 dicembre 1930 (c.); 3) Roma 18 febbraio 1931 (c.); 4) Roma 19 marzo 1935 (c.); 5) Roma 5 novembre 1949 (I.); 6) Roma 22 febbraio 1950 (I.); 7) Roma 7 novembre (b.p.); 8) novembre (I.); 9) 23 settembre (I.).

110 -Carlo A. FELCI: Milano 27 giugno 1925 (I.). 111 -Luigi FERRARIS: Roma 30 settembre 1957 (I.). 112 -FERROVIE E TRANVIE DEL MEZZOGIORNO: 1) Roma 4 gennaio

1932 (I.); 2) Roma 21 gennaio 1932 (I.); 3) Roma 17 giugno 1933 (I.); 4) Roma 5 ottobre 1933 (I.); 5) Roma 13 ottobre 1933 (I.) (b.n. 9). La busta contiene 4 bozzetti.

113 -Nicola Costantino FESTA: Roma 13 febbraio 1936 (I.). 114 -Filippo FICHERA: 1) Bergamo 18 dicembre 1949 (I.); 2 Bergamo 30

aprile 1950 (I.); 3) Bergamo 3 giugno 1952 (I.) 4) Bergamo 20 giugno 1952 (I.); 5) Bergamo 1 gennaio 1954 (I.); 6) Bergamo 4 marzo 1954 (I.); 7) Milano 15 agosto 1958 (I.); 2) Milano 25 dicembre 1958 (I.); 9) Milano 31 marzo 1964 (I.); 10) Milano 24 agosto 1964 (I.); 11) Milano 28 set-tembre 1964 (I.).

115 -Angiolo FINI: 1) Rodi 18 settembre 1949 (I.); 2) Bari 10 settembre 1960 (I.); 3) Bari 23 maggio 1965 (I.); 4) Bari 15 giugno 1965 (I.).

116 - Domenico FIORITTO: 1) Foggia s.d. (c.); 2) Napoli 20 dicembre 1933 (b.n. 8).

117 - Francesco FLORA: 1) Napoli 18 marzo 1931 (c.); 2) Ischia 14 aprile 1952 (c.); 3) Roma 28 agosto 1952 (c.); 4) Bologna 27 aprile 1953 (I.).

118 - Luciano FOLGORE: 1) Roma 12 febbraio 1941 (c.); 2) Roma s.d. (I.). 119 - Corrado FOSCARINI: 1) Gallipoli 15 giugno 1927 (I.); 2) Gallipoli 18

settembre 1927 (I.); 3) Gallipoli 30 aprile 1929 (c.). 120 - Rodolfo M. FOTI: Firenze 14 aprile 1951 (I.). 121 - Augusto FRACCACRETA: 1) Roma 20 marzo 1952 (I.); 2) Roma 22

settembre 1953 (I.); 3) Berlino s.d. (c.). 122 - Umberto FRACCACRETA: San Severo 30 aprile 1931 (c.). 123 - Giuseppe FRANCAVILLA: Roma s.d. (I.). 124 - Emilio FIORE: Foggia 21 gennaio 1921 (c.). 125 - Renzo FRATTAROLO: 1) Roma 2 novembre 1959 (I.); 2) Roma 26 di-

cembre 1960 (I.); 3) Roma 16 dicembre 1962 (I.). 126 - Arsenio FRUGONI: 1) 30 dicembre 1957 (I.); 2) Roma 4 luglio 1958

(I.). 127 - Giuseppe GABRIELI: 1) s.l. 2 marzo 1931 (I.); 2) Roma 2 agosto 1931

(I.); 3) Roma 29 marzo 1932 (I.); 4) Roma 5 settembre 1932 (c.). 108

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI 128 - Francesco GALANTE: 1) s.l. 29 gennaio 1924 (I.); 2) Napoli 7 aprile

1924 (I.); 3) Napoli 9 settembre 1924 (I.); 4) Napoli s.d. (t.); 5) Napoli 8 agosto 1926 (I.); 6) Napoli 14 agosto 1926 (I.); 7) Napoli 28 agosto 1926 (I.); 8) Napoli 14 settembre 1926 (I.); 9) Napoli 23 settembre 1926 (I.); 10) Napoli 18 ottobre 1926 (I.); 11) Napoli 19 ottobre 1926 (I.); 12) Na-poli 1 novembre 1926 (I.); 13) Napoli 2 gennaio 1927 (I.); 14) Napoli 12 dicembre 1954 (I.).

129 - C. GALASSI PALUZZI: 1) Roma 15 febbraio 1925 (I.); 2) Roma 27 ot-tobre 1928 (I.); 3) Roma 9 dicembre 1931 (I.); 4) 8.1. 31 dicembre 1931 (I.).

130 - Antonio GALEAZZO GALEAZZI: s.l. 1919 (I.). 131 - Nino GALIMBERTI: 1) Bergamo 1 ottobre 1929 (c.); 2) Bergamo 22

novembre 1929 (c.); 3) Roma 26 luglio 1930 (c.). 132 - Alfredo GALLETTI: Bologna 30 giugno 1931 (I.). 133 - Cesare GASTALDI: Milano 3 settembre 1959 (I.). 134 - Tiberio GENNARO: 1) Chieti 18 gennaio 1921 (c.); 2) Chieti 23 gen-

naio 1921 (c.). 135 - Carlo GENTILE: Foggia 12 giugno 1952 (c.). 136 - Giovanni GENTILE: 1) Roma 12 aprile 1933 (I.); 2) Roma 16 dicembre

1936 (I.); 3) Roma 5 gennaio 1937 (I.). 137 - Vincenzo GERACE: 1) s.l. 25 maggio 1921 (I.); 2) Roma 22 luglio

1921 (c.); 3) Castellammare Alviatico 18 agosto 1921 (c); 4) Roma 5 apri-le 1922 (I.); 5) Roma 16 giugno 1926 (c.); 6) Roma 17 dicembre 1926 (c.); 7) Roma 18 gennaio 1928 (I.); 8) Roma 10 febbraio 1928 (I.); 9) Ro-ma 13 marzo 1928 (I.); 10) Roma 26 febbraio 1929 (c.); 11) Roma 6 gen-naio 1930 (c.); 13) s.l. s.d. (I.).

138 - Achille GEREMICCA: 1) s.l. 16 giugno 1923 (I.); 2) Napoli 28 agosto 1932 (I.).

139 - Michele GERVASIO: 1) Bari 24 aprile 1932 (I.); 2) Bari 31 maggio 1933 (c.); 3) Bari 12 settembre 1933 (c.); 4) Bari 24 dicembre 1933 (b.p.); 5) Bari 20 luglio 1934 (c.).

140 - Alberto Maria GHISALBERTI: Roma 11 marzo 1960 (I.). 141 - Giulio GIANELLI: 1) Roma 20 marzo 1913 (I.); 2) Ancona 25 settem-

bre 1913 (c.); 3) Rosazza (Biellese) s.d. (I.). 142 - Gaetano GIGLI: 1) Roma 17 novembre 1931 (I.); 2) Roma 11 giugno

1941 (c.). 143 - Lucia GIGLI: 1) Roma 16 ottobre 1950 (I.); 2) Roma 18 agosto 1957

(I.). 144 - Lorenzo GIGLI: 1) Torino 7 dicembre 1930 (I.); 2) Torino 11 dicembre

1930 (I.). 145 - Odoardo GIGLIOLI: 1) Firenze 17 aprile 1930 (c.); 2) Firenze 1 luglio

1930 (e); 3) Firenze 25 novembre 1930 (c.); 4) Firenze 29 gennaio 1932 (c.).

146 - Gian Pietro GIORDANA: 1) Collemontano di Spoleto 13 agosto 1932 (I.); 2) s.l. s.d. (b.v.).

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ 147 - Tullio GIORDANA: 1) s.l. 29 settembre (I.); 2) s.1. venerdì 31(I.). 148 – Sanzio GIOVANNELLI: 1) S. Benedetto del Tronto 21 dicembre 1958

(I.); 2) 8. Benedetto del Tronto 28 dicembre 1962 (I.); 3) s.l. Pasqua 1963 (I.); 4) S. Benedetto del Tronto 19 settembre 1963 (I.); 5) S. Benedetto del Tronto 9 ottobre 1963 (I.); 6) S. Benedetto del Tronto 26 maggio 1964 (l.).

149 - Lorenzo GIUSSO: Roma s.d. (I.). 150 - R. GORJUX: Bari s.d. (c.). 151 - Corrado GOVONI: 1) Roma 27 luglio 1939 (c.); 2) Roma febbraio 1941

(c.); 3) Roma 10 febbraio 1941 (c.); 4) Roma 14 marzo 1951 (I.). 152 - Virgilio GUIDOTTO: Bergamo 4 febbraio 1931 (I.). 153 - Federico HERMANIN: 1) Roma 28 dicembre 1923 (I.); 2 Roma 9 aprile

1924 (c.); 3) Roma 10 ottobre 1924 (c.); 4) Roma 26 novembre 1924 (b.v.); 5) Roma 21 dicembre 1924 (I.); 6) Roma 20 aprile 1925 (I.); 7) Roma 18 febbraio 1925 (1); 8) Roma 27 giugno 1925 (b.v.); 9) Roma 18 novembre 1925 (b.v.); 10) Roma 13 aprile 1925 (b.v.); 11) Roma 27 giu-gno 1925 (I.); 12) Roma 21 ottobre 1925 (I.); 13) Roma 11 novembre 1925 (b.v.); 14) Roma 23 febbraio 1926 (I.); 15) Roma 20 maggio 1926 (I.); 16) Roma 31luglio 1926 (I.); 17) Roma 20 ottobre 1926 (I.); 18) Ro-ma 27 novembre 1926 (I.); 19) Roma 22 dicembre 1926 (c.); 20) Roma 5 gennaio 1927 (I.); 21) Roma 1 febbraio 1927 (I.); 22) Roma 13 aprile 1927 (I.); 23) Roma 26 aprile 1927 (I.); 24) Roma 10 maggio 1927 (I.); 25 Roma 20 maggio 1927 (I.); 26 s.l. 13 giugno 1927 (I.); 27) Roma 18 giu-gno 1927 (I.); 28) Roma 18 giugno 1927 (I.); 29) Roma 11 luglio 1927 (I.); 30) Roma 19 luglio 1927 (I.); 31) Roma 8 novembre 1927 (I.); 32) Roma 10 novembre 1927 (I.); 33) Roma 10 ottobre 1927 (I.); 34) Roma 29 novembre 1927 (I.); 35) Roma 29 novembre 1927 (I.); 36) Roma 23 dicembre 1927 (I.); 37) Roma 2 gennaio 1928 (I.); 38) Roma 12 gennaio 1928 (I.); 39) Roma 28 gennaio 1928 (I.); 40) Roma 15 febbraio 1928 (I.); 41) Roma 17 marzo 1928 (I.); 42) Roma 28 marzo 1928 (I.); 43) Roma 9 aprile 1928 (I.); 44) Roma 26 aprile 1928 (I.); 45) Roma 8 maggio 1928 (I.); 46) Roma 18 maggio 1928 (I.); 47) Bari 7 luglio 1928 (c.); 48) Roma 18 agosto 1928 (b.v.); 49) Roma 28 settembre 1928 (b.v.); 50) Roma 1 ot-tobre 1928 (b.v.); 51) Roma 4 ottobre 1928 (I.); 52) Roma 16 ottobre 1928 (I.); 53) Roma 17 ottobre 1928 (I.); 54) Roma 30 ottobre 1928 (I.); 55) Roma 15 novembre 1928 (I.); 56) Bari 22 novembre 1928 (c.); 57) Bari 29 dicembre 1928 (c.); 58) Roma 1 aprile 1929 (I.); 59) s.l. 14 aprile 1929 (b.v.); 60) Roma 28 dicembre 1929 (I.); 61) Roma 14 marzo 1930 (I.); 62) Roma 7 agosto 1930 (b.v.); 63) Roma 3 giugno 1930 (I.);

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI

64) Roma 18 giugno 1931 (I.); 65) Roma 10 settembre 1931 (I.); 66) Ro-ma 10 agosto 1932 (I.); 67) s.1. 10 giugno (b.v.) 68) s.l. s.d. (b.v.); 69) s.l. s.d. (I.); 70) s.l. s.d. (b.v.).

154 - Arthur M. HIND: s.l. 3 ottobre 1946 (I.). 155 - Tomaso IACOANGELI: 1) s.l. 18 giugno 1928 (I.); 2) s.l. 2 giugno

1928 (I.); 3) Roma 21 marzo 1929 (I.). 156 - Renato IAVARONE: 1) s.l. 1 maggio 1924 (I.); 2) Roma 1 settembre

1926 (I.). 157 - Enrico IRMICI: s.l. 17 febbraio 1921 (b.v.). 158 - ISTITUTO ITALIANO ARTI GRAFICHE: Bergamo 2 maggio 1917

(I.). 159 - ISTITUTO NAZIONALE LUCE: Roma 26 giugno 1934 (I.) 160 - Jules G. KIRALY: s.l. s.d. (b.v.). 161 - Rosario IURLARO: Brindisi 8 gennaio 1964 (I.). Allegata una lettera di

Petrucci: Roma 25 dicembre 1963 162 - Rosario LABADESSA: Roma 4 maggio 1937 (I.). 163 - Arturo LANCELLOTTI: 1) Roma 6 settembre 1926 (c.); 2 Roma 9 ot-

tobre 1926 (c.). Allegata lettera di Petrucci: Roma 9 gennaio 1927. 164 - Giovanni LA SELVA: 1) S. Marco in Lamis 3 febbraio 1929 (I.); 2) S.

Marco in Lamis 8 aprile 1929 (I.). 165 - Saverio LA SORSA: 1) Bari 25 marzo 1924 (c.); 2) Bari 25 ottobre

1930 (c.); 3) Bari 22 dicembre 1930 (c.); 4) Bari 19 settembre 1951 (c.); 5) Bari 25 settembre 1955 (c.); 6) Bar 3 dicembre 1963 (I.); 7) Bari s.d. (c.).

166 - Giuseppe LATERZA: Bari 18 aprile 1921 (I.). 167 - Emilio LAVAGNINO: Roma 20 ottobre (I.). 168 - Nadina LAVIANO: 1) Gallipoli 3 marzo 1925 (I.); 2) Gallipoli 17 mar-

zo 1925 (I.); 3) Gallipoli 21 marzo 1925 (I.). 169 - Ester LOIODICE: 1) Foggia 28 gennaio 1928 (I.); 2) Foggia

8 febbraio 1932 (I.); 3) Foggia febbraio 1933 (I.); 4) Milano 24 giugno 1933 (I.); 5) Foggia 7 luglio 1933 (I.).

170 - A. LOMBARD: Neuchatel 1935 (I.). 171 - Momo LONGARELLI: 1) s.l. 11 giugno 1918 (c.); 2) Ancona 1 giugno

1922 (c.). 172 - Roberto LONGHI: 1) Firenze 11 gennaio 1955 (I.); 2) Firenze 14 aprile

1955 (I.). 173 - Aldo LUSINI: Siena 13 maggio 1959 (I.). 174 - Alessandro LUZIO: Mantova 12 agosto 1938 (c.). 175 - Eugenio MACCAGNANI: s.l. s.d. (I.). 176 - Mino MACCARI: s.l. 23 settembre 1965 (I.). 177 - Maffio MAFFII: Firenze 30 dicembre 1940 (I.). 178 - Giorgio MAGGIONI: Roma 29 marzo 1956 (I.). 179 - Domenico MAGGIORE: 1) Napoli 9 febbraio 1933 (I.); 2) Foggia 3 a-

prile 1933 (c.); 3) Napoli 27 giugno 1933 (I.); 4) Napoli 15 gennaio 1951 (I.).

180 - Guido MARANGONI: Milano 2 giugno 1926 (c.).

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________

181 -Matteo MARANGONI: Roma 1 marzo 1925 (I.). 182 -Francesco MARATEA: 1) Como 9 ottobre 1914 (I.); 2) Roma 31 dicem-

bre 1958 (b.p.). 183 -Filippo Tommaso MARINETTI: Capri 20 agosto (c.). 184 -Ottavio MARINI: s.1. 30 maggio 1925 (b.v.). 185 -Gaetano MARTINEZ: 1) Roma 10 giugno 1926 (b.p.); 2) Galatina 7 a-

gosto 1926 (c.); 3) Galatina 10 agosto 1926 (c.) 4) Roma 27 agosto 1926 (c.); 5) Galatina 6 ottobre 1926 (c.) 6) Roma 23 ottobre 1926 (b.p.); 7) s.l. s.d. (I.).

186 -Arcangelo MASOTTI: Bari 21 ottobre 1941 (I.). 187 -Guido MASTROPASQUA: 1) Roma 18 ottobre 1925 (I.); 2) Roma 21

novembre 1925 (I.); 3) Roma 14 febbraio 1926 (I.) 4) Roma 28 febbraio 1926 (I.); 5) Roma 28 marzo 1927 (b.v.); 6) Roma 7 novembre 1927 (I.); 7) Roma 14 novembre 1927 (I.); 8) Roma 24 gennaio 1933 (I.); 9) Roma 24 dicembre 1934 (I.).

188 -Nunzietta MASTROVALERI: S. Menaio 8 luglio 1914 (c.) 189 -Luciano MATARAZZO: Roma 4 novembre 1933 (I.). 190 -Evelino MELCHIONDA: 1) Firenze 5 aprile 1965 (I.);2) Firenze 17

maggio 1965 (I.); 3) Firenze 14 giugno 1965 (I.). 4) Firenze 7 dicembre 1965 (I.).

191 -Salvatore MININNI: Roma 8 aprile 1931 (I.). 192 -Vincenzo MODONI: Lecce 10 dicembre 1930 (c.). 193 -Ottorino MODUGNO: Roma 12 gennaio 1931 (I.) (b.n. 10). Allegato

frontespizio a stampa dell’opera: « Ottorino Modugno: Il poema di Rossa-na ».

194 -Corradina MOLA: Milano 20 gennaio 1939 (I.). 195 -Enrico MOLE’: 1) Roma s.d. (b.v.); 2) Roma 25 novembre (b.v.); 3)

Roma 1 gennaio 1958 (b.v.). 196 -Giorgio MORANDI: 1) Bologna 9 luglio 1951 (I.); 2) Bologna 2 agosto

1953 (I.). 197 -Riccardo MORBELLI: Roma 18 ottobre 1960 (I.). 198 -Margherita MORCALDI PISTORESI: Roma 8 giugno 1951. 199 -Marino MORETTI: 1) Cesenatico 29 agosto 1914 (c.); 2) Roma 13 gen-

naio 1918 (c.); 3) Cesenatico 12 febbraio 1921 (c.); 4) Cesenatico 18 di-cembre 1940 (I.); 5) Senigallia 10 luglio 1948.

200 -Raffaello MORGHEN: 1) Roma 20 marzo 1957 (I.); 2) Roma 19 ottobre 1960 (I.).

201 -Ciccio MOSCA: Bologna 14 aprile 1931 (I.) (b.n. 11). 202 -Nicola MOSCARDENI: 1) Roma 13 settembre 1921 (c.); 2) Roma 9

giugno 1931 (c.); 3) Ofena 1 agosto 1941 (I.); 4) Roma s.d. (I.). 203 -Giacomo NEGRI: Torremaggiore 10 ottobre 1931 (I.). Allegata fotogra-

fia dell’opera: « Giocatore di pallone: ‘Parata’ ». 204 -Francesco NEGRO: Roma 30 luglio 1931 (I.).

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI

205 - Asbite Ezio NEPI: Roma 18 febbraio 1953 (I.). 206 - Giorgio NICODEMI: 1) Milano 29 aprile 1957 (I.); 2) Milano 25 set-

tembre 1957 (I.); 3) Milano 24 marzo 1958 (I.); 4) s.l. 24 maggio 1958 (I.); 5) Milano 20 giugno 1958 (I.); 6) Milano 25 aprile 1959 (I.); 7) Mila-no 19 dicembre 1960 (I.); 8) Milano 7 novembre 1961 (I.); 9) Milano 24 dicembre 1963 (I.).

207 - Giuseppe NICOLI: Bergamo 24 ottobre 1950 (I.). 208 - Giuseppe NOTARNICOLA: 1) Alberobello 16 marzo 1925 (c.); 2) Bari

17 maggio 1927 (c.). 209 - Antonio NUNOZ: s.l. 13 giugno 1953 (I.). 210 - Ugo OIETTI: 1) Firenze 14 luglio 1922 (I.); 2) Firenze 21 novembre

1931 (I.); 3) Firenze 19 marzo 1935 (c.) (b.n. 12). 211 - Vincenzo OLIVIERI: s.l. 12 maggio 1961 (1). 212 - Aldo OLSHKI: Firenze 4 dicembre 1952 (I.). 213 - Paolo ORANO: 1) Siena 17 marzo 1914 (I.); 2) Siena 20 giugno 1914

(I.); 3) Perugia 5 dicembre (c.). 214 - Ramiro ORTIS: 1) Bucarest 18 aprile 1931 (c.); 2) Bucarest 27 aprile

1931 (c.). 215 - Giulio PAGLIANO: 1) Gallipoli 24 marzo 1924 (I.); 2) Gallipoli 10 a-

prile 1924 (I.); 3) Gallipoli 24 aprile 1924 (I.); 4) Gallipoli i maggio 1924 (I.); 5) Gallipoli 1 maggio 1924 (c.); 6) Gallipoli 21 maggio 1924 (I.); 7) Gallipoli 26 maggio 1924 (c.); 8) Gallipoli 17 luglio 1924 (I.); 9) Gallipoli 21 luglio 1924 (I.); 10) Gallipoli 1 agosto 1924 (I.); 11) Gallipoli 15 ago-sto 1924 (I.); 12) Gallipoli 5 settembre 1924 (I.); 13) Gallipoli 23 settem-bre 1924 (I.); 14) Gallipoli 6 giugno 1926 (I.); 15) Gallipoli 7 agosto 1926 (c.); 16) Gallipoli 29 luglio 1926 (c.); 17) Gallipoli 19 agosto 1926 (I.); 18) GaIlipoli 24 agosto 1926 (I.); 19) Gallipoli 4 settembre 1926 (I.); 20) Gallipoli 9 settembre 1926 (I.); 21) Gallipoli 29 settembre 1926 (I.); 22) Gallipoli 13 ottobre 1926 (I.); 23) Gallipoli 16 ottobre 1926 (I.); 24) Gal-lipoli 31 ottobre 1926 (I.); 25) Gallipoli 22 novembre 1926 (I.); 26) Galli-poli 14 novembre 1926 (c.); 27) Gallipoli 22 novembre 1926 (I.); 28) Gal-lipoli 31 maggio 1927 (I.); 29) Gallipoli 18 giugno 1927 (I.); 30) Gallipoli 29 marzo 1929 (I.); 31) Gallipoli 23 ottobre 1929 (c.); 32) Gallipoli 12 maggio 1930 (e). (b.n. 13).

216 - Michele PALMIERI: 1) Bari 24 novembre 1968 (I.); 2) Bari 30 novem-bre 1968 (I.).

217 - Michele PALUMBO: 1) Lecce 4 aprile 1924 (c.); 2) Lecce 8 aprile 1924 (I.); 3) Lecce 4 agosto 1924 (I.).

218 - Pier Fausto PALUMBO: Bari 25 luglio 1957 (I.). 219 - Pietro PANCRAZI: S.1. 6 ottobre 1952 (I.). 220 - F. PAOLIERI: Firenze 5 dicembre 1914 (c.). 221 - Savino PAPALIA: Roma s.d. (I.). 222 - Giuseppe PAPIANI: Roma 12 giugno 1938 (c.).

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________

223 - Gino PARENTI: Venezia 14 giugno (I.). 224 - Achille PELLIZZARI: Genova 5 aprile 1928 (I.). 225 - Giovanni PENSA: Roma 12 settembre 1953 (I.). 226 - Raffaele Pio PETRILLI: 1) Roma 7 aprile 1950 (I.); 2) Roma 26 dicem-

bre 1951 (I.); 3) Roma 11 marzo 1953 (I.); 4) Roma 7 maggio 1956 (I.); 5) Roma 25 dicembre 1957 (b.p.); 6) Roma 31 marzo 1959 (b.v.); 7) Roma 23 dicembre 1960 (b.p.).

227 - Guglielmo PETRONI: Roma s.d. (I.). 228 - Armando PETRUCCI (fratello): i) Foggia 26 maggio 1923 (I.); 2) New

York 2 febbraio 1931 (I.).. 229 - Michele PETRUCCI: Roma 31 gennaio 1921 (I.) (b.n. 13). 230 - Silvio PETRUCCI: 1) Fronte 9 novembre 1917 (c.); 2) Fronte 12 no-

vembre 1917 (c.); 3) Fronte 13 novembre 1917 (c.); 4) Fronte 13 novem-bre 1917 (c.); 5) Fronte 14 novembre 1917 (c.); 6) Fronte 16 novembre 1917 (c.); 7) Fronte 19 novembre 1917 (c.); 8) Fronte 19 novembre 1917 (c.); 9) Fronte 23 novembre 1917 (c.); 10) Fronte 26 novembre 1917 (c.); 11) Fronte 30 novembre 1917 (c.); 12) Fronte 2 dicembre 1917 (c.); 13) Fronte 9 dicembre 1917 (c.); 14) Fronte 20 dicembre 1917 (c.).

231 - Diego PETTINELLI: Roma 2 ottobre 1962 (I.). 232 - Ferdinando PICCININO: Torremaggiore 22 luglio 1922 (c.). 233 - Francesco PICCOLO: 1) Lucera 26 dicembre 1920 (c.); 2) La Spezia 13

gennaio 1921 (c.); 3) La Spezia 25 febbraio 1921 (c.); 4) La Spezia 4 apri-le 1921 (c.); 5) La Spezia 12 maggio 1921 (c.); 6) Oneglia 12 gennaio 1925 (c.); 7) Roma 22 febbraio 1935 (I.); 8) Roma 6 ottobre 1940 (I.).

234 - Enrico PICENI: 1) Milano 18 giugno 1963 (I.); 2) Milano 11 novembre 1963 (I.); 3) Milano 4 luglio 1964 (I.); 4) Milano 20 luglio 1964 (I.).

235 - Giuseppe Mario PILO: 1) Bassano del Grappa 7 ottobre 1963 (I.); 2) Bassano del Grappa 22 maggio 1964 (I.).

236 - Giuseppe PILONE: 1) Foggia 22 novembre 1926 (I.); 2) Foggia 28 no-vembre 1926 (I.); 3) Foggia 10 dicembre 1926 (I.); 4) Foggia 10 febbraio 1927 (I.); 5) Foggia 19 febbario 1927 (I.); 6) Foggia 22 febbraio 1927 (I.); 7) Foggia 27 febbraio 1927 (I.); 8) Foggia 2 marzo 1927 (I.); 9) Foggia 13 marzo 1927 (I.); 10) Foggia 1 aprile 1927 (I.); 11) Foggia 22 maggio 1927 (I.); 12) Foggia 4 giugno 1927 (I.); 13) Foggia 6 luglio 1927 (I.); 14) Fog-gia 19 ottobre 1927 (I.); 15) Foggia 4 novembre 1927 (I.); 16) Foggia 28 gennaio 1928 (I.); 17) Foggia 29 ottobre 1928 (I.); 18) Foggia 7 marzo 1929 (I.); 19) Foggia 15 marzo 1929 (I.); 20) Foggia 9 maggio 1929 (I.); 21) Foggia 31 maggio 1929 (I.); 22) Foggia 22 luglio 1929 (I.); 23) Fog-gia 20 settembre 1929 (I.); 24) Foggia 3 dicembre 1929 (I.); 25) Foggia 27 dicembre 1929 (I.); 26) Foggia 17 febbraio 1930 (I.); 27) Foggia 14 mag-gio 1930(I.); 28) Foggia s.d. (c.); 29) Foggia s.d. (b.v.); 30) Foggia s.d. (b.v.); 31) Foggia s.d. (t.).

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI

237 - Pietro (padre) PIRRI: 1) Roma 4 giugno 1953 (I.); 2) Roma 14 dicembre 1953 (I.); 3) Roma 26 aprile 1962 (I.); 4) Roma 4 luglio 1962 (I.); 5) Ro-ma 17 febbraio 1965 (I.).

238 - Raffaele PISSACROIA: 1) Taranto 11 giugno 1950 (I.); 2) s.l. s.d. (I.); 3) s.l. s.d. (I.).

239 - G. PITTA: 1) Lucera 11 marzo 1913 (c.); 2) Sansevero 20 ottobre 1928 (I.).

240 - Nicola PITTA: 1) Apricena 25 luglio 1933 (I.); 2) Apricena 17 settem-bre 1933 (I.); 3) Apricena 7 dicembre 1958 (I.); 4) Apricena 4 ottobre 1965 (I.). Allegato un tema di Francesco Florio studente di II media su un articolo di Petrucci: « L’antica arte del telaio »; Messaggero di Roma 3.8.1965.

241 - Mario PITTALUGA: 1) Firenze 20 marzo 1930 (c.); 2) Firenze 25 otto-bre 1930 (I.); 3) Firenze 12 aprile 1951 (I.); 4) Firenze 14 aprile 1953 (I.); 5) Firenze 27 giugno 1963 (I.); 6) Firenze 12 luglio 1963 (I.); 7) Firenze 18 maggio 1964 (I.); 8) Vallombrosa 30 agosto 1964 (I.); 9) s.l. s.d. (I.).

242 - Ernesto PONTIERI: 1) Napoli 16 marzo 1956 (I.); 2) Napoli 10 giugno 1956 (I.); 3) Napoli 22 giugno 1956 (I.).

243 - Amadore PORCELLA: s.1. s.d. (b.v.). 244 - Fernando PORFIRI: Roma 16 novembre 1954 (I.). 245 - Giovanni PRATICO’: Mantova 26 agosto 1953 (I.). 246 - Carlo Felice PRENCIPE: Potenza 22 gennaio 1926 (I.). 247 - Umberto PRENCIPE: s.l. 17 febbraio 1961 (I.). 248 - Mario PUCCINI: 1) Senigallia 17 luglio 1942 (c.); 2) Formia 6 giugno

1952 (I.); 3) Roma 11febbraio (I.); 4) s.l. s.d. (b.v.); 5) s.l. s.d. (b.v.); 6) s.l. s.d. (b.v.); 7) s.l. s.d. (b.v.); 8) s.1. s.d. (b.v.).

249 - Filippo Maria PUGLIESE: 1) Lecce 11 ottobre 1947 (I.); 2) Lecce 16 febbraio 1948 (I.); 3) Lecce aprile 1952 (I.).

250 - Giuseppe RASI: Milano 6 giugno 1927 (I.). 251 - Corrado RICCI: 1) Roma 29 marzo 1931 (I.); 2) Roma 18 novembre

1932 (I.); 3) Roma 9 luglio 1951 (c.) (b.n. 14). 252 - Domenico RICCI: 1) Mondano 5 settembre 1919 (I.); 2) Orvieto 3 no-

vembre 1920 (c.); 3) Ancona 23 aprile 1923 (c.); 4) Ancona 28 maggio 1923 (c.); 5) Ancona 8 aprile 1924 (c.); 6) Ancona 24 gennaio 1931 (c.); 7) Ancona 2 aprile 1931 (c.); 8) Ancona 19 aprile 1931 (c.); 9) Roma 11 ottobre 1941 (c.).

253 - Mario RIVOSECCHI: 1) Roma 14 febbraio 1964 (I.); 2) Roma 9 gen-naio 1965 (I.). 254 - Antonio RIZZO: 1) Taranto 20 dicembre 1949 (I.); 2) Taranto 22 maggio 1950 (I.); 3) Taranto 8 agosto 1950 (I.); 4) Taranto 21 ottobre 1965 (I.); 5) Taranto 26 aprile 1968(I.); 6) Taranto 4 maggio 1968 (I.); 7) Taranto 17 gennaio 1969 (l.).

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________

255 - Francesco ROMANO: 1) Gioia del Colle 23 maggio 1917 (c.); 2) Gioia del Colle 8 febbraio 1921 (I.); 3) Gioia del Colle 30 dicembre 1922 (c.).

256 - Rosso di San Secondo: 1) Lido di Camajore 18 novembre 1940 (I.); 2) Lido di Camajore 5 dicembre 1940 (I.); 3) Lido di Camajore 23 giugno 1941 (b.v.); 4) Lido di Camajore 10 luglio 1941 (I.); 5) Lido di Camajore 18 agosto 1941 (I.); 6) Lido di Camajore 24 luglio 1942 (I.); 7) s.l. s.d. (b.v.); 8) s.l. s.d. (b.v.).

257 - Alberico SALA: Bergamo s.d. (I.). 258 - Mario SALMI: 1) Milano 5 maggio 1922 (I.); 2) Firenze 10 marzo 1933

(c.); 3) Firenze 6 gennaio 1953 (I.); 4) Roma 15 marzo 1954 (I.); 5) Roma 1 gennaio 1955 (I.); 6) Firenze 1 febbraio 1955 (I.); 7) Roma 8 aprile 1957 (I.); 8) Roma 22 marzo 1963 (I.); 9) Porto S. Stefano 30 giugno 1963 (I.); 10) Arezzo 21 maggio 1965 (I.).

259 - Gina SALZA BOSCO: 1) Roma 21 giugno 1939 (I.); 2) Roma 15 luglio 1939 (I.).

260 - Fausto SALVATORI: Roma 24 febbraio 1924 (I.). 261 - Sergio SAMEK-LUDOVICI: 1) Modena 13 maggio 1953 (I.); 2) Mode-

na 19 luglio 1953 (I.); 3) Modena 29 novembre 1957 (I.). 262 - Rodolfo SANTOLLINO: 1) Foggia 11 giugno 1923 (I.); 2) s.l. 7 luglio

1931 (I.); 3) Foggia 25 dicembre 1951 (c.); 4) Foggia 12 maggio 1932 (I.). 263 - Michele SAPONARO: 1) Milano 17 febbraio 1921 (c.); 2) Milano 1 di-

cembre 1940 (c.); 3) Milano 3 febbraio 1941 (c.). 264 - Francesco SAPORI: 1) Macerata 18 febbraio 1914 (c.); 2) Macerata 26

giugno 1914 (c.); 3) Roma 5 luglio 1921 (c.); 4) Roma 24 aprile 1922 (I.); 5) Roma 26 maggio 1923 (I.); 6) s.l. 27 febbraio 1925 (b.v.); 7) Roma 5 dicembre 1927 (I.); 8) Roma 18 marzo 1941 (I.); 9) Roma 19 luglio 1941 (I.); 10) Roma 1 ottobre 1941 (I.); 11) s.1. 27 ottobre 1941 (b.v.); 12) Ro-ma 21 gennaio 1942 (I.); 13) Roma 13 aprile 1942 (I.); 14) Firenze 22 a-prile 1942 (I.); 15) Firenze 25 luglio 1942 (I.); 16) s.l. 1 agosto 1942 (I.); 17) Roma 16 settembre 1942 (I.); 18) Roma 10 ottobre 1942 (I.); 19) Ro-ma 28 maggio (I.); 20) s.l. 5 maggio (I.); 21) s.l. s.d. (b.v.) (b.n. 15).

265 - Nino SAVARESE: Enna 22 dicembre (I.). 266 - Piero SCARPA: Roma 17 novembre 1952 (I.). 267 - Ignazio SCATURRO: 1) Roma 19 maggio 1931 (I.); 2) Roma 18 otto-

bre (I.); 3) s.l. s.d. (I.); 4) Roma 15 luglio 1952 (I.). 268 - Luigi SCHINGO: 1) Molfetta 14 aprile 1924 (I.); 2) Molfetta 7 settem-

bre 1926 (c.); 3) Molfetta 30 ottobre 1926 (c.); 116

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO PETRUCCI

4) Salerno 28 settembre 1929 (I.); 5) Molfetta 18 dicembre 1930 (c.); 6) s.l. 26 dicembre 1930 (I.); 7) Molfetta 6 gennaio 1931 (c.); 8) Molfetta 24 gennaio 1931 (c.); 9) San Severo 8 gennaio 1933 (c.); 10) San Severo 26 giugno 1933 (c); 11) San Severo 19 settembre 1933 (I.); 12) Lamiano 9 febbraio 1935 (c.).

269 - Giuseppe SCIORTINO: Roma 27 ottobre 1942 (I.). 270 - Leopoldo SEBASTIANI: Bari 13 aprile 1922 (c.). 271 - Eugenio SELVAGGI: 1) Lecce 31 gennaio 1921 (I.); 2) Manduria 22

marzo 1926 (I.); 3) Napoli 13 aprile 1926 (I.); 4) Manduria 19 aprile 1926 (c.); 5) Lecce 13 maggio 1926 (c.); 6) Roma 12 aprile 1952 (I.); 7) Roma 18 maggio 1952 (I.). Allegate n. 4 schede di articoli di A. Petrucci.

272 - Cristanziano SERRICCHIO: 1) Manfredonia li giugno 1950 (I.); 2) Manfredonia 20 gennaio 1951 (I.); 3) Manfredonia 18 febbraio 1952 (I.); 4) Manfredonia 2 dicembre 1952 (I.); 5) Manfredonia 9 settembre 1953 (I.); 6) Napoli 10 luglio 1954 (I.); 7) Manfredonia 16 aprile 1957 (I.); 8) Manfredonia 22 dicembre 1962 (I.); 9) Manfredonia 21febbraio 1965 (I.); 10) Manfredonia Pasqua 1967 (I.); 11) Manfredonia 25 dicembre 1968 (I.).

273 - Luigi SERVOLINI: 1) s.l. 5 marzo 1930 (c.); 2) Livorno Pasqua 1931 (c.); 3) Livorno 26 luglio 1931 (e); 4) Livorno 25 dicembre 1931 (c.); 5) Urbino 14 gennaio 1932 (c.); 6) Urbino 20 gennaio 1933 (c.).

274 - Salvatore SIBILIA: Anagni 20 aprile 1950 (I.). 275 - Mario SIMONE: 1) Roma 13 marzo 1929 (c.); 2) Roma 12 maggio 1929

(I.); 3) Roma 6 luglio 1932 (I.); 4) Foggia 19 febbraio 1933 (I.); 5) Foggia 25 settembre 1933 (I.); 6) Foggia 28 settembre 1933 (I.); 7) Foggia 14 ot-tobre 1933 (I.); 8) Foggia 2 novembre 1933 (I.); 9) Foggia 31 marzo 1934 (I.); 10 Foggia 1 agosto 1934 (I.); 11) s.l. s.d. (I.).

276 - Pasquale SOCCIO: 1) S. Marco in Lamis 24 luglio 1931 (I.); 2) S. Mar-co in Lamis 24 novembre 1934 (I.); 3) S. Marco in Lamis 19 dicembre 1934 (I.); 4) Roma 10 aprile 1935 (c.); 5) Roma 22 ottobre 1935 (c.); 6) Roma 29 ottobre 1935 (c.); 7) Roma 13 novembre 1935 (c.); 8) S. Marco in Lamis 30 dicembre 1935 (I.); 9) S. Marco in Lamis 16 luglio 1936 (I.); 10) S. Marco in Lamis 14 luglio 1937 (I.); 12) S. Marco in Lamis 3 mag-gio 1938 (I.); 12) 5. Marco in Lamis 10 maggio 1938 (c.); 13) Lucera 24 gennaio 1941 (b.v.); 14) Lucera 19 gennaio 1961 (I.); 15) Lucera 15 feb-braio 1964 (I.); 16) Lucera 5 dicembre 1964 (I.); 17) Lucera 10 marzo 1965 (I.); 18) Lucera 15 marzo 1965 (I.); 19) Lucera 6 ottobre 1965 (I.); 20) Lucera 19 gennaio 1968 (I.); 21) Lucera 22 giugno 1968 (I.).

277 - Ardengo SOFFICI: 1) Poggio a Caiano 13 marzo 1941 (I.); 117

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________

2) Poggio a Calano 19 novembre 1941 (I.); 3) Poggio a Caiano 20 giugno 1942 (b.v.).

278 - Giacinto SPAGNOLETTI: 1) Taranto 9 febbraio 1947 (I.). 2) Taranto 23 giugno 1947 (I.); 3) Mozzano (Parma) 1 agosto 1947 (c.); 4) Mozzano 3 settembre 1947 (I.); 5) Parma ottobre 1947 (I.); 6) Taranto 7 ottobre 1947 (c.); 7) Taranto 14 ottobre 1947 (I.); 8) Milano 9 dicembre 1947 (c.); 9) Milano 26 maggio 1948 (I.).

279 - Alberto SPAINI: 1) Bologna 11febbraio 1942 (b.v.); 2) Roma 11 gen-naio 1961 (I.); 3) Bologna 2 luglio (b.v.); 4) s.l. 28 giugno (I.); 5) Roma 14 agosto (I.).

280 - Raffaele SPATOCCO: Chieti 16 agosto 1946 (I.). 281 - Vittorio SPINAZZOLA: Milano i maggio 1942 (I.). 282 - Gaetano SPINELLI: 1) Firenze 5 aprile 1924 (I.); 2) Firenze 16 aprile

1924 (I.); 3) Firenze 30 aprile 1924 (I.); 4) Firenze 1 giugno 1924 (L); 5) Firenze 9 giugno 1924 (I.); 6) Firenze 6 luglio 1924 (I.); 7) Firenze 21 a-gosto 1924 (c.); 8) Firenze 24 settembre 1924 (I.); 9) Firenze 1 settembre 1926 (I.) 10) Firenze 8 settembre 1926 (c.); 11) Firenze lunedì 27 settem-bre 1926 (c.); 12) Firenze 2 novembre 1926 (I.); 13) Firenze 30 novembre 1926 (c.); 14) Firenze 15 novembre 1926 (c.).

283 - Jacques STIENNON: 1) Liegi 2 dicembre 1963 (I.); 2) Liegi 6 gennaio 1964 (I.). Allegata una lettera di A. Petrucci: Roma 3 marzo 1964.

284 - Filippo SURICO: 1) Roma 8 giugno 1925 (c.); 2) Roma 6 gennaio 1926 (c.); 3) Roma 2 marzo 1931 (I.).

285 - Oiva Joh. TALLGREN-TUNLIO: 1) Helsinki 27 novembre 1931 (I.); 2) Helsinki s.d. (b.v.).

286 - Alberto TALLONE: Alpignano 29 dicembre 1958 (I.). 287 - Mario TARONNA: Foggia 14 aprile 1935 (I.). 288 - Laura TERRACCIANO: s.l. 4 dicembre 1954 (I.). 289 - Adriano TILGHER: 1) s.l. 3 giugno 1931 (I.); 2) s.l. 20 gennaio 1932

(I.); 3) Roma s.d. (I.); 4) s.l. s.d. (I.). 290 - Eugenio TINTO: 1) s.l. 21 settembre 1929 (I.); 2) Bologna 12 ottobre

1934 (I.); 3) s.l. s.d. (I.). 291 - Pietro TOESCA: 1) Roma 17 febbraio 1933 (I.); 2) Roma 26 febbraio

1935 (I.). 292 - Fabio TOMBARI: Genova 10 gennaio 1941 (c.). 293 - Luigi TONELLI: 1) Parma 9 gennaio 1931 (c.); 2) Parma 13 gennaio

1931 (c.); 3) Parma 21 gennaio 1931 (I.); 4) Parma 26 gennaio 1931 (c.); 5) Parma 8 aprile 1931 (b.v.); 6) Parma 18 novembre 1931 (c.); 7) s.l. 1931-1932 (c.); 8) Roma 13 dicembre 1932 (c.) (b.n. 16).

294 - Walter TOSCANINI: Milano 7 marzo 1923 (I.). 295 - Orazio TOSCHL: 1) Arezzo 22 gennaio 1922 (c.); 2) Arezzo 23 novem-

bre 1923 (c.); 3) Arezzo 20 maggio 1924 (c.); 4) Arezzo 8 maggio1929 (c.); 5) San Sepolcro 14 agosto 1929 (I.); 6) Arezzo 1 novembre 1930 (c.);

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI

7) Arezzo 10 gennaio 1931 (I.); 8) Arezzo 15 febbraio 1931 (c.); 9) Arez-zo 26 ottobre 1932 (c.); 10) Arezzo 10 dicembre 1932 (e); 11) Arezzo 30 gennaio 1933 (c.); 12) Conegliano 11 settembre 1945 (I.); 13) Firenze 16 giugno 1950 (I.); 14) Firenze 14 gennaio 1952 (I.); 15) Arezzo 28 aprile 1952 (c.); 16) Firenze 20 febbraio 1952 (I.); 17) Ovaro (Udine) 7 luglio 1960 (I.); 18) Firenze 21 aprile 1964 (I.); 19) Firenze 19 gennaio 1965 (b.v.); 20) Firenze 10 luglio 1966 (b.v.); 21) Firenze s.d. (b.v.).

296 - Paolo TOSCHI: 1) Livorno 13 gennaio 1929 (I.); 2) Livorno 8 ottobre 1930 (I.); 3) Livorno 16 novembre 1930 (c.); 4) Livorno 18 gennaio 1931 (I.); 5) Livorno 4 febbraio 1931 (I.); 6) Livorno 12 febbraio 1931 (c.); 7) Livorno 20 febbraio 1931 (c.); 8) Livorno 8 marzo 1931 (c.); 9) Roma 27 giugno 1950 (I.).

297 - Carlo TRIDENTI: Roma 24 novembre 1946 (I.). 298 - Pietro Paolo TROMPEO: 1) Roma 13 giugno 1947 (I.); 2) s.l. s.d. (b.v.). 299 - Luigi TUCCI: i) Foggia 28 settembre 1929 (h.p.); 2) Foggia 26 febbraio

1930 (b.p.); 3) Foggia 11 gennaio 1931 (I.). 300 - Calogero TUMMINELLI: Milano 10 febbraio 1929 (I.). 301 - Giuseppe TUSIANI: 1) New York 30 marzo 1951 (I.); 2) New York 21

giugno 1952 (I.); 3) New York 10 luglio 1953 (I.); 4) New York 30 aprile 1955 (I.); 5) New York 5 ottobre 1955 (I.) (b.n. 17).

302 - Filippo UNGARO: 1) Roma 6 novembre 1960 (I.); 2) Roma 13 giugno 1969 (I.).

303 - Domenico VALENTINI-VISTA: Foggia 15 marzo 1931 (I.). 304 - Diego VALERI: 1) Venezia 21 dicembre 1952 (I.); 2) Venezia 22 aprile

1953 (I.); 3) Padova 10 maggio 1954 (c.); 4) Venezia 25 settembre 1954 (c.); 5) Venezia 1 maggio (c.).

305 - Jean VALLERY-RADET: 1) Parigi 31 agosto 1953 (I.); 2) Parigi 18 febbraio 1956 (I.); 3) Parigi 9 giugno 1956 (I.).

306 - Aldo VALLONE: 1) Galatina 5 agosto 1950 (c.); 2) Roma 22 gennaio 1951 (c.); 3) Roma 17 novembre 1951 (c.); 4) s.1. 24 aprile 1952 (c.); 5) Roma 15 luglio 1954 (I.); 6) Galatina 28 giugno 1956 (c.); 7) Galatina 30 luglio 1956 (c.); 8) s.l. 7 marzo 1959 (I.); 9) Galatina 5 ottobre 1959 (I.); 10) Roma 7 settembre 1960 (I.); 11) s.I. 7 ottobre 1960 (I.).

307 - Alfredo VANNI: Roma 14 luglio 1931 (I.). 308 - Alessandro VARALDO: Roma 6 marzo 1941 (c.). 309 - Tommaso VENTRELLA: Ischitella 26 luglio 1.953 (I.). 310 - Lionello VENTURJ: 1) Roma 5 gennaio 1950 (I.): 2) Roma 24 novem-

bre 1951 (I.); 3) Roma 13 febbraio 1953 (I.) (b.n. 18). 311 - Nicola VERNIERI: 1) Roma 29 settembre 1933 (I.); 2) Roma 9 nove- 119

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________

mbre 1933 (I.); 3) Roma 7 aprile 1941 (I.); 4) Roma s.d. (b.v.). Allegata la poesia « Vento sull’aula ».

312 - Renato VERNOLA: 1) Foggia 4 ottobre 1931 (c.); 2) Foggia 12 ottobre 1931 (c.); 3) Foggia 13 ottobre 1931 (I.); 4) Foggia 14 ottobre 1931 (I.); 5) Foggia 21 marzo 1932 (c.); 6) Foggia 1 aprile 1932 (c.); 7) Foggia 5 di-cembre 1932 (c.) (b.n. 19).

313 - Ettore VERNON: Gallipoli 19 maggio 1930 (I.). 314 - Renè VINCENTI: Roma 29 gennaio 1952 (I.). 315 - Cesare Giulio VIOLA: 1) Roma 9 aprile 1929 (I.); 2) s.1. 14 marzo

1941 (I.); 3) Roma 28 giugno 1947 (I.). 316 - Alfredo VIOLANTE: 1) Bari 18 maggio 1914 (I.); 2) Milano 20 luglio

1927 (I.); 3) Milano 11 aprile 1931 (I.). 317 - Michele VITERBO: 1) Roma i giugno 1922 (c.); 2) Bari 26 aprile 1930

(I.) (b.n. 20). 318 - Michele VOCINO: Roma 21 marzo 1923 (I.). 319 - Leo WOLLEMBORG: Padova 11 settembre 1932 (c.). 320 - Giuseppe ZUCCA: Roma 19 gennaio 1954 (I.).

LETTERE DI ALFREDO PETRUCCI A MARIO SIMONE. (Dall’Archivio di Mario Simone). 1) Roma 10 gennaio 1936 (c.); 2) Roma 30 dicembre 1941 (c.); 3) Roma 21 marzo 1945 (c.).; 4) Roma 1 maggio 1945 (I.); 5) Roma 3 giugno 1945 (I.); 6) Roma 9 luglio 1945 (I.); 7) Roma 15 luglio 1945 (I.); 8) Roma 14 ottobre 1945 (c.); 9) Roma 11febbraio 1945 (c.); 10) Roma 12 ottobre 1955 (I.).

INDICE TOPOGRAFICO DELLE OPERE CONTENUTE

NEL CATALOGO (Il numero corrisponde alla posizione della scheda nel catalogo)

INCISIONI E DISEGNI: 10; 16; 27; 39; 40; 41; 42; 43; 44; 45; 46; 47; 48; 49;

50; 51; 52; 53; 54; 55; 56; 57; 58; 59; 60;61; 62; 63; 64; 65; 66; 67; 68; 69; 70; 71; 72; 73; 74; 75; 76; 77; 78; 79; 80.

POESIE NOVELLE ROMANZI: 6; 7; 8; 11; 12; 18; 20; 21; 22; 24; 25; 29; 30; 32; 34; 36; 37; 38; 85; 86; 87; 89; 96; 99; 106; 108; 113; 114; 115; 116; 117; 118; 119; 120; 121; 122; 123; 124; 125; 127; 128; 129; 130; 131; 132; 134; 136; 139; 140; 142; 143; 144.

SCRITTI D’ARTE E DI CRITICA D’ARTE: 1; 2; 4; 9; 10; 17; 19; 23; 26; 31; 33; 81; 82; 90; 91; 95; 97; 98; 102; 103; 104; 105; 110; 111; 112.

SCRITTI SUL GARGANO E SULLA PUGLIA: 3; 5; 13; 14; 15; 16; 27; 28; 35; 83; 84; 88; 92; 93; 94; 100; 101; 107; 109; 126; 133; 135; 137; 138; 141.

EPISTOLARIO.

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INDICE DEI NOMI DI PERSONA

(I numeri corrispondono alle pagine)

Acceptus 88; 93 Bisi Carlo 103 Alexander J.J.G. 102 Blasi Mario 103 Almagià Roberto 102 Blave Mario 103 Altamura Saverio 89 Boglione Marcello 103 Alvaro Corrado 102 Bonarelli Modena Giulio 103 Amministrazione Provinciale Fog- Bontempelli Massimo 103 gia 81 Bottai Giuseppe 104 Anceschi Luciano 102 Bottega di poesia 104 Andretta Giuseppe 102 Botto S. 104 Angelillis Ciro 102 Brandi Cesare 104 Angioletti Gian Battista 102 Brigante-Colonna Gustavo 104 Arcamone Guido 102 Boschi Huber Laetitia 104 Arcari Paolo 102 Brezzi Paolo 104 Argan Carlo Giulio 102 Breres Antonio 104 Artioli Romolo 102 Bruno da Osimo 104 Azzarita Carlo 102 Bucarelli Palma 104 Bucci Anselmo 104 Baldini Antonio 102 Balzani Gino 103 Cabasino Salvatore 97; 104 Barbieri Carlo 103 Coccia Giuseppe 104 Bargellini Piero 103 Cafarelli Sipontino 104 Barone Melodia U. 103 Caffarelli F. 104 Baroni Eugenio 103 Caldara Domenico 98 Bartolini Luigi 103 Calò Giovanni 104 Bartolomeo da Foggia 86 Calzecchi Temistocle 104 Bassi Arturo 103 Camassa Pasquale 104 Beethoven (incisione) 82; 92 Campanelli Leonardo 104 Bellonzi Fortunato 103 Canavesso Raimondo 104 Benedictus 88 Capuano Alfredo 104 Bertini-Calosso Achille 103 Capuano Michele 104 Bessone-Aurelj Antonietta Maria 103 Caputi Giuseppe 104 Betti Ugo 103 Caravaggio (saggio su) 82; 97 Biancale Michele 96; 103 Carbonati Antonio 104 Bianchi D. 103 Cascella Tommaso 104 Bianchi Bandinelli Ranuccio 103 Casciaro Giuseppe 89 Biblioteca Provinciale Foggia 81 Casotti Piero 104 Biordi Raffaello 96; 103 Cassieri Giuseppe 105

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________

Castelfranco Giorgio 105 De Rinaldis Aldo 107 Castellaneta Enrico 105 De Rinaldis Sforza Lina 107 Castellino Onorato 105 De Rubertis G. 107 Cavassa Umberto 105 De Sanctis Gino 107 Celuzza Angelo 105 De Witt Antony 107 Ceravolo Pasquale 96; 105 Di Giorgio Teocrito 107 Cermignani Armando 106 Di Pietro Filippo 107 Cecchi Arturo 106 Donatello (manoscritto) 87 Chiantore Gustavo 106 Donati Lamberto 107 Ciampi Mario 106 Ciampi Vincenzo 106 Ehrnestain Teodor 107 Ciampi Vittorio 106 Einaudi Giulio 107 Ciardo Vincenzo 106 EnteAutonomoFiera Foggia 98 Cifariello Filippo 106 Cilenti Nicola 106 Fabiano Nicola 107 Cimara Pietro 106 Falqui Enrico 108 Cisarj Giulio 106 Felci Carlo A. 108 Civinini Guelfo 106 Ferraris Luigi 108 Colanera Erminio 106 Ferrovie e Tranvie del Mezzogiorno Colantonio Virgilio 106 108 Colucci Mario 106 Festa Nicola Costantino 108 Conci Girolamo 106 Fichera Filippo 108 Como Francesco 106 Fini Angiolo 108 Contini Bonacossi Vittoria 107 Fiore Emilio 108 Copertini Giovanni 107 Fiore Tommaso 97 Corrà Carlo 107 Fioritto Domenico 108 Flora Francesco 108 D’Addetta Giuseppe 93; 96 Folgore Luciano 108 D’Alessio Carlo 107 Foscarini Corrado 108 Dall’Osso Osta Maria 107 Foti Rodolfo M. 108 D’Amelj Carovita B. 107 Fraccacreta Augusto 108 D’Amico Silvio 107 Fraccacreta Umberto 108 Dazzi Manlio 107 Francavilla Giuseppe 108 De Angelis D’Ossat Guglielmo 107 Frattarolo Renzo 108 De Cespedes Alba 107 Frugoni Arsenio 108 De Grazia Gerolamina 81 Del Giudice Riccardo 107 Gabrieli Francesco 96 De Grazia Michelangelo 107 Gabrieli Giuseppe 108 Dell’Era Idilio 107 Galante Francesco 109 Delli Muti Matteo 107 Galassi Paluzzi C. 109 De Logri Giuseppe 107 Galeazzo Galeazzi Antonio 109 Del Prete Pasquale 96 Galimberti Nino 109 De Maria Federico 107 Galletti Alfredo 109 De Meo Mario 107 Gastaldi Cesare 109 Democrito (manoscritto) 89 Gennaro Tiberio 109 De Nicola Enrico 107 Gentile Carlo 109 De Nittis Giuseppe 89 Gentile Giovanni 109

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI

Gerace Vincenzo 109 Maccagnani Eugenio 111 Geremicca Achille 82; 109 Maccari Mino 111 Gervasio Michele 109 Maddalena Salvatore 89 Gervasio Raffaele 89 Maffii Maffio 111 Ghisalberti Alberto Maria 109 Maggioni Giorgio 111 Gianelli Giulio 88; 99; 109 Maggiore Domenico 111 Gigli Gaetano 109 Marangoni Guido 111 Gigli Lucia 109 Maratea Francesco 112 Gigli Lorenzo 109 Marinetti Filippo Tommaso 112 Giglioli Odoardo 109 Marini Ottavio 112 Giordana Gian Pietro 109 Martinelli Valentino 96 Giordana Tullio 110 Martinez Gaetano 112 Giovannelli Sanzio 96; 110 Masotti Arcangelo 112 Giusso Lorenzo 110 Mastropasqua Guido 112 Gorjux R. 110 Mastrovaleri Nunzietta 112 Govoni Corrado 110 Matarazzo Luciano 112 Gualtiero da Foggia 86 Melchionda Evelino 112 Guidotto Virgilio 110 Mininni Salvatore 112 Modoni Vincenzo 112 Hermanin Federico 110 Modugno Ottorino 112 Hind Arthur M. 111 Mola Corradina 112

Molè Enrico 112 Iacoangeli Tomaso 111 Morandi Giorgio 112 Iavarone Renato 111 Morbelli Riccardo 112 Irmici Enrico 111 Morcaldi Pistoresi Margherita 112 Istituto Italiano Arti Grafiche 111 Moretti Marino 112 Istituto Nazionale Luce 111 Morghen Raffaello 112 Iurlaro Rosario 111 Mosca Ciccio 112 Moscardeni Nicola 112 Kiraly Jules 111 Negri Giacomo 112 Labadessa Rosario 111 Negro Francesco 112 Lancellotti Arturo 111 Nepi Asbite Ezio 113 La Selva Giovanni l11 Netti Francesco 89 La Sorsa Saverio 111 Niccolò da Foggia 86 Laterza Giuseppe 111 Nicodemi Giorgio 113 Lavagnino Emilio 111 Nicoli Giuseppe 113 Laviano Nadina 111 Notarnicola Giuseppe 113 Lenormant Francois (articolo su) Nunoz Antonio 113 87 Oietti Ugo 113 Leopardi (incisione) 82; 93 Olivieri Vincenzo 113 Loiodice Ester 111 Olschki Aldo 113 Lombard A. 111 Grano Paolo 113 Longarelli Momo 111 Ortis Ramiro 113 Longhi Roberto 111 Lusini Aldo 111 Pagliano Giulio 113 Luzio Alessandro 111 Palmieri Michele 113

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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ Palumbo Michele 113 Rivosecchi Mario 115 Palumbo Pier Fausto113 Rizzo Antonio 115 Pancrazi Pietro 113 Romano Francesco 89; 116 Paolieri F. 113 Rosso di San Secondo 116 Papalia Savino 99;113 Ruggiero Nilla 82 Papiani Giuseppe 113 Rotari (Tomba di) 88; 99; 101 Parenti Gino 114 Pellizzari Achille 114 Sala Alberico 116 Pensa Giovanni 114 Petrilli Raffaele Pio 114 Salmi Mario 116 Salza Bosco Gina 116 Petrone Igino 82 Salvatori Fausto 116 Petroni Guglielmo 114 Samek-Ludovici Sergio 116 Petrucci Alfredo 81; 82; 84; 85; 86- San Francesco (chiesa) 90 102 Santollino Rodolfo 116 Petrucci Armando (figlio) 81 Saponaro Michele 116 Petrucci Armando (fratello) 114 Sapori Francesco 116 Petrucci Carlo 81 Petrucci Michele 114 Savarese Nino 116 Scarpa Piero 116 Petrucci Silvio 114 Scaturro Ignazio 116 Pettinelli Diego 114 Schingo Luigi 98; 116 Piccinino Ferdinando 114 Sciortino Giuseppe 117 Piccinni Antonio 96 Sebastiani Leopoldo 117 Piccolo Francesco 114 Selvaggi Eugenio 117 Piceni Enrico 114 Serricchio Cristanziano 87; 97; 117 Pilo Giuseppe Mario 114 Servolini Luigi 117 Pilone Giuseppe 114 Sibilia Salvatore 117 Pirri (Padre) Piero 115 Simone Mario 96; 98; 99; 117 Pissacroia Raffaele 96; 115 Soccio Pasquale 98; 117 Pitta G. 115 Società Storia Patria per la Puglia Pitta Nicola 115 81 Pitta.luga Maria 115 Soffici Ardengo 81; 117 Pontieri Ernesto 115 Soprintendenza Monumenti Puglia Porcella Amadore 115 e Molise 90 Porfiri Fernando 115 Spagnoletti Giacinto 118 Porto Ettore 89 Spaini Alberto 96; 118 Praticò Giovanni 115 Spatocco Raffaele 118 Prencipe Carlo Felice 115 Spinazzola Vittorio 118 Prencipe Umberto 115 Spinelli Gaetano 118 Puccini Mario 115 Stiennon Jacques 118 Pugliese Filippo Maria 115 Surico Filippo 118 Rasi Giuseppe 115 Rembrandt (saggio su) 99 Tallgren-Tanlio Oiva Joh. 118 Ribera Giuseppe 91 Tallone Alberto 118 Riccardo da Foggia 86 Taronna Mario 118 Ricci Corrado 115 Terracciano Laura 118 Ricci Domenico 115 Tilgher Adriano 118 124

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI

Tinto Eugenio 118 Vallone Aldo 119 Toesca Pietro 118 Vanni Alfredo 119 Tombari Fabio 118 Varaldo Alessandro 119 Tonelli Luigi 118 Vasi Giuseppe 82; 98 Toscanini Walter 118 Ventrella Tommaso 119 loschi Orazio 118 Venturi Lionello 119 loschi Paolo 119 Vernieri Nicola 119 Tridenti Carlo 119 Vernola Renato 120 Trompeo Pietro Paolo 119 Vernon Ettore 120 Tucci Luigi 119 Verrino Vincenzo 89 Tumminelli Calogero 119 Villani Giuseppina 91 Tusiani Giuseppe 119 Vincenti Renè 120 Viola Cesare Giulio 120 Ungaro Filippo 119 Violante Alfredo 120 Urbani Del Fabbretto A. 97 Viterbo Michele 120 Vocino Michele 94; 96; 99; 120 Vailland Roger 97 Valentini-Vista Domenico 119 Wollemborg Leo 120 Valeri Diego 119 Vallery-Radet Jean 119 Zucca Giuseppe 120 125

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INDICE DEI NOMI DI LUOGO

(I numeri corrispondono alle pagine)

Acquaviva delle Fonti 86 Conversano 86; 93 Alberobello 86; 113 Corato 86 Alpignano 118 Cremona 105 Altamura 86 Anagni 117 Egnazia 86 Ancona 103; 104; 107; 111; 115 Enna 116 Andria 86 Fasano 103 Apricena 115 Firenze 104; 106; 107; 109;111;112; Arezzo 102; 118; 119 113; 115; 116; 118; 119 Ascoli Satriano 95 Foggia 104; 105; 106; 107; 108; 109; 111; 114; 115; 116; 118; 119 Bari 86; 87; 90; 93; 94; 95; 109; 111; 112; 113; 117; 120 Galatina 95; 112; 119 Barletta 86 Gallipoli 108; 111; 113; 120 Bassano del Grappa 114 Gargano 88; 92; 97; 101 Bergamo 105; 108; 109; 110; 111; 113; Genova 103; 105; 114; 118 116 Gioia del Colle 86; 105; 116 Berlino 108 Giovinazzo 86 Bisceglie 86 Gravina 86 Bitonto 86 Bologna 109; 112; 118 Helsinki 118 Brindisi 104; 111 Ischitella 119 Bucarest 113 Buenos Ayres 87 La Spezia 114 Lecce 103; 112; 113; 117 Cagliari 83 Lesina 88 Calena 88 Lido di Camajore 116 Camerino 103 Liegi 118 Canosa 86 Livorno 117; 119 Capri 112 Lucera 90; 106; 114; 115 Capolona 102 Lucugnano 106 Castel del Monte 86 Ceglie 86 Macerata 116 Cesenatico 112 Maletta 94 Chambèry 103 Manfredonia 104; 117 Chieti 103; 109; 118 Mantova 111; 115 Collemontano di Spoleto 109 Milano102;103;106;108;109;111 Como 112 112; 113; 114; 116; 118; 119 126

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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI

Modena 116 109; 110; 111; 112; 113; 114; 115; Modugno 86 116; 117; 118; 119; 120 Mola di Bari 86 Ruvo 86 Molfetta 86; 116; 117 Salerno 117 Monopoli 86 San Benedetto del Tronto 110 Monte S. Angelo 94; San Giovanni Rotondo 104 Montesacro 88; 94 San Marco in Lamis 111; 117 Monza 104 San Menaio 93; 112 Napoli 106; 108; 109; 111; 115; 117 Sannicandro Garganico 93; 94; 102; Neuchatel 111 106; 107; 108 New York 119 San Severo 108; 115; 117 Osimo 103 Santa Marinella 104 Otranto 93; 94 Senigallia 115 Siena 87; 93; 94; 95; 96; 104; 107; Padova 119; 120 111; 113 Parigi 119 Siponto 88; 99 Parma 107; 118 Siracusa 107 Perugia 103; 113 Squinzano 95 Pescara 104; 106 Taranto 104; 106; 107; 115; 116; 118 Poggio a Calano 117; 118 Terlizzi 86 Polignano a mare 105 Torino 103; 104; 105; 106; 107; 109 Portici 103 Potenza 115 Torremaggiore 112; 114 Pozzuoli 106 Trani 86 Puglia 90; 96; 97; 99; 101 Urbino 107; 117 Rimini 107 Venezia 104; 107; 114; 119 Rodi Garganico 105; 107; 108 Vienna 107 Roma 102; 103; 104; 106; 107; 108; Vieste 83

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R E C E N S I O N I

ENZO MANCINI, Isole Tremiti - Milano.

Questa biografia delle piccole

Tremiti, dalla leggenda alla realtà at-tuale, si snoda nelle pagine che Mancini ha scritto con cuore di in-namorato, e scorrono come avvin-cente film fatto di sequenze lumino-se e di colori sempre più vivi e di-versi.

L’ultima pagina è l’ultima ora di un meraviglioso viaggio che fà na-scere nel lettore il desiderio di torna-re in quelle isole prima ancora di es-serne partito o di averle conosciute.

Questo è il grande merito dell’Autore che con il suo « andar per isole » ha trovato il modo di av-vicinarsi alle azzurrità marine che gli mancavano nella sua regione di na-scita (la verde Umbria) e non ha tro-vato nella sua regione di elezione (la nebbiosa Lombardia).

Da attento biografo, Mancini ha voluto conoscere il soggetto nel suo ambiente e lo ha intervistato interro-gandolo nelle diverse ore del giorno per ascoltarne la voce segreta e la vi-ta dei suoi lunghi millenni. Da esper-to autore di radioteatro, è entrato nel personaggio, lo ha sentito e descritto con parole che sono pennellate di co-lore, date con mano maestra, sotto la spinta (come si legge nella Premes-sa) di « un canto pieno di dolore che mi tentava e mi

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chiamava verso le uniche isole ita-liane di questo mare », intese anche « come luogo giusto per essere più vicini a Dio in un dialogo silenzioso ».

Che geologicamente siano i leg-gendari sassi scagliati dal. l’erculeo Diomede, o le tre punte risparmiate dal sollevamento del mare che coprì le parti più basse dell’unica isola, re-sta la magnifica realtà di oggi che ne fà un paradisiaco complesso offerto dalla natura all’ammirazione dell’uomo e alle sue cure, quale pre-zioso « risultato di una incessante ir-requietezza o nervosismo della cro-sta terrestre » in quella zona, che fà pensare ad una lontanissima condan-na a sparizione per consunzione.

Oasi di godimento e di sof-ferenze, di morte e di isolamento contemplativo, le isole Tremiti sono tornate al loro destino di deliziosi luoghi riservati ai visitatori in cerca di pace e di riposo.

Appena cinque chilometri qua-drati, per assicurare la vita ai resi-denti e la presenza di oltre centomila ospiti estivi, rappresentano un’assurdità fisica che, purtroppo, è una qualità negativa da fronteggiare e combattere per evitare nefaste con-seguenze all’economia locale e alla vitalità dell’ambiente, altrimenti de-stinato, come avverte l’Autore, « a scoppiare in una esplosione che pro-duce soltanto ruderi e nostalgici ri-

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______________________________________________________________________________________________RECENSIONI

cordi di un tempo che si era annun-ciato felice e non lo è stato ».

Occorre meditare su questi ri-chiami e intervenire perché si rico-stituisca il giusto equilibrio di questo microcosmo annullando errori e pre-tese di impossibile sfruttamento, che possono rivelarsi origine e causa di irreparabile collasso ecologico.

La difficile coltivazione delle poche zone idonee, abbandonate per attività più rimunerative, ha salvato sopratutto la macchia mediterranea, minacciata — come rileva Mancini, giustamente preoccupato — da inse-diamenti turistici irrazionali e incon-trollati.

Gli aspetti della costa, vista dal mare, sono incantevoli e cambiano ad ogni colpo di remo o giro di elica, anche per la efficace punteggiatura delle numerose « grotte » che ne au-mentano il fascino, con sensazioni che nel libro sono pagine di rara ef-ficacia e di esaltazione di tanta bel-lezza.

Le tre sorelle maggiori sono de-scritte fissando le impressioni dirette dello scrittore; come per la « perla verde dell’Adriatico » (San Domino) « prezioso gioiello naturalistico che spesso cerchiamo di contaminare, corrompere, lordare, e perfino di-struggere »; o per San Nicola « tor-mentata e sconvolta massa rocciosa sormontata dall’antica fortezza »; o per la Caprara « piatto zatterone in-clinato verso oriente, selvaggia e co-perta da rada macchia di lentisco, solitaria e silenziosa ».

La vegetazione spontanea, ti-picamente mediterranea, va dalle pi-nete di S. Domino alle distese di ro-smarino, capperi, euforbie, anemoni, orchidee selvatiche.

Le piante coltivate compren-devano vigneti, agrumeti, frutteti, or-ti e leguminose. Attualmente, sono quasi scomparse perché le zone ferti-li sono state trascurate dai tremitesi allettati dal filone turistico di-sordinato e perciò distruttivo (si ri-pete anche qui il fenomeno dell’industria incontrollata che scac-cia l’agricoltura).

La fauna conta una ventina di specie fra uccelli e terrestri, stanziali e di passo. Le specie ittiche presenti nel mare vicino sono oltre trenta, sa-pientemente descritte e catalogate con la indicazione dei periodi utili per la cattura.

La presenza dell’uomo sulle Tremiti risale da settemila a quat-tromila anni prima di Cristo. Al III sec. dopo Cristo, risalgono le prime notizie storiche che poi si ordinano in periodi ben precisi (Benedettino, Cistercense, Lateranense, Bor-bonico, contemporaneo) ricchi di eventi legati soprattutto alla presenza di potenti comu nità religiose non e-stranee alle lotte fra i vari protettori politici. In sole diciotto pagine, è raccontata la storia di mille anni, con abbondanza di nomi, fatti e date, tale da costituire una vera miniera di no-tizie in efficace sintesi di conoscitore che vede i personaggi spesso ignora-ti, ma di particolare interesse per la

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RECENSIONI______________________________________________________________________________________________

la nostra provincia.

Miti, leggende, piccola storia, af-fiorano da una paziente opera di ri-cerca e sono esposti creati dall’uomo nell’infanzia della sua intelligenza, e li immagina — forse — ancora vivi sulla scena delle isolette, facendo pensare che potrebbero — con buo-na volontà e partecipazione di esper-ti — dare mano ad originali spetta-coli di alto valore classico.

Da Diomede (principe sfor-tunato) a Giulia (insaziabile nipote di Augusto); dal beato Tobia da Como allo stravagante Federico Ti-beri da Cesena; da padre Adamo (a-mico e sostenitore di pirati) all’abate Desiderio (restauratore dei valori re-ligiosi locali) a Francesco Maria del-la Rovere Duca di Urbino. Fino alle cronache corali di deportati, con-trabbandieri, prostitute, confinati po-litici; protagonisti di fosche vicende, di sangue, di morte, di incubi e di sofferenze che il tempo ha sepolto nell’archivio dei ricordi, purificando l’aria e le pietre di questi scogli ric-chi di segreti e di misteri non del tut-to svelati.

La popolazione stanziale viveva di abbondante pesca azzurra. Quan-do questa è cessata per esaurimento, si è sviluppato il turismo che dura una stagione e deve assicurare l’esi-stenza per l’intero anno.

Si tratta di una nuova pesca? Se così è, « speriamo che i nuovi pesci, cioè i turisti, un brutto giorno non finiscano pure loro » osserva Manci-

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ni, colpito da « certe piccole o grandi ruberie di cui gli ospiti sono spesso vittime », dovute al disaccordo su come sviluppare l’attività turistica, fra quantità e qualità degli ospiti.

Sta ai residenti decidere per il meglio, guidati da chi ne ha il potere e la competenza, in modo da sfrutta-re razionalmente la ricettività e le ca-ratteristiche locali senza inaridirne le fonti. E, infine, senza dare spazio al-la sporcizia purtroppo abituale, da combattere ed eliminare giorno per giorno, evitando danni ecologici che comprometterebbero il buon nome dei Tremitesi ed i loro interessi lega-ti al tesoro naturale di cui sono de-positari.

Un libro è un atto di amore verso il soggetto trattato, di fiducia nella propria sensibilità, di rispetto e di ri-chiamo verso il lettore.

Mancini si è uniformato a tali principi ed ha scritto il suo bel vo-lume, completo sotto ogni aspetto, parlando delle Tremiti con devozio-ne filiale e consegnandolo all’attenzione dei Tremitesi e della intera nostra Provincia, perché que-sto tesoro naturale che Dio ha dato all’Italia sia più protetto e conserva-to come merita per la gioia dei suoi visitatori. Ringraziamolo con un sincero applauso.

Se queste sono le Tremiti, viste in ogni loro aspetto; se per la nostra terra e per l’Italia rappresentano un tesoro di arte naturale, esposto in un ambiente generale che ogni giorno e

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per mille ragioni perde le caratteri-stiche originarie rischiando di essere sommerso dall’inquinamento fisico e morale che è una concreta minaccia per tutti gli esseri viventi; abbiamo il dovere di preoccuparci in tempo e di intervenire per conservare tale tesoro che è patrimonio di tutti, da non ab-bandonare a se stesso e alla rozza a-vidità di chi non vede che il proprio « particulare » poco curandosi del bene comune.

Nell’opera di Mancini, come ho accennato prima, sono indicate — con molto garbo — alcune note sto-nate che riguardano l’avvenire delle piccole Tremiti e la loro importanza turistica. Si tratta di eliminarle e di correggere gli errori commessi fino ad oggi, per indifferenza, disinteres-se, ignoranza dei problemi che ri-guardano la vita stessa del prezioso arcipelago da conservare, pro-teggere, educare e integrare senza strappi e deformazioni che possono comprometterla e distruggerla.

Il destino delle nostre Isole è le-gato al turismo. Ma di quale turismo: di qualità o di quantità? di rispetto del suo ambiente o di abbandono al peso negativo del numero e della massa che possono cancellarne la o-riginalità?

Deve guardarsi a un’attività loca-le e — quindi — a una economia tu-ristica incontrollata, o ad uno svi-luppo guidato, non soltanto nell’interesse dei residenti, con in-terventi diretti, concreti e costanti

delle autorità locali, provinciali e re-gionali responsabili e competenti?

Certamente, occorre conservare senza soffocare le iniziative; svilup-pare e utilizzare senza deturpare il volto di questi antichi scogli. Occor-re renderli produttivi assicurando la vita dei suoi abitanti senza tentativi di sfruttamento indiscriminato, capa-ci di comprometterne il futuro e la sicurezza.

A Proposito del verde spontaneo, Arrighetti (Dirigente del Settore Fo-restale dell’Alto Adige), si chiede « dove finiranno tutte le altre specie che si accompagnano alla macchia mediterranea, come il lentisco e il te-rebinto, ricchi di caldi aromi? Perché ci si dimentica di queste specie ca-ratterizzanti 1’ inimitabile paesaggio delle coste italiane? ».

Nel recente Convegno nazionale di Napoli, sul futuro del turismo, tut-ti hanno sostenuto la necessità di collaborazione concreta fra Regioni, organismi subregionali, aziende di soggiorno, EPT, pro loco, per com-battere la rovinosa frammentarietà attuale degli interventi. Si è detto che occorre stimo lare gli interventi anche tra i piccoli operatori, pensan-do soprattutto a una penetrazione tu-ristica articolata e capillare nelle singole zone. Si è riconosciuto che occorre evitare il turismo di transito con una efficace attivazione attraver-so nuove infrastrutture e piani di a-zione locale per riqualificare l’offerta turistica in Italia. Per fare

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questo, si è aggiunto, bisogna agire in tre direzioni: maggiore assistenza finanziaria (non nel senso assisten-ziale), adeguate strutture per i singoli comprensori (le Tremiti ne sono uno dei più caratteristici ed importanti), attività promozionale di largo raggio e respiro.

Non devono cadere nel nulla i suggerimenti che vengono da voci tanto qualificate, perché non si perda la grande ricchezza che può derivare alla nostra economia dalla riqualifi-cata direttrice turistica Gar-gano/Tremiti.

Per turismo di qualità non va in-teso quello riservato a piccoli gruppi chiusi ed esclusivi di frequentatori di un certo tipo, ma quello organizzato e articolato a tal punto da portare gli ospiti ad essere e sentirsi amici fede-li degli operatori locali (per il tratta-mento loro riservato) e non critici se-veri e demolitori per le delusioni provate.

Senza dimenticare che il turismo corre anche sui binari della gastro-nomia. Perciò, prospera dove si offre una cucina non stereotipata e mono-tona, ma viva, invitante, varia ed ori-ginale; accoppiata a vino possi-

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bilmente prodotto in loco, genuino e di facile avvicinamento. In un am-biente di assoluta pulizia (affidato alla preoccupazione quotidiana di tutti), difeso da gente educata alla discrezione e al rispetto, perché ciò che la natura ha prodigato sia bene utilizzato in ogni stagione e per tutte le esigenze, come punto di richiamo e di riferimento, per l’intera provin-cia.

Il libro di Mancini è bello e com-pleto, ma è sopratutto utile ed inte-ressante, perché porta a considerare anche i problemi da risolvere in mo-do che i « Sassi di Diomede » siano fonte di razionale lavoro per i suoi figli, nonché motivo di orgoglio e di soddis fazione per chi ha la respon-sabilità di amministrarli e portarli al-lo splendore che meritano di rag-giungere, tenendo presente gli esem-pi che vengono da altre regioni che hanno valorizzato e bene (e in poco tempo) altri sassi o isolette non più belli e più dotati delle nostre Tremi-ti.

Non è difficile: basta svegliare la volontà e sostenerla con l’amore per le cose belle che Dio ci ha dato.

Mario Frejaville

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CATHERINE DELANO SMITH, Daunia vetus. Terra, vita e mutamenti sulle coste del Tavoliere. Foggia, Amministrazione Provinciale di Capitanata 1978, pp. 249, 13 tav. dp. nel testo. E’ senz’altro degno di molta at-

tenzione questo studio nel quale Ca-therine Delano Smith ha saputo sin-tetizzare i dati raccolti sul Tavoliere in oltre dieci anni di ricerche svolte dapprima presso l’Apulian Research Project, dove nel 1963 subentrò a John Bradford, e successivamente presso la Notthingam University come insegnante di geografia stori-ca.

L’originalità e la novità di queste sue indagini suscitarono consensi anche al Convegno internazionale sui paesaggi rurali europei, indetto a Perugia nel 1973, quando tenne la relazione sui villaggi abbandonati del Tavoliere (cfr.: C. DELANO SMITH, Villages désertés dans les Pouilles: le Tavolière. In. PAE-SAGGI (I) RURALI EUROPEI. Pe-rugia 1975 up. 125-140).

Oggi è opportuno attribuire alla Delano Smith anche un altro merito e cioè di aver saputo condurre a ter-mine una ricerca fondamentale sullo sfruttamento del terreno e sul pae-saggio agricolo di Capitanata dalla preistoria all’età del bronzo senza l’ausilio di strumenti idonei a tale ti-po di indagine, mancando del tutto statistiche, mappe catastali ed un museo di antichi strumenti agricoli che potessero introdurla non solo ai modi di utilizzazione del suolo, ma

anche alle attività agricole ed alla ri-partizione della popolazione che vi-ve va di agricoltura.

Pure l’utilizzazione dei reperti archeologici è risultata inadeguata, perché non forniscono che scarsi e-lementi per comprendere i più anti-chi sistemi agricoli, i rapporti tra ter-ritorio ed insediamenti e d conse-guenza i mutamenti de paesaggio a-gricolo.

Il metodo di ricerca, pertanto, è stato quasi esclusivamente quello dell’analogia storica consistente nel procedere a ritroso da ciò che è noto a ciò che è sconosciuto. A partir dall’inizio del XX o anche de XIX secolo esiste un quadro fedele dell’ambiente agricolo mentre la si-tuazione cambia per il Medio Evo ed ancora d più per il periodo romano e preistorico. E sempre possibile, però, conservare un legame con l’età pre-cedente ad ogni passo indietro, tanto più che frequentemente accade che un epoca intermedia sia stata più studiata ed abbia conservato una do-cumentazione più ricci di altre; in tal caso lo studioso deve muoversi in avanti o al l’indietro, partendo dai dati certi, nel tentativo di creare una continuità.

Nell’uso di questo metodo la De-lano Smith è stata molto abile ed ha documentato il su percorso attraver-so i secoli nel l’ultima parte del la-voro intitolata appunto « In cerca di testimonianze »; nelle altre due parti di cui si comp one lo studio analizza dapprima la natura geo-pedologica del Tavoliere e successivamente la sua storia agraria nel pe-

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riodo neolitico e nell’età del bronzo.

Geologicamente la Capitanata è un immenso accumulo di depositi, formatisi tra il Pliocene ed il Pleisto-cene, nei quali notevole interesse scientifico desta lo strato calcareo della « crusta », che si venne for-mando immediatamente sotto il suo-lo tra il Quaternario e l’inizio dell’Olocene e che tuttora conserva nel suo spessore di parecchi metri tracce del Neolitico, Mesolitico e Pa-leolitico.

Geograficamente la provincia di Foggia ricopre un’area superiore ai 7000 chilometri quadrati, il suo terri-torio si divide in tre categorie: il 4% è montuoso; il 42% collinoso; il ri-manente pianeggiante costituisce il Tavoliere. I condizionamenti sulla vegetazione da parte del clima medi-terraneo — estati calde ed asciutte e inverni freschi ed umidi — de-terminano un paesaggio piatto e spoglio a causa della mancanza di alberi. Tuttavia le praterie del Tavo-liere conservano ugualmente una bellezza scenica incomparabile, per-ché se in estate la vegetazione è sec-ca e la continua monotonia del pae-saggio può apparire desolante, esso si trasforma non appena cadono le prime piogge autunnali, l’aratro ri-volta le zolle che assumono un fre-sco colore marrone grigio e noi in primavera il verde brillante dei cam-pi contrasta con l’arido paesaggio e-stivo.

Il senso di vuoto dovuto alla

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mancanza di alberi è accentuato an-che dalla scarsa densità della popo-lazione, 93 abitanti per chilometro quadrato, una delle più basse di tutta l’Italia. Tale scarsezza di uomini contrasta, però, con la ricchezza ar-cheologica che attesta la costante presenza di popolazioni per lunghi millenni: dai preistorici neolitici e dell’età del bronzo ai Dauni, Greci, Romani, Bizantini, Longobardi, Normanni, Svevi, Angioini, ai più recenti.

Tuttavia, è l’amaro commento della Delano Smith, malgrado una simile ricchezza archeologica la maggior parte dei viaggiatori nel Meridione oggi passa velocemente e distrattamente attraverso il Tavolie-re, pochi sono coloro che si fermano a Foggia e si avvicinano alla cultura ed alle tradizioni delle comunità ru-rali delle colline e delle montagne.

Il lungo susseguirsi di civiltà nel Tavoliere iniziò, secondo i reperti archeologici, intorno al 6000 - 5500 a.C. ad opera di quei neolitici che, per primi, in tutta la penisola italiana praticarono l’agricoltura, anche se la loro economia fu soprattutto di sus-sistenza, cioè vivevano di quanto produceva la terra — prodotti agri-coli e bestiame — con sporadici con-tatti esterni.

Le caratteristiche degli inse-diamenti sono tutte riscontrabili nel sito più notevole, Passo di Corvo (Foggia), le cui dimensioni sono m. 540 x m. 870; il fossato, che circon-

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da il sito, è circolare ma poteva an-che essere ovale, all’interno si apro-no altri fossati, detti « compounds », ciascuno dei quali misura circa 20 m. di diametro, probabilmente erano recinti domestici, perché sono anco-ra visibili in essi tracce di buche per pali, forse sostegni di capanne; ac-canto, infine, restano ancora fosse per depositare il grano e pozzi, tutti elementi indispensabili per la vita rurale del tempo.

I fossati delle aree domestiche avevano sul bordo esterno un muret-to a secco per evitare franamenti del terreno oppure per tenere gli animali lontani dall’acqua conservata in ci-sterne scavate nella « crusta ». Le case dei neolitici dovevano avere una sovrastruttura di pali che sorreg-geva pareti ricoperte di fango e tetto di rami o giunchi, i pavimenti quasi certamente erano in terra battuta.

Per comprendere quali fossero le disposizioni dei terreni coltivati du-rante il Neolitico, la Delano Smith esamina oltre 70 siti nel Tavoliere e prende le misure tra insediamento e scarpata più vicina e tra inse-diamento e corso d’acqua. Giunge così alla conclusione che la maggior parte di essi si trovavano nel punto in cui si incontravano due zone eco-logiche contrastanti ma comple-mentari: le foreste delle valli e gli in-terfluvi pianeggianti. I motivi della scelta di tali luoghi per la costruzio-ne dei villaggi sono evidenti: il fon-do valle forniva foraggio estivo, ac-

qua per uomini ed animali e legno per costruzioni e combustibile; le a-ree tra i fiumi, essendo più aride ed aperte, si prestavano sia ad essere arate che al pascolo.

Una evoluzione qualitativa e quantitativa nelle colture si ve-del bronzo, quando gli insediarificò nel-la media e tarda età menti diminui-rono all’interno del Tavoliere ed aumentarono nella regione costiera. Contemporaneamente si distinse nel-l’ambiente sociale una classe di « a-ristocratici » che fondava il proprio potere su di una agricoltura privile-giata, la quale produceva un surplus agricolo eccedente rispetto alle ri-chieste domestiche o locali e dispo-nibile su un « mercato »regionale o interregionale; in altre parole durante l’età del bronzo l’agricoltura com-merciale soppiantò quella di sussi-stenza dell’età neolitica.

Anche la pastorizia si adeguò alla commercializzazione, prevalendo spesso sull’agricoltura; quest’ultima circostanza può contribuire a spiega-re il parziale abbandono del Tavo-liere durante l’età del bronzo, infatti, fu la pressione esercitata dagli alle-vatori sulle piccole fattorie di agri-coltori, a causa della necessità di pa-scoli, a provocare una restrizione degli insediamenti e persino un ab-bandono dei villaggi.

Il risultato, quindi, delle ricerche della Delano Smith è che in età prei-storica esistevano nel Tavoliere due tipi di fattorie: una perseguiva esclu-sivamente scopi di sussistenza, l’al-

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tra, con intenti soprattutto commer-ciali, apparve nell’età del bronzo in-sieme alla pastorizia transumante. I due sistemi — sussistenza agricola e specializzazione economica — dap-prima coesistettero poi sembra che siano venuti in contrasto con defini-tiva supremazia del sistema com-merciale. Non è possibile, allo stato attuale degli studi, precisare quali siano stati i fattori che alterarono l’equilibrio tra i due sistemi, perché mentre si conosce abbastanza sul

ruolo svolto dagli elementi socio-economici nei cambiamenti agricoli, molto poco si sa ancora sulla storia fisica del Tavoliere.

Come si vede, quindi, nel suo la-voro la Delano Smith accanto a pro-blemi risolti ne ha lasciati altri in at-tesa di una soluzione; non per Que-sto, tuttavia. diminuisce il valore scientifico del suo studio, che resta, anzi, la più idonea premessa per le future ricerche storiche ed archeolo-giche nel Tavoliere.

Antonio Ventura

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CAPITALISMO AGRARIO E TERRITORIO

NEL TAVOLIERE DI PUGLIA (1860-1900 — Appunti per uno studio di F. Crisafulli e A. Miccolis)

E’ già stato detto molto e molto è stato scritto sul Capitalismo A-

grario e sul Territorio del Tavoliere di Puglia. La cosa, d’altra parte, è dimostrata anche dalla vasta bibliografia citata dagli stessi autori degli « appunti » che andiamo presentando.

Tuttavia Fabrizio Crisafulli e Adriana Miccolis nel saggio pubbli-cato nel n. 9/1979 della rivista STORIA URBANA (F. Angeli - Ed. Milano) caratterizzano, rispetto alle altre, la loro ricerca, orientandola verso sbocchi di natura urbanistica, molto interessanti per uno studio panoramico e globale dell’aspetto degli agglomerati urbani pugliesi, integrando in questo modo le ricerche che, sporadicamente, sono ap-parse, in campi limitati, con indagini sulla origine della città di Fog-gia.

Spaziando dagli Abruzzi alla Lucania, dalla capitale del Regno al Tavoliere di Puglia, gli autori analizzano storicamente un arco di tem-po che va dalla istituzione della obbligatorietà della transumanza (1447) e dalla fondazione della Dogana della merce delle pecore, al periodo post-unitario ed oltre, fino al fallimento delle borgate rurali realizzate in epoca fascista, nel tentativo di una trasformazione agraria del Tavoliere di Puglia.

Viene così inquadrato in una cornice vasta ma regionale, il susse-guirsi di vicende sfavorevoli a tutto un territorio che va considerato, di volta in volta, come « campagna » nei riguardi della grande città di Napoli, e come « colonia pastorale » rispetto alle ricche proprietà ar-mentizie ed ovine degli Abruzzi.

Il Tavoliere, legato per legge al vincolo della transumanza, viene quasi tutto destinato ad erbaggio, mentre solo in minima parte viene riservato a culture agricole del tipo estensivo, a cereali ed a carattere

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di avvicendamento, con rotazioni triennali o quadriennali.

I conflitti tra i contrastanti interessi di allevatori e di agricoltori so-no gravi e non favoriscono insediamenti fissi di contadini nelle cam-pagne.

Né ad insediamenti di diverso tipo si può pensare a favore dei pa-stori, numerosamente presenti nel Tavoliere, ma a stagioni alterne, perché legati al carattere nomade e migratorio della loro attività tran-sumante.

Quando nel 1865 viene definitivamente liquidato il grande dema-nio pastorale, il diritto di prelazione a favore dei ricchi allevatori che da anni aveva goduto della concessione di vaste estensioni, provocò solo il sorgere del latifondo terriero e l’incremento delle primitive rare masserie pastorali.

Il problema dell’agricoltura non era perciò stato risolto. Il Tavoliere conservò per lunghi anni ancora l’aspetto di una scon-

finata landa desolata, dove ristagni stagionali e paludi permanenti, se pure giovavano all’allevamento di mandrie brade, portavano tristezza e malaria, ostacolando sempre di più ogni forma di insediamento u-mano.

Non esistevano, per tali insediamenti incentivi costituiti da piccole proprietà o da contratti di fitto a lunga scadenza, mentre le trasforma-zioni fondiarie, che avrebbero potuto assicurare raccolti vari e sempre ricorrenti di stagione in stagione, per la stabilità di una sana economia contadina, venivano realizzate con pigrizia dai grandi proprietari che, con contratti a miglioria, miravano principalmente ad incrementare la propria consistenza fondiaria, sfruttando la forza lavoro di una classe povera, senz’altra risorsa che quella delle proprie bracce.

Praticamente ripudiati dalla campagna i contadini, o meglio i brac-cianti agricoli, non potevano che rifugiarsi nelle città, incrementando lo sviluppo urbano dei grossi centri rurali che, in Puglia, andavano sempre più assumendo caratteristiche di città dormitorio.

In questi centri rurali le periferie si sono estese senza disciplina, al-lineandosi lungo strade parallele, con soluzioni urbanistiche povere, disordinate ed inorganiche, creando rioni di case basse, malsane ed ar-chitettonicamente inespressive.

Spesso affogando piccoli centri storici di grande bellezza, è questa 138

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l’origine dei grossi borghi rurali di Puglia, origine che con logica pre-cisione, viene individuata, per gli obbiettivi che lo studio si propone.

Questi grossi borghi si sono sviluppati inconsapevolmente in pe-riodi lunghi, ma sempre legati al tempo che storicamente li ha definiti.

Anche queste città, costituiscono pero un organismo vivo, che na-sce cresce e si sviluppa, attraverso fasi spesso inosservate dai contem-poranei, dimenticate dai posteri, riscoperte nei secoli successivi ed in-fine rivalutate o svalutate da moderne indagini storiche.

Esse tuttavia rimangono sempre l’espressione concreta e basilare di una condizione umana che, attraverso l’evolversi di esperienze so-ciali, politiche ed economiche, costituiscono comunque la forza spiri-tuale comune delle generazioni che, da quelle precedenti, le città han-no ereditato.

E’ compito delle popolazioni più giovani conservarne, quando esi-stono, i valori più rappresentativi dell’eredità accettata, ripudiare gli episodi decadenti, sanare le anomalie, disciplinare il futuro sviluppo, orientandolo verso obiettivi più sani, armonici e finalmente qualificati per la salvaguardia degli interessi e dei diritti di tutti.

Nessuno può occuparsi di urbanistica senza aver prima imparato a leggere nelle strutture della città la storia dalla quale le città stesse eb-bero vita, trasformandosi nelle stratificazioni e nel sovrapporsi di in-terventi che rappresentano l’avvicendamento di generazioni lontane e vicine.

Diventa allora necessaria una approfondita indagine ambientale e territoriale per ricavarne il sufficiente bagaglio culturale che consenta lo sviluppo di un rapporto diretto tra l’uomo e la città.

Ed è solo in questo rapporto che Fabrizio Crisafulli e Adriana Miccolis credono che si possa favorire la crescita di una cosciente possibilità operativa, per accettare o rinnegare, in tutto od in parte, un passato urbanistico, col presupposto di definire una propria posizione, nel particolare momento presente, in vista di una storica continuità fu-tura delle città di Puglia e del Tavoliere in particolare.

UGO JARUSSI

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BIBLIOTECA PROVINCIALE DI FOGGIA Settore dei periodici

Il settore dei periodici della Biblioteca Provinciale di Foggia, nel

fornire il suo contributo ai lavori del Convegno sul Distretto Scolasti-co organizzato dal Centro di Servizi Culturali e dal C.I.D.I., intende assolvere ai compiti di documentazione tipici della struttura, mettendo a disposizione anche quello strumento di informazione più puntuale ed aggiornato che è il periodico.

Per una utilizzazione più completa dei periodici, si intende solleci-tare una domanda non indifferenziata ma opportunamente guidata e su prospettive abbastanza flessibili da poter accogliere contributi di parti-colari fasce di utenti, finalizzata alla riqualificazione stessa del servi-zio. Tutto questo non può assumere soltanto caratteristiche tecniche da delegare al solo bibliotecario, ma presuppone la partecipazione e il pieno coinvolgimento degli operatori dei vari campi di intervento. Si è scelto come primo interlocutore la scuola perché essa costituisce tutt’ora il luogo privilegiato in cui si forma la prima domanda di cultu-ra e in cui si dovrebbero fornire i primi strumenti e le indicazioni di metodo per una corretta impostazione scientifica della ricerca.

Riteniamo di contribuire anche per questa via a superare il vecchio modello di scuola chiusa — dalle strutture edilizie alla lezione di tipo tradizionale che aveva come unici strumenti « la voce del maestro e il libro di testo » — e a creare una struttura aperta e impostata su un se-rio lavoro di studio e di ricerca che ne faccia un reale punto di riferi-mento per l’educazione permanente.

Per questo si rende necessaria sì la presenza nella scuola di biblio-teche scolastiche purché qualificate da una dotazione libraria specifica e in stretto collegamento con tutte le strutture esistenti nel territorio, in particolare le biblioteche pubbliche, con una chiara definizione di aree di dipendenza e di integrazione fissati dal distretto scolastico.

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_____________________________________________________________SETTORE PERIODICI BIBL. PROV.LE

* * * Diamo una prima informazione sulle principali caratteristiche del

settore periodici della Biblioteca Provinciale di Foggia. Le riviste della B.P. di Foggia sono in totale 1058 (situazione al

1976) di cui 761 correnti e 297 cessate. I periodici in lingua straniera sono 131.

Rilevante è stato in questi ultimi anni, dopo il trasferimento dalla vecchia sede, l’incremento negli acquisti, che vede il numero dei pe-riodici correnti salire dai 380 titoli del 1976 ai 761 del 1976. Notevole l’apporto arrecato ad alcune materie quali la filosofia, psicologia o so-ciologia, ai periodici di biblioteconomia e di documentazione e l’inserimento di alcune pubblicazioni di argomento tecnico-scientifico.

Le riviste sono ordinate, come tutto il materiale bibliografico esi-stente in Biblioteca, con il sistema di Classificazione Decimale Dewey (CDD) mentre nella preparazione del catalogo specifico si è seguita la norma « UNI 6392 » elaborata dai gruppi Razionalizzazione, Mecca-nizzazione, Automazione (RMA) e il gruppo periodici dell’AIB in collaborazione con il Comitato « Documentazione e Riproduzione do-cumentaria » dell’Ente Nazionale Italiano di Unificazione.

Diamo qui di seguito l’indicazione di quei periodici che ci sembra

possano essere di utile consultazione per gli operatori della scuola: 370 (CDD) - EDUCAZIONE - PEDAGOGIA Annali della pubblica istruzione Cultura e scuola Documentation et information pedagogiques Giornale dei genitori Problemi della pedagogia Rassegna di pedagogia Riforma della scuola Scuola e città 371 - DIDATTICA, SCUOLE Archimede Cooperazione educativa Didattica delle scienze Scienze e loro insegnamento Scuola italiana moderna 371.33 - MEZZI AUDIOVISIVI Audiovisivi Audiovisual instruction

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FLORA MARTELLI_____________________________________________________________________________

371.425 - ORIENTAMENTO PROFESSIONALE Orientamento scolastico e professionale 372 - ISTRUZIONE ELEMENTARE Educateur. Pèdagogie Freinet Infanzia Scuola di base 373 - ISTRUZIONE SECONDARIA Biennio Giornale della scuola media e superiore Istruzione tecnica e professionale Rassegna dell’istruzione artistica 374 - EDUCAZIONE DEGLI ADULTI Bollettino d’informazioni UNESCO Confronter Cultura popolare Osservatorio sul mercato del lavoro e sulle professioni Pourquoi? Quaderni di formazione ISFOL 150 - PSICOLOGIA Archivio di psicologia, neurologia e psichiatria Giornale italiano di psicologia Psicologia contemporanea Revue francaise de psychanalise Rivista di psicologia analitica Rivista di psicanalisi Rivista di psicologia Neuropsichiatria infantile Scilicet 300 - SCIENZE SOCIALI Aggiornamenti sociali AJS American Journal of sociology Animazione sociale Archives europeennes de sociologie Critica sociologica De Homine Homme e société Ikon Inchiesta Orientamenti sociali Quaderni di sociologia Rassegna internazionale di scienze sociali Rassegna italiana di sociologia Revue de l’Institut de sociologie Revue internationale des sciences sociales 142

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_____________________________________________________________SETTORE PERIODICI BIBL. PROV.LE

Revue internationale de sociologie Ricerche demoscopiche Rivista internazionale di scienze sociali Rivista di sociologia Studi di sociologia 301.16 - COMUNICAZIONI DI MASSA Annali della scuola superiore delle comunicazioni sociali Communications Edav. Educazione audiovisiva Problemi dell’informazione 301.36 - URBANESIMO Città classe Archivio di studi urbani e regionali 945.7 - ITALIA MERIDIONALE Basilicata Cronache della Regione Puglia Incontri meridionali Informazioni Svimez Meglio Nel mese Nord e Sud Nuova Puglia Nuovo Mezzogiorno Politica e Mezzogiorno Quaderni del Mezzogiorno e delle isole. Quaderni Calabresi Realtà del Mezzogiorno Regione Rieti Risveglio del Molise e del Mezzogiorno Studi bitontini Terra pugliese 945.757 - FOGGIA Capitanata Capitanata agricola e industriale Gazzetta sanitaria dauno-lucana Gazzetta di Foggia Gazzettino dauno Momento sud Notiziario Consorzio per la bonifica della Capitanata Ognigiorno Progresso dauno Punto Risveglio Sette giorni Stampa Stud (= Sud) Express

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FLORA MARTELLI_____________________________________________________________________________

Diamo di seguito, a titolo esemplificativo, uno spoglio dei perio-dici appartenenti alla sottoclasse 370 (CDD) Educazione -Pedagogia esistenti nella Biblioteca Provinciale di Foggia sui seguenti argomen-ti: Professionalità dell’insegnante, sperimentazione educativa, distret-to scolastico e riforma della secondaria superiore.

PROFESSIONALITÀ DELL’INSEGNANTE E SPERIMENTAZIONE EDUCATIVA

Abbolito E., Procopio M. In tema di sperimentazione di programmi

per il biennio. - sta in - « Istruzione tecnica e professionale », 1974, n. 40

Agostini E. Formazione ed aggiornamento degli edu-catori. - sta in - « I problemi della pedago-gia », 1974, n. ¾

Agostini E. Sperimentazione e decreti delegati. - sta in - « I problemi della pedagogia », 1976, n. 7

Armento V. La sperimentazione e la ricerca educativa. - sta in - « Istruzione tecnica e professiona-le », 1974, n. 1

Becchi E. Lo sperimentalismo educativo. – sta in - « Riforma della scuola » 1976, n. 8-9

Bertin G. M. La sperimentalizzazione e i decreti delega-ti. - sta in - « I problemi della pedagogia », 1975, n. 4-5

Borghi L. La libertà dell’insegnamento. - sta in - « Scuola e città », 1975, n. 1

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FLORA M ARTELLI 148

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IDEOLOGIA SOCIALE E PROFILI STORICI NELLA NARRATIVA VERGHIANA

La mano sapiente di Giovanni Verga ha scolpito nell’arsa roccia

di Sicilia le meste figure di antichi lottatori vestiti di laceri panni; sui loro volti ha striato i segni della fame, dei patimenti e dei lutti, nei loro occhi incavati e asciutti ha fissato le ombre profonde di un’ignota pau-ra ed il velo opaco di un dolente e rassegnato fatalismo; ha chinato il loro capo in una spenta e stanca immagine di umile e servile sogge-zione; i loro corpi da forzati ha contorto nell’aspra fatica dei campi, nel gravoso martellare del piccone, nello sforzo coraggioso e tenace di resistere alla furia del mare, nel curvo incedere d’i polverose cariatidi che recano sulla schiena il peso dei mattoni e della calce; ha raffigura-to esauste ed ansanti le loro membra bruciate dal sole, scrosciate dalla pioggia, disseccate dal vento, corrose dalla salsedine; sulla crosta del pane nero delle povere mense ha posato il sudore delle fronti. Sulle fragili e minute figure delle formelle impose, gigantesca, pesante ed opulenta, l’avida e vorace mano del padrone; e su tavole marmoree in-cise le severe leggi dei padri. Ma la materia gli parve impura, e quelle morti esistenze segregò in un insuperabile e viscido steccato dal quale precipitano i corpi disperati vanamente protesi a ris alirlo.

Questo allegorico bassorilievo di Ghibertiana memoria, denominò: i vinti. Da esso par che si levi un muto urlo disperato:

ma solo un angoscioso silenzio ristagna intorno a quei fantasmi impietriti ed impenetrabili, nella cui immobile fissità è l’eterna attesa di una liberazione che solo la morte può donare. Pare che l’artista, nel rappresentare la penosa epopea degli umili, abbia voluto dare un volto alla inesorabile sorte, antica ed eterna, di soggezione ai potenti; che abbia voluto dare consistenza corporea ad una terrena desolazione in cui non è divina clemenza né umana speranza; che abbia voluto creare l’immagine di un fatale destino che, impietoso, recide le illusioni di coloro che osano valicare la soglia di una impura condizione sociale.

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CATERINA CLEMENTE_________________________________________________________________________

Pare quasi che il rassegnato tormento di quella forma abbia egli rea-lizzato lasciando calare sui deboli la incandescente lava del suo vulca-no, per consegnare alla storia il veridico calco di una stirpe di vinti, la stirpe dei vinti della società.

L’angoscioso messaggio sociale che trasuda dalla Composizione fu, però, soffocato dal pensiero dell’autore e dalla progressiva involu-zione del suo sociale atteggiarsi.

Il Verga aveva scritto che il progresso umano è alimentato dalle ambiziose inquietudini degli uomini, in un incessante divenire che tra-sforma i vincitori di oggi nei vinti di domani. Ma egli, che, a differen-za del Capuana, fu grande artista e misero teorico, tradì, nelle sue opere, questo tema ideale. Dal progredire della umana civiltà escluse il progresso sociale degli umili. Attingeva, forse, dal profondo del suo animo, che gli umili, eterni sudditi di altrui dominio, erano gli unici veri vinti della società; che, piegati dalla miseria e mossi solo da un istinto di sopravvivenza, esaurivano la loro storica funzione sociale in una naturale soggezione al potere della roba, ed erano, perciò, gli strumenti passivi e le vittime, ma non gli artefici del progresso umano. Rattristato e commosso, sentiva quanto fosse penosa ed avvilita la condizione sociale dei miseri, ne sentiva i patimenti, le frustrazioni e la fame, ma la sentiva come ineluttabile e fatale. L’intenso e religioso suo culto della tradizione, personificato nel vecchio Padron ‘Ntoni, perpetuava nel futuro l’autorità di antiche leggi sociali, ed alla sua mente i tormenti, gli affanni e gli stenti, che i deboli trascinavano nel loro affannoso vivere, apparivano come una sorte naturale ed immuta-bile. Quasi presagiva come sacrilega ed oltraggiosa per gli atavici canoni la possibilità di una loro evoluzione sociale, di una loro libe-razione dalla fame e dalla servitù. Nel loro vivere desolato e senza speranza, scorgeva un fatale ed inesorabile destino di vinti. Elevava, perciò, a dura legge di vita quel sentimento di paziente rassegnazione sedimentato nel loro animo e stroncava, in un tragico destino, gli spi-riti che, disperati, a quella legge non si acquietavano.

In questa concezione, chiusa ad ogni divenire sociale dei miseri, è il limite angusto della sua ispirazione sociale. In essa è l’asfittica vi-sione di un destino di vinti che investe la classe sociale degli umili e deboli proletari, e sempre ne consegna le sorti all’arbitrio del potere

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________________________________________________________________IDEOLOGIA SOCIALE IN VERGA

economico. Nedda, infatti, è vinta nel perire dei suoi affetti, sol per-ché povera; Rosso Malpelo, come già suo padre Misciu ed il suo ami-co Ranocchio, è vinto dalla miseria che Io piega alla fatica della mi-niera, alla solitudine affettiva ed alle percosse dei padroni, finché an-che la sua vita non è rapita dal loro vorace sfruttamento; la derelitta Diodata, vinta dalla fame e dalla solitudine, è preda di un padrone che ne divora la fatica e la virtù, ne deprime gli affetti, ne mortifica l’esistenza con le percosse e l’abbandono. Par quasi che la sventura si nutra solo di deboli, anche quando essi, come Nedda, Rosso Malpelo e Diodata, sono le rassegnate vit time di un avaro ed inesorabile destino. E la sventura trafigge anche i Malavoglia, « che avevano sempre avu-to delle barche sull’acqua, e delle tegole al sole », non appena ‘Ntoni va militare e le braccia rimaste nella casa del Nespolo più non bastano al governo della barca. Se si pensa che il negozio dei lupini era stato combinato dal vecchio padron ‘Ntoni, simbolo della tradizione e della rassegnazione, solo per « menare avanti la barca », pare quasi che i lutti tendano ad assoggettare la famiglia al potere economico dell’usuraio, a precipitarla in una voragine di povertà con quel debito che assorbiva ogni loro fatica e condizionava il loro stesso vivere. Di-venuti miseri liberti, i Malavoglia sono già dei vinti quando le dispera-te inquietudini, prima di ‘Ntoni e poi di Lia, lacerano l’unità della fa-miglia e sono punite da una umana impietosa giustizia. Questi sono i vinti di una famiglia già vinta dalla società, poiché si ribellarono alla legge della rassegnazione. Lo scrittore è un severo censore di quel loro vano aggrapparsi ad una speranza di benessere, pur restando fiacchi ed immersi in tanta miseria. Credeva egli fermamente che soltanto la ro-ba e la possidenza determinano e mutano la condizione sociale degli uomini e possono affrancarli dal bisogno, mentre illusorie sono le stinte utopie egualitarie e le rivoluzionarie aspirazioni ad una chime-rica giustizia sociale. Nella sua penna, infatti, stride una sottile ironia quando descrive l’evangelica democrazia dello speziale don Franco che «non aveva difficoltà di starsene in sinedrio con quelli senza scar-pe purché non mettessero i piedi sui regoli delle scranne »; lo stesso protendersi di ‘Ntoni Malavoglia verso una eguaglianza umana per temperare le sperequazioni sociali, assume toni e sfumature

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di parodia in quello oscillare di amorfa ignoranza e grottesca supersti-zione. Il Verga sentì ineguali gli esseri umani e, dall’alto di una supe-riore collocazione sociale, concepì una rigida separazione delle tradi-zionali classi sociali, ed osteggiò ogni interferenza del potere econo-mico diretta a saldare e fondere natali e spiritualità di differente e-strazione. Gli mancò l’evangelico cristianesimo e lo spirito popolare di un Tolstoj, che, in «Guerra e Pace », consente all’ingenua ed istin-tiva saggezza di un uomo del popolo, Platone Karatajev, di determina-re una crisi spirituale nel colto ed aristocratico Pierre Bezuchov; e in « Resurrezione » lega di un saldo vincolo spirituale e sentimentale un principe e una serva, pur nelle insormontabili difficoltà esogene che si frappongono fra essi; mai, come Dostojevskj, si è avvicinato al popo-lo, umiliato ed offeso, per liberarlo da tanta umiltà e trasformarlo, ri-generarlo. Dai suoi scritti traspare il volto del geloso custode di una tradizione di casta, del settario difensore della purezza dei ceti elevati, e non nasconde una scostante ed endemica intolleranza razziale verso gli impuri quando questi tentano di inquinare l’aristocratico sangue della razza eletta. Nella vicenda de « Il marito di Elena » infatti, il pro-tagonista è vittima di una moglie sposata al di fuori del suo ceto socia-le con sacrificio della sua dignità e delle tradizioni della famiglia; nel-la relazione di Mastro don Gesualdo e Diodata vi è solo lo svago ero-tico di un padrone con una serva e la quasi accidentale procreazione di una impura filiazione naturale, disconosciuta ed ignorata, però, dall’autore del concepimento. Ed è questo sociale atteggiarsi ad indur-re l’autore, che pur aveva assecondato l’eroica fatica del simbolo della prorompente vigoria borghese, a negare ogni solidarietà a Mastro don Gesualdo, quando questi, rivendicando i diritti che gli concede la su-data ricchezza, impalma la povera ma aristocratica Bianca Trao. il Verga, mentre è indulgente con la Trao che a quel connubio fu costret-ta, quasi venduta dal suo peccato e dalla rovina economica della fami-glia, quasi votata ad un sacrificio per donare alla creatura, che già re-cava in grembo e che era stata concepita da persona dello stesso suo lignaggio, una legittima paternità ed una ricchezza spettante ad una a-ristocratica investitura, severamente condanna don Ge sualdo che volle contaminare, con la sua impura estrazione sociale, l’aristocratica

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purezza della donna, per una ragione di prestigio sociale. Alla loro vi-ta coniugale concede una reciproca devozione, ma sempre nega una comunione spirituale, e non consentì una commistione razziale tra le loro essenze ineguali da essi non nasce una generazione impura. Ed è in questo vincolo coniugale che Mastro don Gesualdo fu vinto, se vinti può dirsi; la sua legittima paternità sulla pura ed aristocratica Isabella restituiva infatti fatalmente la sua ricchezza a quel ceto sociale cui a-vevano osato rapirla le sue fatiche, i suoi sacrifici, e le sue privazioni, quasi che altro essere impuro sarebbe stato indegno di possederla. Di-venuto ricco borghese e rapace padrone si era egli affrancato dalla sua originaria condizione sociale, non poteva essere intaccato da quel tra-gico destino che non risparmiava i deboli e che tanta sventura aveva seminato nella famiglia Malavoglia.

Tutore di un inesorabile ordine sociale, lo scrittore rispetta in lui la ricchezza ed il padrone, ma, con sottile disprezzo, noi dimentica la sua origine impura, ed a quel prepotente e vertiginoso salire nella ge-rarchia sociale nega la dignità che solo natali e la tradizione possono conferire; le ambizioni sociali d don Gesualdo sono illuso ne: egli è solo il rozzo e tenace lavoratore che sfrutta i miseri ed è sfruttato dai ranghi sociali elevati che, parassitariamente, risucchiano la sua roba.

Nella vicenda di Mastro don Gesualdo spunta anche il di stacco del Verga dagli umili, le cui esistenze informi sono sfocate ed anoni-me, senza volto e senz’anima; essi sono sentiti come i potenziali ne-mici del padrone che nel 1848 avevano attentato alla sua roba; solo al-la fedele dedizione di Diodata, sospettata di ignoti natali elevati, l’autore rivolge una epidermica adesione.

Si delinea, così, la involuzione del pensiero sociale del l’autore che degrada, nei confronti degli infimi strati sociali da una originaria commossa adesione spirituale, alla diffidenza in « Mastro don Gesual-do », ed alla ingiusta ostilità al primo apparire delle organizzazioni del movimento operaio ed al proliferare dei suoi proseliti. Nel 1905, infat-ti, nel romanzo « Da mio al tuo », il Verga, possidente borghese, rin-nega il mesto poeta della dolorosa epopea degli umili e narra del tra-dimento di Luciano, un capolega operaio, che sposa Lisa, figlia del

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padrone della solfatara, il barone don Raimondo Navarra, e si trova, al momento del pirogeno sciopero, economicamente e socialmente con-tro i compagni di lotta. Negando alle inferiori classi sociali ogni dive-nire nell’unione e nella lotta degli uomini, palesava il conservatore e reazionario credo politico che alimentava la sua ispirazione sociale. Tale sua ideologia, che lo distingueva dal rivoluzionario e temerario Zola, di « J’accuse », non aveva recepito i profetici moniti di Giusep-pe Ferrari, di Ippolito Nievo e di tanti altri democratici ingegni che auspicavano la soppressione di un regime agrario semifeudale e la e-voluzione sociale delle masse rurali; non aveva egli intuito che il pro-gresso umano è soprattutto progresso sociale; era rimasto asso-lutamente refrattario ed impermeabile alle brucianti tensioni sociali che sorgevano dalla disperata miseria e dalla cieca esasperazione delle masse contadine ed operaie, ed ai focolai di esplosive conflittualità che in esse accendeva la conservazione di antichi privilegi di classi, ed aveva opposto un ermetico diaframma di ostilità, alla nascente ideolo-gia marxista, che, sul tronco dell’azione di Bakunin, tendeva con An-tonio Labriola, Andrea Costa, Enrico Bignami, Filippo Turati, Claudio Treves, Camillo Prampolini, Rinaldo Rigola e tanti altri fondatori del socialismo italiano, alla emancipazione umana, sociale ed economica di quelle masse derelitte, asservite e sfruttate allo spasimo. Pare quasi che la sua idea si incarni in Mastro don Gesualdo il quale, contro i contadini che vogliono prendergli la roba, urla furente « Voglio am-mazzarne prima una dozzina! A chi ti vuol prendere la roba, levagli la vita ».

Anche se involuto dalle strettoie di siffatta concezione sociale, che rifletteva l’atteggiarsi della sua generazione e della sua epoca, sempre si tenne fedele ad un realismo inconsueto per la narrativa italiana, ri-pudiando il borghese paternalismo e le retoriche mistificazioni del Prati, il rusticano ed arcadico idillio del Nievo, il gesuitico paternali-smo del Manzoni, in cui non era lo spirito egualitario del cristianesimo evangelico. Con animo sgombero da tali incrostazioni, iscrisse negli umili personaggi della sua terra il tratto di una sincera compassione. Si tenne, così, lontano dal Manzoni che sentì per gli umili un amore che aveva solo sostanza di astratto dovere dettato dalla morale cattolica, e che cosparse di diffusa ironia le povere figure del sarto, di fra’ Galdi-

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no di Renzo, di Agnese, di Perpetua, di Gervasio e della stessa Lucia, rappresentando queste creature come gente angusta e priva di vita in-teriore, mentre a fra’ Cristoforo, al Cardinale Borromeo, all’Innominato, ed allo stesso don Rodrigo, che erano aristocratici, conferì autorevole solennità insieme ad una intensa e profonda spiri-tualità destinata ad illuminare e guidare gli esseri inferiori. Ai miseri ed al loro animo antico serbò autentica, austera e virile fisionomia e ad essi si congiunse nei valori ideali generati dalla terra di Sicilia; con crudo e poetico verismo, senza sbiadirne le tinte e senza alterarne i to-ni, rappresentò le spinose asperità del loro desolato vivere in cui non era lume di divina provvidenza o di umana speranza, ma solo una ser-vile soggezione ad un cinico utilitarismo padronale.

In questa poetica iconografia consacrò l’immagine della vita socia-le dei suoi tempi, svolgendone i temi e le implicazioni non solo senti-mentali e morali, ma anche economiche e di classe; né mancò di effi-giare il decadimento ed il deterioramento dell’antica aristocrazia, che fu soggetto de « I vicerè »di Federico De Roberto e, molto più tardi, del « Gattopardo » di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Ma tanta verità non gli fu perdonata dalla falsa sonnolenza e dal miope egoismo borghese, né dalla fatua e distaccata alterigia aristocra-tica. La cultura dei suoi tempi, adagiata in un sopito torpore ed incan-tata dalla spirituale contemplazione di aulici miti, non volle scorgere l’amara poesia che animava la fame, i patimenti degli umili, e non in-travide le nuove frontiere della narrativa italiana che la sua arte verista aveva additato.

* * *

I profili sociali della narrativa verista di Giovanni Verga furono i-storiati nella fucina di un’epoca irretita dalla mitica ed ossessiva unita-rietà del sorto Regno d’Italia.

L’assetto politico e territoriale del nuovo Stato era stato concepito e realizzato dal liberalismo del Cavour come una espansione dello Sta-to Piemontese e del dinastico patrimonio sabaudo, come conquista re-gia che strumentalizzava i temi ideali del risorgimento, patrimonio di piccole minoranze di grandi intellettuali, e da essi derivava una

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CATERINA CLEMENTE_________________________________________________________________________

investitura di legittimità. Mancava, però, nella penisola una diffusa coscienza nazionale poiché i sacerdoti, del risorgimento, nobili e borghesi, distinguendosi dalla po-sitiva strategia dei giacobini francesi, per la conservazione di antichi privilegi, non avevano osato utilizzare le possenti energie rivoluziona-rie delle masse rurali, accogliendone le sostanziali rivendicazioni ed associandole alla causa unitaria, ed avevano così smarrito la preziosa occasione di depositare nelle masse popolari, lievitate in un più demo-cratico ordine sociale, il solido cemento di una profonda coscienza na-zionale unitaria. E questo indirizzo politico, chiuso ad ogni ispirazione democratica, si perpetuava nella nazione italica accentuato da una fe-ticistica concezione dell’unità suscitata dalla mancanza di un tessuto sociale in cui fosse stata radicata una coscienza unitaria e nazionale. Il Crispi ne diventava il fanatico interprete ed alla sua linea politica il Giolitti arrecava solo marginali correttivi. L’unità nazionale si identi-ficava, così, nella dinastia sabauda; si estendeva al territorio nazionale il sistema di accentramento amministrativo dello Stato Piemontese (legge comunale e provinciale di ispirazione napoleonica nella subor-dinazione delle autonomie locali al controllo dei prefetti che riassu-mevano alla periferia le prerogative del governo); si rinsaldava il pote-re industriale del settentrione per dare al paese una indipendenza eco-nomica al prezzo di un protezionismo doganale che apriva nel mezzo-giorno e nelle isole una paurosa crisi commerciale. Il meridione era così ridotto ad un mercato di vendita semicoloniale, ad una fonte di ri-sparmio da utilizzare per finanziare un disegno politico che recava vantaggi solo al settentrione, ad un’area di prelievo fiscale con imp o-sizioni prevalentemente indirette, che gravavano pesantemente i setto-ri sociali più poveri. Il potere industriale del settentrione si ampliava e si arricchiva, così, in proporzione all’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura del meridione, poiché il protezionismo e le tariffe do-ganali consentivano alle concentrazioni industriali del Nord di vendere nel territorio nazionale quasi in regime di monopolio, mentre impedi-vano ai prodotti agricoli del Sud di penetrare nei mercati esteri per le ritorsioni tariffarie adottate dagli altri paesi. E questa situazione che aggravava sempre di più, anziché sanarlo, il divario fra il Nord e il Sud, determinava quel triste fenomeno, teorizzato e diffuso come veri-

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tà scientifica da sociologi del positivismo (quali Niceforo, Ferri, Ora-no... etc.), che lasciava intendere l’endemico malcontento meridionale e la penosa miseria ivi diffusa come l’effetto, quasi biologico, di una organica incapacità della popolazione meridionale ad eguagliare i pro-gressi sociali ed economici realizzati dalle più dotate genti del setten-trione.

La politica dello Stato, sorretta nelle scelte impopolari da spietate repressioni di ogni movimento di massa e da periodici eccidi di conta-dini, tendeva ad estendere i quadri della classe dirigente agli strati so-ciali elevati e potenti e ad assorbire nelle sfere della pubblica ammini-strazione gli esponenti della piccola borghesia che avrebbero potuto organizzare il caotico e tumultuoso malcontento contadino. Gli aspetti più negativi di questi politica discriminatoria ed ingiusta, erano pro-prio nelle cruenti repressioni dei fermenti insurrezionali dell’e masse rurali meridionali ed in particolare della Sicilia. Basti pensare alla re-pressione attuata dal Bixio per sedare nel sangue la insurrezione con-tadina per la iniqua distribuzione delle terre demaniali durante la ditta-tura di Garibaldi; alla sanguinosa campagna del generale Cialdini per stroncare il brigantaggio originato dalla esasperazione dei contadini traditi dall’assegnazione ai borghesi delle terre demaniali confiscate agli ordini ecclesiastici; alla repressione del movimento Siciliano dei fasci dei lavoratori, in cui era la caotica disperazione di quei contadini, realizzata dal Crispi con un vero stato d’assedio e con pesanti condan-ne pronunciate da Corti Marziali; alla strage di centinaia di persone inermi, tra cui anche donne e bambini, che si ribellavano al rincaro del prezzo del pane; agli abusi ed ai privilegi dei potenti, che fu perpetrata dal generale Bava-Beccaris, poi decorato da Umberto I per tale nobile gesto.

Il cieco nazionalismo, deteriore eredità del risorgimento. diveniva così il sipario di una politica conservatrice dei privilegi e del dominio sociale e politico dell’alta borghesia e dell’aristocrazia che non aveva recepito i profetici moniti del liberale Cavour, che vanamente aveva predicato la necessità di un decentramento amministrativo a livello re-gionale, di una politica economica che fosse estesa con eguaglianza a tutto il territorio nazionale, di evitare la politica dello stato di assedio, per assecondare il formarsi di una solida coscienza nazionale, unico

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vero presidio dello Stato; che « è pericolosa grettezza politica » quella di commisurare le riforme non alle esigenze dei tempi e dei popoli, ma « allo stretto indispensabile per allontanare il prossimo pericolo di po-litici sconvolgimenti ».

I disastrosi risultati di questa realtà socio-politica incrostata di speciosa retorica, che una falsa prospettiva storica cerca invano di re-dimere, insegnando che l’Italia preesisteva come entità politica smembrata e soffocata da forze straniere, mentre nella figurazione po-litica del 1870 non era mai esistita né poteva esistere se non nelle uto-pie, hanno tramandato, in una dimensione dilatata dal tempo, gravosi problemi politici e sociali (Meridione, riforme, coscienza nazionale, senso della dignità dello Stato e del cittadino... etc.) che ancora i nostri governanti faticano ad intendere, sebbene il Cavour li avesse intuiti già da oltre un secolo quando puntava a portare la società italiana al livello di quelle di altre nazioni di più antica tradizione storica.

Il pessimismo del Verga, se pessimismo può dirsi il riflesso della sua ideologia crispina, che lo indusse a rifuggire dalle lusinghe separa-tiste della sua Sicilia, traduce la realtà sociale e politica dei suoi tempi; il suo sarcasmo nei confronti delle utopie rivoluzionarie e la involu-zione del suo sentire sociale erano la ineluttabile conseguenza di quel-la realtà che, mediata dal suo sentire, affiorava nei suoi scritti. E la po-etica immagine delle sue creature in cui sembra riconoscere il pathos dei dannati danteschi, muta testimonianza delle miserie, dei tormenti, dei patimenti inflitti ad una stirpe di vinti dall’egoismo padronale, di-staccate dalla mente che le generò, par quasi che ammonisca i posteri a riparare gli errori del passato ed a non perpetuarli nel futuro poiché gli esseri umani, nati eguali, debbono rimanere eguali.

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