conferenze di s. vincenzo de paoli ai suoi confratelli vincenziani

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1.BRANO DI CONFERENZA SULLA VOCAZIONE DI MISSIONARIO 1 «Lo stato di missionario è una condizione di vita conforme alle massime evangeliche e consiste nel lasciare e abbandonare tutto come gli apostoli, per seguire Gesù Cristo e fare ciò che Egli stesso ha fatto. Ciò posto, come mi diceva una persona in una certa circostanza, soltanto il diavolo può trovare da ridire di questo stato; perché non c'è nulla di più cristiano che andare di villaggio in villaggio ad aiutare il popolo a salvarsi, come vedete che si fa con molte fatiche ed incomodo! Ecco i tali e tali dei nostri confratelli che lavorano, ora, in un villaggio della diocesi di Evreux dove si coricano sulla paglia. Perché? Per mandare le anime in paradiso mediante l'istruzione e i patimenti. Questo non si avvicina a ciò che Nostro Signore venne a fare? Egli non aveva neppure una pietra dove posare il capo, e andava e veniva da un luogo ad un altro per conquistare anime a Dio, ed infine morì per esse. Certo, non poteva farci meglio capire quanto Gli fossero care, né persuaderci più efficacemente a non risparmiare nulla per istruirle sulla sua dottrina e lavarle nella sorgente del suo prezioso Sangue. Ma, se vogliamo che Egli ci conceda tal grazia, cerchiamo di acquistare l'umiltà; perché quanto più uno sarà umile, tanto più sarà caritatevole verso il prossimo. Il paradiso delle comunità è la carità; e la carità è l'anima delle virtù, ed è l'umiltà che le attira e le conserva. Le Compagnie umili sono come le valli che attraggono su di sé tutto il succo delle montagne: appena saremo vuoti di noi stessi Dio ci riempirà di sé, perché Egli non tollera il vuoto. Umiliamoci dunque, fratelli, pensando che Dio ha gettato lo sguardo su questa piccola Compagnia pel servizio della sua Chiesa, se pure possiamo chiamare Compagnia un pugno di uomini, poveri di nascita, di scienza e di virtù, la feccia, la spazzatura e il rifiuto del mondo. Prego Dio due o tre volte ogni giorno, perché ci annienti se non siamo utili alla sua gloria. Ma come! signori, vorremmo vivere senza piacere a Dio e senza procurargli la maggior gloria?" 1 Abelly, Vie de St. Vincent de Paul, 1.I,cap.21.

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Con una semplicità di linguaggio Vincent de Paul formava i suoi confratelli sacerdoti e laici alla spiritualità della carità

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Page 1: Conferenze di S. Vincenzo de Paoli ai suoi Confratelli Vincenziani

1.BRANO DI CONFERENZASULLA VOCAZIONE DI MISSIONARIO1

«Lo stato di missionario è una condizione di vita conforme alle massime evangeliche e consiste nel lasciare e abbandonare tutto come gli apostoli, per seguire Gesù Cristo e fare ciò che Egli stesso ha fatto.

Ciò posto, come mi diceva una persona in una certa circostanza, soltanto il diavolo può trovare da ridire di questo stato; perché non c'è nulla di più cristiano che andare di villaggio in villaggio ad aiutare il popolo a salvarsi, come vedete che si fa con molte fatiche ed incomodo! Ecco i tali e tali dei nostri confratelli che lavorano, ora, in un villaggio della diocesi di Evreux dove si coricano sulla paglia. Perché? Per mandare le anime in paradiso mediante l'istruzione e i patimenti. Questo non si avvicina a ciò che Nostro Signore venne a fare? Egli non aveva neppure una pietra dove posare il capo, e andava e veniva da un luogo ad un altro per conquistare anime a Dio, ed infine morì per esse. Certo, non poteva farci meglio capire quanto Gli fossero care, né persuaderci più efficacemente a non risparmiare nulla per istruirle sulla sua dottrina e lavarle nella sorgente del suo prezioso Sangue. Ma, se vogliamo che Egli ci conceda tal grazia, cerchiamo di acquistare l'umiltà; perché quanto più uno sarà umile, tanto più sarà caritatevole verso il prossimo. Il paradiso delle comunità è la carità; e la carità è l'anima delle virtù, ed è l'umiltà che le attira e le conserva. Le Compagnie umili sono come le valli che attraggono su di sé tutto il succo delle montagne: appena saremo vuoti di noi stessi Dio ci riempirà di sé, perché Egli non tollera il vuoto.

Umiliamoci dunque, fratelli, pensando che Dio ha gettato lo sguardo su questa piccola Compagnia pel servizio della sua Chiesa, se pure possiamo chiamare Compagnia un pugno di uomini, poveri di nascita, di scienza e di virtù, la feccia, la spazzatura e il rifiuto del mondo. Prego Dio due o tre volte ogni giorno, perché ci annienti se non siamo utili alla sua gloria. Ma come! signori, vorremmo vivere senza piacere a Dio e senza procurargli la maggior gloria?"

2. BRANO DI CONFERENZASULLA MISSIONE DATA A FOLLEVILLE NEL 16172

Dopo aver raccontato la conversione del contadino di Gannes3, S. Vincenzo aggiunse:

«La vergogna impedisce molti campagnoli di confessarsi di tutti i loro peccati al parroco e rimangono così in uno stato di dannazione. Qualche tempo fa, venne domandato ad uno degli uomini più eminenti del nostro tempo, se quelle persone potevano salvarsi, data tale vergogna che toglieva loro il coraggio di confessarsi di certi peccati, ed egli rispose che indubbiamente, morendo in quello stato, si sarebbero dannate. Ahimè! mio Dio (dissi allora tra me), quante se ne perdono dunque! E quanto è importante l'uso delle confessioni generali, che rimediano a tale sventura, se sono accompagnate da una vera contrizione, come avviene di solito!

Quel contadino diceva ad alta voce che si sarebbe dannato, perché era veramente pervaso dallo spirito di penitenza; quando un'anima è piena di tale spirito, concepisce orrore per il peccato in modo tale che non solo se ne confessa al sacerdote, ma sarebbe disposta ad accusarsene pubblicamente, se fosse necessario per la sua salvezza. Ho visto alcune persone le quali, dopo la confessione generale, volevano manifestare al pubblico

1 Abelly, Vie de St. Vincent de Paul, 1.I,cap.21.2 Abelly, op. cit., 1. I, cap.8.3 Località situata ad una dozzina di chilometri dal castello di Folleville (Somme), nelle terre della signora Gondi.

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i loro peccati, e duravo fatica a trattenerle; e sebbene proibissi di farlo, «No, signore, mi rispondevano, li dirò a tutti; sono un miserabile e merito la morte". Vi prego d'osservare in questo l'effetto della grazia e la forza del dolore; ne ho visti molti con questo gran desiderio, se ne incontrano spesso. Sì, quando Dio entra così in un cuore, gli fa concepire tanto orrore per le colpe commesse, che vorrebbe scoprirle a tutti. Alcuni, infatti, non hanno difficoltà di dire ad alta voce: «Sono un uomo perfido, perché in tale e tale occasione ho fatto questo e questo: ne chiedo perdono a Dio, al signor parroco e a tutta la parrocchia". Vediamo che i più grandi santi hanno fatto egualmente. S. Agostino, nelle sue Confessioni, manifestò i suoi peccati a tutto il mondo, ad esempio di S. Paolo, il quale dichiarò altamente e pubblicamente nelle sue lettere di essere stato un bestemmiatore e un persecutore della Chiesa, affine di rendere più manifesta la misericordia di Dio verso di lui. Ecco l'effetto della grazia in un cuore; getta fuori tutto quello che le è contrario.

Tal grazia spinse il contadino di Gannes a fare confessione pubblica, anche in presenza della signora Gondi di cui era vassallo, dei gravi peccati commessi nella sua vita passata. «Ah! signore, che cos'è mai? disse allora al santo la virtuosa signora. Che cosa abbiamo udito? Senza dubbio avviene lo stesso della maggior parte di questa povera gente. Ah! se quest'uomo che passava per uomo dabbene, era in uno stato di dannazione, che sarà degli altri che vivono peggio di lui? Ah!, signor Vincenzo, quante anime si dannano! Come rimediarvi?".

Quest'ultimo continuò:«Questo avvenne nel mese di gennaio 1617; e il giorno della conversione di S.

Paolo, che è il 25, quella signora mi pregò di fare una predica nella chiesa di Folleville per esortare gli abitanti alla confessione generale; e lo feci. Ne dimostrai l'importanza e l'utilità, insegnando poi il modo di farla bene. Dio prese tanto in considerazione la fiducia e la buona fede di quella signora (perché il gran numero e l'enormità dei miei peccati avrebbero impedito il frutto di tale azione) che benedì il mio discorso, e tutti quei buoni campagnoli furono talmente tocchi da Dio che vennero tutti a fare la confessione generale. Continuai ad istruirli ed a disporli ai sacramenti, e cominciai ad ascoltarli. Ma la ressa era tanta che, non potendo sopperirvi con un altro sacerdote che mi aiutava, la signora mandò a pregare i reverendi Padri Gesuiti di Amiens di venire in nostro soccorso. Scrisse al reverendo padre rettore che venne lui stesso, ma non potendosi trattenere che pre poco tempo, mandò, per lavorare al suo posto, il reverendo padre Fuorché della medesima Compagnia, il quale ci aiutò a confessare, predicare, catechizzare e trovò, per misericordia di Dio, modo di occuparsi. Andammo poi in altri villaggi appartenenti alla signora in quella zona e facemmo come nel primo. Vi fu gran concorso e Dio dette ovunque la sua benedizione. Ecco la prima predica della Missione e il buon esito che Dio le dette nel giorno della conversione di S. Paolo; certo Dio non lo fece in tal giorno senza un disegno prestabilito".

3. BRANO DI CONFERENZASUL FRUTTO DI DUE MISSIONI4

«Prego la Compagnia di ringraziare Dio delle benedizioni notevolissime che Egli ha dato alle missioni finite ora, e particolarmente a quella di... Vi era una strana divisione in quella parrocchia; gli abitanti avevano una grande avversione per il loro parroco, e il parroco, dal canto suo, aveva ragione di lamentarsi dei cattivi trattamenti ricevuti dai suoi parrocchiani; aveva, anzi, intentato un processo contro di loro, e ne aveva fatti mettere in prigione tre o quattro dei principali, perché si erano spinti tant'oltre da mettere le mani addosso in chiesa a lui o a qualcuno dei suoi. La maggior parte di loro

4 Abelly, op. cit., 1. II, cap. 1, sez. II, par. 1.

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non voleva neppure ascoltare la messa e uscivano di chiesa quando lo vedevano andare all'altare; insomma, il male era tanto grande che non ne ho mai visto uno simile. Protestavano che non si sarebbero mai confessati da lui e avrebbero, piuttosto, passata la festa di Pasqua senza comunicarsi.

Vedendosi ridotti in tale stato, alcuni di essi vennero qui, qualche tempo fa, a pregarci di dar loro una missione; l'abbiamo data e per misericordia di Dio tutti hanno fatto il loro dovere. Ma quello che deve maggiormente stimolarci a ringraziare Dio, è che quegli abitanti si sono pienamente riconciliati con il loro pastore, e si trovano ora in grande pace e unione; ne sono molto contenti, da una parte e dall'altra, con egual riconoscenza; dieci o dodici sono venuti a ringraziarci a nome di tutta la parrocchia ed hanno detto tanto bene di questa missione che duravo fatica ad ascoltarli.

Chi ha fatto tutto, signori, se non Dio soltanto? Era forse in potere degli uomini operare questa riconciliazione? Certo, quando anche un Parlamento intero si fosse incaricato di un accomodamento così difficile tra individui tanto avversi, a stento vi sarebbe riuscito e soltanto per l'ordine esterno. L'autore di questa buona opera è dunque Dio, al quale dobbiamo tutti i nostri ringraziamenti.

Vi prego, signori, di farlo con tutto l'affetto che potrete e di chiedere inoltre alla sua divina bontà di dare alla Compagnia lo spirito di unione e lo spirito unificante, il quale non è altro che lo Spirito Santo stesso, affinché, essendo sempre molto unita in se stessa, possa unire quelli di fuori; poiché noi siamo stati chiamati a riconciliare le anime con Dio e gli uomini con gli uomini".

4. BRANO DI UNA CONFERENZASULLA FORMAZIONE DEL CLERO5

«Il carattere dei sacerdoti è una partecipazione al sacerdozio del Figlio di Dio, il quale ha dato loro il potere di sacrificare il suo stesso corpo e di darlo in cibo, affinché coloro che lo mangiano vivano eternamente. E' un carattere tutto divino e incomparabile, un potere sul corpo di Gesù Cristo che gli angeli ammirano, e una facoltà di rimettere i peccati degli uomini che è per loro motivo di stupore e di riconoscenza. C'è nulla di più grande, di più mirabile? Oh! signori, che gran cosa è un buon sacerdote! Che cosa non può fare un buon ecclesiastico! Quali conversioni non può ottenere! Guardate il signor Bourdoise, quell'ottimo sacerdote; che cosa non fa mai, e che cosa non può fare! Dai sacerdoti dipende la felicità del cristianesimo; perché se i parrocchiani vedono un buon ecclesiastico, un caritatevole pastore, l'onorano e seguono la sua voce, cercano d'imitarlo. Oh! come dobbiamo cercare di renderli tutti buoni, poiché questo è il nostro ufficio, e il sacerdozio è una cosa tanto sublime!

Ma, mio Salvatore! se un buon sacerdote può fare un gran bene, quanto male non ne fa uno cattivo, quando vi si applica! Oh! Dio! quanta fatica occorre per farlo rientrare in sé! O Mio Salvatore! quanto devono darsi a Voi i missionari per contribuire a formare buoni ecclesiastici, poiché è l'opera più difficile, più nobile e più importante per la salvezza delle anime e per il progresso del cristianesimo!

Se S. Vincenzo Ferreri si animava alla perfezione considerando che Dio avrebbe suscitato un giorno buoni sacerdoti e operai apostolici per risollevare lo stato ecclesiastico e per disporre gli uomini all'ultimo giudizio; a più forte ragione noi altri che vediamo ai giorni nostri lo stato ecclesiastico migliorare, dobbiamo animarci ognor più a perfezionarci, per cooperare a questa tanto più desiderabile ricostituzione".

5. BRANO DI CONFERENZA

5 Abelly, op. cit., 1. II, cap.5. Questa conferenza è anteriore al 18 luglio 1655, giorno della morte di Adriano Bourdoise.

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SULLA FORMAZIONE DEL CLERO6

«Dedicarsi a formare buoni sacerdoti e concorrervi come causa seconda efficiente strumentale, è fare l'ufficio di Gesù Cristo, il quale, durante la sua vita mortale, dimostrò di prendere a cuore la formazione di dodici buoni sacerdoti, che sono i suoi Apostoli, rimanendo, a tale scopo, diversi anni con loro per istruirli ed iniziarli a quel divino ministero".

6. BRANO DI CONFERENZASULL'OPERA DEGLI ORDINANDI7

«Orsù, signori e fratelli, eccoci dunque alla vigilia di questa grande opera che Dio ci ha messo tra le mani; domani, mio Dio, dobbiamo ricevere quelli che la vostra Provvidenza vuole mandarci, per farci contribuire con Voi a renderli migliori. Ah! signori, ecco una grande parola: rendere migliori gli ecclesiastici! Chi potrà capire l'altezza di tale compito? E' il più nobile che esista. Che c'è di più grande al mondo dello stato ecclesiastico? I principati e i regni non sono paragonabili ad esso. Sapete che i re non possono, come i sacerdoti, cambiare il pane nel corpo di Nostro Signore, né assolvere dai peccati; conoscete tutti gli altri vantaggi che i sacerdoti hanno sopra le grandezze temporali, e tuttavia ecco le persone che Dio ci manda per santificarle. Che cosa c'è di simile? O poveri e meschini operai! Quanto siete poco adatti alla dignità di tale compito! Ma poiché Dio fa l'onore a questa piccola Compagnia, l'ultima di tutte e la più povera, di affidarle tale incarico, è necessario, dal canto nostro, mettere ogni cura per far riuscire questo disegno apostolico che mira a disporre gli ecclesiastici agli ordini superiori e a ben disimpegnare le loro funzioni; perché gli uni saranno parroci, gli altri canonici, gli altri proposti, abati, vescovi, sì, vescovi. Ecco le persone che riceveremo domani.

La settimana scorsa, si tenne un'adunanza di vescovi per rimediare all'ubriachezza dei sacerdoti di una certa provincia: il che è un grande inconveniente. I santi dottori dicono che il primo passo di una persona che vuole acquistare la virtù è di rendersi padrone della propria gola: infatti essa comanda alla persone che le danno quello che chiede. Qual disordine! Essere suoi servi, suoi schiavi, essere nient'altro se non ciò che essa vuole. Non c'è nulla di più brutto, né di più deplorevole che vedere sacerdoti, e la maggior parte di quelli di una provincia, asserviti a questo vizio, fino al punto di far riunire molti prelati e dar loro la preoccupazione di trovare un rimedio a simile sconcio. E il popolo che farà dietro tale esempio? Ma che cosa non dobbiamo far noi, signori, per darci a Dio, onde cooperare a strappare i suoi ministri e la sua sposa da tale infamia e da tante altre miserie nelle quali purtroppo li vediamo! Non già che tutti i sacerdoti siano sregolati; no, o Salvatore! vi sono stati santi ecclesiastici! Ne capitano tanti qui in ritiro, parroci ed altri che vengono da molto lontano per mettere in buon ordine la loro vita interiore! E quanti buoni e santi sacerdoti a Parigi! Sono numerosi: e tra quei signori della conferenza8 che si riuniscono qui, non ve n'è uno che non sia esemplare; lavorano tutti con frutto senza pari.

Vi sono anche cattivi ecclesiastici nel mondo,ed io sono il peggiore, il più indegno e il più gran peccatore di tutti. Ma, in compenso, vi sono quelli che lodano santamente Dio con la santità della loro vita! Ah! qual felicità, che Dio voglia servirsi di povera gente come noi senza cultura e senza virtù, non soltanto per aiutare a riabilitare gli ecclesiastici caduti e sregolati, ma anche per perfezionare i buoni, come vediamo, per

6 Abelly, op. cit., 1. II, cap. II, sez. IV.7 Abelly, op. cit., 1. II, cap. II, sez. IV.8 La conferenza detta del martedì.

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sua grazia, che avviene. Quanto siete fortunati, signori, d'infondere con la vostra devozione, mitezza, affabilità, modestia e umiltà, lo spirito di Dio in quelle anime, e di servire Dio nella persona dei suoi maggiori servi! Quanto siete fortunati voi che date loro buon esempio alle conferenze, alle sacre funzioni, al coro, al refettorio e ovunque! Oh! quanto saremo fortunati noi tutti se con il silenzio, la discrezione e la carità corrisponderemo alle intenzioni per le quali Dio ce li manda, usando particolare vigilanza nel vedere, nel cercare e nel recar loro senza indugio quello che potrà contentarli, ingegnandoci di provvedere a quanto abbisognano e di servirli! Facendo così li edificheremo. E' necessario chiedere vivamente questa grazia a Nostro Signore; prego i sacerdoti di dire la santa Messa e i fratelli di udirla con questa intenzione".

7.BRANO DI CONFERENZASULL'OPERA DEGLI ORDINANDI9

«L'ordinazione si avvicina; pregheremo Dio di dare il suo spirito a coloro che parleranno a quei signori e nelle conversazioni e nelle conferenze. Soprattutto ognuno cercherà di edificarli con l'umiltà e con la modestia. Non si conquistano con la scienza, né col dir loro belle cose; essi sono più istruiti di noi, poiché molti sono baccellieri ed alcuni licenziati in teologia, altri dottori in legge, e ve ne sono pochi che non sappiano la filosofia e una parte della teologia; ne discutono tutti i giorni. Quasi nulla di quello che possiamo dir loro è nuovo per loro; l'hanno già letto o udito; dicono loro stessi che non è questo che li commuove, ma bensì le virtù che vedono praticare. Teniamoci bassi, signori, considerando un ufficio tanto onorevole com'è quello di contribuire a formare buoni sacerdoti; che c'è infatti di più eminente? Teniamoci bassi, considerando la nostra meschinità, noi che siamo poveri di scienza, poveri d'intelligenza, poveri di condizione. Ahimè! Come ha potuto Dio sceglierci per una cosa tanto grande? La ragione è che, generalmente, Egli si serve delle materie più vili per le operazioni straordinarie della grazia; come nei sacramenti, dove fa servire l'acqua e le parole per conferire le sue maggiori grazie.

Preghiamo Dio per questi signore: ma preghiamo Dio anche per noi, affinché allontani tutto quello che potrebbe essere causa che essi non ricevano gli effetti dello Spirito di Dio, che sembra Egli voglia comunicare alla Compagnia a tale scopo. Siete mai andati in pellegrinaggio in qualche santuario? Di solito, ci sentiamo come uscire da noi stessi, alcuni trovandosi ad un tratto elevati in Dio, altri presi da una tenera devozione, altri pieni di rispetto e di riverenza per quel luogo sacro, ed altri con vari buoni sentimenti. Donde proviene? Dallo Spirito di Dio che è là dentro e si fa sentire in diversi modi. Orbene, dobbiamo pensare che sarà lo stesso qui, verso quei signori, se lo Spirito di Dio risiede in questa casa.

Dobbiamo render loro familiare la morale e scendere sempre ai particolari, affinché la capiscano bene; bisogna aver sempre questi di mira, fare in modo che gli uditori portino via quello che è stato detto nella conferenza. Stiamo bene attenti che il maledetto spirito di vanità non si insinui tra di noi, e non vogliamo parlare di cose alte ed elevate, perché ciò non fa altro che distruggere, invece di edificare. Ora, essi porteranno via tutto quello che è stato detto nella conferenza, se anche dopo glielo inculchiamo con semplicità e se li intratteniamo solamente su questo e non su altro, com'è conveniente per molte ragioni".

8. BRANO DI CONFERENZASULL'OPERA DELLE CONFERENZE ECCLESIASTICHE10

9 Abelly, op. cit., 1. II, cap. II, sez. IV.10 Abelly, op. cit., 1. II, cap. III, sez. II.

Page 6: Conferenze di S. Vincenzo de Paoli ai suoi Confratelli Vincenziani

«Se vi sono persone al mondo obbligate a servirsi e profittare delle conferenze, mi sembra che siano i Preti della Congregazione della Missione, perché Dio si è rivolto a loro per introdurre, tra gli ecclesiastici, questo modo d'intrattenersi sulle virtù particolari. Quando venni a Parigi non avevo mai visto simili conferenze, almeno sulle virtù proprie di uno stato particolare e per ben vivere in una data condizione; accademie sì, nelle quali si conferiva su qualche punto dottrinale e, in qualche luogo, su casi di coscienza. Circa cinquant'anni fa, il cardinale di Sourdis introdusse, e con buon esito, nella sua diocesi di Bordeaux il sistema di trattare qualche punto della teologia morale, riunendo i parroci e i sacerdoti per dar loro il mezzo di istruirsi meglio; ma sulle virtù proprie ad uno stato e tra persone del clero come noi, non se n'erano mai viste, né sentite dire. E' vero che molti buoni religiosi hanno questa santa pratica, come in altri tempi gli antiche monaci, ma, comunque sia, Dio si è compiaciuto rivolgersi in questo secolo alla nostra meschina Congregazione per stabilirla tra gli esterni, non solo come antidoto adatto ai buoni sacerdoti che rimangono esposti, per il servizio delle anime, all'aria corrotta del mondo, ma anche per aiutarli a perfezionarsi nel loro stato. Alla Congregazione della Missione Dio ha dunque ispirato di stimolarsi e di affezionarsi, come facciamo, all'esercizio delle virtù mediante le conferenze. Vi si tratta dei motivi di acquistare tali virtù, della loro natura, dei loro atti particolari, dei mezzi di metterle in pratica, ed infine degli obblighi del nostro stato, tanto verso Dio quanto verso il prossimo. Ecco il fine di queste conferenze. Ora, che sarebbe di noi, se fossimo i primi a trascurarle? Qual conto dovremmo rendere a Dio, se giungessimo a disprezzare mezzi così utili ed efficaci, che gli antichi padri ed anacoreti abbracciavano con tanta attività, come Cassiano riferisce in un libro da lui composto? Devo proprio confessare, per mia esperienza, che nulla mi commuove e mi intenerisce tanto, di tutto quello che odo o leggo o vedo, e che tanto mi penetri come queste conferenze".

9.BRANO DI CONFERENZASULL'OPERA DEI RITIRI11

«O signori, quanto dobbiamo stimare la grazia che Dio ci fa, conducendo da noi tante persone perché noi le aiutiamo a salvarsi! Vengono anche molti soldati e giorni or sono, uno mi diceva: «Signore, devo andar presto incontro al pericolo, e prima desidero rimettermi in ordine; ho rimorsi di coscienza, e non sapendo quello che può accadermi, voglio dispormi a quanto Dio e e a morire per il Vangelo. razia di Dio, numerose persone in ritiro. O signori, quanto bene può venirne se ce ne occupiamo fedelmente! Ma quale sventura se questa casa s'intiepidisse in tale pratica! Ve lo dico, signori e fratelli! temo che venga un giorno in cui non ci sia più lo zelo che fino ad ora le ha fatto ricevere tante persone in ritiro. E allora che avverrebbe? Sarebbe da temersi che Dio togliesse dalla Compagnia non solo la grazia di tale ministero, ma la privasse anche di tutti gli altri. Mi raccontavano ieri l'altro che il parlamento aveva degradato quello stesso giorno un consigliere, e che avendolo fatto venire nella sala dove tutti gli altri erano riuniti, con la sua veste rossa, il presidente chiamò gli uscieri e comandò loro di togliergli quella veste e il berretto, perché indegno di tali insegne onorifiche e incapace della carica che aveva. La medesima cosa avverrebbe a noi, signori, se abusassimo delle grazie di Dio, trascurando le nostre prime funzioni: Dio ce le toglierebbe come indegni della condizione in cui ci ha messo e delle opere alla quali ci ha applicato. Mio Dio! qual dolore!

Orbene, per persuaderci qual gran male sarebbe se Dio ci privasse dell'onore di rendergli questo servigio, consideriamo che molti vengono qui a fare il ritiro per

11 Abelly, op. cit., 1. II, cap. IV, sez. III.

Page 7: Conferenze di S. Vincenzo de Paoli ai suoi Confratelli Vincenziani

conoscere la volontà divina, seguendo l'invito che hanno avuto di lasciare il mondo; ne raccomando uno alle vostre preghiere, il quale ha compiuto il suo ritiro, e uscendo di qui, va dai Cappuccini a farsi religioso. Alcune comunità c'indirizzano molti individui che vogliono entrare tra loro e li mandano per fare gli esercizi qui, per meglio provare la loro vocazione prima di riceverli; altri vengono da dieci, da venti e da cinquanta leghe di distanza appositamente, non solo per raccogliersi e fare una confessione generale, ma per determinarsi ad una scelta di vita nel mondo, e per cercare i mezzi per salvarsi in esso. Vediamo anche tanti parroci ed ecclesiastici che ci vengono da tutte le parti per riformarsi nel loro stato e progredire nella vita spirituale. Vengono tutti senza darsi la pena di portare denaro, sapendo che saranno ben ricevuti egualmente; a proposito di questo una persona mi diceva, ultimamente, che era una gran consolazione per quelli che sono poveri, sapere che a Parigi c'è un luogo sempre pronto a riceverli per carità, quando si presentano con una vera intenzione di rendersi bene accetti a Dio.

Questa casa, signori, serviva altra volta a ricovero dei lebbrosi; vi erano ricevuti e neppur uno guariva: ed ora serve a ricevere i peccatori, i quali sono malati ricoperti di lebbra spirituale, ma guariscono per grazia di Dio. Diciamo di più, sono morti che risuscitano. Qual felicità che la casa di S. Lazzaro sia un luogo di risurrezione! Questo santo, dopo essere rimasto per tre giorni morto nella tomba, ne uscì vivo; e Nostro Signore, che lo risuscitò, fa ancora la medesima grazia a molti che essendo rimasti qualche giorno qui come nel sepolcro di Lazzaro, ne escono a nuova vita. Chi non si rallegrerà di tal benedizione, e chi non proverà un sentimento di amore e riconoscenza verso la bontà di Dio per un bene tanto grande?

Ma qual vergogna se ci rendessimo indegni di tal grazia! Qual confusione, signori, e qual rimpianto non avremmo un giorno, se per colpa nostra, ne fossimo privati, divenuti un obbrobrio davanti a Dio e davanti agli uomini! Quale afflizione per un povero fratello della Compagnia che vede ora tante persone del mondo venire da tutte le parti e ritirarsi un poco tra noi per cambiar vita, e si accorgerà poi che questo gran bene è trascurato! Vedrà che non si riceve più nessuno; insomma non vedrà più quello che ha veduto; perché possiamo giungere a questo punto, signori, forse non subito, ma con il tempo. Quale ne potrà essere la causa? Se si dice ad un povero missionario intiepidito: «Signore, volete occuparvi di questo esercitante durante il ritiro?" tale preghiera gli sarà un supplizio; e se anche non cercherà di esimersene, non farà altro che strascicare la scopa, sarà tanto avido delle sue soddisfazioni e troverà tanta pena nel togliere una mezzora circa dopo il pranzo e altrettanto dopo cena alla sua ricreazione usuale, che quest'ora gli sarà insopportabile, sebbene data alla salvezza di un'anima e la meglio adoperata di tutto il giorno. Altri mormoreranno di tale opera, con la scusa che è molto gravosa e di molta spesa; e così i Preti della Missione, che altra volta avevano dato la vita ai morti, non avranno più che il nome e la figura di quello che sono stati; non saranno più altro che cadaveri e non veri missionari; saranno carcasse di San Lazzaro e non Lazzari risuscitati, e ancor meno uomini che risuscitano i morti. Questa Missione, che è ora come una piscina salutare e dove tanti vengono a lavarsi, non sarà più che una cisterna corrotta dal rilassamento e dall'ozio di coloro che l'abiteranno. Preghiamo Dio, signori e fratelli, perché non ci capiti questa sventura; preghiamo la Madonna che l'allontani da noi con la sua intercessione e per il desiderio che Ella ha della conversione dei peccatori; preghiamo il grande S. Lazzaro che si degni di essere sempre il protettore di questa casa, e le ottenga la grazia della perseveranza nel bene cominciato".

10. BRANO DI CONFERENZASULL'OPERA DEI RITIRI12

12 Abelly, op. cit., 1. II, cap. IV, sez. III.

Page 8: Conferenze di S. Vincenzo de Paoli ai suoi Confratelli Vincenziani

«Ringraziamo Iddio, fratelli, mille e mille volte per essersi compiaciuto di scegliere la casa di S. Lazzaro, per farne un teatro delle sue misericordie; lo Spirito vi scende continuamente sulle anime. Ah! chi potesse vedere con gli occhi del corpo tale effusione, quale incanto proverebbe! Ma quale felicità per noialtri missionari che S. Lazzaro sia un trono delle giustificazioni di Dio, che la casa di S. Lazzaro sia un luogo dove si prepara il talamo al Re dei re nelle anime ben disposte di coloro che vengono a far qui il loro ritiro! Serviamoli, signori, non come semplici uomini, ma come uomini mandati da Dio! Non facciamo eccezioni di persone; il povero ci sia caro quanto il ricco ed anche di più, essendo più conforme alla vita che Gesù Cristo trascorse sulla terra. Ne raccomandiamo uno alle vostre preghiere perché ne ha un bisogno particolarissimo. E' capace, senza dubbio, di far molto bene, se si converte interamente; ma, invece, se non si converte come deve, c'è da temere che faccia molto male".

11. BRANO DI CONFERENZASULL'OPERA DEI RITIRI13

«Abbiamo qui un capitano che vuol farsi certosino e che ci è stato mandato da quei buoni Padri per provare la sua vocazione, secondo il loro uso. V'invito a raccomandarlo a Nostro Signore, e al tempo stesso a considerare quanto sia grande la sua bontà nello scegliere in tal modo un uomo già fortemente impegnato in uno stato tanto contrario a quello a cui aspira ora.

Adoriamo questa misericordiosa Provvidenza e riconosciamo che Dio non fa eccezione di persone, ma per la sua infinita bontà le prende in qualunque stato e dove più Gli piace.

Ne abbiamo anche un altro, militare di professione, ed è parimente capitano; ne loderemo Dio e glielo raccomanderemo quanto il primo. Vi ricorderete pure nelle vostre preghiere di un altro, recentemente convertito dalla pretesa religione riformata, e perfettamente convertito: ora lavora e scrive per la difesa della verità che ha abbracciato e potrà, con questo mezzo, conquistare altri. Ne ringrazieremo Dio e lo supplicheremo di aumentargli ognor più le grazie".

12. BRANO DI CONFERENZASULL'OPERA DEI RITIRI14

«Avevamo un sacerdote, nei giorni passati, il quale, venuto molto da lontano per fare il ritiro qui dentro, mi disse subito: «Signore, vengo da voi, e se non mi ricevete, sono perduto". E quando se ne andò, pareva talmente tocco dallo Spirito di Dio, che ne fui straordinariamente meravigliato. Altri tre ne sono venuti dal fondo della Champagne, essendosi reciprocamente incoraggiati per venire a fare il loro ritiro a S. Lazzaro. O Dio! quanti ne vengono da vicino e da lontano, mossi dallo Spirito Santo! Ma quanto la grazia deve essere forte per condurre così gli uomini da tutte le parti alla propria crocifissione! Poiché il ritiro spirituale è istituito per crocifiggere la carne, affinché si possa dire con il santo apostolo: «Il mondo è a me crocifisso, ed io al mondo".15

13. BRANO DI CONFERENZA

13 Abelly, op. cit., 1. II, cap. IV, sez. III.14 Abelly, op. cit., 1. II, cap. IV, sez. III.15 Gal VI, 14.

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SUI PENSIONANTI, PAZZI O VIZIOSI, CHIUSI A S. LAZZARO16

«Raccomandiamo alle preghiere della Compagnia i nostri pensionanti, tanto i

pazzi, quanto quelli che non lo sono, e, tra gli altri, un sacerdote che, dopo essere stato qualche tempo in delirio, si era ristabilito e stava meglio, ma disgraziatamente è ricaduto. Questa malattia gli proviene da un eccesso di malinconia che gli manda al cervello un vapore acre e l'ha talmente indebolito, che è ricaduto in queste cattive condizioni. Il pover'uomo sente venire il suo male, il quale (come dice lui stesso) comincia sempre con una cupa malinconia, di cui è impossibile sbarazzarsi. Certamente le persone ridotte in uno stato simile sono molto degne di compassione. E' vero che sono in qualche modo in uno stato di impeccabilità, non essendo padrone della volontà e non avendo né intelligenza né libertà. Per questo, devono stimarsi fortunate, se quando si sono ammalate erano in grazia di Dio; come, all'opposto sono da compiangersi, se questo male le ha sorprese nello stato di peccato mortale.

Gli altri che sono qui ed hanno senno, ma ne usano male, mi danno occasione di dire che nel mondo, tra i giovani, si vedono oggi molte ribellioni e stravizi che sembrano aumentare ogni giorno. Qualche tempo fa una persona ragguardevole, tra i primi ufficiali di una corte principesca, si lamentava che un suo nipote, giovane viziosissimo, fosse trascorso fino all'eccesso di minacciare più volte di ucciderlo se non gli dava denari. Avendogli un magistrato della città consigliato di metterlo a S. Lazzaro, dove tutti avrebbero avuto cura di richiamarlo al suo dovere, egli rispose di non sapere che vi fossero ricevute persone di questo genere; e ringraziandolo del consiglio, aggiunse che sarebbe desiderabile che vi fossero in Parigi quattro case simili a quelle di S. Lazzaro per impedire tali disordini.

Ringraziamo Dio, signori, che Egli applichi questa comunità alla cura dei pazzi e degli incorreggibili. Non abbiamo ricercato questa mansione; ci è stata data dalla provvidenza, come tutte le altre disimpegnate dalla Compagnia. Vi dirò in proposito che quando entrammo in questa casa, il signor Priore vi aveva ricoverati due o tre poveri pazzi, e siccome noi lo sostituimmo, ne prendemmo la vigilanza e la direzione. In quel tempo avevamo un processo dall'esito del quale dipendeva per noi l'essere scacciati o mantenuti nella casa di S. Lazzaro; e ricordo che allora domandavo a me stesso: «Se tu dovessi ora lasciare questa casa, che cosa ti commuove e ti commuoverebbe di più? Qual'è la cosa che ti farebbe più dispiacere?". E, in quel momento, mi sembrava che sarebbe stata quella di non veder più quei poveretti e di lasciarne la cura e il servizio.

Fratelli, non è cosa da poco come si crede, essere applicati al sollievo degli afflitti, perché facciamo piacere a Dio. Sì, è una delle opere che gli sono più gradite prender cura degl'insensati; ed è tanto più meritoria, in quanto la natura non vi trova alcuna soddisfazione, ed è un bene fatto in segreto verso persone che non sanno apprezzarlo. Preghiamo Dio che conceda ai preti della Compagnia lo spirito atto a questa sorte di uffici, quando vi saranno destinati e che fortifichi i nostri poveri fratelli e li animi con la sua grazia a sopportare le pene e a disimpegnar bene il lavoro che debbono compiere ogni giorno intorno a questi pensionanti, dei quali alcuni sono malati nel corpo, e altri nello spirito; gli uni stupidi, gli altri leggeri; gli uni insensati, gli altri viziosi; in una parola, tutti pazzi di mente, ma gli uni per infermità e gli altri per malizia; quelli sono qui per ricuperare la salute, e questi per correggersi della loro cattiva vita.

Coraggio dunque, fratelli; lo sapete che in altri tempi vi sono stati dei papi addetti alla cura delle bestie? Sì, al tempo degl'imperatori che perseguitavano la Chiesa nel suo capo e nelle sue membra, essi prendevano i papi e li obbligavano a custodire i leoni, i

16 Abelly, op. cit., 1. II, cap. VI.

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leopardi ed altre bestie simili che servivano a divertire quei principi infedeli ed erano come l'immagine delle loro crudeltà; e toccò ai papi aver cura di tali bestie17. Ora quelli che sono a voi affidati per i loro bisogni esteriori non sono affatto delle bestie; benché siano in qualche modo peggiori degli animali per la loro dissolutezza e per le loro crapule. Ma Dio ha voluto far passare quelle sante persone, che erano i padri di tutti i cristiani, attraverso quegli abbassamenti e quelle afflizioni straordinarie, affinché imparassero per propria esperienza a compatire le abiezioni e le avversità dei loro figli spirituali; dopo aver risentito in sé le debolezze e le tribolazioni, fossero più sensibili a quelle degli altri. Coloro che hanno sofferto la perdita dei beni, della salute e dell'onore, sono molto più adatti a consolare le persone che si trovano in tali pene e dolori, più di altre che non sanno che cosa siano. Mi ricordo che un giorno mi parlavano di una grande e santa persona, di carattere fermo e costante, che aveva una mente solida e che non era affatto soggetta alle tentazioni, e perciò per nulla adatta a sopportare i deboli, consolare gli afflitti ed assistere i malati, perché essa stessa non era mai passata per simili stati d'animo.

Non ignorate che Nostro Signore volle provare su di sé tutte le miserie. «Abbiamo un Pontefice, dice S. Paolo, che sa compatire le nostre infermità; perché la ha provate"18. Sì, o Sapienza eterna, Voi avete voluto provare e prendere sulla vostra innocente persona tutte le nostre miserie! Sappiate, signori che l'ha fatto per santificare tutte le afflizioni alle quali siamo soggetti, e per essere l'originale e il prototipo di tutti gli stati e condizioni degli uomini. O Salvatore, Voi che siete la Sapienza increata, avete preso e vi siete addossato le nostre miserie, le nostre vergogne, le nostre umiliazioni e infamie, eccettuato la ignoranza e il peccato; avete voluto essere lo scandalo dei Giudei e la follia dei gentili; avete voluto anche apparire come privo di senno. Sì, Nostro Signore volle passare per insensato, come è riferito nel Vangelo, ed essere creduto pazzo. Exierunt tenere eum; et dicebant quod in furore versus est19. Anche gli apostoli l'hanno veduto qualche volta come un uomo che era andato in collera, ed è apparso loro così, sia perché potessero testimoniare ch'Egli aveva compatito tutte le nostre infermità e santificato il nostro stato d'afflizione e di debolezza, sia per insegnar loro, ed a noi pure, ad aver compassione di coloro che cadono in tale infermità.

Benediciamo Dio, signori e fratelli, ringraziamolo d'averci data la cura di quei poveretti, privi d'intelligenza e di disciplina; perché, servendoli, vediamo e tocchiamo con mano quanto siano grandi e svariate le miserie umane; e con tal cognizione saremo più atti a lavorare utilmente per il prossimo, e ci disimpegneremo dei nostri ministeri con tanto maggior fedeltà quanto più sapremo, per esperienza, che cosa vuol dire soffrire. Pertanto prego coloro che sono adibit a questi pensionati di averne gran cura, e la Compagnia di raccomandarli spesso a Dio e far gran conto di questa occasione di esercitare la carità e la pazienza verso quei poveretti"20

14. SUNTO DI UNA CONFERENZASULL'UFFICIO DI CAPPELLANO PRESSO UN GRANDE 21

I motivi sono:1° Perché si parla troppo poco di questo argomento che è pure importantissimo.2° Perché Dio può esserne glorificato.

17 Il papa S. Marcello subì questa pena per nove mesi.18 Eb IV, 14.19 Mc III, 21.20 Le righe aggiunte da Abelly appartengono alla Conferenza del 6 dicembre 1658.21 Recueil de diverses exhortations et lettres de S.Vincent aux Missionnaires, p. 16.

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3° Perché li Compagnia dirige molti ecclesiastici.Le sue qualità:1° Sarebbe desiderabile che fosse un santo, non dico d'una santità perfetta, che non

appartiene altro che ai santi giunti al più alto grado della perfezione, ma di una solida virtù, non mediocre, né quasi di neofita, ma di farne un uomo d'intensa vita interiore.

2° Sarebbe necessario avesse un modo esterno di comportarsi dignitoso, altrimenti diventerebbe il trastullo di tutti i domestici della casa.

3° Una grande castità.4° Un gran disprezzo degli onori e delle ricchezze; tenere in poco conto quello che i

grandi stimano, perché, per il solito, essi non aspirano se non a ricchezze e a onori; e perciò, non prestare questo servigio nella speranza di ricevere un beneficio. Fu riferito che una persona diceva essere questa una simonia mentale.

5° Una grande prudenza; poche conversazioni.Non ripeterò i mezzi. Ecco quello che disse il signor Vincenzo:«Signori, credo che abbiamo fatto bene ad intrattenerci su questo soggetto, perché

qualcuno della Compagnia può essere scelto da Dio per servirlo in tal modo e benedico Dio dei lumi dati a quelli che ne hanno parlato.

Quanto ai doveri, il primo é, rispetto a se stesso, una grande vigilanza su tutte le azioni, e perciò l'esattezza al piccolo regolamento della Compagnia, soprattutto all'orazione. Signori, mi fu fatto l'onore di chiedermi un uomo per servire in tal qualità; avendone proposto uno, mi domandarono: «E' un uomo d'orazione?". Io ne detti assicurazione, e subito mi dissero che in tal caso avevano diritto di sperare ogni sorta di benedizioni, che era preferibile una grande pietà ad una grande scienza e che egli avrebbe tempo abbastanza per questo, nelle ore libere. Darsi a Dio per tenere in gran considerazione il padrone di casa e sua moglie; adorare nel padrone e venerare la Madonna nella padrona. Il secondo dovere è di fare quello che il parroco fa nella sua parrocchia, perché è proprio come un parroco. Il defunto signor Duval riteneva che in campagna il cappellano fosse il parroco del signore presso cui abitava".

Il signor Vincenzo disse che ciò si osservava alla corte: il Grande Elemosiniere 22 era il parroco di tutti quelli che vi vivevano; tale è l'intenzione della Chiesa. Deve dunque fare quello che il parroco fa con i parrocchiani:

«1° Offrire il santo sacrificio con devozione: e perciò non essere né troppo breve, né troppo lungo, circum circa. Dopo la Messa fare le riverenze usuali e farle con il debito spirito. Il defunto nostro buon Padre di Ginevra 23, dopo aver celebrato la Messa in presenza di un gran signore, fece una profonda riverenza. A che cosa credete pensasse, signori, il nostro beato? Non pensava davvero a cortesie e complimenti mondani, ma adorava la maestà di Dio in quelle persone.

2° Istruire. Fare l'istruzione in pubblico sarebbe bene, ma per il solito, non é possibile, tanto più che la maggior parte vanno ai loro affari; ma bisogna conquistare i servi, gli sguatteri, e prenderli ognuno in particolare per istruirli. A tavola deve dare la benedizione, ammenoché non vi sia qualche ecclesiastico ragguardevole che lo faccia. Se il padrone trova ben fatto che parli, durante il pranzo, deve farlo. Alcuni lo trovano opportuno, altri sì, quando si tratta di qualche materia relativa allo stato ecclesiastico, o quando é domandato il proprio parere su qualche cosa.

Poi deve pranzare con il maggiordomo e mettersi a tavola dopo di lui; è prevalso l'uso di questo disordine. Deve dare qui un grand'esempio di virtù, di riserbo, non ammonire per piccole cose e qualche volta fare il sordo; non alzar troppo gli occhi al cielo; se, per esempio, sentisse dire che Dio è ingiusto, deve, in tale circostanza, prendere la parola; ma eccetto un caso simile, aspettare ad ammonire in privato, perché

22 Titolo di corte equivalente a cappellano (N.d.T.).23 S. Francesco di Sales.

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facendolo subito, essendo gente che la sa lunga, il diavolo vi si caccia dentro, e si guadagnerà molto poco. L'importante è fare la conquista del maggiordomo e fargli riconoscere l'obbligo che ha, per la sua carica, di impedire il male; la regina ha scelto un uomo appositamente per questo.

Deve anche conservare una grande unione e un grande amore tra il signore e la sua sposa. Deve pure dare avvertimenti qualche volta, se nota che il signore ha fiducia in lui, altrimenti fare avvertire dal parroco; se si insinuasse qualche disordine, dal confessore, dal direttore, talora da se stesso.

Vi fu, signori, un cappellano che, sapendo da buona fonte che il suo signore si proponeva di battersi in duello, questo cappellano dopo aver celebrato la santa Messa, e quando tutti si furono ritirati, andò a gettarsi ai piedi di lui che era in ginocchio, e gli disse: «Signore, permettetemi che vi dica umilmente una parola: so che vi proponete di andarvi a battere in duello; vi dico, da parte di Dio, che vi ho ora mostrato e che voi avete adorato, che se non abbandonate questo cattivo proposito, Egli eserciterà la sua giustizia su di voi e su tutta la vostra posterità".

Ciò detto, il cappellano si ritirò"24.

15. AVVERTIMENTO AI GIOVANI STUDENTI DA POCO USCITI DAL SEMINARIO INTERNO25

«Il passaggio dal seminario agli studi è pericolosissimo, e molti naufragano in esso. Se c'è un tempo in cui bisogna vigilare su se stesso, è proprio quello degli studi; perché è pericolosissimo passare da un estremo all'altro, come lo è per il vetro, che, quando passa dal calore del forno ad un luogo freddo, corre rischio di rompersi; perciò è di grandissima importanza coltivare il primo fervore per conservare la grazia ricevuta e impedire alla natura di prendere il sopravvento. Se ogni volta che illuminiamo il nostro intelletto, cerchiamo anche d'infiammare la nostra volontà, possiamo star sicuri che lo studio ci servirà di mezzo per andare a Dio; tenendo per massima certa che, in proporzione del lavoro che faremo per acquistare la nostra perfezione interiore, ci renderemo più capaci di produrre frutti nel prossimo. Dovendo, quindi, studiare per servire le anime, è necessario aver cura di riempire la propria, altrettanto di pietà che di scienza; leggere, a tal fine, libri buoni e utili, e astenersi dalla lettura di quelli che non servono se non a contentare la curiosità, perché la curiosità è la peste della vita spirituale. Per la curiosità dei nostri progenitori la morte, la peste, la guerra, la carestia e le altre miserie entrarono nel mondo; e per conseguenza dobbiamo fuggirla come un fomite di male.

16. AVVERTIMENTI DATI NEL CAPITOLO26

Lavorare all'acquisto della perfezione durante la gioventù - Elogio della semplicità - E' bene combattere le tentazioni con atti contrari.

24 S. Vincenzo avrebbe aggiunto, secondo Abelly, (op. cit., t. I, p. 55): "In questo osserverete, vi prego, il tempo opportuno che scelse e le parole che usò; sono queste le due circostanze che bisogna particolarmente osservare in simili occasioni". Il cappellano non è altri che lo stesso S. Vincenzo, allora nella casa dei Gondi. Il generale delle galere voleva vendicare un suo prossimo parente ucciso in duello da un signore della Corte. Credeva che vi andasse di mezzo il suo onore e, per una devozione sbagliata, era venuto ad assistere alla Messa del suo cappellano per implorare l'aiuto di Dio. Scosso dalle parole del santo, rinunziò generosamente al suo progetto. Il sacrificio era duro. Un viaggio nelle sue terre e l'allontanamento dell'assassino, che dové partire per l'esilio, finirono di calmarlo.25 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 24, sez. I.26 Recueil de diverses exhortations, p.214.

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Il signor Vincenzo disse che i giovani farebbero bene a darsi all'acquisto della perfezione durante la gioventù, perché è quasi impossibile che una persona, invecchiata nelle cattive abitudini e che ne è penetrata fino in fondo all'anima, possa disfarsene.

Ci esortò caldamente alla semplicità, tanto più che dov'è la semplicità, ivi è Dio, il quale è la semplicità medesima, perfettamente uno e che non tollererebbe divisione alcuna; cum simplicibus sermocinatio eius27; aggiunse che chi cammina nella semplicità può andar sicuro: qui ambulat simpliciter ambulat confidenter28. Invece quelli che usano cautele, doppiezze, vivono sempre nel timore che la loro simulazione venga scoperta e nessuno si fidi più di loro. Aggiunse che la semplicità è una virtù che ci fa andare direttamente a Dio e alla verità, senza tergiversazioni né travisamenti.

Ci disse anche che era di grande incoraggiamento per indurre i cristiani a resistere alle tentazioni, pensare che, come disse Origene, noi possiamo, con atti contrari alla tentazione, precipitare il diavolo in fondo all'inferno, invece di precipitarvi noi stessi. Siamo tentati d'orgoglio? Respingiamo il nemico, o con atti d'umiltà interna, o con l'elevazione della mente a Dio, chiedendogli l'umiltà, o offrendogli tutto quello che facciamo, affinché Egli si degni darci l'umiltà per onorare la sua.

17. AVVERTIMENTI DATI NEL CAPITOLO29

Stare attenti a non sperperare i beni della Comunità - Zelo per i bisogni spirituali del prossimo.

Il signor Vincenzo disse che le colpe più usuali della Comunità, come aveva constatato da qualche visita fatta in case religiose, era lo sperpero dei beni della casa; e aggiunse che ne dovranno rendere un conto esattissimo a Dio, perché sono beni di Dio, beni dei poveri, che noi ne siamo soltanto amministratori e non padroni; che dobbiamo stare attenti ed aver scrupolo persino di mettere cinque pezzi di legno al fuoco, quando quattro fossero sufficienti, che bisogna adoperar sempre il necessario e nulla di più.

Disse parimente che dobbiamo correre al soccorso del prossimo nei suoi bisogni spirituali come si corre al fuoco.

18. BRANO DI CONFERENZASULLA FEDE30

«Soltanto le verità eterne sono capaci di riempirci il cuore e di guidarci con sicurezza. Credetemi, non occorre altro, che appoggiarsi fortemente e solidamente su qualcuna delle perfezioni di Dio, come sulla sua bontà, sulla sua provvidenza, sulla sua verità, sulla sua immensità, ecc.; non occorre altro, dico, che ben stabilirsi su queste basi divine per diventare perfetti in poco tempo. Non già che non sia bene convincersi anche con ragionamenti forti e persuasivi, che possono sempre servire, ma subordinatamente alle verità della fede. L'esperienza c'insegna che i predicatori che predicano conforme ai lumi della fede, fanno maggior bene alle anime, di quelli che riempiono i loro discorsi di ragionamenti umani e di ragioni filosofiche, perché i lumi della fede sono sempre accompagnati da una certa unzione tutta celeste, la quale si diffonde segretamente nei cuori degli uditori; e da ciò possiamo giudicare quanto sia necessario, sia per la perfezione nostra che per procurare la salvezza delle anime, seguir sempre e in tutto i lumi della fede".

27 Pr 3,32.28 Pr 10,9.29 Recueil de diverses exhortations, p.215.30 Abelly, op. cit., 1. III, cap. II.

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19. BRANO DI CONFERENZASULLO SPIRITO DI FEDE31

«Non devo considerare un povero contadino o una povera donna dal loro aspetto, né dalla loro apparente mentalità; molto spesso non hanno quasi la fisonomia, né l'intelligenza delle persone ragionevoli, talmente sono rozzi e materiali. Ma rigirate la medaglia, e vedrete con i lumi della fede che il Figlio di Dio, il quale ha voluto esser povero, ci è raffigurato da questi poveri; Egli non aveva quasi le sembianze d'uomo nella sua passione, e passava per pazzo nella mente dei Gentili, e per pietra di scandalo in quella dei Giudei; eppure Egli si qualifica l'evangelizzatore dei poveri: Evangelizzare pauperibus misit me32. O Dio! Quanto è bello vedere i poveri, se li consideriamo in Dio, e con la stima che Egli ne aveva! Ma se li guardiamo secondo i sentimenti della carne e dello spirito mondano, ci sembreranno disprezzabili".

20. BRANO DI CONFERENZARACCONTO DI UNA TENTAZIONE CONTRO LA FEDE33

«Ho conosciuto un celebre dottore, il quale aveva difeso per molto tempo la fede cattolica contro gli eretici, nell'ufficio di canonico teologo, che aveva tenuto in una diocesi. Avendolo la defunta regina Margherita chiamato presso di sé per la sua scienza e la sua pietà, egli fu obbligato a lasciare le sue occupazioni abituali, ma, non predicando, né facendo più il catechismo, nel riposo, fu assalito da una violenta tentazione contro la fede. Questo c'insegni, tra parentesi, quanto sia pericoloso l'ozio, sia del corpo, sia dello spirito; poiché, come un terreno, per quanto possa esser buono, se è lasciato per qualche tempo incolto, produce subito cardi e spine, così l'anima nostra non può star molto tempo in riposo ed in ozio, senza risentire qualche passione o tentazione che l'inducano al male. Quel dottore, dunque, sentendosi in sì deplorevole stato, si rivolse a me per confidarmi che era agitato da violentissime tentazioni contro la fede, aveva orribili pensieri di bestemmia contro Gesù Cristo, ed anche di disperazione, sino al punto di sentirsi spinto a precipitarsi da una finestra. Si ridusse ad un tale estremo che, infine, fu necessario esonerarlo dal dire l'uffizio e dal celebrare la santa Messa ed anche dal fare qualsiasi preghiera; tanto che, quando cominciava soltanto a recitare il Pater, gli sembrava di vedere mille spettri, che lo turbavano fortemente; la sua immaginazione era tanto arida, che non poteva più produrne altri. Essendo ridotto in questo misero stato, gli fu consigliata una pratica, la quale consisteva in questo che, ogni qualvolta avesse rivolto la mano od un dito verso la città di Roma, oppure verso qualche chiesa, avrebbe inteso dire, con quel gesto e con quell'azione che credeva in tutto quello che la Chiesa romana crede. Che avvenne dopo? Dio ebbe finalmente pietà di quel povero dottore, il quale, ammalatosi, fu istantaneamente liberato da tutte le sue tentazioni. La benda oscura cadde ad un tratto dagli occhi del suo spirito; cominciò a vedere tutte le verità della fede, ma con tanta luce, che gli sembrava sentirle o toccarle con mano34. Infine, rendendo a Dio amorosi ringraziamenti per aver permesso tali tentazioni per poi rialzarlo e dargli sentimenti tanto grandi e tanto mirabili dei misteri della nostra religione".

31 Abelly, op. cit., 1. III, cap. II.32 Lc 4,18.33 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XI.34 Abelly attribuisce questo felice risultato alle preghiere di S. Vincenzo e all'atto di carità che egli fece, offrendosi a Dio per essere tentato in luogo del dottore. Il santo subì, infatti, un aspro assalto contro la fede: da questa lotta interiore, che durò tre o quattro anni, uscì più rafforzato.

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21. BRANO DI CONFERENZASULLA CONVERSIONE DI UN ERETICO35

S. Vincenzo fece un giorno alla sua comunità il racconto della conversione di un eretico, da lui conquistato alla vera fede. Prima di arrendersi, l'ugonotto pregò il santo di risolvergli una questione: «Signore, voi mi avete detto che la Chiesa di Roma è guidata dallo Spirito Santo, ma io non posso crederlo, perché, da un lato, si vedono i cattolici della campagna abbandonati a pastori viziosi ed ignoranti, non istruiti dei loro doveri, tanto che la maggior parte non sa neanche cosa sia la religione cristiana e, dall'altro, si vedono le città piene di sacerdoti e di monaci che non fanno nulla; in Parigi ve ne saranno forse diecimila, che lasciano tuttavia quei poveri campagnoli in un'ignoranza spaventosa nella quale si perdono. E vorreste persuadermi che tutto questo sia regolato dallo Spirito Santo! Non lo crederò mai".

Vivamente colpito da tale obiezione, il santo rispose all'eretico «che era male informato di quanto asseriva; che in molte parrocchie v'erano buoni parroci e buoni vicari; che tra gli ecclesiastici e i religiosi, che abbondano nelle città, molti andavano a predicare e fare il catechismo in campagna, altri erano dediti a pregare Dio e cantare le sue lodi giorno e notte; ed altri servivano utilmente il pubblico con i libri che componevano, con la dottrina che insegnavano e con i sacramenti che amministravano; che se ve n'erano inutili che non adempivano, come dovevano, i loro obblighi, erano singoli uomini, soggetti a mancare, e non erano la Chiesa. Quando si dice che la Chiesa è retta dallo Spirito Santo, s'intende in generale, quando è riunita nei concili, ed anche, in particolare, quando i fedeli seguono i lumi della fede e le regole della giustizia cristiana; ma, coloro che se ne allontanano resistono allo Spirito Santo, e, sebbene siano membri della Chiesa, sono tuttavia tra coloro che vivono secondo la carne, come dice S. Paolo, e che morranno".

L'eretico non rimase convinto. L'anno seguente, Vincenzo de' Paoli tornò a Montmirail con il signor Féron, allora baccelliere in teologia, poi dottore della Sorbona e arcidiacono di Chartres, il signor Duchesne, dottore della medesima facoltà e arcidiacono di Beauvais, e alcuni sacerdoti e religiosi suoi amici, per dare la missione in quel luogo e nei villaggi circonvicini. L'eretico ebbe la curiosità di assistere alle prediche e ai catechismi; vide con quanta cura si procurava d'istruire coloro che ignoravano le verità necessarie per la loro salvezza, la carità con la quale si accomodavano alla debolezza e al torpore di mente dei più rozzi, e gli effetti meravigliosi che lo zelo dei missionari operava nel cuore dei più grandi peccatori. Commosso sino alle lagrime, andò a trovare il santo e gli disse: «Vedo ora che lo Spirito Santo guida la Chiesa romana, perché vi si prende cura dell'istruzione e della salvezza dei poveri campagnoli; sono pronto ad entrarvi, quando vorrete ricevermi". - «Non vi rimane più alcuna difficoltà?" gli domandò S. Vincenzo. - «No, rispose l'eretico disingannato, credo tutto quello che mi avete detto e sono disposto ad abiurare pubblicamente tutti i miei errori".

Il santo l'interrogò, e dopo essersi assicurato che il nuovo convertito conosceva bene i puti essenziali della dottrina cattolica, l'informò che avrebbe ricevuto la sua abiura e l'avrebbe assolto dall'eresia la domenica prossima nella chiesa di Marchais, vicino a Montmirail, dove si teneva allora la missione. In quel giorno, alla fine della predica del mattino, Vincenzo de' Paoli chiamò ad alta voce per nome il convertito e gli domandò pubblicamente se era sempre disposto ad abiurare i suoi errori. Dopo aver risposto affermativamente, l'antico calvinista aggiunse, indicando nella chiesa una statua della

35 Abelly, op. cit., 1. I, cap. XIII.

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Madonna, rozzamente scolpita36: «Non posso credere che vi sia qualche potere in quella pietra". Il santo ribatté «che la Chiesa non insegnava che vi fosse alcuna virtù in quelle immagini materiali, se non quando piaceva a Dio comunicargliela, come può farlo e come fece altra volta con la verga di Mosè, che operava tanti miracoli; i bambini stessi avrebbero potuto spiegarglielo". E rivolgendosi ad uno dei più istruiti, gli domandò che cosa insegnava la Chiesa sulle sante immagini. Il fanciullo rispose «che era bene averle e render loro l'onore dovuto, non a causa della materia di cui sono fatte, ma perché rappresentano Nostro Signor Gesù Cristo, la sua gloriosa Madre e gli altri santi del Paradiso, i quali, avendo trionfato nel mondo, c'invitano con quelle mute figure a seguirli nella loro fede e nelle loro buone opere".

Era una buonissima risposta. Il santo ripeté le parole del fanciullo e fece confessare al suo interlocutore che risolvevano pienamente la difficoltà proposta. Rimise ad altro giorno la cerimonia dell'abiura per dare alla fede del nuovo convertito il tempo di rafforzarsi. Si confermò infatti, e tanto bene, che dopo la professione pubblica del cattolicesimo, nulla poté scuoterlo.

«Oh! qual felicità per noi missionari, aggiungeva S. Vincenzo dopo il racconto, verificare la condotta dello Spirito Santo nella sua Chiesa, occupandoci, come facciamo, dell'istruzione e santificazione dei poveri!".

22. BRANO DI CONFERENZA37

Vincenzo de' Paoli ha sempre temuto di essere ingannato dai sofismi di qualche eretico.

«Ho temuto tutta la mia vita di veder nascere qualche eresia. Consideravo la devastazione che aveva fatto quella di Lutero e di Calvino e quante persone di ogni condizione ne avevano succhiato il pernicioso veleno, volendo gustare le false dolcezze della loro pretesa riforma. Ho avuto sempre timore di vedermi circuito dagli errori di qualche nuova dottrina, prima di accorgermene. Sì, l'ho temuto tutta la mia vita".

23. BRANO DI CONFERENZASULLA FIDUCIA IN DIO38

«Abbiamo fiducia in Dio, signori e fratelli, ma abbiamola intera e perfetta, e teniamo per certo che, avendo cominciato l'opera sua in noi, Egli la compirà, perché, vi domando, chi ha fondato la Compagnia? Chi ci ha destinato alle missioni, agli ordinandi, alle conferenze, ai ritiri, ecc.? Sono stato io? Niente affatto. E' stato il signor Portail, che Dio ha unito a me fin dal principio? No davvero, perché non vi pensavamo e non avevamo fatto alcun progetto. Chi dunque ne è l'autore? E' Dio, è la sua paterna Provvidenza e la sua pura bontà. Noi tutti non siamo altro che miseri operai e poveri ignoranti, e tra noi vi sono poche o punto persone nobili, potenti, istruite, o capaci di qualche cosa. Tutto questo l'ha fatto dunque Dio, e l'ha fatto mediante le persone che ha voluto affinché la gloria sia tutta sua. Mettiamo dunque la nostra fiducia in Lui, perché se la mettiamo negli uomini, oppure se ci appoggiamo su qualche vantaggio della natura o del denaro, allora Dio si ritirerà da noi. Ma, dirà qualcuno, bisogna procurarsi amici e per sé e per la Compagnia. O fratelli, guardiamoci bene dall'ascoltare un pensiero simile, perché rimarremmo ingannati. Cerchiamo unicamente Dio ed Egli ci 36 Si può vedere alla Casa-madre dei Preti della Missione, nella sala delle reliquie, una testa di Madonna del XVI secolo: sarebbe, si crede, la testa della statua di cui si parla qui (cf. A. Loth, Saint Vincent de Paul et sa mission sociale. Parigi, 1880,in 4°, p. 213).37 Abelly, op. cit., 1. I, cap. XII.38 Abelly, op. cit., 1. III, cap. III, Sez. I.

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provvederà amici e tutto quello che occorre, in modo che nulla ci mancherà. Volete sapere perché non riusciamo in qualche ufficio? Perché ci appoggiamo su noi stessi. Quel predicatore, quel superiore, quel confessore si fida troppo della sua prudenza, della sua scienza e della sua intelligenza. Che fa Dio? Si ritira da lui, l'abbandona e, sebbene lavori, tutto quello che fa non produce alcun frutto, affinché riconosca la sua inutilità ed impari per propria esperienza che, qualunque sia il suo talento, non può nulla senza Dio".

24. BRANO DI CONFERENZASULLA FIDUCIA IN DIO39

«Il vero missionario non deve affannarsi per i beni di questo mondo, ma gettare tutte le sue preoccupazioni nella Provvidenza del Signore, tenendo per certo che, mentre rimarrà fermo nella carità e ben fondato in tale fiducia, sarà sempre sotto la protezione di Dio: e per conseguenza non gli capiterà alcun male né gli mancherà alcun bene, anche quando crederà, secondo le apparenze, che tutto sia perduto. Non ve lo dico di testa mia; ce l'insegna la Sacra Scrittura, la quale dice che: Qui habitat in adiutorio Altissimi, in protectione Dei coeli commorabitur40; chi abita sotto l'insegna della fiducia in Dio sarà sempre favorito di una speciale protezione da parte sua. In tali condizioni deve tener per certo che non gli capiterà alcun male, perché tutte le cose cooperano al suo bene, e nessun bene gli mancherà, perché Dio stesso, dandosi a lui, porta seco tutti i beni necessari tanto per il corpo, quanto per l'anima. E così, fratelli, dovete sperare che, finché rimarrete fermi in questa speranza, non solo sarete preservati da tutti i mali e da tutti gli spiacevoli incidenti, ma sarete ricolmati anche da ogni sorta di beni".

25. BRANO DI CONFERENZASULL'AMOR DI DIO41

«Amiamo Dio, fratelli, amiamo Dio, ma a spese delle nostre braccia, con il sudore della nostra fronte. Perché, molto spesso, tanti atti di amor di Dio, di compiacenza, di benevolenza e altri simili affetti e atti intimi di un cuore tenero, sebbene buonissime e desiderabilissime, sono non di meno sospette, quando non giungono alla pratica di un amore effettivo. «In questo, dice Nostro Signore42, sarà glorificato il Padre mio, se produrrete frutti copiosi". Dobbiamo badarvi; perché molti, per avere un buon contegno ed essere intimamente pieni di grandi sentimenti di Dio, credono di aver fatto tutto; e quando si arriva al fatto e si trovano nell'occasione di operare vengono meno. Si lusingano con la loro immaginazione eccitata; si contentano delle soavi conversazioni che hanno con Dio nell'orazione, ne parlano, anzi, come angeli; ma, usciti di lì, se si tratta di lavorare per Iddio, di soffrire, di mortificarsi, d'istruire i poveri, di andare a cercare la pecorella smarrita, di essere lieti se sono privi di qualche cosa, di accettare le malattie o qualche altra disgrazia, ahimè! non c'è più nulla, il coraggio manca. No, no, non c'inganniamo: Totum opus nostrum in operatione consistit.

E' talmente vero che il santo Apostolo ci dichiara che le opere soltanto ci accompagnano nell'altra vita. Riflettiamo a questo; tanto più che nel secolo attuale molti sembrano virtuosi, ed effettivamente lo sono, eppure inclinano ad una vita facile e molle, piuttosto che ad una devozione laboriosa e solida. La Chiesa è paragonata ad una grande messe bisognosa di operai, ma operai che lavorino. Non c'è nulla di più

39 Abelly, op. cit., 1. I, cap. XIX.40 Sal 90,1.41 Abelly, op. cit., 1. I, cap.19.42 Gv 15,8.

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conforme al Vangelo quanto accumulare lumi e forze per l'anima propria nell'orazione, nella lettura e nella solitudine, e andar poi a far parte agli uomini di questo alimento spirituale. Questo è fare come nostro Signore faceva, e, dopo di Lui, han fatto i suoi apostoli; è unire l'ufficio di Marta a quello di Maria; è imitare la colomba, la quale digerisce metà del pasto che ha preso, e il resto lo mette con il becco in quello dei suoi piccoli per nutrirli. Ecco come dobbiamo fare, ecco come dobbiamo dar prova a Dio, mediante le nostre opere, di amarlo. Totum opus nostrum in operatione consistit".

26. TRACCIA DI UNA CONFERENZASULL'AMOR DI DIO43

Si quis diligit me, sermonem meum serbavit, et Pater meum diliget eum et ad eum veniemus et mansionem apud eum faciemus44.

«Il brano evangelico odierno45, che ci parla dell'amore, ci servirà di soggetto per intrattenerci sull'amore che Nostro Signore vuole da noi, e lo divideremo in tre punti: nel primo parleremo delle ragioni che abbiamo di amare Gesù Cristo; nel secondo diremo in che consiste tale amore, indicandone un contrassegno e qualche effetto; nel terzo parleremo dei mezzi di acquistare questo amore, e, se l'abbiamo, di fondarci sempre più in esso. Lo faremo se saremo animati dallo Spirito Santo, il quale è l'amore che unisce le persone della SS. Trinità tra loro e le anime alla SS. Trinità. Ricorriamo, a tal fine, con un atto interiore alla Madonna e diciamo: Sancta Maria, ora pro nobis.

Quali ragioni abbiamo di amare Nostro Signore?Per trovarle dobbiamo condesiderare Nostro Signore sia in quanto Dio che in

quanto uomo.Considerato solo in quanto Dio, come è sempre stato anche prima di essere uomo,

Egli ci ha comandato di amarlo: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo et in tota anima tua et in tota mente tua46; e questo per il fatto che Egli ci ha creato, ecc. Oh! quale onore, dice un santo, Dio ha fatto all'uomo comandandogli di amarlo! Sarebbe abbastanza che, per grazia particolare, ci permettesse di amarlo.

Per riconoscere la grandezza dell'obbligo che questo comando ci impone, dobbiamo considerare Dio come il Re dei re, il monarca del cielo e della terra, ecc., come il nostro creatore e conservatore, ecc., e l'uomo invece come un vermiciattolo o, per meglio dire, un piccolo atomo in paragone di Dio.

Dobbiamo poi considerare Nostro Signore come Dio e come uomo. Lo dobbiamo amare in tal qualità, perché si è fatto uomo per amor nostro: 1° per riconciliarci con il Padre suo, del quale avevamo perduto la grazia a causa del peccato del nostro primo padre; 2° per meritarci con la sua vita, la sua passione e la sua morte il paradiso che avevamo perduto; 3° per farci vedere il Padre eterno in Lui: Philippe, qui videt me, videt et Patrem47, e insegnarci il metodo di vita che dobbiamo tenere per piacergli, ecc.

Potremo riconoscere la grandezza di questo beneficio se considereremo che, che, per esso, da figli d'iniquità siamo divenuti figli di Dio, da meritevoli dell'inferno abbiamo acquistato il diritto di possedere la gloria eterna.

La terza ragione è che S. Paolo fulmina maledizioni contro coloro che non amano Cristo.

In che consiste tale amore?

43 Manoscritto delle ripetizioni d'orazione, conferenze e intrattenimenti con i Missionari, f° 1 e seg.44 Gv 14,23.45 Il giorno di Pentecoste.46 Mt 22,37.47 Gv 14,9.

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Amare qualcuno, propriamente parlando, è volergli bene. Per conseguenza, amare Nostro Signore, vuol dire volere che il suo nome sia conosciuto e rivelato a tutto il mondo, che regni sulla terra, che la sua volontà sia fatta sulla terra come in cielo.

Ora, bisogna notare che l'amore si divide in amore affettivo ed effettivo. L'amore affettivo è una certa effusione della persona amante nell'amata, oppure una compiacenza e tenerezza per colui che ama, come il padre per il figlio, ecc. L'amore effettivo consiste nel fare le cose che la persona amata comanda e desidera; ed è di questo amore che intende parlare Nostro Signore quando dice: Si quis diligit me, sermonem meum servabit48.

Il segno di questo amore, l'effetto o il contrassegno di questo amore, signori, è quello indicato da Nostro Signore, ossia che coloro che l'amano osservano la sua parola. Ora, la parola di Dio consiste in insegnamenti e consigli; noi daremo un segno del nostro amore, se pratichiamo la sua dottrina e se facciamo professione d'insegnarla agli altri. Ciò posto, lo stato della Missione è uno stato d'amore, non solo perché mira a seguire la dottrina e i consigli di Gesù Cristo ma anche perché fa professione di portare il mondo alla stima e all'amore di Nostro Signore.

I vantaggi sono:Se noi amiamo Nostro Signore, saremo amati dal Padre suo, il che equivale a dire

che il Padre ci vorrà bene, e questo in due modi: il primo che si compiacerà di noi come il padre del proprio figlio; il secondo, che ci darà le sue grazie, quelle della fede, della speranza, della carità per l'effusione del suo Santo Spirito che abiterà nelle anime nostre, come l'ha dato oggi agli apostoli, facendo loro operare le meraviglie che essi hanno fatto.

Il secondo vantaggio di amare Nostro Signore consiste nella venuta del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo nelle anime che lo amano; questo avviene: 1° per l'illuminazione del nostro intelletto; 2° per i moti interiori che essi ci danno del loro amore, mediante le ispirazioni, i sacramenti, ecc.

Il terzo effetto dell'amore di Nostro Signore è che non soltanto Dio Padre ama queste anime, e le persone della SS. Trinità vengono in esse, ma vi rimangono. L'anima, dunque, di colui che ama Nostro Signore, è la dimora del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, ed ivi il Padre genera perpetuamente il Figlio, ed ivi lo Spirito Santo è incessantemente prodotto dal Padre e dal Figlio.

Alcuni sono amati dal Padre, e in loro vengono le tre Persone, ma non vi rimangono, perché essi non perseverano nell'amare Nostro Signore e s'intiepidiscono nella stima della sua dottrina e nel vivere secondo i suoi consigli e secondo gli esempi che ci ha lasciato. Forse l'abbiamo amato un anno o due sul principio della nostra conversione, ma abbiamo lasciato prendere il sopravvento alla natura, in modo che viviamo secondo le nostre inclinazioni, ecc.

I mezzi sono:1) L'orazione mentale sulla vita e sulla morte di Nostro Signore.2) La lettura del Nuovo Testamento.3) Distogliere il nostro intelletto dalla stima e la nostra volontà dall'affetto delle

creature mediante la mortificazione, fare il possibile per perseverare nell'imitazione di Nostro Signore".

27. BRANO DI CONFERENZASULLA CONFORMITA' ALLA VOLONTA' DI DIO49

48 Gv 14,27.49 Abelly, op. cit., 1. III, cap. V, sez. II.

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Vincenzo de' Paoli espose un giorno, davanti alla sua comunità, la differenza che passa tra uno stato nel quale Dio mette una persona e quello nel quale Egli permette che essa cada: uno avviene per volontà di Dio, e l'altro non sopraggiunge se non con il suo permesso. Per esempio, la perdita della fortuna, uno stato di malattia, di contraddizione, di noia, di aridità, viene assolutamente dalla volontà di Dio; ma quello nel quale c'è peccato o trasgressione agli ordini che ci sono impartiti a nome suo, viene con il suo permesso; e per questo, dobbiamo umiliarci molto, quando vi siamo caduti facendo nondimeno tutti i nostri sforzi, con la grazia di Dio, per rialzarci e non ricadervi. «Quanto al primo stato, che viene dalla volontà divina, dobbiamo accettarlo, qualunque esso sia, e rassegnarci al beneplacito di Dio, per soffrire tutto quello che Egli vorrà, come e per quanto tempo vorrà. E' questa, signori e fratelli, la grande lezione del Figlio di Dio; e quelli che l'ascoltano e se ne penetrano il cuore, appartengono alla prima classe della scuola di questo divino Maestro. Quanto a me, non conosco nulla di più santo, né di più perfetto di tale rassegnazione, quando porta ad un intero spogliamento di se stesso e ad una vera indifferenza per qualunque condizione, in qualsiasi modo vi siamo messi, eccettuato il peccato. Cerchiamo dunque di acquistarla e preghiamo Dio che ci faccia la grazia di rimanere costantemente in tale indifferenza".

28. BRANO DI CONFERENZASULLA CONFORMITA' ALLA VOLONTA' DI DIO50

«Osservate le sante disposizioni nelle quali [il cristiano sottomesso alla volontà di Dio] passa la sua vita, e le benedizioni che accompagnano tutto quello che fa; Dio gli basta e Dio lo guida in tutto e dappertutto; dimodoché può dire con il profeta51: Tenuisti manum dexteram meam et in voluntate tua deduxisti me. Dio lo sostiene come con la mano destra, e, abbandonandosi a sua volta, con intera sottomissione, a questa guida divina, lo vedrete domani, dopo domani, tutta la settimana, tutto l'anno, e, infine, tutta la vita, in pece e tranquillità, in ardore e aspirazione continua a Dio, effondendo sempre nelle anime del prossimo le soavi e salutari operazioni dello spirito di cui è animato. Se lo paragonate a coloro che seguono le proprie inclinazioni vedrete le sue opere tutte risplendenti di luce e sempre feconde di frutti; si osserva un notevole progresso nella sua persona, una forza ed energia in tutte le sue parole; Dio dà una benedizione particolare a tutte le sue imprese, e accompagna con la sua grazia i progetti che forma per sé e i consigli che dà agli altri; e tutte le sue azioni sono di grande edificazione. Al contrario le persone ostinate nelle loro inclinazioni e nei loro piaceri non hanno se non pensieri di terra, discorsi da schiavi ed opere morte. La differenza è che questi si legano alle creature, e quelli se ne distaccano; la natura opera in queste anime basse, e la grazia in quelle che si sollevano a Dio e non vivono che per la sua volontà".

29. BRANO DI CONFERENZASULLA CONFORMITA' ALLA VOLONTA' DI DIO52

In un tempo, nel quale la malattia minacciava toglierci molti preti e particolarmente uno dei più meritevoli della Compagnia, il santo disse alla comunità:

«Pregheremo Dio che si degni conservarcelo, sottomettendoci tuttavia alla sua divia volontà; perché dobbiamo credere, ed è vero, che non solo la malattia di lui, ma anche le malattie degli altri, ed infine tutto quello che viene alla Compagnia, non accade se non per il suo santo volere e a vantaggio della Compagnia stessa. Perciò, pregando Dio

50 Abelly, op. cit., 1. III, cap. V, sez. I.51 Sal 72,24.52 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 5, sez. II.

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di dare la salute agl'infermi e di soccorrerci nelle altre necessità, deve essere sempre a condizione che tali siano il suo beneplacito e la sua maggior gloria".

30. BRANO DI CONFERENZASULLA MAESTA' E SANTITA' DI DIO53

«Studiamoci, fratelli, di concepire una grande, grandissima stima della maestà di Dio. Se l'occhio dell'anima nostra fosse abbastanza forte per penetrare un poco nell'immensità della sua somma eccellenza, o Gesù!, quali alti sentimenti ne ricaveremmo! Potremmo ben dire, come San Paolo54, che gli occhi non hanno mai visto, né le orecchie udito, né la mente concepito nulla che Gli sia paragonabile. E' un abisso di perfezione, un Essere eterno santissimo, purissimo, perfettissimo e infinitamente glorioso, un bene infinito che comprende tutti i beni, ed è in sé incomprensibile. Ora, il sapere che Dio è infinitamente superiore a tutte le cognizioni e a tutte le intelligenze create, deve bastarci per farcelo stimare infinitamente, per annientarci alla sua presenza, e per farci parlare della sua suprema maestà con gran sentimento di riverenza e di sottomissione; e quanto più lo stimeremo tanto più l'ameremo e questo amore produrrà in noi un desiderio insaziabile di riconoscere i suoi benefici e procurargli veri adoratori".

31. BRANO DI CONFERENZASUL SERVIZIO DI DIO55

«Chi vuol salvare la propria vita, fratelli, la perderà: l'ha dichiarato Gesù Cristo, il quale ci dice pure che non si può fare un maggior atto di amore che dare la vita pel proprio amico. Ma come! possiamo avere un amico migliore di Dio? E non dobbiamo amare tutto quello che Egli ama, e considerare, per amor suo, il nostro prossimo come amico? Non saremmo indegni di godere della vita che Dio ci dà, se ricusassimo di spenderla per un sì nobile scopo? Certamente, riconoscendo di aver ricevuto la vita dalla sua mano liberale, commetteremmo un'ingiustizia, ricusando di spenderla e consumarla secondo i suoi voleri ad esempio del suo Figliuolo Nostro Signore".

32. BRANO DI CONFERENZASUL RISPETTO DOVUTO ALLE RELIQUIE DEI SANTI56

Ogni anno, nel tempo delle Rogazioni, i canonici di Notre-Dame avevano l'abitudine di portare in processione per le vie della capitale le principali reliquie del loro tesoro, e la chiesa di S. Lazzaro era una di quelle che essi visitavano. La vigilia di una di queste processioni, S. Vincenzo disse alla sua comunità:

«Ci disporremo a ricevere queste sante reliquie, come se i santi medesimi, di cui sono le reliquie, ci facessero l'onore di venirci a visitare; onoreremo così Dio nei santi, e lo supplicheremo di renderci partecipi delle grazie che ha riversato tanto abbondantemente nelle anime loro".

33. BRANO DI CONFERENZASULLA SEMPLICITA'57

53 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 8.54 1 Cor 2,9.55 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 8, sez. II.56 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 9.57 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 15.

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«Dio è semplicissimo, o piuttosto è la semplicità medesima; perciò dov'è la semplicità si trova pure Dio, e, come dice il Savio58, chi cammina semplicemente, cammina con sicurezza. Invece, coloro che usano cautele e doppiezze, vivono in continuo timore che la loro astuzia sia scoperta, e che, sorpresi nelle loro simulazioni, nessuno più si fidi di loro".

34. BRANO DI CONFERENZASULLA SEMPLICITA' NELLA PREDICAZIONE59

«La Compagnia deve darsi a Dio per spiegare con paragoni familiari le verità del Vangelo, quando lavora nelle missioni. Studiamoci dunque di modellare la nostra mente su questo metodo, imitando Nostro Signore, il quale, come dice il santo Evangelista60, sine parabolis non loquebatur ad eos. Non usiamo che molto sobriamente, nelle predicazioni, i passi degli autori profani, e sempre per servire da sgabello alla Sacra Scrittura".

35. BRANO DI CONFERENZASULLA PRUDENZA61

«La nota caratteristica di questa virtù è di regolare e dirigere le parole e le azioni: essa fa parlare saviamente e opportunamente, ci fa trattare, con circospezione e criterio, di cose buone in se stesse e nelle loro circostanze, e ci fa omettere o passare sotto silenzio quelle contro Dio o che nuocciono al prossimo o che hanno di mira la propria lode o qualche altro cattivo fine. Questa medesima virtù ci fa operare con riflessione, maturità e con un buon motivo, in tutto quello che facciamo, non solo quanto alla circostanza dell'azione, ma anche quanto alle circostanze, dimodoché il prudente opera come deve, quando deve e per il fine che deve. L'imprudente, invece, non usa mai il modo, né il tempo, né i motivi convenienti, ed è questo il suo difetto; mentre il prudente, operando discretamente, fa tutto con peso, numero e misura.

La prudenza e la semplicità mirano al medesimo fine, che è di parlar bene e di operar bene per Iddio; e siccome l'una non può star senza l'altra, Nostro Signore le ha raccomandate tutt'e due insieme62. So bene che qualcuno, con distinzione di ragione, noterà della differenza tra queste due virtù; ma, in verità, sono intimamente unite e per la loro sostanza e per il loro oggetto. Quella che si chiama prudenza della carne e del mondo ha per scopo e per fine la ricerca degli onori, dei piaceri e delle ricchezze; perciò è totalmente opposta alla prudenza e semplicità cristiana che ci allontanano da questi beni ingannevoli per farci preferire i beni solidi e duraturi, e sono come due buone sorelle inseparabili e talmente necessarie per il nostro progresso spirituale, che chi sapesse debitamente servirsene accumulerebbe, senza dubbio, grandi tesori di grazie e di meriti...63.

La prudenza ha dunque la proprietà di regolare le parole e le azioni. Ma ha, inoltre, un altro ufficio, ed è di scegliere i mezzi adatti per giungere al fine proposto, ed essendo questo di andare a Dio, prende le vie più diritte e più sicure per condurci a Lui.

58 Pr 10,9.59 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 1, sez. 1, par. 2.60 Mt 13,34.61 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 16.62 Mt 10,16.63 Seguono nell'Abelly ventisei righe, evidentemente tolte, nonostante modificazioni di forma, alla conferenza del 14 marzo 1659.

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Non parleremo qui della prudenza politica e mondana, la quale non aspirando se non a trionfi temporali e qualche volta ingiusti, non si serve altro che di mezzi umani molto dubbi e incerti; ma parliamo della santa prudenza che Dio consiglia nel Vangelo, la quale ci fa scegliere i mezzi adatti per giungere al fine che Egli ci propone, il quale, essendo tutto divino, richiede mezzi convenienti e proporzionati. Ora, noi possiamo scegliere i mezzi proporzionati al fine che ci proponiamo in due modi: o con il nostro raziocinio, che spesso è molto debole, oppure con le massime della fede che Gesù Cristo ci ha insegnato, sempre infallibili e che possiamo usare senza alcun timore d'ingannarci. Perciò la vera prudenza assoggetta il nostro raziocinio a queste massime ed ha per regola inviolabile di giudicare sempre tutte le cose come Nostro Signore le ha giudicate; di modo che in ogni circostanza domandiamo a noi stessi: «Nostro Signore come ha giudicato la tale o tal cosa? Come si è comportato in tale e tal circostanza? Che ha detto o fatto su tale e tal soggetto?". E conformiamo, così, tutta la nostra condotta alle sue massime e ai suoi esempi. Prendiamo dunque tal risoluzione, signori, e camminiamo con sicurezza nella via regia, nella quale Gesù Cristo sarà nostra guida e nostro maestro, e ricordiamoci che Egli ha detto che: «il cielo e la terra passeranno, ma le sue parole e le sue verità non passeranno mai"64. Benediciamo Nostro Signore, fratelli, e cerchiamo di pensare e giudicare come Lui e fare quello che ha raccomandato con le sue parole e con i suoi esempi. Entriamo nel suo spirito per compiere così le sue opere; perché non basta fare il bene, bisogna farlo bene, ad esempio di Nostro Signore, del quale è detto: Bene omnia fecit65, ha fatto bene tutte le cose. No, non basta digiunare, osservare le regole, occuparsi della Missione, ma è necessario farlo con lo spirito di Gesù Cristo, ossia con perfezione, per i fini e con le circostanze con cui le ha fatte Lui stesso. La prudenza cristiana consiste dunque nel giudicare, parlare, operare, come la sapienza eterna di Dio, rivestita della nostra debole carne, ha giudicato, parlato e operato".

36. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONESULL'UMILTA'66

«E' una buona pratica venire ai particolari delle cose umilianti, quando la prudenza permette che si manifestino ad alta voce, a causa del profitto che se ne ritrae, superando la ripugnanza che ognuno sente a scoprire quello che la superbia vorrebbe tener nascosto. S. Agostino stesso svelò i peccati segreti della sua gioventù e ne compose un libro, affinché la terra intera sapesse tutta l'insolenza dei suoi errori e gli eccessi del suo libertinaggio. E quel vaso di elezione, S. Paolo, il grande apostolo rapito sino al cielo, non ha confessato di aver perseguitato la Chiesa? L'ha anche scritto67 affinché sino alla consumazione dei secoli, si sapesse che era stato un persecutore. Certo, se non si vigila ben attentamente su se stessi, e se non si fa qualche violenza per manifestare le proprie miserie e i propri difetti, non si dirà altro che quello che potrà farci stimare, nascondendo quello che ci sarà di vergogna; è questa un'eredità del nostro primo padre, Adamo, il quale, dopo avere offeso Dio, andò a nascondersi.

Ho visitato varie volte alcune case di religiose ed ho spesso domandato a molte di esse per quale virtù avevano più stima e più inclinazione; lo domandavo anche a quelle che sapevo avere maggiore avversione per le umiliazioni; ma, tra venti, ne ho trovata

64 Mt 24,35.65 Mc 7,37.66 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 13, sez.2. - Colui che S. Vincenzo aveva interrogato, prima di cominciare la conferenza, aveva confessato ingenuamente che una pena interiore gli aveva impedito di meditare, durante una parte dell'orazione.67 1 Cor 15,9.

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appena una che non mi dicesse che era l'umiltà, tanto è vero che ciascuno trova questa virtù bella e amabile. Da che deriva, dunque, che tanto pochi l'adottano, e ancor meno la posseggono? Perché ci si contenta di considerarla e non ci si cura di acquistarla. E' incantevole in teoria, ma in pratica ha un viso sgradevole alla natura; e il suo esercizio ci dispiace perché c'induce sempre a scegliere il posto più basso, a metterci sotto gli altri ed anche ai più piccoli, a sopportare le calunnie, a cercare il disprezzo, ad amare l'abiezione, tutte cose che naturalmente ci ripugnano. Eppure è necessario che superiamo questa ripugnanza, e che ciascuno faccia qualche sforzo per giungere all'esercizio concreto di tal virtù; altrimenti non l'acquisteremo mai. So bene, per grazia di Dio, che tra noi vi sono alcuni che praticano questa divina virtù, e non solo non hanno nessuna buona opinione né dei loro talenti, né della loro scienza, né della loro virtù, ma si stimano miserabilissimi, e vogliono essere riconosciuti per tali e si reputano inferiori a tutte le creature; e debbo confessare che non posso vedere queste persone senza sentire la mia anima ricoperta di confusione, perché mi sono di segreto rimprovero per l'orgoglio che è in me, abbominevole che sono. Ma quanto a queste anime, sono sempre contente, e la loro gioia si riflette sul volto, perché lo Spirito Santo, che risiede in loro, li ricolma di pace, in modo che nulla può turbarle. Se contraddette, acconsentono; se calunniate, sopportano; se dimenticate, pensano che si ha ragione di farlo; se si sovraccaricano di occupazioni, lavorano volentieri, e per quanto un ordine sia difficile, vi si applicano volentieri, affidandosi alla virtù della santa obbedienza. Le tentazioni non servono ad altro che a consolidarle maggiormente nell'umiltà, a farle ricorrere a Dio ed a renderle, in tal modo, vittoriose del diavolo: così che non hanno altri nemici da combattere tranne che l'orgoglio, il quale non dà mai tregua durante questa vita, ma aggredisce, in vari modi, i più grandi santi che sono sulla terra, spingendo gli uni a compiacersi del bene fatto, e gli altri della scienza acquistata; questi a presumere di essere i più illuminati e quelli a credersi i migliori e i più costanti.

Per conseguenza abbiamo gran bisogno di pregare Dio che si degni di proteggerci e preservarci da questo pernicioso vizio, tanto più da temersi avendovi noi un'inclinazione naturale. E poi dobbiamo stare in guardia e fare il contrario di quanto la nostra natura corrotta pretenderebbe; se essa c'innalza, abbassiamoci; se ci spinge alla stima di noi stessi, pensiamo alla nostra debolezza; se al desiderio di comparire, nascondiamo quello che può attirare l'attenzione su noi e preferiamo le azioni più basse e vili a quelle clamorose e onorifiche. Infine, coltiviamo l'amore dell'abiezione, il quale è un sicuro riparo per simili agitazioni che l'infelice nostra inclinazione all'orgoglio ci suscita incessantemente. Preghiamo Nostro Signore che ci attiri a Sé per i meriti delle adorabili umiliazioni della sua vita e della sua morte, offriamogli, ognuno per sé, e solidariamente gli uni per gli altri, tutte le umiliazioni che potremo praticare, e applichiamoci a questo esercizio con la sola intenzione di onorarlo e ricoprirci di confusione".

37. BRANO DI CONFERENZASULL'UMILTA'68

«L'umiltà è una virtù tanto ampia, tanto difficile e tanto necessaria che non ci penseremo mai abbastanza: è la virtù di Gesù Cristo, la virtù della sua santa Madre, la virtù dei più grandi santi, e, infine, è la virtù dei missionari. Ma che dico? Mi correggo, vorrei che l'avessimo: e quando dico che è la virtù dei missionari, intendo che è la virtù di cui hanno più bisogno e di cui devono avere un ardentissimo desiderio; perché questa meschina Compagnia, l'ultima di tutte, non deve essere fondata che sull'umiltà, come virtù sua propria, altrimenti non faremo mai nulla che valga, né dentro, né fuori; e

68 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 13, sez.II.

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senza l'umiltà non dobbiamo aspettarci alcun progresso per noi né alcun profitto per il prossimo. O Salvatore, dateci dunque questa santa virtù che vi appartiene, che avete portata nel mondo e che amate sì teneramente e con tanto affetto. E voi, signori, sappiate che chi vuol essere un vero missionario deve cercare continuamente di acquistare questa virtù e di perfezionarvisi: e soprattutto deve guardarsi da ogni pensiero d'orgoglio, di ambizione, di vanità, come dal più grande nemico che possa avere; dargli addosso per non dargli adito. Sì, lo ripeto nuovamente, se siamo veri missionari, ciascuno di noi in particolare deve essere intimamente contento che ci si consideri come meschine intelligenze, come persone senza virtù, ci si tratti come ignoranti, ci si ingiuri e disprezzi, ci si rimproverino i nostri difetti e ci si faccia conoscere al pubblico come insopportabili per le nostre miserie ed imperfezioni"69.

38. BRANO DI CONFERENZASULL'UMILTA'70

«In verità, miei signori e fratelli, chiunque di noi si applichi a ben conoscersi troverà giustissimo e ragionevolissimo disprezzare se stesso. Poiché, se consideriamo seriamente la corruzione della nostra natura, la leggerezza della nostra mente, le tenebre del nostro intelletto, lo sregolamento della nostra volontà, e l'impurità dei nostri affetti e, d'altra parte, se pesiamo bene, sulla bilancia di Dio, le nostre opere e le nostre creazioni, troveremo che tutto è degno di disprezzo. - Ma come! mi direte, annoverate tra questo le prediche che abbiamo fatto, le confessioni che abbiamo ascoltato, la cura che ci siamo presa e le fatiche che abbiamo sopportato per il prossimo e per il servizio di Nostro Signore? - Sì, signori, ripensando alle nostre migliori azioni, troveremo che nella maggior parte ci siamo comportati male quanto al modo e spesso quanto al fine, e che, da qualunque parte si guardino, possiamo trovarvi altrettanto male quanto bene. Ditemi, ve ne prego, che cosa possiamo aspettare dalla debolezza dell'uomo? che cosa può produrre il nulla? che può fare il peccato? che abbiamo di nostro, se non il nulla e il peccato? Teniamo dunque per certo che in tutto e ovunque siamo degni di rifiuto, e sempre disprezzabilissimi, a causa dell'opposizione, che v'è in noi, alla santità e alle altre perfezioni di Dio, alla vita di Gesù Cristo e alle operazioni della sua grazia. Quello che maggiormente ci persuade di tal verità è l'inclinazione naturale e continua che abbiamo al male, la nostra impotenza al bene, e l'esperienza che anche quando crediamo di essere ben riusciti in qualche cosa, o d'aver dato un giusto consiglio, avviene tutto il contrario, e Dio permette spesso che siamo disprezzati. Se dunque cercassimo di conoscerci bene, troveremmo che in tutto quello che pensiamo, diciamo e facciamo, sia nella sostanza, sia nelle circostanze, siamo pieni e sopraffatti da motivi di confusione e di disprezzo; e, se non vogliamo adularci, ci vedremo non soltanto più cattivi degli altri uomini, ma peggiori degli stessi demoni dell'inferno; perché se quegli sventurati spiriti avessero a loro disposizione le grazie e i mezzi che ci sono dati per diventar migliori, ne farebbero uso mille e mille volte migliore di quello che ne facciamo noi".

39. BRANO DI CONFERENZASULL'UMILTA'71

69 Quanto segue a queste parole, nell'Abelly, è preso dalla conferenza del 18 aprile 1659.70 Abelly, op. cit., 1 III, cap. 13, sez. 2.71 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 13, sez. II.

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S. Vincenzo diceva un giorno: «che non dovevamo mai volgere lo sguardo, né fermarlo sul bene che è in noi, ma cercare di conoscere quello che v'è di male e di difettoso, essendo questo un gran mezzo per conservare l'umiltà". Aggiungeva: «che né il dono di convertire le anime, né tutti gli altri talenti esterni che si trovano in noi sono nostri, che noi ne siamo soltanto i portatori e che con tutto ciò possiamo dannarci; per conseguenza nessuno deve lusingarsi, né compiacersi di se stesso, né concepire alcuna stima propria, vedendo che Dio opera grandi cose per mezzo suo; ma deve tanto più umiliarsi e riconoscersi meschino strumento di cui Dio si degna servirsi, come fece della verga di Mosè, la quale fece prodigi e miracoli, eppure non era che una misera verga e una fragile bacchetta".

40. BRANO DI CONFERENZASULL'UMILTA'72

«Non è strano che, mentre si ammette facilmente che i membri di una Compagnia, come Pietro, Giovanni e Giacomo, debbano fuggire l'onore e amare il disprezzo, si dica poi che la Compagnia o comunità debba acquistare la stima e l'onore del mondo? Perché, di grazia, com'è possibile che Pietro, Giovanni e Giacomo possano amare e cercare sinceramente il disprezzo, se la Compagnia, la quale è composta di Pietro, Giacomo ed altri membri, deve amare e cercare l'onore? Dobbiamo riconoscere e confessare che queste due cose sono incompatibili. Perciò tutti i missionari devono essere contenti, non solo quando si trovano in qualche occasione d'abiezione o di disprezzo per loro in particolare, ma anche quando sarà disprezzata la Compagnia; sarà questo un segno che saranno veramente umili".

41. BRANO DI CONFERENZASULLE UMILIAZIONI73

«Che cos'è la vita del divin Salvatore se non una continua umiliazione, attiva e passiva? L'ha talmente amata che non se n'è mai separato per tutta la vita; ed anche dopo morte volle che la Chiesa ci rappresentasse la sua persona divina con la figura di un Crocifisso,per apparire ai nostri occhi in uno stato d'ignominia, essendo stato appeso, per noi, come un malfattore ed avendo subito la morte più vergognosa e più infame che si possa immaginare. E perché? Perché conosceva la bellezza delle umiliazioni e la malizia del peccato opposto, il quale, non solo aggrava gli altri peccati, ma rende viziose le opere che di per sé non sarebbero cattive e può infettare e corrompere quelle che sono buone, anche le più sante".

42. BRANO DI CONFERENZASULL'AMBIZIONE74

«Dio non ci ha scelto per aver cariche ed uffici onorifici né per operare e parlare con pompa e autorità, ma per servire ed evangelizzare i poveri, e fare gli altri esercizi del nostro Istituto in modo umile, mite e familiare. Perciò possiamo applicare a noi quello che S. Giovanni Crisostomo disse in una delle sue omelie, ossia, che finché rimarremo pecore con una vera e sincera umiltà, non solo non saremo divorati dai lupi, ma convertiremo essi stessi in pecore; invece, appena usciremo dall'umiltà e semplicità propria del nostro Istituto, perderemo la grazia che vi era annessa, e non ne troveremo

72 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 13.73 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 13, sez. II.74 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 13, sez. II.

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alcuna nelle azioni clamorose. E non è forse giusto che un missionario il quale, con la sua modesta professione, s'era reso degno delle benedizioni celesti e dell'approvazione e stima degli uomini, sia privo delle une e dell'altre, quando si lascia andare alle opere che riflettono lo spirito del mondo, per l'onore che vi si ricerca, e che sono opposte allo spirito della sua condizione? Non c'è da temere che svanisca in questo gran splendore e non cada nella sregolatezza, proprio come si dice di quel servo diventato padrone, che si fece al tempo stesso orgoglioso e insopportabile? Il defunto cardinale de Bérulle, quel gran servo di Dio, aveva l'abitudine di dire che era buona cosa il tenersi umili, che le condizioni più modeste erano le più sicure e che nelle condizioni più elevate e ragguardevoli vi era non so quale malignità; che per questo i santi avevano sempre fuggito le dignità, e che Nostro Signore, per convincerci, con il suo esempio quanto con la sua parola, aveva detto, parlando di se stesso, che era venuto nel mondo per servire e non per essere servito"75.

43. BRANO DI CONFERENZASUL RISPETTO UMANO76

Un giorno, essendosi uno dei suoi accusato davanti agli altri, di avere operato per rispetto umano, Vincenzo de' Paoli, tutto animato dall'amor di Dio, disse «che sarebbe meglio esser gettati, piedi e mani legati, sui carboni ardenti, piuttosto che fare un'azione per piacere agli uomini". E poi essendosi messo a fare, da un lato, l'enumerazione di alcuna perfezioni divine, e dall'altro, dei difetti, imperfezioni e miserie delle creature, per meglio dimostrare l'ingiustizia e la pazzia di coloro che trascurano di fare le loro azioni per Iddio, perendo tempo e fatica per non avere, in quello che fanno, se non fini bassi ed umani, aggiunse queste parole degne di nota: «Onoriamo sempre le perfezioni di Dio; abbiamo sempre di mira in tutto ciò che dobbiamo fare quelle opposte alle nostre imperfezioni, come la sua mitezza e la sua clemenza, direttamente opposte alla nostra collera; la sua scienza tanto contraria alla nostra cecità; la sua grandezza e la sua maestà infinita, tanto superiori alla nostra bassezza e viltà; la sua infinita bontà, sempre opposta alla nostra malizia. Studiamoci di fare le nostre azioni per onorare e glorificare quella perfezione di Dio, direttamente contraria ai nostri difetti". Aggiungeva che tale attenzione era l'anima delle nostre opere, e ne aumentava considerevolmente il prezzo e il valore. E ricordava, a questo proposito, gli abiti di cui si rivestono i principi e i grandi signori, nei giorni dei loro trionfi e magnificenze, perché, diceva: «Gli abiti non sono ordinariamente tanto ammirati per la stoffa di cui sono fatti, quanto per i galloni d'oro e le guarnizioni di ricami, di perle e di pietre preziose di cui sono ornati; parimente non dobbiamo contentarci di fare opere buone, ma dobbiamo arricchirle ed aumentarne il valore con il merito di una nobilissima e santissima intenzione, facendole unicamente per piacere a Dio e glorificarlo".

44. BRANO DI CONFERENZASULLA MITEZZA77

«Si vedono talvolta alcune persone che sembrano dotate di una grande mitezza, la quale, tuttavia, molto spesso non è altro che l'effetto di un carattere fiacco, ma non hanno la mitezza cristiana, la cui particolarità è quella di reprimere e soffocare gl'impeti del vizio contrario. Non si é casti perché non si sentono impulsi disonesti, ma piuttosto perché, sentendoli, vi si resiste. Abbiamo nella nostra Compagnia un esempio di vera

75 Mt 20,28.76 Abelly, op. cit., 1. III, cap.4.77 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 12.

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mitezza; lo dico perché la persona non é presente e potete tutti accorgervi del suo carattere asciutto e arido; é il signor ...; potete ben giudicare se vi sono due persone al mondo rozze e arcigne come lui ed io; eppure si vede quest'uomo vincersi fino al punto di non riconoscersi più. Chi ha operato questo cambiamento? La virtù della mitezza che egli cerca di acquistare, mentre io, miserabile, rimango ruvido come un rovo. Vi prego, signori, di non fermare il vostro sguardo sopra i cattivi esempi che vi do, ma piuttosto vi esorto, per servirmi delle parole del santo Apostolo 78,di camminare degnamente e con mansuetudine e longanimità nello stato al quale siamo stati chiamati da Dio".

45. BRANO DI CONFERENZASULLA MITEZZA 79

«Non c'é nessuno più costante nel bene di coloro che sono miti e benigni; mentre, invece, coloro che si lasciano trasportare dalla collera e dalle passioni dell'appetito irascibile, sono ordinariamente molto incostanti, perché non operano se non a capriccio e impulsivamente. Sono come torrenti che non hanno forza e impetuosità se non nei loro straripamenti e subito dopo si prosciugano; invece, i fiumi, che rappresentano le persone benigne, vanno senza rumore, con tranquillità, e non si prosciugano mai".

46. BRANO DI CONFERENZASULLA MITEZZA NELLE CONTROVERSIE80

«Quando si discute con qualcuno, se lo facciamo con animosità, dimostriamo chiaramente di voler ottenere il sopravvento; perciò il nostro interlocutore si prepara alla resistenza, piuttosto che riconoscere la verità; dimodoché, con quel diverbio, invece di fare qualche breccia nella sua mente, si chiude ordinariamente la porta del suo cuore, mentre, invece, l'affabilità e la mitezza gliela aprono. Abbiamo in questo un bell'esempio nella persona del beato Francesco di Sales, il quale, sebbene fosse dottissimo nelle controversie, convertiva tuttavia gli eretici più con la sua dolcezza che con la sua dottrina. A questo proposito il cardinale Du Perron diceva che, in verità, si sentiva abbastanza forte per convincere gli eretici, ma che soltanto monsignor vescovo di Ginevra poteva convertirli. Ricordatevi bene, signori, delle parole di S. Paolo al gran missionario S. Timoteo: Servum Domini non oportet litigare81, che un servo di Dio non doveva mai usare contese o liti. Ed io posso dirvi che non ho mai visto né saputo che nessun eretico sia stato convertito dalla forza di una disputa, né dalla sottigliezza degli argomenti, ma sempre dalla mitezza, tanto é vero che tal virtù ha forza per conquistare le anime a Dio".

47. COMPENDIO DI ALCUNI AVVERTIMENTISULLA MITEZZA82

1° Prevedere le occasioni nelle quali si potrebbe mancare nella mitezza, raffigurarsi i motivi capaci di provocare moti di collera, formare in anticipo nel proprio interno gli atti di mitezza che ci si propone di praticare nelle varie circostanze.

2° Detestare il vizio dell'ira perché dispiace a Dio, senza però affliggersi o inasprirsi se vi siamo soggetti; giacché bisogna odiare questo vizio e amare la virtù contraria, non

78Ef IV, 1.79 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XII.80 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XII.812 Tm II, 24.82 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XII.

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perché quello ci dispiace, e questa ci é gradita, ma unicamente per amor di Dio al quale questa virtù piace e quel vizio dispiace; in tal modo il dolore che concepiremo delle colpe commesse contro tal virtù sarà dolce e tranquillo.

3° Quando uno si sente invaso dall'ira, astenersi dall'operare, ed anche dal parlare, e soprattutto dal prendere determinazioni, finché questa passione si sia calmata, perché le azioni fatte nell'agitazione non sono pienamente regolate dalla ragione, che é turbata e offuscata dalla passione, e per conseguenza non sono mai perfette.

4° Durante questo stato d'emozione, sforzarsi di dominare se stessi, per non lasciar trasparire nulla sul nostro volto. In questo non vi é niente che sia contrario alla semplicità, perché si agisce così, non per mostrarsi diversi da quel che si é, ma pel vivo desiderio che la virtù della dolcezza, che sta nella parte superiore dell'anima, si manifesti sul volto, sulla lingua e nelle nostre azioni esteriori, per piacere a Dio e al prossimo per amor di Dio.

5° Trattenere soprattutto la lingua mentre il cuore é commosso. E nonostante tutti i ribollimenti dell'ira e tutti gli impulsi di un supposto zelo, non pronunziar mai se non parole miti e piacevoli per conquistare le anime a Dio. «Non c'é bisogno, a volte, altro che di una parola mite per convertire un ostinato nel peccato e, invece una parola aspra é capace di desolare un'anima e procurarle una amarezza che potrebbe esserle nociva".Il santo dichiarò più volte di aver usato «soltanto tre volte in vita sua parole severe per rimproverare e correggere gli altri, credendo avere qualche ragione per farlo, e che se n'era poi sempre pentito, perché non aveva raggiunto lo scopo, mentre con la mitezza aveva sempre ottenuto quello che desiderava".

48. BRANO DI CONFERENZASULL'AFFABILITA'83

«Abbiamo tanto più bisogno di affabilità, quanto più siamo obbligati dalla nostra vocazione a conversare spesso insieme e con il prossimo, e tal conversazione è difficile sia tra di noi, essendo di paesi diversi, o avendo temperamenti ed indoli molto differenti, sia con il prossimo del quale abbiamo molto da sopportare. La virtù dell'affabilità toglie queste difficoltà ed essendo come l'anima di una buona conversazione, la rende non solo utile, ma anche piacevole; fa sì che ci comportiamo nella conversazione con cortesia e condiscendenza gli uni verso gli altri, e come la carità ci unisce, come membri di un medesimo corpo, così l'affabilità perfeziona tale unione".

49. BRANO DI CONFERENZASULL'AFFABILITA'84

Vincenzo de' Paoli raccomandava particolarmente ai suoi la pratica dell'affabilità verso i poveri della campagna: «Altrimenti, si disgustano e non osano avvicinarsi a noi, credendoci troppo severi o troppo gran signori. Ma quando sono trattati affabilmente e cordialmente, concepiscono altri sentimenti a nostro riguardo e sono meglio disposti a profittare del bene che vogliamo far loro. Ora, avendoci Dio destinati a servirli, dobbiamo farlo nel modo più proficuo per loro e, conseguentemente, trattarli con grande affabilità, e considerare questo avvertimento del Savio come rivolto a ciascuno di noi in particolare: Congregationi pauperum affabilem te facito85; rendetevi affabili alla comunità dei poveri".

83 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XII.84 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XII.85 Sir 4,7.

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50. BRANO DI CONFERENZASULLO SPIRITO DI CONDISCENDENZA86

«La nostra obbedienza non deve limitarsi soltanto a coloro che hanno il diritto di comandarci, ma deve spingersi più oltre, perché ci sarà facile guardarsi dal mancare all'obbedienza d'obbligo se, come raccomanda S. Pietro, ci sottomettiamo ad ogni creatura umana per amor di Dio. Facciamolo dunque e consideriamo tutti come nostri superiori, e perciò mettiamoci sotto di loro ed anche più basso dei più piccoli, e preveniamoli con deferenza, con condiscendenza, e con ogni sorta di servigi. Ah! che bella cosa sarebbe se Dio si degnasse ben fondarci in tal pratica!".

51. BRANO DI CONFERENZA SULLO SPIRITO DI CONDISCENDENZA87

«In una comunità è necessario che tutti quelli che la compongono e ne sono come i membri, siano condiscendenti gli uni verso gli altri; e con tal disposizione i dotti devono accondiscendere agli ignoranti, nelle cose nelle quali non v'è errore né peccato; i prudenti e i sapienti devono accondiscendere agli umili e ai semplici: non alta sapientes, sed umilibus consentientes88. E con questa medesima condiscendenza dobbiamo non soltanto approvare i sentimenti altrui nelle cose buone e indifferenti, ma anche preferirli ai nostri, pensando che gli altri abbiano lumi e qualità naturali e soprannaturali più grandi e migliori di noi. Ma bisogna star bene attenti a non usar condiscendenza nelle cose cattive, perché non sarebbe virtù, ma un gran difetto proveniente o dalla leggerezza della mente, o da una certa viltà e pusillanimità".

52. BRANO DI CONFERENZASULLA MORTIFICAZIONE89

«Resistiamo alla nostra natura, perché se facciamo tanto di darle un dito, essa prenderà tutta la mano. Teniamo per certo che la misura del nostro progresso spirituale, si deve prendere dall'avanzamento che facciamo nella virtù della mortificazione, la quale è particolarmente necessaria a coloro che si occupano della salvezza delle anime; perché, invano predicheremmo la penitenza agli altri, se noi ne siamo privi e se non apparisce nella nostra condotta e in nessuna nostra azione".

53. BRANO DI CONFERENZASULLA MORTIFICAZIONE90

«Sventurato chi cerca le proprie soddisfazioni! Sventurato chi sfugge le croci! perché ne incontrerà delle così pesanti che lo schiacceranno. Chi fa poco conto delle mortificazioni esteriori, dicendo che le interiori sono molto più perfette, dimostra chiaramente di non essere affatto mortificato, né interiormente, né esteriormente".

54. BRANO DI CONFERENZA

86 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XIV.87 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XIV.88 Rom 12,16.89 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XIX.90 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XXIV.

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SULLA SENSUALITA'91

«La sensualità si può trovare in ogni cosa, e non solo nella ricerca della stima del mondo, delle ricchezze e dei piaceri, ma anche nelle devozioni, nelle azioni più sante, nei libri, nelle immagini; in una parola, s'insinua dovunque. O mio Salvatore, fateci la grazia di sbarazzarci di noi stessi; fate, se così piace a Voi, che ci odiamo per amar Voi più perfettamente, Voi che siete la sorgente di ogni virtù e di ogni perfezione e il nemico mortale della sensualità; dateci questo spirito di mortificazione e la grazia di resister sempre all'amor proprio che è la radice di tutte le nostre sensualità".

55. BRANO DI CONFERENZASULL'UTILITA' E IL BUON USO DELLE MALATTIE92

«Bisogna convenire che lo stato di malattia è uno stato penoso e quasi insopportabile alla natura; eppure è uno dei mezzi più potenti di cui Dio si serve per richiamarci al nostro dovere, per distaccarci dall'affetto al peccato e per riempirci dei suoi doni e delle sue grazie. O Salvatore che avete tanto sofferto, e siete morto per redimerci e per dimostrarci quanto il dolore poteva glorificare Dio e servire alla nostra santificazione, fateci conoscere, ve ne prego, il gran bene e il gran tesoro nascosto sotto questo stato di malattia. In esso, signori, le anime si purificano, e quelle senza virtù hanno un modo efficace per acquistarla. Non è possibile trovare uno stato più adatto per praticarla; nella malattia si esercita la fede meravigliosamente; la speranza vi riluce splendidamente; la rassegnazione, l'amor di Dio e tutte le virtù vi trovano ampia materia di esercitarvisi. Lì si conosce quello che ognuno porta in sé e quello che è; è lo strumento con il quale potete scrutare e sapere con certezza qual'è la virtù di ciascuno, se ne ha molta, se ne ha poca o punta. Non si osserva mai meglio il valore di un uomo, come nell'infermeria. Ecco la prova più sicura per riconoscere i più virtuosi e i meno. Da ciò vediamo quanto sia necessario conoscer bene il modo di comportarci debitamente nelle malattie. Ah! se potessimo fare come un buon servo di Dio che, essendo malato, trasformò il suo letto in un trono di meriti e di gloria! Volle avere innanzi a sé i santi misteri della nostra religione. Al cielo del letto attaccò l'immagine della SS. Trinità; sul capezzale mise quella dell'Incarnazione; da un lato la Circoncisione, dall'altro il SS. Sacramento; ai piedi, la Crocifissione. E così da qualunque parte si voltasse, a destra o a sinistra, che volgesse gli occhi in alto o in basso era sempre circondato da questi divini misteri, e come attorniato e pieno di Dio. Bel pensiero, signori, bel pensiero! Se Dio ci facesse una grazia simile qual felicità sarebbe per noi! Dobbiamo lodare Dio perché, per sua bontà e misericordia, vi sono nella Compagnia infermi e malati che fanno dei loro patimenti una scuola di pazienza, facendo rilucere nel loro splendore tutte le virtù. Ringrazieremo Dio per averci dato tali persone. L'ho già detto più volte, ma non posso impedirmi di ripeterlo, che dobbiamo riputare le persone malate della Compagnia come la benedizione della Compagnia medesima.

Consideriamo che le infermità e le afflizioni vengono da parte di Dio. La morte, la vita, la salute, la malattia, tutto viene per ordine della sua Provvidenza, e, qualunque ne sia il modo, sempre per il bene e la salvezza dell'uomo. Eppure alcuni soffrono con molta impazienza le loro afflizioni ed è una gran colpa. Altri coltivano il desiderio di cambiar luogo, di andar qui, di andar là, in quella casa, in quella provincia, nel loro paese, con la scusa che l'aria è migliore. E perché? Sono persone che amano se stessi, spiriti puerili, gente che non vuole soffrir nulla, come se le infermità corporali fossero

91 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XIX.92 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XXIII.

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mali da fuggirsi. Fuggire lo stato in cui piace a Dio metterci, è allontanare la propria felicità. Sì, i patimenti sono uno stato di felicità e santificano le anime"93.

56. BRANO DI CONFERENZASULLO ZELO94

«Chi dice missionario, dice uomo chiamato da Dio a salvare le anime; perché il nostro fine è di occuparci della loro salvezza, ad esempio di Nostro Signore Gesù Cristo, il solo vero Redentore e che ha perfettamente attuato il nome amabile di Gesù, ossia Salvatore. Egli è venuto dal cielo in terra per adempiere questa missione, ne ha fatto lo scopo della sua vita e della sua morte, ed esercita continuamente tale qualità di Salvatore con la comunicazione dei meriti acquistati a prezzo del sangue che Egli ha sparso. Mentre viveva sulla terra applicava tutti i suoi pensieri alla salvezza degli uomini, e continua anche ora nei medesimi sentimenti, perché in questo modo trova la volontà del Padre. Per questo Egli è venuto e viene tutti i giorni a noi, e con il suo esempio c'insegna tutte le virtù convenienti alla qualità di Salvatore. Diamoci dunque a Lui, perché continui ad esercitare questo medesimo ufficio in noi e per mezzo nostro".

57. BRANO DI CONFERENZASULLO ZELO95

«Ecco un bel campo di lavoro che Dio ci apre tanto nel Madagascar quanto nelle isole Ebridi ed altrove. Preghiamo Dio d'infiammare i nostri cuori del desiderio di servirlo; diamoci a Lui per fare quello che Egli vorrà. S. Vincenzo Ferreri s'incoraggiava pensando che sarebbero venuti sacerdoti, i quali, con il fervore del loro zelo, avrebbero infiammata tutta la terra. Se non meritiamo che Dio ci conceda la grazia di essere tra quei sacerdoti, supplichiamolo almeno che ce ne faccia essere le immagini e i precursori; ma, comunque sia, teniamo per certo che non saremo mai veri cristiani, finché non saremo pronti a perder tutto e a dare anche la nostra vita per amore e per la gloria di Gesù Cristo, risolvendoci, con il santo apostolo, a scegliere i tormenti e la morte stessa piuttosto che essere separati dalla carità del divin Salvatore".

58. BRANO DI CONFERENZASULLA FORZA DELLE PERSECUZIONI96

Dopo aver fatto alla comunità il racconto di una persecuzione subita dai missionari di Barberia, il signor Vincenzo aggiunse:

«Chi sa che Dio non ha mandato tal avvenimento per provare la nostra fedeltà? I mercanti rinunziano forse a viaggiare in mare per i pericoli che vi corrono, e i soldati cessano di andare alla guerra a causa delle ferite e della morte stessa alla quale si espongono? E noi potremmo lasciare l'ufficio di soccorrere e di salvare le anime per le pene e le persecuzioni che vi si trovano?".

59. BRANO DI CONFERENZASULLA CARITA'97

93 Quello che aggiunge Abelly a queste parole, appartiene alla conferenza del 28 giugno 1658.94 Abelly, op. cit., 1. III, cap. VIII, sez. II.95 Abelly, op. cit., 1. III, cap. X.96 Abelly, op. cit., 1. III, cap. X.97 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XI.

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«Ogni cosa produce quasi una specie di immagine di se stessa, come si vede in uno specchio che rappresenta gli oggetti tal quali sono: un viso brutto, vi appparisce brutto, e uno bello vi apparisce bello. Parimente le buone e le cattive qualità traspariscono al di fuori; soprattutto la carità, comunicativa di per sé, produce la carità. Un cuore veramente infiammato e animato da tal virtù, fa sentire il suo ardore, e tutto quello che si trova in un uomo caritatevole esala e predica la carità".

60. BRANO DI CONFERENZASULLA CARITA'98

In una conferenza alla comunità, il signor Vincenzo disse che «i missionari dovrebbero ritenersi molto fortunati se diventassero poveri per avere esercitato la carità verso gli altri, ma che non vi era alcun timore di diventarlo per questa via, a meno che diffidassero della bontà di Nostro Signore e della verità della sua parola. Se però Dio permettesse che fossero ridotti alla necessità di servire, per vivere, come vicari nei villaggi, od anche che qualcuno di loro fosse costretto a mendicare il pane o a coricarsi lungo una siepe, tutto lacero e intirizzito dal freddo, e in questo stato gli fosse domandato: «Povero Prete della Missione, chi ti ha ridotto in tale stato?", quale felicità, signori, poter rispondere: «E' la carità!". Oh! quanto quel povero prete sarebbe stimato da Dio e dagli angeli!".

61. BRANO DI CONFERENZASULLO SPIRITO DI COMPASSIONE99

«Il Figlio di Dio, non potendo avere sentimenti di compassione nello stato di gloria che possiede da tutta l'eternità in cielo, volle farsi uomo e divenire nostro Pontefice per compatire le nostre miserie. Per regnare con Lui in cielo, dobbiamo compatire, come Lui, i suoi membri che sono sulla terra. I missionari, più di tutti gli altri sacerdoti, devono esser pieni dello spirito di compassione, essendo obbligati, per il loro stato e la loro vocazione, a servire i più miserabili, i più abbandonati e i più oppressi dalle miserie materiali e spirituali. Prima di tutto devono sentirsi commossi al vivo e afflitti in cuor loro per le miserie del prossimo. In secondo luogo questa pena e compassione deve apparire esternamente sul loro volto, ad esempio di Nostro Signore che pianse sulla città di Gerusalemme, minacciata da tante calamità. In terzo luogo bisogna usare parole compassionevoli che dimostrino al prossimo, come sentiamo come propri i suoi interessi e le sue pene. Infine bisogna soccorrerlo e assisterlo, quanto è possibile, nelle sue necessità e miserie e cercare di liberarnelo in tutto, o in parte, perché la mano deve essere, per quanto è possibile, conforme al cuore".

62. BRANO DI CONFERENZASULL'OBBEDIENZA ALLE AUTORITA' CIVILI100

«Dobbiamo, fratelli, ad imitazione [dei primi cristiani] prestar sempre una fedele e semplice obbedienza ai re, senza mai lamentarsi di loro, né mormorare, per nessun motivo. E quando si trattasse di perdere i nostri beni di fortuna e la nostra vita, diamoli con questo spirito di obbedienza, piuttosto che trasgredire ai loro voleri, quando la

98 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XI.99 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XI, sez. II.100 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XIV.

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volontà di Dio non vi si oppone, perché i re ci rappresentano sulla terra il supremo volere di Dio".

63. BRANO DI CONFERENZASULLA VIRTU' DELLA POVERTA'101

«Dovete sapere, signori, che la virtù della povertà è il fondamento di questa Congregazione della Missione. Questa lingua che vi parla non ha chiesto mai nulla, per grazia di Dio, di quello che la Compagnia possiede ora; e quand'anche bastasse fare un sol passo o pronunziare una sola parola, perché la Compagnia si stabilisse nelle province e nelle grandi città, e si moltiplicasse in numero e in uffici considerevoli, non la vorrei pronunziare, e spero che Nostro Signore mi farà la grazia di non dirla. La disposizione nella quale mi trovo è di lasciar fare alla Provvidenza divina".

64. BRANO DI CONFERENZASUL DESIDERIO DEI BENI TEMPORALI102

«Sventurato, sventurato, signori e fratelli, sì, sventurato missionario che bramasse i beni perituri di questa vita! perché vi sarà preso, rimarrà punto da quelle spine e imprigionato da quei legami; e se tal disgrazia capitasse alla Compagnia, che cosa si direbbe, come si vivrebbe? Si direbbe: «Abbiamo tante migliaia di lire di rendita, possiamo riposarci; perché andare a correre per i villaggi? perché lavorar tanto? lasciamo i campagnoli, se ne occuperanno i loro parroci, se ne hanno voglia; viviamo tranquillamente senza durar tanta fatica". Ecco come l'ozio seguirà lo spirito di avarizia; ci si preoccuperà unicamente di conservare e aumentare i beni temporali e di cercare le proprie soddisfazioni; ed allora si potrà dire addio a tutti gli uffici della Missione, e alla Missione stessa, perché non ci sarà più. Basta leggere la storia, per trovare un'infinità di esempi che ci dimostrano come le ricchezze e l'abbondanza dei beni temporali siano stati causa della perdita non solo di molte persone ecclesiastiche, ma anche di comunità e di ordini interi, perché non sono stati fedeli al loro primo spirito di povertà".

65. SUNTO DI UNA CONFERENZASULL'OSSERVANZA DELLE REGOLE103

Primo punto - Motivi di osservare le regole della Missione.E' importantissimo osservare le nostre regole:1) Perché lo vuole Iddio, il quale le ha dettate Lui stesso al superiore.2) Perché costituiscono tutta la nostra occupazione; non abbiamo da fare altro che

questo; è il fine che dobbiamo proporci, perché siamo chiamati alla Missione per vivervi conforme alle regole; l'osservanza delle medesime ci rende missionari, non l'abito.

3) E' il mezzo che ci conserverà nella nostra vocazione, e Dio non permetterà mai che un uomo, per quanto debole sia, perda la vocazione, se rimane fedele al proprio dovere; come, invece, la gran via per perdere la vocazione, è trascurare le regole.

4) Perché siamo i primi e dobbiamo dare l'esempio a quelli che verranno dopo; e se fin da principio fossimo negligenti nell'osservare le regole, sarebbe da temersi grandemente che a poco a poco la Compagnia andasse in rovina.

101 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 18.102 Abelly, op. cit., 1. III, cap. 18.103 Manoscritto delle conferenze.

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5) Perché è impossibile acquistare lo spirito della Missione senza l'osservanza delle regole, nelle quali è contenuto e incastonato.

6) Perché è il sentiero per il quale possiamo raggiungere la nostra perfezione e farci santi, e per il quale Dio vuol condurci alla salvezza. V'era un Papa che non esigeva altro indizio della santità di un religioso per canonizzarlo, se non la sicurezza che aveva osservato esattamente le sue regole.

7) Infine, perché una delle maggiori consolazioni, che potremo avere in punto di morte, è di avere ben osservato i nostri regolamenti. Se vi saremo stati fedeli potremo sperare che in quell'ora Dio ci dirà: Euge, serve bone et fidelis, intra in gaudium Domini tui; quia in modico fuisti fidelis, super multa te constituam.

Secondo punto - In che consiste la perfetta osservanza delle regole.La perfetta osservanza delle regole consiste:1) Nell'osservarle tutte e non trascurarne alcuna, sia pur piccola, considerando che

in tutte si trova la volontà di Dio, la quale è per noi il motivo più potente.2) Nell'esser puntuali, troncando la lettera cominciata e muovendosi appena suona la

campana.3) Nel farlo con vero spirito, cioè con l'intenzione della maggior gloria di Dio e per

amor suo.4) Nel farlo con attenzione e accuratezza.5) Nel compiere, una volta cominciate, le cose comandate dalle regole e non fare a

metà, se non quando l'obbedienza ci chiama altrove, o quando ne fossimo costretti da qualche grande occasione di carità.

6) Nel farlo lietamente e con gioia: hilarem enim datorem diligit Deus104.7) Nell'osservar tutto ciecamente, senza trovare da ridire in nulla.8) Nell'osservarle sempre, ossia tutta la vita, in ogni luogo, ossia tanto in missione e

in viaggio, quanto a casa.Terzo punto - I mezzi per ben praticare le regole.Primo, avere una grande stima delle regole e ben convincere la nostra mente che in

esse vi è la volontà di Dio, per noi in particolare, che siamo alla Missione.Secondo, leggerle spesso ed esaminarsi spesso su quelle nelle quali manchiamo

abitualmente, e chiedere una penitenza al superiore quando avremo mancato contro le più notevoli, ed anche contro le minime, se vi sarà stata molta negligenza.

Terzo, amare sinceramente la nostra vocazione, perché chi è molto affezionato ad essa osserverà perfettamente le regole, le quali soltanto ci rendono missionari.

Quarto, stare attenti a praticarle in assenza dei superiori come alla loro presenza, perché, per il solito, se incliniamo ad intiepidirci è piuttosto quando i superiori non hanno gli occhi su di noi, tanto è grande la nostra infermità.

Quinto, non badare a quello che fanno gli altri, che qualche volta si emancipano, ma a quello che dobbiamo fare noi.

Sesto, far su di esse ogni tanto il nostro esame particolare, e nell'orazione far energici propositi.

Settimo, quando ci accorgiamo di osservarle, ringraziarne vivamente Dio e chiedergli spesso la grazia di poterle osservar bene.

Ottavo, osservare bene le consuetudini che sono come il riparo delle regole.Nono, modellarsi su quelli che osservano esattamente le regole, per imitarli.Decimo, considerare quello che avverrebbe in una congregazione nella quale le

regole non fossero osservate. Qual confusione! ecc.

66. BRANO DI CONFERENZA

104 2 Cor 9,7.

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SULLA REGOLARITA' 105

Parlando dei preti della sua congregazione, S. Vincenzo disse un giorno:« che coloro che non erano stati esatti, particolarmente nell'alzarsi la mattina e nel fare l'orazione nel luogo e nel tempo in cui gli altri la fanno, anche se avevano molta intelligenza e molta capacità nella direzione, pure non erano adatti per essere superiori di case, né direttori di seminari". E aggiunse:« quando si tratta di nominare i superiori, bisogna aver cura di scegliere per tale ufficio quelli che vivono regolarmente e sono esemplari, perché, altrimenti, mancherebbe loro una delle principali qualità richieste in coloro che sono incaricati della direzione altrui".

67. BRANO DI CONFERENZASULL'ORAZIONE106

«Datemi un uomo d'orazione e sarà capace di tutto; egli potrà dire con il santo Apostolo:« Posso tutto in Colui che mi sostiene e mi conforta"107. La Congregazione della Missione sussisterà finché l'esercizio dell'orazione vi sarà fedelmente praticato, perché l'orazione é come un baluardo inespugnabile che mette il missionario al riparo da ogni sorta di attacchi; é un mistico arsenale, o come la torre di David, che fornirà loro armi di ogni specie, non soltanto per difendersi ma anche per assalire e mettere in fuga tutti i nemici della gloria di Dio e della salvezza delle anime".

68. BRANO DI CONFERENZASULL'ORAZIONE108

«L'orazione é una predica fatta a se stesso per convincersi della necessità che si ha di ricorrere a Dio e di cooperare con la sua grazia a estirpare i vizi dell'anima nostra e piantarvi le virtù. Nell'orazione, bisogna applicarsi particolarmente a combattere la passione o la cattiva inclinazione che ci signoreggia, e mirar sempre a modificarla; parchè, una volta riusciti in questo, il resto viene facilmente".

S. Vincenzo raccomandava anche di essere costanti in questa lotta; di mantenersi tranquilli e non rompersi la testa a forza di applicarsi e di voler sottilizzare; di elevare la mente a Dio ed ascoltarlo, perché una delle sue parole val più di mille ragioni e di tutte le speculazioni del nostro intelletto.

Aggiungeva che soltanto quello che Dio ispira e viene da Lui può esserci di profitto, che dobbiamo ricevere da Dio per dare al prossimo, ad esempio di Gesù Cristo, il quale, parlando di se stesso, diceva che insegnava agli altri quello che aveva udito e imparato dal Padre109.

69. BRANO DI CONFERENZASULL'ORAZIONE110

"Guardate la differenza tra la luce del fuoco e quella del sole: durante la notte il nostro fuoco c'illumina e per mezzo del suo bagliore vediamo le cose, ma le vediamo imperfettamente, non ne scopriamo se non la superficie, e il bagliore non va più avanti.

105Abelly, op. cit., 1. III, cap. XXIV, sez. I.106Abelly, op. cit., 1. III, cap. VII.107Fil IV, 13.108Abelly, op. cit., 1. III, cap. VII.109Lc X, 22.110Abelly, op. cit., 1. III, cap. VII, sez. I.

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Ma il sole riempie e vivifica tutto con la sua luce; non scopre soltanto l'esterno delle cose, ma per una virtù segreta, penetra dentro, le fa operare e le rende anche fruttuose e fertili, secondo la qualità della loro natura. Ora, i pensieri e le contraddizioni che vengono dal nostro intelletto non sono altro che fuocherelli che ci fanno vedere soltanto una piccola parte esterna degli oggetti e non producono nulla di più; ma i lumi della grazia, che il Sole di giustizia spande nelle anime nostre, scoprono e penetrano sino in fondo e nel più intimo del nostro cuore, e lo stimolano e lo inducono a produrre frutti meravigliosi. Chiediamo dunque a Dio d'illuminarci Lui stesso e d'ispirarci quello che Gli é accetto. Tutte le considerazioni alte e ricercate non sono orazione; sono piuttosto, qualche volta, polloni della superbia; e quelli che vi si fermano e vi si compiacciono, somigliano ai predicatori che si pavoneggiano dei loro bei discorsi, e godono nel vedere l'uditorio soddisfatto di quello che essi dicono; da ciò è evidente che non è lo Spirito Santo ma piuttosto lo spirito di superbia che illumina il loro intelletto e produce tutti quei bei pensieri; o, per meglio dire, è il demonio che li stimola e li fa parlare in quel modo. Lo stesso è dell'orazione, quando si cercano belle considerazioni, e ci si ferma in pensieri straordinari, particolarmente quando si devono esprimere, riferendo l'orazione, affinché gli altri ne abbiano stima. Questo è una specie di bestemmia, è, in qualche modo, essere idolatri della propria intelligenza; perché, mentre state con Dio nell'orazione, meditate su quello che può soddisfare la vostra superbia, spendendo quel santo tempo nel cercare la vostra soddisfazione e nel compiacervi nella bella stima dei vostri pensieri, sacrificate all'idolo della vanità.

Ah! fratelli, asteniamoci da simili pazzie; riconosciamo che siamo tutti pieni di miserie; non cerchiamo se non quello che può maggiormente umiliarci ed indurci alla solida pratica delle virtù; abbassiamoci sempre nell'orazione sino al nulla, e nella ripetizione dell'orazione diciamo umilmente i nostri pensieri, e se se ne presenta qualcuno che ci sembra bello, diffidiamo di noi stessi e temiamo che sia prodotto dallo spirito di superbia o ispirato dal diavolo. E' per questo che dobbiamo umiliarci sempre profondamente, quando ci vengono questi bei pensieri, sia facendo orazione, sia predicando, sia facendo conversazione con gli altri. Ahimè! il Figlio di Dio poteva attirare incantevolmente tutti gli uomini con la sua divina eloquenza, ma non volle farlo; invece, insegnando le verità del suo Vangelo, si servì sempre di espressioni e parole comuni e familiari; preferì sempre essere vilipeso e disprezzato, piuttosto che lodato o stimato. Vediamo dunque, fratelli, come fare ad imitarlo, e perciò sopprimiamo i pensieri di superbia nell'orazione e altrove; seguiamo in tutto le tracce dell'umiltà di Gesù Cristo, usiamo parole semplici, comuni e familiari; e quando Dio lo permetterà, siamo lieti se nessuno farà conto di quello che diremo, se saremo disprezzati e scherniti, e teniamo per certo che senza una vera e sincera umiltà ci è impossibile giovare né a noi, né agli altri".

70. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONESULL'ORAZIONE111

"Anche se siamo stati infedeli nell'eseguire le nostre risoluzioni, non dobbiamo desistere dal prenderne altre in tutte le orazioni; come, sebbene ci sembri di non profittare del cibo che si prende, non si lascia per questo di mangiare. Una delle parti più importanti, anzi la più importante dell'orazione, è di prendere buone risoluzioni; bisogna fermarsi soprattutto a questo e non tanto al ragionamento o ai discorsi. Il frutto principale dell'orazione consiste nel risolversi bene; nel risolversi fortemente, nel basar bene le risoluzioni, nel convincersene bene, nel prepararsi bene ad eseguirle, nel prevedere gli ostacoli per sormontarli. E tuttavia non è ancor tutto perché, infine, le

111Abelly, op. cit., 1. III, cap. VII, sez. I.

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nostre soluzioni non sono di per sé altro che azioni fisiche e morali; e quantunque facciamo bene a formarle in cuor nostro ed affermarci in esse, nondimeno dobbiamo riconoscere che quello che hanno di buono, la loro pratica e i loro effetti, dipendono assolutamente da Dio. E quale credete sia il motivo, in genere, pre cui manchiamo alle nostre risoluzioni? Perché ci fidiamo troppo, siamo troppo sicuri dei nostri buoni desideri, ci appoggiamo sulle nostre forze: questo è causa che non ne ricaviamo alcun frutto. Perciò, dopo aver presa qualche risoluzione nell'orazione, occorre pregar molto Dio, e invocare insistentemente la sua grazia con gran diffidenza di noi stessi, affinché Egli si degni comunicarci le grazie necessarie per far fruttificare tali risoluzioni; e se dopo questo, torniamo a mancarvi, non solo una o due volte, ma in diverse occasioni e per lungo tempo, quando anche non le avessimo messe una sola volta in pratica, non dobbiamo mai lasciare di rinnovarle e di ricorrere alla misericordia di Dio ed implorare l'aiuto della sua grazia. Le colpe passate devono umiliarci, ma non farci perdere di coraggio; in qualunque colpa si cada non bisogna per questo diminuire la fiducia che Dio vuole che si abbia in Lui, ma prender sempre una nuova risoluzione di rialzarsi e di stare attenti a non ricadervi, assistiti dalla grazia che dobbiamo sempre chiedergli. Sebbene i medici non vedano alcun risultato dai rimedi prescritti al malato, pure non cessano di continuarli e ripeterli finché nutrono qualche speranza di salvezza. Se si continua così ad applicar rimedi per le malattie del corpo, sebbene lunghe e mortali, anche se non procurano nessun miglioramento, a maggior ragione dobbiamo fare lo stesso per le infermità delle anime nostre, nelle quali, quando piace a Dio, la grazia opera meraviglie grandissime".

71. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONESULL'ORAZIONE112

"Fratello113 avete fatto bene a suddividere la vostra orazione. Tuttavia, prendendo qualche mistero per soggetto di meditazione, non è necessario né conveniente fermarsi ad una virtù particolare e fare la vostra divisione usuale sul soggetto di tal virtù; ma è più opportuno considerare la storia del mistero e fare attenzione a tutte le circostanze, non essendovene una, per piccola e comune che sia, nella quale non vi siano grandi tesori nascosti, se sappiamo cercarli bene. Lo riconobbi ultimamente in una conferenza di quei signori che si riuniscono qui dentro114. Avevano per soggetto quello che occorreva fare per passare santamente il tempo di quaresima. Era un soggetto comunissimo, che trattano tutti gli anni; eppure dissero cose tanto belle, che tutti gli assistenti ne furono grandemente commossi ed io in modo particolare; posso dire in verità che non ho mai assistito a conferenza più devota di quella, né che abbia fatto maggiormente impressione sugli animi; perché, sebbene avessero parlato più volte del medesimo soggetto, sembrava che non fossero più le medesime persone che parlavano; Dio aveva ispirato loro nell'orazione tutt'altro linguaggio. Ecco, fratelli, come Dio nasconde tesori in cose apparentemente comuni, e nelle minime circostanze delle verità e dei misteri della nostra religione; sono come granellini di senape che producono grandi alberi, quando Nostro Signore si degna benedirli".

72. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONESULL'ORAZIONE115

112Abelly, op. cit., 1. III, cap. VII, sez. I.113Il fratello al quale S. Vincenzo si rivolge aveva ripetuto la sua orazione.114I sacerdoti della conferenza del martedì.115Abelly, op. cit., 1. III, cap. VII, sez. I.

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"Alcuni hanno bei pensieri e buoni sentimenti, ma non li applicano a loro stessi e non riflettono abbastanza sul loro stato interiore; eppure è stato più volte raccomandato che quando Dio comunica qualche lume o qualche buon moto nella orazione occorre farlo sempre servire ai propri bisogni particolari, occorre considerare i propri difetti, confessarli e riconoscerli davanti a Dio, e qualche volta anche accusarsene davanti alla Compagnia per umiliarsi e confondersi maggiormente e fare un forte proposito di correggersene; il che non si fa mai senza qualche profitto.Mentre si ripeteva l'orazione, pensavo tra me da che cosa poteva provenire che alcuni fanno tanto pochi progressi in questo santo esercizio della meditazione. C'è motivo di credere che la causa di questo male sia che essi non si esercitano nella mortificazione come assolutamente necessaria per fare bene l'orazione, e che, per ben disporvisi, occorre non solo mortificare gli occhi, la lingua, le orecchie e gli altri sensi esterni, ma anche le facoltà dell'anima, l'intelletto, la memoria e la volontà; con tal mezzo la mortificazione disporrà a far bene l'orazione, e, a sua volta, l'orazione aiuterà a praticar bene la mortificazione".

73. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONESULL'ORAZIONE116

Ad un fratello, che si era messo in ginocchio per chiedere perdono alla comunità perché, da qualche tempo, non faceva più nulla durante l'orazione, ed, anzi, provava ripugnanza ad applicarvisi, S. Vincenzo disse queste parole:

"Fratello, Dio permette qualche volta che si perda il gusto che si provava nell'orazione, l'attrattiva che se ne aveva ed anche che ci ripugni. Ma, ordinariamente, è una tribolazione che ci manda, una prova che vuol far di noi, perciò non dobbiamo desolarci, né lasciarci andare allo scoraggiamento. Vi sono anime buone che sono, a volte, trattate in questo modo, come lo sono stati anche parecchi santi. Sì, conosco molte persone virtuosissime, che non hanno che disgusti ed aridità nell'orazione, ma, essendo assai fedeli a Dio, ne fanno un uso ottimo; il che contribuisce, non poco, al progresso nella virtù. E' vero però che quando questi disgusti ed aridità vengono a chi comincia a dedicarsi all'orazione, qualche volta vi è da temere che ne sia causa qualche negligenza da parte loro; ed è questo, fratello, a cui dovete fare attenzione".

Quindi il santo gli domandò se non soffriva di mal di testa. Avendo questi risposto che effettivamente aveva frequenti emicranie da quando, nell'ultimo ritiro, aveva cercato di rendersi sensibile allo spirito il soggetto dell'orazione, S. Vincenzo aggiunse:

"Non bisogna fare in questo modo, fratello, né sforzarsi di rendersi sensibile, nell'orazione, quello che non lo è per sua natura; perché vi è in ciò una ricerca dell'amor proprio. Dobbiamo agire, nell'orazione, con spirito di fede, e considerare i misteri e le virtù che meditiamo con tale spirito, tranquillamente, senza far violenza all'immaginazione, ed esercitare, piuttosto che l'intelletto coi ragionamenti, la volontà con affetti e risoluzioni".

74. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONESULL'ORAZIONE117

Un fratello, chiamato a ripetere la sua orazione, confessò candidamente che non aveva abbastanza intelligenza per meditare. Delle facoltà dell'anima, una sola gli serviva: la volontà. Appena proposto il soggetto, egli, senza alcuno sforzo di ragionamento, l'applicava, a produrre affetti. Passava il tempo a ringraziare Dio, a

116Abelly, op. cit., 1. III, cap. VII, sez. I.117Abelly, op. cit., 1. III, cap. VII, sez. I.

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chiedergli perdono delle colpe commesse, ad implorare la grazia d'imitare Nostro Signore in qualche virtù, poi prendeva qualche risoluzione, ecc. S. Vincenzo lo fermò:

"Attenetevi a questo, fratello, e non vi mettete in pena per applicare l'intelletto, il che non si fa se non per stimolare la volontà, mentre la vostra, senza tali considerazioni, va da sé agli affetti e alle risoluzioni di praticare la virtù. Dio vi faccia la grazia di continuare in tal modo e di rendervi sempre più fedele a tutti i suoi voleri!".

75. BRANO DI CONFERENZASUL SANTO SACRIFICIO DELLA MESSA118

"Non basta che noi celebriamo la Messa, ma dobbiamo offrire questo sacrificio con la maggior devozione possibile, secondo la volontà di Dio, conformandoci, per quanto dipende da noi e con la sua grazia, a Gesù Cristo, che offrì se stesso, quando era sulla terra, in sacrificio all'eterno Padre. Sforziamoci dunque, signori, di offrire i nostri sacrifici a Dio con lo stesso spirito con il quale Nostro Signore offrì il suo e quanto più perfettamente la nostra povera e miserabile natura può permettercelo".

76. SUNTO DI UNA CONFERENZASUL SILENZIO119

Motivi.- 1° Il signor Vincenzo disse che il silenzio era necessarissimo in una comunità, riferendo che un gran servo di Dio assicurava che, volendo conservare una comunità, occorreva introdurvi un silenzio rigoroso, e che i disordini che penetravano nelle congregazioni erano causati dalla rottura del silenzio.

2° Che il silenzio attira, tanto sulle comunità, quanto sugli individui, abbondanza di grazie e di benedizioni, tanto più che serbare il silenzio non è altro che ascoltare Dio, parlargli e dargli udienza, allontanandosi, per meglio ascoltarlo, dalla confusione e dalla conversazione degli uomini. Il fine dunque del silenzio è di tacere per far parlare Dio. Ducam eam in solitudinem et loquar ad cor eius120.

3° Il signor Vincenzo aggiunse che era alta sapienza parlare opportunamente, come aveva fatto Nostro Signore, che prese occasione dall'acqua attinta dalla Samaritana, per parlare della grazia; e fece varie esclamazioni, dicendo: "Chi ci darà il dono di parlare opportunamente?".

4° Riferì che due Domenicani irlandesi venuti dal signor N... a Parigi, avevano, con il loro silenzio, talmente incantato tutti, che quando furono partiti, ognuno diceva ammirato: "Ecco dei santi". E aggiunse che non poteva pensarvi senza provare una particolare tenerezza e venerazione verso quei religiosi.

Mezzi.- 1° chiederlo a Dio; 2° riflettere spesso sulle proprie parole; 3° punirsi imponendosi qualche penitenza.

77. BRANO DI CONFERENZASULL'UTILITA' DEI RITIRI SPIRITUALI121

"Pregheremo Dio per coloro che hanno cominciato il loro ritiro, affinché si degni di rinnovellarli interiormente, farli morire al loro spirito e dar loro il Suo. Sì, un ritiro ben fatto è un intero rinnovellamento: chi l'ha fatto come si deve passa in un altro stato; non è più quello che era, è diventato un altro uomo. Pregheremo Dio che si degni

118Abelly, op. cit., 1. III, cap. VIII.119Recueil de diverses exhortations, p.213.120Os 2,14.121Abelly, op. cit., 1. III, cap. VII.

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concederci questo spirito di rinnovellamento e che, con l'aiuto della grazia, possiamo spogliarci del vecchio Adamo per rivestirci di Gesù Cristo e adempiere in tutto alla sua santissima volontà".

78. AVVERTIMENTI AD ALCUNI MISSIONARISULLA CONDOTTA DA TENERSI IN VIAGGIO122

Avendo ricevuto l'ordine dal signor Vincenzo di andare con un altro prete della Compagnia in una provincia lontana, egli ci trattenne lungamente ambedue nella sua camera, la vigilia della nostra partenza, verso sera, avvertendoci di quello che dovevamo fare durante il viaggio, il quale sarebbe durato undici o dodici giorni, in compagnia del postiglione di Tolosa, che conduceva seco un buon numero di persone di tutte le condizioni.

Tra molte cose ce ne raccomandò particolarmente quattro: la prima, di non mancar mai di fare l'orazione mentale, anche a cavallo, se non avevamo il tempo di farla in altro modo; la seconda, di celebrare tutti i giorni la santa Messa, finché ci fosse possibile; la terza di mortificar gli occhi per la campagna e specialmente nella città, ed anche la sobrietà dei pasti presi tra le persone del mondo; la quarta, di fare il catechismo ai domestici e alle domestiche degli alberghi, e soprattutto ai poveri.

79. BRANO DI CONFERENZASUGLI AVVERTIMENTI123

"Dichiaro che coloro che non avvertono i superiori dei difetti osservati in alcuni della Compagnia, difetti che ridondano a rovina e a disordine di detta Compagnia, sono essi stessi colpevoli della rovina e del disordine della Compagnia medesima e partecipano al peccato. Si deve trovar ben fatto che i superiori siano avvertiti di tutti i nostri difetti dagli altri e ce ne correggano sia in privato, che in pubblico. Questo non solo non è contrario alla legge e alla parola di Dio, ma è conforme alla medesima legge e parola di Dio, come fu dichiarato dal Papa, assistito da molti dottori, al tempo di S. Ignazio di Loyola, a sua preghiera e richiesta. Nostro Signor Gesù Cristo stesso corresse ed ammonì diverse volte pubblicamente coloro che Lo seguivano. Ed anche io devo trovar ben fatto d'essere ammonito dal mio assistente, che è il signor Portail, e che il mio superiore proceda contro di me, se non mi correggo; ora, il mio superiore è tutta la Compagnia riunita. Sì, se non mi correggo di qualche cosa di scandaloso e che porti alla rovina e alla distruzione della Compagnia, se insegno qualche cosa contraria alla dottrina della Chiesa, la Compagnia deve riunirsi e procedere contro di me con tutto il rigore che giudicherà necessario, anche scacciarmi dalla medesima Compagnia, anche avvertirne l'Arcivescovo di Parigi, o scrivere a Roma al Papa, che sono parimente miei superiori, per rimediarvi. Dobbiamo far quanto è possibile per portar la virtù sempre al più alto grado che potremo e al quale essa potrà portarsi, non per industria nostra, ma con l'aiuto di Dio e frequenti preghiere".

80. SUNTO DI UNA RIPETIZIONE DELL'ORAZIONESULL'INVIDIA124

Il signor Vincenzo disse che questo vizio poteva, da solo, rovinare la Compagnia; che né i fatti esterni, né tutti gli assalti del diavolo potrebbero far nulla contro di essa;

122Abelly, op. cit., 1. III, cap. 24.123Manoscritto del fratello Robineau, p.135.124Recueil de diverses exhortations, p.31.

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che era da temersi che nella Chiesa si formasse uno scisma, a causa dell'invidia; che poteva esser questo il motivo per cui Nostro Signore togliesse il suo spirito al clero per darlo ai laici; che era necessario annientare quel vizio con l'umiltà e con la carità e che facessimo nostre le virtù altrui per mezzo dell'amore, mentre coloro che hanno qualche virtù e ne sono orgogliosi, assomigliano a quei muli che portano l'oro e le belle tappezzerie, ma per gli altri.I motivi. - 1° Le due cause della morte di Gesù sono l'invidia del diavolo e dei Giudei.

2° Essere invidioso equivale a rattristarsi perché il sangue di Gesù Cristo non è inutile; perché a Lui sono dovute tutte le grazie, tanto spirituali che naturali, mentre con i nostri peccati meritiamo l'inferno.

4° Nella Chiesa vi è la comunicazione delle opere buone. Un mercante, in società con un altro, s'inquieterebbe, se il socio facesse grandi guadagni, poiché egli deve profittarne? Una parte del corpo s'inquieterebbe perché all'altra è data una perfetta salute?

Le cause e le occasioni di questa triste invidia sono: se vedessi, per esempio, qualcuno riuscire in quello in cui io non riesco; se camminasse svelto ed io non potessi seguirlo; se cantasse bene e lo facesse davanti a me, che non so farlo; se si sbrigasse a tavola e, per buona educazione, volessi imitarlo, mentre, per sensualità, non lo facessi volentieri; se vedessi qualche singolarità o privilegio concesso a qualcuno e me ne affiggessi, ecc.

Rimedi. - L'umiltà e la mortificazione.In cammino pensare a Gesù che porta la croce e anche a quello che dice Nostro

Signore: Si quis te angariaverit mille passus, vade cum illo et alia duo125.Negli uffici più bassi: Gesù Cristo esercitò un mestiere di artigiano; e poi, propter

nos egenus factus est126; osservare la sua condotta nel freddo e nel caldo; raffigurarcelo, con S. Paolo, nelle pene di spirito: Nondum usque ad sanguinem restitistis?127.

Un rimedio remoto, ma molto adatto, è fuggire le consolazioni umane e mortificare il desiderio di essere compatito; perché, vedendo qualcuno più accarezzato di me e compatito, a mio parere, maggiormente, crederei che sia più stimato e proverei invidia.

81. SUNTO DI CONFERENZASULLA PIGRIZIA128

Motivi.- Considerare che la nostra riprovazione o giustificazione, dipende forse da questa azione che dobbiamo fare, perché c'è in essa una certa grazia di giustificazione che, se vi corrispondiamo, siamo al sicuro. Qualche volta ci s'immagina di aver fatto abbastanza e di esser rimasti sulla croce; ma è da ricordare che i Giudei dicevano a Nostro Signore: Si Filius Dei es, descende de cruce129; eppure non scese. Non si riconosce il profitto di una persona, né al tempo della sua conversione, né qualche tempo dopo, ma in tempo di tentazione e di tribolazione; e qual è in quel tempo, tale sarà dopo.

E' necessario aver forza. Potrà infatti accadervi di sentir disgusto di tutte le occupazioni; non oserete palesare i vostri sentimenti, né confidarvi al vostro direttore; da ciò le amicizie particolari. Se vi si dice una parola, sarete pronto a risponderne due; vi sentirete in una profonda malinconia. Dall'uso che faremo di questo stato dipende la nostra salvezza.

125Mt 5,41.1262 Cor 8,9.127Eb 12,4.128Recueil de diverses exhortations, p.41.129Mt 27,40.

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La prima cosa che fa il diavolo, è di accecarci, toglierci i buoni sentimenti che abbiamo, la fiducia in Dio e in coloro ai quali Egli ci ha affidato. Bisogna pregare per coloro che scorgiamo in tale stato, affinché quando vi saremo anche noi, possiamo, mediante le loro preghiere, ottenere da Dio la grazia di farne buon uso, ed imitare in questo Nostro Signore, qui passus est pro nobis, relinquens exemplum, ut, quemadmodum ille fecit, ita et nos faciamus130, come quando Egli pianse sulla città di Gerusalemme.

82. BRANO DI CONFERENZAMORTE DI UNA PERSONA AFFEZIONATISSIMA ALLA COMPAGNIA131

S. Vincenzo, un giorno, dopo aver saputo la morte di una persona affezionatissima alla Compagnia, disse ai suoi:

"Non dubito che siate rimasti vivamente commossi per la perdita di questa persona che ci era tanto cara. Sia lodato Dio! Voi gli avrete detto parimente che ha fatto bene a togliercela, e che non vorreste diversamente, poiché questo è il suo beneplacito".

83. AVVERTIMENTI DATI DURANTE IL RITIRO ANNUALE DEL 1632132

"Darsi interamente a Dio per servirlo nella vocazione alla quale si è degnato chiamarci. Stimare altamente la propria vocazione e affezionarvisi più che a tutte le condizioni del mondo, vergognandoci, se non l'amiamo, nel vedere che le persone del mondo la stimano tanto e sapendoci richiesti in tanti luoghi.

Amare grandemente tutti i regolamenti, considerandoli come mezzi datici da Dio per perfezionarci nella nostra vocazione, e formare magnanimi propositi e forti risoluzioni di osservarli esattamente. Se, per caso, ve ne fosse qualcuno che ci ripugna, cercare di vincerci e mortificarci, e, soprattutto, stare bene attenti a non fare apparire la nostra avversione agli altri, in nessun modo.

Cercare di avere una tenera e cordiale amicizia con tutti quelli della casa; e, se avessimo antipatia per qualcuno, non palesarla se non al superiore, e sforzarci con ogni mezzo di vincerla.

Tutti coloro che saranno assegnati come superiori nelle missioni devono vigilare che i regolamenti siano osservati esattamente.

Avere un gran rispetto per tutti coloro che ci saranno dati per superiori, dimostrando di esser contenti che essi ci comandino e ci ammoniscano delle nostre mancanze.

Avere un gran rispetto gli uni per gli altri; e, sebbene nelle ricreazioni si debba essere allegri, pure, bisogna esserlo rispettosamente; perciò è assai opportuno non toccarsi, né darsi del tu, come pure non usare un latino alterato, che fa dire delle scempiaggini.

Non indignarsi mai, né criticare gli altri pubblicamente, specie in quello che concerne le prediche, i catechismi o le confessioni.

Non parlar mai davanti agli altri delle colpe e imperfezioni notate; ma se giudichiamo che l'avvertimento sia proficuo, farlo in segreto alla persona che ha mancato, con la maggior carità e dolcezza che sia possibile, e, se la cosa è considerevole, avvertirne il superiore.

E' molto opportuno non lodar mai nessuno, se non raramente e prudentemente, almeno in sua presenza.

1301 Pt 2,21.131Abelly, op. cit., 1. III, cap. 5, sez. 2.132Bibl. municipale di Bordeaux, ms.803, pp.17-23. L'autore del manoscritto faceva parte della Congregazione della Missione nel 1665. (Cf. ibid., p. 1).

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Avere un vivo desiderio di giungere alla perfezione; e per questo, incitarci vicendevolmente nelle nostre conversazioni, lodando sempre la virtù e la mortificazione. Che se abbiamo antipatia per qualcuno, ci contenteremo di dirlo al superiore o al direttore; e soprattutto, non bisogna mai parlarne agli altri, né in pubblico, né in privato, ancor meno disprezzare coloro che praticano la virtù.

Esser molto mortificati e renderci indifferenti a tutto, specie per quello che si riferisce al vitto, al dormire e al vestirsi, e, avendo bisogno di qualche cosa, si potrà dire a chi è incaricato di provvedervi e questi al superiore. Non bisogna mai intrattenersi a parlare se abbiamo desinato bene o male, se abbiamo un letto buono o cattivo e su come vestiamo.

Osservare inviolabilmente nelle missioni tutto quello che segue: 1° alzarsi alle quattro e coricarsi alle nove; 2° fare orazione; 3° dire l'ufficio con gli altri; 4° andare in chiesa e uscirne con gli altri; 5° dire la Messa al proprio turno; 6° non uscire di chiesa senza il permesso, ma dicendone il motivo al superiore; 7° fare la lettura durante il pasto; 8° tutti i venerdì tenere il capitolo; 9° non parlar mai in pubblico della confessione, né proporre alcun caso di coscienza in relazione a questa, senza averlo domandato al superiore.

Quando vi sarà qualche contrasto da risolvere in cui vi fossero delle difficoltà, non occuparsene senza averne prima parlato al superiore, perché ne incarichi chi gli sembrerà più adatto.

Chiedendo qualche cosa al superiore, prepararsi a ricevere un rifiuto, ed accettarlo serenamente quando ci sarà dato; astenendosi dal mormorare, e dal palesare alcun risentimento, e non dire che ormai non si chiederà più nulla".

84. AVVERTIMENTI DATI DURANTE IL RITIRO ANNUALE DEL 1635133

"Sottomettersi volentieri e indifferentemente a tutti i superiori che ci saranno assegnati, principalmente nelle missioni.

Onorare la povertà di Nostro Signore nel vitto, contentarsi di quello che sarà portato per ordine del superiore; non lamentarsene mai, ancor meno intromettersi in queste faccende.

Evitare come peste della comunità qualunque combriccola, parzialità, amicizia particolare.

Non parlare con alcuno degli affari della casa e nemmeno dei singoli soggetti.Amare i regolamenti ed esservi fedeli.Non ometter mai nelle missioni la lettura in tempo di tavola, né in tutto, né in parte,

neppure dopo aver dato l'addio o chiusa la missione.Non parlare delle prediche, dei catechismi e delle confessioni per lodare o biasimare

qualcuno che vi fosse bene o male riuscito.Non aver di mira di far colpo nelle menti, evitando perciò le visite e le

conversazioni con persone ragguardevoli e non cercando che ci si scriva se non per gli affari della Carità, o per conservare la devozione nella gioventù.

Non assumere l'incarico di accomodamenti difficili o che richiedano tempo, senza l'ordine del superiore.

Onorare e rispettare assai i signori parroci e i vicari dei luoghi dove andremo; non far nulla contro la loro volontà, e neppure senza averlo loro comunicato, specialmente nelle cose d'importanza, come sono la fondazione della Carità, le comunioni dei bambini, la processione e le sistemazioni di rilievo, e senza la loro approvazione.

Non andar mai a mangiare in casa altrui durante la missione, né finita la missione, senza una vera necessità e senza il permesso del superiore.

133Bibl. munic. di Bordeaux, ms. 803, pp. 23-27.

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Non invitare, né ammettere nessuno alla nostra tavola durante la missione, eccetto i signori parroci ed anche questo molto raramente.

Non ricevere regali da chicchessia, né piccoli né grandi.Non far discussioni sulle difficoltà da risolvere, ma rimettersi al superiore, il quale

si conformerà, in questo, al modo di fare della Missione e come Dio l'ispirerà.Usare una pompa e solennità straordinaria nelle processioni e comunioni della

gioventù.Sopportare serenamente che ci si faccia lasciare le prediche o i catechismi che

avevamo cominciato in una missione, per far parlare altri al nostro posto; ed anche che ci si interrompa al piccolo catechismo e che un altro prenda la parola, se il superiore lo giudica opportuno.

Ascoltando le donne o le giovani in confessione, avvicinarsi a loro il meno possibile e, a tal fine, fare retrocedere quelle che stanno intorno. Oltre a questa precauzione che ciascuno per conto suo prenderà, il superiore andrà ogni tanto a vedere se ciò si osserva, e vi metterà buon ordine.

Avvertirsi a vicenda caritatevolmente e umilmente delle mancanze osservate, e tal pratica sia in vigore e fiorisca tra noi".

85. CAPITOLO DEL 29 OTTOBRE 1638134

Rispetto al signor priore - Avvertimenti al capitolo - Condiscendenza verso gli esercizianti - Puntualità - Conservare il segreto su quanto si dice al capitolo - fuggire lo spirito di mormorazione.

Essendosi un fratello accusato di aver parlato un poco insolentemente al signor Priore135, il signor Vincenzo disse che questa colpa gravissima (così la chiamava) non era la sola, ma era stata preceduta senza dubbio, da molte altre mancanze di rispetto e da parole irriverenti verso le persone della casa, prima di arrivare a tale eccesso. La deplorò fortemente, aggiungendo che dovevamo considerare il signor Priore come nostro padre.

Essendosi un altro accusato di aver dato avvertimenti in cose per le quali egli aveva dell'interesse, il signor Vincenzo disse, prima di tutto, che avvertire gli altri era un buon segno, perché, chi dà gli avvertimenti, mostra desiderio di progredire nella virtù, e ciò era bene; la virtù, però, sta nel giusto mezzo; e che i due estremi sono viziosi. Aggiunse di aver osservato che, se vi erano spiriti discordi, mal fatti e immortificati in una comunità, erano coloro che non davano mai avvertimenti, per paura di riceverne. Disse parimente che era pericoloso avvertir troppo; e perciò dette per regola di non avvertire una persona se non due volte al massimo, ed, anzi, occorrendo replicare l'avviso una seconda volta, ciò fosse in seguito a matura riflessione ed a serio esame dell'azione o cosa di cui si voleva avvertire. E per esaminare un avvertimento e darlo legittimamente disse che bisognava osservare queste circostanze: 1° che non si aveva antipatia, e se questa antipatia non era causa dell'avvertimento che davamo; 2° se il nostro interesse non era in causa; 3° esaminare se fosse veramente una colpa, e, trattandosi di cose minime, assicurarsi che non fosse stata fatta per precipitazione; se fosse stata commessa soltanto una volta o due, non avvertire; non vi sono santi, per grandi che siano, che non commettano qualche colpa; 4° osservare se non è qualche moto di rivincita, per rifarsi con un fratello di qualche avvertimento che egli ci abbia dato. Disse pure che, a volte, non bisognava avvertire della mestizia del volto, perché può darsi che colui che ci sembrava mesto fosse invece raccolto.

134Recueil de diverses exhortations, p.1.135Adriano Le Bon.

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Aggiunse che dovevamo star bene attenti di non mentire quando avvertendo il nostro fratello, diciamo di farlo in spirito di umiltà e di carità; questo può avvenire se una delle quattro condizioni suddette manca. Ora, avvertire in spirito di umiltà e di carità, è stimarsi più colpevole di colui che si accusa o contro il quale diamo la nostra testimonianza avvertendolo delle sue colpe, e avvertirlo con desiderio di procurare la sua perfezione.

Essendosi uno scusato di aver rimandato un eserciziante ad un altro giorno, diverso da quello in cui egli aveva desiderato cominciare i suoi esercizi con il pretesto che ve n'erano troppi, il signor Vincenzo disse che si doveva onorare la grande bontà di Nostro Signore, il quale accoglieva sempre i penitenti in qualunque tempo si presentassero.

Chiamò una santa scortesia lasciare una compagnia quando la campana ci chiama a qualche esercizio di pietà, qualunque sia la condizione delle persone con le quali ci si era intrattenuti sino allora.

Il signor Vincenzo raccomandò che non si parlasse né dentro né fuori di quello che era stato detto nel capitolo, sebbene anticamente i primi cristiani lo facessero e dichiarassero pubblicamente le loro colpe. Ma, in seguito, essendone venuto, disgraziatamente, qualche scandalo, fu comandato di confessarsi auricolarmente e in segreto; disse che il modo di vivere in comunità riproduceva il modo di fare dei primi cristiani i quali, per essere ricevuti nella Chiesa, rinunziavano ai loro beni e li portavano ai piedi degli apostoli. Disse pure che dovevamo guardarci dallo spirito di mormorazione, totalmente contrario allo spirito di carità, che lega i cuori per affetto e cordialità, e che quello spirito era causa di tutti i disordini che il peccato di Adamo ci aveva recato.

86. CONFERENZA DEL 29 OTTOBRE 1638SULLA PERSEVERANZA NELLA VOCAZIONE136

"1° E' Dio che ci ha chiamati ed eletti fino dall'eternità per essere missionari, non avendoci fatti nascere, né cent'anni prima, né cent'anni dopo, ma precisamente nel tempo in cui istituì tale istituto; per conseguenza non cercare, né sperar riposo, contentezza e benedizioni fuori dalla Missione, perché ivi soltanto Dio ci vuole e ci desidera, supponendo, ben inteso, che la nostra vocazione sia buona e non fondata sull'interesse né sul proposito d'esonerarsi dai disagi della vita, né su qualunque altro motivo umano.

2° Siamo i primi chiamati. Sono denominati i primi di una congregazione coloro che vi entrano durante il primo secolo di sua fondazione, che, ordinariamente, è di cent'anni. Poiché dunque siamo i primi scelti per ricondurre all'ovile le pecorelle smarrite, se fuggiamo, che avverrà? Dove pretendiamo di andare? Quo ibo a spiritu tuo, et quo a facie tua fugiam?137. Se un re avesse scelto alcuni soldati, tra altri, per dare i propri assalti, quest'onore non sarebbe un motivo potente per far loro passare la voglia di disertare?

3° In questa vocazione siamo assai conformi a Nostro Signore Gesù Cristo, il quale, venendo al mondo, dimostrò che il suo scopo principale era di assistere i poveri e prenderne cura. Misit me evangelizare pauperibus138. E se si fosse domandato a Nostro Signore: "Che siete venuto a fare sulla terra?", avrebbe risposto: "Assistere i poveri" ecc. Difatti, in sua compagnia non aveva che i poveri e si occupava molto poco delle città, conversando quasi sempre con i campagnoli e istruendoli. Perciò, non siamo forse molto fortunati di essere nella Missione per il fine medesimo che indusse Dio a farsi

136Recueil de diverses exhortations, p.3.137Sal 138,7.138Lc 4,18.

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uomo? E un missionario, interrogato su ciò, non sarebbe per lui un grande onore poter rispondere con Nostro Signore: Misit me evangelizare pauperibus? Io sono qui per catechizzare, istruire, confessare, assistere i poveri. Ora, tal conformità con Nostro Signore, che cosa porta seco, se non la predestinazione? Nam quos praescivi et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui139. Ora, se abbandoniamo la nostra vocazione vi è molto da temere che sia per le insinuazioni della carne o del diavolo, che noi ci ritiriamo. Vogliamo obbedir loro? Poiché, avendoci Dio chiamato, non è supponibile che sia Lui che ci allontani. Dio non contraddice se stesso. E' vero, non conosciamo i segreti divini e non vogliamo quindi giudicar nulla, ma diremo tuttavia che ritirarsi così è sospetto e dubbioso.

Mezzi - 1° Dobbiamo chiedere a Dio che ci confermi e ci consolidi nella nostra vocazione; è un dono suo.

2° Dobbiamo stimare grandemente la nostra vocazione.3° Osservare puntualmente tutti i regolamenti della casa, perché sebbene siano

pochi, non ve ne è uno che non sia importante.4° Non permettere che si parli né contro i superiori né contro il modo di fare e la

direzione della casa.5° Vivere insieme con molta carità e cordialità.Aggiunse, per confortare i fratelli coadiutori nella loro vocazione, che essi

conducevano, quanto i sacerdoti, una vita conforme a quella di Nostro Signore, e ne imitavano la vita nascosta durante la quale Egli si dedicava alle opere materiali, lavorando nella bottega di un falegname e sbrigando le faccende domestiche come uno preso a servizio; e perciò, essi imitavano una vita di trent'anni, e i sacerdoti nelle loro funzioni, ne imitavano una di tre anni e mezzo; che essi imitavano la vita servile di Nostro Signore, e i sacerdoti il suo sacerdozio; per conseguenza la conformità con Nostro Signore si trovava nell'una e nell'altra vocazione. Del resto a causa dell'unione tra i membri di un medesimo corpo, per la quale unione uno partecipa a quello che l'altro fa, è certo che i fratelli coadiutori confessano con i confessori, predicano con i predicatori, evangelizzano i poveri con i Preti della Missione che li evangelizzano ed hanno, per ciò, la conformità suddetta con Nostro Signor Gesù Cristo.

87. CAPITOLO DEL 17 DICEMBRE 1638140

Sospiri e gemiti proferiti durante gli esercizi di pietà - Non avvertire al capitolo delle cose buone in se stesse amenoché non vi sia stato eccesso - Non invitare gli estranei, senza il permesso a desinare nel refettorio - Rivolgersi alla corte celeste per conoscere i propri difetti.

Essendosi un fratello accusato di essere solito a sospirare, il signor Vincenzo disse che i sospiri provenivano da tre o quattro cause; vi erano sospiri prodotti da una mozione dello Spirito Santo per la santa compunzione che s'insinuava nell'anima alla vista delle colpe, dell'inferno, del paradiso, ecc., e questi sospiri non erano da biasimarsi; altri provenivano da qualche infermità della milza ch'egli chiamò "hatuosité"; altri derivavano dall'abitudine contratta di sospirare nell'ardore e nel fervore dell'orazione e della devozione; altri si studiavano di emettere espressamente questi sospiri per stimolarsi alla pietà. Aggiunse che i sospiri di queste tre ultime specie si potevano accusare od avvertirne in capitolo, tuttavia dopo averne conferito con il superiore e qualora uno li emettesse con troppa frequenza.

Disse parimente che si potevano stimolare ed invitare gli altri a dire qualche cosa di edificante; e disse questo in seguito ad un avvertimento dato ad un fratello, il quale,

139Rm 7,29.140Recueil de diverses exhortations, p.5.

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quando vedeva giungere un altro fratello, esclamava: "Ah! ecco il fratello N. che ci dirà qualche cosa di buono"; e disse che il saluto usuale degli antichi Padri del deserto e dei primi cristiani era il dirsi gli uni agli altri: Dic nobis verbum aedificationis. Dette per regola di non avvertire su cose buone nella loro sostanza amenoché non vi si mancasse per la quantità o per eccesso o fossero fatte troppo spesso o fuori di proposito.

Essendosi qualcuno accusato di essersi preso la libertà di far mangiare di proprio arbitrio una persona estranea nel refettorio, il signor Vincenzo notò tale colpa, aggiungendo che voleva abolire, a poco a poco, questo abuso, insinuatosi nella comunità, d'invitare e far mangiare tanto facilmente gli estranei in casa, e che questo non si praticava in alcuna casa religiosa e neppure privata; che non era uso, e che questa gran facilità aveva dato ardire a qualche estraneo d'introdursi da se stesso nel refettorio, vantandosene poi; poiché i danari, egli diceva, non erano stati lasciati dai fondatori a questo scopo, e, non essendo noi, che dispensatori, dobbiamo renderne conto a Dio. Disse che un figlio si sarebbe ben guardato dal trattenere una persona a mangiare e bere se non avesse chiesto ed ottenuto il permesso di suo padre; che era un farla da padrone introdurre tanto arditamente e inconsideratamente gli estranei, e addusse alcune ragioni per le quali credeva che le altre comunità non tollerassero simile abuso.

La prima è che andando fuori orario in refettorio e darvi da mangiare, ad ogni istante, alle persone, equivale a trasformarlo in un'osteria, ed è cosa scandalosa. La seconda, perché disturba i dispensieri, i quali, avendo altre faccende, devono trascurarle per servire i sopravvenuti. La terza, perché le porzioni e il numero essendo regolati, e non avendo nulla di preparato, bisogna prendere per quelle date persone quanto è riservato alla comunità.

Il signor Vincenzo concluse che bisogna lasciare tale abitudine, che non deve aver luogo, e che è stata presa per un abuso della condiscendenza dei superiori, o per la temerità dei domestici.

Disse poi che, se avessimo il desiderio di conoscere i nostri difetti per correggercene, potevamo rivolgerci interiormente alla corte celeste, pregando Nostro Signor Gesù Cristo, la sua santa Madre, il nostro angelo custode, i nostri patroni, di avvertirci delle nostre mancanze; aggiunse che tale pratica era ottima e sarebbe stata efficace.

88. CAPITOLO DEL 19 GENNAIO 1642141

Dio misura le grazie ai bisogni di ciascuno - Lettura quotidiana di un capitolo del Nuovo Testamento.

"Iddio ci dà le grazie secondo il bisogno che ne abbiamo. E' una fonte nella quale ognuno attinge l'acqua secondo il bisogno che ne ha. Come una persona che ha bisogno di sei secchi d'acqua ne attinge sei, se di tre, tre, un uccello che non ne ha bisogno che di una beccata, non fa altro che beccare; un pellegrino prende l'acqua con il cavo della mano per dissetarsi; così avviene di noi verso Dio.

Dobbiamo cercare con gran diligenza di esser fedeli alla lettura del Nuovo Testamento e di fare, al principio, gli atti: 1° di adorazione, adorando la parola di Dio e la sua verità; 2° di entrare nei sentimenti con i quali Nostro Signore le pronunziò, e acconsentire a tali verità; 3° risolversi di mettere in pratica queste medesime verità. Per esempio, leggendo: "Beati i poveri di spirito"142, mi risolverò e mi darò a Dio per mettere in pratica questa verità in tale e tal circostanza. Parimente quando leggerò: "Beati i miti"143, mi darò a Dio per praticare la mitezza. Soprattutto dobbiamo stare

141Recueil de diverses exhortations, p.7.142Mt 5,3.143Mt 5,4.

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attenti a non leggere per studio, dicendo: "Questo passo mi servirà per la tal predica", ma leggere soltanto per il nostro profitto... Non bisogna scoraggiarsi se, avendolo letto più volte, un mese, due, sei mesi, nulla ci ha colpito. Alla fine avremo una piccola luce, un altro giorno una maggiore e un'altra ancora più grande quando ne avremo bisogno. Una sola parola è capace di convertirci; basta una, come bastò a S. Antonio".

89. CONFERENZA DEL 19 FEBBRAIO 1642144

Non meravigliarsi delle prove che Dio manda - E' necessario rompere qualsiasi legame.

Il signor Vincenzo disse che non dovevamo meravigliarci di vederci in istati deplorevoli di disperazione, con pensieri orribili e abbominevoli, poiché tutte queste cose non provengono da noi, ma Dio le permette per provarci: e del resto, questi stati passeranno: Nunquam in eodem statu permanet145. Riferì, in proposito, l'esempio della signora di Chantal, la quale, credendosi sempre in uno stato miserando, non vedeva nell'anima sua altro che abbominazioni e non osava esaminare le sue azioni, per non vedere tanti difetti, o di vanità, o di rispetto umano, o di amor proprio eccetera.

Disse pure che bisognava praticare una continua mortificazione, particolarmente il missionario; che bisognava recidere, tagliare, troncare, liberarsi dall'attaccamento che si poteva avere ai propri piccoli oggetti, anche ad alcune preghiere per non rendersi idolatri di tali oggetti privati. portò l'esempio di un valoroso gentiluomo146. Un giorno esaminandosi questi se non fosse soverchiamente affezionato a qualche cosa, si domandò se non lo fosse ai suoi amici, al suo cappello o ad altro, e sentì di non esserlo per nulla, che, anzi, li avrebbe lasciati volentieri per Iddio. Ma quando, esaminandosi sulla spada, con la quale si era comportato tanto valorosamente, vi si sentì affezionato, per disfarsene, la prese e battendola sopra una roccia, la mandò in pezzi e non si servì più di spada, abbandonandosi interamente alla provvidenza di Dio e affidandosi alla sua santa misericordia.

90. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 18 MARZO 1642SULL'UMILTA'147

Il signor Vincenzo disse che, se avevano qualche cosa da chiedere per la Compagnia, era l'obbedienza e l'umiltà; che bisognava piuttosto piangere quando eravamo applauditi, perché Nostro Signore dice: Vae vobis, cum benedixerint vobis homines148; che, per parte nostra si doveva sceglier sempre l'ultimo posto, persuasi di essere i minimi di tutti; e quello che ciascuno pensava di sé, doveva applicarlo alla Compagnia, considerandola come la più piccola nella Chiesa di Dio, la più meschina di tutte, e che, se non avesse tali sentimenti, Dio le toglierebbe le sue grazie; che sarebbe pazzo chi s'immaginasse che la Compagnia fosse quella profetizzata da S. Vincenzo Ferreri, ossia che negli ultimi tempi vi sarebbe stata una Compagnia di sacerdoti, la quale avrebbe servito con grande frutto la Chiesa di Dio.

Disse parimente che si doveva amare il disprezzo e la vergogna di non riuscir bene nelle prediche, nei ministeri, che era necessario fuggire come si fugge dal fuoco, quando notassimo di quelli che avessero sentimenti d'onore e di vanagloria; perciò

144Recueil de diverses exhortations, p.7.145Gb 14,2.146Il conte di Rougemont.147Recueil de diverses exhortations, p.8.148Lc 6,26.

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comandò di togliere la coltre mortuaria di velluto posta sul feretro del fratello Le Boeuf149, dicendo che questo pure risentiva di fasto mondano.

91. CONFERENZA DEL 21 MARZO 1642SULLA SOBRIETA' E IL SILENZIO A TAVOLA150

Il signor Vincenzo parlò con effusione dei vantaggi della sobrietà, raccomandando di annacquare molto il vino; disse che era sensualità fare diversamente e che la Compagnia aveva avuto grande scandalo da qualche disordine, causato da un missionario che si ubriacava; che ciò era stato conosciuto e che Dio permetteva queste colpe per metterci sull'attenti, e farci vedere che c'erano molte colpe nella Compagnia.

Il medesimo giorno parlò con veemenza contro coloro che parlavano a tavola durante la lettura e ripeté più volte queste parole: "Parlare a tavola durante la lettura!" sino a quindici o venti volte. "Ma come! dovrà dunque dirsi che, ad esempio di questa Compagnia, molti buoni ecclesiastici si fanno leggere a tavola e ascoltano con avidità la lettura, mentre noi cadiamo in questa colpa, fin dalla nascita della Compagnia! Ah! che si commettano simili colpe fin dal principio della Compagnia!".

92. CONFERENZA DEL 22 MARZO 1642SULLE VIRTU' TEOLOGALI151

Il signor Vincenzo disse che bisognava scolpire le virtù nei nostri cuori; che si doveva cominciare con la fede, senza ammettere mai nella mente alcun ragionamento contrario a tale virtù, contrario alla Sacra Scrittura, contrario al senso e alla interpretazione della Chiesa. Disse quindi che era necessaria una grande fiducia in Dio, una diffidenza di se stesso e un vivo amore di Dio; su tale argomento riferì l'esempio di un gentiluomo, licenzioso dapprima, ed ora talmente pieno di amor di Dio, che non poteva fare a meno di amarlo; l'amor di Dio ha tali attrattive su di lui che possiamo dire, in qualche modo, che le anime dannate e i demoni non hanno tant'odio contro Dio, quanto questo gentiluomo ha attrattiva per amarlo.

93. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 26 GIUGNO 1642152

Lavori dei missionari di Annecy - Il santo si umilia - Morte edificante della contessa di Saint-Paul

Lettera di un missionario ad un confratello.Signore, ho creduto mio dovere farle parte dei buoni avvertimenti che il nostro

ottimo e onoratissimo Padre, ci ha dato stamani alla ripetizione dell'orazione, a proposito dei nostri fratelli di Annecy. Egli ci diceva che il signor..., con un altro della Compagnia e tre del seminario, facevano la missione ottenendo grandi benedizioni; d'altra parte che il signor..., con un altro della comunità, erano occupati in un'altra missione, e che i signori Tholard e Bourdet (fratello di quello che Ella ha conosciuto) erano rimasti in casa ed avevano ambedue predicato per l'ultima ordinazione con gran frutto. Ci fece ammirare la bontà di Dio verso questi due ultimi, e particolarmente a riguardo del signor Bourdet, il quale, mentre era qui, non riusciva affatto in uffici con gli esterni; anzi, generalmente lo credevano privo di senso comune, e si temeva fargli

149Eligio Le Boeuf, nato a Roye (Somme), entrato nella Congregazione della Missione il 24 settembre 1641, all'età di diciannove anni.150Recueil de diverses exhortations, p.9.151Recueil de diverses exhortations, p.9.152Recueil de diverses exhortations, p.10.

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render conto dell'orazione; tanto che il signor de la Salle, e qualche altro, gli avevano spesso proposto di ritirarsi; aveva però una vita interiore molto intensa ed era molto obbediente. Ebbi la fortuna di vederlo, per qualche tempo, al seminario e mi parve tal quale il nostro buon Padre lo descriveva; tuttavia eccolo ora, ci diceva, a dirigere gli ordinandi, giunti, quest'ultima volta, quasi al numero di trentanove; e gli ordinandi, in quel paese, sono dotati d'intelligenza e di senso più che in questo.

Ecco i motivi di stupore e di ammirazione che il nostro buon Padre ci proponeva oggi. Quindi ci esortava ad avere gran fiducia in Dio, il quale si è sempre compiaciuto di compier meraviglie con cose piccole, ed aggiunse che dovevamo studiarci di praticare l'umiltà e l'obbedienza. Ma quello che mi spinse maggiormente a scriverle, è che, così diceva, leggendo le lettere dei detti signori Bourdet e Tholard, gli impulsi del suo cuore erano di andare in seminario e gridare a tutti i nostri fratelli che uscissero per andare a lavorare in campagna, che avevano abbastanza scienza e capacità, che Dio voleva servirsi di loro. Ecco le sue parole: "Andiamo, fratelli, andiamo a servire il nostro buon Maestro".

Un altro sentimento lo prese: di mandare a Roma coloro che non avevano l'età richiesta per l'ordinazione sacerdotale, onde ottenere da Sua Santità di essere ordinati prima. Non posso esprimerle con quale effusione, con quale abbondanza dello spirito di Dio dicesse questo, con qual fuoco, con qual violenza; posso dirle soltanto che il mio cuore era pieno di gaudio, tutto contento, e nondimeno egli si lagnava di non sentire questo ardente desiderio, perché forse aveva commesso qualche peccato e Dio gli aveva tolto tutte le sue grazie. Le lascio immaginare, se il mio cuore tanto insensibile ne fu intenerito e giudichi lei che sarà stato di tutti quelli della Compagnia! Anche i nostri buoni fratelli, ai quali questo discorso sembrava non rivolgersi direttamente, ne erano tutti rapiti.

In altra occasione, ci riferì la morte della virtuosa contessa di Saint-Paul che, sebbene fosse stata ugonotta e fosse principessa, quando le portarono Nostro Signore, s'inginocchiò ai piedi del letto per adorarlo, ed esclamò: "Voi lo sapete, mio Dio, che io sono indifferente a tutto, fuorché ad amarvi e a fare la vostra volontà, e coma sia determinata e pronta a compierla interamente". Da questo il nostro buon Padre traeva motivi di confusione per noi, tanto ostinati nel resistere alla volontà di Dio, a fare la nostra, a non sottometterci a quella dei superiori, a volere andare in missione, ecc. E una donna ci dà questa lezione!

Il medesimo giorno, nella stessa ripetizione, un nostro buon fratello disse di vergognarsi perché profittava tanto poco dei buoni esempi e di tante meraviglie che scorgeva in lui. Il signor Vincenzo lasciò correre queste parole, e dopo la ripetizione disse: "Fratello, abbiamo tra noi la pratica di non lodar mai nessuno in sua presenza"; disse che veramente egli era una meraviglia, ma una meraviglia di malizia, più perfido del demonio; e che il demonio non aveva tanto meritato di essere nell'inferno quanto lui; ed aggiunse di non esagerare affermando questo.

94. CAPITOLO DEL 27 GIUGNO 1642DOBBIAMO PREGARE PER I SUPERIORI153

Lettera di un missionario ad un confratelloSignore,... Il signor Vincenzo, raccomandato alla comunità il signor Alméras154, disse che

dovevamo pregar molto Dio di comunicargli abbondantemente il suo spirito così da poterne far parte agli altri. Se un bambino lattante potesse parlare, chiederebbe che sua

153Recueil de diverses exhortations, p.12.154Direttore del seminario interno.

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madre fosse ben nutrita, per ricavarne lui stesso il nutrimento; così devono fare gli inferiori, poiché i superiori e i direttori sono come le mammelle che devono allattare gli altri. Quando la conduttura della nostra casa è rotta, noi non abbiamo acqua. Perciò bisogna pregare Dio che non vi siano ostruzioni nelle condutture, che sono i superiori ed i direttori.

95. CONFERENZA DEL 27 GIUGNO 1642SULL'UNIONE TRA LE CASE DELLA COMPAGNIA155

Lettera di un missionario ad un confratello.Signore,L'argomento della conferenza di stasera mi è parso di tale importanza per il bene e

la conservazione della Compagnia, e le ragioni addotte ci hanno tanto bene illuminato su questa materia che mi sembrerebbe far torto alla mia coscienza se non glielo partecipassi. L'argomento era sull'unione fra le case della Compagnia. Il primo motivo esposto fu che noi siamo tutti missionari e formiamo un sol corpo perciò, come vi è unione strettissima tra le parti di un corpo, così era necessaria simile unione tra i membri della comunità; unione che doveva estendersi all'osservanza delle medesime regole, dei medesimi modi d'agire, medesime pratiche, medesimo modo di predicare, di fare il catechismo, di confessare; e, soprattutto, tale unione doveva scolpirsi nei cuori per avere un'unica volontà e i medesimi sentimenti.

Il secondo è che, mediante tale unione, non si pretenderebbe di appagare le soddisfazioncelle che la natura reclama; come, per esempio, di andare in una casa piuttosto che in un'altra per vivervi con maggior libertà, perché in tutte vi si troverebbero le medesime pratiche e le medesime osservanze.

E' stata ricordata l'unione dei primi cristiani, dei quali si diceva: erat cor unum et anima una156, l'unione della Chiesa nei sacramenti, nel santo sacrificio e nelle cerimonie.

Il secondo punto si riferiva ai mezzi di ottenere tale unione. Ecco quello che è stato detto dal nostro buono e onoratissimo Padre, il quale però sorvolò sui motivi. Egli disse che il primo e il miglior mezzo era di chiederla a Dio, vincolo unificante e padre delle unioni, a Lui, che univa i cuori. "Eh! chiediamogliela dunque", diceva.

Il secondo mezzo era di ben disporre il proprio cuore verso tutti quelli della Compagnia ed avere una grande stima di tutti i membri che la compongono.

Il terzo, sul quale ha insistito, lo espresse press'a poco con queste parole:"Bisogna parlar sempre vantaggiosamente di tutte le case della Compagnia, e non

dir mai: "si fa questo, quest'altro"; no, mai, Dio ce ne liberi! O signori, chi ci darà lo spirito della nostra povera fondatrice? 157. Posso attestare che non solo essa non diceva niente di male di nessuno, ma non trovava mai da criticare nulla e trovava tutto ben fatto. O signori, chi ci darà questa carità di trovare tutto ben fatto? Chi ci darà questa virtù, che è anche buona educazione? La defunta generalessa delle galere aveva l'abitudine di non parlar mai male degli assenti: ne era invece l'avvocato difensore, deviando abilmente i discorsi che inclinavano alla maldicenza.

Oh! quanto è brutto e indegno di una mente ben fatta, non trovar mai nulla di buono! Vedete, signori, quasi tutto quello che troviamo di male non lo è altro che nella nostra immaginazione. No, no, siamo noi che c'inganniamo. Coloro che sono cisposi vedono tutto annebbiato, e così avviene in quelli che trovano da ridire su tutto; la passione acceca loro la ragione. Giudichiamo tutto bene; non mettiamo mai la mano sui difetti altrui; se abbiamo visto qualche cosa di male, dimentichiamolo, non lo diciamo

155Recueil de diverses exhortations, p.12.156At 4,32.157La signora Gondi.

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mai agli altri, non interpretiamo male le intenzioni dei nostri fratelli, non indaghiamo perché e come fanno la tal cosa. Oh! qui do un colpo di lancetta al tumore. Ah! quanto vorrei che fosse adottata da noi questa santa pratica: trovar tutto ben fatto; che si dicesse che nella Chiesa di Dio v'è una Compagnia che fa professione di essere molto unita, di non dire mai male degli assenti; che si dicesse che la Missione è una comunità che non trova mai da criticare i suoi fratelli! Stimerei veramente più questo di tutte le missioni, le prediche, gli esercizi agli ordinandi e di tutte le altre benedizioni date da Dio alla Compagnia, perché l'immagine della Santissima Trinità sarebbe meglio impressa in voi. Vi sono, signori, delle Compagnie che fanno a gara a chi si comporti più virtuosamente. Oh! se fin da oggi tutti i membri della nostra piccola Compagnia intraprendessero questa gara: a chi dirà maggior bene degli assenti, a chi più li difenderà. Se qualcuno in nostra presenza facesse il contrario, gettiamoci ai suoi piedi per distoglierlo da ciò. Ah! signori, se facessimo veramente così, chi potrà nuocerci? Forse gli uomini? Non ci faranno nulla. Forse i diavoli? Sono impotenti contro la carità, essa li fa fuggire. O signori, chi ci darà questo? O mio Dio, mio Dio! la Compagnia durerebbe sino alla fine del mondo. Si degni Gesù Cristo di unire i cuori, infondendo oggi, durante questa conferenza, tale spirito nella Compagnia.

In quanto al mezzo proposto, di scriversi, cioè, e di conservarsi in relazione reciproca per lettera, la Compagnia se ne astenga, ve ne prego; desidero pensarvi meglio. E' vero, come si dice, che è una santa abitudine e che i Padri gesuiti se ne servono assai e l'hanno per regola; me ne sono informato da loro e ieri l'altro ne parlai con uno dei più anziani, il quale mi disse che ad alcuni ne veniva un gran bene, ma che era causa anche di gravi inconvenienti. Veramente vi sono tre o quattro ai quali Dio ha dato una benedizione speciale per scrivere; rimanemmo ammirati e grandemente commossi di una lettera che uno di questa comunità scrisse a quella di Richelieu; questo ci accese il cuore e ci dette motivo di fare questa conferenza; anzi ne facemmo tre; tuttavia quello che ho saputo da un anziano mi fa persistere nella mia opinione. Ve ne prego, sospendiamo la cosa; la Compagnia non ha grazia per questo; ne ho conosciuti soltanto due o tre ai quali Dio abbia dato tale benedizione.

Ho visto alcune lettere, invece, ahimè! Alcuni scrivono con stile elevato, sublime, come per dire: "Io so scrivere", e questo non è altro che vanità; altri con uno stile ricercato, indegno di un Prete della Missione che fa professione di semplicità; altri scrivono degli affari del mondo, di scherni, ed anche accennano a difetti con parole ambigue, e ciò è maldicenza. Oh! quanto è diabolico! La Compagnia se ne astenga dunque, finché non abbia ottenuto da Dio la grazia di farlo santamente. Se qualcuno si sente spinto a scrivere gli atti di virtù, il frutto delle missioni, le benedizioni che Dio vi accorda, faccia pure, lo consiglio a ciascuno. E' la pratica della Chiesa primitiva, la quale aveva istituito i protonotari per scrivere le azioni eroiche dei martiri, racconti che i vescovi mandavano da per tutto. Si leggevano pubblicamente, e infiammavano i cuori dei cristiani unendoli meravigliosamente insieme. A Dio piaccia farci tale grazia. Chiediamogliela, signori.

Avevo qualche altro mezzo da proporvi, ma sarà per la prima occasione. I Padri gesuiti sono soliti scrivere dal luogo dove sono al loro generale per informarlo di tutto quello che può essere edificante per la Compagnia; e il generale sceglie quanto vi è di meglio e lo manda a tutte le province. Coloro che si sentono inclinati a scrivere, facciano così, ma sia sempre di cose che si riferiscono alla pietà".

Ecco, signore, press'a poco, il discorso del nostro buon Padre, o, piuttosto, le parole di Dio che parlava per bocca sua. Spetta a noi farne buon uso, soprattutto di quella santa gara piena di carità. Non dubito che ella progredirà sempre più in questa santa pratica. Io pure voglio adottarla con la grazia di Dio.

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96. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 20 LUGLIO 1642158

Pratica del silenzio - Trattare con rispetto i fogli dove sono scritti i nomi di Dio e della Madonna

Il signor Vincenzo ci raccomandò, alla ripetizione dell'orazione, di fare le nostre azioni in silenzio, senza rumore, senza tumulto, senza agitazione, e addusse molte ragioni: 1° Te decet [silentium], Deus, in Sion159: che il silenzio piace a Dio; 2° A causa dello scandalo che si dà, non osservandolo. Aggiunse che era stato avvertito da una persona di pietà che si chiudevano le porte con troppo fracasso. Anche le stoviglie dovevano essere lavate in silenzio, senza rumore. Egli conosceva una casa, di professione molto diversa dalla nostra, dove erano duecento persone, e tuttavia ciascuno era abituato a parlare sottovoce, perché il padrone aveva dichiarato che tale era la sua volontà. Pregò la Compagnia di farvi attenzione per un mese, e mostrò desiderio che fosse questa la prima colpa da accusarsi al capitolo.

Lo stesso giorno raccomandò di non servirsi dei fogli dove fosse scritto il santo nome di Dio e della Madonna: 1) perché questo santo nome deve essere tenuto in gran rispetto e venerazione; 2) siccome è proibito di nominare il santo nome di Dio invano, non dobbiamo neppure servircene sconciamente. E' detto al peccatore: Quare tu assumis testamentum meum per os tuum?160. Raccomandò agli ufficiali di farvi attenzione.

97. CONFERENZA DEL 5 SETTEMBRE 1642161

Buon'accoglienza da farsi ai missionari che tornano dalla campagna

Il signor Vincenzo raccomandò di ricevere con grande carità i missionari che ritornano dalla campagna, e disse che dovevamo riceverli come persone che vengono dalla lotta contro il diavolo, per far regnare Gesù Cristo e far trionfare il nome di Dio. Se c'è l'uso di ricevere con grandi onori coloro che hanno vinto qualche battaglia, perché non si farà lo stesso per coloro che hanno combattuto contro il diavolo? Perciò, disse che quando qualcuno di essi tornava, il portinaio doveva suonare la campana, cinque o sei colpi, per chiamare il procuratore o chi avesse cura degli esercitanti, perché andassero subito a riceverlo. Al suono della campana devono lasciare tutto, eccetto il sacrificio della Messa.

98. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE OTTOBRE 1643SULLO STUDIO162

Il giorno in cui cominciarono gli studi, il signor Vincenzo prese occasione di raccomandare alle preghiere della Compagnia gli studenti, dicendo che se aveva mai raccomandato con insistenza una cosa, era proprio questa e dette alcune ragioni: 1) Che sebbene tutti i sacerdoti siano obbligati ad essere istruiti, tuttavia noi lo siamo più particolarmente, a causa degli uffici e degli incarichi che la divina Provvidenza ci ha dato, quali gli ordinandi, la direzione dei seminari ecclesiastici e le missioni, anche se l'esperienza ci dimostri che coloro che parlano più familiarmente e più popolarmente

158Recueil de diverses exhortations, p.15.159Testo del manoscritto: Te decet hymnus, Deus, in Sion (Sal 64,2); ma queste parole non significano per nulla che il silenzio piace a Dio; preferiamo credere che S. Vincenzo si sia espresso in questa ripetizione dell'orazione press'a poco come lo fece in quella del 1 agosto 1655 (Cf. Conferenza 128).160Sal 49,16.161Recueil de diverses exhortations, p.16.162Recueil de diverses exhortations, p.19.

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riescono meglio degli altri. "E infatti, fratelli, aggiunse, abbiamo mai visto quelli che si piccano di predicare bene a ricavarne molto frutto? Ciò nonostante è necessaria la scienza". Aggiunse inoltre che i missionari istruiti ed umili erano il tesoro della Compagnia, come i buoni e pii dottori erano il tesoro della Chiesa.

Portò anche un'altra ragione per cui raccomandava questo con tenerezza ed affetto: "perché questo è lo stato più pericoloso, non solo per gli studenti in particolare, ma anche in generale per la Compagnia, la quale tuttavia ha tutto l'interesse che i soggetti studino come si deve, per rendersi atti agli uffici che essa assegnerà loro. Orbene, siccome naturalmente desideriamo sapere qualche cosa di nuovo, se non moderiamo questo desiderio e questa curiosità, non vi sarà una pagina che non serva alla vanità; e cominciando con lo spirito, finiremo con la carne; bramando comparire, saturandoci di fumo, volendo avere il sopravvento sugli altri, essere stimati sottili, di buon senso, di criterio; ecco dove si giunge! O fratelli, stiamo bene attenti che questo spirito non si insinui nella Compagnia! Fu per tale via che lo spirito maligno scese all'inferno".

Riferì qui l'esempio di una delle più fiorenti comunità della Chiesa di Dio, distrutta, in meno di sei anni, da questa smania di sapere e di accumulare scienza sopra scienza, che produsse un disordine indescrivibile. Aggiunse poi alcuni mezzi per poter studiare come si deve:

1) Studiare sobriamente, accontentandoci di sapere solo le cose che ci convengono secondo la nostra condizione.

2) Studiare umilmente, ossia non desiderare che si sappia, che si dica che siamo dotti; non volere il sopravvento sugli altri, ma cedere a tutti. "O signori, egli disse, chi ci darà tale umiltà, che ci conserverà? Oh! quanto è difficile trovare un uomo veramente dotto e veramente umile! Eppure la cosa non è incompatibile! Ho visto un sant'uomo, un buon padre gesuita, chiamato..., sommamente dotto; e con tutta la sua scienza era talmente umile, che non mi ricordo di aver visto un'anima tanto umile quanto quella. Abbiamo conosciuto anche il signor Duval, un buon dottore, molto colto, e allo stesso tempo tanto umile e tanto semplice che non è possibile esserlo maggiormente".

3) Studiare in modo che l'amore corrisponda alla cognizione, particolarmente per quelli che studiano la teologia; come faceva il cardinale de Bérulle, che, appena appresa una verità, s'innalzava a Dio o per praticare la tale virtù, o per eccitarsi a tali sentimenti, o per produrne gli atti, e con questo mezzo acquistò una santità ed una scienza tanto solide, che raramente se ne potrà trovare di eguali.

Infine, concluse così: "E' necessaria la sapienza, fratelli, e sventurati coloro che non spendono bene il loro tempo! Ma temiamo, temiamo, fratelli, temiamo e, oso asserirlo, tremiamo e tremiamo mille volte più di quello che potrei dire; poiché, quelli che ne hanno ingegno, hanno molto da temere: scientia inflat163: e per quelli che non ne hanno è peggio ancora, se non si umiliano".

99. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 21 OTTOBRE 1643164

Dobbiamo far penitenza per espiare i nostri peccati ed imitare Nostro Signore - Esempio d'una Figlia della Carità e della signorina du Fay - La Compagnia deve stimarsi fortunata di non annoverare nel suo seno altro che uomini di modesta condizione e di poca scienza.

Avendo fatto la meditazione sul povero Lazzaro e sul cattivo ricco, uno dei nostri confratelli concluse la sua orazione chiedendo la penitenza, ciò che diede al signor Vincenzo l'occasione di parlare e di raccontare che il giorno precedente i signori della

1631 Cor 8,1.164Recueil de diverses exhortations, p.20.

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Conferenza avevano trattato una questione concernente la penitenza. Tale argomento era stato ispirato dal pensiero di una certa persona, la quale sosteneva che non spettava ai sacerdoti far penitenza, ma soltanto al popolo; essi dovevano dedicarsi allo studio e al santo sacrificio e consumarsi in questo, illuminando il popolo e cercando d'incitarlo, con la predicazione od altro, all'amor di Dio. Tuttavia, nella conferenza erano state dette cose così opportune per provare che gli ecclesiastici devono avere lo spirito di penitenza e praticarlo, che il signor Vincenzo confessò che mai era rimasto tanto commosso, e ne ripeté una parte.

"1) Una ragione di far penitenza si dedusse da quanto afferma S. Agostino, che, cioè, è una vendetta contro i propri peccati per soddisfare alla giustizia di Dio e riparare, per quanto è in poter nostro, l'oltraggio che Gli abbiamo fatto. E' dunque un atto di giustizia che si esercita. Ora, qual mezzo maggiore e più efficace di questo per riconciliare gli uomini con Dio? Inoltre i sacerdoti non sono senza peccati, anzi, i loro sono più gravi ed enormi davanti a Dio di quelli dei laici, e sono forse causa dei castighi che infligge al povero popolo.

2) Essendo Nostro Signore il perfetto modello del sacerdote ci ha dato un continuo esempio di penitenza, sebbene fosse innocente e l'innocenza medesima, espiando incessantemente per i peccati del popolo. O signori, o sacerdoti, tremiamo ed arrossiamo, giacché gli stessi canoni condannano i sacerdoti ad aspre penitenze! Non c'illudiamo, signori, non c'illudiamo, abbiamo bisogno di penitenza, non ne facciamo a sufficienza. O mio Dio! chi ci darà lo spirito di penitenza? Signori, quello che ha detto questo buon fratello, quanto è vero, uno solo dei nostri peccati merita una grande penitenza. Ma come! non è una grande misericordia di Dio, riceverci nella sua grazia, dopo che ci siamo ribellati a Lui?".

Parlò quindi di una Figlia della Carità, morta da poco, e ripeté alcune cose dette nella conferenza tenuta sulle sue virtù, tra le quali fu notato un grande spirito di penitenza, di cui era sempre stata animata: "1) Era tra le prime, ed anzi la prima all'orazione. 2) Non perdeva mai l'occasione di pregare, quando aveva un momentino di libertà; fu trovata persino a pregare Iddio con le ginocchia nude su pietre aguzze. 3) Aveva una devozione particolarissima per la santa messa, e non trascurava mai occasione d'udirla, anche se ne aveva già ascoltate una o due. 4) Faceva abitualmente quello che vi era di più faticoso ed abietto, come guidare il cavallo nelle parrocchie, e lo faceva con grandissimo zelo; quando era tutta bagnata ed inzuppata di acqua, diceva: "Ma come! Non si deve sopportar nulla per amore di Dio?". Parole che aveva sempre in bocca, in simili circostanze. Vedete, fratelli, che cose? E quale santità? Guardate il tesoro, guardate le perle nel fango, nel fango, dico, perché era una povera vedova, apparentemente malfatta di corpo e di spirito; eppure osservate come quello che apparisce stoltezza e abiezione agli occhi degli uomini, sia sapienza davanti a Dio! Invece, quello che apparisce splendido, sublime, sapienza agli occhi degli uomini non è altro che pazzia davanti a Dio, pazzia, pazzia, pazzia davanti a Dio! Guardate David, un pastorello; S. Gregorio di Tours, un uomo dal corpo assai deforme, un piccolo nano; tanto che, essendo stato introdotto per la sua fama al cospetto di Sua Santità, questi, al primo vederlo, ne ebbe come un senso di ribrezzo, ma il santo avendogli detto queste belle parole: ipse fecit nos et non ipsi nos165, ne concepì la più alta stima e l'abbracciò con tenerezza.

Abbiamo visto la buona signorina Du Fay, sorella del signor de Vincy, la quale per una disgrazia di natura aveva una coscia due o tre volte più grossa dell'altra, ma era unita con Dio ad un grado tale che non ho mai riscontrato un'anima che avesse un'unione come quella. Soleva chiamare la sua coscia "benedetta coscia", perché l'aveva distolta dalle vane compagnie e dal matrimonio stesso, dove forse si sarebbe perduta.

165Sal 99,3.

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Orbene, fratelli, consideriamo questi difetti, sia del corpo, sia dello spirito, come una speciale misericordia di Dio, ed abbiamo per coloro che hanno tali imperfezioni un particolare rispetto, non vedendo in essi se non l'abbozzo di un grande artefice, sebbene l'opera non sia compiuta. Gli esperti della pittura fanno più conto d'una pennellata di un pittore esimio, che di un quadro finito di un pittore comune. In nomine Domini!

Mi sembra di avervi ripetuto altre volte le parole del generale dell'Oratorio166, rispetto alla Compagnia. Tra l'altro mi disse: "Oh! signor Vincenzo, quanto siete fortunato che la vostra Compagnia porti i contrassegni dell'istituzione di Gesù Cristo! Poiché come nell'istituire la Chiesa, Egli si compiacque di scegliere persone povere, ignoranti, pescatori, per stabilirla e piantarla su tutta la terra, con tali strumenti, scelti così, a caso, affine di fare maggiormente risplendere la sua potenza, annientando la sapienza dei filosofi con poveri pescatori, e la potenza dei re e degli imperatori con la debolezza di coloro che, quando erano percossi, vincevano offrendo l'altra guancia; così la maggior parte, o quasi tutti quelli che Dio chiama nella vostra Compagnia sono o poveri o di bassa condizione, o non rifulgono per molta scienza". E tuttavia, fratelli, ora tutto il regno è acceso, è ripieno dello spirito di questa piccola Compagnia; e la stima che gode, si è accresciuta al punto che il defunto re poco prima di morire mi fece l'onore di dirmi che, se avesse ricuperata la salute, non avrebbe permesso la nomina di nessun vescovo se non avesse passato tre anni alla Missione. Che cosa vuol dire, fratelli? In nomine Domini, in nomine domini!

Fratelli, vi dicevo ultimamente che vi occorreva la scienza; ve lo ripeto di nuovo. Per amor di Dio, usate bene del tempo; ma non trascurate la virtù".

100. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 25 OTTOBRE 1643167

La Compagnia deve dedicarsi con zelo alle missioni - Confuta dei pretesti che potrebbero allegarsi per dispensarsene - Come i fratelli coadiutori possono parteciparvi.

Il soggetto dell'orazione per quest'oggi era di dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. A proposito di giustizia, il signor Vincenzo parlò delle missioni che stavano per cominciare, si umiliò profondamente perché invece di cominciarle ai primi giorni di ottobre, come negli anni precedenti, quest'anno si erano incominciate più tardi. Lo disse con un sentimento grandissimo di timore del giudizio di Dio; dopo di che aggiunse una quantità di belle cose per incoraggiare i missionari al lavoro, e cominciò con l'obbligo che abbiamo di lavorare per i poveri della campagna, perché questa è la nostra vocazione, e di corrispondere agli eterni disegni di Dio su di noi.

"Il punto essenziale della nostra vocazione, è di lavorare per la salvezza dei poveri campagnoli; tutto il resto è accessorio; perché non ci saremmo mai occupati delle ordinazioni, dei seminari ecclesiastici, se non avessimo creduto necessario, per conservare nel popolo il frutto delle missioni, avere buoni sacerdoti; imitando in questo i grandi conquistatori, i quali lasciavano le guarnigioni nei territori che prendevano, per paura di perdere quello che avevano acquistato con tanta fatica. Non siamo abbastanza fortunati, fratelli, di rappresentare così al vivo la vocazione di Gesù Cristo? Perché, chi rappresenta il tenore di vita seguito da Gesù Cristo sulla terra, meglio dei missionari?

Non dico soltanto noi, ma i missionari dell'Oratorio, della Dottrina Cristiana, i missionari cappuccini, i missionari gesuiti. O fratelli, quelli che sono i grandi missionari dei quali non siamo che le ombre. Guardate com'essi si spingono sino alle Indie, al Giappone, al Canadà, per compiere l'opera che Gesù Cristo cominciò sulla

166Il Padre de Condren (Cf. Abelly, op. cit., cap. 21 fine).167Recueil de diverses exhortations, p.23. Questa ripetizione dell'orazione è stata pubblicata da Abelly, op. cit., 1. II, cap. I, sez. 1, § 1.

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terra e che non abbandonò dal momento della sua vocazione in poi! Hic est Filius meus dilectus, ipsum audite168. Da quel comando del Padre, non ebbe un momento d'interruzione sino alla morte. Immaginiamoci che Egli ci dica: "Partite, missionari, partite; ma come! siete ancor qui? guardate le povere anime che vi aspettano e la cui salvezza dipende forse dalle vostre prediche e dai vostri catechismi!".

Bisogna ben riflettere che Dio ci ha riserbati in questo tempo per tali anime, e non per altre; lo vediamo anche nella Scrittura, dove leggiamo che Dio deputava i suoi profeti a tali persone, e non voleva che andassero da altre. Ma come! fratelli, che risponderemo a Dio se, per colpa nostra, qualcuna di queste anime morisse e si dannasse? Non saremmo noi, per così dire, che l'avremmo mandata in perdizione? E' vero come è vero che siamo qui, come è vero che Dio, alla nostra morte, ce ne chiederà conto.

D'altra parte, se corrispondiamo agli obblighi del nostro stato, che avverrà? Avverrà che Dio aumenterà ogni giorno di più le grazie della vocazione, darà alla Compagnia soggetti ben formati per operare secondo lo spirito di Dio, e benedirà tutto quello che si farà, dentro e fuori; infine, quelle anime, salvate mediante il nostro ministero, attesteranno a Dio la nostra fedeltà, e benediranno il piccolo gruppo dei missionari che sono già in paradiso: il signor de la Salle, il signor de Sergis e tutti gli altri e il nostro buon fratello Desfriches, morto ultimamente, i quali formano la piccola famiglia dei missionari in cielo. In nomine Domini!

Oh! quanto saranno felici coloro che nell'ora della morte potranno dire le belle parole di Nostro Signore: Evangelizare pauperibus misit me Dominus! 169. Considerate, fratelli, come l'intento principale di Nostro Signore fosse di lavorare per i poveri; andava dagli altri soltanto cammin facendo. Ma sventurati noi invece, se siamo fiacchi nel disimpegnare gli obblighi che abbiamo di soccorrere le povere anime! Ci siamo dati a Dio per questo, ed Egli conta su di noi. Declinantes ab obligatione adducet Dominus cum operantibus iniquitatem170. Quos non pavisti occidisti. Questo passo si riferisce all'alimento materiale, ma può applicarsi allo spirituale con la medesima verità.

Riflettete, fratelli, quanta ragione abbiamo di tremare se siamo degli infingardi, se per l'età, o con la scusa della salute malferma, rallentiamo e dimentichiamo il nostro primo fervore! Ma qualcuno dirà forse: "E se mi si incarica delle ordinazioni o dei seminaristi?". E' cosa ottima, quando è volontà di Dio e l'obbedienza ci manda. In tal caso, alla buon'ora! Tuttavia, per parte nostra, dovremmo essere, per così dire, come in uno stato di costrizione, perché, come vi ho detto, questi sono gli accessori del nostro scopo principale.

2) Qualcuno potrà scusarsi per l'età. Quanto a me, nonostante la mia età, davanti a Dio non mi sento scusato dall'obbligo che ho di lavorare per la salvezza dei poveri; perché, chi potrebbe impedirmelo? Se non potessi predicare tutti i giorni, ebbene!, lo farei due volte alla settimana; se non potessi andare sui grandi pulpiti, cercherei di avere i piccoli; e se anche non mi si udisse in questi piccoli, chi m'impedirebbe di parlare alla buona e familiarmente a quei poveretti, come vi parlo ora, facendoli avvicinare in circolo come siete voi?

O fratelli, so di alcuni vecchi che, nel giorno del giudizio, insorgeranno contro di noi e tra gli altri un sant'uomo, un buon padre gesuita, predicatore di corte per quasi dieci anni. Vicino ai sessant'anni ebbe una malattia che lo condusse all'orlo del sepolcro e, avendogli Iddio fatto conoscere la vanità dei suoi discorsi elevati e della sua ostentazione letteraria, che allettavano le orecchie, ma recavano poco profitto, ne ebbe rimorsi di coscienza, e ricuperata la salute, chiese il permesso di andare in campagna a

168Mt 17,5.169Lc 4,18.170Sal 124,5.

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fare il catechismo e predicare familiarmente a quei buoni contadini, e vi perseverò per vent'anni fin'alla morte. Prima di morire chiese che, dopo la sua morte, gli si facesse un favore, di seppellirlo cioè insieme alla bacchetta con la quale chiamava i bambini, come è l'uso di quei paesi, per farli rispondere al catechismo, affinché quella bacchetta, diceva, testimoniasse che egli aveva lasciata la corte per seguire Nostro Signore in campagna.

3) Si potrebbe allegare il timore di abbreviare i propri giorni. O fratelli! ma via! è veramente una disgrazia per una sposa esiliata riunirsi allo sposo? E' disgrazia per il viaggiatore avvicinarsi al suo paese? E' disgrazia per i naviganti raggiungere il porto? Ma come! si ha paura di una cosa che non desidereremo mai abbastanza e che non viene sempre che troppo tardi?".

Infine il signor Vincenzo concluse in questo modo, parlando ai nostri buoni fratelli:"Quello che ho detto ai preti, lo dico a tutti quanti voi siete, fratelli: non crediate di

essere esonerati dal lavorare per la salvezza dei poveri, perché potete farlo a modo vostro e forse bene quanto gli stessi predicatori e con meno pericolo per voi. Del resto, vi siete obbligati. L'obbligo medesimo che aveva la testa di Nostro Signore di portare la corona di spine, per riscattarci, l'avevano i piedi di essere trafitti dai chiodi con i quali era attaccato alla croce; e come la testa fu ricompensata, anche i piedi lo furono ed insieme parteciparono ad eguale gloria".

101. CONFERENZA DEL 1644SULLE CARICHE E GLI UFFICI171

Il signor Vincenzo prese la parola alla fine di questa conferenza press'a poco in questi termini:

"Non so come parlarvi su tale argomento perché mi riguarda". Poi, facendo una breve pausa, umiliandosi interiormente davanti a Dio, proseguì: "Vi dirò, tuttavia, i miei poveri pensieri. Quello che maggiormente mi ha colpito di quanto è stato detto oggi e venerdì scorso, è stato il sentir ripetere che Nostro Signore, padrone per sua natura di tutto il mondo, si fece nondimeno l'ultimo di tutti, l'obbrobrio e l'abbiezione degli uomini, prendendo sempre l'ultimo posto ovunque si trovasse. Voi forse credete, fratelli, che un uomo sia assai umile e si abbassi molto quando prende l'ultimo posto. Ma che! un uomo si umilia prendendo il posto di Nostro Signore? Si', fratelli, il posto di Nostro Signore e' l'ultimo. Non può avere lo spirito di Nostro Signore chi desidera comandare; il divin Salvatore non venne sulla terra per essere servito, ma per servire gli altri; ciò che fece magnificamente, non solo finché dimorò con i parenti e verso le persone che serviva per guadagnare da vivere, ma anche, come molti santi padri affermano, durante il tempo che gli apostoli rimasero con Lui, servendoli con le proprie mani, lavando loro i piedi, facendoli riposare delle loro fatiche.

Infine, rimproverò gli apostoli che disputavano tra loro, per sapere chi dovesse essere il primo, dicendo:" Vedete, é necessario, che chi vuol essere il primo si faccia l'ultimo e il servo di tutti172". Osservate, fratelli, come il maledetto spirito d'orgoglio possegga coloro che desiderano innalzarsi e comandare agli altri. Non saprei esprimere meglio questo deplorevole stato se non dicendo che persone simili hanno il diavolo in corpo; perché il diavolo é il padre dell'orgoglio, dal quale esse sono possedute. O mio Dio, quando un povero individuo é giunto a questo punto, in quale stato miserando si trova, e quanto é degno di compassione... Ecco dunque, fratelli miei, un'altra difficoltà per potersi conservare nel medesimo stato di virtù nel quale si era prima di entrare in carica, se non si procura continuamente di annientarsi davanti a Dio e di mortificarsi in

171Recueil de diverses exhortations, p.26.172Vangelo di S. Matteo, XX, 26-27.

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tutto. Altrimenti, qual pericolo che le cure e l'imbarazzo degli affari, non distraggono dall'amare Dio, dall'unirsi a Lui con l'orazione e il raccoglimento! Purtroppo, non rimane quasi punto tempo per pensare a sé. Oggi lo dicevo ad un superiore che mi parlava di alcuni che destinava a certe cariche:" Ahimè! gli dicevo, voi li perdete; sono anime unite assai a Dio e, esponendoli a decadere dalla loro perfezione, equivale a perderle". Ma purtroppo é un male inevitabile. Ma la cosa peggiore, é quella che ho inteso dire da uno degli uomini più santi che io abbia conosciuto, (il cardinale de Bèrulle), sperimentata da me per molto tempo e che capita alla maggior parte delle persone: questo stato di superiorità e di direzione é tanto maligno, che lascia per sé e per sua natura una malignità, una macchia brutta e maledetta; sì, fratelli miei, una malignità che infetta l'anima e tutte le facoltà di un uomo dimodoché, fuori della sua carica, stenta penosamente a sottomettere il proprio giudizio, e trova tutto da criticare. E' una cosa che fa pietà! Quanta ripugnanza prova nell'obbedire. Infine, le sue parole, i suoi gesti, il suo modo di camminare, il suo contegno, conservano sempre qualche cosa che svela la presunzione, amenoché non siano uomini di virtù consumata; ma, credetemi, fratelli, sono rari; le cariche naturalmente fanno rallentare nella via della perfezione.

Vi é poi il conto rigoroso che Dio chiederà a coloro che hanno cura degli altri, non fosse altro che di un fratello, nostro compagno di ufficio. Oh! miserabile che sono! Che risponderò io, di me stesso, considerato che da tanto tempo ...! Orsù, Dio si degni perdonarmi! Fratelli, bisogna render conto a Dio delle parole, delle azioni, degli atteggiamenti che saranno state di cattivo esempio a coloro di cui si doveva aver cura; se non si é avvertito delle mancanze quando era necessario e nel debito spirito di dolcezza, di umiltà, di carità, osservando questa regola: la prima volta, grande bontà e dolcezza, scegliendo il momento opportuno; la seconda, con un po' più di severità e gravità, ma sempre accompagnata da dolcezza pregando affettuosamente e dando ammonimenti benigni; la terza, con zelo e calore, facendo loro presentire quello che si sarà obbligati a fare. Su tale argomento, si racconta che il cardinale Bellarmino, essendo arcivescovo di Capua, fu avvertito che un vescovo suo suffraganeo era gravemente ammalato; andò a visitarlo e trovandolo in gran pace e tranquillità di spirito, rimase meravigliato ed ebbe il timore che fosse vittima di un'illusione dello spirito maligno. Dicentes: pax, pax, et non erat pax173. Si credé in dovere di disingannare quel vescovo dicendogli:" Come mai, Monsignore, godete una pace tanto grande e tanto straordinaria per persone del nostro stato in simile occasione? Avete mai pensato, Monsignore, e ponderato seriamente le parole dell'apostolo: Argue, obsecra, increpa in omni patientia et doctrina? 174E' possibile che non vi sentiate colpevole davanti a Dio su questo punto di sì grande importanza? Se fosse diversamente, disingannatevi, Monsignore; senza dubbio vi é illusione da parte vostra".

Il vescovo rimase colpito, e sciogliendosi in lacrime si eccitò a contrizione; anzi si turbò talmente che l'arcivescovo dové tornare da lui per dargli la pace con altro mezzo. O mio Dio, chi non tremerà in quel momento formidabile, particolarmente se ha brigato per aver cariche!

Domandai ultimamente a un vescovo se, quando saliva i monti per andare alla sua diocesi, non avesse mai pensato al peso della sua carica. "Ahimè! signore, non ho aspettato quel momento, perché tre settimane dopo la mia consacrazione, provai acuti rimorsi ed un vivo pentimento, e avrei preferito tornare indietro". La maggior parte di coloro che sono elevati ad una dignità, prima o poi, si trovano senza dubbio in questo stato; ma che faremo noi, per bandire in modo assoluto dalla Compagnia la maledetta e diabolica ambizione delle cariche?

173Libro di Geremia, VI, 14.174Seconda lettera a Timoteo, IV, 2.

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1° Vi dirò che se qualcuno tra noi non fosse visibilmente pentito, sì sensibilmente, per il dispiacere di aver preteso i primi uffici e non fosse ancora disposto ad aborrire questo desiderio e questa maledetta affezione agli uffici e superiorati, é in uno stato deplorevole e degno di compassione. Non deve cessare di punirsi con il cilizio, la disciplina ed altre mortificazioni, finché Dio non gli usi misericordia. Deve andare dinanzi al SS. Sacramento a gemere:" Ah! mio Dio, che ho fatto? E' vero, sono pieno di peccati, ma, mio Dio, perché permettete che mi allontani tanto da voi per uno spirito maledetto e diabolico? Mio Dio, abbiate misericordia!".

2° Vorrei, fratelli, che tutta la Compagnia ringraziasse Dio della grazia fattale di non permettere che tale ambizione di comandare e di avere una dignità s'impadronisca di coloro che sono in carica; all'opposto, tutti i superiori delle case di questa piccola Compagnia mi scrivono da ogni parte, e, generalmente, non lasciano passare sei mesi senza scrivermi, (eccetto uno, che io sappia, eletto di recente) e mi pregano insistentemente di deporli. Infine, quello di Roma175, essendo stato deposto, mi ha scritto con tale esultanza e con tanta gratitudine, impossibile ad immaginarsi. Sarei lieto di leggere la sua lettera alla Compagnia, e mi dispiace di averla dimenticata. O fratelli, quante benedizioni riceverà la Compagnia finché Dio le conserverà tale spirito, che è spirito di umiltà, spirito di Nostro Signore. Dobbiamo ringraziarne Dio, e prego i nostri fratelli di ricordarsene alla comunione, e i preti alla santa Messa; anzi sarebbe ben fatto celebrare a tale scopo. Quante preghiere, quante Messe certi superiori della Compagnia hanno detto affinché Dio si degnasse permettere che fossero deposti! In nomine Domini!

Quando l'obbedienza ci destina alla direzione altrui, alla buon'ora, dobbiamo sottometterci. Anche monsignor vescovo di Ginevra176 prescrisse che quando una suora è eletta a qualche ufficio, deve accettare, sebbene se ne reputi indegna, e andare alla grata a ricevere la benedizione, sperando da Dio le grazie necessarie per ben disimpegnare la sua carica. Quando Dio ci chiama, fratelli, è segno che vede in noi le disposizioni necessarie od è risoluto di accordarcele".

102. ESORTAZIONI AD UN FRATELLO MORIBONDO - 1645177

"Ebbene! mio buon fratello, come vi sentite, ora? Credete veramente che il nostro gran generale, il primo di tutti i missionari, Nostro Signore, vi chiami alla missione del cielo? Vedete, Egli vuole che vi andiamo tutti, ciascuno alla nostra volta, e questa è una delle principali regole e costituzioni che Egli diede sulla terra: "Volo ut ubi ego sum, illic sit et minister meus"178.

"Vos estis qui permansistis mecum, etc."179. Mio Dio, qual consolazione dovete provare nell'essere scelto tra i primi per andare in missione, ma a quella missione eterna i cui esercizi consistono nell'amare Dio! Non è vero che il nostro gran superiore vi farà la grazia di essere annoverato tra quei fortunati missionari? Oh! senza dubbio dovete sperarlo fermamente dalla sua bontà, e in tal fiducia dirgli umilmente: "O signore, donde viene questa felicità? Ahimè! io non l'ho meritata; no, perché qual proporzione può esservi tra il lavoro delle missioni di quaggiù, e la gioia e la ricompensa eterna dei missionari che sono vicini a Voi? Io la spero, dunque, soltanto dalla vostra bontà e

175Bernardo Codoing.176S. Francesco di Sales.177Arch. della Missione, copia del XVII e XVIII secolo. Sembra strano che S. Vincenzo, parlando ad un fratello moribondo che non sapeva il latino, abbia fatto numerose citazioni scritturali in questa lingua. Il testo latino non sarà stato sostituito alla traduzione francese usata dal santo da chi raccolse le sue parole?178Gv 12,26.179Lc 22,28.

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liberalità, o mio buon Maestro. E sebbene, oltre alla disparità tra il lavoro delle missioni di quaggiù e la gioia e la ricompensa che Voi date loro lassù, io abbia commesso una moltitudine di peccati, di negligenze e infedeltà che me ne rendono indegno, spero tuttavia per la vostra bontà e liberalità infinita che mi rimetterete questo grave debito, come lo rimetteste a quel povero debitore del Vangelo: "Et omne debitum dimisit ei"180, perché la vostra misericordiosa bontà è infinitamente maggiore della mia indegnità e malizia". Quanto alle negligenze passate, qual rimedio migliore potremmo trovare all'infuori del pentimento di averle commesse? E poi, sforzarsi di glorificare Dio e onorarlo più che ci sia possibile nel poco tempo che ci rimane. E' certo che il maggior onore e la maggior gloria che potete rendergli ora, è di sperare con tutto il cuore nella sua bontà e nei suoi meriti infiniti, nonostante la naturale indegnità e le infedeltà commesse nel passato, poiché il trono della sua misericordia è costituito dalla grandezza delle colpe da perdonarsi. Egli aspetta da voi tal fiducia per essere indotto da essa a dirvi con l'affetto paterno che fin dall'eternità ha avuto per voi: Hodie mecum eris in paradiso181. Consolatevi e rallegratevi al tempo stesso, pensando con fiducia filiale che Egli vi ripeterà di lassù queste stesse parole: Hodie mecum eris, e rendetegli ora, mio caro fratello, questa gloria. E' una bella occasione per farlo. Ecco parimente il vero tempo di esercitarvi in frequenti e vivi atti di amore per il nostro caro Maestro; i begli atti di speranza tanto graditi alla sua divina Maestà, che or ora avete fatti, ve ne aprono la strada; poiché, se Egli è tanto magnifico, tanto generoso e tanto buono quale voi sperate, non è forse vero che avete ragione di esclamare: "O Dio del mio cuore! la vostra bontà infinita non mi permette di dividere i miei affetti e di farne parte ad altri, a scapito vostro; oh! abbiate Voi solo il mio cuore e la mia libertà. E come potrei voler bene ad altri che a Voi? Forse a me stesso? Ahimè! Voi mi amate infinitamente di più di quello che io mi ami: desiderate infinitamente il mio bene, e avete il potere di farmene, più di me stesso che non ho nulla e non spero nulla se non da Voi. Oh! mio unico bene! Oh! bontà infinita! Perché non vi amo, quanto tutti i Serafini insieme! Ahimè! è troppo tardi per poterli imitare! O antiqua bonitas, sero te amavi! Ma, almeno, vi offro con tutta la forza del mio affetto la carità della Santissima Regina degli angeli e di tutti i beati in generale. O mio Dio, in faccia al cielo e alla terra vi dono il mio cuore, tal quale è. Adoro per amor vostro i decreti della vostra paterna Provvidenza sul vostro misero servo. Detesto, dinanzi a tutta la corte celeste, quello che potrebbe separarmi da Voi, e poi comandatemi quello che volete: da quod iubes et iubes quod vis.

Sì, fratello carissimo, è vero, non bisogna dubitarne, che il beneplacito di Dio è stato sempre che Voi l'amiate, ma specialmente in questo punto; se ci ha fatti a sua immagine e somiglianza è perché l'amiamo, considerato che non si ama se non ciò che è simile a noi, se non in tutto, almeno in qualche cosa. Quel Dio infinito, creandoci con il proposito di esigere da noi questa gradita occupazione di amarlo e tale onorevole tributo, volle mettere in noi il germe dell'amore, ossia la somiglianza, affinché non diciamo, a nostra scusa, di non avere di che pagare. Questo amante dei nostri cuori, vedendo che, disgraziatamente, il peccato aveva guastato e scancellata tale somiglianza, infranse tutte le leggi della natura per riparare tale danno, ma con il meraviglioso vantaggio che non si è contentato di mettere in noi la somiglianza e il carattere della sua divinità, ma volle anche, con il medesimo proposito che lo amassimo, farsi simile a noi e rivestirsi della nostra stessa umanità. E chi vorrà dunque ritrarsi da un sì giusto e salutare dovere? Inoltre, siccome l'amore è infinitamente inventivo, dopo essere stato inchiodato al legno infame della croce, per conquistare le anime e i cuori da cui vuol essere amato, per non parlare di altri stratagemmi e di tutta una serie di opere

180Mt 18,32.181Lc 23,43.

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innumerevoli di cui si è servito a tale scopo, durante il suo soggiorno terreno, prevedendo che la sua assenza poteva esser causa di dimenticanza e raffreddamento nei nostri cuori, volle rimuovere tale inconveniente, istituendo l'augustissimo Sacramento, dove Egli si trova realmente e sostanzialmente come in cielo. Di più, vedendo che abbassandosi e annientandosi ancor più di quello che aveva fatto nell'Incarnazione, si sarebbe reso, in qualche modo, più somigliante a noi, o, almeno, ci avrebbe resi più somiglianti a Lui, fece sì che questo venerabile Sacramento ci servisse di cibo e di bevanda, volendo con tale mezzo che la medesima unione e rassomiglianza che si forma tra la natura e la sostanza nutritiva, si formasse spiritualmente in ciascun uomo. Egli volle così, perché l'amore può e vuol tutto; e per paura che gli uomini, non intendendo bene questo inaudito mistero e stratagemma di amore, trascurassero di avvicinarsi a questo Sacramento, ne fece loro obbligo sotto pena d'incorrere la sua disgrazia eterna: Nisi manducaveritis carnem Filii hominis, non habebitis vitam182.

Da questo vedete come con tutti i mezzi immaginabili Egli si sia sforzato di attirare gli uomini ad amarlo, e, a tal pensiero, dovete incitare il vostro cuore a pagare questo giusto e soave tributo all'amore di un Dio, poiché questo è l'oggetto di tutti i suoi disegni su di voi, per ottenere il quale, ha fatto tutto quanto ha compiuto per voi. Credete che il dono più grande che possiate fargli, è quello del vostro cuore; non vi domanda altro; Fili, praebe mihi cor tuum183.

Se i vostri pensieri vi dicono che è temerità, per un povero debitore e misero schiavo, aspirare alle carezze e ai baci dello Sposo, rispondete che ve lo comanda e lo desidera Iddio. Se la difficoltà che avete potuto sentire nel formare, per esempio, un atto di fede, vi cagiona qualche pena e scrupolo, ricorrete agli atti di amore i quali, sebbene più facili a prodursi, saranno tuttavia più meritori, perché piaceranno maggiormente a Dio e racchiuderanno, inoltre, anche gli atti delle altre virtù spirituali. Se provate qualche pena a formare atti di contrizione, attingeteli dall'amore: poiché in fondo non sono nulla di diverso.

Non siete contento che la volontà di Dio si compia in voi? Non desiderate che Egli si compiaccia infinitamente di voi? Non bramate che Egli riceva tutta la gloria che aspetta dai dolori che permette che ora soffriate? Se dipendesse da voi procurargli la gloria che attende da tutte le creature, non lo fareste volentieri? Non siete lieto di tutta la gloria e di tutta la perfezione che Dio ha in sé? Non detestate sinceramente tutto quello che è contrario alla soddisfazione e al beneplacito di Dio? Non vorreste averlo amato tutta la vita, come la Madonna?

Ebbene, ripetete spesso questi atti bellissimi che la sua divina Maestà desidera da voi e, credetemi, sono queste le lampade accese delle vergini prudenti, che furono, per questo motivo, ammesse alle nozze eterne dello Sposo. Oh! che bella disposizione per entrare con Lui!

Non volete lasciarci con la speranza che non ci dimenticherete quando sarete in paradiso con il piccolo gruppo di missionari che vi sono già? Fateci la carità di far loro conoscere la fiducia che abbiamo nelle loro sante preghiere, affinché ci ottengano dal nostro gran generale la grazia di disimpegnar tanto bene la nostra missione quaggiù, da poter dire, con umile fiducia, nell'ora della nostra morte: Feci quod iussisti, fac tu quod promisisti; ossia di appartenere alla missione del cielo, la quale è una missione di amore che durerà eternamente".

E poi, nell'andarsene, il signor Vincenzo disse a quelli che rimanevano accanto al malato:

182Gv 6,54.183Pr 23,26.

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"Qualche volta potete parlargli e consolarlo, paragonando i dolori di Nostro Signore con i suoi; e qualche volta, raccontando come si comportava un qualche santo in simile occasione; soprattutto animarlo molto ad aver fiducia in Dio".

103. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 1645SULLE TENTAZIONI184

Il signor Vincenzo, in una ripetizione dell'orazione, disse che lo stato di tentazione è buono e che acquistiamo più merito in un giorno passato in tale stato che in un mese senza tentazioni. "Venite, tentazioni, venite, siate le benvenute. - Ma sono contro la fede! - Non importa! Non dobbiamo pregare Dio di liberarcene, ma di farcene fare un buon uso, e stare vigilanti per non soccombere. E' un gran bene. Un apostolo dice: Omne gaudium existimate, fratres, cum in varia tentationes incideritis185. Mentre, invece, è segno di riprovazione, aver tutto secondo i nostri desideri, come ne è prova questo fatto di S. Ambrogio, tanto celebre nella storia. Il santo, trovandosi in casa di un uomo ricchissimo, gli domandò se non aveva mai avuto afflizioni; questi gli rispose di no; denari ne aveva quanto ne voleva, i figli non gli davano altro che consolazioni. S. Ambrogio disse: "Usciamo di qui, non si sta bene". Appena si fu allontanato ecco che una nube, che aveva cominciato a comparire sopra alla casa, si condensa cupamente ed un fulmine cadendo su quella casa, brucia il padrone e i suoi figli.

1° Dobbiamo disporci ad essere tanto più tentati, quanto più si progredisce in virtù; 2° non meravigliarci se siamo tentati; 3° aver piacere di esserlo; 4° ringraziarne Dio.

Il primo grado è aspettarsi di esserlo, cercare la propria soddisfazione dove c'è da combattere. Giobbe dice: Quare posuisti me contrarium tibi et factus sum mihimetipsi gravis?186. Perché noi siamo composti di vari elementi. Giova qui ricordare la storia di un capitano che arruolava i soldati per due doppie e dava loro il pane di munizione, ma poi al campo li metteva dove era maggior la fatica, invece di nutrirli delicatamente e farne degl'inutili codardi. In pari modo Dio, sul principio, dà gusti sensibili, ma poi fa provare la stanchezza e mette nella tormenta delle tentazioni e delle prove. Una persona pratica di marina mi diceva che quando si vede una quantità di delfini avanzare ordinatamente, ricrearsi sull'acqua, e uno stormo di uccelletti posarsi sull'albero maestro, è un piacere per tutti; ma dopo, quando l'acqua, il pane, i viveri mancano, al piacere sottentra l'angoscia e il terrore. L'acqua di una palude, mai in movimento, è stagnante, fangosa, fetida; mentre, invece, i fiumi e le sorgenti che scorrono rapidamente tra le pietre e le rocce, hanno le acque limpide e fresche. Ora, chi non preferirà essere fiume a questo prezzo, piuttosto che palude? Né dobbiamo meravigliarci se ci annoiamo delle stesse cose, tanto, siam fatti così".

104. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONESULLA LETTURA AD ALTA VOCE187

Essendosi uno degli interrogati scusato per non aver ben capito il soggetto dell'orazione, San Vincenzo disse:

"E' vero, me ne sono accorto, si legge troppo sottovoce. Fratello, voi che avete letto, leggete troppo sottovoce e troppo svelto: fate attenzione, ve ne prego. Troppo

184Recueil de diverses exhortations, p.30.185Gc 1,2.186Gb 7,20.187Il giorno in cui S. Vincenzo tenne questa ripetizione dell'orazione, della quale non rimane altro che una traduzione italiana negli archivi della Missione, Renato Alméras era, sembra, assistente della Casa Madre. Questa considerazione permette di porla tra il 1642 e il 1646 oppure tra il 1654 e il 1660.

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sottovoce, la lettura si ode difficilmente; troppo lesta, si comprende a stento, perché l'intelligenza non afferra subito. La settimana passata pregavo il lettore di leggere più posatamente, per lasciare alle verità il tempo di penetrar meglio nella mente, e per facilitare la riflessione. Quando la lettura è precipitata non si capisce nulla: tutto passa e non rimane nulla. Per questo motivo la Chiesa comanda che la lettura sia fatta posatamente. Quando uno legge in tal modo, si direbbe che ogni sua parola colpisce e commuove il cuore. Ahimè! molto infrangono queste regole; molti altri, però, vi sono fedeli, per grazia di Dio, dobbiamo confessarlo e la loro lettura commuove gli uditori a anche me, miserabile che sono.

Essi sembrano far parte a coloro che li ascoltano dello spirito di cui sono animati. Se le loro parole portano la grazia, è perché se le applicano, le ascoltano e ne sono commossi per i primi; con tal mezzo riescono ad infiammare gli altri. Ah! piaccia a Dio che abbiamo uno spirito simile! Sì, piaccia a Dio che sia così! Chiediamogliene la grazia e, per ottenerla, offriamogli in antecedenza la nostra lettura, pregandolo di renderla proficua, nonostante i nostri peccati, alle persone presenti e di illuminarle con la sua luce. Bisogna leggere, lo ripeto, posatamente e distintamente, in modo da non perder nulla. Da una rapida lettura non si ritrae alcun frutto, non rimane nulla.

Prego la Compagnia di adottare tal pratica già adottata da molti, così la parola divina che annunziano renderà gloria a Dio e sarà utile alle anime".

Rivolgendosi al signor Alméras:"Mi sembra, signore, che i preti siano privati di questo bene; in nome di Dio,

ponetevi rimedio; dobbiamo avervi la nostra parte, come nel servizio di tavola.La Compagnia vigili soprattutto alla lettura di tavola; si legge troppo presto, come

se vi fosse fretta. Tuttavia, lo riconosco, da qualche tempo si va più adagio, fermandosi alla fine delle frasi, ma non basta; si deve leggere la frase posatamente, senza fretta; poi fermarsi, quindi cominciare la seguente. Com'è possibile capire, non facendo così? La nostra mente è come un piccolo vaso dall'apertura strettissima; quando vi si versa l'acqua a poco a poco, a filetti, vi entra senza perdita e il vaso si riempie; ma versandola rapidamente e in quantità, ne penetra pochissima o piuttosto non ne penetra punta. Parimente, con una lettura pacata, la mente s'imbeve di quello che ode, mentre le è impossibile se ascolta una lettura frettolosa; perciò niente frutto. Prego tutti coloro che leggeranno d'ora innanzi, di badarci, e di elevare ogni tanto, durante la lettura, il loro cuore a Dio, chiedendogli di scolpire nella mente degli uditori quello che leggono, e farne profittare soprattutto il lettore".

Il signor Vincenzo aggiunse che vi era una bella differenza tra leggere attentamente e leggere posatamente.

105. BRANO DI CONFERENZA188

SULL'OPERA DEGLI ORDINANDI189

"Sono sessantasette anni che Dio mi tollera in questo mondo, ma dopo avervi pensato e ripensato più volte, per trovare un mezzo di acquistare e conservare l'unione e la carità con Dio e con il prossimo, non ho trovato nulla all'infuori della santa umiltà, nulla di più adatto; essa è il primo, il secondo, il terzo, il quarto e infine l'ultimo mezzo. Quanto a me non ne conosco altri che questo, cioè abbassarsi sotto a tutti, non stimar nessuno cattivo e miserabile quanto se stessi; perché, vedete, fratelli, l'amor proprio ne accieca molti. Succede che il vostro fratello legge bene, ma voi intendiate male; spiega bene, e voi non capite. Il leone, sebbene feroce, se vede una persona umiliarsi davanti a lui, mettersi in ginocchio, non le farà alcun male. finché coltiveremo in noi lo spirito

188Se S. Vincenzo si attribuisce, sessantasette anni, non c'è alcun dubbio che tale conferenza non sia del 1647 o dei primi mesi del 1648.189Ms. del fratello Luigi Robineau.

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d'umiltà, è da sperarsi che Dio continui ad affidarci la direzione dei nostri ordinandi; ma se ci comporteremo con loro come maestri verso discepoli, senza rispetto ed umiltà, addio tali uffici! saranno trasmessi ad altre mani e invece di dirigere gli altri, ci accadrà di non essere più capaci di dirigere noi stessi. So benissimo che alcuni hanno le loro ragioni per agire con più autorità; ma, per la Missione, non vedo né credo che essa debba agire con tale spirito, né che ne ritragga molto frutto. E se qualcuno di questi signori ordinandi commette qualche colpa, si deve attribuirne la causa a noi stessi".

106. CONFERENZA DEL 1° OTTOBRE 1649190

SULLE VIRTU' DEL FRATELLO SIMONE BUSSON191192

Dopo avere interrogato cinque membri della comunità, il signor Vincenzo concluse con queste parole: "Oh! quante belle cose, signori, quante belle cose abbiamo udito dal nostro fratello coadiutore, che è stato con noi soltanto due o tre anni! 193 Ecco un cumulo di virtù numerose, belle, divine! O mio Dio! mio Dio! il vostro santo nome sia sempre benedetto! E' un gran motivo di coraggio per i nostri fratelli, è una grande edificazione per i chierici, e causa di confusione per me, miserabile, che ascolto e sono un povero peccatore... O mio Dio! ... Il signor Duval, il quale era un gran dottore della Sorbona, ed ancor più grande per la santità della sua vita, mi disse un giorno: "Vedete, signore, questa buona gente ci contende la porta del paradiso e ci supera". Com'è possibile? La scienza e le altre onorifiche qualità impediscono forse la nostra santificazione? No, l'impediscono soltanto le nostre miserie.

Quello che devo dirvi in occasione di questa conferenza è che io non ho mai osservato un solo difetto di quel giovane, neppure uno solo. Quando gli parlavo, mi sembrava di vedere in lui un angelo senza macchia, un uomo prevenuto dalla grazia, pieno di umiltà, di obbedienza, di mortificazione, di mitezza, di pietà, di fervore. Tutte queste virtù erano in lui almeno ad un grado superiore al mediocre".

A queste parole il signor Vincenzo fu interrotto da un fratello che aveva già parlato e voleva aggiungere un particolare. Egli lo fermò:

"Ah! fratelli, tra poco suonerà il coro, e vi sono tante cose da dire delle virtù osservate in quel buon giovane, che non basterebbero molte ore. Vi sono qui molte persone che l'hanno conosciuto, e non c'è tempo perché possano comunicarci tutto il bene notato; perciò non so se dobbiamo rimettere questo soggetto ad altra conferenza per la comune edificazione e per scuotere la nostra freddezza; ci penseremo. Aspettando che sia detto tutto a gloria di Dio e per edificazione della Congregazione, Dio ci faccia la grazia di profittare del soave odore che si è diffuso nei nostri cuori! Ah! se le virtù potessero vedersi, come si vedono le piante che spuntano da terra, quanto sarebbero apprezzabili in un povero corpo. Se potessimo penetrare più addentro, quante cose troveremmo migliori di quelle che sono state dette! Intanto, ringraziamo insieme Dio delle grazie fatte al buon fratello Simone e preghiamolo di farci la grazia d'imitare le sue virtù. Orsù, in nomine Domini!".

107. CONFERENZA DEL 9 APRILE 1651

190Il giorno della conferenza ci è fatto conoscere dall'autore dei cenni biografici del fratello Simone Busson; l'anno, dalla lettera che S. Vincenzo scrisse a Renato Alméras l'undici settembre 1649.191Morto il 6 o 7 settembre 1649.192Notices sur les pretres, clercs et frères défunts de la Congrégation de la Mission, Parigi 1885, I. serie, t. II, p. 437.193Nella citata lettera a Renato Alméras, S. Vincenzo dice con più esattezza "diciotto o venti mesi"; secondo il catalogo del personale, Simone Busson era entrato nella Congregazione della Missione "verso la quaresima del 1648".

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RICONOSCENZA DOVUTA AL PRIORE ADRIANO LE BON194

Appena Adriano Le Bon ebbe reso l'ultimo respiro, il signor Vincenzo si alzò e disse ai missionari presenti nella camera mortuaria:

"Orsù, fratelli, ecco il nostro buon padre davanti a Dio; noi siamo suoi figli, avendo egli avuto per noi tanta bontà quanto può averne un padre per i figli suoi. Si degni la vostra misericordia, mio Dio, applicargli le buone opere e i piccoli servigi che la Compagnia ha cercato di rendervi sino ad ora.

Ve li offriamo, mio Dio, supplicandovi di ascriverli a lui. Molti di noi eravamo, forse, nell'indigenza ed egli provvide alla nostra sussistenza con vitto e mantenimento. Stiamo attenti, fratelli, a non cadere nel miserabile peccato dell'ingratitudine verso di lui e verso quei buoni signori195, dei quali siamo figli e che dobbiamo riconoscerci per tali e rispettarli. Essi hanno diritto alla nostra viva riconoscenza per il bene che ci hanno fatto; cerchiamo, dunque, fratelli, di ricordarci ogni giorno del signor priore, di pregare Iddio per lui".

108. BRANO DI CONFERENZA [GIUGNO 1653]196

SULLA CONDANNA DI GIANSENIO197

Avvenuta la condanna delle cinque proposizioni di Giansenio198, il signor Vincenzo disse alla sua comunità "che bisognava ringraziare Dio per la protezione data alla Chiesa, e particolarmente alla Francia, purgandola degli errori che stavano per gettarla in un grande disordine". A questo punto egli aggiunse che "sebbene Dio gli avesse fatto la grazia di discernere l'errore dalla verità, anche prima della definizione della Santa Sede Apostolica, pure, non aveva mai provato alcun sentimento di vanagloria, né di compiacenza, perché il suo giudizio era stato conforme a quello della Chiesa, riconoscendo bene che ciò era un effetto della pura misericordia di Dio, per cui era obbligato rendere a Lui tutta la gloria".

109. BRANO DI CONFERENZA199

ELOGIO DI GIOVANNI LE VACHER200

"Il signor Le Vacher, che si trova a Tunisi, vi ha fatto del gran bene, sebbene vi subisca sempre qualche angheria; ma è così che la virtù si fortifica, perché allora Dio dà la forza, si sente aumentare il coraggio per non lasciarsi abbattere da nessuna sofferenza. Oh! quando un cuore è in simili circostanze, si sente particolarmente fortificato da Dio; Dio dà una fede, una luce, un'evidenza di fede tale, che disprezzando tutto, non si ha più paura di morire. Vi sono molti pericoli e v'è molto da soffrire ogni giorno in quel posto. Il signor Le Vacher accetta tutte le occasioni, trascura ogni possibilità di riposo, preferisce correre tutti i rischi. Ah! signori, ringrazieremo Dio per questo e lo pregheremo di darci uno spirito disposto ad andare ovunque, a soffrire, a superare tutti gli ostacoli per la salvezza delle anime".

194Ms. del fratello Robineau, p. 136.195I religiosi dell'antico S. Lazzaro.196Vedi nota2.197Abelly, op. cit., 1. III, cap. II.198Le cinque proposizioni di Giansenio furono condannate il 31 maggio 1653, ma la condanna non fu promulgata se non il 19 giugno.199Questa conferenza deve porsi dopo la morte di Giuliano Guérin, per conseguenza tra il 1648 e il 1660.200Vita manoscritta del sig. Giovanni Le Vacher, p. 15.

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110. CONFERENZE DEL 16 E 23 OTTOBRE 1654SULLA POVERTA'201

Nei venerdì 16 e 23 ottobre 1654 fu tenuta una conferenza sulla virtù della povertà, divisa in tre punti: il primo sulle ragioni che la Compagnia aveva di darsi a Dio, per praticar bene questa virtù, conforme alla promessa fatta da Dio a ciascuno; il secondo, sulle mancanze osservate, e che la Compagnia commette contro di essa, e quelle ancora che potrebbe commettere; il terzo, sui mezzi per ben fondarsi nella pratica della povertà, per bene osservarla.

Il signor Vincenzo, il quale presiedeva questa conferenza, mi fece l'onore di chiamarmi perché prendessi nota delle mancanze di coloro che avrebbero parlato sul secondo punto, e potervi così applicare, in seguito, i rimedi contrari e pensare al da farsi.

Ecco dunque le colpe riferite, insieme ad alcuni mezzi per rimediarvi e i nomi di quelli che parlarono.

Il fratello Alessandro Véronne202 disse, per primo, che era una mancanza contro la povertà, di cui si fa voto nella Compagnia, distribuire con troppa abbondanza e liberalità i beni della casa; 2° fare e applicarsi a cose superflue, a lavori inutili ecc.; 3° in cucina e in dispensa è contro la povertà non aver cura dei mobili, dar troppa carne, troppo pane, vino, od altro; 4° lasciar sciupare le coperte, i materassi; 5° farsi imprestare del denaro fuori, e, con questa scusa, servirsene per proprio uso; 6° ricusare le vesti che ci sono date; 7° far fare, in calzoleria, le scarpe a proprio modo, con tacchi alti, per cui qualche volta è stato necessario rifarli ad alcuni perché non potevano servirsene. I fratelli gesuiti che s'incontrano al mercato, hanno sempre l'abito uniforme, scarpe, cappello, mantello; sono tutti vestiti nel medesimo modo. Anche noi facevamo così nel principio della nostra Compagnia; anche la Compagnia della Missione era in questo stato, ma ora le cose sono ben diverse! Il signor Dehorgny fu visto qualche volta con abiti strappati, una tonaca vecchia, e così del rimanente.

Il primo mezzo è d'abituarsi ad accettare tutto quello che ci è dato, eccetto le cose che non si possono portare, come, per esempio, un collare troppo alto, che potrebbe fare male; in tal casi si può avvertire.

Il secondo, non pretendere di aver tutti i nostri comodi, ma esser contenti che ci manchi sempre qualche cosa.

Il fratello Tratebas. - La prima mancanza è servirsi di qualche comodità, o di qualche bene che si può avere, senza permesso, poiché la povertà ce ne toglie l'uso, sebbene non la proprietà; chi spendesse una somma notevole come venti lire, potrebbe giungere al peccato mortale; 2° accettare qualche oggetto senza il permesso, come un coltello o cose simili, e' mancanza farlo senza permesso; 3° non avere abbastanza cura delle cose che usiamo e che abbiamo l'obbligo di conservare; lasciare gli abiti infangati, coperti di polvere, e' contro la povertà; come pure lasciarli insudiciare dalle cimici, perché dovendo qualche volta passare ad un altro, questi proverebbe ripugnanza ad accettarli; 4° non accontentarci di quello che ci é dato; 5° lamentarsi del mangiare, del bere o d'altro.

Il primo mezzo é di praticarla; il secondo non chieder mai, delle cose necessarie, se non quelle che si possono notare al di fuori; quanto a quelle visibili esternamente, non chiederle, ma aspettare che coloro che sono incaricati di provvederle, si accorgano che

201Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 5.202In margine: Nota che il fratello Alessandro Véronne in quel tempo era incaricato di far le provviste per la comunità.

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ne abbiamo bisogno e vi provvedano; il terzo, non ricusar mai nulla di quello che ci danno.

Il fratello Laproste.- 1° La povertà si deve far consistere nel non appropriarsi mai di nulla della comunità, né delle cose esterne che ci appartengono se non con il beneplacito del superiore al quale dobbiamo chiedere il permesso; usarne diversamente sarebbe trasgredire il voto di povertà. Delle cose della comunità, non se ne ha il dominio, né l'uso; delle altre che ci appartengono, ne abbiamo soltanto il dominio, non l'uso.

2° E' pure una mancanza contro la povertà, di cui parliamo, far compere senza il permesso.

3° Non possiamo dar nulla senza il permesso, neppure da mangiare ad una persona; farlo é una colpa contro la povertà203.

4° Lasciar guastare le cose di cui si ha l'uso.5° Appropriarsi dei libri, con la scusa di tenerli in custodia, senza il permesso del

superiore; perciò bisogna chiedergli prima, se lo trova conveniente.6° Ed ultimo. E' parimente mancanza contro la povertà tenere qualche cosa senza il

permesso o qualche oggetto superfluo.Il primo mezzo é di non chiedere nulla e di non ricusar nulla, specialmente per le

cose non necessarie. Secondo: é opportuno che qualcuno sia incaricato di domandare quello di cui ciascuno ha bisogno204.

Il signor Alméras.- Mancanze: 1° tenere un tappeto sul tavolo, le cortine al letto, un mucchio di libri, anche con il permesso; 2° chieder libri talora all'assistente, talora al superiore, poi all'assistente e così di seguito come, per esempio, tanti trattati quanti se ne desiderano leggere, e ritenere i libri letti; 3° idem di tutte le altre cose, siano coltelli, od altri oggetti superflui, per paura di restare senza, o con la scusa che fra qualche tempo, per esempio, tra un anno, potremmo averne bisogno; 4° ritener per sé l'avanzo del denaro di un viaggio fatto e domandare al superiore:" Signore, permette che me ne serva per comprare qualche cosa? ": questo costituisce una mancanza. Ma, invece, bisogna consegnare il denaro al procuratore, poi aspettare due o tre giorni, quindi, se si ha bisogno di comprare qualche cosa, andarlo a chiedere al superiore; 5° trovandosi in viaggio far pasti troppo lauti, mangiar carni troppo delicate; 6° quando si va da una casa della Compagnia ad un'altra, portar via tutto quello che si può, riempire il sacco, questa pure é una mancanza; 7° come pure portare seco troppi libri, andando in missione o in campagna; 8° nascondere molte coserelle, per paura che siano vedute: crocifissini, Agnus Dei, corone, in una piccola scatola, chi sa quante immagini. Tutte queste, egli disse, sono mancanze contro la povertà, e non ho mai visto che nessuna di queste persone, affezionate a queste minuzie, abbia perseverato nella sua vocazione anche solo in seminario.

Un grande mezzo di unirci a Dio, è la pratica della povertà, ecc.Quindi il signor Vincenzo, nostro onoratissimo padre, concluse la conferenza nel

modo seguente, adducendo come primo motivo di osservare la povertà questo passo di S. Matteo: "Vendete tutto quello che avete per darlo ai poveri, ecc."205.

"Il secondo motivo è la promessa che abbiamo fatta a Dio. Iefte un giorno fece voto a Dio che, se vinceva la battaglia, Gli avrebbe offerto in sacrificio la prima creatura che gli si fosse presentata al suo ritorno. Ora avvenne che la sua figliola, sapendo che il padre tornava trionfante, gli andò incontro per congratularsi della vittoria e rallegrarsi 203In margine: Qui il signor Vincenzo, prendendo la parola, disse che si doveva chiedere, il meno possibile, il permesso di far desinare parenti e amici.204In margine: Qui il signor Vincenzo ha raccomandato che le persone incaricate d'informarsi dei bisogni altrui, avesse gran cura di farlo; e al signor Alméras, che vi facesse attenzione.205Mt 19,21.

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con lui; ma egli al primo vederla esclamò: "O Dio, deve esser proprio mia figlia!" E fu preso da inesprimibile angoscia, considerando da un lato la promessa fatta a Dio con voto, e, dall'altro, la morte della figlia e forse unica figlia. Avendole manifestato la necessità della sua morte, perché l'aveva promesso a Dio, essa gli chiese il tempo di piangere la sua verginità e glielo concesse; quindi, poco tempo dopo, la fece morire, piuttosto che mancare alla parola di Dio. Ed anche Abramo, che cosa non fece, piuttosto che mancare di obbedienza a Dio?

Si son visti antichi filosofi disprezzare le ricchezze in sommo grado, sebbene pagani. Ne è prova un tale di cui non ricordo il nome... Ve ne ricordate voi, signor de la Fosse? - Ed avendo il detto signor de la Fosse risposto che era Diogene: Diogene, sia!, se pure è lui, ribattè il signor Vincenzo. Alessandro gli aveva un giorno mandato una grossa somma di denaro, ma il filosofo pensò tra sé: "Alessandro mi manda questo denaro perché sono un uomo dabbene"; "appunto per questo, disse allora a quelli che glielo avevano portato, dite ad Alessandro che mi lasci come sono".

S. Gregorio volle che un certo monaco, al quale avevano trovato dieci soldi in camera, fosse privato della visita e della conversazione degli altri religiosi e comandò che, dopo morte, il suo corpo fosse gettato nel letamaio, Vedete, signori, di che si trattava? Di dieci soldi soltanto!

Quando veniste per essere ammessi alla Compagnia, vi fu detto che bisognava fare ed osservare il voto di povertà, e voi acconsentiste volentieri; dopo un anno faceste i proponimenti, e dopo due, i voti. E dopo violarli; essere desolato di aver fatto quello che si è fatto, pentirsene e dire che se si potesse ricominciare non si farebbe! O signori, o fratelli, quale stato deplorevole! O mio Salvatore, o mio Salvatore e mio Dio!

Lo stato di missionario è uno stato apostolico che consiste nel lasciar tutto come gli apostoli, per seguire Gesù Cristo e diventare veri cristiani; per questo molti della Compagnia hanno lasciato le loro parrocchie per venire qui a viver in povertà, e per conseguenza cristianamente206; e, come mi diceva un giorno una persona, soltanto il diavolo può trovare da ridire sulla Missione. Che cosa può esservi di migliore che andare, per esempio, di villaggio in villaggio per aiutare il povero popolo a salvarsi e andare in paradiso, come vedete fare? Ecco, ad esempio, il buon signor Tholard che vi si trova ora ed anche lo abate de Chandenier207, i quali bisogna si corichino persino sulla paglia!208.

La prima mancanza contro la povertà è nascondere qualche cosa, per esempio, dei libri.

2° Comperare qualcosa, sia con il denaro della casa, sia con il denaro dei propri parenti, senza il permesso.

3° Avere nella propria camera cassette chiuse, una valigia.4° Parecchi libri.5° Denaro.6° Non consegnare il denaro, tornando dalla campagna, al procuratore, è contro la

santa povertà, anche s'aspettasse soltanto fino a domani.7° Un superiore che ricerchi i propri comodi a spese della casa, va contro la santa

povertà; e i disordini che accadono nelle singole case provengono dalla colpa dei superiori, che non hanno bene osservato e fatto osservare questa santa virtù. Ho ricevuto oggi una lettera da una persona della Compagnia, la quale mi scrive: "Signore, il tal superiore è passato oggi di qui, con una bella casacca e due valige; non vorrete porvi rimedio prima di morire?". Ho risposto che lo farò e rimedierò a tale sconcio.

206In margine: E' detto in un certo passo che essere povero e cristiano è la stessa cosa.207Luigi Chandenier, abate di Tournus.208In margine: Nota che questi signori erano in missione nei pressi di Maule.

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8° Un superiore di una casa particolare che vende o compra qualche cosa a vantaggio della casa, dov'è superiore, commette una colpa contro questa santa virtù, come pure chi contrae debiti se non ha il permesso del generale.

9° Chi fa fare qualche abbellimento ad un fabbricato, od altro non necessario, offende la virtù della povertà.

Il primo mezzo è di darci a Dio per ben osservare la santa povertà; il secondo, andare ogni tanto a visitare le camere. Prego gli ufficiali di aver cura di farlo. Si comincia da domani dalla nostra, poi da quella dei signori Portail, quindi da quelle del signor Alméras209 e del signor Chrétien210. Nella nostra vi sono due coperte nelle quali mi servo per sudare: siano tolte. Per grazia di Dio, la nostra camera lassù non chiude, e neppur la stanza di sotto211.

Prego i sacerdoti di celebrare la santa messa subito domani, e i fratelli laici di offrire la loro comunione domenica prossima, per ringraziare Dio di aver ispirato ad uno della Compagnia (penso sia il signor Portail) di tenere una conferenza su tale virtù; vorrei anche che lo ringraziaste pure per averci permesso di ricevere oggi, e tanto opportunamente, gli avvertimenti che vi ho dato.

Spero, con l'aiuto di Dio, di scrivere una circolare ed inviarla a tutte le case della Compagnia ai rispettivi superiori, affinché facciano una conferenza, su questo stesso soggetto della povertà, aggiungendovi il resoconto di quello che è stato fatto qui, affinché si regolino egualmente e visitino tutte le camere dei loro soggetti".

Il signor Vincenzo ha pregato il signor Alméras di andare in tutte le camere e togliere le cortine del letto ed altro, dicendo che l'uso della Missione è di aver letti senza tende, di rimediare all'inconveniente della moltitudine di libri che alcuni hanno in camera, facendo portare i superflui nella biblioteca; e cercare di far praticare questa virtù, la quale attirerà, disse, mille benedizioni sulla Compagnia.

111. CONFERENZA DEL 13 NOVEMBRE 1654SULLA CASTITA'212

Questa conferenza conteneva due punti: il primo sulle ragioni di conservare e acquistare la virtù della castità, il secondo sulle colpe che possono commettersi contro tale virtù; il terzo, sui mezzi di acquistarla o conservarla.

Primo punto. 1° Siamo obbligati da un comandamento di Dio ad osservare la castità, ecc.; 2° l'abbiamo promesso a Dio; contravvenendovi, si commette un doppio peccato, come per chi ne ha fatto voto è doppio merito od almeno maggior merito; così, ecc.; 3° a causa del ministero di missionari, i quali devono trattare con molte persone dell'uno e dell'altro sesso, ecc.

Secondo punto.- Mancanze che possono commettersi contro questa santa virtù: 1° in pensieri; 2° in parole; 3° in opere; 4° in omissioni.

In parole: non dir mai parole che abbiano rapporto con questo peccato e non tollerar mai alcun sozzo pensiero nella nostra mente.

In opere: oh! non bisogna neppur parlarne, e non sopportare mai nella Compagnia una persona che arriva a tal punto. I padri gesuiti sono irremovibili nel mandar via

209Assistente della Casa Madre.210Sotto-assistente della Casa Madre.211In nota: Nota che "la camera di lassù" è la cameretta dove si corica il signor Vincenzo; e la stanza di sotto è quella chiamata di S. Giuseppe, nella quale egli riceve gli esterni che gli debbono parlare.212Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f°9.- Nella sua deposizione al processo di beatificazione di S. Vincenzo, il fratello Pietro Chollier dichiara che il sunto di questa conferenza è del fratello Luigi Robineau.

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quelli che sono soggetti a quel maledetto peccato e perciò nessuno può accusarli su questo punto.

Per omissione: non facendo quello che Dio vuole che si faccia per esserne esenti, trascurano i mezzi che ci sono stati indicati. Toccarsi è un gran peccato, guardarsi, ascoltare, ecc., coricarsi indecentemente, essere avversi alla mortificazione, accarezzarsi troppo, cercare i proprii comodi, un buon trattamento in casa, in campagna, facendosi servire le pietanze più gustose e più delicate e il vino migliore, tutte queste sono mancanze contro questa santa virtù della castità.

Terzo punto: Mezzi.-Il primo è bere poco vino, e questo ben annacquato; il secondo, non parlar mai da solo a solo con donne; non scriver loro lettere e tagliar corto con esse; il terzo, non prendere la direzione di monache. Se il vescovo lo comandasse, spiegargli le ragioni che abbiamo per non farlo.

Sì, mi si dirà, eppure, signore, voi lo fate. - Rispondo che è vero che il beato Francesco di Sales mi incaricò della direzione del monastero della Visitazione di questa città, per quanto miserabile fossi, e che la beata Madre di Chantal insistette perché accettassi; ma dieci o dodici anni fa213, però, pregai le religiose di esimermi, e stetti diciotto mesi senza andarle a trovare. Esse ricorsero alla marchesa di Maignelay, e monsignor vescovo coadiutore, l'attuale cardinale di Retz, mi comandò di continuare. Morto l'arcivescovo di Parigi, ho fatto quanto potei per liberarmene ed esse me lo fecero comandare da mons. vicario generale, ma se piacerà a Dio che il cardinale di Retz torni214, farò tutto il possibile per farmene dispensare.

Inoltre, non visitare mai le Figlie della Carità, e non entrar mai nelle loro stanze, per qualsiasi pretesto. Nella conferenza che feci loro l'altro giorno, dissi che, quando anche fossi io stesso a voler entrare nelle loro stanze, dovrebbero chiudermi la porta in faccia.

Essendo con donne in parlatorio, lasciar sempre la porta aperta e collocarsi in luogo dove tutti possano vederci.

Rifletteremo se non sarà conveniente togliere il parlatorio di qui ed andar piuttosto a parlar loro in chiesa; i padri dell'Oratorio, i gesuiti, i cappuccini e molti altri, fanno così. Occorre pensarvi; signor Alméras, ricordatemelo.

Nelle confessioni, non lasciare avvicinare il viso delle donne al nostro; credo che sarà forse bene far fare dei confessionali portatili a forma di tramezzo215.

Non dar mai ritiri alle monache, se non quando il vescovo lo comanda, e, dopo, non ricever mai lettere da loro, con la scusa che esse hanno consigli da chiedere, ecc.; e dir loro, come fece il defunto signor de la Salle alle monache di Crécy, alle quali aveva fatto una missione: "Non scrivetemi".

L'umiltà è un ottimo mezzo per acquistare e conservare la castità. Coloro che sapranno esservi qualcuno nella Compagnia proclive a quel vizio, debbono avvertirne il superiore, specialmente quando è una persona che si vuol mandare lontano, come, verbi gratia, alle Indie, alle Ebridi, eccetera; e chi non lo farà, sarà colpevole delle colpe che commetteranno in quelle missioni e del male che ne seguirà".

112. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 25 GENNAIO 1655SULLE ORIGINI DELLA CONGREGAZIONE DELLA MISSIONE216

Il signor Vincenzo, alla fine della ripetizione dell'orazione, ci disse che la Compagnia doveva fare la santa comunione per tre fini: il primo, per ringraziare Dio, in nome della Compagnia stessa in generale, perché Dio si compiacque dare inizio alla

213Nel 1646.214Era allora in esilio.215Il testo dice: "en forme d'écharpe".216Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f°15.

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Missione proprio nel giorno della conversione di S. Paolo, nel qual giorno egli aveva fatto la sua prima predica per disporre il popolo alla confessione generale, essendone stato pregato dalla defunta generalessa delle galere, predica ampiamente benedetta da Dio.

"Purtroppo, signori e fratelli, nessuno vi aveva mai pensato, non si sapeva che cosa fossero le missioni; neppur noi vi pensavamo e non sapevamo in che cosa consistessero. Ed è da questo che si riconosce l'opera di Dio; poiché ciò in cui gli uomini non hanno avuto parte, è opera di Dio e procede immediatamente da Lui; poi Egli si serve degli uomini per l'attuazione dell'opera sua. Orbene, due cose spinsero la generalessa a far fare la confessione generale a quel povero popolo delle quali una è... Se lo dico alla Compagnia, sono costretto a nominare una famiglia; lo dirò o mio Dio?".

E qui si fermò un poco, quindi continuando disse:"Ma sì, è bene che lo dica, perché non c'è più nessuno di quella famiglia, sono tutti

morti, come pure il parroco del quale parlerò; ed ho saputo che anche uno dei suoi parenti, un uomo molto dabbene, che venne a trovarmi qualche mese fa, è morto da poco, ed era l'ultimo della famiglia. Ora il fatto è che la defunta signora, confessandosi un giorno dal suo parroco, osservò che questi non le dava l'assoluzione, ma borbottava soltanto qualche cosa tra i denti, e così tutte le altre volte che si confessò da lui. Ciò la mise un po' in pena, di modo che chiese ad un religioso, che era andato a visitarla, il favore di scriverle la formula dell'assoluzione, e l'ottenne. La buona signora, tornando a confessarsi, pregò il detto parroco di proferire su di lei le parole dell'assoluzione contenute in quel foglio, ed egli lo fece. E continuò a far così tutte le volte che tornava a confessarsi da lui, dandogli il foglio, perché non sapeva le parole che doveva pronunziare, talmente era ignorante. Avendomelo raccontato, anch'io posi più particolare attenzione a coloro dai quali mi confessavo, e mi accorsi infatti che era vero; alcuni non sapevano le parole dell'assoluzione.

Ora, quella buona signora, che era ancor nubile quando ciò le accadde, se ne ricordò anche in seguito e considerando il pericolo in cui si trovavano tutte quelle povere anime, per rimediare a tanta sventura, prese la determinazione di far tenere loro un corso di prediche sul modo di fare una buona confessione generale e sulla necessità di farne almeno una nella vita. Tale iniziativa riuscì ottimamente, come ho detto; dimodoché non potendo ascoltare tutto il popolo che accorreva da ogni parte, si dovette pregare il padre rettore dei gesuiti di Amiens d'inviare soccorso. Venne lui stesso, ma soltanto sino al giorno dopo, perché aveva da fare e mandò alcuni suoi padri per aiutarci. Quindi, vedendo come la cosa riuscisse bene, pensammo al mezzo di fare ogni tanto una missione nelle terre della suddetta signora. Fui incaricato di parlare ai padri gesuiti e di pregarli di accettare questa fondazione. Mi rivolsi al R. P. Charlet 217, ma mi rispose che non potevano, non essendo cosa conforme al loro Istituto. Vedendo, perciò, che non era possibile trovar nessuno che s'incaricasse di queste missioni, fu stabilito di formare un'associazione di buoni sacerdoti.

L'altra ragione che stimolò quella signora, come si è detto, fu il pericolo nel quale si trovavano la maggior parte dei suoi poveri dipendenti della campagna, rispetto alla loro salvezza, per non aver fatto una buona confessione generale. -

Questa è pure la prima ragione per la quale ci siamo dati a Dio per la cura degli ordinandi, affinché tutti i sacerdoti siano bene istruiti delle cose necessarie al loro stato, come saper pronunziare esattamente la formula dell'assoluzione e le altre cose indispensabili per amministrare i sacramenti della Chiesa. Ah! fratelli, chi avrebbe pensato allora che Dio volesse fare, per mezzo della Compagnia della Missione, il bene che per grazia di Dio vediamo da essa compiersi? Ah! Chi sapeva che si sarebbe servito di essa per andare a cercare nelle masserie, in fondo alla Barberia, i poveri cristiani

217Provinciale di Francia (1616-1619).

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schiavi, per toglierli, se non da un inferno, almeno da un purgatorio? E chi sapeva che se ne sarebbe servito anche in tanti altri luoghi, come vediamo che Egli fa?

La prima ragione dunque (come ho detto) per la quale dobbiamo fare oggi la santa comunione è per ringraziare Dio di avere istituito la Missione; la seconda, per chiedergli perdono delle colpe che la Compagnia in generale e ciascuno in particolare abbiamo commesso fino ad ora; e la terza, per chiedergli la grazia di correggercene, e di disimpegnare sempre meglio gli uffici che le competono".

113. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DELLA DOMENICA 4 APRILE 1655SULL'OSPITALITA' DATA AL CARDINALE DI RETZ NELLA CASA DI

ROMA218

Dobbiamo ringraziare Dio per quanto è stato fatto a monsignor cardinale di Retz, ricevuto dalla Missione di Roma: 1° perché abbiamo compiuto un atto di riconoscenza verso un nostro fondatore e nostro prelato; 2° perché abbiamo reso al Papa un atto di obbedienza, avendo egli comandato al superiore della Missione di Roma di ricevere alla Missione il detto signor cardinale; e in terzo luogo, infine, per aver praticato un altro bell'atto di obbedienza, obbedendo all'ordine del re, il quale, non essendo soddisfatto della condotta del detto signor cardinale di Retz, ha trovato mal fatto che sia stato da noi ricevuto in Roma, e ne ha preso motivo per ordinare al superiore di quella Missione219, e a tutti i missionari francesi ivi residenti, di lasciar Roma e tornarsene in Francia. Ed ecco che il superiore è già arrivato. Osservate come tutte le virtù si seguono e come una ne generi un'altra, e questa un'altra ancora. Ah! quanto sono lieto che la Compagnia abbia reso questo dovere di obbedienza al Sommo Pontefice! Ah! quanto mi auguro che la Compagnia sia pervasa da un sentimento di grande riconoscenza e faccia particolare professione di obbedire al Santo Padre, ed al re suo sovrano, in modo che quando vi si dirà: "Andate", andiate; quando vi si dirà: "Fate questo", lo facciate: quando vi si dirà: "Venite", veniate subito.

114. BRANO DI CONFERENZA - APRILE 1655NOTIZIE DI FRANCESCO LE BLANC, MISSIONARIO NELLA SCOZIA220

Raccomanderemo a Dio il nostro buon signor Le Blanc che, lavorando nei monti della Scozia, è stato fatto prigioniero, insieme con un padre gesuita, dagli eretici inglesi. Sono stati condotti ad Aberdeen, dove trovasi il signor Lumsden, il quale non mancherà di vederlo e di assisterlo. Vi sono in quel paese molti cattolici che visitano e confortano i poveri sacerdoti sofferenti. Ecco dunque quel buon missionario sulla via del martirio. Non so se dobbiamo rallegrarcene o affliggercene; perché, da un lato, Dio è onorato dalla condizione in cui è tenuto, poiché vi è per amor suo; e la Compagnia sarebbe ben fortunata se Dio la stimasse degna di darle un martire, e lui stesso ben felice di soffrire per il nome divino, offrendosi come fa, per tutto quello che Dio vorrà disporre della sua persona e della sua vita. Quali atti di virtù non pratica già fin d'ora, di fede, di speranza, d'amore di Dio, di rassegnazione, d'oblazione, per cui si dispone sempre più a meritare tal corona! Tutto questo ci riempie, in Dio, di gioia e di riconoscenza.

Ma, d'altra parte, è un nostro confratello quegli che soffre; non dobbiamo dunque soffrire con lui? Quanto a me, confesso che, secondo la natura, ne sono molto afflitto,e sensibilissimo; ma, con lo spirito, mi sembra che dobbiamo benedirne Dio come di una

218Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f°17.219Tommaso Berthe.220Abelly, op. cit., 1. II, cap. 1, sez. XI.

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grazia particolare. Ecco come Dio fa dopo che uno gli ha reso notevoli servigi: lo carica di croci, di afflizioni, di obbrobrii. O signori e fratelli, nelle croci e nei patimenti deve esservi qualche cosa di grande, qualcosa che l'intelletto non può comprendere, poiché di solito Dio fa seguire, al servizio prestatogli, le afflizioni, le persecuzioni, la prigione, il martirio, per elevare ad un alto grado di perfezione e di gloria coloro che si dedicano interamente al suo servizio. Chiunque voglia essere discepolo di Gesù Cristo deve aspettarselo, ma deve anche sperare che, quando capiterà l'occasione, Dio gli darà la forza di sopportare le pene e superare i tormenti.

Il signor Le Vacher mi scriveva un giorno da Tunisi che un sacerdote delle Calabria, dove gli animi sono rozzi e grossolani, concepì un vivo desiderio di subire il martirio per amore di Gesù Cristo, come altra volta il grande S. Francesco di Paola, al quale Dio dette lo stesso desiderio, che però non vide attuato, perché Iddio l'aveva designato per altra cosa. Quel buon sacerdote, dunque, fu talmente spinto da sì santo desiderio, che attraversò i mari per andare a cercarne l'occasione in Barberia, dove infine la trovò e, intrepido, subì la morte, confessando il nome di Gesù Cristo. Ah! se Dio si degnasse ispirarci il medesimo desiderio di morire per Gesù Cristo, in un modo qualsiasi, quante benedizioni attireremmo su di noi! Sapete bene che vi sono varie sorta di martirio: poiché oltre a quello di cui abbiamo parlato, ve n'è un altro: il mortificare continuamente le nostre passioni, e anche un altro: perseverare nella nostra vocazione, nell'adempimento dei nostri obblighi e delle nostre prediche. S. Giovanni Battista fu condannato a morte per avere avuto il coraggio di rimproverare ad un re un peccato d'incesto e di adulterio di cui era colpevole, ed è onorato come martire, sebbene non sia morto per la fede, ma per la difesa della virtù, contro la quale quell'incestuoso peccava. E' dunque una specie di martirio consumarsi per la virtù. Un missionario, molto mortificato ed obbediente, che disimpegni perfettamente i suoi uffici e viva secondo le regole del suo stato, mostra, con tale sacrificio del corpo e dell'anima, che Dio solo merita di essere servito, e che deve essere incomparabilmente preferito a tutti i vantaggi e piaceri della terra. Fare in questo modo, è professare pubblicamente le verità e le massime del Vangelo di Gesù Cristo, non con parole, ma con la conformità della vita a quella di Lui, è dar testimonianza della sua verità e della sua santità ai fedeli e agli infedeli, e, per conseguenza, vivere e morire così equivale ad essere martire.

Ma torniamo al nostro buon signor Le Blanc, e consideriamo come Dio lo tratti dopo aver fatto una quantità di belle cose nella sua Missione. Eccone una meravigliosa alla quale alcuni volevano dare il nome di miracolo. A causa delle intemperie sopravvenute, qualche tempo fa la pesca era molto scarsa per cui il popolo si trovava in una grandissima necessità. Sollecitato di fare qualche preghiera e di gettare l'acqua benedetta nel mare, essendo persuasi che tale penuria proveniva da qualche maleficio, egli acconsentì e Dio permise immediatamente che tornasse il sereno e la pesca fosse abbondante.

Me lo scrisse lui stesso. Altri mi scrissero delle grandi fatiche che sosteneva in quelle montagne per confermare i cattolici e convertire gli eretici, i pericoli continui ai quali si esponeva e le privazioni di cui soffriva, non mangiando se non pane di avena. Se soltanto un operaio che ami vivamente Dio può fare e soffrire tali cose per il suo servizio, e, dopo, Dio permette che gli capitino croci ancor maggiori, che sia fatto prigioniero di Gesù Cristo e diventi anche un martire, non dobbiamo noi adorare la condotta divina sottomettendoci amorosamente ad essa, offrendoci a Dio, perché compia in noi la sua santissima volontà? Sì, gliene chiederemo la grazia, lo ringrazieremo dell'ultima prova che vuol trarre dalla fedeltà del suo servo, e lo pregheremo che, se si degnerà lasciarcelo ancora, lo fortifichi almeno nei cattivi trattamenti che subisce o che potrà subire".

115. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DELL'11 APRILE 1655

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SULLA PROVA DELLA TENTAZIONE221

Rivolgendosi ad un fratello coadiutore, il quale aveva dichiarato di non provare alcuna pena negli uffici della casa, il signor Vincenzo disse:

"Avete gran motivo di ringraziare Nostro Signore per la grazia che vi fa. Dio opera talora così da principio, affinché le persone si diano risolutamente a Lui. Le conduce prima con una dolcezza che loro fa gradire tutto, poi le fa passare all'indifferenza, dall'indifferenza a qualche piccolo disgusto; dal disgusto all'avversione; dall'avversione qualche volta sino a pensieri blasfemi di avversione a Dio, alla virtù, alle persone che mantengono l'ordine. E questa è una prova che Dio manda a quelle anime per farle crescere nella virtù, è un segno del suo amore. E poi, dopo averle così provate, che cosa fa Dio? Concede loro dolcezze e consolazioni tanto grandi da rimanerne meravigliati e così si può dire che il quadro è compiuto.

Ho conosciuto una religiosa222 tanto avversa al bene e con tentazioni sì grandi e abbominevoli, che era giunta ad avere anche pensieri d'odio contro Dio, fino a dire, qualche volta, che se fosse uscita di convento per abbandonarsi ad ogni sorta di voluttà, non l'avrebbe fatto tanto perché si sentiva inclinata a quelle sozzure, quanto per (pag. 202)

offendere, con questo mezzo, Dio e vendicarsi di Lui, trasgredendo i suoi comandamenti e le sue leggi. Che avvenne dopo tale prova? Dio, dopo averla liberata da questo stato di sofferenza, la condusse in un altro soave, dolce, consentimenti verso di Lui tanto mirabili, che essa finì per morire in odore di santità. Ecco come Dio conduce talora certe anime.

V'è pure ( ci diceva ) un'altra persona, ancor vivente, che conosco, la quale non sa che cosa siano le tentazioni né della carne, né d'avversione, né di odio, ecc.; tuttavia non c'è anima che non sia tentata di non essere tentata, più di lei. Sembra un paradosso, eppure è vero; essa è inconsolabile in questa tentazione, perché nella Sacra Scrittura e nella vita dei più grandi santi, è detto che tutte le anime condotte da Dio alla santità , Egli le fa passare attraverso i patimenti; e Lui stesso, pur essendo il Santo dei santi, volle passarvi. Ciò induce talora quella persona a credersi dannata, perché non ha patimenti, essendo scritto, dice essa, che chi vuol vivere piamente, patirà persecuzione.223 " Io non soffro, dunque non sono pio ".

Ora, per tornare a voi, fratello, che dite di non trovar mai pena in nulla, vi dico che dovete umiliarvi profondamente e diffidare dello stato in cui vi trovate ora. Il vero cristiano deve andare sempre contro alle proprie inclinazioni, e e anche più particolarmente chi si è dato a Dio, o in convento o in qualche comunità. S. Paolo dice che faceva il male che non voleva fare, ed aveva avversione per il bene che voleva fare.224 Dunque è necessario sormontare tutte le difficoltà e prendere le pene e i mali che ci capitano, come cose venuteci da Dio, e rimanere nello stato nel quale a Lui piacerà metterci".

116. FINE DI UNA CONFERENZA SULLA TEMPERANZA -APRILE 1655ELEZIONE DI ALESSANDRO VII225

"Oh! quanto sono miserabile, io, che mi getto sul cibo e lo divoro, come quelli di cui ho parlato. Quanto motivo ho di umiliarmi!…

221Manoscritto delle ripetizioni della orazioni, f°16.222Suor Chiara Maria Amaury, monaca alla Visitazione.223 2 Tm 3,12.224 Rm 7,19.225 Manoscritto del fratello Robineau.

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Nostro Signore si è compiaciuto di darci un Papa. Ne ho avuto la notizia andando all'adunanza.226 La sorella del cardinale Mazzarino l'ha scritto alle suore di Santa Maria del sobborgo di S.Giacomo, le quali me l'hanno comunicato. E' un buon Papa che ha approfondito, più d'ogni altro, le questioni del tempo ed è stato di opinioni contraria a quelle condannate. I Preti della Missione faranno il favore di celebrare domani la santa messa, in ringraziamento, ecc., e i fratelli l'ascolteranno e domenica prossima faranno la santa comunione secondo tale intenzione. Le Dame della Carità si comunicheranno domani per questo".

117. CONCLUSIONE DELLA CONFERENZA DEL 30 APRILE 1655SULL'OFFERTA DELLE NOSTRE AZIONI A DIO227

"Orsù, sia lodato Dio per tutto quello che è stato detto! Cerchiamo, signori, di trarne profitto; abbiamo molta cura di offrire le nostre azioni a Dio, soprattutto le principali; e sebbene, nell'offerta del mattino, si offrano a Lui tutte le azioni della giornata, tuttavia è bene offrirle durante il giorno, ciascuna in particolare. Non dico che occorre offrirle tutte e ripetere continuamente: "Mio Dio, vi offro quello che faccio", ma le principali; e così tutto quello che faremo Gli sarà gradito. Oh! qual felicità piacer sempre a Dio, far tutto per amor suo e per essergli accetti! Diamoci dunque a Dio, signori, per fare, d'ora innanzi, tutte le nostre azioni per amor suo e per piacergli; così, ogni azione, sia pur piccola, acquisterà un gran merito davanti alla sua divina Maestà. Non abbiamo udito quello che è stato detto, cioè che la purità d'intenzione rende tutte le azioni meritorie ? Dio ci conceda la grazia di profittarne!"

118.RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 23 MAGGIO 1653SULLA FESTA DELLA SS. TRINITA'228

"Oltre l'obbligo che abbiamo, come cristiani, di onorare questa festa, noi missionari ne abbiamo uno particolare, perché il Papa, nelle bolle di approvazione della Compagnia, ci mise sotto la protezione della SS. Trinità. Questo deve animarci, tutti quanti siamo, ad avere molta devozione per questa festa, come pure a studiarci di non lasciar passar mai alcuna occasione di insegnare tal mistero. Riconosco che ci siamo raffreddati, e che al principio della Compagnia si era più solleciti che non ora su questo punto. Eppure, vedete, alcuni dottori ritengono che coloro che non conoscono tal mistero e quello dell'Incarnazione siano invia di perdizione; ed è anche S.Agostino e S.Tommaso insegnano che la conoscenza di questi misteri è un mezzo necessario per la salvezza. Ora, ciò posto, giudicate, signori e fratelli, quanto occorra insegnarli a chi non li conosce.

1°Vi siano obbligati come cristiani, perché ogni cristiano deve istruire un'altro cristiano delle cose necessarie alla salvezza eterna, quando sa che le ignora.

2°Vi siano obbligati come sacerdoti, quelli che lo sono.3°Come missionari.E quantunque, voi altri fratelli, non siate sacerdoti e non abbiate studiato, non siete

tuttavia esenti da tale obbligo e dovere, quando incontrate qualche povero, insegnategli questo mistero, se non lo sa; lo stesso dovete fare se sono più d'uno ed anche molti, Vediamo, infatti, che in mancanza di sacerdote, un laico può battezzare un bambino, e che la Chiesa stessa lo permette, in caso di necessità, anche le donne, quando non c'è un uomo. Infine dobbiamo cercare di far conoscere a tutti questo mistero. Ah, si! non

226 L'adunanza delle Dame della Carità.227 Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 18, v°.228 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 18, v°.

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potete immaginarvi quante anime buone vi siano, anche tra i secolari e tra le donne stesse, che non parlano ad un povero senza fargli il catechismo e ve ne sono anche di quelle che vanno nei villaggi per istruire quella buona gente; anzi mi hanno pregato di permetter loro di mandarmi chiunque mi mostrasse il desiderio di fare la confessione generale.

Le nostre povere Figlie della Carità lo fanno con tanta grazia e tante benedizioni nei villaggi dove sono! Giorni or sono, una signora mi scriveva pregandomi di mandarle una Figlia della Carità, principalmente perché abbia cura d'insegnare ai poveri questo mistero, necessario alla salvezza, facendo le scuole inferiori, poiché la maggior parte della gente, non andando né alle prediche né al catechismo, molto spesso ignora questo mistero. vedete,signori, come vanno le cose. Dio usa far così: quando coloro che devono insegnare non lo fanno, li sostituisce con gli altri che se ne occupano, anche con persone di diverso sesso. Quando vado nelle parrocchie di Parigi a visitare la Carità, domando spesso alle Dame della Carità: "Ebbene, signore, come vanno le Figlie della Carità ?". Ed esse mi rispondono: "Per grazia di Dio, signore, fanno benissimo: tutti i poveri sono istruiti, grazie a Dio, sulle cose necessarie alla salvezza eterna". Orsù, Dio sia sempre lodato e glorificato.

Desidero, dunque: 1° che tutti, quanti siano, abbiano molta devozione per questa festa e molto zelo per insegnare questo mistero; 2° facciamo il proposito di non avvicinare mai un povero senza insegnargli le cose necessarie alla sua salvezza, se supponiamo che non li sappia; 3° domandiamo sincero perdono a Dio della negligenza avuta fin qui nell'osservare questo dovere, umiliamoci profondamente dinnanzi a Lui.

Abbiamo avuto la notizia che il buon signor Lebas sta meglio; per grazia di Dio, ed è fuori pericolo. E' ricaduto per tre volte, e all'ultima si credeva che non dovesse più alzarsi. Prego la Compagnia di ringraziare Dio della grazia fattale nel conservarle questo suo servo, ottimo soggetto e molto virtuoso. Non l'abbiamo visto qui, perché appena terminato il seminario a Richelieu fu mandato ad Adge, dove è stato di grande edificazione. Ringrazieremo Dio di tutto questo come pure del ristabilimento del signor de Martinis, ammalatosi a Roma; quantunque, al dir dei medici, vi sia il pericolo di una ricaduta, se non gli si fa cambiare aria".

119. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 27 MAGGIO 1655229

Nell'orazione si deve tener conto più degli affetti che delle considerazioni. - Notizie di Francesco le Blanc e di Tommaso Lumsden, missionari della Scozia - S.Vincenzo raccomanda di fare prove delle cerimonie.

Alla ripetizione dell'orazione, che si faceva sulla festa del Corpus Domini, un fratello chierico che ripeteva la sua orazione, disse di essersi tenuto tranquillo per ascoltare Dio, che gli parlava a cuore. Il il signor Vincenzo lo riprese, dicendogli:

"Fratello, questa parola che avete detto: "Ho ascoltato Dio", è un po' forte; bisogna dire piuttosto: "Mi sono tenuto alla presenza di Dio, per ascoltare qualche buon pensiero o qualche buon sentimento che a Nostro Signore fosse piaciuto ispirarmi".

Feci quindi continuare la ripetizione, e, alla fine, aggiunse: "Fratelli, ho osservato che in tutte le orazioni che fate, ciascuno si sforza di portare un cumulo di ragioni, ragioni sopra ragioni; ciò appare chiaramente. Ma non vi fermate abbastanza sugli affetti. Le considerazioni sono qualche cosa, ma non bastano; occorre qualche altra cosa, occorre che anche la volontà operi e non soltanto l'intelletto; poiché tutte le nostre considerazioni non portano alcun frutto, se non passiamo agli affetti. Non si raggiunge abbastanza il fine, per il quale la cosa è istituita. Per esempio, oggi sulla festa del Corpus Domini, bisognava dire: "A quale scopo è stata stabilita questa festa ? Per

229 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 19 v°.

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ringraziare Dio dell'istituzione del SS. Sacramento dell'altare che Nostro Signor Gesù Cristo compì il giorno precedente alla sua passione per il bene di tutti i fedeli" e quindi stimolare in noi vivi sentimenti di riconoscenza, per questo grande ed incomparabile beneficio del Figlio di Dio, con atti di ringraziamento, di adorazione, di umiliazione, di gratitudine; pregare gli angioli di aiutarci a ringraziarlo, non essendo noi degni di farlo debitamente; e ripetere continuamente a Dio: "O Signore, siate sempre lodato e ringraziato di avermi dato per cibo e per bevanda la vostra carne e il vostro sangue! O mio Signore, siate sempre lodato e ringraziato di avermi dato per cibo e per bevanda la vostra carne e il vostro sangue! O mio Signore, come potrò degnamente ringraziarvene?". Ed intrattenersi così con fervorosi atti della volontà verso Dio. perché, vedete, fratelli, le considerazioni ci fanno vedere la bellezza della cosa, ma non ce la danno. Per esempio: io vede una mela attaccata ad un melo, e quantunque la veda benissimo e mi sembri molto bella, non per questo è in mano mia e posso goderla; altro è vedere una cosa altro è possederla; altro è vedere e considerare la bellezza della virtù e altro è averla. Ora, il ringraziamento ci fa, è vero, veder bene la virtù, ma non ce la dà; come quando una persona dice ad un altra: "Tieni, guarda com'è bella questa mela"; ma non gliela regala. Ecco quello che fa il ragionamento nella nostra meditazione.

Rispetto all'argomento d'oggi, per convincerci della realtà del corpo e del sangue di Nostro Signore in questo Sacramento, basta considerare quello che è scritto in S.Giovanni: "Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue; il pane che vi do è il mio corpo, il vino che vi do è il mio sangue". Nessuno dubita di tale verità, eccetto gli eretici,che vogliono interpretato quel testo in altro senso. Nostro Signore stesso ce l'assicura, persino con giuramento, perché dice che chi non mangerà la sua carne e non berrà il suo sangue non avrà la vita eterna. E perciò, non c'è nulla da esaminare o analizzare su tal punto. Ma quello che dobbiamo fare in questa meditazione, è rivolgerci a Dio con atti di fede, di speranza, sì, di speranza in questo divino mistero, di carità, di umiltà, di riconoscenza, di adorazione e di sottomissione. Orsù chiediamo sentitamente perdono a Dio delle colpe commesse verso questo Sacramento.

Abbiamo avuto notizie del signor Le Blanc.Ricevetti ieri sera una lettera del buon signor Lumsden nella quale mi scrive che la persecuzione infierisce in quel paese; il detto signor Le Blanc è stato trasferito dalla città di Aberdeen, dov'era, in un borgo, insieme ad un padre gesuita ed un altro sacerdote secolare, dimodoché non sappiamo ancora che cosa avverrà. Avevamo pensato di mandare a liberarlo, ma vi sono molte difficoltà. Come fare ? Due ragioni ce lo impediscono: 1) perché chiedendo la sua libertà, dovremmo dichiarare che è sacerdote: ed equivarrebbe a scoprirlo, perché è appunto per questo che è stato fatto prigioniero; 2) perché non sappiamo ancora come vadano le cose tra la Francia e l'Inghilterra,230 essendo gli affari molto imbrogliati. La Scozia da qualche anno aveva cominciato a respirare ed avvenivano molte conversioni; ma da circa dieci o dodici giorni, sono stati rinnovati editti rigorosissimi contro i poveri cattolici; tanto che il povero signor Lumsden non è affatto al sicuro. Mi dice che da molto tempo non ha notizie del signor Duiguin. Forse ne sono causa le intemperie, essendo quei monti tutti coperti di neve; la lettera che ricevetti ieri porta la data del mese di marzo.

"Si è fatta la prova delle cerimonie?". Avendo il signor Admirault, 231 risposto di no, il signor Vincenzo replicò che si doveva fare. "Ho fatto pregare l'abate Chandenier232 di dire la santa Messa e presiedere all'ufficio, e desidero che la Compagnia prenda l'abitudine di ceder sempre (come per esempio ai vescovi che vengono a visitarci, ed altre pie persone)le principali funzioni da farsi. Così facevano i primi cristiani con le

230 Il manoscritto nota che il santo disse per distrazione: la Francia e la Spagna.231 Maestro delle cerimonie a S.Lazzaro.232 Luigi de Chandenier, abate di Tournus.

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persone ragguardevoli che andavano a visitarli. In un concilio alcuni vescovi si lamentarono di altri vescovi perché, essendo stati a visitarli, essi non avevano avuto per loro tal deferenza, poiché chi è visitato deve cedere l'onore, per umiltà, a chi lo visita. Uffizierà dunque l'abate Chandenier che è un sant'uomo, invece di me miserabile; è un uomo tanto modesto e virtuoso, e ci è di grande esempio".

Rivolgendosi al signor Portail, gli domandò: "Signor Portail, che cosa dobbiamo fare?". Ricevuta la risposta del signor Portail, il signor Vincenzo, riprendendo la parola, disse, che sul principio della Chiesa uno degli incarichi dei diaconi e delle diaconesse alle donne ed alle giovani; per esempio, insegnavano a far bene una riverenza, un inchino, una prostrazione, perché allora si prostravano spesso a terra, a quei tempi. E così del resto. Ebbene, fratelli, cerchiamo di eseguire esattamente tutte le cerimonie, di far bene gl'inchini, le genuflessioni; per esempio, andando in processione, far bene prima la genuflessione, quindi l'inchino".

Avendogli il signor Portail fatto osservare che non si facevano inchini, il signor Vincenzo riprese:

"Avete ragione, signore; guardate come sono stordito, quanto ho bisogno di essere istruito io stesso, e quanto sia necessario esercitarsi nelle cerimonie, affinché coloro che non sanno come fare, o non se ne ricordano, ne siano istruiti".

120. CONFERENZA DELL' 11 GIUGNO 1655SULLA SUPERBIA233

Il signor Vincenzo pregò il signor Alméras, suo assistente, di sorvegliare perché tutti i mesi si desse per meditazione questo soggetto, come pure quello dell'invidia e della pigrizia, perché, diceva, "come l'acqua scava e penetra la pietra, ed anche il marmo, cadendovi sopra goccia a goccia, così è da sperare che meditando spesso su questi soggetti, con la grazia di Dio, ci sentiamo finalmente spinti e stimolati a disfarci di quel brutto vizio e ad acquistare l'umiltà che è la virtù contraria. Osservo qualche volta, nella nostra sagrestia, la pietra sulla quale cade l'acqua; sebbene dura e sebbene non vi cada che goccia a goccia, pure la scava. Così abbiamo pure noi motivo di sperare che questi soggetti, meditati e rimeditati più volte facciano, con la grazia di Dio, qualche impressione ai nostri cuori, sebbene forse duri quanto la pietra. Ahimè! signori e fratelli, ditemi, ve ne prego, che cosa venne a fare il Figlio di Dio sulla terra, e come volle comportarsi? Con umiltà".

E riferì questo passo di David: "E' stato come una bestia da soma 234, ecc.". Guardate i muli, si inorgogliscono forse per essere bardati bene, carichi di oro e d'argento, ornati con belle piume? Perciò, signori, se ci si loda e ci si stima, per aver forse fatto qualche azione clamorosa agli occhi del mondo, disprezziamo tutto questo, non teniamone conto. perché, è merito nostro? Non è Dio, signori, che ha fatto tutto? Non è dovuta a Lui tutta la gloria? Mio Salvatore, dateci l'umiltà, la santa umiltà, ve ne supplico. perché, vedete, fratelli, se vi sono persone al mondo che debbano temere la vanità, sono appunto i missionari. L'umiltà è una parte integrante dello spirito della Compagnia della Missione; se, perciò, ci dicono che siamo ignoranti, stupidi, persone grossolane, maleducate, bisogna sopportarlo pazientemente, ma esser contenti di esser ritenuti per tali".

121. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 13 GIUGNO 1655

233 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 21 v°.234 Sal LXXII, 23.

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Sventure della Polonia - Zelo dei missionari di Barberia, conversioni operate da loro - Avvertimenti dati ad un fratello.235

"Raccomando alle preghiere della Compagnia il regno di Polonia, atterrito per i numerosi nemici da cui è assalito. Pregando per questo preghiamo per la gloria di Dio, poiché sono i nemici della Chiesa che l'assalgono. Prego i sacerdoti, se possono, di celebrare oggi con tale intenzione, ed i fratelli di fare la santa Comunione. Oltre alla ragione già detta, noi vi siamo ancora obbligati per essere stati chiamati a lavorare e stabilirci in quel regno.

Vi raccomando pure il nostro povero e beato prigioniero e signor Le Blanc e gli altri signori che sono alle Ebridi, quelli che sono nelle Indie, in Barberia, i nostri poveri missionari di Barberia,che lavorano con tante benedizioni di Dio. Convien credere che siano di molto buon esempio ai poveri schiavi che assistono, se alcuni vengono da noi236, perché, se fossero di scandalo, certamente quei poveretti non si sentirebbero attratti, come vediamo, a farsi missionari.

Ecco una mirabile conversione che voglio raccontarvi. Uno schiavo calvinista si è convertito da poco alla religione cattolica. Gli ugonotti d'Inghilterra mandano ogni tanto in quel paese a riscattare i loro gregari; orbene, un loro inviato, rivolgendosi a quello schiavo, gli domandò se voleva essere riscattato, e questi gli rispose che preferiva essere schiavo tutta la vita e rimanere cattolico piuttosto che rinunziarvi per avere la libertà; e così ricusò.

Ecco signori, una conversione meravigliosa. In verità, signori, temo, e con ragione, che quell'uomo sia il mio giudice nel giorno del giudizio".

Poi, chiamando un fratello coadiutore, al quale voleva dare qualche avvertimento, gli disse:

"Fratello, mettetevi in ginocchio".E in presenza di tutta la Compagnia lo ammonì: "Fratello, sono obbligato di

avvertirvi delle colpe che commettete e delle quali non vi correggete affatto, nonostante gli avvertimenti ricevuti in particolare e all'obbedienza237.

Ed allora raccontò ad alta voce le colpe di quel fratello, molto gravi e che non ho voluto trascrivere qui. Dirò soltanto che il signor Vincenzo lo trattò con parole mitissime che rivelano uno spirito pieno di carità e di compassione, accompagnato tuttavia da fermezza, vietando a detto fratello la S.Comunione finché non glielo avesse permesso, e pregando i sacerdoti di non ammettervelo qualora si fosse presentato. E aggiunge:

"E affinché, mio povero fratello, possiate ricordarvene, non berrete vino per otto giorni; raccomando ai fratelli dispensieri di stare bene attenti, in modo che se si mettesse in qualche posto dove vi fosse una foglietta, gliela tolgano subito davanti. Andate, fratello".

122. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 14 LUGLIO 1655Confessarsi e comunicarsi ogni volta che la regola lo comanda - Avvertimenti dati

ad un missionario irregolare - Un superiore deve esser fermo nella osservanza della regola - Effetti della rilassatezza nell'Ordine di S.Benedetto; timore che la Congregazione della Missione segua questo triste esempio.238

235 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 22.236 Due schiavi liberati, Guglielmo Servin e Renato Duchesne, erano entrati a S.Lazzaro in qualità di fratelli coadiutori.237 L'obbedienza è una pratica di comunità, nella quale il Superiore dà avvertimenti e disposizioni per la giornata.238 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 22 v°.

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Un fratello coadiutore, nel ripetere l'orazione, disse che qualche volta provava difficoltà ad andare tanto spesso a confessarsi e comunicarsi, specialmente quando le feste capitavano fra la settimana, e temeva, diventando abitudine, di non portarvi tutta quella preparazione che vi avrebbe portato facendolo più di rado. Il signor Vincenzo l'interruppe e gli disse:

"Fratello, fate benissimo a temere di non portare tutte le disposizioni richieste per ricevere i sacramenti;però, sebbene non sentiate in voi, come vi sembra, una disposizione quale la vorreste, non dovete lasciar di confessarvi e comunicarvi nei giorni stabiliti dalla regola e come la Compagnia ha praticato fino ad ora. E' un errore, fratello, credere, per esempio, che se andaste meno spesso a confessarvi e comunicarvi, sareste meglio disposto. Dico inoltre, che, anche se andando più raramente vi sembrasse avere maggiori disposizioni,e finiste per avere un vivo sentimento e abbondanza di lacrime, sarebbe da temersi che fosse soltanto uno sfogo della natura e dell'amor proprio, per cui la soddisfazione e la gioia che provereste per altra cosa vi farebbe gradire questa. Perciò dovete essere puntuale nell'osservanza delle regole e delle pratiche della Compagnia.

Ho avvertito anche ieri uno della Compagnia, perché si dispensa dall'orazione, dal capitolo e dagli altri esercizi della comunità, eppure vediamo che non si corregge; che fare, signori? Pensate qual sia la pena di un povero superiore, quando vede l'inferiore nella tiepidezza e in una pigrizia tanto grande, e quanto deve sudare e lavorare per porvi rimedio! E Dio voglia che vi riesca! perché, in tal caso, sarebbe una specie di miracolo, poiché una comunità, una volta rilassata e abbandonatasi al disordine, difficilmente ritorna allo stato primiero di perfezione dal quale si è allontanata. San Paolo dice che, se una persona convertita e data tutta a Dio ricade nuovamente, è impossibile che si rialzi, o, almeno, difficilissimo239; lo stesso è di una comunità. Perciò, signori, siamo fedeli all'osservanza delle regole.

Oh! qual conto dovrà rendere a Dio un superiore che non abbia avuto abbastanza coraggio di esigere che la regola fosse osservata, e sia stato, perciò, causa del raffreddamento della Compagnia nella pratica della virtù! Qual conto avrà da rendere a Dio un superiore debole! perché, non solo renderà conto del male avvenuto (e di cui è stato causa per la sua debolezza) nella Compagnia, nel tempo che egli è stato superiore, ossia due o tre anni, più o meno, ma anche di quello commesso nel tempo del suo successore, del secondo e del terzo.

Qual conto dovrà rendere parimenti a Dio un missionario o un fratello che sia stato causa, con il suo cattivo esempio, di una parte del male fatto nella Compagnia, che abbia trascurato gli uffici assegnatigli, o li abbia abbandonati per avere meno noie e più libertà.

Sul principio dell'Ordine di S.Benedetto, quei monaci avevano cura di molte parrocchie, istruivano ed educavano parecchi giovanetti, dimodoché la nobiltà affidava loro i proprii figli, per averli colti e morigerati. Molte pie persone dettero i loro beni, case, terre, lasciarono eredità, fecero costruire chiese, e le cedettero a quei Padri, erigendole in abbazie e priorati. Ma agli infingardi parve di aver troppe cose da fare, e dissero: "perché affaticarci tanto? Lasciamo, lasciamo tutte queste parrocchie, ogni insegnamento, contentiamoci soltanto del coro, riteniamo per noi due terzi delle decime delle parrocchie, e l'altro terzo diamolo ad un vicario perpetuo". Osservate come parlano: "Riteniamo le decime" ossia riteniamo il boccone ghiotto. Vedete, signori, il loro procedere: hanno messo vicari perpetui, hanno abbandonato l'istruzione dei giovanetti, e che ha fatto Dio? Ah! Volete saperlo? Ha permesso che la maggior parte delle abbazie e dei priorati cadesse nelle mani di secolari, abati commendatari e priori

239 Eb 6, 4-6.

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semplici, senza alcun ufficio, perché una parte di questi priori è incaricata di ben poche cose, di far dire qualche messa, ecc. Ecco lo stato nel quale cadremo, se Dio non ci assiste.

Ma come! dirà un missionario indolente, a che scopo tante missioni? Andare nelle Indie, alle Ebridi! Via, via, è esagerato! Nelle prigioni, dai Trovatelli, al Nome di Gesù! E' intraprendere troppo, bisogna abbandonare queste imprese; ma sicuro, quando il signor Vincenzo sarà morto, avverranno molti cambiamenti; dovremo diminuire questa molteplicità di uffici, perché non sarà possibile sostenerli! Ma come! nelle Indie, alle Ebridi, nelle prigioni, dai Trovatelli, ecc.! - Dimodoché, signori, si dovrà dire: "Addio missioni; addio Indie, addio Ebridi, prigioni, Nome di Gesù, Trovatelli, Barberia; addio a tutto!". E chi è causa di tale male? Un indolente, missionari fiacchi, pieni di amore per i loro comodi e avidi di riposo.

O signori, o fratelli, quando ve ne accorgerete potrete ben dire addio a tutti questi uffici! S.Giovanni diceva: "Quando vedrete tra voi tali persone, consideratele come anticristi". Fratelli, vi dico lo stesso; quando vedrete un missionario indolente che terrà discorsi simili, rivolti a fare abbandonare il bene che si opera,dite arditamente: "Ecco l'anticristo!". Sì, fratelli, è un anticristo. Dite: "L'anticristo è nato, eccolo!". Ma, via! Se la Compagnia, ancora in culla (perché la Compagnia è nata da poco ed è ancora in culla), se, pur essendo così, aiutata dalla grazia di Dio, ha abbracciato sino ad ora tante opere gradite a sua divina Maestà e da Lui benedette, a più forte ragione dovrà farlo quando sarà cresciuta in età, ed avrà acquistato maggiori forze! Se un fanciullo ha abbastanza forza e coraggio, sebbene giovane e delicato, per compiere qualche cosa, molto più l'avrà quando sarà adulto, a venticinque o a trent'anni. Così dev'essere della Compagnia della Missione. Orsù, Iddio sia benedetto! Dio sia benedetto e glorificato in eterno! Si degni, sua divina Maestà, di tener lontana dalla Compagnia la sventura di cui ho parlato240 ".

123. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 18 LUGLIO 1655ELOGIO DI ADRIANO BOURDOISE241

Il signor Vincenzo raccomandò insistentemente alle preghiere della Compagnia la salute del signor Bourdoise, colpito gravemente d'apoplessia242, e lodò vivamente lo zelo di quel buon sacerdote per la perfezione ecclesiastica. Dio se n'era servito per gettare le fondamenta di quella santa Compagnia di sacerdoti di San Nicola du Chardonnet, quantunque fosse di famiglia tanto povera, da non avere potuto fare i suoi studi, se non con il soccorso di alcuni condiscepoli, che gli davano qualche pezzo di pane; anzi, quando se ne gettava ad un cane, la fame l'obbligava a correre per impadronirsene per il primo.

Il signor Vincenzo raccontò anche che il signor Bourdoise gli diceva che era cosa ottima istruire i poveri, ma che era anche più importante istruire gli ecclesiastici, poiché, se sono ignoranti, necessariamente le popolazioni che guidano lo saranno del pari. E diceva la verità, diceva la verità.

Quindi il signor Vincenzo pregò Dio più volte di renderci partecipi del grande zelo di quel buon sacerdote, e del bene da lui fatto alla Chiesa.

124. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 20 LUGLIO 1655

240 La redazione che di quest'ultima parte ci ha conservato Abelly (op. cit. 1, III, cap. X), differisce notevolmente da quella da noi riportata.241 Recueil de diverses exhortations, p. 71. 242 Morì il giorno dopo.

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E' proibito introdurre, senza il permesso, gli estranei nel giardino - Gli studenti non possono far ricreazione nel recinto se non nei giorni di vacanze - Non rivolgere ai portieri domande indiscrete - Chiudere le porte e non condurre gli estranei nel chiostro.243

Un fratello coadiutore diceva che nell'orazione aveva ripetuto interiormente qualche versetto dei salmi di David che animano alla fiducia in Dio; il signor Vincenzo l'interruppe:

"E' una buona pratica, disse, ripassare nella mente qualche passo della Sacra Scrittura, rivoltarlo da tutte le parti, per trarne un significato e farne un riassunto".

Un fratello si mise in ginocchio per scusarsi dal ripetere la sua orazione; il signor Vincenzo gli disse:

"Fratello, poiché siete in ginocchio vi avvertirò di una colpa che commetteste ieri: venne una persona a visitarvi e voi la conduceste subito in giardino senza il permesso. O fratello, non va bene! sapete che c'è una regola esplicita che proibisce di farlo, ed è sempre stata praticata esattamente, non facendo mai nulla di quello che è proibito, senza il permesso. Nessun anziano lo avrebbe fatto. Il signor Alméras mi diceva anche ieri, un poco prima di partire, che era rimasto edificato nel vedere l'esattezza degli anziani; mi raccontò che uno di essi, avendo incontrato nel chiostro una persona venuta per parlargli, la pregò di aspettare finché non ne avesse chiesto il permesso; e così aveva fatto molte altre volte.

Devo dare, aggiunse, anche un altro avvertimento, che riguarda i nostri fratelli studenti; invece di fare la ricreazione in giardino nei giorni nei quali non hanno la vacanza, la fanno nel recinto (è la terza volta in quest'anno) e fui meravigliato di trovarveli. Non siamo abbastanza contenti del giardino? Non è abbastanza grande, in largo e in lungo? Ve ne sono pochi a Parigi grandi come il nostro; andate in tutte le case, dai mercanti, dai finanzieri, dai magistrati, e non li vedrete mai nel loro giardino; sono assidui quasi tutti a lavorare notte e giorno; dopo aver passato la mattina al tribunale, appena pranzato, riguardano gli incartamenti per riportarli nel pomeriggio. E noi non ci contentiamo di vasti giardini, ci occorre il recinto. Vorremmo condurre una vita... non so come dirlo... lautior; se si potesse trasformare nella nostra lingua questa parola latina, più comoda... questa parola non dice abbastanza, più voluttuosa, più dilettevole, gaudente, con ogni cosa al minimo cenno, più larga delle persone del mondo. E credere che i signori ordinandi, che vi vedono ogni momento, dalle finestre, passeggiare bel bello nel recinto, nel giardino, mischiati con gli infelici che vi conduciamo a prendere un po' d'aria e gli operai che vi lavorano, non dicano tra sé: "Ecco delle persone che si godano la vita e non hanno nulla da fare"?

Ho molta paura che questo sia di scandalo. Infatti, è proprio di un uomo che non ha nulla da fare, che non si occupa di Dio ed è dissipato, andarvi fuori delle ore stabilite, senza il permesso, che non è mai stato ricusato quando ve n'era bisogno. Se uno avesse qualche incomodo che richiedesse aria più aperta di quella del giardino, il permesso non gli sarebbe negato, come non è stato mai negato, che io sappia; ma questo attaccamento alla vasta distesa di San Lazzaro, è causa di male, perché ci sono altre case dove non c'è giardino. A Crécy la Provvidenza ci aveva dato un giardino, poi ce l'ha tolto; a Sédan punto giardino; è vero che si sta comprando nel §sobborgo una casa con giardino, per andarvi qualche volta a passeggiare. E quando in quelle case uno si annoia, difficilmente si risolve a rimanervi; dice che l'aria non è buona, si lamenta sempre, si sente male, scrive. Raccomando di nuovo l'osservanza di questa regola e la proibizione di andare in giardino e nel recinto, fuori dal tempo della ricreazione stabilita dalla regola, e più ancora di condurvi persone senza esplicito permesso.

243 Recueil de diverses exhortations, p. 72.

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Vi sono pure sacerdoti, sì, sacerdoti, non molti per grazia di Dio, ma qualcuno che si vede spesso a questa porteria guardare chi va, chi viene, chi passa per la via, e discorrere con i portieri: "Non ci sono lettere per me? Ve ne dovrebbe essere. Non è venuto nessuno a cercarmi?". E se sapessero che i portieri non devono dire mai nulla! E' una dissipazione, questa, è un non occuparsi di Dio; non si faccia mai più. Prego i portieri di osservare chi lo facesse in avvenire e di venirmi a dire: "Signore, il tale e tale viene in porteria".

Debbo inoltre avvertirvi di una cosa, di cui sono io stesso colpevole come gli altri. Prima di tutto è che, passando da una porta, nessuno mai la chiude; trovo sempre tutte le porte spalancate, ed io stesso, miserabile! non solo manco di vigilanza perché questa regola sia osservata, ma la trasgredisco per il primo.

V'era tempo addietro ad Amburgo un grande monastero, uno dei più celebri della Germania, ora tanto decaduto, così mi scrivevano ultimamente, da essere ridotto a sala e piazza pubblica. Dove sorgeva la chiesa e vi si scorgono ancora le vestigia delle muraglie, v'è ora un mercato nel quale si vende la carne ed altro. Non si vedono più che gli effetti della giustizia di Dio, il quale fa man bassa su quel monastero, man bassa su quell'Ordine, man bassa su quella Compagnia. Ho molta paura che, per la nostra negligenza e soprattutto per la mia,anche la nostra casa diventi una piazza pubblica. Appena uno entra nel cortile: "Dove volete andare?". - "Nel chiostro". - Ecco due porte aperte. Al cortile rustico lo stesso: e dal chiostro in tutti i dormitori, in tutte le camere, in cucina; meno male che questa è chiusa.

Dai gesuiti di via Sant'Antonio, non si fa entrare nessuno; si fa aspettare sotto il porticato od entrare in un andito, essendo così disposta la casa. perché dunque fare entrare tanta gente nel nostro chiostro? Prego perciò i portieri di fare aspettare in porteria chiunque venga a cercare uno di noi, o di farlo accomodare in una sala e non nel chiostro. Se non sono persone, cui si debba gran deferenza, potete dire: "Signore (per esempio), abbiate pazienza un momento, vado a chiamarlo"; e si procuri di farlo aspettare il meno possibile. Prego i portieri d'essere diligenti nel cercare coloro che sono richiesti, e questi d'andare sollecitamente.

Raccomando anche la pratica di questa regola e comando di aver gran cura di chiudere le porte. Quando il superiore dice: "comando", avendone ricevuto da Dio l'autorità, non possiamo trasgredire l'ordine senza disubbidire a Dio stesso, ritraendoci da quello che egli esige da noi. Dio è ordine: Dio e l'ordine sono la medesima cosa".

125. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 24 LUGLIO 1655Miseria generale sorta dalle guerre - E' necessario lavorare con abnegazione, zelo e

abbandono di sé - Esempio dato dai missionari di Barberia e del Madagascar - Indulgenza plenaria accordata dal Papa a tutti i missionari nell'ora della morte.244

"Rinnovo la raccomandazione fatta e che non si farà mai abbastanza, di pregare per la pace, affinché Dio si degni unire i cuori dei principi cristiani. La guerra è in tutti i regni cattolici; guerra in Francia, nella Spagna, in Germania, nella Svezia, in Polonia, assalita da tre parti,in Irlanda, fino sulle povere montagne e rocce quasi inabitabili. La Scozia non è in miglior condizioni; l'Inghilterra, si sa in quale deplorevole stato si trovi. Guerra dappertutto, miseria dovunque. In Francia tanti che soffrono! O Salvatore, o Salvatore! Se, per quattro mesi di guerra, avuta qui, abbiamo avuto tanta miseria nel centro della Francia, dove i viveri abbondano da ogni parte, che possono fare le povere popolazioni delle frontiere che la subiscono da vent'anni? Sì, ormai sono venti anni che esse hanno sempre la guerra; se seminano, non sono sicure di raccogliere; vengono le armate, saccheggiano, rapiscono; quello che il soldato non ha preso, lo prendono i

244 Recueil de diverses exhortations, p. 78.

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sergenti e lo portano via. Che fare, allora? Come vivere? Bisogna morire. Se v'è una vera religione... ma che dico, miserabile!... se vi è una vera religione! Dio mi perdoni! Parlo materialmente. E' tra loro, tra quella povera gente, che si conserva la vera religione, una fede viva; credono semplicemente, senza investigare; sottomissione ai comandi, pazienza nell'eccesso dei patimenti per soffrire tutto quello che Dio vorrà, gli uni per la guerra, gli altri lavorando tutto il giorno sotto i raggi cocenti del sole; poveri vignaiuoli che ci danno il loro lavoro, ed aspettano che preghiamo per essi mentre si affaticano per nutrirci!

Si cerca l'ombra; non si vorrebbe uscire al sole; amiamo tanto i nostri comodi! In missione almeno siamo in chiesa, al riparo dalle ingiurie del tempo, dall'ardore del sole, dalla pioggia, a cui è esposta quella povera gente. E gridiamo aiuto se ci è data qualche occupazione più del solito. La mia camera, i miei libri, la mia Messa... e basta! Un vero missionario può aver tutti i suoi comodi? Dio ci serve qui come procuratore, ci provvede del necessario e più del necessario, ci dà a sufficienza e al di là. Non so se lo ringraziamo abbastanza.

Viviamo del patrimonio di Gesù Cristo, del sudore dei Poveri. Quando andiamo in refettorio dovremmo sempre pensare: "Ho guadagnato il cibo che sto per prendere?". Ho spesso questo pensiero che mi ricopre di confusione: "Miserabile, hai guadagnato il pane che mangerai, quel pane che ti viene dal lavoro dei poveri?". Se non lo guadagniamo com'essi, preghiamo almeno per i loro bisogni. Bos cognovit possessorem suum!245 le bestie riconoscono chi li governa. I poveri ci danno da mangiare; preghiamo Dio per loro e non passi giorno senza che li offriamo al Signore, affinché conceda loro la grazia di far buon uso dei loro patimenti.

Dicevo... che dico, miserabile! Si diceva ultimamente che Dio si aspetta dai sacerdoti che plachino la sua ira; si aspetta che si mettano tra Lui e quei poveretti come altrettanti Mosè per obbligarlo a liberarli dai mali causati dalla loro ignoranza e dai loro peccati, e che forse non subirebbero se fossero stati istruiti e qualcuno si fosse occupato della loro conversione. Spetta ai sacerdoti farlo. Quella povera gente ci dà per questo il frutto delle loro fatiche; mentre lavora, mentre lotta contro la miseria, noi siamo i Mosè che dobbiamo alzare continuamente le mani al cielo per essi. Se soffrono per la loro ignoranza e per i loro peccati, ne siamo noi la causa; siamo dunque colpevoli di quello che soffriamo, se non ci sacrifichiamo per tutta la vita ad istruirli.

Il signor Duval, grande dottore della Chiesa, diceva che un ecclesiastico deve avere più occupazioni di quelle che può disimpegnare; poiché, appena l'ozio e l'infingardaggine s'impadroniscono di un ecclesiastico, tutti i vizi accorrono da tutte le parti: tentazioni d'impurità e tanti altri! Oserò dirlo?... Bisogna ci rifletta: l'argomento si presenterà forse qualche altra volta. O Salvatore, o mio buon Salvatore, degnatevi per la vostra divina bontà, liberare la Missione da questo spirito d'infingardaggine, dalla ricerca dei propri comodi; degnatevi darle uno zelo ardente per la vostra gloria, che le faccia abbracciare tutto con gioia, e mai trascurare un'occasione per servirvi! Siamo destinati a questo; e un missionario, un vero missionario,un uomo di Dio, un uomo che ha lo spirito di Dio, deve trovare tutto buono e indifferente; abbraccia tutto, può tutto. A più forte ragione, una Compagnia, una congregazione può tutto essendo animata e condotta dallo spirito di Dio.

I nostri missionari di Barberia e quelli del Madagascar, quali imprese non si sono addossate? che cosa non hanno eseguito? che cosa non hanno fatto? che cosa non hanno sofferto? Un sol uomo occuparsi d'una galera dove qualche volta sono duecento forzati: istruzioni, confessioni generali ai sani e ai malati, di giorno e di notte, per quindici giorni, al termine dei quali fa loro un po' di festa; va lui stesso a comprare un bue e lo fa cuocere; è il loro banchetto, un sol uomo fa questo! Talora corre nelle

245 Is I,3.

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masserie, dove si mettono gli schiavi, e va in cerca dei padroni per supplicarli di permettergli di occuparsi dell'istruzione di quei poveretti; approfitta del tempo di libertà e fa loro conoscere Dio, li rende capaci di partecipare ai sacramenti e, infine, dà loro un po' di cibo ed un piccolo regalo246".

Parlò anche dei fratelli Guglielmo e Duchesne247, i quali dopo essere stati schiavi, furono riscattati con l'aiuto del Console248, per ricompensa dello zelo da cui erano animati nel loro ufficio presso i poveri schiavi249.

"Nel Madagascar, disse ancora il signor Vincenzo, i missionari predicano, confessano, fanno il catechismo continuamente, dalle quattro del mattino fino alle dieci, e dalle due del pomeriggio fino a notte; il resto del tempo lo impiegano nel dire l'uffizio e nella visita dei malati. Ecco dei bravi operai, dei veri missionari. Piaccia alla bontà di Dio darci lo spirito che li anima, un cuore grande, largo ampio! Magnificat anima mea Dominum250. L'anima nostra deve magnificare, amplificare Dio, di modo che Dio magnifichi l'anima nostra, ci dia ampiezza d'intelligenza per conoscere bene la grandezza, l'estensione della bontà e della potenza di Dio; per conoscere fin dove si estende l'obbligo che abbiamo di servirlo, di glorificarlo in tutti i modi possibili;ampiezza della volontà per cogliere tutte le occasioni di procurare la gloria divina. Se non possiamo nulla da noi stessi, possiamo tutto con Dio. Sì, la Missione può tutto, perché abbiamo in noi il germe dell'onnipotenza di Gesù Cristo; perciò nessuno può scusarsi di non potere; avremo sempre più forza di quella che occorra,principalmente quando ci troveremo nell'occasione, perché nell'occasione l'uomo si sente come un uomo affatto nuovo. E' quello che scrive il signor N., quando fu arrivato; le sue forze raddoppiarono appena fu nell'occasione di averne bisogno.

Dimenticavo di partecipare alla Compagnia la notizia che ho ricevuto e di cui ringrazieremo Dio. Il nostro Santo Padre, il Papa, ha accordato a tutti i missionari l'indulgenza plenaria in punto di morte. Il signor Blatiron, essendo andato ad offrirgli i rispettosi omaggi di tutta la Compagnia, gli chiese questa grazia, e quella di prendere sotto la sua protezione la Compagnia; il Papa concesse l'una e l'altra. Chi potrà intendere la vastità di tal grazia? Indulgenza plenaria in punto di morte, la applicazione di tutti i meriti di Nostro Signore Gesù Cristo! Dimodoché nell'ora della morte saremo rivestiti di quella veste d'innocenza che ci metterà in condizioni di piacere agli occhi di Dio, quando dovremo rendergli conto della nostra vita. Quel signore del Vangelo scacciò dalla sua presenza colui che era comparso dinanzi a lui senza la veste nuziale che Dio ci darà in punto di morte, mediante tale indulgenza, se siamo fedeli alla nostra vocazione e se vogliamo vivere e morire dove Egli ci ha posto. Ringrazieremo Dio, i sacerdoti nella messa e i fratelli nella santa comunione; vi prego di farlo oggi stesso.

Raccomando alle vostre preghiere un eserciziante che ne ha un bisogno particolarissimo. Quanto bene farà se si converte interamente; e qual male, se non corrisponde alla grazia! Mi limito ad accennarvi questo per farvi capire quanto egli abbia bisogno di essere assistito".

126. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 28 LUGLIO 1655SULLA GENUFLESSIONE251

246 S.Vincenzo intende parlar qui di Giovanni Le Vacher.247 Guglielmo Servin e Renato Duchesne, fratelli coadiutori.248 Il fratello Barreau.249 S.Vincenzo avrebbe detto qui, secondo l'autore della vita manoscritta del signor Giovanni Le Vacher, che riproduce una parte di questo discorso: "Con qual cattolicismo e religiosità, egli confronta e intrattiene quei poveri schiavi, lo si vede, ne abbiamo qui il frutto".250 Lc I, 46.251 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione f° 24, v°.

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Il signor Vincenzo, ripetuta l'orazione, disse: "Avverto la Compagnia in generale di una mancanza che parecchi commettono qui alla presenza di Nostro Signore nel SS. Sacramento dell'altare. Ho osservato che molti, facendo la genuflessione davanti al Santissimo Sacramento, non la fanno fino a terra, o la fanno senza devozione. L'avevo notato altre volte, e mi ero proposto pure di avvertirne la Compagnia, ma sono tanto miserabile che me ne dimenticai. Ieri, venuto un po' prima all'orazione, osservai la genuflessione di alcuni; e, per avvertirne la Compagnia e per paura per dimenticarmene, l'appuntai sul nostro taccuino. Stamani pure, sono stato un po' sollecito e di nuovo ho osservato la medesima cosa.E affinché quelli che non fanno con devozione la genuflessione, come conviene alla gloria e alla maestà del Dio vivente, se ne correggano, mi sono creduto in dovere di non differire più oltre, e di avvertire, come faccio, la Compagnia, perché vi faccia più attenzione. Grazie a Dio, alcuni la fanno bene e con molta devozione, non solo esteriore ma anche interiore; e questo si vede, grazie a Dio, e lo si nota; ma altri la compiono molto male.

I motivi che c'inducono a fare questa prostrazione con la dovuta devozione esteriore ed interiore, ed è così che devono fare i veri cristiani, sono: l'esempio del Figlio di Dio, e quello di altre comunità religiose. Il Figlio di Dio si prostrò con la faccia a terra nell'orto degli olivi; i certosini li vediamo distendersi completamente; i domenicani fanno una genuflessione e poi un profondo inchino. Quando il Santissimo Sacramento è esposto sull'altare, bisogna prostrarsi con entrambe le ginocchia a terra con profonda umiltà, adorando la maestà di Dio.

Un altro motivo è l'esempio che dobbiamo a tutte le persone che vengono da noi, e che ci vedono, ci osservano dal capo ai piedi; esse vengono per raccogliersi, per imparare a viver bene. Tanti ecclesiastici che capitano qui, gli ordinandi, gli esercizianti, se si accorgono che si contenta di fare una mezza genuflessione, ad esempio, crederanno di non essere obbligati a far di più, e diranno: "Poiché i signori della Missione fanno così, non sono obbligato a far di più; perché, senza dubbio, se occorresse far di più, essi lo farebbero". Quelli delle altre case diranno: "A S.Lazzaro, si fa così". Ed ecco come tutto andrebbe in decadenza, e questo per la trascuratezza del superiore; perché,vedete, le colpe che si commettono in una comunità sono imputate al superiore, se, non ponendovi egli rimedio, si continua a commetterle e Dio gliene chiederà conto.

Io pure, in questo, non ho dato l'esempio che dovevo. Purtroppo la mia età, e il mio mal di gambe, me lo impediscono. Se, tuttavia, vedrò che la Compagnia non si corregge, mi sforzerò di far il meglio che mi sarà possibile, anche se per rialzarmi dovrò appoggiarmi con le mani contro terra, pur di darne l'esempio. E' vero che è un po' faticoso per i vecchi, perché quando una persona ha raggiunto sessantacinque o sessantasei anni, comincia a rialzarsi a stento. Gl'infermi e coloro che sono malazzati, come il signor Boudet, ad esempio, hanno qualche scusa; ma per gli altri non ne conosco alcuna; e sono obbligati a dare tale esempio a tutti coloro che li vedono e li osservano.

Vedete, fratelli, la copia, di solito, non è fatta meglio dell'originale; se vi sono errori nell'originale, ordinariamente, vi sono anche nella copia. La casa di S.Lazzaro è l'originale su cui le altre case e tutte le persone che vi capitano prendono esempio e ne fanno delle copie. Se dunque l'originale è tanto difettoso, che ne sarà delle copie? 252

252 Abelly aggiunse qui (op. cit., 1. III, cap. VIII, sez. I, verso la fine) due frasi che non troviamo nel nostro testo: "Vi prego dunque, signori e fratelli di farvi attenzione e di comportarvi, in tal circostanza, in modo che la devozione interna prevenga e accompagni sempre l'esterna. Dio vuol'essere adorato in spirito e verità, e tutti i veri cristiani devono comportarsi così, ad esempio del Figlio di Dio, il quale, prostrandosi con la faccia a terra nell'orto degli olivi, accompagnò tal

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Orsù, Dio ci usi misericordia, per la sua santa grazia! Prego la Compagnia di prestarvi particolare attenzione, e il signor Admirault di osservare quelli che vi mancheranno, e di prendetene nota, per poterli poi avvertire.

Non vi ricordate, fratelli, di quanto vi dissi altra volta, che chi, in musica, ha imparato un mottetto, se dopo vuole impararne un secondo ed anche un terzo, trova maggior facilità ad imparare il secondo del primo, ed il terzo più del primo ed anche del secondo? Così, se oggi proviamo qualche pena nel fare un atto di virtù, un atto di religione, la seconda volta ne sentiremo meno; la terza ancor meno della seconda; e così ci si perfeziona sempre di più. Non vi ricordate di quello che testé vi ho già detto? Orsù, non andrò più avanti; ci fermeremo qui, se permettete".

Di qui si vede che venne in mente al signor Vincenzo qualche motivo per non finire quello che aveva cominciato; perciò terminò raccomandando alle preghiere della Compagnia coloro che l'avevan pregato e ricevendo le umiliazioni di altri che chiesero perdono a Dio delle colpe commesse.

127. CONFERENZA DEL 30 LUGLIO 1655SULLA CASTITA'253

"Ebbene! signori, chiediamo insistentemente a Dio la virtù della purezza. Questa virtù, se l'abbiamo, ce ne attirerà molte altre; se non l'abbiamo,siamo perduti, la Missione è perduta; ne abbiamo un bisogno particolarissimo, trovandoci continuamente nelle occasioni. O Salvatore, fateci la grazia di onorare quella mirabile purezza che voleste avere sulla terra.

Celebriamo domani la festa di un gran santo, S.Ignazio, il quale possedé, in grado eminente, tal virtù e la trasmise in quella grande e santa Compagnia da lui istituita. Sul principio di quella Compagnia, ognuno notava con ammirazione i giovani vivere tra loro in grande purezza, sebbene in continue occasioni. Un giorno fu domandato ad uno dei loro Padri come facevano per conservarsi in tanta purità; rispose che portavano seco qualche cosa che li preservava: la sobrietà e la custodia dei sensi esterni.Piaccia alla bontà di Dio di parteciparci quello spirito che ha sparso tanto abbondantemente su quella santa Compagnia.

Cerchiamo di imitarla nella sobrietà e nella custodia dei sensi e adottiamo gli altri mezzi proposti per conservarci in grande purezza. Ma il mezzo dei mezzi, è il ricorso frequente a Nostro Signore, una grande devozione alla sua purezza e a quella della Madonna. Domandiamogli questa grazia; il cuore mi dice che se noi lo supplicheremo, ci userà misericordia. Tutti i sacerdoti, che non hanno obblighi speciali, celebrino domani secondo questa intenzione; i fratelli non si comunicano domani, ma domenica, lo chiedano a Dio e offrano la loro comunione affinché Dio si compiaccia di concedere alla Compagnia questo prezioso dono. Oh! quanto rimasi edificato di un nostro fratello del quale ho ricevuto notizie ultimamente! Vive tra i selvaggi: uomini e donne vanno quasi nudi; egli sta tra loro, li vede; ma che dico? Non osa vederli, non li guarda affatto, ed è perciò immune da impurità. O Salvatore! Ne ho fatto leggere la relazione alle Dame della Carità, ed hanno provato una viva consolazione, vedendo come Dio assista potentemente nell'occasione. E' quanto Gli chiederemo, se vi piace, per l'intercessione della Madonna, di S.Giuseppe, dei nostri buoni angeli, di S.Pietro e di S.Ignazio.

devota positura con un'umiliazione interna profondissima, per rispetto alla suprema Maestà del Padre suo".253 Recueil de diverses exhortations, p. 84.

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128. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 1° AGOSTO 1655Osservare il silenzio e, a ricreazione, conservare con modestia - Esempio degli

esercizianti, della Corte, dei grandi, della Sorbona - Quello che fanno i primi della Compagnia sarà imitato dai loro successori: esempio di Recab e di Adamo.254

Alla fine della ripetizione, il signor Vincenzo prese argomento di parlare da un fratello coadiutore addetto alla dispensa, il quale, postosi in ginocchio, aveva chiesto perdona a Dio di parlare troppo forte e di non essersi mai corretto. Allora il signor Vincenzo disse:

" E' vero che si fa molto chiasso in quella dispensa, tanto che quelli che vi stanno vicino ne sono disturbati e s'impedisce loro di ascoltare la lettura; nonostante gli avvertimenti non si ottiene nulla; e, quello che è peggio, quando si bussa per chiamarvi, non rispondete, fate il sordo. Fratello, è una colpa grave, questa. Fratello, correggetevene.

Non so da che provenga quel gran rumore che facciamo, quel poco silenzio che attualmente si nota tra noi. Al principio della Compagnia, il silenzio era osservato meglio, e si parlava più a bassa voce che non ora. La causa è che avendo tra noi qualcuno di orecchio duro, si è stati costretti, per farsi udire, a prendere un tono più alto; da ciò ne venne che essi è continuato a parlare forte. Nelle nostre conversazioni bisogna confessare che si inclina da quella parte, che si parla troppo forte, e tutto per colpa mia, perché io solo sono colpevole di tutto il male che si fa nella Compagnia, e perché parlo a voce troppo alta, do questo cattivo esempio alla Compagnia, e non insisto abbastanza affinché se ne corregga.

S.Benedetto mette, mi sembra, per primo grado dell'umiltà, il silenzio, il silenzio. Te decet hymnus Deus, in Sion255; e un dottore256 svolge questo versetto e dice: Te decet silentium, Deus, in Sion. Abbiamo visto che le ordinazioni, dov'erano cinquanta o sessanta ordinandi, avvenivano senza chiasso. Per esempio, nel collegio dei Buoni-Fanciulli, dove, sul principio, si ricevevano gli ordinandi, tutto si svolgeva in quel piccolo luogo rinserrato in un silenzio meraviglioso. Per grazia di Dio, ve ne sono nella Compagnia che danno grande esempio; oh! sì, ve ne sono e molti, per grazia di Dio.

Vi era, qualche tempo fa, un buon dottore, adesso morto, che aveva l'abitudine di venire tutti gli anni a fare il suo ritiro da noi, ed io avevo sempre l'onore di servirlo. Un giorno, mentre mi faceva la sua comunicazione, gli domandai quale passione riconosceva più forte in lui. Pensò un poco e rispose: "Signore, voi mi date da pensare, tuttavia vi dirò che noi altri settentrionali siamo molto poco soggetti alle passioni; non già che non se ne abbia alcuna, ma non come s'intende comunemente".

Infatti, facendovi poi attenzione, ho visto per esperienza che quello che mi aveva detto era vero, che i settentrionali sono molto meno soggetti a lasciarsi trasportare dalla passione, dalla collera, e che gli abitanti del mezzogiorno e dei paesi più caldi, lo sono maggiormente. Da questo ecco perché in certe città, come per esempio a Costantinopoli, v'è una polizia, ossia persone che vanno per tutta la città, nei mercati e nelle fiere, con arceri, sergenti, per osservare e sorvegliare quelli che parlano troppo forte e fanno troppo rumore, come a Parigi quei mercanti giurati che vanno a far visita di bottega in bottega, e, se trovano qualcuno che si adira ed urla troppo, senz'altra forma di processo, lì, su due piedi lo fanno stendere al suolo e gli fanno dare venti, trenta bastonate. Ora, se quella gente, quei turchi lo fanno per solo ordine; a più forte ragione dobbiamo farlo noi, per principio di virtù.

254 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 25, v°.255 Sal LXIV, 2.256 S.Girolamo.

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Quel buon dottore di cui vi ho parlato prese, tra le altre, nel suo ritiro, la risoluzione d'imitare in qualche cosa un altro dottore della Sorbona, ora vescovo esemplarissimo e prelato di grandissima virtù,ch'io vedevo e col quale conversavo ogni giorno.

Nostro Signor Gesù Cristo è il vero modello ed il gran quadro invisibile su cui dobbiamo conformare tutte le nostre azioni; e gli uomini più perfetti, che vivono quaggiù in terra, sono i quadri visibili e sensibili che ci servono di modello per ben regolare tutte le nostre azioni e renderle gradite a Dio.

Vorrei, signori, che aveste visto il silenzio che c'è al Louvre, e come gli uni parlano agli altri; vedreste talora, quaranta, cinquanta, ottanta, cento persone che aspettano intrattenendosi tra loro sommessamente, dimodoché sentireste volare una mosca da un capo all'altro della sala. Dal defunto cardinale di Richelieu, dove sono stato più volte, v'era un silenzio meraviglioso, ed anche dall'attuale257 vedreste che ciascuno s'intrattiene onestamente, educatamente, modestamente con gli altri.

Se vedeste i signori della Sorbona, come fanno la loro ricreazione insieme, è tanto bello! Hanno un viale dove passeggiano tre a tre, quattro a quattro, e parlano tra loro, cordialmente, tranquillamente, rispettosamente. Io non so, ve lo confesso, come mai le nostre ricreazioni trascorrano tanto male, essendo questo contrario al modo di ben conversare, all'educazione civile ed al senso comune stesso. I nostri fratelli studenti sono, in questo, i più colpevoli, ed io per primo, perché non do il buon esempio che dovrei.

Si domanda perché nel parlamento alcune camere godono migliore riputazione delle altre, e non si dà altra ragione se non che, avendo i primi presidenti e consiglieri di quelle camere dato un buon indirizzo, e fissata una norma per trattare gli affari con serietà e con la massima poderatezza, i successori hanno conservato il medesimo spirito e la medesima giurisprudenza, questi li hanno comunicati a coloro che sono venuti poi, e questi ancora ad altri, e così tal buona riputazione e stima è continuata e si è conservata fino ad ora.

Recab si coricava sotto le tende e non beveva mai vino. I suoi figli, avendolo visto, dissero: "Il nostro padre non si coricava che sotto le tende, e non beveva mai vino, perché non faremo altrettanto? Siamo forse migliori di lui? Se ci ha dato quest'esempio, perché non ne profitteremo?". Lo fecero, e, dopo, i figli lo dissero: "I nostri padri hanno fatto così, bisogna imitarli". E così di generazione in generazione, per lo spazio di trecent'anni, i figli di Recab s'attennero a questa consuetudine, la quale piacque tanto a Dio, che, si legge nella Sacra Scrittura, benedì la famiglia di Recab. E così, signori e fratelli, che cosa fa il buon esempio e quanto sia necessario agli inizi porre buone fondamenta e lasciare un buon esempio su cui, quelli che ci seguiranno, possano appoggiarsi.

Oh! quanto dovrò render conto a Dio, io che non do alla compagnia l'esempio che dovrei! E quello che dico di me deve intendersi anche dei primi venuti nella Compagnia, perché non solo saremo colpevoli del male che facciamo personalmente, ma saremo pure colpevoli e, se non ne faremo penitenza, renderemo conto a Dio del male che commetteranno, per causa nostra, coloro che verranno dopo di noi, non avendo lasciato loro l'esempio che dovevamo, né insegnato come trattare e fare le cose, come conviene a veri missionari, e come le regole e le sante consuetudini della Compagnia richiedono.

Vediamo ancora che il male fatto da Adamo è passato in tutti i suoi discendenti sino a noi, e si riverserà anche su chi verrà dopo di noi. E se Adamo non avesse fatto penitenza del suo peccato e del cattivo esempio dato a tutta la posterità, non solo sarebbe stato punito per la sua colpa personale, ma anche per quelle che i suoi figli e tutti i suoi posteri avrebbero commesso per causa sua.

257 Il cardinale Mazzarino.

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All'opposto, di tante buone opere e santi atti di virtù saranno causa i buoni soggetti della Compagnia che avranno posto una buona base e dato buon esempio! Poiché a misura che i loro successori faranno bene e si manterranno nel retto sentiero loro tracciato, nella stessa misura la loro gloria aumenterà e ne riceveranno da Dio la ricompensa in paradiso. E questo, fratelli, non ci deve tutti incoraggiare a rimetterci, d'ora innanzi, sulla buona strada, a essere esatti nella pratica delle regole e delle sante consuetudini della Compagnia, ad osservare il silenzio, ad usare un modo di conversare tra noi, quanto più gradito a Dio possiamo immaginare? Chiediamo questa grazia a Nostro Signore e comunicatevi, oggi, secondo questa intenzione".

129. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 4 AGOSTO 1655ECCESSI DA EVITARE NELL'AMOR DI DIO258

" Debbo avvertire i nostri fratelli del seminario; ho un avviso da dar loro, affinché sappiano come regolarsi su tali materie (delle quali era stato trattato). E' certo che la carità, quando dimora in un'anima, occupa interamente tutte le sue potenze; nessun riposo; è un fuoco che agita continuamente, tiene sempre in esercizio, sempre in moto la persona una volta che ne è infiammata. O Salvatore! la memoria no vuol ricordarsi che di Dio, detesta tutti gli altri pensieri, li considera come importuni, li scaccia, soltanto quelli che le richiamano il suo diletto le sono graditi: è necessario, ma lo è a qualunque costo, rendersi familiare la sua presenza, bisogna che sia continua.

Ecco le sollecitazioni dell'intelletto: un'applicazione forzata a cercare, a ricercare nuovi mezzi per avere tale presenza. Questi non sono adatti, ne occorrono altri; se potessi praticar questo, lo avrei; occorre farlo; ma ho anche questa devozione, come accordarla con l'altra? Non importa, bisogna fare l'una e l'altra. E quando si è caricato di questa nuova devozione, ne chiede altre ed altre ancora; e quella povera anima abbraccia tutto e nonostante non è contenta, supera le sue forze, ne rimane oppressa e crede non basti mai. O dolce Salvatore, che ne sarà? La volontà rimane infiammata, è obbligata a produrre atti tanto frequenti che non può reggere; sono atti sopra atti, raddoppiati, raddoppiati sempre e dovunque, nelle ricreazioni, a refettorio; li vedete tutti infiammati, non pensano ad altro; anche in compagnia, nelle conversazioni stesse non si smette mai. In una parola, qui e altrove, dovunque, non sono altro che ardori, che fuoco e fiamme, atti continui; son sempre fuori di sé.

Oh! quanti pericoli e quanti inconvenienti vi sono in questi eccessi, affanni, impeti. - Ma come! vi è forse qualche inconveniente nell'amore di Dio? Si può amare troppo? Può esservi eccesso in una cosa sì santa e divina, ed anzi, potremo mai amare abbastanza Dio, il quale è infinitamente amabile? - E' vero che non ameremo abbastanza Dio e non è mai possibile eccedere in tale amore, se si considera quanto Dio meriti da noi. O Dio Salvatore, chi potrà giungere a quell'amore meraviglioso che Voi ci portate, avendo dato per noi, miserabili, tutto il vostro sangue di cui una sola goccia ha un valore infinito? O Salvatore! No, signori, questo non è possibile, per quanto faremo non ameremo mai Dio come dovremmo; è impossibile; Dio è infinitamente amabile. Tuttavia bisogna star bene attenti che sebbene Dio ci comandi di amarlo con tutto il cuore e con tutte le nostre forze, la sua bontà non vuole però che, con continui atti, si danneggi e rovini la nostra salute; no, no, Dio non esige che ci ammazziamo per questo.

Alcuni, tre o quattro, in seminario, stimolati da questo desiderio, infiammati da questo fuoco, si sono talmente applicati a produrre continui atti, giorno e notte, sempre in continua tensione, che la povera natura non ha potuto reggere ad azione tanto

258 Recueil de diverses exhortations, p. 89.

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violenta. In questo stato, il sangue si riscalda, e, tutto bollente nei suoi ardori, manda vapori caldi al cervello, che tosto s'accende e ne conseguono capogiri, pesantezze, come se si fosse stretti da una fascia; gli organi s'indeboliscono e ne provengono molti altri incomodi; uno si rende del tutto inutile per il resto dei suoi giorni e non fa altro che languire sino alla morte, che si è assai accelerata.

Questo sembra desiderabile e che sia bene essere ridotti in tale stato dalla carità verso Dio; morire così è morire della morte migliore, è morire d'amore, è essere martiri, martiri dell'amore. Sembra a quelle anime beate di potersi applicare le parole della Sposa e dire con essa: Vulnerasti cor meum259; siete Voi, o mio Dio d'amore, che mi avete ferito; Voi che mi avete ferito trafitto il cuore con le vostre frecce ardenti; Voi che avete messo quel fuoco sacro nelle mie viscere che mi fa morire d'amore! Oh! siate per sempre benedetto! O Salvatore, vulnerasti cor meum!

Tra i sacrifici offerti a Dio nell'antica legge, l'olocausto era il più eccellente, poiché per riconoscere la sovranità di Dio l'ostia era bruciata, consumata interamente sugli altari, senza serbar nulla; tutto era ridotto in cenere, in polvere, a gloria di Dio. Si potrebbe, mi pare, chiamare olocausti quelle anime, vittime di amore, perché senza nulla risparmiarsi, si consumano e periscono per Lui. Oh! Dio, quanto è glorioso finire in tal modo, quanto è proficuo morire con sì belle piaghe!

Eppure, eppure bisogna stare attenti: vi sono molti pericoli, molti inconvenienti; è meglio, molto meglio, non riscaldarsi tanto, moderarsi, e non rompersi la testa per rendere questa virtù sensibile e quasi naturale; perché infine, dopo tutti questi vani sforzi, bisogna rallentare, desistere; e, attenzione, attenzione a non disgustarsi del tutto, a non cadere in uno stato peggiore di quello in cui si era, in una pessima condizione da cui quasi mai si rialza. S.Paolo dice che è impossibile possa riaversi chi, una volta amate e gustate le dolcezze della devozione, ha perso poi questo diletto e si è annoiato260. Quando dice che è impossibile equivale a dire estremamente difficile, occorre che intervenga quasi un miracolo.

Ecco quello che spesso si guadagna a rompersi la testa, a voler rendere la virtù più sensibile; ecco quello che si guadagna: un disgusto per ogni specie di devozioni, disgusto per la virtù, disgusto per le cose più sante, da cui non si riesce a liberarsi se non con difficoltà e con pene inaudite. O Salvatore! ed è quel che capita, ordinariamente, a queste persone che si sforzano molto a danno della loro salute, ammalandosi, come sempre accade, poiché quella grande violenza conduce lì; bisogna necessariamente rallentare, non si può più continuare gli innumerevoli atti che che si facevano ogni giorno; tre o quattro bastano allora; e se ne faceva cinquanta, non se ne può più fare che uno o due e talvolta nessuno. Bisogna che uno s'astenga del tutto finché non si sia ristabilito, se pure, caso raro, si può riavere, rimanendo, di solito, malandato, per il resto dei suoi giorni, e con tutte le conseguenze.

Bisogna stare attenti a questo. Supplico i signori direttori, di vigilare in modo tutto particolare. Questo avviene da principio: quando si comincia a gustare le dolcezze della pietà. Non ce se ne può saziare, si crede di non averne mai abbastanza, vi si addentra troppo. Oh! è necessario che io abbia questa presenza di Dio, ma continua, è necessario che l'acquisti! Si è come presi alla gola, io non rallenterò, ci si fissa con un'ostinazione invincibile, fino, come dicevamo poco fa, ad ammalarsi.Oh! è troppo, è troppo!

Molto spesso, il diavolo ci tenta così: quando non può spingerci direttamente a fare il male, ci induce ad abbracciare più bene di quello che possiamo fare, e ci sopraccarica sempre finché siamo oppressi sotto un peso troppo grande, sotto sì grave carico.

Fratelli, le virtù stanno sempre nel giusto mezzo; ciascuna di esse ha due estremi viziosi; da qualunque parte si svii, si cade in uno di questi vizi. Ed è necessario

259 Ct IV, 9.260 Eb VI, 4.

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camminare diritto tra questi due estremi, affinché le nostre azioni siano lodevoli.Per esempio, la carità, della quale parliamo, ha questi due estremi cattivi, ossia: amare poco o nulla affatto, ed amare con eccessivo zelo e trasporto. Non pensarvi mai, non fare alcun atto o assai raramente, è trascuratezza, è pigrizia contro la carità, che non è mai oziosa; ma anche fare atti fino a scaldarsi il sangue e rompersi la testa, è eccedere in tal materia e cadere nell'altro estremo vizioso; la virtù sta nel mezzo; gli estremi non valgono mai nulla.

Prego dunque il signor (Delespiney) che ha cura del Seminario, di badare questo nelle comunicazioni; sì, signore, vi supplico di tener d'occhio ed avere mano ferma, affinché non si guastino la testa. Bisogna moderare quelli che hanno troppo fervore, per paura che eccedano, ma anche stimolare e svegliare quelli che non ne hanno, che non fanno alcun atto, con la scusa di non faticarsi; non dobbiamo lasciarci andare alla trascuratezza e diventare fiacchi. Orbene, questi rompimenti di capo vengono, di solito, da un desiderio smisurato di progredire, dall'amor proprio e dall'ignoranza, poiché ci si vuol rendere sensibili le virtù e le cose spirituali. Si vuole salire, d'un sol passo, ad un grado eminente di virtù, e non conoscendo l'infermità della nostra natura e la debolezza dei nostri corpi, si abbraccia più di quanto comportino le nostre forze e conseguentemente la povera natura, oppressa, torturata, geme, grida ed obbliga a cedere. Dobbiamo provvedere alle necessità della natura, poiché Dio ci ha assoggettati ad essa, e adattarci alla sua infermità. Dio vuol così; è tanto buono e tanto giusto che non esige di più; le nostre miserie le conosce abbastanza, ne ha compassione e, per sua misericordia, supplisce ai nostri difetti. Bisogna trattare con Lui molto alla buona, senza darci tanta pena; la sua bontà, la sua misericordia suppliranno a quello che ci manca.

Mi ricordo, su ciò, di una frase di Monsignor di Ginevra261, parole tutte divine e degne di un uomo sì grande: "Oh! non vorrei andare a Dio, se Dio non venisse ame". Mirabili parole! Non sarebbe voluto andare a Dio, se Dio non fosse andato prima a lui. Oh! come sgorgano queste parole da un cuore perfettamente illuminato sulla scienza dell'amore! E' così, un cuore veramente acceso di carità, che sa che cosa sia amare Dio, non vorrebbe andare a Dio, se Dio non gli andasse incontro e non l'attirasse con la sua grazia. E' una cosa molto diversa dal volere vincere ad ogni costo, e attirare a sé Dio a forza di braccia e di macchine. No, no, con la forza non si guadagna in tali casi.

Dio, quando vuole comunicarsi, lo fa senza sforzo, in modo sensibile, soave, dolce, amoroso; chiediamogli dunque spesso questo dono d'orazione e con gran fiducia. Dio, da parte sua, non cerca di meglio; preghiamolo, ma con gran fiducia, e siamo certi che alla fine ce l'accorderà, per sua infinita misericordia. Se non l'accorda subito, lo fa ben presto. Bisogna perseverare e non scoraggiarsi; se non abbiamo ora questo spirito di Dio, per sua misericordia, ce lo darà, se siamo costanti, forse fra tre, quattro mesi, forse fra un anno, due. Qualunque cosa avvenga, rassegnamoci alla Provvidenza, speriamo tutto dalla sua liberalità, lasciamola fare, non perdiamoci mai di coraggio. Oh! quando Dio, per sua bontà, concede ad uno una grazia, quello che gli sembrava difficile diventa tanto facile, che anche dove provava fatica, lì appunto, trova piacere, sì che egli stesso è giustamente meravigliato di questo insperato cambiamento. Hic est digitus Dei, haec mutatio dexterae Excelsi262. Allora si sente agevolmente alla presenza di Dio, gli diventa come naturale, non cessa mai, e tutto si compie con molta soddisfazione.Non bisogna sforzarsi, formare interiormente parole distinte, altrimenti si guasta lo stomaco; Dio capisce benissimo senza parole. Vede tutte le fibre del nostro cuore, conosce tutti i nostri sentimenti, anche il minimo.

261 San Francesco di Sales.262 Sal LXXVI, 11.

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O Salvatore, non abbiamo che d'aprire la bocca per manifestare i nostri bisogni; Voi udite il più lieve sospiro, il più piccolo moto dell'anima nostra, e con uno slancio dolce ed amoroso ci si attira ben più grazie e benedizioni, che non con quelle grandi violenze. O Salvatore, sapete che cosa il mio cuore vuol dire, esso si rivolge a Voi, sorgente di misericordia, vedete i suoi desideri: ah! essi non mirano se non a Voi, non aspirano se non a Voi, non vogliono altri che Voi. Diciamogli spesso: Doce nos orare263, dateci, Signore, questo dono di orazione, insegnateci Voi stesso come dobbiamo pregare. E' quanto Gli chiederemo oggi, tutti i giorni, con fiducia, con gran fiducia nella sua bontà".

130. CONFERENZA DEL 6 AGOSTO 1655SULLA POVERTA'264

"Questa materia è di tale importanza che stimo opportuno insistere su questo soggetto anche la prossima volta; ne parleremo anche venerdì prossimo, ed abbiamo ragione di sperare che la bontà di dio, la quale opera secondo la disposizione degli individui, ci farà anche maggior grazie; perché, come abbiamo detto, la povertà è quella che deve mantenerci. Che diventerà la Compagnia se l'attaccamento ai beni mondani vi s'insinua? che diventerà? I santi dicono che la povertà è il nodo che tiene uniti gli ordini religiosi. Noi non siamo religiosi; è stato conveniente che non lo fossimo, non siamo degni di esserlo, sebbene viviamo in comunità; ma si può dire che la povertà è il nodo delle comunità e sopratutto della nostra, che ne ha maggior bisogno delle altre; è questo che la stacca dalle cose della terra e l'unisce al suo Dio. O Salvatore, dateci questa virtù che ci leghi inseparabilmente al vostro servizio, in modo che non desideriamo e non cerchiamo che Voi solo e la vostra gloria! Orsù, Dio sia benedetto!Orbene, la povertà che professiamo è un voto semplice da noi fatto di abbandonare i beni del mondo per servire Dio, vivere in comune, e non aver nulla in particolare. Questo deve intendersi quanto all'uso; coloro che hanno benefizi li abbandonano e coloro che hanno altri beni di fortuna o li abbandonano o si rimettono al superiore per la disposizione dei frutti, e vivono tutti in comune. Così gli uni non sono più ricchi degli altri; quelli che hanno possessi, non ne dispongono personalmente, quantunque rimangono padroni dei fondi.

Se per disgrazia perdono tale spirito, e non vogliono rimanere nel posto in cui Dio li aveva messi, dopo averne ricevuto la dispensa dal Papa o dal superiore, riprendono, uscendo, il godimento dei loro beni e delle loro rendite.Dio sia benedetto! E' vero che se muoiono nella Missione, sia qui, sia nelle Indie, sia altrove, essi possono disporre dei loro beni come di una cosa appartenente a loro in proprio; senza il permesso dei superiori possono farne quello che vogliono, lasciarlo a chi meglio credono. Questo diritto sul patrimonio e sulle eventuali eredità non impedisce di vivere nella santa povertà.

Se abbiamo beni di fortuna, non ne abbiamo l'uso, e siamo in questo simili a Gesù Cristo, il quale, avendo tutto, non aveva nulla; era padrone e signore di tutta la terra, aveva creato i beni che vi sono, tuttavia volle, per amor nostro, privarsi dell'uso; sebbene fosse il sovrano del mondo, si fece il più povero di tutti gli uomini, anzi volle aver meno dei più piccoli animali: vulpes foveas habent: volucres coeli, nidos; Filius autem hominis non habet ubi caput reclinet265; ma il Figlio di Dio non ha una pietra dove riposare la testa. O Salvatore! O Salvatore! che diventeremmo se ci attaccassimo ai beni della terra? Che diventeremmo dopo l'esempio di povertà del Figlio di Dio? Ah!

263 Lc XI, 11.264 Recueil de diverses exhortations, p. 94.265 Mt VIII, 20.

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coloro che hanno ricchezze non ne desiderino l'uso, se vi hanno rinunziato; e coloro che non le hanno non cerchino di averle.

Sul principio della Chiesa quelli che desideravano essere sacerdoti abbandonavano i loro beni: Dominus pars hereditatis meae et calicis mei266. E' necessario che un sacerdote rinunzi a tutto per non avere altri che Dio solo, che Voi solo, o Salvatore! Eh! non ha abbastanza? non è giusto? deve pensare ad altro? Dominus pars hereditatis meae et calicis mei.

Sul principio dunque, si abbracciava la povertà per essere sacerdoti; ve n'erano pochissimi, non si facevano se non quelli necessari, secondo il numero dei benefizi. Quando un sacerdote moriva, quello scelto per succedergli nel benefizio prendeva gli ordini, dimodoché spesso ne era investito prima di essere sacerdote; ma infine fu giudicato opportuno, ed è stato conveniente, anzi necessario, che vi fossero maggior numero di sacerdoti. Perciò, sebbene non vi fossero benefizi, si era ammessi agli ordini a titolo patrimoniale e così si accrebbe il numero dei sacerdoti.Ora questo titolo è diverso secondo i luoghi, o meglio i vescovi chiedono più in un luogo che in un altro; a Parigi occorrono cinquanta scudi, altrove cento, in altri luoghi bastano ottanta; ve ne sono che si contentano di cinquanta lire, circa.

I sacerdoti dunque facevano una specie di voto di povertà sul principio, come S.Basilio, S.Girolamo, ed altri di cui non mi ricordo. Così pure i santi, i primi cristiani, non solo i sacerdoti, ma anche gli altri, abbracciavano tutti la povertà. O Salvatore! i primi cristiani facevano tutti il voto di povertà; nec quisquam, eorum quae possidebat, aliquid suum esse dicebat, sed erant illis omnia communia267; nessuno considerava quello che possedeva come esclusivamente suo, ma tutto era comune; vendevano i loro possedimenti e ne portavano il prezzo ai piedi degli apostoli, che lo distribuivano poi a ciascuno secondo il bisogno. Vediamo anche che taluno, avendo simulato di disfarsi dei suoi beni, fu severamente punito da san Pietro, il quale esercitò un atto di giustizia facendo morire Anania e, subito dopo, sua moglie. Li fece morire ai suoi piedi per la virtù di Dio che era in lui e, con l'autorità che essa gli dava, li punì immediatamente. San Basilio e San Girolamo, basandosi su questo atto di giustizia che san Pietro compì, facendo morire improvvisamente ai suoi piedi Anania e sua moglie, in presenza di tutti, davanti a tutta la Chiesa, ci assicurano che i primi cristiani facevano una specie di voto di povertà.

Qual felicità per la Missione potere imitare i primi cristiani, vivere come loro in comune e nella povertà! O Salvatore, qual vantaggio per noi! Chiediamo tutti a Dio di darci, per sua misericordia, il suo spirito di povertà. Sì, lo spirito di povertà è lo spirito di Dio; poiché disprezzare quello che Dio disprezza e stimare quello che Egli stima, cercare quello che Egli giudica buono e affezionarsi a quello che Egli ama, è avere lo spirito di Dio, il quale non consiste altro che nell'avere i medesimi desideri ed affetti di Dio, far propri i sentimenti di Dio. Ecco che cos'è lo spirito di Dio; amare, come Lui e i suoi, la povertà alla quale è opposto lo spirito del mondo, quello spirito di proprietà e di agi che ricerca la propria soddisfazione, quello spirito d'anticristo, sì, d'anticristo, non già di quell'anticristo che deve venire un po' prima di Nostro Signore, ma di quello spirito di ricchezza opposto a Dio, di quelle massime contrarie a quelle insegnate dal Figlio di Dio.Orsù, coraggio! evitiamo questo spirito di dannazione e preghiamo Dio di darci il suo, lo spirito di povertà; preghiamolo di conservarcelo, perché, grazie a Dio, vi è sempre stato nella piccola Compagnia; quello spirito di rinunzia a tutte le cose, che ci fa lasciar tutto per Iddio, che ci distacca dalle comodità, dai tempi e dai luoghi, qui e nelle Indie, oh! per grazia di Dio, questo spirito c'è nella Missione. Uno è mandato cento leghe lontano: egli si domanda: Quando partite, signore, per cento leghe da qui? -

266 Sal XV, 5.267 At IV, 32.

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Oggi, domani, stamattina stessa. - Con la medesima facilità si va anche a quattrocento leghe, a Roma.

O Salvatore! è il vostro spirito che fa questo, siete Voi che avete dato tale spirito alla Missione. Non ricordo di aver trovato nessuno; no, in trenta anni, ne ho trovato soltanto uno che si sia rifiutato d'andare in un posto o in un altro. Ah! Dio sia benedetto! Ma che pretendono quelli che vogliono sempre avere, e, qualunque cosa abbiano, non ne hanno mai abbastanza? Che pretendono? Lo so benissimo; vogliono godere! lo dirò?... Vi penseremo.

Le ricchezze sono chiamate mezzi, perché non si vogliono soltanto per averle, ma per avere qualche altra cosa; coloro che le cercano vogliono passare il tempo, stare allegri, acconciarsi, innalzarsi sugli altri. O Salvatore! forse così si è missionari? E' questo lo spirito della Missione? No, no, esso è fondato sulla povertà; e chi ha questo spirito ha tutto, può tutto, non teme nulla; e Dio non abbandona mai coloro che hanno lasciato tutto per Lui, aumenta le forze quando occorre, ne dà sempre delle nuove, come mi scrive il signor Mousnier dal Madagascar.

Signori e fratelli, chiediamo tutti questo spirito a Dio, chiediamogli che ci separi da tutte le ricchezze del mondo per unirci a Lui; questo spirito senza il quale è impossibile vivere in comunità, chiediamoglielo tutti assieme, ve lo raccomando; preghiamo a tale fine, durante questa settimana; forse, per grazia sua, ispirerà qualcuno, venerdì, che verrà ad infiammarci parlando dello spirito di povertà; intanto in questa settimana, cerchiamo il modo di ottenerlo. O dolce Salvatore, datecelo, ve ne scongiuriamo per i vostri meriti, concedeteci questo spirito che non ci farà cercare che Voi solo; proviene da Voi, dipende da Voi, datecelo dunque, ve ne supplichiamo umilissimamente. Ah! signori, chiediamolo bene; se l'avremo avremo tutto, e se morremo con questo spirito saremo felici. Quale onore, qual felicità e qual gloria morire come è morto il Figlio di Dio! Vi può essere cosa di maggior vantaggio? Si potrebbe desiderare una fine migliore o più gloriosa? Ed ecco come morremo, se vivremo nello spirito di povertà. Dobbiamo sperarlo dalla bontà infinita di Dio.

Continueremo venerdì il medesimo argomento, in nomine Domini ".

131. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 10 AGOSTO 1655SULL'OPERA DEI RITIRI268

"Raccomando alle preghiere della Compagnia un affare importante il cui esito non è sicuro; lo offriremo, se credete, a Nostro Signore, affinché si degni di benedirlo per sua misericordia".

Il signor Vincenzo raccomandò anche alle preghiere della Compagnia i signori Mousnier e Bourdaise, " che si trovano, disse, nell'isola del Madagascar e sono esposti, ogni giorno, a nuovi pericoli, affinché Dio si degni dar loro, per sua misericordia, lo spirito di S. Lorenzo, li faccia esser costanti, come quel gran santo, sino alla fine e possano superare tutte le difficoltà che incontreranno".

Raccomandò inoltre molte altre persone alle preghiere della Compagnia, tra le altre un eserciziante, e disse:

"Vi supplico, signori e fratelli, di ringraziare Dio del desiderio che dà a tante persone di far qui il ritiro: è una meraviglia; quanti ecclesiastici della città e della campagna che lasciano tutto per questo; quante persone ogni giorno si raccomandano d'esservi ricevute, e lo chiedono insistentemente molto tempo prima! Che gran motivo di lodare Dio! Alcuni vengono a dirmi: "Signore, è molto tempo che domando questa grazia; sono venuto tante volte qui per poterla ottenere"; altri: "Signore, devo

268 Recueil de diverses exhortations, p. 96.

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andarmene, sono impiegato, il mio ufficio mi chiama altrove, sto per partire, accordatemi questo favore"; altri: "Ho finito i miei studi, ed ho bisogno di stare un po' in ritiro e pensare a quello che dovrò fare"; altri ancora: "Signore, ne ho molto bisogno: oh! se lo sapeste, m'accordereste subito questa grazia".

Che grande favore! che grazia insigne Dio ha fatto a questa casa col chiamarvi tante anime ai santi esercizi e servendosi di questa famiglia come di strumento per istruire quelle povere anime! A che cosa dobbiamo pensare se non a guadagnare un 'anima a Dio, soprattutto quando essa viene incontro? Non dovremmo avere altro fine, non aver di mira altro che questo, che questo solo. Purtroppo! sono costate tanto al Figlio di Dio, ed Egli le manda a noi perché le rimettiamo nella sua grazia. O signori, badiamo a non rendercene indegni, affinché Dio non ritragga la mano dal nostro capo. Ve ne sono alcuni, accade anche questo, che non ne profittano per nulla, che vi sono condotti dalla necessità e non vengono se non per cercarvi sollievo; ma non per questo bisogna stancarsi di assistere gli altri; per qualcuno che non ne fa buon uso, non dobbiamo recar a tante anime buone che ne traggono gran profitto. Quali frutti, quali frutti meravigliosi! Ve l'ho già detto; oggi non vi citerò che un esempio. Nell'ultimo viaggio che feci cinqu'anni fa, in Brettagna, appena arrivato, un uomo ragguardevole venne e ringraziarmi della grazia che diceva aver ricevuto, per aver fatto qui gli esercizi. "Signore, mi disse, senza di essi mi sarei perduto, io vi debbo tutto; è quello che mi ha ridato la tranquillità, che mi ha fatto adottare un metodo di vita che osservo, per grazia di Dio, con piena soddisfazione. Ah! signore, io vi sono tanto obbligato che ne parlo ovunque, in qualunque compagnia mi trovi; dico sempre che senza il ritiro fatto, per vostra bontà, a S. Lazzaro mi sarei dannato. O signore, quanta riconoscenza vi debbo!": Ne rimasi stupito.

Ah! quanto saremo sventurati se, per la nostra infingardaggine, obbligassimo Dio a sottrarci questa grazia! Non tutti, è vero, ne profittano così; ma il regno di Dio non è composto di buoni e di cattivi? E' una rete che prende ogni sorta di pesci, buoni e cattivi; di tutte le grazie che Dio accorda, vi sono persone che ne abusano, eppure Egli continua ad accordarle; quanti ve ne sono che non hanno voluto approfittare della morte e della passione di Nostro Signore! O dolce e misericordioso Salvatore, vedete che la maggior parte non ne fa conto; e voi voleste morire egualmente, sebbene dinanzi ai vostri occhi vi fosse quella moltitudine d'infedeli che se ne burla, e un gran numero di noi che disprezza e calpesta il Vostro Sangue preziosissimo. Non v'è opera di pietà che non sia profanata, nulla di santo di cui non s'abusi; non bisogna desistere; col pretesto che alcuni se ne abusano, non bisogna essere infingardi e raffreddarci nei nostri esercizi, anche se tutti non ne approfittano. Qual perdita e quale sventura, se ci stancassimo di questa grazia che Dio ci ha fatto a preferenza di altre comunità, e privassimo Dio della Gloria che ne ritrae! Quale sventura! Guai a me, guai a chi, per pigrizia e timore di sacrificare i propri comodi, per la smania di godersela quando è tempo di lavorare, facesse intiepidire il fervore di sì santa pratica! Ma qualunque cosa accada, per colpa altrui, non dobbiamo rallentare: facciamoci sempre coraggio; Dio ci ha concesso questa grazia e ce la conserverà; anzi, ce ne darà delle migliori. Rianimiamo la nostra speranza, abbiamo un cuore saldo contro le difficoltà e un coraggio inflessibile; soltanto quel maledetto spirito di pigrizia ci scoraggisce alla minima contraddizione; non c'è disagio che non eviti, incarico che non tema, né soddisfazione che non ricerchi; questo amor proprio rovina tutto. Scacciamo lontano da noi questa infingardaggine; supplichiamo Dio di conservarci, per sua misericordia, quello che liberamente ci ha dato; è un gran dono da lui fatto alla Compagnia; preghiamo la sua bontà affinché non ce ne rendiamo indegni con la nostra negligenza; preghiamolo insistentemente.

O Salvatore, suscitate, suscitate in noi lo spirito di S. Lorenzo, che lo fece trionfare delle fiamme e della rabbia di tutto l'inferno; suscitate nei nostri cuori quel fuoco

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divino, quel fervore ardente che ci faccia trionfare di tutti gli ostacoli del diavolo e della nostra cattiva natura, opposta al bene; suscitate in noi un ardente zelo di procurare la vostra gloria in tutti i nostri uffici, affinché perseveriamo costantemente sino alla morte, ad esempio di quel gran santo di cui oggi celebriamo la festa; ve ne scongiuriamo per la sua intercessione".

132. CONFERENZA DEL 13 AGOSTO 1655SULLA POVERTA'269

"E' difficile, signori, comprendere bene l'importanza della virtù della santa povertà. E' il sostegno delle comunità; i santi Padri dicono che è il muro della fortezza di tutti gli Ordini religiosi; il loro bastone, questo che li difende e li conserva.

Piacesse a Dio, signori, che potessimo oggi capire bene quanto sia importante e quanto sia necessario avere un amore grande per la santa povertà! O Salvatore, fateci partecipi dei vostri lumi, ve ne supplichiamo, affinché possiamo conoscere questa virtù ed amarla. Ah! se potessimo scoprire la sua bellezza, se Dio ci facesse la grazia di svelarcela, chi di noi non sentirebbe il cuore infiammato dal desiderio di possederla? a chi non piacerebbe d'esser povero?

Orbene, signori, concluderemo stasera la conferenza sulla povertà, quale noi la professiamo, come voto semplice. Un'altra volta potremo discorrerne più particolarmente, se capita l'occasione, come di una virtù singolare; perché questa virtù ne comprende molte altre, e vi sono anche molti vizi che le fanno guerra. Ma per questa sera ecco quello che mi è venuto in mente pensando a ciò che deve indurci ad un'esatta pratica della povertà. Abbiamo dato la nostra parola al superiore, promettendo di osservarla rigorosamente. Siamo venuti con questa intenzione; a questa condizione siamo stati accettati; quindi ci siamo impegnati con la nostra parola dinanzi al superiore, ce ne siamo fatti un obbligo; la promessa è fatta. Non è vero, signori e fratelli, non è vero che quando siete venuti vi si è fatto presente ciò, vi si è detto: "Riflettete se potete praticare questa virtù, se potete osservare esattamente la santa povertà. Riflettete, pensatevi". Voi avete preso il tempo sufficiente, vi avete riflettuto davanti a Dio, ne avete fatto il proposito in sua presenza; non dico ancora che l'avete promesso a Dio, ne riparleremo tra poco. Avendovi dunque ben pensato e seriamente, avete creduto di poterla praticare, e avete detto: "Sì, signore, lo voglio, con la grazia di Dio e vi prometto di osservare in tutto e per tutto la santa povertà". Ecco a che cosa vi siete volontariamente impegnati, dopo una santa e seria riflessione.Non è vero, signori e fratelli, che è avvenuto così, e che il superiore vedendovi ben risoluti vi ha ammessi? Vorreste ora mancare alla vostra promessa, non mantenere la vostra parola, che gli uomini del mondo osservano con tanta fedeltà, e senza la quale un uomo non è uomo? Sì, un uomo che non sta alla parola non è uomo, di cui ha solo le apparenze, ma è una bestia, una bestia feroce che non merita che d'essere scacciata dalla società umana. O Salvatore! un uomo che non sta alla parola, che cos'è? E' il peggiore, sì, il peggiore, il più detestabile di tutti gli uomini. Ed il mondo stesso, che sopporta ogni sorta di perfidie, non può sopportare questa. L'uomo che non mantiene la parola data è detestabile davanti a Dio e agli uomini. Dio lo tratta come i suoi nemici, come le anime inique; sì, Dio tratta in tal modo coloro che vengono meno alla loro parola nelle cose del mondo: Declinantes in obligationes adducet Dominus cum operantibus iniquitatem270; adducet cum operantibus iniquitatem. Annovererà queste persone che non fanno alcun conto delle loro promesse nel numero dei peccatori; punirà la mancanza

269 Manoscritto delle Conferenze.270 Sal CXXIV, 5.

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alla loro parola come peccati, adducet cum operantibus iniquitatem. O Salvatore! se coloro che non mantengono la parola nelle cose del mondo son trattati tanto rigorosamente, come saranno dunque trattati quelli che mancano di parola in una cosa tanta santa? Coloro che smentiscono l'obbligo assunto di conservare la santa povertà, come saranno trattati, signori? O Salvatore, se punite come peccato la mancanza di parola nelle cose terrene, nei beni del mondo che stimate tanto poco e sono un nulla agli occhi vostri, quale rigore userete verso coloro che non mantengono la parola per la virtù che vi riguarda, che vi appartiene, che vi è propria, per la santa povertà? In quale categoria saranno essi? In quale categoria li metterete? Ah! Salvatore! Senza dubbio, nell'ultima di tutte, nella più vergognosa che possa immaginarsi.

Paventiamo, signori, paventiamo di tradire la parola data al superiore rispetto alla santa povertà. Sapete,signori, che nel mondo, quando un uomo ha mancato di parola rimane disonorato per sempre; è per lui un'infamia incancellabile. Qual motivo di confusione! Porta con sé, ovunque, il suo rimprovero, conduce ovunque il suo aguzzino; lo guardano con disprezzo; è mostrato a dito: guardate, eccolo quel bugiardo, quell'imbroglione, quell'impostore che, dopo aver dato la parola, non l'ha mantenuta! eccolo quell'ingannatore, venuto a farmi una promessa in casa mia, e poi se n'è urlato, ha tradito la sua parola; eccolo l'uomo da nulla, l'uomo senza fede! Ah! l'insigne imbroglione!

Orbene, se tra gli uomini si dice giustamente questo di chi non si cura di mantenere le sue promesse, che si deve dire quando, tra noi, taluno manca alla parola data al superiore in cose tanto sante e per la gloria di Dio e la sua salvezza eterna? Che se ne deve dire? che cos'è che non se ne deve dire? Qual confusione deve aver un uomo senza fede che ha tradito la Compagnia! Quale infamia maggiore che l'aver tradito la propria parola! Non credo vi siano tra noi persone di questo genere, indegne di ogni società, no, grazie a Dio, non lo credo. La prima ragione adunque che deve indurci all'amore della santa povertà, è la parola data al superiore e che se non s'osserva si è disonorato per sempre, si diventa il più tristo di tutti. Un uomo che non sta alla parola è un...

Dirò ancor di più: noi abbiamo fatto voto di povertà. Per prima ragione ho addotto che l'abbiamo promesso al superiore; ora, in secondo luogo, dico che l'abbiamo promesso anche a Dio; abbiamo dato la nostra parola a Dio medesimo, abbiamo protestato dinanzi a Lui che avremmo osservato religiosamente la santa povertà. Promettere a Dio, o Salvatore! Se siamo sì strettamente obbligati di compiere quello che abbiamo promesso a un Dio! Qual'è, signori, tale obbligo? Quanto è grande! Chi può comprenderlo? Avere impegnato la parola con Dio, con un Dio! Aver promesso la propria fede a Dio la cui maestà è immensa! Chi tra gli uomini e gli angeli può concepire qual valore abbia tale obbligo! E venirvi meno, tradirlo, burlarsene! O Salvatore! di quali supplizi non ci rendiamo degni!

Se è insopportabile essere chiamato ingannatore da un uomo di mondo, che sarà quando tutti gli uomini, tutti gli angeli, tutte le creature ci rimprovereranno la nostra perfidia? Che sarà quando Dio medesimo ci dirà: "Oh! eccoti! eccoti, dunque, ingannatore! eccoti, villano, mentitore, vile, che sei venuto in casa mia, sino ai miei altari, a darmi la tua parola per violarla poco dopo, perfido, che mi hai offerto un voto, che hai promesso sul mio altare per ingannarmi, traditore che ti sei arruolato sotto i miei stendardi per abbandonarli, passare dalla parte del mio nemico e servire il diavolo! Eccoti dunque, traditore, ah! traditore! traditore!". O signori, o fratelli, che ne pensiamo? Chi non ne sarà oppresso? Quali folgori terribili! Mancare di parola ad un Dio, e a un Dio sterminatore! Ahimè! signori, che faremo? Bisogna tremare e ricorrere alla sua infinita misericordia.

Ecco dunque, signori, le due ragioni che devono farci osservare il voto della santa povertà: abbiamo dato la nostra parola al superiore e a Dio. La terza, venutami in mente, è che senza tal virtù è impossibile vivere in pace in una comunità come la

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nostra; e non soltanto è impossibile vivervi bene, ma anche perseverarvi a lungo; è proprio impossibile. Dico dunque, signori, in terzo luogo, che è sommamente difficile, ossia impossibile, che una persona che ha in sé il desiderio di possedere possa disimpegnare tra noi il proprio dovere, vivere secondo le regole assunte, e adattarsi alle abitudini della Compagnia. E come lo potrebbe un uomo che non pensa se non ai suoi piaceri, a godere, a mangiar bene, a passare allegramente il suo tempo (ecco quello che vuole chi ha questo desiderio insaziabile delle ricchezze), come potrebbe una persona simile eseguire esattamente le funzioni della Missione? Non è possibile. La pratica della virtù, i regolamenti e il buon ordine della casa sono incompatibili con quell'affetto ai beni di fortuna e alla propria soddisfazione. E' molto difficile pensare contemporaneamente a due cose tanto opposte, è impossibile metterle insieme. Vediamolo, signori, vediamolo, se v'aggrada.

Lo spirito del missionario dev'essere di pensare innanzitutto alla propria perfezione. E' quanto ci raccomanda la nostra prima regola, secondo il principio della vera carità, la quale deve cominciare da noi stessi, con lo sbarazzarci dei nostri difetti e col farci acquistare le virtù inerenti al nostro stato e vocazione.

Guardiamo un poco come quest'uomo, che non aspira che alle ricchezze, può osservare questo comando? Chi vuol possedere, chi non è contento del suo stato, giorno e notte non pensa ad altro che ai mezzi di cui potrà servirsi per star bene: bisogna che li abbia a sua disposizione, gli sono necessari, bisogna trovare il modo di averli. Tutta la sua occupazione sta qui; quando è solo nella sua camera, vi fantastica sopra: "Staremo sempre così? No, no, non sarà a questo modo; quando avrò fatto questo, quando avrò ottenuto quello, quando saremo là, faremo questo, quello ed altro ancora". E mille altri pensieri, di cui quel povero cervello si preoccupa.

Di notte, sogna la medesima cosa; e quando si sveglia, quel pensiero gli torna per il primo. Si deve alzare alle quattro? "Ecco la campana che suona; avrò sempre quella campana importuna cucita alle orecchie? E' ancora buio; quell'orologio corre troppo; e che modo è questo d'alzarsi tanto di buon'ora? Non ho dormito bene stanotte; bisogna riposare un'altra ora. Ma sì, verranno a svegliarmi. Il signor Vincenzo che urla sempre, verrà; mi griderà (risvegliatore uggioso!): "Signore, che fate costì? Sono tutti all'orazione; soltanto voi siete ancora a letto. Che avete, signore? Alzatevi". All'orazione si dirà: "Dov'è il signor tale? Non c'è ancora; non viene più all'orazione; c'è sotto qualche cosa". E s'immagineranno di peggio.

Che avverrà? Forse si alzerà. Ed eccolo che tutto mesto si leva di fatto, ruminando nella testa cose di questo genere. Questo tale, si alza per amor di Dio? Niente affatto. E' per paura della vergogna che gliene verrebbe. "Che se ne dirà?", ecco quello che teme; ecco quello che lo fa alzare e andare all'orazione.

E all'orazione, pensate voi stessi, signori, che cosa può fare un uomo così ben disposto. O povera orazione! quanto sarai fatta male! E Voi, o Salvatore! o mio Dio! quali miseri colloqui avrete con quella persona! O s'addormenta, oppure pensa a tutt'altro che a quello cui dovrebbe pensare davanti a Dio, alla presenza di sua divina Maestà, dinanzi alla quale gli angeli tremano. Penserà, lo sventurato, ai mezzi di ben provvedersi; e quel sacro tempo destinato a conversare con Dio, lo passerà nel coltivare le sue passioni, nel pensare a bagatelle e forse a qualche cosa di peggio.

E il divin sacrificio? Non l'offrirà certo meglio, perché quei pensieri torneranno di nuovo. Ma come reciterà il suo ufficio? Come il resto, fra mille e mille distrazioni.

Se coloro che hanno lo spirito tanto lontano dalle esigenze del mondo, quanto il cielo dista dalla terra, e non fanno ogni giorno, che pensare come maggiormente liberarsene, non vi riescono mai del tutto, come, santa pazienza!, volete che coloro che hanno la loro mente e tutti i loro affetti rivolti alla terra ne siano esenti? Come può essere questo? E' impossibile, signori; lo vedete meglio di me.

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E come va la puntualità? Ah! Dio lo sa. E l'umiltà? Nulla vi è tanto contrario. E la carità degli uni verso gli altri? Il desiderio di avere, non fa pensare ad altri che a sé. E la pazienza, la dolcezza, l'affabilità, la compiacenza? E la semplicità tanto raccomandata? Dio lo sa. La castità? Dio lo sa. Come volete che un uomo che non pensa ad altro che ai suoi piaceri, che alla propria soddisfazione, che a divertirsi, e godere, come volete che quell'uomo possa praticare le virtù? Come? Tutto si oppone ai suoi desideri, in una comunità; tutto gli è di peso; non fa nulla se non a metà e per forza, se pur non è per contentare la vanità o la sua passione.

Si tratta d'andare in missione in un villaggio dove non sono altro che poveri contadini e donnicciole? Oh! il signore non si cura di andarvi. Se pensa che ne sarà pregato, fa provvista di scuse; non ne è mai a corto, e un povero superiore è obbligato a riceverle gemendo; che vi farebbe? Ma se è una missione considerevole, dove vi sia di che soddisfare la vanità, oh! questa sì fa per lui. Ne va a caccia; la chiede, fa tutto quello che può direttamente o indirettamente per esservi mandato. Vi sarà questi e quest'altro che mi sentiranno a predicare; vi saranno anche i tali e i tali, interverranno molte persone di merito e ragguardevoli ai miei discorsi, l'aristocrazia.Io farò meraviglie; si parlerà poi di me e si dirà: "E' un buon missionario, un ottimo predicatore, un brav'uomo". Ecco appunto quello che brama, ecco il cibo di cui quella povera anima si pasce. "Il signor tale lo riferirà, ed anche il signor tale; e la buona reputazione che lascerò della mia abilità servirà per ottenere questo o quest'altro, in questa occasione, o quell'ufficio".

O Salvatore! così si è missionario? E' un diavolo, non un missionario. Il suo spirito è lo spirito del mondo. Egli è già nel mondo con il cuore e con l'affetto, la carcassa sola è alla Missione. Cercare i propri comodi, procurarsi piaceri, vivere nell'abbondanza, farsi stimare, ecco lo spirito del mondo, ecco quello che egli desidera: ecco il suo spirito.

Ricordatevi, signori, che le ricchezze sono facoltà; sono mezzi, ossia si vuole averle per ottenere qualche altra cosa, e non c'è mai caso che un uomo le voglia, se non per servirsene per procurarsi onore e piaceri. Ecco perché si vuole averle. Orbene, come volete che un uomo che desidera questo, che non può, non vuol far nessuna delle nostre pratiche, che è già con il cuore e con l'affetto nel mondo, ed è qui soltanto con la sua carcassa, che vuole e cerca tutto quello che i secolari vogliono e cercano, possa perseverare nella sua vocazione? E' impossibile, lo vedete, signori; non vi è già più, v'è solo con il corpo. Dopo aver mancato di parola al superiore, dopo aver tradito la promessa fatta a Dio, non pensa più se non a contentare la sua passione e godersela a qualsiasi costo.

Che concluderemo ora da tutto questo, signori? che concluderemo, se non come l'apostolo e lo Spirito Santo concludono, che, cupiditas, radix omnium malorum?271 Non c'è male nel mondo che non provenga dalla maledetta passione di possedere. La cupidigia, l'avarizia, l'amore delle ricchezze, sono la sorgente di tutti i mali. Cupiditas, radix omnium malorum. Chi è soggetto a quella bramosia ha in sé il principio, l'origine e la sorgente di ogni male, radix omnium malorum. Non c'è nulla di cui un uomo, spinto da quel desiderio, ostinato in esso, non sia capace. Ha in sé quello che occorre per commettere tutto sfrontatamente. Non c'è delitto per enorme, insolito, orribile che sia, di cui un uomo avido dei propri interessi, non possa rendersi colpevole. Radix, radix omnium malorum, ecco il seme e la radice di tutto; radix, non cercate altra causa; è questa sola.

Se dico questo, non è già perché, per grazia di Dio, io sappia che vi sia qui qualcuno colpito da tal male; ma potrebbe accadere; lo dico ad praeventionem. Il Figlio di Dio diceva, molto tempo prima del male, ai suoi discepoli: " State in guardia; eccolo; vedo

271 1 Tm VI,10.

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che viene; è alla porta; premunitevi". Io voglio, se posso, fare lo stesso, affin di evitare quest'orribile mostro, il più spaventoso che l'inferno possa produrre. Se per ora non c'è, per bontà di Dio, nella Compagnia, può esservi ben presto. Venient ad vos in vestimentis ovium, intrinsecus autem sunt lupi rapaces272. Sotto miti apparenze, sotto la pelle d'agnello, può nascondersi il cuore di un lupo rapace. State bene attenti; ognuno vigili su se stesso; ve ne può essere.

La Compagnia di Nostro Signore, quella santa Compagnia, era composta di dodici soltanto, eppure ve ne fu uno colpito da questo male. Abbiamo un esempio spaventoso in quel disgraziato di Giuda, che dimostra chiaramente questa verità: cupiditas, radix omnium malorum; non c'è delitto per quanto enorme che un uomo avido di denaro non possa commettere. San Gregorio e i santi considerano con terrore questa spaventevole caduta di quel disgraziato di Giuda. Consideriamo un po' con essi per quali trafile quel peccato infame lo fa passare, per poi spingerlo nel più orribile di tutti. Aveva la borsa comune; tutto era alla discrezione sua e nelle sue mani; amministrava e faceva quello che gli pareva. Ma la brama di possedere lo faceva borbottare contro i compagni; si lamentava di tutto; s'irritava persino contro le persone che, con l'effusione dei loro doni, volevano onorare il Maestro, perché quello non entrava nella sua borsa; prendeva la parte sua; rubava il denaro della comunità e quello dei poveri. Che più? Gli dispiacevano anche le spese fatte per il Figlio di Dio. Poi andò con i nemici del§ suo Maestro; viveva e conversava con loro. E in queste compagnie, come dilaniava il suo Signore! O Dio! Lo faceva passare per impostore, per seduttore, per mago. Ed infatti, in seguito, fu trattato così. In una parola l'ha venduto come una bestia e il più indegno e scellerato degli uomini, lui stesso lo consegnò nelle mani dei suoi nemici, con la scusa dell'amicizia; dopo, se ne andò, e, tormentato dal rimorso del suo delitto, credé, il miserabile, credé che il suo Maestro non fosse abbastanza buono per perdonarlo. O dolce Salvatore! Dio di misericordia! Ecco la disperazione. S'impicca con le sue stesse mani. Impiccato, scoppiò e vomitò le sue maledette viscere. Il desiderio delle ricchezze gli aveva fatto concepire tanti delitti. Infine, cadde nell'inferno. Ecco Giuda dannato, ed ecco dove lo precipitò il desiderio di possedere, dopo averlo trascinato di delitto in delitto sino a commettere un deicidio, un deicidio! E dopo tal esempio non abbiamo ragione di temere, se un uomo scelto dal Figlio di Dio, vissuto sempre in sua compagnia, alla sua mensa, giunse a causa di questo vizio al colmo dell'abbominio?

Questo vizio, come gli altri, s'insinua insensibilmente. Sul principio si contenta di poco; piccole comodità, poi maggior libertà. Il leoncello cresce. Vengono i piccoli piaceri, poi dei più grandi, quindi bisogna ottenerli come Giuda; si usa ogni sorta di espedienti, giustamente ed ingiustamente, come Giuda che vendé il suo Maestro; e alla fine quella vipera diventa tanto furiosa che rode le viscere di colui che l'ha allevata e riscaldata nel suo seno.

Ve ne sono stati alcuni, e due tra gli altri, che uscirono di qui, attratti dal desiderio del denaro per godere a sazietà; non immaginatevi altre cause. Due, dunque, essendo usciti, dopo aver vissuto non so in qual modo, Dio lo sa, sono morti, come vi racconterò affinché vediate meglio le deformità di questo mostro. L'uno dopo aver condotto, o Dio, qual vita! morì, ma di una morte! lo dirò? No, è meglio che taccia. L'altro, essendo malato, ed in pericolo di morte, mandò a cercare un prete della casa. Questi vi andò. Ed essendosi confessato prima di morire, gli disse: "Ah! signore, tra tanti peccati che ho commesso, e di cui mi sento ora oppresso, sono sommamente tormentato, oltre che dal rimorso di avere abbandonato la mia vocazione, d'aver portato via, uscendo, 500 lire della Missione; ciò mi è causa di grande terrore. Purtroppo, signore, sono ora nell'impossibilità di restituirle. Abbiate pietà di me. Supplicate, ve ne prego, il signor Vincenzo, scongiuratelo in nome di Dio, riferendogli lo stato

272 Mt VII, 15.

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deplorevole in cui sono ridotto, di aver compassione dell'anima mia e condonarmi quella somma se muoio affinché l'anima mia possa esserne liberata. Ma se guarisco farò tutto il possibile per restituirle".

Cos'è mai questo? Portar via una somma tanto notevole, rubarla, ritenerla per tanto tempo! Guardate, quale avarizia! Ah! quanto è spaventoso questo mostro! Preso da compassione gliela regalai, se posso però regalarla. Ho detto questo, affinché vediamo meglio l'orrore di quella colpa, e di quel desiderio insaziabile di avere, che rovina tutto, distrugge tutto e non risparmia le cose più sante.

Poco fa pensavo dentro di me se era vero che la povertà fosse tanto bella, e qual dovesse essere la bellezza di una virtù che san Francesco chiamava la sua dama. Quanto è incantevole! Mi è parso che fosse dotata di qualità tanto eminenti, che, se potessimo avere il bene di venderla, sia pur poco, rimarremmo conquisi dal suo amore, non vorremmo mai separarcene, non lasceremmo mai e l'ameremmo assai più di tutti i beni del mondo. Oh! se Dio ci facesse la grazia di tirare la tenda che ci nasconde tal bellezza; oh! se alzasse, per sua bontà, tutti i veli che il mondo e il nostro amor proprio stendono davanti ai nostri occhi, oh! signori, saremmo subito rapiti dall'incanto di tal virtù che ha attirato il cuore e l'affetto del Figlio di Dio. E' stata la virtù del Figlio; vole averla per sé, l'insegnò per primo, volle esserne il maestro. Prima di Lui nessuno sapeva cosa fosse la povertà; era sconosciuta. Dio non volle insegnarcela per mezzo dei profeti; se la riserbò e vole insegnarcela Lui stesso. Nella antica legge non era conosciuta; solo le ricchezze erano stimate; non si faceva conto della povertà, perché non se ne conosceva il suo pregio.

Ce lo dice l'Ecclesiaste; ma eravamo nell'antica legge dove la santa povertà non era riconosciuta; la sua bellezza l'aveva fatta riserbare al Figlio di Dio che doveva predicarcela con le parole e con l'esempio. O Salvatore, misericordioso Salvatore, scopriteci Voi stesso, per vostra grazia, la bellezza di questa virtù, tanto esimia che Voi stesso siete venuto ad insegnarla.

Con essa, comincia tutti i suoi discorsi; in san Matteo, la mette la prima delle otto beatitudini; ne fa come la base della sua dottrina e della perfezione. Ad un uomo che aveva osservato tutti i comandamenti di Dio, disse: Si vis perfectus esse, vende omnia quae habes et da pauperibus273. Vendi i tuoi beni, lascia tutto, non riserbarti nulla: essa è la porta, l'ingresso della perfezione; ci mette in uno stato perfetto, non già che sia la nostra perfezione, ma perché è una disposizione necessaria per raggiungerla, e una condizione, uno stato per il quale bisogna passare e che bisogna avere per diventare perfetti; come, all'opposto, il desiderio delle ricchezze uno stato che ci apre la via larga e spaziosa ad ogni sorta di male. La povertà ci mette dunque in uno stato di perfezione; ma vediamo che cos'è questo spirito di povertà, che cos'è questa virtù e in che consista. Ecco il secondo punto.

Purtroppo mi sono dilungata soverchiamente sul primo. Il tempo passa. Ma farò presto. Vi prego, signori e fratelli, sopportatemi. San paolo diceva: Supportate me274, supportate me. Ve ne prego, sopportatemi in poco stasera; un poco di pazienza e finisco. Or dunque, la povertà è una rinunzia volontaria a tutti i beni della terra, per amor di Dio, per meglio servirlo e pensare alla propria salvezza; è una rinunzia, una cessione, un abbandono, un'abnegazione. Questa rinunzia è esterna ed interna, non esterna soltanto. Non bisogna rinunziare solo esternamente a tutti i beni: questa rinunzia deve essere interna, bisogna che parta dal cuore. Con i beni dobbiamo lasciare anche l'attaccamento e l'affezione ai beni, non avere amore alcuno per i beni perituri di questo mondo. Rinunziare esternamente alle ricchezze, conservando il desiderio di averne, equivale a non far niente, a prender la cosa in celia e ritenere per sé la parte migliore.

273 Mt XIX, 21.274 2 Cor XI, 1.

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Dio chiede prima di tutto il cuore, il cuore, ed è il principale. Di dove viene che uno che non possiede nulla possa aver più merito di chi ha grandi possessi ai quali rinunzia? perché chi non ha nulla va a Lui con più affetto; ed è questo che Dio vuole in modo tutto particolare, come vediamo negli apostoli.

Gli atti di questa virtù sono innumerevoli; oltre a quelli detti dal nostro fratello, prendo in considerazione soprattutto quelli concernenti l'alloggio, il vitto, il vestiario. Si può praticare la santa povertà in tutte queste cose; contentandoci di quello che Dio ci dà, come pure si può commettere peccato, non essendo contenti, lamentandoci, brontolando, mormorando. Ma, o Salvatore! qual giusto motivo possiamo avere di lamentarci in questo? che cosa ci manca? e chi, nel mondo, ha tutto quello che abbiamo noi qui? Abbiamo non solo di che preservarci contro il caldo e il freddo, ma anche, grazie a Dio, dai minimi incomodi.

Questa dimora è abbastanza vasta e comoda. Abbiamo bei giardini, un recinto. Eh! Dio! gli apostoli, i discepoli di Nostro Signore non avevano tutti i loro agi come noi. E il Figlio di Dio non ne era privo? Egli soffrì, come pure quelli che lo seguirono, la nudità, il freddo, il caldo, la fame e la sete. E noi che soffriamo? Nulla; non vogliamo soffrir nulla; non siamo contenti di questa casa, dei mobili che vi sono; occorrono camere ornate da drappi e seggiole imbottite, bei libri e bei mobili. Questo maledetto spirito di avere tutto ciò che può contentare la sensualità non è mai sazio.

Per ciò che riguarda il vitto, dove si trova pane migliore, vino migliore? dove migliori carni? migliore frutta? Che cosa ci manca? Quali sono gli uomini del mondo che hanno tutte queste cose? Ahimè! quanti ve ne sono,e di buona nascita, che non hanno quanto noi! Un consigliere del Parlamento se ne direbbe contento. I gentiluomini di solito non ne hanno di più, se si eccettuano forse quelli che hanno selvaggina e caccia. Conosco vescovi che vivono e si contentano di una porzione come noi. Vescovi! o Salvatore! che si deve dire di noi, dopo questo, se non siamo soddisfatti? Che vogliamo viver qui più comodamente, più splendidamente, più nell'abbondanza, mangiar meglio delle persone del mondo. Eppure vi abbiamo rinunziato! O Salvatore! Non so, grazie a Dio, che vi sia qualcuno che si lamenti; ma preveniamo il male; potrebbe accadere; preveniamo il male: ad praeventionem.

E' parimenti contro la santa povertà non essere contenti dei libri che si hanno; e, per bontà di Dio, ve ne sono qui abbastanza e di ogni genere. Si pecca pure contro questa virtù, ostentandone la proprietà, come se dovessero servire a noi soli; e questo avviene troppo spesso. Si prendono, si portano via i libri, ci si appropriano. E questo vizio si attacca a tutti, qualche volta anche a coloro creduti più virtuosi. Non sono ancor tre giorni che uno della Compagnia... lo dirò? un superiore di una casa mi notificava: Il signor tale, partendo di qui, ha portato via... Lo dirò? No, non devo dirlo; qualcuno potrebbe andare a pensare: "Chi è partito? chi è stato mandato?". E se dico questo è perché possiamo scorgere la mostruosità di questa maledetta avarizia e la bellezza di questa bella virtù, la santa povertà.

Vi sono pure molti altri atti, quelli detti dal nostro fratello ed una infinità ancora che tralascio.

Orsù, signori e fratelli, ora esaminiamoci; ognuno metta la mano sulla sua coscienza: guardiamo, non ho io soverchia affezione per questo e per quello? Se ciò fosse, se ci sentissimo colpevoli togliamo, togliamo questo spirito maligno, questo diavolo da noi. Se la nostra coscienza non ci rimorde in questo, ebbene! in nomine Domini! Dio sia benedetto! Dio sia benedetto! Ho finito. Un po' di pazienza per vedere qualche mezzo.

Il nostro fratello ha detto il mezzo dei mezzi; chiederlo spesso a Dio, pregarlo di darci questo spirito che gli è proprio e che Egli comincia ai suoi figli; fare spesso orazione a questo scopo, perché la povertà è un dono di Dio, un gran dono di Dio.

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Altro mezzo è di affezionarvisi servendosi di tutte le vie immaginabili. Ne abbiamo dato parola al superiore; l'abbiamo promesso a Dio; non possiamo far nulla senza la virtù della povertà. No, signori, no, fratelli, un missionario non sarà mai un missionario senza tal virtù. Consideratene spesso la bellezza; è la prediletta di Dio, la virtù propria del suo Figliolo, della Madre sua e dei suoi amici. Quest'orribile spirito di godimento e il desiderio di possedere, opposti ad essa, ci tolgono dal posto dove Dio ci ha messo, ci fanno venir meno alla nostra vocazione; perché le persone che escono di qui che cosa pretendono? Mettersi senza dubbio in uno stato più perfetto. Vogliono aver ricchezze per servire meglio Dio nel mondo. Saranno in una condizione più santa, vivranno più perfettamente nel mondo, perché il mondo è uno stato più perfetto. Come vedete, sono pretese loro. Piuttosto, vogliono appagarsi, cercare il piacere, vivere lautamente, mangiar bene. E' necessariamente per uno di questi due motivi, non c'è via di mezzo: si esce o perché nel mondo si sarà in uno stato più perfetto, o perché si avrà più libertà.

Il mondo è uno stato più perfetto; è la santità medesima; vi si vive meglio che non nel ritiro! Ma via! signori, vedete bene che è voler scherzare! Rimane dunque la smania della libertà e del godimento; ed ecco, vi dico, perché escono. Ricordatevene. Ecco perché alcuni sono usciti. In ciò possiamo vedere quanto il desiderio di possedere sia detestabile, e quanto la santa povertà amabile, perché ci mette e ci conserva in uno stato di perfezione al quale, senza il suo aiuto, non potremmo giungere. E' necessario per chi vuol seguire il Figlio di Dio cercare d'esser perfetto, quindi deve lasciar tutto. Vade, vende omnia quae habes et da pauperibus. E' la prima beatitudine, è la vera eredità che il Figlio di Dio ha lasciato in questo mondo ai suoi cari figli.

Un terzo mezzo, ottimo e di gran profitto, è di farne frequenti atti, ci ha detto il nostro fratello. Ne abbiamo sempre e ovunque l'occasione favorevole. Dobbiamo produrne tanto esterni che interni, almeno uno al giorno, un atto al giorno. Sì, mio Dio, rinunzio volentieri a tutti i beni del mondo; non voglio averli; sono ben lieto che questo mi manchi, poiché tale è la vostra volontà. E così ho lasciato, e vi rinunzio ancora di buon cuore, tutte le ricchezze che avrei potuto avere nel mondo, per amor vostro, o mio Salvatore, non per i parenti, ché, allora, sarebbe amare i parenti, non Dio. Mentre è per amor di Dio, e per Iddio, per Iddio che bisogna rinunziare ai propri possessi, non per arricchire i parenti. Coloro che avranno più devozione e spirito interiore potranno fare due atti di povertà tutti i giorni, anche tre, affinché l'anima sia pervasa dallo spirito della santa povertà da cui ci proviene ogni sorta di bene, e per mezzo della quale giungiamo alla più alta perfezione.

Orsù, Dio sia benedetto! Aver indicato questi mezzi, insieme con quelli che ognuno di voi ha pensato, basterà, poiché non avete il tempo di dire di più e io sono stato già troppo lungo. Signore e fratelli, chiederemo con un cuor solo a Dio questo spirito di povertà; e vi supplico, signore e fratelli, vi scongiuro per la povertà del Figlio di Dio, per le viscere della misericordia di Gesù Cristo, per tutto quello che vi è caro, di non lasciar passare alcun giorno senza fare qualche atto conforme alla santa povertà, di non mormorare, di essere contenti di quello che Dio ci ha dato. Oh! dovremmo essere contenti di soffrire per la santa povertà, di essere mali alloggiati, aver disagi in missione, qui, o altrove. Quanti uomini nel mondo, non hanno tetto! E' il Figlio di Dio stesso! Vulpes foveas habent et volucres coelis nidos; Filius autem hominis non habet ubi caput reclinet275. Tuttavia prego e raccomando, quanto posso, a coloro che sono incaricati alla cura della povertà, di provvedere alle necessità degli altri, di non far mai mancare nulla e domandare tutte le settimane premurosamente una volta, e piuttosto due volte che una, a ciascuno quello di cui a bisogno e di provvederlo; e vi supplico tutti di dirlo. L'incaricato di provvedere ai singoli sacerdoti, ne abbiano cura, a coloro che debbono pensare ai nostri fratelli, a quelli del seminario, in una parola a tutti coloro

275 Mt VIII, 20.

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cui è dato tale incarico, raccomando di essere molto diligenti e premurosi. Ma non tormentiamoci la mente nel pensare, come le persone del mondo, quello che avremo e quello che non avremo; viviamo senza sollecitudine, e pensiamo soltanto alla nostra salvezza eterna e a servire Iddio. Qual felicità essere liberi da tutte queste importune preoccupazioni, vivere in santa povertà e d'avere Dio nostro procuratore! Innamoriamoci di questa bella virtù, chiediamola spesso a Dio.

Sì, mio Signore, Salvatore misericordiosissimo, vi supplichiamo umilmente di concederci la grazia di praticare, per il resto della nostra vita, questa santa virtù che vi è stata propria e che siete venuto ad insegnarci. Vi scongiuriamo per le viscere della vostra misericordia, di concederci di questo spirito e renderci partecipi del grande amore che avete per questa virtù.

Prego i signori sacerdoti di celebrare secondo questa intenzione, e i fratelli di offrire la prossima comunione, affinché Dio, per sua misericordia, rivesti tale spirito su noi e su tutti gli Ordini che ne hanno bisogno. Speriamo questa grazia dalla sua bontà. Dio sia benedetto!".

133. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 16 AGOSTO 1655Come fare l'orazione - San Vincenzo annuncia che bisogna cominciare gli esercizi

di predicazione.276

Il signor Vincenzo prese l'argomento di parlare di quello che disse un fratello chierico cominciando a ripetere l'orazione, ossia che avendo cercato di mettersi alla presenza di Dio gli era venuto in mente severamente nostro Signore fosse nel santissimo sacramento dell'altare o se si trattasse di una favola. Allora il signor Vincenzo interrompendo questo fratello ribatté che quel modo di parlare non era conveniente, ne abbastanza rispettoso e che non bisognava parlare così e intrattenendosi in tali pensieri era dubitante in qualche modo della realtà di Nostro Signore Gesù Cristo nel santissimo sacramento. V'è? non v'è? Ora, questo è colpa grave.

"Ciò mi da motivo di dirvi, signori e fratelli, il timore che molti non facciano l'orazione come devono, ( eppure è uno dei mezzi migliori per arrivare alla perfezione) e non ci s'indugi troppo a cercare ragioni, citazioni, ad aggiustare, ordinare tutto; il che non è propriamente orazione, ma piuttosto studio. - Si dice dentro di sé: "Bisogna pure che si dica qualche cosa se sono interrogato", e così si perde il tempo ad ordinare quello che si deve dire. Orbene, fratelli miei, non bisogna far così.

Nei giorni passati, uno della Compagnia, venuto dalla campagna, mi disse che gli sembrava che la Compagnia si fosse intiepidita rispetto all'orazione e al modo di farla. Vedete, chi viene di fuori ed è stato qualche tempo assente dalla casa scorge i difetti molto meglio di quelli che non si sono mai mossi.

Vi ricordo che un giorno essendo andato a visitare il defunto signor di Marillac 277, il quale era un gran servo di Dio e uomo d'orazione, entrando nel suo gabinetto vidi subito una ragnatela sul crocifisso che stava sull'inginocchiatoio, e pensando che forse quel ragno aveva ordito la sua tela la notte precedente, ebbi la curiosità di avvicinarmi per vedere meglio, ma da qualche segno mi accorsi che vi era da qualche tempo; allora dissi tra me: "O mio Signore, senza dubbio questo gran servo di Dio è totalmente raccolto in se stesso ed è così compunto dinanzi alla Maestà divina, da non osare di guardar quaggiù in terra l'immagine di Colui che è in cielo, tanto è grande il rispetto e la riverenza che gli porta ". Ora, per riconoscere il mezzo di fare bene una cosa,

276 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione f° 27 v° .277 Michele di Marillac, guarda sigilli.

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dobbiamo considerarne i vantaggi e gli svantaggi, quello che può servire e quello che può nuocere; per esempio, nell'orazione. Ve ne dirò qualche cosa.

1° E' per una persona di grandissimo impedimento a ben fare l'orazione, recarvisi con negligenza e tanto per uniformarsi agli altri.

2° Nuoce parimente lo spirito di curiosità, che fa perder tempo ad investigare, richiamare alla mente molte citazioni per riferirle e far bella figura; questa è una cosa ben diversa dall''orazione, perché l'orazione si deve fare per diventar migliori, per correggersi dei difetti ed acquistare le virtù contrarie alle proprie mancanze. Da questa soverchia applicazione provengono i mali di testa e di stomaco. Ciò posto, la prima cosa da farsi nell'orazione è di mettersi bene alla presenza di Dio in uno dei quattro modi insegnati dal beato Francesco di Sales.

Un giorno, il commendatore di Sillery mi diceva, parlando di questo argomento, che un santo gli aveva detto278, che quello che l'aiutava maggiormente a far bene l'orazione, era mettersi subito risolutamente alla presenza di Dio, persuadendosi che Egli lo vedeva, l'osservava, aveva gli occhi fissi su di lui.

Quindi si fanno i soliti atti e si passa alla seconda parte dell'orazione, la quale ne è il corpo, e si considera il soggetto, sia d'una virtù o d'un vizio, o qualche mistero.

Per esempio, oggi abbiamo come soggetto di meditazione l'amor di Dio, le ragioni che abbiamo di amare Dio. Orbene, fratelli, non occorre moltiplicare le ragioni per stimolarci a questo amore, non occorre uscire da noi stessi per trovarle; basta considerare il bene che ci ha fatto e continua a farci ogni giorno; e per eccitarci ancor più Egli ce l'ha comandato. Vedete come questo soggetto infiammi di per sé la volontà.

Quando l'anima, nell'orazione, s'infiamma subito, che necessità ha di ragioni? Per esempio, quando una persona ha bisogno di luce nel luogo dov'è, che fa? Prende l'acciarino, fa fuoco e, nel medesimo tempo, avvicina l'esca e accende la candela. Quando ha fatto così è contenta; non batte più l'acciarino, non va più a cercare un altro per fare fuoco ed accendere, perché l'ha già, non ne ha bisogno, è già fatto, la luce che ha le basta per illuminarla. Parimente, appena un'anima comincia l''orazione, ha considerata una ragione e questa ragione le basta per infiammare la sua volontà del desiderio della virtù o della fuga del vizio, e per farle vedere la bellezza di quella o la bruttezza di questo, ditemi, ve ne prego, qual bisogno ha detta persona di cercare altre ragioni? Tutto il resto non servirebbe ad altro che ha stancarla e a farle venire il mal di testa e di stomaco.

Dopo ciò, che s'ha a fare? Basta limitarsi a questo, e contentarsi d'essere infiammati e convinti del soggetto che si medita? Certamente no, è necessario passare alle risoluzioni e ai mezzi di acquistare la virtù o di fuggire il vizio che si medita. Se è una virtù, esaminare di nuovo gl'impedimenti, le occasioni che possono farci cadere nel vizio contrario, scegliere i mezzi proporzionati e metterli in pratica, e questo, mio Dio, fino da oggi; voglio cominciare davvero, e perciò propongo di far questa e quest'altra cosa.

Ecco, signori e fratelli, come si devon fare le meditazioni; e soprattutto dobbiamo aver molta cura di ringraziare Dio dei pensieri che ci avrà dati; il ringraziamento è una disposizione a nuova grazia. Chiediamo a Dio, oggi, nella santa Messa e nella comunione, di concedere alla Compagnia la grazia di comportarsi così, e di concederle il dono d'orazione. Non contentiamoci di chiedere questo dono soltanto per noi, ma chiediamolo per tutta la Compagnia in generale.

Ecco il tempo in cui la Compagnia ha meno occupazioni del solito, essendo cessate le missioni. Durante questo tempo si è soliti esercitarci o nelle dispute o nella predicazione, comporre discorsi e comunicarceli fra noi, come facevamo quand'era qui

278 In nota: E' da credersi fosse il Beato Francesco di Sales.

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mons. d'Alet279, o nello spiegare la Sacra Scrittura. Ho pensato che faremmo bene ad esercitarci nella predicazione, per vedere come vi si comporta ognuno, perché un anno fa un tale predicava in un modo ed ora ha cambiato e predica ben diversamente, e così si vedrà quelli che vi si comportano come si deve. In passato si faceva qualche volta in refettorio; ma credo sia meglio farlo separatamente in qualche stanza, per riconoscere la capacità d'ognuno e vi assisteranno i sacerdoti e i chierici. Uno per volta si farà il turno, cominciando dai sacerdoti, si passerà poi agli studenti e ai seminaristi, che pure vi assisteranno. Comincerò io per il primo, poi il signor Portail. Domani non posso e neppure dopo domani, a causa di alcuni impegni; sarà, coll'aiuto di Dio, per giovedì, probabilmente dopo vespro, nella sala di san Lazzaro.

Venerdì scorso detti scandalo alla Compagnia, perché gridavo forte, battevo le mani, sembrava che l'avessi con qualcuno; di questo chiedo perdono alla Compagnia"280.

134. CONFERENZA DEL 20 AGOSTO 1655SUL METODO DA SEGUIRSI NELLA PREDICAZIONE281

"Euntes in mundum universum, praedicate Evangelium omni creature. Andate nel mondo, in tutto il mondo, in mundum universum, e predicate il Vangelo ad ogni creatura".

Sono le parole di Nostro Signore Gesù Cristo, prese da San Marco, cap. XVI.Mi sembra, signori, che queste parole dette da Nostro Signore agli apostoli, dopo la

risurrezione, prima di salire al cielo, siano dirette pure a tutta la Compagnia, e in particolare a quelli destinati alla predicazione. Ho provato, molto spesso, e la provo tutt'ora, una viva consolazione nel vedere che Dio ha concesso a noi, come ai suoi apostoli, la grazia di mandarci a predicare la sua parola in tutto il mondo. O Salvatore, abbiamo le medesime credenziali degli apostoli! Perciò vediamo, per divina misericordia, che ognuno se ne va con gioia a portare in capo al mondo questa parola. Non avete da dire altro che: "Signore, quando partite per l'Italia, per la Polonia?". Si è sempre pronti, grazie a Dio; si va dovunque, come gli apostoli, e si predica la parola divina, com'essi l'hanno predicata.

Gli apostoli, come predicavano? Alla buona, familiarmente, con semplicità. Ecco il nostro modo di predicare, così, come si fa comunemente, alla buona, con semplicità, familiarmente. E' necessario, signori, per predicare all'apostolica, ossia per predicare bene e utilmente, è necessario farlo con semplicità, con discorsi familiari, in modo che ciascuno possa capire e trarne profitto. Ecco come predicavano i discepoli e gli apostoli, ecco come predicava Gesù Cristo; è un grande favore fatto a Dio a questa povera e meschina Compagnia, se abbiamo la felicità d'imitarlo in questo.

Bisogna confessare, signori, che non dappertutto si osserva tal metodo; la perversità del mondo ha costretto i predicatori, per offrir l'utile insieme con il dilettevole, a servirsi di belle parole e concetti sottili, e ad usare quanto può suggerire l'eloquenza, per contentare in qualche modo il pubblico e frenare, come possono, la perfidia del mondo. Ma, o Salvatore, a che giova lo sfoggio di rettorica? Che frutto se ne ricava? Eh! si vede bene; se pur non accada che si voglia predicar se stesso. Dio ha voluto dunque, per sua misericordia, rivolgersi alla piccola Compagnia, a preferenza di altre, per darle il suo metodo. Questo metodo viene da Dio; gli uomini non v'entrano per nulla; e gli effetti ci fanno vedere che ce l'ha dato Iddio. Parlerò dunque di tal metodo

279 Nicola Pavillon.280 In margine: Nota. A tale scopo, il signor Vincenzo si è messo in ginocchio davanti a tutta la Compagnia, poi è andato a vestirsi per dire la Messa.281 Manoscritto delle Conferenze.

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di predicazione in questa conferenza, e continueremo gli uni dopo gli altri fino ai seminaristi, affinché ognuno possa impararlo.

La mia conferenza è dunque sul metodo di ben predicare; e affinché, parlando,possa osservarlo io stesso, divido il mio discorso in tre punti: nel primo vedremo i motivi che devono farci seguire questo metodo; nel secondo dirò in che consiste affinché lo conosciamo e possiamo in avvenire metterlo in pratica; nel terzo proporrò alcuni mezzi che potranno servirci ad acquistarlo.

Abbiamo bisogno per questo della grazia di Dio. O Salvatore, vi supplichiamo umilmente di spanderla su di noi; ve ne scongiuriamo, o Spirito Santo, per l'intercessione della Santissima Vergine. E poiché siamo qui in conversazione familiare, la saluteremo soltanto con il cuore; come vi prego di fare.

Il primo punto, signori, è sulle ragioni che abbiamo di adottare il metodo familiare di predicazione che Dio si è compiaciuto dare a questa piccola Compagnia. La prima ragione si desume dalla sua efficacia. perché questo metodo è sommamente efficace, sommamente efficace per illuminare gl'intelletti e muovere le volontà; per far vedere chiaramente gli splendori e la bellezza della virtù e l'orribile deformità del vizio, e per dare al mondo tutto quello che occorre per ritrarsi dal fango del peccato e mettersi nel bel sentiero della grazia e della pratica delle buone opere. Questa grande efficacia si manifesta facilmente se consideriamo quello che si opera mediante questo metodo. Vediamo, signori, i suoi effetti, vediamo quello che produce.

Dico che tal metodo contiene tutto quello che possiamo allegare per persuadere il mondo, non lascia nulla di quanto può servire a convincere e conquistare gli uomini. Oso affermare che non c'è modo di predicare più efficace, almeno che io sappia. No, lo ripeto, non c'è modo di predicare, oggi in uso, tanto adatto a conquistare i cuori e produrre grandi effetti. E non credere a me, ve ne prego, ma osservatelo da voi stessi, signori, considerate bene tutti i metodi che si usano nella predicazione, considerateli bene e giudicateli secondo verità, secondo quello che il cuore vi detta secondo la coscienza. Mettetevi una mano alla coscienza, davanti a Dio, e ditemi se v'è metodo più potente del nostro per toccare sul vivo e giungere al fine.

Seguendo questo metodo, s'espongono, anzitutto, le ragioni e i motivi che possono commuovere e indurre l'anima a detestare i peccati e i vizi e ad acquistare le virtù. Ma non basta che mi si esponga i grandi obblighi che ho di acquistare una virtù, se non so che cos'è questa virtù, in che consista. Vedo bene che ne ho molto bisogno e che questa virtù mi è necessarissima; ma, signore, non so che cos'è, né dove trovarla. Purtroppo, non la conosco, miserabile! Come potrò praticarla se non mi fate il favore d'indicarmela, insegnandomi in che principalmente consista, quali siano i suoi caratteri e gli atti suoi propri?

Ed ecco il secondo punto che spiega tutto.Poiché, secondo il nostro metodo, dopo i motivi che devono incitare i nostri cuori alla virtù, si fa vedere, in secondo luogo, in che consista tal virtù, qual sia la sua essenza e la sua natura, quali le sue proprietà, le sue attribuzioni, i suoi atti e anche quelli che le sono contrari, i suoi contrassegni e la sua pratica.Voi togliete i veli e scoprite pienamente la bellezza e lo splendore di tal virtù, facendo vedere familiarmente, semplicemente che cos'è, quali atti bisogna praticare in modo speciale, e scendendo sempre al particolare.

Orsù, ora vedo bene che cos'è, in che consiste tal virtù, le azioni nelle quali si trova, quali sono i suoi atti, mi sembra di aver ben compreso tutto questo; è una cosa buona e necessarissima; ma , signore, quanto è difficile! I mezzi di giungervi, i mezzi di mettere in pratica questa virtù, tanto bella, tanto desiderabile? Non so quello che devo fare, né qual via prendere. Che farò? - Alla buon'ora, signori! Credete voi, realmente, che basti aver detto ad una persona i motivi, averle dimostrato in che consista la virtù, se vi fermate e l'abbandonate a questo punto? Non so, ma candidamente non credo che basti; anzi, se la lasciate così senza indicarle alcun mezzo per praticare quello che le avete

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insegnato, credo, a parer mio, che non abbiate ottenuto molto; è una canzonatura, non si è fatto nulla, se si ferma lì; è una canzonatura. E lo vedete meglio di me, signori; come volete che io faccia una cosa, sebbene sappia che ne ho gran bisogno e desideri farla, se non ho alcun mezzo? Come volete che la faccia? E' una burla; non è possibile. Ma date ad un uomo i mezzi necessari, che sono il terzo punto del metodo, dategli i mezzi per praticare questa virtù, oh! allora sarà soddisfatto.

Che cosa gli mancherà più? Quell'uomo non ha tutto quello che occorre per lavorare all'acquisto della virtù? V'è ancora qualcosa da dire? No, più nulla che io sappia. Voi gli avete fatto vedere, innanzi tutto, i grandi vantaggi di questa virtù, i danni che derivano dall'esserne privi e tutti i mali che le si oppongono; gli avete fatto vedere la sua importanza e la sua necessità; inoltre gli avete dimostrato, fatto toccar con mano, che cosa sia, in che consista quella virtù, come si pratichi; infine gli avete mostrato i mezzi per acquistarla. Dopo ciò che rimane a fare per convincere ed indurre un uomo all'esercizio della virtù? Che rimane, signori? Ditemi, per favore, sapete se v'è altra cosa ancora? Lo sapete, signori? Ah! abbiate la bontà d'insegnarmelo.

Io non l'ho mai saputo, e non lo so proprio neppure ora, perché che cosa si fa, che cosa si adopera, quando si vuole convincere un uomo ad amare e praticare qualche cosa? Null'altro che questo: si ricorda i grandi vantaggi che ne derivano, gli svantaggi che porta il partito contrario; si fa vedere qual'è questa cosa, si dimostra la sua bellezza; e infine gli si mettono i mezzi in mano per acquistarla, e non rimane più nulla da fare. E non si fa altro per convincere e guadagnare un uomo, chiunque sia. Ed ecco cos'è il nostro metodo; ecco che cosa fa il piccolo metodo. Non bisogna andarsi a perdere in altre cose. Vi assicuro, in verità, che, sebbene vecchio, non conosco,non ho mai sentito dire che occorra qualche altra cosa per persuadere un uomo. Non sperimentiamo tutti i giorni che quando si adducono potenti motivi di far qualche cosa, l'anima nostra vi aderisce immediatamente, la volontà s'infiamma, non occorre altro, essa la vuole, vuole averla; non bramiamo se non le occasioni d'incontrarla e i mezzi di possederla. Non ne convenite, signori? Non è vero che avviene così e non altrimenti? C'è bisogno d'altro? O Dio! non lo so.Vedete bene dunque la somma efficacia del piccolo metodo, lo vedete bene, signori; ma affinché tale efficacia apparisca ancor più chiaramente e distintamente se è possibile, prendiamo una cosa usuale, un esempio familiare. Quando vogliamo persuadere un uomo a prendere un impiego, ad accettare un incarico, ad ammogliarsi, che si fa se non raffigurargli il piacere, il profitto e l'onore che gliene verrà, i grandi vantaggi che ne ritrarrà? - Se si vuol convincere un uomo ad essere presidente, che cosa si adduce a tale scopo? Non occorre altro che esporgli i vantaggi e il grande onore che accompagnano tal carica: "Un presidente, signore, è il primo della città; tutti gli danno la precedenza e riconoscono la sua supremazia; non c'è nessuno che non l'onori; la sua autorità gli dà molto credito nel mondo, nella giustizia; egli può tutto.O signore! un presidente! Non la cede ad un vescovo; gli stessi sovrani gli sono deferenti e lo tengono in gran considerazione. Un presidente! Può favorire, far piacere a chi gli pare, acquistarsi un buon numero di amici, farsi onorare dovunque. Oh! oh! signore, un presidente! è qualche cosa di grande". E gli si enumerano ancora tutti gli altri vantaggi d'un presidente.

E subito lo vedete ardere dal desiderio di avere sì bella dignità. E che cosa gli si riferisce per far nascere tale voglia? I vantaggi, come vedete, che si trovano in questa carica, le ragioni e i motivi che lo spingono ad accettarla. Ma si contenta di questo? Niente affatto; bisogna venire al principale: in che consiste l'ufficio di presidente, signore? In che consiste? Che bisogna fare in questa carica? Oh! Che cos'è? "Voi siete il primo ufficiale della giustizia, di questo grande e onorevole corpo; ne siete il capo; non dipendete da nessuno; distribuite gli incarichi; raccogliete voi i voti degli altri e pronunziate il giudizio". Ecco, press'a poco, quanto gli si espone insieme con le altre funzioni della carica.

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Ecco un uomo che desidera di essere presidente e che sa già in che consista. Ma ciò non gli serve a niente se non gli si suggeriscono i mezzi per ottenere un tal posto; ed avrebbe ragione di sdegnarsi e lamentarsi di quel consigliere impertinente che gli avesse insinuato un desiderio simile, senza suggerirgli i mezzi per effettuarlo. Ma se chi dà il consiglio suggerisce anche i mezzi: "Signore, voi avete tanta rendita da questa parte, tanto denaro dall'altra; là prenderete questa somma e qui quest'altra; conosco io poi il signor tale che ha questa carica da vendere; anche il signor tale è mio intimo e pure suo amico; farò in modo che parli con lui; ce l'intenderemo bene; faremo così e così, otterremo questo e quello". Ecco come si rende un buon servizio ad un uomo, mettendolo sulla buona via per diventar presidente, mentre se fosse lasciato senza indicargli i mezzi per acquistare tal carica, dopo avergliene indicati i vantaggi e avergliela fatta conoscere, non si sarebbe fatto altro che turbare la tranquillità di quell'uomo e metterlo in angustie. Non c'è nulla al mondo di cui si voglia persuadere qualcuno e per cui non ci si serva di questi mezzi; è il modo più efficace al quale non è possibile resistere se si ha la mente sana.

Signori, lo stesso avviene per le cose spirituali; per farle accogliere dalla volontà dell'uomo, non conosco altro espediente che mostrargli chiaramente i vantaggi che ne derivano, in che consistono e che bisogna fare per ottenerli; perciò non si trova animo ben fatto che non si arrenda a motivi sì potenti. E chi potrebbe resistere a questo metodo, che contiene in sé tutto quello che può indurre gli uomini a perseguire qualche cosa: i vantaggi e gli svantaggi che ne derivano, in che consiste e i mezzi per ottenerla? Quanto a me, non scorgo metodo migliore, e sono quanto mai persuaso di questa verità. Eh! chi non lo vede? E' tanto evidente che bisognerebbe esser ciechi per non vederlo. O Salvatore! Ecco, signori, il primo motivo che abbiamo di praticarlo: la sua efficacia, la sua somma efficacia.

La seconda ragione è che questo è il metodo di cui Nostro Signor Gesù Cristo medesimo volle servirsi per esporci in maniera convincente la sua dottrina; e con questo metodo parimente gli apostoli hanno annunziata la parola di Dio a tutto il mondo. O Salvatore! è il vostro metodo, o Salvatore! Sì, signori, è il metodo di cui Nostro Signore si servì per annunziare agli uomini il Vangelo. O Salvatore! E il Figlio di Dio, il quale era la parola e la sapienza eterna, volle trattare la sublimità di quei misteri con modi di parlare apparentemente bassi, comuni e familiari. E noi avremo vergogna? Temeremo di perdere il nostro onore, comportandoci come il Figlio di Dio? O Salvatore!

Ma dov'è che il Figlio di Dio si è servito di questo metodo? Nel Vangelo, nel Vangelo. Vi trovate i tre punti del metodo osservati nei suoi discorsi. Orsù, vediamo, vediamo come. Quando Gesù Cristo predica... che cosa? la povertà,ad esempio, Egli la pone prima fra le beatitudini, e con essa comincia tutto il suo discorso: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum coelorum282; beati i poveri di cuore e di affetto, perché di loro è il regno dei cieli. Ecco la prima ragione che il Salvatore del mondo porta per indurre gli uomini all'amore della povertà; Beati pauperes; i poveri sono beati. Forte ragione per amare la povertà, poiché ci dà la felicità! Ma su che si basa questa beatitudine? Eccolo, in una seconda ragione che conferma la prima: Quoniam ipsorum est regnum coelorum283, perché il regno dei cieli è loro. E, date queste ragioni, insegna che cos'è la povertà. Quando quel giovane andò a trovare Nostro Signore per imparare da Lui quello che convenisse fare per esser sicuro di salvarsi, Gesù gli disse: Vende omnia; vendi tutto, non riserbarti nulla. Ecco quel che dice e spiega perfettamente in che consiste la povertà: in una perfetta rinunzia a tutti i beni della terra, rinunzia intera;

282 Mt V,2.283 Mt XIX, 21.

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vende omnia. E ai suoi discepoli espone anche i mezzi per farlo, quando poco dopo aggiunge: è più difficile di..., che dico? 6 più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri in paradiso; la porta è molto stretta, e queste persone gonfie e cariche di ricchezze non possono passarvi. Mezzo potente, mezzo potente che trascina seco gli animi. Colpisce con violenza e pone davanti alla necessità della propria salvezza; non è raggiungibile quando si ha il cuore avido di ricchezze. Mezzo potente per fare abbracciare la povertà!

Ed ecco, signori, tutto il metodo dei discorsi di Nostro Signore. Egli espone, come vediamo, le ragioni, gli atti, che cos'è, e fornisce potenti motivi.

Veniamo agli apostoli; come hanno inculcate le verità del Vangelo? Predicandole in uno stile semplice, familiare e popolare. L'osserviamo in tutti i loro scritti; non in persuasibilibus humanae sapientiae verbis284; non adoperiamo le sottigliezze dell'eloquenza per attirarvi dalla nostra parte; non vi lusinghiamo con belle e piacevoli parole; non ci serviamo dei sofismi della prudenza umana; non in persuasibilibus humanae sapientiae verbis; non vi abbiamo esposto se non quello che è necessario per darvi una semplice conoscenza della virtù, racchiusa nella fede che vi predichiamo, trattando con voi con semplicità, senza cercare di cogliervi con raggiri, ma alla buona, affinché vediate, non per l'abilità e l'industria dei nostri ragionamenti, ma per la virtù di Dio, che splende nella bassezza e nella semplicità, la verità dei misteri che siamo venuti a predicare; non in persuasibilibus humanae sapintiae verbis, sed in ostensione spiritus et virtutis.

Dopo gli apostoli, tutti gli uomini apostolici, venuti di poi, hanno adottato il loro metodo, predicando familiarmente, senza quel fasto d'eloquenza tanto pieno di volontà. Signori, chi dice missionario, dice apostolo; è dunque necessario che ci comportiamo come gli apostoli, poiché siamo mandati, come loro, ad istruire i popoli; e dobbiamo andarvi alla buona, con semplicità, se vogliamo esser missionari ed imitare gli apostoli e Gesù Cristo.

La terza ragione in favore del piccolo metodo, è la considerazione dei grandi frutti ricavati servendosi d'esso nella predicazione. Non finirei mai se dovessi raccontarvi anche la minima parte di quello che Dio si è compiaciuto operare con questo metodo. Ne abbiamo tanti esempi che non terminerei davvero stasera. Prendiamone soltanto uno o due, per potere far meglio conoscere i vantaggi del piccolo metodo. Eccone uno che non ha eguali, di cosa mai sentita dire fin qui; anch'io, che ho i capelli bianchi, non ho mai sentito che un predicatore, chiunque sia, abbia ottenuto questo. O Salvatore! o Salvatore! i banditi, molti di voi, signori, lo sanno, i banditi sono i ladri d'Italia; battono la campagna, rubano e saccheggiano dovunque; uomini delinquenti, assassini; si commettono molte uccisioni in quel paese, a causa delle vendette che colà sono all'ultimo sangue; si mangiano gli uni gli altri, senza perdonarsi mai, tanto sono arrabbiati. Tal sorta di gente, dopo essersi sbarazzati dei loro nemici, per sfuggire alla giustizia, ed anche a molti altri malvagi, stanno nelle campagne, abitano i boschi per rubare e spogliare i poveri contadini. Si chiamano banditi e sono tanto numerosi che l'Italia ne è piena; vi sono pochi o quasi nessun villaggio dove non vi siano. Orbene, essendosi fatta la missione in qualcuno di questi villaggi, i banditi che vi erano, lasciarono quel maledetto modo di vivere e si convertirono, per grazia di Dio, il quale volle servirsi in ciò del piccolo metodo. Cosa inaudita, inaudita! Non si eran mai visti, in nessun caso, i banditi abbandonare le loro ruberie. Ed ecco, signori, quello che Dio si è compiaciuto operare, mediante questa povera e meschina Compagnia, predicando secondo il piccolo metodo. O Salvatore! non è vero, signor Martin, i banditi, in Italia, non si sono convertiti nelle nostre missioni? Voi vi eravate, non è vero? Siamo qui in conversazione familiare; diteci, per favore, come avvenne.

284 1 Cor II,4.

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- Il signor Martin: - Sì, signore, è proprio così; nei villaggi dove facemmo la missione, i banditi, come gli altri, vennero a confessarsi; e ciò avviene quasi sempre.

- Salvatore; cosa prodigiosa! I banditi convertiti con le prediche fatte secondo il piccolo metodo! O signori! i banditi convertiti!

Ma ecco un altro esempio non meno mirabile. Qualche tempo fa, mi scrivevano da L'Ausun, che si era fatta la missione a... E' un villaggio in riva al mare. Di più erano i seminaristi, sì, seminaristi quelli che fecero questa missione. Vi era forse qualche altro; ma vi erano di certo due seminaristi, senza dubbio insieme a qualche altro. Una nave era naufragata su quella costa; la mercanzia e tutto il carico di essa fu portato sulla riva; tutto il villaggio di cui vi parlo e dintorni vi accorsero come al saccheggio, e portarono via tutto quello che poterono prendere: chi, una cassa, chi stoffe, chi altre masserizie, insomma ognuno prese quello che gli capitò, senza alcun scrupolo. Era un rubare a poveri e disgraziati mercanti che avevano fatto naufragio. Tenendosi adunque la missione in quel villaggio e usando il piccolo metodo, si determinarono a restituire tutto. Gli uni riportavano le casse, gli altri le stoffe; altri il denaro, altri non potendo soddisfare sul momento assumevano un'obbligazione, quella buona gente sottoscriveva un'obbligazione.

Ecco, signori, gli effetti del piccolo metodo! Andate a trovarne eguali in quel modo ricercato, in quel grande apparato e quella vana pompa di eloquenza; trovatene dei somiglianti! A mala pene si vede convertirsi uno solo dopo uno o più avventi e quaresime di simili predicazioni. Lo vediamo a Parigi. Quali restituzioni avvengono per tutte queste prediche eloquenti? Non lo vedete, signori, quanto sia piccolo il numero di coloro che si convertono? Ahimè! difficilmente se ne troverà uno, uno solo. Tuttavia per la grazia che Dio si è compiaciuto concedere a questa meschina Compagnia con il suo piccolo metodo, una missione produce sì gran frutto e sì mirabili conversioni, che non se ne sono mai viste né sentite raccontare di simili. Infine, signori, cito a conferma l'esperienza, la vostra stessa esperienza, signori. Quali frutti non avete ottenuto dovunque avete predicato, secondo detto metodo? Quali conversioni non si sono viste? L'uomo e la donna che vivevano male sono venuti da voi: - "Ah! signore, rinunziamo alla nostra disgraziata relazione! Ah! signore; da questo momento ci separeremo per sempre! Ah! signore, vi prometto che non la vedrò mai più!". Oh che cos'è? che cos'è? I rancori, le inimicizie inveterate, e per le quali sembrava ormai non vi fosse più rimedio, le più grandi divisioni non sono state placate per la forza che Dio ha dato alle vostre prediche, fatte secondo il metodo? Insomma, non vi sono peccatori che non siano rimasti colpiti dalla grazia mediante il piccolo metodo, e non siano venuto a gettarsi ai vostri piedi, invocando misericordia. Lo sapete meglio di me; non vi dico nulla che non abbiate veduto o fatto anche di più.

O Dio! quali frutti ha prodotto questo metodo dovunque è stato applicato! Quali progressi! E quanto sarebbero più grandi se io, miserabile, non li avessi impediti con i miei peccati! Ahimè! miserabile che sono! Ah! ne chiedo umilmente perdono a Dio. O Salvatore! perdonate a questo misero peccatore, che guasta tutti i vostri disegni, che vi si oppone e li contrista sempre, perdonatemi, per la vostra infinita misericordia, tutti gli impedimenti che ho posto ai frutti del metodo che ci avete ispirato, alla gloria che avreste ricevuto senza di me, miserabile. Perdonatemi lo scandalo che do in questo come in tutto quello che concerne il vostro servizio. E voi, signori, perdonatemi, ve ne prego, il cattivo esempio che vi do sempre; ve ne domando perdono.

L'ultima ragione, che concreto in due parole, è presa dalla nostra salvezza eterna, per la quale siamo qui e al mondo. Ahimè! signori, quale timore ho! V'è molto pericolo per quei poveri predicatori che si limitano a bei concetti, all'artifizio dei pensieri ed all'uso delle parole di moda, non tenendo conto di quanto sarebbe più proficuo. Ah! quanto temo per quella gente! Ma quello che più mi spaventa in proposito è la Sacra Scrittura; voi ne sapete tutte le parole, io non le so, ma conosco il concetto, ed eccolo;

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un profeta esclama: Guai a colui che, stando in un luogo elevato, vede il lupo rapace entrare nell'ovile, e, alla vista di quel nemico, non grida con tutte le forze: "Salvatevi, ecco il nemico, salvatevi, salvatevi!". Guai a costui, se non grida quanto può: "Salvatevi!". Ed ecco appunto quello che fanno questi predicatori che non considerano innanzi tutto il profitto del loro uditorio; sebbene vedano il nemico, non ne fanno parola: cantano ariette graziose, invece di gridare con la tromba: "Stiamo per perderci, ecco, ecco il nemico, salviamoci, salviamoci!".

Ah! signori, noi siamo fortunati, perché il nostro metodo ci distoglie da tali pericoli, ma guai, guai se lo disprezziamo! Stiamo attenti a non esporci, per contentare in questo punto la vanità, alla maledizione del profeta: ve, ve; guai a costui! Eh! perché salire in pulpito e perché predicare, se non per aiutare il mondo a salvarsi, per gridare: "Ecco il nemico, eccolo, state attenti, salvatevi, salvatevi!". Pervertendo l'uso della parola di Dio, servendosene per comparire, per farsi stimare, affinché si dica: "Ecco un uomo eloquente, di grande capacità; egli ha genio, erudizione"; ahimè! non incorreremmo nelle maledizioni rivolte ai falsi profeti? Dio, alla fine, non ci abbandonerà, per aver abusato delle cose più sante, pur di accontentare un poco la nostra vanità, avendo adoperato il mezzo più efficace di convertire le anime per appagare la nostra ambizione? Purtroppo, signori, v'è gran motivo di temere e, sto per dire, di disperare di quelle persone che tramutano il rimedio in veleno, che non hanno altro metodo, nel trattare la parola di Dio, all'infuori di quello fornito dalla prudenza della carne, dal loro gusto, dalla moda, dal capriccio! E Dio voglia che non sia la vanità e l'orgoglio! Dio voglia che non sia l'orgoglio! O Salvatore, non permettere che alcuno di questa povera Compagnia, tutta dedita al vostro servizio, cada in un pericolo sì grave, che abusi della vostra santa parola! No, Signore, lo speriamo dalla vostra bontà, non permettetelo per vostra misericordia.

Abbiamo dunque visto quattro ragioni per le quali dobbiamo prediligere il metodo di predicare che Dio si è compiaciuto dare alla Compagnia. Il primo motivo è la sua grande efficacia, perché non lascia nulla di quanto occorre esporre per persuadere; ciò che gli altri metodi non fanno, almeno sì efficacemente. Il secondo, è il modo di predicare di Nostro Signore, seguito poi dagli apostoli. Il terzo per i suoi effetti meravigliosi; produce molti frutti, secondo l'esperienza che ne avete avuto voi tutti. Infine il gran pericolo di dannarsi a cui ci si espone facendo diversamente, con meno profitto degli uditori. Non ci fermeremo di più su questo soggetto; voi sapete, signori, tutte queste cose meglio di me, e le direste molto meglio di me, con più forza ed efficacia. La parola di Dio nella bocca di un profano come me, miserabile, non produce alcun effetto. Non c'è dunque nulla, dopo questi motivi che abbiamo esaminati, non c'è nulla, se non, forse, i miei grandi difetti, che possa impedire di affezionarsi sinceramente al piccolo metodo. Ve n'è un'altro più adatto, più comodo, e migliore, signori? Se lo sapete, fate il favore di dirmelo; ditemelo, signori, ve n'è uno migliore? Quanto a me, non ne conosco, e voi tutti, ne sono sicuro, ne siete ben persuasi più per quello che sapete voi stessi, che per quello che vi ho detto io. Soltanto io, miserabile, guasto sempre tutto, non so adottare questa santa pratica, ma con lo aiuto di Dio cercherò d'impararla e d'imitare taluni della Compagnia, a cui particolarmente Dio ha concesso tal dono e che osservano meravigliosamente questo santo metodo.

Veniamo al secondo punto. In che consiste il metodo del quale parliamo? Che cos'è, che cos'è il metodo? E' una virtù che, nelle nostre prediche, ci fa osservare un certo ordine e uno stile comprensibile a tutti ed a maggior profitto degli uditori. Ecco che cos'è, ecco la sua essenza, la sua natura.

E' una virtù; il nostro metodo è una virtù, una virtù, un ordine; ma sembra che la parola "ordine" sia troppo estesa, non abbastanza esatta; latius patet; diciamo dunque una virtù, perciò stesso che è un ordine, perché la virtù è nell'ordine, ma qualunque ordine non è sempre virtù. Ecco perché dico che il nostro metodo è una virtù, perché la

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virtù ci dispone a far bene, ed anche questo metodo ci dispone al bene, dal momento che osservandolo predichiamo utilmente per tutti e ci adattiamo alla capacità e alla comprensione dell'uditorio. Il nostro metodo è parimente una virtù perché è figlio della carità, regina delle virtù. La carità fa che ci adattiamo a tutti, per essere utili a tutti, e il metodo, che prende tal lezione dalla carità, fa lo stesso.

Dal resto, non so bene neppure io in che consista questo metodo; ma, signori, credo che voi tutti lo sappiate, grazie a Dio, e ne conosciate le sue proprietà. Ci fa andare alla buona nei nostri discorsi, il più semplicemente possibile, familiarmente, in modo che il più meschino dei nostri uditori possa intenderci, senza tuttavia servirci di un linguaggio scorretto o volgare, ma di quello in uso, con chiarezza, purezza, semplicità; niente affettazione. E così, non ricerca altro che il bene e il vantaggio degli uditori; stimola, istruisce, riscalda, distoglie facilmente dal vizio, induce all'amore della virtù e produce i migliori effetti dovunque è ben impiegato.

- Ma, signore, consiste in questo il metodo?-Sì, signori, gli effetti, le proprietà e la definizione, la natura, ecco in che consiste

esattamente e principalmente il metodo; ma siccome non abbiamo il tempo di dire le cose in particolare ed io stesso le ignoro, io, miserabile, che sono giunto a questa età senza potere imparare questo metodo, a causa della mia pigrizia, della mia stupidità, della mia buaggine, talmente sono rozzo e stupido, un bestione, una bestia cocciuta, ah! povera bestia! Il signor Portail, che deve parlarci domani, ce lo spiegherà minutamente e c'insegnerà come dobbiamo comportarci per praticarlo bene. Egli avrà la bontà di farlo. Il suo discorso sarà su questo metodo, ne lo prego: lo sa bene, lui, e avrà la cortesia d'insegnarcelo.

Che è? I tre quarti. Signori, sopportatemi un altro poco, vi prego, sopportatemi, miserabile. Diciamo dunque qualche cosa sul terzo punto; vediamo qualche mezzo per seguire un metodo tanto utile. Oh! è molto facile adottarlo per un uomo che non ha altra mira all'infuori della gloria di Dio e della salvezza delle anime! Quando si vuol riferir tutto a questi fini è facile seguire il metodo fatto apposta per questo. Ma se si vuol farsi ammirare, se si vuole assolutamente acquistar fama, si teme che, seguendo il piccolo metodo, si dica: "Quest'uomo val poco, potrebbe dire qualche cosa di meglio! Bisogna prendere un altro tono. Ah! sì, sì, bisogna predicare in modo ben diverso". Ebbene! che cos'è tutta quella ostentazione? Vuol dimostrare di essere un bravo oratore, un buon teologo? Cosa strana! In questo modo sbaglia proprio la via. Forse sarà stimato da qualche persona che non se ne intende molto, ma per acquistare la stima dei sapienti, non è quella la buona via.

Per passare da uomo d'ingegno ed avere la riputazione di eloquente, è necessario saper persuadere l'uditorio a fare quanto si desidera e distoglierlo da quello che deve evitare, e quei signori fanno tutto il contrario. E Dovrebbero passare per buoni oratori presso le persone assennate? Senza dubbio, se domandate ad alcuni di essi: "perché predicate? Per quali fini annunziate la parola di Dio?", risponderanno: "Prima di tutto per convertire; secondariamente, per distogliere gli uomini dal vizio e indurli alla virtù". Ecco, dicono, il loro desiderio; convertire il mondo, ecco il loro fine: ecco quello che devono, non dico, ottenere, perché non è in poter loro, ma aver di mira in tutti i loro discorsi; dire e proporre, dal canto loro, quello che siano opportuno per raggiungere tal fine. E quando ha detto tutto quello che è atto a persuadere, egli ha raggiunto lo scopo, ha fatto bene. Ma questo non si ottiene con lo scegliere le parole, col ben disporre i periodi, coll'esporre in modo poco comune la ricchezza dei propri concetti e pronunciare il discorso con tono elevato, con tono declamatorio che vibra alto e sonoro sopra le teste degli uditori. Quelle persone raggiungono lo scopo? Inducono fortemente all'amore della pietà? Il popolo ne rimane colpito e corre, dopo, a confessarsi? Avvengono grandi conversioni? Niente affatto, niente affatto. E non dimeno ecco la pretesa di questi grandi oratori, ecco la loro pretesa! O piuttosto

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avevano di mira l'acquisto di una buona fama, in modo da far dire: "Quest'uomo predica veramente bene, è eloquente, ha bei pensieri, si esprime piacevolmente". Ecco a che si riduce tutto il frutto del loro discorso. Oh! Salvatore! Sono queste, signori, le vostre pretese? Salite dunque in pulpito non per predicare Dio, ma per predicare voi stessi, e per servirvi (oh! qual delitto!) di una cosa tanto santa, qual'è la parola di Dio, per alimentare e appagare la vostra vanità. O Salvatore! divin Salvatore! Bisogna dunque, signori, bisogna dunque, in primo luogo, avere la rettitudine della intenzione, non volere né pretender nulla in questo ministero se non quello che Dio esige da noi, non aver di mira se non la conversione dei nostri uditori e l'aumento della gloria di Dio. Purificata in tal modo la nostra intenzione, ci sarà molto facile predicare il metodo più utile che abbiamo per questo fine, come vediamo e sperimentiamo tutti i giorni.

Un altro mezzo: attende tibi285; vigilare su di sé, non distruggere con le azioni quello che si sarà ottenuto con le prediche; non demolire da una parte quello che si è edificato dall'altra; predicare principalmente con il buon esempio, il buon esempio, osservar bene le proprie regole, vivere da buon missionario, perché altrimenti, signori, non si fa nulla, non si fa nulla; anzi per chi vivesse sregolatamente, questo metodo sarebbe più nocivo che proficuo; senza dire che non saprebbe praticarlo, almeno per molto tempo, poiché è del tutto contrario allo spirito d'indipendenza. Occorre avere per sé buoni sentimenti di devozione e metterli in pratica se si vuol insinuare buoni sentimenti agli altri. Se un uomo non ha grande stima della virtù e grande amore per i suoi ministeri, non li disimpegnerà mai bene, è certo. Chi è per se stesso immerso nel disordine, senza regola, che vive nel libertinaggio, come potrà ritrarne gli altri? E' assurdo! Gli si dirà: medice, cura te ipsum. Questo è chiaro, non c'è nulla di più evidente. Dunque attende tibi: aver prima di tutto l'occhio su se stesso, praticar bene le regole e le usanze della nostra vocazione, perché così facciamo la volontà di Dio. Attende tibi. E' un altro mezzo per riuscire sollecitamente in questo ottimo metodo di predicazione.

Un altro mezzo efficacissimo è affezionarsi a questo santo metodo, affezionarvisi molto. Perché non possediamo bene questo metodo? Perché non l'amiamo, preferiamo seguire le nostre idee, le nostre fantasie, e le regole di non so chi, di un profano; abbiamo avversione per il metodo, non lo amiamo. Ho paura, signori, che non ne diciamo bene se non a fior di labbra; ma nel cuore, nel cuore, oh!...non so... Temo che questo metodo non ci piaccia, che sembri importuno, incomodo, che ci sia spiacevole. Ah signori! eppure è stato dato da Dio, ci viene da Dio, l'ha praticato Lui medesimo; gli apostoli l'imitarono; è il metodo degli apostoli e del Figlio di Dio stesso, il metodo del Figlio di Dio, metodo della sapienza eterna; e noi lo rigettiamo, non vogliamo saperne, non l'amiamo? Noi che facciamo professione particolarissima di seguire Nostro Signore e ci chiamiamo suoi servi, disprezziamo e respingiamo il metodo che Egli ci ha insegnato e dato? O Salvatore! o Salvatore! Che si deve dire di noi? Che amiamo quello che Dio odia, e che odiamo quello che Dio ama. O Salvatore! Ah! signori! uniamoci dunque tutti insieme stasera per affezionarci, tutti quanti, sempre più a questo metodo. Piacesse a Dio che, per grazia sua, ottenessi stasera questo favore, che vi chiedo per tutto l'amore che avete per la gloria del Figlio di Dio, per le viscere della sua misericordia!

Ah! ah! sono un miserabile, che non riesco ad esser breve; sopportatemi, signori. Piacesse a Dio che avessimo tutti un sol cuore, che fossimo tutti intimamente uniti per osservare questo metodo divino. Signor Portail, mi unisco a tale scopo a voi, a cui Dio l'ha dato, e al signor Alméras, che ha parimente questo dono; mi unisco a voi con tutto il cuore e protesto di fare, in avvenire, quello che mi sarà possibile per seguire questo metodo divino.

285 1Tm VI,16.

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-Ma signore, se mi permetteste di fare obiezioni in proposito, e se voleste ascoltare ora le nostre ragioni? - Ah! Dio volesse che ne avessi tempo! vi ascolterei volentieri. Sì, davvero, guardiamo un poco, come ce lo permetterà il tempo, risolviamo le difficoltà che la mente umana potrebbe opporre a quanto abbiamo detto.

Come servirsi di questo metodo ed osservare i suoi tre punti in tutte le materie? Oltre ad essere molto spiacevole e noioso, sarebbe difficile, anzi del tutto impossibile, senza esporre al tedio i nostri uditori. - E' vero, è vero. Un continuo modo di fare finirebbe per annoiare; la mente umana è tanto volubile che presto si annoia anche delle cose migliori. Ma le nostre missioni sono sempre brevi, potete inoltre dissimularlo in modo da non far vedere il vostro artifizio e non scoprire il vostro metodo, talora cambiando l'ordine dei punti, mettendo l'uno prima dell'altro, talora facendone due soltanto. Vi sono molti altri modi che ora non mi vengono in mente. Il metodo è vario secondo i soggetti; v'è un metodo di trattare la festa di un santo, di spiegare un mistero, di raccontare una parabola, di applicare una sentenza, un metodo di commentare il Vangelo corrente e le altre materie di predicazione. Il signor Portail, che conosce bene tutti questi modi di ben predicare, farà il piacere di spiegarvi tutti questi metodi, perché io non li so proprio, voglio però, con l'aiuto di Dio, impararli da lui e dagli altri ai quali Iddio ha fatto questo dono.

- Ma, signore, gli altri metodi, non sono buoni anch'essi? Vediamo tanti dotti ed ottimi predicatori che non conoscono il vostro metodo, eppure ricavano molto frutto e predicano benissimo. - Signori, tutti i metodi possono essere buoni e santi, non pretendo qui biasimare alcuno: Dio me ne guardi! Del resto, Dio si serve di chi vuole e di quello che gli sembra buono per procurare la sua gloria. Potens est de lapidibus istis suscitare filios Abrahae286; da queste pietre può suscitare figli di Abramo. Dio è onnipotente e può, se gli sembra bene, servirsi della durezza di questa pietra per ammollire i cuori ed indurli ad una santa conversione e penitenza. O Salvatore! con tutto ciò, signori, quanti ne vediamo che si convertono con tutti questi metodi? Abbiamo l'esperienza del nostro; signori, voi l'avete; ma dei metodi che cambiano secondo i tempi e la moda abbiamo l'esperienza opposta; sorvolano su tutto, non fanno altro che sfiorare, toccando soltanto la superficie. Un poco di rumore, ecco tutto! Si fanno ogni giorno tante prediche, in questa grande città, tanti avventi, tante quaresime; e trovatemi un uomo, anche di quelli che ascoltano da trenta, quarant'anni queste predicazioni, che sia diventato migliore! O Salvatore! stentereste a trovare uno solo, un solo convertito per avere ascoltato tutte quelle prediche. E che cos'è in confronto dei frutti che vediamo prodotti dal piccolo metodo? Il che mi convince, non essendovene nessuno che produca sì gran frutti, che sia migliore di tutti e che si debba preferire a tutti gli altri, almeno noi che cerchiamo unicamente la salvezza delle anime.

Sappiamo che è il metodo del Figlio di Dio e degli apostoli, e del quale si sono serviti e si servono ancora persone eminenti, non soltanto noi miserabili; è il metodo dei predicatori che compiono miracoli, dei signori vescovi, dei dottori. Monsignor vescovo di... mi diceva che non userebbe mai altro metodo, dovesse predicare anche centomila volte. Monsignor di Sales, quel grand'uomo di Dio, mi diceva lo stesso, e tanti altri, tanti altri, o signori, che non oso nominare.

E non crediate, signori che questo valga solo per la campagna, per il popolo minuto, per contadini. Ah! è davvero ottimo per il popolo, ma è anche molto efficace per gli uditori più istruiti, per le città, per le città, a Parigi, a Parigi stessa. Nella missione fatta a San Germano, la gente vi accorreva da tutte le parti, da tutti i quartieri di questa vasta città; se ne vedevano di tutte le parrocchie e persone ragguardevoli, dottori, anche dottori. E non si predicò a tutta quella gente secondo il piccolo metodo? Monsignor

286 Mt III,9.

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vescovo di Boulogne287, che vi predicava, non ne usò mai altro. E quel frutto si ottenne? Dio! qual frutto! qual frutto! Furon fatte confessioni generali, proprio come nei villaggi, e con grande benedizione. Orsù, Dio! non si è mai visto tanta gente convertita da tutte le prediche raffinate. Coeli coelorum! Volano sopra i tetti. Tutta la conversione consiste in quello che dicono gli uditori: "Sì, quell'uomo è dotto, dice cose molto belle".

Ma diciamo di più: il piccolo metodo è per la corte, adatto alla corte. Già due volte esso è comparso alla corte ed oso dire che vi è stato ben ricevuto. E' vero che la prima volta ebbi molti contrasti, vi furono molte opposizioni, nonostante si ricavò molto frutto, molto frutto. Predicò Monsignor vescovo d'Alet288. Si videro alla fine tutte le opposizioni per grazia di Dio, superate dal piccolo metodo. E la seconda volta vi predicò uno dei nostri, il signor Louistrie. Grazie a Dio, non vi ebbe opposizione alcuna; il piccolo metodo, o miserabile!, oso dirlo, il piccolo metodo trionfò; si videro frutti meravigliosi. Alla corte, alla corte, il piccolo metodo! E poi, dite pure che non è che per la gente rozza e per i villaggi! A Parigi, a Parigi e alla corte, alla corte, dovunque, non c'è metodo migliore, né più efficace; perché, signori il metodo migliore è quello che fornisce tutto quanto occorre per conquistare gli uditori, e il nostro non lascia nulla che valga a tal fine. Concludete. Adottiamo dunque tutti questo metodo, piccolo ma potente.

Ecco un quarto mezzo, dopo il quale finisco: è di chiederlo a Dio, chiederlo spesso a Dio; è un dono di Dio, bisogna domandarglielo...

Ah! ecco il quarto. O Salvatore! ho finito, ho finito. Sono dunque quattro i mezzi per praticarlo: purità d'intenzione, gran vigilanza su se stesso, attende tibi, amore a questo metodo, amore ad esso, come per sua misericordia ve ne sono molti nella Compagnia. Dio sia benedetto!

Divino Salvatore, che siete venuto sulla terra per predicare con semplicità ed insegnarci, con il vostro esempio, questo santo metodo, umilmente vi supplichiamo di parteciparci, per vostra grazia, insieme con il vostro spirito di semplicità, questo santo metodo, affinché possiamo annunziare la vostra parola e portarla dappertutto, come i discepoli, ai quali lo insegnaste. O Salvatore, dolce Salvatore, spandete su noi lo spirito del metodo. Speriamo che cooperando dal canto nostro, Dio ci faccia tal grazia. Il signor Portail ci farà il favore di spiegarci meglio domani questo santo metodo.

Ed ecco che ho finito. Dio sia benedetto! Vi sarebbe ancora molto da dire, ma è troppo tardi. Mi dilungo sempre troppo, divago sempre, sono di peso come un bestione.

Non mi pare vi sia più nulla ora che c'impedisca di adottare tal modo di predicare. Sarà il piacere? O Dio, esso ci fa predicare con più soddisfazione di ogni altro. Non credo che tutti i piaceri del mondo possano eguagliarsi al minimo ottenuto con il nostro metodo. Qual maggior piacere può provare un predicatore che vedere i suoi uditori andar a lui, vederli piangere com'è avvenuto spesso anche a voi stessi? Non è vero che vedete spesso il vostro uditorio sciogliersi in lacrime? E quando volete partire, dovete fuggire di nascosto; vi corrono dietro, vi corrono dietro non è vero, signori? Rispondetemi, ve ne prego, sinceramente, ditemi come avviene, si è così. -Sì, signore, non sappiamo come partire, per liberarci dalla gente. - O Salvatore! qual più gran gioia di questa! Vedere tutto il vostro uditorio sensibilmente commosso da quello che predicate! Qual altra soddisfazione deve avere un oratore, se non di ottenere ciò che chiede! Qual maggior piacere! Ed ecco, signori, quello che, anche secondo la vostra stessa esperienza, si ottiene ogni giorno mediante il piccolo metodo.

Che potete pretendere? La conversione del popolo? Eh! dopo le vostre predicazioni vengono tutti a voi talmente convinti che sono pronti a fare tutto quello che loro comandate. Qual maggior piacere, qual maggior piacere, o Salvatore!

287 Francesco Perrochel.288 Nicola Pavillon.

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Bramate acquistare onore? V'è un metodo al mondo dove se ne trovi maggiormente? Non bisogna servirsene per questo; sarebbe un'intenzione diabolica; ma signori, quanto all'onore, ve n'è di maggiore che essere trattati come gli apostoli, come il Figlio di Dio? E se ci danno le medesime lodi già tributate a Gesù Cristo! "Benedetto, si dice ai missionari, il seno che vi ha portato!". Quando partono, si grida a loro: "Benedette le mammelle che vi hanno nutrito! Oh! quanto sono fortunate le vostre madri!".

O Salvatore! si è detto di più al Figlio di Dio? E tutte queste lodi e molte altre che v'importunano sono dette ai missionari, quando si servono del piccolo metodo. V'è dunque in ciò molto onore e molto piacere da provare, però non l'adotterete per questo, ma per amor di Dio, dal quale l'abbiamo ricevuto.

-Ma questo metodo è tanto volgare? Che si dirà di me se predico sempre così? Per chi mi si prenderà? alla fine tutti mi disprezzeranno, perderò l'onore. -Perderete la vostra riputazione? O Salvatore! predicando come Gesù Cristo stesso ha predicato perderete la vostra riputazione! Trattare la parola di Gesù Cristo come Egli medesimo volle trattarla, è non aver riputazione! Fare discorsi come si deve, con semplicità, con stile familiare e comune, come faceva Nostro Signore, è non aver riputazione; e far diversamente è essere un uomo di riputazione! Travisare e falsificare la parola di Dio, è aver riputazione? E' aver riputazione usare un linguaggio ostentato, mascherare e far passare attraverso una galanteria vanitosa la parola di Dio, la sacra parola di Dio? O Salvatore, o divin Salvatore! che cos'è? signori, che è? Dire che è perdere la riputazione predicare il Vangelo, come fece Gesù Cristo? Tanto varrebbe dire che Gesù Cristo, Lui che era la sapienza eterna, non sapeva come trattare la sua parola, non l'interpretava bene, e che sarebbe opportuno comportarsi in altro modo da quello che Egli fece. O Salvatore! quale bestemmia! Ed ecco quello che si dice, se non apertamente, almeno tacitamente e nel cuore; se non davanti agli uomini, almeno davanti a Dio, il quale vede i cuori; si osa pronunciare quelle orribili bestemmie davanti a Dio, in sua presenza! e si ha vergogna degli uomini! Davanti a Dio, davanti a Dio! O Salvatore! misericordioso Salvatore! Ahimè! signori, vedete bene che è una bestemmia dire e pensare che si perde la riputazione predicando come il Figlio di Dio, come è venuto ad insegnarci, come lo Spirito Santo istruì gli apostoli.

Un giorno domandai al signor...: "Ma, signore, ditemi, per favore, come faceva san Vincenzo Ferreri, che convertiva tante persone, ed attirava la folla da tutte le parti, in modo che dovevano mandargli dietro i carri con i viveri?". Egli mi rispose: "Faceva così. Quel grand'uomo predicava con semplicità, familiarmente, facendosi ben capire da tutti". O Salvatore! O semplicità! tu sei dunque ben persuasiva! La semplicità convertì tutti. E' certo che per convincere e conquistare lo spirito umano, bisogna operare con semplicità; non si arriva allo scopo, di solito, mediante i bei discorsi pomposi, altisonanti, che fanno rumore e basta. Tutti quei bei discorsi studiati commuovono, ordinariamente, la parte inferiore soltanto. Faranno forse paura a forza di urlare in un certo tono, non so quale; riscalderanno il sangue, stimoleranno i desideri, ma tutto questo nella parte inferiore, mai nella parte superiore; la ragione, l'intelletto, non rimangono per nulla persuasi. E tutti quei moti della parte inferiore non fanno nulla, se l'intelletto non è convinto; se la ragione non lo tocca con mano, tutto il rimanente passa presto, passa presto, e i discorsi rimangono sterili. Viva dunque la semplicità, il piccolo metodo, che è il migliore e quello per cui si può acquistare maggiore onore, persuadendo bene gli animi, senza tutti quei clamori che non fanno che importunare chi ascolta! Ah! signori, ciò è talmente vero che se un uomo vuole ora passare per buon predicatore in tutte le chiese di Parigi e alla corte, deve predicare in questo modo, senza ostentazione. E di chi predica così, si dice: "Quell'uomo fa meraviglie, predica alla missionaria, alla missionaria, predica all'apostolica". O Salvatore! E il signor... aggiungeva che alla fine bisognerà arrivare a questo punto. In

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verità, predicare diversamente è prendere la cosa alla leggera, è volere predicar se stesso, non Gesù Cristo.

Predica alla missionaria! O Salvatore! avete dunque fatto la grazia alla povera e meschina Compagnia d'ispirarle un metodo che tutti vogliono seguire; ve ne ringraziamo con tutte le nostre forze. Ah! signori! non ci rendiamo indegni di una grazia simile, che tutti stimano tanto da dire di un ottimo predicatore: "Predica alla missionaria". Ahimè! che sarebbe, se noi soli la disprezzassimo! Dio non avrebbe ragione di lamentarsi se ci vedesse fare tanto poco conto del gran dono che ci ha fatto, per comunicare i suoi lumi a noi, e al popolo per mezzo nostro?

Orsù, Dio sia benedetto! Vi prego, signori, d'offrire la Messa per questo, e voi, fratelli, di comunicarvi la prossima volta secondo questa intenzione".

135. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 22 AGOSTO 1655Malattia del vescovo di Luçon - Notizie dei missionari di Scozia, Barberia,

Madagascar e Genova - Esortazione allo zelo e al distacco.289

Il signor Vincenzo raccomandò alle preghiere della Compagnia alcune persone che lo desideravano, tra gli altri Monsignor vescovo di Luçon290, gravemente ammalato.

"E' un vescovo, disse, che ha grande bontà, grande carità per la Compagnia e gliel'ha sempre dimostrata; partecipa molto della bontà divina. Per riconoscenza pregheremo Dio di concedergli quello che è più opportuno per la sua gloria.

Raccomando alle vostre preghiere anche i nostri signori che sono all'estero. Ho saputo, da qualche giorno, che il signor Le Blanc era uscito di prigione: me lo disse il direttore del collegio degli Scozzesi! non so se sia vero, non ho ricevuto nessuna lettera. Ringrazieremo Dio di tutto, non ci stancheremo però di pregare la sua divina bontà di dargli la forza di sopportare tutto quello che la Provvidenza permetterà gli accada e di tollerare le pene che potrà incontrare, se è libero, e la morte stessa, se Dio la desidera da lui, sempre con intera rassegnazione al suo beneplacito. Gli basterebbe dire: "Non sono sacerdote" per essere subito liberato, ma preferisce morire piuttosto che dire: "Io non sono prete". Se lo dicesse, lo si lascerebbe andare subito, gli si aprirebbe la porta della prigione.

Pregheremo anche per i signori Duiguin e Lumsden, che lavorano in quel paese. O Salvatore! quali frutti non ricavano! Bisognerà leggere quello che n'è stato scritto. Le dame hanno raccolto loro stesse scritti e lettere e le leggono con sentimenti di pietà e di benedizione. O Salvatore!

Quelli che sono in Barberia, i signori Le Vacher e gli altri, che lavorano, che hanno tante pene e devono tanto soffrire in quelle contrade, non dicono nulla, non raccontano nulla...; eppure hanno da soffrire da tutti, dai turchi e dagli schiavi, hanno da visitare, confortare e mantenere quei poveri prigionieri, da correre qua e là, e non dicono una parola; dalle loro lettere vediamo, invece, che sono contenti di soffrire, lo desiderano di più, vogliono maggiori patimenti. O Salvatore! preghiamo Dio che dia tale spirito a tutto il corpo e al cuore della Compagnia. E' una gran benedizione di Dio che Egli si degni servirsi di questa povera Compagnia, che ci faccia l'onore di soffrire per Lui in qualche nostro membro, nella persona del signor Le Blanc e degli altri! Una grazia immensa Egli ci ha fatto mandandoci così a portare la sua parola nel mondo!

289 Recueil de diverses exhortations, p. 75. Questa medesima conferenza si trova nel manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 29, compilata diversamente e più breve.290 Pietro Nivelle: morì il 10 novembre 1661.

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Alcuni religiosi si erano imbarcati per andare dove sono i nostri missionari in Barberia, ma giunti a destinazione trovarono difficoltà tanto grandi che dovettero ritornare, mentre i nostri, grazie a Dio, e per sua misericordia, vi rimangono e lavorono con buon successo. Stiamo bene attenti di non renderci indegni di tal grazia e che Dio non ce la tolga. Un francescano mi diceva ultimamente: "Ah! signore, che gran benedizione! O Dio! quali progressi possono farsi!". Egli richiedeva per coloro che sono nelle Indie e in Oriente un assistente presso il loro generale, per sovvenire, con tal mezzo, alle necessità in cui si trovano; l'ha chiesto nel capitolo generale, ma gli è stato ricusato per molte ragioni. Quel padre diceva con molto risentimento: "State attenti che Dio non vi ritragga la grazia che vi ha fatta, e non vi punisca, togliendo dalla vostra Compagnia tal vocazione, e facendo sì che nessuno vada più in quel paese!". Dimostrava una grande commozione e mi diceva: "O signore, che grande benedizione Dio vi ha fatto di... ". Non devo dirlo.

Stiamo attenti che Dio non ci tolga questa grazia. Gli è piaciuto di servirsi di questo piccolo corpo per compiere i suoi disegni. Siamo come quel contadinello che portava il sacco, e vedendo colui che l'accompagnava mettersi in ginocchio e pregare,pregava con il suo sacchetto sulle spalle; e siccome gli fu domandato che facesse: "Prego Dio, rispose, di concedervi quello che gli chiedete; sono un povero ignorante, non so dirgli nulla, e lo supplico di ascoltarvi; vorrei dirgli quello che gli dite voi, ma non lo so, perciò gli offro quello che voi dite".

Ah! noi siamo quelli che portiamo il sacco, quei poveri ignoranti che non sanno dir nulla, quei piccoli spigolatori che vanno dietro ai grandi missionari. Ringraziamo Dio di essersi compiaciuto di gradire in questo i nostri servigi, offriamogli con i nostri piccoli manipoli le abbondanti messi degli altri, siamo sempre pronti a fare quello che è in poter nostro per il servizio di Dio e del prossimo. Se Dio ci ha dato una benedizione sì grande, non cesserà di darcene ancora; se ha dato sì bella luce, sì grande grazia a quel contadino da meritare che la storia parlasse di lui, speriamo che facendo il possibile per contribuire a che Dio sia onorato, per quanto sta in noi, Egli faccia il resto, riceva benevolmente e benedica i nostri poveri lavori e le nostre misere offerte. Egli si serve di chi vuole per operare grandi cose. Vedete i nostri signori che sono nei paesi stranieri, il signor Le Blanc tra gli altri; non dice una parola, non sono persone che vogliono far mostra di sé; e vedete le belle cose che Dio eseguisce mediante questo suo servo e gli altri. Speriamo in Dio e abbandoniamoci alla sua santa Provvidenza.

Pregheremo Dio anche per gli altri: il signor Bourdaise e il signor Mousnier. O Salvatore! uno di questi giorni parlavo con uno dei signori tornati da quel paese, e che cosa non mi diceva del signor Nacquart! Che gran servo di Dio! Con quale ammirazione me ne parlava! Quanto bene! Gran perdita quella di questo gran servo di Dio, ma anche qual gran guadagno! O Salvatore! Sanguis martyrum, semen christianorum. Questo fa sperare che il suo martirio (poiché è morto per Iddio) sarà seme di cristiani, che Dio, in considerazione della morte, ci darà la grazia di ottenere molto frutto. E del signor Gondrée, o Dio! che sentimenti! Ho sempre presente quell'uomo, la sua gran dolcezza, la sua grande modestia; sento ancora ritornarmi alle orecchie i buoni discorsi che ci teneva nell'affaccendamento dell'imbarcarsi, quell'uomo di Dio! O Salvatore! Dio sia benedetto! Dio sia benedetto!

Orsù, chiediamo a Dio di dare alla Compagnia questo spirito, questo cuore, questo cuore che ci faccia andare dovunque, questo cuore del Figlio di Dio, cuore di Nostro Signore, cuore di Nostro Signore, cuore di Nostro Signore che ci disponga ad andare, come Egli andrebbe e come sarebbe andato, se la sua sapienza eterna avesse giudicato opportuno lavorare per la conversione delle povere nazioni. Inviò per questo gli apostoli; c'invia come loro a portare dovunque il fuoco, dovunque. Ignem veni mittere

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in terram, et quid volo nisi ut accendatur291; dovunque questo fuoco divino, questo fuoco di amore, di timor di Dio, per tutto il mondo: in Barberia, nelle Indie, nel Giappone. Ecco quello che s'intende con la frase: Sanguis martyrum, semen christianorum. I cristiani sono stati tormentati, perseguitati da per tutto, con qual rabbia si facevano crudelmente morire! Ma infine, per misericordia di Dio, le cose hanno cambiato faccia, il re crudele è morto e il suo successore non fa morire nessuno; ha permesso, invece, ai Portoghesi di trafficarvi, ai sacerdoti di andarvi, e vi si vive con tutta sicurezza, senza alcun pericolo, grazie a Dio.

Ah! signori, chiediamo tutti caldamente a Dio tale spirito per la Compagnia, che ci porti dovunque, in modo che, vedendo uno o due missionari, possa dirsi: "Ecco persone apostoliche pronte ad andare ai quattro angoli della terra a portarvi la parola divina". Preghiamo Dio di accordarci questa disposizione di cuore; ve ne sono, per grazia sua, che l'hanno e tutti sono suoi servi. Ma andare colà! o Salvatore! senza che nulla arresti, ah! che gran cosa! E' necessario che noi tutti abbiamo quel cuore, tutti un medesimo cuore, distaccato da tutto, che abbiamo una perfetta fiducia nella misericordia divina, senza preoccuparsi, senza turbarsi, né perdersi di coraggio. "Avrò questo in quel paese? Quali mezzi?". O Salvatore! Dio non ci mancherà mai! Ah! signori, quando vedremo la morte gloriosa di quelli che vi sono, o Dio, chi non bramerà di essere al loro posto? Ah! chi non si augura di morire come loro, d'esser sicuri della ricompensa eterna! O Salvatore! C'è nulla di più desiderabile! Non ci leghiamo dunque a questo, a quello; coraggio! Andiamo dove Dio ci chiama, sarà Lui il nostro provveditore, non temiamo nulla. Orsù, Dio sia benedetto! preghiamolo tutti secondo questa intenzione.

Da Genova mi scrivono che hanno bisogno del nostro aiuto, delle nostre preghiere, alle quali si raccomandano; noi vi siamo obbligati. E' stato necessario mandare e poi rimandare tutti i nostri missionari che sono passati di là e ricevuti in un modo... Dio lo sa. Quel buon signor Blatiron non può far loro di più; non mi scrive nulla, ma ho ben capito che li aveva molto aiutati".

136. CONFERENZA DEL 22 AGOSTO 1655SUL METODO DA SEGUIRE NELLA PREDICAZIONE292

"Signori, continueremo il soggetto già cominciato sul metodo di predicare. Voi avete, a quello che ho saputo, progredito molto, per grazia di Dio. Credo che sarà bene fare quanto facemmo altra volta sul medesimo argomento. V'era Monsignor vescovo di Boulogne293, Monsignor vescovo d'Alet294, il signor Ricard e noi tutti; erano venuti anche alcuni sacerdoti di Parigi, e alla buona ci esercitavamo come ora, proprio alla buona; si prendeva un soggetto, e ciascuno esponeva i motivi che gli venivano in mente; quindi si passava agli atti e poi ai mezzi. Ecco come si faceva; ed ognuno diceva semplicemente il suo povero parere, e qualche volta improvvisava al momento stesso; Monsignor di Boulogne da una parte, Monsignor d'Alet dall'altra, ed anche il signor Portail, perché lui sa bene queste cose; non ci sono che io che non sono mai stato buono a nulla. Si considerava come fare per trattare bene un argomento, per ben convincere, e sempre con semplicità, con semplicità; ecco come ci si comportava.

291 Lc XII,49.292 - Manoscritto delle Conferenze.- Questa conferenza fu fatta in una riunione straordinaria tenuta una domenica dopo vespro nella sala detta di San Lazzaro.293 Francesco Perrochel.294 Nicola Pavillon.

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I padri dell'Oratorio hanno tra loro l'usanza di esercitarsi in tal modo a predicare, quattro ogni giorno. Non è vero, signor Alméras, voi che siete stato a Roma, che si fa così?

Il signor Alméras: "Sì, signore, quattro predicano, ciascuno mezz'ora"."Quattro salgono il pulpito e predicano, avete detto, mezz'ora ciascuno, su quattro

soggetti differenti; non è vero, signor Martin?".Il signor Martin: "Sì, signore, è così"."Predicano dunque quattro, fermandosi ciascuno mezz'ora su diversi soggetti; l'uno

sul Vangelo, l'altro su qualche mistero, uno sulla vita di un santo, l'altro su qualche virtù o soggetti simili, su di un pulpito basso; e sopra vi è il gran pulpito dove si tengono i sermoni e generalmente sono i cappuccini o religiosi d'altro ordine, di cui non mi ricordo, che predicano dal pulpito grande nella chiesa dei padri dell'oratorio; ma questi predicano soltanto dal pulpito basso".

- Il signor Alméras: "Signore, quel pulpito non è tanto basso; ha sette o otto scalini, presso a poco come quelli del fabbricato nuovo".

- "Va bene! essi non predicano se non da quel pulpito con semplicità, con linguaggio sommamente familiare, e non diversamente, e questo per due ore al giorno, mezz'ora ciascuno. Ecco la maggior devozione di Roma. Tutti accorrono; la maggior affluenza è dei padri dell'oratorio, dove si fanno quei discorsini con semplicità e familiarità, e non diversamente; se qualcuno predica in un altro modo ne è corretto, avvertito, affinché osservi il metodo del loro Padre, il beato Filippo295. Vengono corretti quando vi mancano; ed è così che vi rimangono fedeli".

Il signor Alméras: "Signore, permettete che dica una cosa molto edificante e utilissima, mi sembra, in proposito?".

- "Sì, signore, fate pure; anzi, ve ne prego, voi che l'avete vista, raccontatecela, ve ne prego".

- Il signor Alméras: " Signore, una volta, mi pare che fosse al tempo del beato Filippo Neri (viveva ancora mi pare), uno fece un bel discorso, senza oltrepassare la sua mezz'ora, ma con un tono un po' più elevato del solito; vi era qualche cosa che spiccava sugli altri; tuttavia fu ammirato da tutti e predicò anche con profitto; il suo discorso era pratico, ma il tono più elevato del solito. Il superiore gli disse poi: "Avete predicato veramente molto bene; questo discorso mi sembra bello e vi supplico di ripetercelo un'altra volta; è molto bello". E l'obbligò a ripetere di nuovo, il giorno dopo, il medesimo discorso; e così per otto o dieci volte di seguito, in modo che tutti dicevano: "Ecco il padre d'un sol discorso, ecco il padre del discorso".

Il signor Vincenzo: "Oh! è cosa assai graziosa, è graziosa, e c'insegna chiaramente qual conto fanno quei signori della semplicità, e deve stimolarci a fare lo stesso per conservare il nostro metodo nella stessa semplicità, non come faccio io: urlare, batter le mani, sporgermi a metà dal pulpito. Quei padri sono così contegnosi nel predicare che non oserebbero certo far così, e ne sarebbero corretti. Eppure tutta Roma va là, ne riporta grand'edificazione. E' questo il modo migliore di procedere, alla buona, familiarmente, senza eccitarsi come me, miserabile.

Un secondo esempio che c'insegnerà con qual cura dobbiamo osservare il nostro metodo, è quello degli ugonotti; il primo era di un santo, e questo è degli ugonotti. Calvino, dunque, insegnò egli pure un metodo di predicare: prendere un libro, come fece Nostro Signore, leggerlo, spiegarlo secondo il senso letterale e quello spirituale, e poi trarne la morale. Ecco il metodo di Calvino che gli ugonotti osservano nelle loro prediche; ed anche oggi essi fanno di tre mesi in tre mesi delle conferenze... no, non dicono così... (avendo qualcuno suggerito concistoro), neppure concistoro, no... ah! ecco: dei colloqui. Nei loro colloqui, dunque, dove ogni tre mesi si riuniscono molti

295 S. Filippo Neri.

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ministri, parlano del modo di predicare, e quelli che non lo sanno l'imparano; gli altri predicano, e si dispongono come lì (indicando la sua destra), o come là (indicando l'altra parte) ai lati della cattedra; osservano se uno predica secondo il oro metodo e si avvertono; e chi non conosce tal metodo non ha impiego. Lo rimandano di nuovo al concistoro.

Eh! signori, se la prudenza umana, che dico? se l'invenzione del diavolo e l'eresia operano con tante precauzioni per conservarsi, di quali mezzi non dobbiamo servirci noi per conservare il nostro santo metodo, dal momento che gli eretici, per motivi puramente umani, si affaticano tanto per una cosa vana e inutile? O Salvatore! credo che sarà bene, come l'abbiamo già fatto altre volte, determinare un argomento, e ciascuno dirà brevemente le sue ragioni. Bisognerebbe scrivere. Fratello, non avete un calamaio? Andate a cercare la carta, la troverete in camera nostra... - Quell'uscio è chiuso, passate dall'altra parte.

Quale soggetto prenderemo? Prendiamo l'umiltà, per oggi. Prima di tutto, ognuno dirà i suoi motivi e in poche parole, senza dilungarsi; una citazione basta, una breve ragione.

Signor Alméras, quali ragioni ci darete per indurci all'umiltà?".Dopo che il signor Alméras ebbe portato una ragione per inculcarci l'umiltà, il

signor Vincenzo ne domandò un'altra a quello degli anziani che gli era accanto, e quindi a tutti gli altri, secondo l'ordine con cui erano seduti. Ciascuno disse una ragione o ne ripeté qualcuna delle già allegate, in pochissime parole.

Dopo che i signori anziani ebbero proposte le ragioni, passò agli atti di umiltà, avendoli fatti precedere dalla definizione.

Mentre si proponevano gli atti, disse: "Bisogna scendere sempre al particolare; l'avete visto; il frutto consiste nello scendere al particolare, notando le circostanze, il luogo, il tempo per esercitare questo e quell'atto".

Avendogli il signor Alméras detto qualche cosa, replicò:"Sì, signore, è appunto quello in cui manchiamo di più nelle nostre conferenze;

diciamo cioè, che cos'è all'ingrosso, e nulla più; non basta; è necessario, per quanto si può, specificare e far notare gli atti particolari. In queste conferenze, dove si operano meraviglie, vi sono alcuni che hanno questo dono da Dio di scendere al particolare, quando parlano; e tutti hanno gli occhi su loro; quando uno specifica in particolare tale e tale occasione, si profitta di più; ecco il gran frutto. Che se qualcuno, dopo ciò, esce in bei pensieri e porta forti ragioni, cita l'autorità dei Padri e dei Concili, è una bellissima cosa, ma scancella tutto quello che l'altro, venendo al particolare, aveva lasciato di buono nelle anime. Come quando dopo che avete tracciato qualche disegno una persona vi passa sopra la spugna, scancella tutto, non apparisce più traccia, tutto è scancellato; parimente lo spirito perde i buoni sentimenti che aveva e i suoi santi pensieri se ne vanno. Quel discorso elevato ne richiama altri, che impediscono gli effetti del primo. E' necessario, signori, scendere sempre al particolare, indicare minutamente gli atti e di qui, ordinariamente, deriva il maggior frutto. L'anima si propone allora quest'atto in tale occasione, e quello in tale altra, sempre il più particolareggiatamente possibile".

Si passò quindi ai mezzi per acquistare l'umiltà, e dopo averne proposto diversi, verso la fine, disse:

"Ringrazio Dio delle grazie che vi ha dato e di tante buone e belle cose che avete detto. Vedremo se sarà bene continuare. Dio sia benedetto!".

137. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 24 AGOSTO 1655

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Il signor di Flacourt ha condotto quattro giovani Malgasci a San Lazzaro - Rimproveri ad un fratello coadiutore.296

Il signor Vincenzo raccomandò insistentemente di pregare Dio per quattro giovinetti negri, che il signor di Flacourt, cittadino di Parigi, ritornando dall'isola del Madagascar, aveva condotto seco, ed aveva qui mandati da Nantes per essere presentati al detto signor Vincenzo, affinché sua divina Maestà si degnasse far loro la grazia di essere buoni cristiani e veri cattolici, perché, così si diceva, se Dio l'avesse loro concessa, sarebbero bastati loro quattro per convertire tutto il loro paese e i loro connazionali. Per questo, il detto signor Vincenzo raccomandò alla Compagnia di dare loro buon esempio, di non servirsene di trastullo. Non sapeva poi chi incaricare della loro istruzione e direzione, poiché ci sarebbe stato bisogno di un angelo per tale compito, a causa della difficoltà che prevedeva avrebbero trovato per applicarsi, come sarebbe stato desiderabile, alla pratica delle virtù cristiane, secondo quanto aveva osservato della loro intelligenza, ed era in dubbio se farli studiare o far loro imparare un mestiere. Aggiunge che i padri gesuiti trovono sempre molte difficoltà ad ammettere individui delle Indie ai sacri ordini, avendo riconosciuto che gli uomini di quei paesi, ordinariamente non sono abbastanza dotati delle qualità richieste in un sacerdote, e non vi ammettono se non quelli che hanno un padre od una madre di origine europea. Per esempio, un portoghese che trovandosi nelle Indie avesse sposato un'indiana, o un uomo indiano avesse sposato una donna portoghese; i figli nati da quei matrimoni sono ammessi, viene loro conferito un titolo e qualche volta sono ricevuti anche tra i gesuiti.

Nota: Il maggiore dei giovanetti negri, e che non sa neppur lui la sua età, sembra avere circa quindici o sedici anni; non è ancora battezzato. Gli altri tre, più piccoli e più giovani,sono stati battezzati nel loro paese dal defunto signor Nacquart, prete della Missione, il primo della Compagnia andato nelle Indie, accompagnato dal defunto signor Gondrée, egualmente prete della nostra Compagnia.

Un fratello coadiutore297, essendosi accusato pubblicamente di alcune mancanze, il signor Vincenzo disse: "Ah! fratello, è vero che è una mancanza grave, mancanza grave e non so se si commetta neppure tra la povera gente del mondo; strappare un abito, strappare un dono che vi è stato fatto! Eh! vi dovevate rallegrare che non fosse come lo desideravate! Ma metterlo a pezzi! O Salvatore! o fratello! che grave mancanza, grave mancanza! umiliatevene profondamente. Si è mai visto un campagnolo, un contadino strappare l'abito donatogli, per misero che fosse? E voi, fratello, strappate l'abito che vi si dà; forse ne avevate bisogno, e invece di servirvene, comunque fosse, e di gradirlo di cuore, lo strappate! Ah! mio povero fratello, è grave colpa, umiliatevene profondamente.

Ma questa mancanza non proverrà da un'altra ancor più grande, commessa il giorno prima? O fratello, lo devo dire? O Salvatore, lo devo dire? potrò dirlo senza arrossire? Ah! fratello, ne sono colpevole quanto voi, perché ne sono colpevole. Fratello, ieri l'altro beveste tanto da farvene accorgere quando tornaste di fuori. O Salvatore, prendere tanto vino da farsene scorgere! comportarvi da uomo ubriaco! O miserabile! sono io, peccatore, la causa di tanto disordine; non sarebbe avvenuto senza i peccati di me miserabile. O fratello, vergognamocene tutti e due! E poi vi coricaste in terra in cucina, davanti ai nostri fratelli. Qual esempio ai nuovi! Che diranno di voi? che

296 La prima parte di questa istruzione fino ad Un fratello coadiutore essendosi accusato, è presa dal manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 30, la seconda da Récueil de diverses exhortations, p. 107.297 Nella comunità, i fratelli coadiutori formano una categoria distinta dai sacerdoti e dai chierici; ad essi sono affidati i lavori manuali: pulizia, cucina, sartoria, falegnameria, ecc.

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diranno di me, per avere tali persone nella Missione? Si vive in tal modo, qui? Ma come! Vi si permettono, si tollerano tali vizi? O Salvatore, quale scandalo ai nuovi venuti! Quale scandalo! O signori, pregate per noi; o fratelli, abbiate compassione del nostro fratello, e pregate di poterci sopportare. E' nostro fratello; per l'amor di Dio, abbiamo compassione della sua miseria. Ah! bisogna bene che ciò provenga da altro; non si cade ad un tratto in colpe sì gravi se non in punizione di altre mancanze. O fratello, voi ve ne siete, per grazia di Dio, umiliato spesso, ma bisogna dire che non vi teniate d'occhio, che siate infedele a Dio! Ah! che faremo ora, fratello? Voi avete difetti, voi avete passioni e vi lasciate trascinare, dopo tutte queste umiliazioni, preghiere, raccomandazioni, risoluzioni che avete preso! Che faremo ora? Che cosa ne è stato di questo spirito di umiltà? Dove sono andate a finire tutte le raccomandazioni? Dove sono andate? Dove sono ora tutte le proteste? Dove sono, fratello? Dove sono tutti i propositi che avete fatto di servir bene Dio? Che ne è avvenuto? O mio povero fratello! E che ne sarà di questa umiliazione che fate ora? Che ne sarà di questa vergogna che subiamo? O fratello, cambierete per questo? Dobbiamo sperarlo, poiché Dio vi ha fatto la grazia di umiliarvi. Prendete in buona parte questa confusione e offritegliela ad espiazione vostra. Pregheremo Dio per voi e speriamo che vi dia la forza, se anche voi lo vorrete, di far meglio in avvenire".

138. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 25 AGOSTO 1655E' bene, facendo orazione, venire al particolare dei propri difetti - Elogio delle virtù

di S.Luigi - Gravi pericoli che minacciano la Polonia.298

Il signor Vincenzo lodò un sacerdote e due chierici seminaristi perché, nell'orazione, erano scesi al particolare dei loro difetti, e pregò il signor Delespiney, direttore del seminario, di farli perseverare in tal pratica, perché, diceva, è così che bisogna fare orazione, far diversamente non è vera orazione. "Non è mirabile quello che si racconta del grande e santo re di Francia, san Luigi, il quale, secondo quanto riferisce l'autore della meditazione, teneva schiave e sotto ai piedi tutte le passioni, per renderle soggette ed obbedienti alla ragione? E così san Luigi fu il re più valoroso e magnanimo che abbiamo avuto in Francia, e lo dimostrò col lasciare il suo regno per andare a riconquistare la Terra Santa, e col sottomettere il conte della Marca. Non volendo questo conte inorgoglito dall'aiuto del re d'Inghilterra, suo cognato, che lo proteggeva, prestare a san Luigi l'obbedienza che gli doveva, san Luigi andò a mano armata contro di lui e lo costrinse insieme con il re d'Inghilterra ad arrendersi, e li sistemò veramente bene ambedue.

Che non fece ancora quel gran santo e generoso re nella guerra contro gli albigesi? Il conte di Tolosa si era ribellato, e la ribellione si era estesa nella Linguadoca, nella Guascogna, in una parte della Guienna e nella Provenza, favorita da un'eresia, disseminata in poco tempo, in tutte quelle provincie. San Luigi vi mandò alcuni predicatori, san Domenico e gli altri dottori che sapete e di cui si è parlato e che ricavarono frutti meravigliosi, quindi vi andò lui stesso a mano armata, per sottomettere tutti quei paesi ribelli; e lo fece con coraggio e generosità veramente mirabili. Sottomise il conte e i suoi alleati, e li obbligò al dovere, nonostante le forze di cui disponevano.

Orbene, questo, fratelli, ci fa vedere che la umiltà non è per nulla contraria alla magnanimità, e che è una pazzia e un errore credere a coloro che sostengono il contrario, ossia, che un uomo umile non possa essere valoroso; è uno sbaglio di molti,

298 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 30 v°.

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perché vediamo che san Luigi fu grandemente umile e valorosissimo. Qualche tempo fa, avendo avuto l'onore di parlare delle leggi dello Stato, e del come andavano le cose ai tempi di san Luigi, con un signore ragguardevole, egli mi disse: "Ma come! signore, vi sembra gran fortezza quella di san Luigi, che ha lasciato e abbandonato il suo regno per andare in terra straniera dove avvenne quello che sapete?" - "Eh! via! signore, vi sembra che san Luigi abbia mostrata la sua generosità soltanto fuori del suo regno? Non ha soggiogato gli albigesi? E con qual coraggio non sottomise il conte della Marca, cognato del re d'Inghilterra ed il conte di Tolosa, riducendoli al dovere?" - "Veramente, signore, mi rispose, avete ragione".

Orsù, Dio sia benedetto! Si ebbe cura di notare negli archivi dell'Hotel-Dieu di Parigi, dove quel buon re andava, due o tre volte alla settimana, a servire i poveri, come fanno oggi le Dame della Carità, che questo santo era solito chiedere che gli s'indicassero quelli che avevano i mali più orribili e più fetidi. E un giorno essendovene uno dal cui male emanava un tal fetore da non potersi quasi sopportar neppur da lui stesso, la storia dice che san Luigi si tolse il mantello e si avvicinò al pover'uomo per assisterlo, sebbene il poveretto lo scongiurasse di non avvicinarsi a causa delle orribili esalazioni del suo corpo, insopportabili pure a lui.Le persone del seguito di sua maestà non poterono avvicinarsi, si turarono il naso o si allontanarono da quel luogo, ma il re rispose al poveretto: "Tranquillizzatevi, amico mio, spero che Nostro Signore cambierà tutti questi fetori in soavi fragranze, e così mi sarà assai facile il servirvi". Non è veramente bello questo, signori? Preghiamo Dio, fratelli, di farci partecipi dello spirito di san Luigi, di quel gran re che amava tanto i poveri, di quel gran re che aveva lo spirito tanto mortificato. Orsù, sia benedetto Dio!

Ho saputo ieri che la Polonia si trova in grandissimo pericolo, a causa di tutti i nemici ai quali deve far fronte. Il re di Svezia ha assalito quel regno da una parte, il palatino di Posnania si è ribellato e si è unito al re di Svezia, un altro principe palatino ha fatto lo stesso. Anche il signor Lévéque, che è un laico, agente d'affari della Polonia, venuto ieri qui, mi confermò pure queste notizie; dimodoché vedete lo stato pietoso di quel regno e quanto sia necessario che noi ce ne interessiamo presso il Signore per chiedere a sua divina Maestà che si degni proteggere il re, la regina e il loro regno. Un sì buon re, una sì buona regina! Eppure Dio li mette alla prova, e le cose son giunte al punto che vi ho detto: i moscoviti da una parte, i cosacchi dall'altra, tutta gente greca, luterana, scismatica. Pensate a che sarà ridotto quel povero regno, se Dio non vi mette le mani.

Mi è stato riferito che in alcune città, prese da principio, hanno costretto persino i religiosi e le religiose ad abbracciare la loro religione, ad osservare le loro cerimonie, a farsi ribattezzare. Esorto perciò la Compagnia d'interessarsi di quel povero regno, tanto più che ne va di mezzo la gloria di Dio e la religione cattolica, che probabilissimamente verrà abolita; del re, sempre tanto buono con noi, e che stava per fare una nuova fondazione della Compagnia, vicino a Varsavia. In verità, signori, quando mi hanno dato quelle notizie, ne sono rimasto tanto afflitto come credo non esserlo mai stato, ed anche ora che vi parlo, provo un dolore sensibilissimo, ecc.".

139. BRANO DI CONFERENZA 1655299

DI FRANCESCO LE BLANC, MISSIONARIO IN SCOZIA300

299 Anno della liberazione di Francesco Le Blanc.300 Abelly, op. cit., 1.II, cap.I sez. XI.

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"Ringraziamo Dio di aver liberato l'innocente, e che, tra noi, vi sia una persona che ha tanto sofferto per amore del suo Salvatore. Questo buon sacerdote non ha rinunziato, per timore della morte, a tornare sui monti della Scozia ed a lavorarvi come prima. Oh! qual motivo abbiamo di ringraziare Nostro Signore, per aver dato a questa Compagnia lo spirito del martirio, questa luce, dico, e questa grazia che le fa vedere qualche cosa di grande, di luminoso, di splendido e di divino nel morire per il prossimo ad imitazione di Nostro Signore! Ne ringrazieremo Dio e lo pregheremo di concedere a ciascuno di noi questa medesima grazia di soffrire e di dare la vita per la salvezza delle anime".

140. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 12 SETTEMBRE 1655NOTIZIE DELLE MISSIONI DI POLONIA E DI BARBERIA301

Parlando delle miserie e delle guerre di Polonia, il signor Vincenzo disse che il corpo della Compagnia soffriva in una parte dei suoi membri, intendendo parlare dei missionari di Polonia, che credeva avessero avuto l'ordine di ritirarsi da Varsavia per sottrarsi al furore dell'armata svedese, che aveva saccheggiato Posnania, ucciso il suffraganeo del vescovo e molti altri sacerdoti. Dio ha le sue ragioni di permettere che tutto vada così e se ce le facesse conoscere diremmo che fa bene ed ha ragione di così comportarsi.

"Una delle prime cose che Dio farà vedere agli uomini lassù in paradiso, quando la divin a Maestà farà loro la grazia di chiamarveli, sarà di scoprire le ragioni e i motivi per cui ha voluto così sulla terra. Perché, vedete, Dio non fa nulla se non per un fine buono e molto giustamente; perciò dobbiamo conformarci in tutto ai suoi voleri e adorare le sue vie sempre mirabili, sebbene spesso nascoste agli uomini, e ch'essi non conosceranno mai altro che in cielo.

Ecco un altro motivo di pena, però un po' diverso. Il signor Le Vacher mi scrive da Tunisi che il dey, ossia il re di quel paese, l'ha fatto cercare per dirgli di essere informato che egli, con industria meravigliosa, distoglieva i cristiani, che lo desideravano, dal farsi turchi, e per questo gl'ingiungeva di uscire dalla città. Il signor Le Vacher ubbidì e se ne andò a Biserta, accompagnato da una guardia e dal suo interprete. Appena arrivato, trovò due barche di poveri cristiani che esortò alla confessione, e a tale scopo chiese ed ottenne dal comandante che fossero loro tolte le catene".

Il signor Vincenzo esclamò:"Chi sa, signori, che non sia stato disegno di Dio il permettere che capitasse questa

piccola disgrazia al buon signor Le Vacher per dargli modo di assister e aiutare quei poveri cristiani a mettere in ordine la loro coscienza?

Poi, disse, il signor Husson, che è il console, è andato a pregare il dey di compiacersi di richiamare il signor Le Vacher, dimostrandogli che egli non si occupava che dei poveri cristiani, senza immischiarsi della religione turca ecc. Il dey acconsentì ed ha mandato ordine al governatore di Biserta, di non fare imbarcare il signor Le Vacher per la Francia, qualora avesse voluto farlo, e che senza farsi accorgere di nulla, perché la cosa non fosse conosciuta, lo rinviasse a Tunisi entro un mese. Tanto più che temeva di essere tacciato di leggerezza, avendo esiliato un uomo per simile motivo e che, se si fosse risaputo nella cristianità, fossero maltrattati i turchi che vi sono detenuti.

Ecco le ragioni che sembra abbia avuto di richiamare il signor Le Vacher a Tunisi. Ora vi dirò che quell'ottimo uomo del signor Le Vacher, trovandosi a Biserta, mi scrisse che aspettava il nostro ordine o per tornare in Francia o per andarsene ad Algeri.

301 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 32.

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Un animo meschino e amico dei propri comodi sarebbe stato contento di avere una simile occasione per tornarsene in Francia, eppure no, eccolo pronto ad andare ad Algeri, dove c'è ancor più lavoro che a Tunisi! Ecco! Ecco, signori, come son fatti i veri servi di Dio che sono animati dal suo spirito.

In verità, se da un lato Dio permette che si abbandoni la propria vocazione 302, v'è motivo di consolarsi, dall'altro lato, vedendo soggetti tanto buoni nella Compagnia.

Il signor Le Vacher, di Algeri, suo fratello egli pure, che cos'è? Un uomo tutto fuoco, e che si espone al punto che se si fosse risaputo quello che ha fatto, quand'anche avesse avute cento vinte, le avrebbe perdute. Gli sarebbe toccato niente di meno che il rogo. Ad esempio, se avessero risaputo quello che ha fatto con un religioso che s'era fatto turco, per indurlo a rinunziare a questa maledetta legge, non gli sarebbe toccato che d'esser bruciato vivo, né più né meno. Si usa così in quel paese. E poi è un uomo che lavora sempre. Vi dirò anche che nella Pasqua scorsa, vedendo che aveva soltanto otto giorni per assistere quei poveretti, e che non avrebbe potuto venirne a capo in sì poco tempo, a meno di lavorare straordinariamente, si rinchiuse con loro nell'ergastolo e passò quegli otto giorni lavorando giorno e notte, riposandosi pochissimo, esponendo in tal modo la sua vita per l'assistenza del prossimo.

Non è bello, signori? Che ve ne sembra? Non abbiamo ragione di benedire Dio, per aver Egli dato soggetti come questi suoi servi alla Compagnia? Oh! quanto prego Dio con tutto il cuore di dare alla Compagnia lo spirito dei patimenti, in modo d'esser contenti di soffrire per amore di Nostro Signore! Chiediamolo a Dio, signori. E voi, cari fratelli, pregate sua divina Maestà di concedere alla Compagnia questo medesimo spirito".

141. BRANO DI CONFERENZA SETTEMBRE 1665303

SUI SACERDOTI304

"Siate benedetto, Signore, per le cose buone che abbiamo udito e che Voi avete ispirato a coloro che hanno parlato! Ma, mio Salvatore, non servirà a niente se Voi non vi mettete la vostra mano: occorre che sia la vostra grazia che operi quello che è stato detto e ci doni doni questo spirito senza il quale non possiamo nulla. Che sappiamo far noi, che siamo dei poveri miserabili? O Signore, dateci quello spirito del vostro sacerdozio che avevano gli apostoli e i primi sacerdoti loro successori; dateci il vero spirito di quel sacro carattere che avete infuso in poveri pescatori, in artigiani, in individui rozzi di quel tempo, ai quali, per vostra grazia, comunicaste questo grande e divino spirito, perché, Signore, anche noi siamo gente meschina, poveri operai e contadini, e qual proporzione tra noi miserabili e un ufficio tanto santo, tanto eminente e celeste? O signori e fratelli, quanto dobbiamo pregare Dio a tale scopo, e fare qualunque sforzo per questo bisogno impellente della Chiesa, che in molti luoghi va in perdizione per la cattiva condotta dei sacerdoti; perché sono essi che la deturpano e la rovinano. E' purtroppo vero che la depravazione dello stato ecclesiastico è la causa principale della rovina della Chiesa di Dio. Mi trovai nei giorni passati in una riunione, nella quale si trovavano sette prelati, i quali, riflettendo sui disordini che si scorgono nella Chiesa, dicevano altamente che gli ecclesiastici ne erano la causa principale.

302 In margine: Il signor Vageot era uscito dalla Compagnia otto o dieci giorni innanzi.303 Il passo relativo all'invasione della Polonia da parte del re di Svezia suppone questa data.304 Abelly, op. cit., 1. II, cap. I, sez. IV.

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Sono dunque i sacerdoti; sì, noi siamo la causa di questa desolazione che devasta la Chiesa, di questa deplorevole diminuzione che ha sofferto in tanti luoghi, essendo stata quasi interamente rovinata in Asia e in Africa, ed anche in gran parte dell'Europa, come nella Svezia, nella Danimarca, nell'Inghilterra, Scozia, Irlanda, Olanda e altre Province Unite, e in una gran parte della Germania. E quanti eretici non vediamo in Francia! Ed ecco la Polonia, la quale, già abbastanza infetta dall'eresia, è ora, per l'invasione del re di Svezia, in pericolo di essere del tutto persa, per la religione.

Non sembra, signori, che Dio voglia trasportare la sua Chiesa in altri paesi? Sì, se non cambiamo, è da temersi che Dio ce la tolga del tutto, se consideriamo specialmente che tanti potenti nemici della Chiesa penetrano da noi a man forte. Quel formidabile re di Svezia che, in meno di quattro mesi, ha invaso una buona parte di quel regno! Dobbiamo temere che Dio l'abbia suscitato per punire i nostri disordini. Sono i medesimi nemici di cui Dio si servì altra volta per gli stessi fini; perché milleduecento anni fa Dio si servì dei Goti, Visigoti e Valdesi, usciti da quelle parti, per affliggere la sua Chiesa. Questi prodromi, i più strani che siano mai stati, devono farci stare ben in guardia. Un regno di sì vasta estensione quasi interamente invaso, in un attimo, nello spazio di quattro mesi! O Signore! Chi sa se quel terribile conquistatore si fermerà lì. Chi lo sa? Infine, ab Aquilone pandetur omne malum305; di là sono provenuti i mali che i nostri antenati hanno sofferto ed è da quella parte che dobbiamo temere. Pensiamo dunque all'emenda dello stato ecclesiastico, poiché i cattivi sacerdoti sono la causa di tutte queste sventure e sono essi che le attirano sulla Chiesa. Quei buoni prelati lo riconobbero per esperienza personale e lo dichiararono dinanzi a Dio; e noi dobbiamo dirgli: "Sì, Signore, abbiamo provocato noi la vostra collera; i peccati nostri hanno attirato tali calamità; sì, sono i chierici e quelli che aspirano allo stato ecclesiastico, sono i suddiaconi, sono i diaconi, sono i sacerdoti, noi che siamo sacerdoti, che abbiamo attirato questa desolazione sulla Chiesa. E che! Signore, che possiamo fare ora, se non affliggercene davanti a Voi e proporci di cambiar vita? Sì, mio Salvatore, vogliamo contribuire quanto potremo per espiare le nostre colpe passate e per riordinare lo stato ecclesiastico; è per questo che siamo qui riuniti e vi domandiamo la vostra grazia".

Ah! signori, che cosa non dobbiamo fare? Dio ha affidato a noi una grazia tanto grande quanto è quella di contribuire alla riforma dello stato ecclesiastico. Dio non si è rivolto per questo né ai dottori né a tante comunità e religioni piene di scienza e santità, ma si è rivolto a questa meschina, povera e miserabile. Compagnia, l'ultima di tutte e la più indegna. Che cosa ha trovato Dio in noi per sì alto ufficio? Dove sono le nostre magnifiche gesta? Dove le azioni illustri e splendide che abbiamo fatto? Dove quella gran capacità? Nulla di questo; Dio si è rivolto, per sua pura volontà, a poveri miserabili ignoranti per cercare ancora di riparare le breccie fatte al regno del suo Figlio e allo stato ecclesiastico. O signori, conserviamo gelosamente questa grazia che Dio ci ha fatta a preferenza di tante persone dotte e sante che la meritavano più di noi; perché se la rendiamo inutile, per negligenza nostra, Dio ce la toglierà per darla ad altri e punirci della nostra infedeltà.

Ahimè! chi di noi sarà causa di tanta sventura e priverà la Chiesa di un bene così grande? Non sarò io, miserabile? Ognuno metta la mano sulla coscienza e dica a se stesso: "Non sarò io quel disgraziato?". Purtroppo, basta un miserabile come sono io per allontanare, con i suoi abbomini, i favori celesti da tutta una casa e e attirarvi la maledizione di Dio. Signore, che tutto mi vedete ricoperto di peccati che mi opprimono, non private, per colpa mia, questa piccola Compagnia delle vostre grazie; fate che continui a servirvi con umiltà e fedeltà, che cooperi al disegno che sembra voi

305 Ger I, 14.

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abbiate, di fare, mediante il suo ministero, un ultimo sforzo per ristabilire l'onore della vostra Chiesa.

Ma i mezzi, quali sono? Che dobbiamo fare per il buon esito della prossima ordinazione? Pregare molto, considerata la nostra insufficienza; offrire a tale scopo, durante questo tempo, le comunioni, le mortificazioni e tutte le orazioni e preghiere, applicando tutto all'edificazione dei signori ordinandi, ai quali dobbiamo rispetto e deferenza, non facendo i sapientoni, ma servendoli cordialmente e umilmente. Devono essere queste le armi del missionario, con questo mezzo tutto riuscirà; è col mezzo dell'umiltà, la quale ci porta a desiderare la nostra confusione. Poiché, credetemi, signori e fratelli, credetemi, è una massima infallibile di Gesù Cristo, più volte annunziatavi a nome suo, che appena un cuore è vuoto di se stesso, Dio lo riempie; Dio rimane e opera lì dentro. Il desiderio della nostra confusione è quello che ci vuota di noi stessi, è l'umiltà, la santa umiltà; allora non saremo più noi che agiremo, ma Dio in noi e tutto andrà bene.

O voi che lavorate direttamente a quest'opera, voi che dovete possedere lo spirito sacerdotale e ispirarlo a coloro che non l'hanno, voi, cui Dio ha affidato quelle anime per disporle a ricevere lo Spirito santo e santificatore, non abbiate altro di mira che la gloria di Dio, abbiate la semplicità di cuore verso di Lui e il rispetto verso quei signori.

Sappiate che in tal modo trarrete profitto; tutto il resto vi servirà ben poco. Soltanto l'umiltà e la retta intenzione di piacere a Dio hanno fatto riuscire quest'opera fino ad ora.

Raccomando anche le cerimonie e prego la Compagnia di evitare gli sbagli che potrebbero farsi. Le cerimonie, è vero, non sono altro che l'ombra, ma l'ombra di cose grandissime che richiedono di esser fatte con tutta l'attenzione possibile e svolte con religioso silenzio, con grande modestia e gravità. Come le faranno quei signori, se non le facciamo bene noi stessi? Si canti posatamente, con moderazione; si salmeggi devotamente. Ahimè! che risponderemo a Dio, se le facciamo male, quando ci chiederà conto di queste cose?".

142. CONFERENZA DEL 15 OTTOBRE 1655SULLA CONFORMITA' ALLA VOLONTA' DI DIO306

V'erano tre punti: nel primo le ragioni che abbiamo di darci a Dio, per far sempre e in tutto la sua volontà; nel secondo, in che consiste e quali ne sono gli atti; nel terzo punto, i mezzi per acquistar questa pratica di fare sempre e in tutto la volontà di Dio.

Il signor Vincenzo, avendo così annunziato il soggetto alla Compagnia, disse:"Parlerò io per primo, e quindi qualche altro della Compagnia. Le ragioni che

abbiamo, signori, di darci a Dio per abbracciare questa santa pratica di fare la volontà di Dio sempre e in tutto. La prima si trae dal Pater noster, che ripetiamo tutti i giorni e che Nostro Signore ci ha insegnato: Fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra; sia fatta la vostra volontà come in cielo così in terra. Nostro Signore desidera che, come gli angeli e i beati, lassù in paradiso, fanno perennemente la sua adorabile volontà, così la facciamo anche noi egualmente quaggiù sulla terra e con la maggior perfezione possibile, ecc.

La seconda ragione, signori, è che Nostro Signore ce ne ha dato l'esempio, non essendo venuto su questa terra se non per fare la volontà di Dio suo Padre, compiendo l'opera della nostra redenzione; e sua delizia era fare la volontà di Dio suo Padre, ecc.

306 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 33.

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Che cosa s'intende per fare la volontà di Dio? Vi dirò che dobbiamo considerarla rispetto alle cose comandate o proibite, o a quelle che non sono né comandate né proibite ma indifferenti o consigliate, o a quelle necessarie.

La volontà di Dio ci è manifestata dalla sua legge, dai suoi comandamenti e da quelli della sua Chiesa, oppure da quanto questi comandamenti ci proibiscono; perché vi sono precetti che c'ingiungono di fare una cosa, ed altri che ci proibiscono di farne un'altra; nell'uno e nell'altro caso si compie la volontà di Dio quando si fa quello che comanda o non si fa quello che proibisce. Inoltre, Dio vuole ed è suo vivo desiderio che si ubbidisca ai prelati della Chiesa, ai re, ai magistrati, sia che ci comandino, sia che ci proibiscano qualche cosa, alle leggi del regno in cui viviamo, al padre, alla madre, ai parenti, ai propri superiori; facendo questo, si compie la volontà di Dio.

Quanto alle azioni indifferenti, non comandate né proibite, queste possono essere gradevoli o sgradevoli, oppure non hanno nulla né di gradevole né di sgradevole. Se gradevoli, come mangiare, bere, e sono necessarie, il beneplacito di Dio è che le facciamo per amor suo e perché Egli vuol così, non curanti del piacere che la natura prova. Se non sono necessarie, il beneplacito di Dio è che ce ne priviamo e ci mortifichiamo; se sono sgradevoli e mortificanti per la natura, che le abbracciamo. "Chi vuol venire dietro a me, dice Nostro Signore307, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua". Se non hanno nulla né di gradevole né di sgradevole, come stare in piedi, camminare per quella via o per quell'altra, la volontà di Dio è che lo facciamo per amor suo. San Paolo dice: Sive manducatis, sive bibitis, sive aliud quid facitis, omnia in gloriam Dei facite308; sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fatelo alla maggior gloria di Dio. Dimodoché, signori, se vogliamo, possiamo fare sempre la volontà di Dio. Oh! qual felicità, qual felicità, signori, far sempre e in tutto la volontà di Dio! Non è uniformarsi a quello che Nostro Signore venne a fare sulla terra, come vi ho già detto? Il Figlio di Dio venne per evangelizzare i poveri, e noi, signori, non siamo mandati egualmente per il medesimo scopo? Sì, i missionari sono mandati per evangelizzare i poveri. Oh! qual felicità fare sulla terra la medesima cosa di Nostro Signore, cioè insegnare la via del paradiso ai poveri.

Il mezzo di riuscirvi è aver gran cura di rettificare l'intenzione al principio di ogni nostra azione e dire: "Mio Dio, vado a far la tal cosa per amor vostro; è per amor vostro che lascio questa cosa per farne un'altra". Perché, vedete, signori e fratelli, la buona intenzione che formuliamo al principio delle nostre azioni, ne è quasi la forma. Verbi gratia, come nel battesimo non basta far scorrere sulla testa della creatura l'acqua, che ne è soltanto la materia, perché sia battezzata, ma occorrono inoltre le parole e l'intenzione, che ne sono la forma, senza cui il bambino non sarebbe battezzato, così la buona intenzione formata al principio delle nostre azioni e che deve consistere nel farle per amor di Dio, le eleva sino al trono della Maestà divina e le rende meritevoli della vita eterna. Chiediamo a Dio di concederci la grazia di far sempre e in tutto la sua santa e adorabile volontà, e di ben fondarci in questa pratica. Si degni Dio di concedercene la grazia".

143. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 17 OTTOBRE 1655Non sacrificare gli esercizi di pietà al lavoro- La perfezione consiste nella

conformità alla volontà di Dio - La pratica di tal conformità vale più della pratica della presenza di Dio.309

307 Mt XVI,24.308 1Cor X,31.309 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 34.

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Il signor Vincenzo, parlando, alla ripetizione dell'orazione, ad fratello coadiutore, il quale, postosi in ginocchio, aveva chiesto perdono a Dio e alla Compagnia dei motivi di scandalo che diceva aver dati alla medesima Compagnia, per non aver assistito alle pratiche di comunità, come all'orazione del mattino, agli esami, ecc., con la scusa di essere oppresso dal lavoro, gli disse: "Fratello, non mancate più d'ora innanzi di assistere agli esercizi della comunità, e state tranquillo che non vi perderete nulla e Dio supplirà al tempo che avete speso al suo servizio e che avete passato qui. Non vi ricordate di quello che si racconta di santo Isidoro, contadino? Era un servo che lavorava la terra; e al mattino, mentr'era ai campi, quando sentiva suonare la messa, lasciava l'aratro e correva ad ascoltarla. Ed ecco quanto fece Nostro Signore a favore del suo servo. Avendolo il padrone rimproverato perché abbandonava aratro e cavalli nei campi per andare in chiesa, il buon sant'Isidoro gli disse: "E' vero, signore, ma vi prego osservare che alla fin d'anno ho fatto tanto lavoro quanto gli altri operai miei vicini; ho terra da lavorare quanto loro, la coltivo con tanta cura quanto loro; voi non avete più cavalli di loro eppure faccio tanto lavoro quant'essi". Ed essendo quel padrone preoccupato del come potesse fare tanto sollecitamente tutto quel lavoro, Dio gli fece conoscere come provvedesse Lui stesso a far compiere l'opera del suo servo mentre questi udiva la messa e quanto quell'atto quotidiano di pietà gli fosse gradito.

La perfezione non consiste nelle estasi, ma nel far bene la volontà di Dio. La perfezione che cos'è? Mi sembra che voglia dire una cosa a cui nulla manchi. Orbene, qual'è l'uomo che possegga la perfezione al punto di non mancargli nulla, poiché nessuno è perfetto ed il più giusto pecca sette volte al giorno? Possiamo raffigurarci due sorta di perfezioni: l'una più perfetta, anzi all'ultimo grado di perfezione, e l'altra meno perfetta. Ad esempio, quando vediamo un uomo ben formato in tutte le sue membra, con un bel viso e tutto proporzionato, diciamo: ecco un bel personale e un bel viso, un uomo a cui nulla manca, ecco un corpo perfetto. Invece, vediamo altri cui manca molto, chi più chi meno, e non si avvicinano punto, anzi manca assai, alla perfezione del primo. Lo stesso è della perfezione umana quaggiù sulla terra. Il Figlio di Dio, fatto uomo, aveva la prima perfezione di cui ho parlato; non gli mancava nulla, era perfetto in tutto. Con la seconda sono raffigurati gli uomini,i quali sono imperfetti in molte cose, poiché soltanto il Figlio di Dio e la santissima Vergine, sua Madre, arrivarono a quell'alto grado di perfezione menzionato.

Quando si dice che un religioso è in uno stato di perfezione, non s'intende che egli sia perfetto; perché bisogna ben distinguere fra stato di perfezione ed essere perfetto, e, come ho detto, sebbene il religioso abbia fatto quello che dice Nostro Signore, ossia abbia venduto tutti i suoi beni per darli ai poveri, se volete, non per questo è perfetto, sebbene si trovi in uno stato di perfezione.

Ora, chi, di tutti gli uomini, sarà il più perfetto? Colui la cui volontà è più conforme a quella di Dio. Dimodoché la perfezione consiste nel conformare talmente la nostra volontà alla sua da formare, propriamente parlando, un sol volere e un non volere; e chi più riuscirà in tale intento, più sarà perfetto. Perché, di grazia, signori, che disse Nostro Signore a quell'uomo del Vangelo, al quale voleva insegnare il mezzo di arrivare alla perfezione? "Se vuoi venire dietro a me, rinnega te stesso, prendi la tua croce, e seguimi"310. Ed ora vi domando, signori, chi rinunzia a se stesso più di colui che non fa mai la sua volontà, ma sempre quella di Dio? Chi si mortifica maggiormente? E, d'altra parte, se è detto nella Sacra Scrittura che chi sta unito a Dio forma un solo spirito con Lui311, vi domando, chi si unisce a Dio più di colui che non fa altro che la di Lui volontà e mai la propria, che non vuole e non brama se non quello che Dio stesso vuole o non

310 Mt XVI, 24..311 1Cor VI, 17.

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vuole? Chiedo, signori e fratelli, se conoscete alcuno che aderisca di più a Dio, e per conseguenza gli sia, più di questi, unito.

Se dunque è vero che nessuno rinunzia mai a se stesso e non segue perfettamente Nostro Signore se non chi conforma interamente la volontà sua a quella di Dio e aderisce perfettamente allo stesso Dio sì da volere quant'Egli desidera o non desidera, bisogna concluderne necessariamente che nessun uomo è tanto unito a Dio e forma un solo spirito con Lui, quanto chi fa quello che ho detto. O signori, o fratelli, se lo considerassimo bene, quale mezzo non vi troveremmo per acquistare in questa vita un immenso tesoro di grazie!

La pratica della presenza di Dio è ottima, ma mi sembra che praticare la volontà di Dio in tutte le azioni sia ancor di più; perché questa include l'altra. Del resto, chi si mantiene alla presenza di Dio, può qualche volta non fare la di Lui volontà. E ditemi, ve ne prego, non è stare alla presenza di Dio fare la sua volontà ed aver cura di rettificare l'intenzione, a tale scopo, al principio e nel corso di ogni azione? Chi sta alla presenza di Dio più di colui che dalla mattina alla sera fa tutto per piacergli e per amor suo? Non è un continuo esercizio della presenza di Dio far sempre la sua santa volontà? Andare all'orazione è fare la volontà di Dio e obbedire alla regola che lo comanda; recarsi agli esami è fare la volontà di Dio; perfino desinare, cenare, dormire, nel tempo che la regola lo vuole, è fare la volontà di Dio".

E rivolgendo la parola ai fratelli:"Sì, fratelli, potete essere graditi a Dio, lavorando nei vostri uffici, sia in cucina, sia

alla dispensa, quanto noi altri sacerdoti predicando e facendo il catechismo; voi fate quello che Nostro Signore fece per trent'anni, e noi facciamo quello che fece per tre anni soltanto. Dio si degni concederci la grazia di seguire questa santa pratica!".

144. BRANO DI CONFERENZA312

ELOGIO DELLO ZELO DI GIOVANNI LE VACHER313

"Raccomando alle preghiere della Compagnia i missionari che sono in Barberia, dei quali ho ricevuto notizie; le une ci danno motivo di consolazione, le altre di afflizione; quelle di Tunisi consolano, quelle di Algeri affliggono.

Il nostro signor Le Vacher era stato scacciato dal dey perché impediva, diceva lui, che fossero portate le tele per fare le vele alle navi di Tunisi, e per questa l'aveva rimandato. Infatti egli aveva contribuito che da Marsiglia non spedissero codeste tele ecc.; e l'impediva ai mercanti cristiani, perché vigeva la scomunica del Papa per chiunque fornisse tele, armi ed altro che potesse servire contro i cristiani. Ma alla fine avendogli il console dimostrato che il re di Francia avrebbe preso in mala parte che fosse scacciata una persona da lui mandata, l'ha richiamato. E' ritornato, e quei poveri schiavi gli sono andati incontro, chi lodando Dio, chi si gettava su di lui cercando d'abbracciarlo; ed uno diceva: "Ho digiunato per questo"; l'altro: "Ho ascoltato tante messe"; e un altro ancora: "Ho detto tante preghiere". Ognuno aveva fatto qualche cosa per farlo richiamare. I poveretti non sapevano come fare per attestargli la loro gioia. E' il loro salvatore, il loro salvatore, e se vi sono angeli che Dio manda in purgatorio per consolare le anime, così ecc. Signori, chi dice missionario, dice salvatore; noi siamo

312 Questa conferenza è posteriore al 14 maggio 1655, giorno in cui il giubileo fu pubblicato a Roma, e anteriore al 19 marzo 1656, giorno in cui S.Vincenzo lesse a San Lazzaro la bolla del giubileo.313 Vita manoscritta di Giovanni Le Vacher, p. 16.

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chiamati per salvare le anime, ecco perché simo qui. E noi disimpegnamo questo dovere? Salviamo le anime?

Ritorniamo a Tunisi, dove il nostro signor Le Vacher esercita l'ufficio di salvatore. Ha pubblicato il giubileo; non ha neppure il tempo di scrivermi; mi ha scritto un altro, il signor console. Tanta è la ressa di quei poveri prigionieri per il giubileo, che essi hanno colà e che noi non abbiamo ancora qui. Gran motivo di consolazione e di ringraziare Dio!".

145. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 20 FEBBRAIO 1656Decisione della Sorbona contro Arnauld e i suoi partigiani - Ringraziamenti dovuti

a Dio per la grazia fatta alla Compagnia di non cadere nel giansenismo.314

Verso la fine della ripetizione dell'orazione, il signor Vincenzo disse che la facoltà della Sorbona aveva emanato un decreto con cui condannava le opinioni di Giansenio su quei punti che erano stati persino portati davanti al parlamento dal signor Arnauld e dai suoi aderenti, e che la detta università della Sorbona aveva dichiarato il medesimo signor Arnauld indegno del titolo di dottore, del quale era rimasto privo, come pure di tutti gli onori e i privilegi annessi, in punizione di non essere andato a firmare ed a sottomettersi all'accennata censura. Sarà inoltre tenuto per eretico, insieme con i suoi aderenti che sostennero le sue parti, finché non si saranno sottomessi.

Il decreto dice ancora che nessuno, d'ora innanzi, sarà ammesso a sostenere la sua tesi per divenire baccelliere, se non avrà firmato la detta censura; e che nessun dottore potrà insegnare teologia, se prima non avrà egualmente sottoscritto questa censura.

Dopo aver detto questo alla Compagnia, il signor Vincenzo l'esortò a ringraziare Dio di tutto e specialmente di non aver permesso che la Compagnia della Missione fosse coinvolta negli errori di quella gente. "O signori, qual protezione di Dio sulla piccola Compagnia! Qual grazia speciale vederla nella purezza della dottrina della Chiesa! Oh! qual grazia le fece sua divina Maestà nell'essere immune da tutto quanto è contrario alla pura verità e alla dottrina di Nostro Signore e dei santi! Qual profonda riconoscenza deve aver per Iddio la Compagnia in generale e ciascuno in particolare, perché ci ha preservato dal cadere nella sventura di tante persone, anche tra le più dotte del tempo, che disgraziatamente si sono lasciate trascinare da queste nuove opinioni malsane! Quanto a me, ho sempre considerato e riputato per santi tutti coloro che ho visto conservarsi nella verità della dottrina e resistere a quelle disgraziate opinioni, e li considero e reputo come tali".

146. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 27 FEBBRAIO 1656SULL'UMILTA'315

Il signor Vincenzo raccomandò caldamente alla Compagnia di chiedere a Dio le virtù proprie della medesima Compagnia, ma soprattutto l'umiltà. "Poiché, disse, che mai non fa chi è umile? Esser contenti che sia disprezzato ciascuno in particolare ed anche la Compagnia in generale. Perché, ditemi, non vedete, per esempio, che chi fosse contento di essere disprezzato personalmente, e non tollerasse, in verun modo, che lo fosse la Compagnia collettivamente e volesse anzi che fosse altamente lodata e stimata,

314 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 35 v°.315 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 36.

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non vedete, dico, che quella persona, appartenendo alla medesima Compagnia, riprenderebbe con ciò quello che aveva dato? Dimodoché, fratelli, è chiaro che il missionario non solo deve accettare le umiliazioni che gli capitano in particolare, ma anche quelle che Dio permette giungano alla Compagnia in generale, della quale è membro.

Ah! non ci sono persone più adatte, più conformi ai disegni di Dio delle persone vuote di se stesse e che non bramano che spendere la loro vita per la gloria di sua divina Maestà e la salvezza del prossimo!316.

Anche ieri venne qui una persona a dirmi che il signor maresciallo de La Meilleraye stava prendendo accordi con i signori della Assemblea delle Indie che sono in questa città, e che si propongono di mandare là, ogni anno, qualche nave, ed hanno intenzione di andarsi a stabilire in molti e vari luoghi dell'isola del Madagascar. E il detto signor maresciallo de La Meilleraye aveva consigliato loro che se l'intendessero con me per mandarvi preti e fratelli. Per conseguenza,...317. Ecco parimente la Scozia, le Ebridi, dove c'è bisogno di gente. Siamo stati richiesti anche in qualche altro luogo delle Indie, ma non possiamo abbracciare tanto in una volta, non avendo abbastanza personale. Per il momento cercheremo di fornire il Madagascar, aspettando che Dio ci mandi nuovi operai.

Ecco, signori e fratelli, un bel campo, come vedete; preghiamo dunque Nostro Signore che mandi buoni soggetti alla Compagnia".

147. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 12 MARZO 1656Rimproveri rivolti ad un seminarista che aveva disubbidito al suo direttore, ad un

prete inosservante della regola e curioso e ad un altro prete poco obbediente.318

Il signor Vincenzo disse ad un fratello chierico seminarista319, il quale, dopo aver ripetuto la sua orazione, si era messo in ginocchio per chiedere perdono a Dio e la penitenza per una colpa commessa:

"Fratello, voi non vi accusate di una colpa considerevole commessa in questa settimana, ed è che avendo chiesto il permesso al signor Delespiney, vostro direttore, di andare ad ascoltare la conferenza che si teneva ai signori ordinandi, ed essendovi stato ricusato, perché non è uso che in tempo di seminario si vada ad ascoltare esortazioni che si tengono agli ordinandi, tuttavia voi vi siete andato. E' di questa colpa, fratello, che dovevate accusarvi. Una disubbidienza formale al proprio direttore ed una disubbidienza dopo ventuno o ventidue mesi di seminario! Ah! mio povero fratello, se mentre siete in culla vi comportate in questo modo, che dobbiamo aspettarci da voi, quando ne sarete fuori? Su che cosa credete debba fondarsi la Compagnia per ricevervi in capo a due anni, poiché mancate a quello che è più rigorosamente necessario ad una persona che vuol vivere in una comunità, ossia all'obbedienza e alla sottomissione? Che fare di voi? Riflettete a che sarete buono, se non a dare dispiaceri ai superiori? Ahimè! che avete fatto da quando siete in seminario? In che avete speso il tempo se, in ventuno o ventidue mesi che vi siete, non avete ancora imparato a sottomettervi?

316 In margine: Egli disse questo rispetto alle missioni lontane ed anche agli ordinandi, mi sembra.317 Qui la frase è incompleta nel manoscritto e il copista lasciò in bianco tanto spazio per una riga e mezzo.318 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 36 v°.319 Filippo-Ignazio Boucher.

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V'è nella Compagnia un tale 320 che non vuol fare se non quello che gli piace e che ha in testa: all'orazione viene quando gli piace: va a curiosare di qua, di là, da una parte, dall'altra, a visitare e frugare nelle stanze degli altri e sfogliare le loro carte; anzi, nei giorni passati, fu tanto indiscreto d'andare nella camera di un consigliere che faceva qui il suo ritiro, a rovistare fra le sue carte. Che cosa è questo, signori? Non è un essere scervellato?

Ve n'è anche un altro della stessa tempra nella Compagnia, che vuole quello che vuole. Andare in missione se gli piace, altrimenti si ricusa. Insomma fa pena vedere come certe persone sono fatte. Ecco, fratello, la via per la quale v'incamminate, che è di dare scandalo a tutta la Compagnia. Che faremo per quelle persone, se non pregare Dio che le illumini e faccia loro conoscere il disordine nel quale sono? E' necessario che Dio lo faccia Lui stesso, poiché gli avvertimenti non servono a nulla. Ora, fratello, per riparare questa colpa e per poter vedere se vi si deve ricevere o no, rimarrete in seminario sei mesi in più dei vostri due anni, ossia invece di due anni vi rimarrete due anni e mezzo. Andate, fratello, cercate di mortificarvi, e fate di tutto perché la Compagnia possa ricevervi alla fine di questo tempo"321.

E' da notarsi qui che mentre il signor Vincenzo parlava, non volle permettere a nessuno, neppure ad un prete della Compagnia, di uscire dal coro, prima di avere finito di dare tali avvertimenti, benché molte persone, tanto sacerdoti che fratelli coadiutori, si fossero presentate a lui per questo, dovendo recarsi dove il loro ufficio li chiamava o dagli ordinandi. Da molto tempo, egli non aveva fatto così, mi sembra; è probabile che questa volta si sia così diportato trattandosi di una disubbidienza e di motivi di scandalo.

Alcuni giorni innanzi aveva detto alla Compagnia che quante passioni e inclinazioni cattive e sregolate hanno gli uomini, altrettanto sono demoni che li tiranneggiano.

148. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 16 MARZO 1656Bisogna prendere i pasti in refettorio - Non cercare i propri comandi - Povertà della

famiglia di san Vincenzo - Non invitare nessun esterno a pranzo - Aver molta cura dei pensionanti.322

Dopo che un fratello coadiutore addetto alla cucina ebbe ripetuto la sua orazione, il signor Vincenzo prese la parola e disse, tra l'altro, che la meditazione fatta, sul ricco cattivo, gli dava argomento d'informare la Compagnia che aveva saputo che, da qualche tempo, si era insinuato un disordine al quale era necessarissimo rimediare, a causa delle conseguenze e del pericolo che trascinava seco. Ed era che quando uno tornava dalla campagna, era condotto nell'infermeria o in una stanza, dove gli si portava da desinare o da cenare e anzi, ve n'erano alcuni che erano stati trattati così per due o tre giorni di seguito. Questo era un abuso che poteva essere causa di molto male, "Perché si parla, si ride, s'incita a bere. L'uno dirà: "Bevete alla mia salute". E così fa l'altro. Vi si porta vino senza misura e conseguentemente ne possono derivare gravi inconvenienti. Si schiamazza e si chiacchiera; insomma, è una cosa che fa pietà. Ora, prego gli ufficiali di sorvegliare che questo non accada mai più. Quelli che tornano dalla campagna si facciano cenare al refettorio, dove potrà esser loro servita qualche porzione

320 In margine: Un sacerdote.321 In margine: Nota che il detto fratello uscì dalla Compagnia subito dopo esser stato promosso ai sacri ordini, ossia nell'anno 1660.322 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 37 v°.

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straordinaria; che se venissero da molto lontano e a piedi e fossero spossati per la stanchezza ed avessero bisogno di cambiar biancheria per essere molto accaldati, alla buon'ora! in tal caso si potrà farli riposare e portar loro la refezione, sia il desinare o la cena, nell'infermeria o in qualche stanza apposita; ma altrimenti, prego ciascuno della Compagnia di andare al refettorio, dove gli sarà servito il necessario".

Il signor Vincenzo disse quindi che temeva che qualcuno della Compagnia fosse troppo avido desiderando e volendo tutte le comodità, non sopportando che gli mancasse nulla: ben vestito, ben nutrito, buon pane, buon vino e via dicendo; aggiunse che questo stato è pericolosissimo. "Perché, ditemi, signori, qual ragione porta il Vangelo della dannazione del ricco cattivo, se non che era ben vestito, aveva una lauta mensa, e non faceva l'elemosina ai poveri? Sono queste le ragioni che il Vangelo dà della sua dannazione. Il povero Lazzaro aveva chiesto l'elemosina alla di lui porta, ed egli non gli aveva dato nulla, pensando soltanto a mangiar bene ed a vestire suntuosamente. Ecco lo stato di quel miserabile. E noi altri, signori e fratelli, che dobbiamo lavorare nella campagna alla salvezza dei poveri contadini che dobbiamo considerare come nostri padroni e signori, e al servizio dei quali la Compagnia è chiamata, vogliamo nondimeno che nulla ci manchi ed aver tutto a sazietà; che risponderemo a Dio? Quale scusa porteremo?

So che alcuni di noi hanno l'abitudine di non annacquare abbastanza il vino; a questo devono far attenzione. Qualche giorno fa, certe persone, intrattenendosi sulle comunità, dicevano che il vizio più comune in esse è la ghiottoneria e la troppa delicatezza. Ahimè! Quanto sono miserabile, io che non manco di nulla; qual conto dovrò rendere a Dio!

Il signor di San Martino, che usa tanta carità verso i miei parenti, mi scrisse, giorni addietro, che essi sono costretti a mendicare; anche il rettore della parrocchia me l'ha fatto sapere, e Monsignor vescovo di Dax, mio vescovo, che era qui ieri, mi diceva pure: "Signor Vincenzo, i vostri poveri parenti si trovano molto male; se non avrete compassione di loro, stenteranno a vivere; alcuni sono morti durante la guerra323; quelli che rimangono sono costretti a mendicare". Tuttavia, diceva il signor Vincenzo, che fare? Non posso aiutarli con i beni della casa, perché non mi appartengono; se chiedessi alla Compagnia il permesso di dar loro qualche cosa, quale esempio lascerei! "Ma che! si direbbe, se il signor Vincenzo ha fatto questo, perché non lo faremo anche noi? Ha soccorso i suoi parenti con i beni della casa". Ecco quello che si direbbero, con ragione, ecco lo scandalo che ne verrebbe. Aggiungo che la maggior parte della Compagnia ha parenti poveri e avrebbe pure diritto di chiedere egualmente il permesso di soccorrerli. Ecco, signori, ecco, fratelli, lo stato in cui sono ridotti i miei poveri parenti: all'elemosina, all'elemosina! Ed io stesso, se Dio non mi avesse fatto la grazia di essere sacerdote e di essere qui, lo sarei ugualmente.

Ora, signori, questo mi spinge a ripetere e raccomandare alla Compagnia quello che le ho già detto e raccomandato; nessuno, chiunque sia, inviti a desinare qui né parenti, né amici; dico, nessuno, chiunque sia. Più ancora, proibisco che si vada a chiedere il permesso al superiore, sia al signor Alméras324, sia al signor Admirault325, o a me, e nel caso che questo avvenisse e qualcuno della Compagnia andasse a chiedere loro tali permessi, li prego di imporre loro una penitenza e di proibire anche a loro di entrare in refettorio per prendervi i loro pasti.

Non vi meravigliate, signori, (rivolgendosi alla Compagnia), se do questa proibizione; lo faccio perché la cosa lo merita e altrimenti andrebbe più in là che non crediate. Se fosse tollerata, il nostro refettorio diventerebbe un'osteria, dove ognuno

323 I torbidi della Fronda.324 Assistente della casa di San Lazzaro.325 Sotto-assistente della casa di San Lazzaro.

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sarebbe il benvenuto. Non ho mai visto che dai gesuiti s'inviti a pranzo così ogni sorta di persone, parenti e amici; e se talora ciò avviene per qualcuno, bisogna che goda grande considerazione e sia per ragioni particolari, e che il Padre rettore stesso l'abbia invitato. Alla Sorbona non ho mai visto che nessuno vi abbia desinato, a meno di qualche dottore o baccelliere. Se dunque queste grandi e celebri Compagnie che ci hanno preceduto, hanno giudicato opportuno far così, perché noi, che le seguiamo, non faremo altrettanto?".

E rivolgendosi ai fratelli, disse loro:"Non dico con questo, fratelli, che non dobbiate preparare le cose meglio che vi sarà

possibile; anzi dovete farlo considerando che il pane, il vino, le carni e il resto che preparate e cucinate, sono per sostenere e nutrire i servi di Dio; e voi dovete riputarli come tali".

A questo punto, avendo un prete della Compagnia suggerito all'orecchio del signor Vincenzo di dire qualcosa rispetto al cibo dei pensionanti (com'è presumibile), il signor Vincenzo parlò in questi termini:

"Quanto ai pensionanti, fratelli, ho saputo che qualche volta si danno loro porzioni disgustose e mal cucinate, anche carne o vino avanzati dalla sera precedente. Ora, fratelli, questo non va bene; sono persone i cui parenti pagano buone rette; e non è forse giusto che si diano loro cose ben fatte e buone? In nome di Dio, fratelli, che questo non avvenga mai più, ma trattateli come noi, come preti. Perché, vedete, è un'ingiustizia che fate a quei poveretti dei quali una parte sono miseri innocenti rinchiusi, che non possono vedervi e lamentarsi dell'ingiustizia che fate loro. Sì, io la chiamo un'ingiustizia. Se lo faceste af una persona della Compagnia, a me, o ad un altro, ah! potremmo esigere che ci faceste giustizia e ci trattaste come gli altri; ma quella povera gente non è in condizione di poter dire le proprie ragioni e, quello che è peggio, non può neppur vedervi per poterlo fare. Oh! certamente è una colpa grave! Incontro spesso i genitori che mi domandano come sono trattati ed io rispondo che sono trattati come noi, ed invece ecco che scopro: che non è vero, anzi che fate il contrario. Vedete, fratelli, questa è materia di confessione, e prego i confessori di prestarvi attenzione, e gli ufficiali di sorvegliare che quella buona gente abbia tutto quello che si dà ai preti.

Dico inoltre, che è pure ingiustizia commessa verso coloro che pagano una pensione maggiore, non dar loro qualche cosa di più che a coloro che pagano meno. Vi esorto dunque, fratelli, di fare attenzione a tutto. Vedete, preferisco che lo togliate a me per darlo a loro, piuttosto che mancare a quello che vi ho raccomandato. E poiché, rispetto ai parenti di cui vi ho parlato più sopra, ho dato io stesso scandalo alla Compagnia, tollerando che un mio parente povero venisse qui a mangiare per un certo spazio di tempo, ho pensato di doverne chiedere perdono alla Compagnia".

Dicendo questo il signor Vincenzo si mise in ginocchio dinanzi alla Compagnia e ne chiese perdono.

149. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 19 MARZO 1656SUL GIUBILEO326

Il signor Vincenzo fece leggere, alla fine dell'orazione del mattino, in chiesa, la bolla del giubileo pubblicata dal nostro Santo Padre, il Papa Alessandro VII, con la circolare di Monsignor di Saussay, vescovo eletto della Diocesi di Toul e ufficiale e vicario generale di Monsignore l'Eminentissimo cardinale di Retz, arcivescovo di

326 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 39 v°.

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Parigi, nella quale circolare erano specificate le chiese da visitarsi in questa città e nei sobborghi per acquistare il giubileo.

" E poiché, disse poi il signor Vincenzo, rivolgendosi alla Compagnia, qualcuno di noi potrebbe trovare da ridire, o sembrargli strano di vedere che, tra tante chiese nelle quali vi saranno le stazioni, quella di San Lazzaro non è nominata, ho pensato, signori, di dirvi, che il signor ufficiale ce ne aveva fatto la proposta. Ma, dopo aver conferito con qualche anziano della Compagnia, abbiamo pensato che, siccome noi non dobbiamo predicare o confessare nelle città dove vi sia sede arcivescovile, vescovile o presidenziale, se non durante una missione, ai signori ordinandi o a quelli che fanno i ritiri, e che la Compagnia è destinata alla povera gente della campagna, sarebbe stato meglio fare le nostre scuse al signor ufficiale. A tale scopo, il signor Alméras è andato a trovarlo a nome di noi tutti, per ringraziarlo della grazia che ci aveva fatto, e spiegargli le ragioni che la Compagnia aveva di non accettare la stazione nella nostra chiesa. Queste ragioni sono quelle che vi ho dette, e furono trovate giuste. Ecco perché, signori, non abbiamo qui la chiesa stazionale. Ringrazieremo Dio della grazia fatta a tutti i fedeli mediante il giubileo, e cercheremo di ben disporci ad acquistarlo".

150. BRANO DI CONFERENZA DEL 7 MAGGIO 1656 327

PERSECUZIONE SUSCITATA CONTRO GIOVANNI LE VACHER DAL DEY DI TUNISI328

"Vi dissi già, tempo fa329, come il re di Tunisi avesse desiderato che il console gli facesse venire della cotonina di Francia (è una tela grossissima con la quale si fanno le vele alle navi), di cui questi si scusò, non solo perché le leggi di questo regno non lo permettevano, ma perché è proibito da bolle esplicite della Santa Sede Apostolica, sotto pena di scomunica, di provvedere ai turchi qualsiasi cosa che serva loro a far guerra ai cristiani. Il dey, vedendosi così deluso, si rivolse ad un mercante di Marsiglia che traffica in Barberia, e questi s'impegnò di procurargliela, nonostante le rimostranze che gli fece il console per distoglierlo, ricordandogli l'offesa che avrebbe fatto a Dio e ai cristiani, il danno cui sarebbe andato incontro e la punizione che avrebbe potuto ricevere se il re di Francia fosse stato avvertito del suo cattivo traffico. Ma siccome quel mercante non desisteva dal suo proposito, il console stese rapporto ufficiale e lo mandò qui; e il re dette ordine ai suoi ufficiali di Provenza e di Linguadoca di vigilare accuratamente che nessun carico di mercanzia di contrabbando partisse per la Barberia. Il che sarà venuto certamente a cognizione del dey e l'avrà irritato ancor più contro il console francese e contro i missionari.

Infatti, poco tempo dopo, fece loro un'angheria, un'insulsa prepotenza. Avendo mandato a cercare il signor Le Vacher, gli disse: "Voglio che tu mi paghi duecento settantacinque piastre, che mi deve il cavaliere de la Ferrière, perché tu sei di una religione che rende ormai il bene e il male, e per questo me la voglio prendere con te". Il signor Le Vacher rispose che i cristiani non erano obbligati a pagare i debiti gli uni degli altri, e che egli non doveva né poteva pagare quelli di un cavaliere di Malta e di un capitano di vascello, come il signor Ferrière; che appena aveva da vivere, che lui era un marabù dei cristiani (ossia un sacerdote, secondo il loro modo di parlare) venuto appositamente a Tunisi per l'assistenza dei poveri schiavi. "Dì pure quello che vuoi,

327 Vedi note 107 e 108.328 Abelly, op. cit., 1. II, cap. I, sez. VII, § 4.329 Nella conferenza 144.

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replicò il dey, voglio essere pagato". Ed usando violenza lo constrinse a sborsare quella somma.

Ma questo è soltanto un inizio; perché, se Dio non cambia l'umore di quel dey, i missionari sono alla vigilia di subire altre prepotenze ben maggiori. Infine, possono dire che cominciano ora ad essere veramente cristiani, poiché cominciano a soffrire servendo Gesù Cristo, come diceva santo Ignazio martire, mentre era condotto al martirio. E noi, fratelli, saremo discepoli di Gesù Cristo quando ci farà la grazia di sopportare qualche persecuzione o qualche disgrazia in suo nome. "I mondani godranno" dice il vangelo di oggi330; sì, le persone del mondo cercheranno i loro piaceri ed eviteranno tutto quello che contraria la natura. E voglia Dio che io, miserabile, non faccia lo stesso e non sia nel numero di quelli che cercano le dolcezze e le consolazioni servendo Gesù Cristo, invece di amare le tribolazioni e le croci! Perché, se fosse così, non sarei veramente cristiano; e, per diventarlo, Dio mi riserba l'occasione di soffrire e me la manderà quando a Lui piacerà. E' la disposizione che dobbiamo tutti avere, se vogliamo essere veri servi di Gesù Cristo".

151. CONFERENZA DEL 9 GIUGNO 1656SUGLI AVVERTIMENTI 331

Prendendo la parola alla fine della conferenza, che era stata divisa in due punti: il primo sui motivi di ricevere volentieri gli avvertimenti dati tanto in generale che in particolare, il secondo sui mezzi di ben riceverli e farne buon uso, il signor Vincenzo disse, tra l'altro, che tal pratica era un tesoro per la Compagnia della Missione e che questa doveva fare tutto il possibile per conservarla e chiedere a Dio la grazia di non esserne privata; che Dio vuole che il fratello avverta il fratello quando manca, affinché se ne corregga; che Egli ha raccomandato a ciascuno di aver cura del prossimo. "Ahimè! signori e fratelli, ditemi, ve ne prego, una persona può ragionevolmente offendersi se è avvertita di avere una macchia sul viso o uno strappo nel vestito? Certamente no, anzi ne sarà contenta. E, allora, perché troveremo mal fatto di essere avvertiti dei nostri difetti? No, senza dubbio; dobbiamo anzi essere contenti e chiedere anche ai nostri fratelli questa carità.

-Sì, ma, dirà qualcuno, un tale dice che ho commesso una colpa, e questo non è vero; oppure vi aggiunge qualche cosa che non risponde a verità.- Rispondo che la cosa è così o non l'è; voglio dire che è vera o non è vera. Se è vera, non abbiamo motivo di lagnarci se siamo avvertiti; che anzi dobbiamo umiliarcene e correggercene. Se non è vera, ebbene! ecco un'occasione che la divina Provvidenza ci offre per soffrire e praticare un atto di virtù eroica. Che se si esagera troppo e vi si aggiunge qualche circostanza non vera, bisogna tollerarlo parimente con pazienza, lo stesso come si è detto dell'avvertimento. Ditemi, fratelli, il Figlio di Dio che era l'innocenza medesima, come sopportò gli avvertimenti e le false accuse che gli sono state fatte? Lo sapete, non occorre che ve lo ripeta. E perché saremo noi tanto deboli e miserabili da non voler sopportare gli avvertimenti che ci sono dati?

C'è una persona nella Compagnia332, che essendo stata accusata di aver derubato il suo compagno ed essendo stata spacciata per tale nella casa, sebbene non fosse vero, non volle mai giustificarsi e pensava dentro di sé, vedendosi falsamente accusata: "Ti

330 Queste parole del Vangelo di S.Giovanni XVI, 20, si trovano nel vangelo della terza domenica dopo Pasqua.331 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 40.332 S.Vincenzo stesso. (Cfr. Abelly, op. cit., 1. I, cap. V).

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giustificherai tu? Sei accusato di una cosa non vera. Oh! no, esclamò, elevandosi a Dio, devo sopportare pazientemente". E così fece. Che avvenne poi? Signori, ecco quello che avvenne. Sei mesi dopo333, l'individuo che aveva veramente rubato, trovandosi a cento leghe di distanza, riconosciuta la sua colpa, ne scrisse e chiese perdono. Vedete, qualche volta Dio vuol provare le persone, e perciò permette che avvengono simili fatti.

Ma voglio ammettere che la cosa di cui un superiore, per esempio, avverte una persona non sia del tutto vera. Può darsi che il superiore, che dà questo avviso, lo sappia benissimo e voglia mettere a prova l'inferiore, e vedere se sia adatto ad un ufficio al quale lo destina. Il superiore ha il diritto di farlo. Va bene, non si è sempre padroni di sé e non si può sempre impedire i primi moti istintivi; come, quando avvertite certe persone, le vedete cambiar subito di fisionomia. Che cos'è, signori? Sono i primi moti della natura che insorgono e dei quali l'uomo non è padrone. E quando fossero altrettanti san Paolo, non potrebbero impedirli, perché sono effetto della natura piena di amor proprio e in essi non vi è neppur peccato. Ma quando sono passati e lo spirito rientra in se stesso, oh! cospetto! allora pecca se non li reprime e non si risolve al bene; in ciò si vede la differenza fra la parte spirituale e la miserabile carne; perché, ditemi, qual differenza c'è tra una persona senza ragione e una bestia? Nessuna.

Orsù, miserabile che sono, ho ben ragione di sentirmi ricoperto di confusione dinanzi a Dio, tanto più che non si commette peccato nella casa di cui non sia responsabile. Anche oggi sono stato tanto miserabile da essermi lasciato andare a qualche compiacenza. Lo dirò subito... E' stata detta una bella parola: è l'amor proprio che impedisce di ricevere gli avvertimenti come si deve. Oh! quanto è vero! "Togliete la propria volontà, dice san Bernardo, e nessuno andrà più all'inferno". Togliete quell'amor proprio che non tollera la minima cosa e rende la persona tanto delicata da non poter sopportare la più piccola riprensione senza irritarsi. Diamoci a Dio risolutamente per sopportare gli avvertimenti che ci saranno dati".

E il signor Vincenzo volendo tornare a parlare della compiacenza che diceva avere avuto, chiese:

-Che cosa ho detto ora di voler raccontare? Ve ne ricordate signor Alméras? Mio Dio, che cos'è? Nessuno se lo ricorda?".

- Un fratello, alzandosi, disse: "Signore, si riferiva a quella compiacenza che dite di avere avuto oggi".

"Ah! avete ragione; ecco dunque quello che mi è accaduto. V'è l'abitudine di leggere, nella adunanza delle Dame della Carità che si tiene per l'assistenza dei poveri delle frontiere della Piccardia e della Champagne, le lettere mandate dal fratello Giovanni Parre, incaricato della distribuzione delle elemosine che quelle buone signore mandano là tutte le settimane. Oggi si lessero alcune lettere che facevano menzione del bene che Dio opera per mezzo di quel buon fratello, e si parlò di una Compagnia delle più ragguardevoli di Reims, che questo buon fratello ha riunito perché avessero cura dei poveri, degli orfanelli e bisognosi della città e dei dintorni; e vi si aggiunge poi che ha fatto lo stesso a San Quintino, dove però le Dame non sono ancora tanto numerose quanto a Reims. Ora, la signora Talon, di ritorno da quei paesi insieme col figliuolo, richiamato per continuare il suo ufficio di avvocato generale alla corte del parlamento di Parigi, che è venuta oggi all'adunanza, e sentendo parlare del bene che si faceva colà per mezzo di quel buon fratello, ha preso la parola. Ha cominciato a raccontare quanto vide e udì del bene e delle benedizioni che Dio dà alle opere e alle iniziative di detto fratello, e come egli avesse fondato quelle Compagnie di Dame, di cui ho parlato, per l'assistenza dei poveri, e come abbia procurato alla Compagnia delle Dame di Reims un buon sacerdote, canonico di quella città, che gli pareva il più adatto per dirigerle e prendersene cura ed incoraggiarle nella loro santa missione. Ora, una delle signore di

333 "Sei anni" dice altrove il santo, secondo Abelly, ibidem.

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qui, sentendo il racconto della signora Talon, ha esclamato: "Se i fratelli della Missione hanno tanta grazia per fare il bene che ci si racconta, che non faranno i sacerdoti?".

Ecco, signori e fratelli, quello, miserabile che sono, quello che ha cagionato in me la compiacenza di cui vi ho parlato, alla quale mi sono lasciato andare, invece di riferire tutto a Dio, dal quale proviene ogni bene".

E rivolgendosi ai fratelli coadiutori disse: "Fratelli, non dovete gloriarvi, né compiacervi di quello che ho detto del vostro fratello; perché, vedete, Dio si serve di chi vuole, di un uomo cattivo come di un uomo buono, anche per far miracoli, come alcuni credono abbia fatto anche Giuda, il quale poi tradì Nostro Signore. Ve lo dico, fratelli, affinché abbiate cura di riferire a Dio tutta la gloria del bene che Nostro Signore farà per mezzo della Compagnia in generale o di ciascuno di voi e dei membri che la compongono in particolare. Dio si degni, se crede, accordarne la grazia a noi tutti".

152. CONFERENZA DEL 6 AGOSTO 1656334

SULLO SPIRITO DI COMPASSIONE E DI MISERICORDIA335

"Quando andiamo a visitare i poveri dobbiamo immedesimarci nei loro sentimenti per soffrire con loro ed avere le disposizioni del grande apostolo, che diceva: Omnibus omnia factus sum336, mi son fatto tutto a tutti; in modo che non ricada su noi il lamento che Nostro Signore ha fatto per bocca di un profeta: Sustinui qui simul mecum contristaretur, et non fuit337, ho aspettato per vedere se qualcuno compativa i miei dolori e non l'ho trovato. Bisogna perciò cercare d'intenerire i nostri cuori e renderli sensibili alle pene e alle miserie del prossimo, e pregar Dio di darci il vero spirito di misericordia, che è veramente lo spirito suo; perché, come dice la Chiesa, la caratteristica di Dio è di usar misericordia e darne lo spirito. Chiediamogli dunque, fratelli, di concederci tale spirito di compassione e di misericordia, di riempircene, di conservarcelo, in modo che chiunque veda un missionario possa dire: "Ecco un uomo pieno di misericordia". Pensiamo un poco quanto abbiamo bisogno di misericordia, noi che dobbiamo esercitarla verso gli altri e portarla in ogni luogo e sopportar tutto per esercitare la misericordia.

Fortunati i nostri confratelli che sono in Polonia, i quali hanno tanto sofferto durante le ultime guerre e durante la peste,e soffrono ancora nell'esercizio della misericordia corporale e spirituale, e per aiutare, assistere e consolare i poveri! Fortunati i missionari che né i cannoni, né il fuoco, né le armi, né la peste hanno potuto scacciare da Varsavia, dove la miseria altrui li tratteneva; che hanno perseverato e perseverano ancora coraggiosamente in mezzo a tanti pericoli e a tante pene, per la misericordia! Oh! quanto sono felici di spendere tanto bene questo istante di tempo della nostra vita per la misericordia! Sì, questo istante, perché tutta la nostra vita non è altro che un istante che vola e sparisce in un attimo! Ahimè! settantasei anni di vita che ho passati non mi sembrano ora che un sogno e un istante; e non me ne resta più nulla se non il rimpianto di avere speso tanto male quest'istante. Pensiamo qual dispiacere avremo alla morte se non ce ne serviamo per far misericordia.

334 La Recueil de diverses exhortations, che dà la prima parte di questa istruzione, porta la data del 6 agosto; il confronto di questa conferenza con la 157, permette si fissarne l'anno.335 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XI, sez. II.336 1Cor IX, 22.337 Sal LXVIII, 21.

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Siamo dunque misericordiosi, fratelli, ed esercitiamo la misericordia verso tutti, in modo da non trovar più un povero senza consolarlo, se possiamo, né un uomo ignorante senza insegnargli, in poche parole, le cose che è necessario creda e faccia per la sua salvezza. O Salvatore, non permettete che abusiamo della nostra vocazione, e non togliete a questa Compagnia lo spirito di misericordia, perché che cosa sarebbe di noi, se ci ritiraste la misericordia vostra? Datecela, dunque, insieme con lo spirito di mitezza e di umiltà".

153. AVVERTIMENTI AD ANTONIO DURAND NOMINATO SUPERIORE DEL SEMINARIO D'AGDE338 (1656)339--340

"O Signore, quale e quanto credete sia grande l'ufficio del governo delle anime, a cui Dio vi chiama? Qual ufficio pensate sia quello dei preti della Missione, che sono obbligati a coltivare e dirigere gli spiriti di cui Dio solo conosce i movimenti? Ars artium, regimen animarum. E' stato l'ufficio del Figlio di Dio sulla terra; per questo scese dal cielo, nacque da una Vergine, spese tutti i momenti della sua vita ed infine soffrì una morte dolorosissima. Perciò dovete concepire la più alta stima di quello che andate a compiere.

Ma come disimpegnare quest'ufficio di condurre le anime a Dio, d'opporsi al torrente dei vizi di un popolo o ai difetti di un seminario, d'ispirare i sentimenti delle virtù cristiane ed ecclesiastiche in coloro che la Provvidenza vi affiderà, per contribuire alla loro salvezza o alla loro perfezione? Certamente, signore, non c'è nulla di umano in questo; non è opera di un uomo, ma è opera di un Dio. Grande opus. E' la continuazione di quello che fece Gesù Cristo; per conseguenza l'industria umana non può altro che guastar tutto, se Dio non se ne occupa. No, signore, né la filosofia, né la teologia, né i discorsi operano nelle anime; è necessario che Gesù Cristo se ne occupi con noi, o noi con Lui; che operiamo in Lui e Lui in noi; che parliamo come Lui e nel suo spirito, come Egli stesso era nel Padre suo, predicando la dottrina che Gli aveva insegnato; è la Sacra Scrittura che lo dice.

Dovete dunque, signore, spogliarvi di voi stesso per rivestirvi di Gesù Cristo. Saprete che le cause ordinarie producono effetti della loro natura: un montone fa un montone, ecc., e un uomo altr'uomo; parimente, se chi dirige gli altri, chi li forma, chi parla loro, non è animato che dallo spirito umano, quelli che lo vedranno, l'ascolteranno e si studieranno d'imitarlo, diventeranno tutti umani: non ispirerà, qualunque cosa dica o faccia, se no l'apparenza della virtù, mai la sostanza: comunicherà lo spirito di cui lui stesso sarà animato, come vediamo i maestri imprimere le loro massime e i loro modi di fare nella mente dei loro discepoli.

All'opposto, se un superiore è pieno di Dio, se è pervaso dalle massime di Nostro Signore, tutte le sue parole saranno efficaci, e da lui uscirà una virtù che edificherà, e tutte le sue azioni saranno altrettante istruzioni che opereranno il bene in coloro cui saranno note.

Per giungere a questo punto, signore, bisogna che Nostro Signore stesso stampi in voi il suo sigillo e il suo carattere. Perché, come un pollone selvatico, sul quale è stato fatto un innesto domestico porta frutti della medesima natura di tale innesto, così, noi, creature miserabili, sebbene non siamo altro che carne, che fieno e spine, se Nostro

338 Conosciamo da Collet (La vie de S.Vincent de Paul, 1748 t. II, p. 316) il nome di colui al quale questi avvertimenti furono rivolti.339 Anno della nomina di Antonio Durand a superiore.340 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XXIV, sez. III.

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Signore stampa in noi il suo carattere, e ci dà, per così dire, la linfa del suo spirito e della sua grazia, se rimaniamo uniti a Lui, come i pampani della vigna al ceppo, facciamo quello che Egli fece sulla terra, voglio dire, operiamo azioni divine, e, come san Paolo, tutto ripieno di questo spirito, partoriamo figli a Nostro Signore.

Una cosa importante, alla quale dovete applicarvi con gran cura, è di avere molta comunicazione con Nostro Signore nell'orazione; quello è il serbatoio dove troverete le istruzioni necessarie per disimpegnare l'ufficio affidatovi. Quando avrete qualche dubbio, ricorrete a Dio e ditegli: "Signore, che siete il Padre dei lumi, insegnatemi quello che devo fare in tale circostanza".

Vi do questo consiglio, non solo per le difficoltà che vi preoccuperanno, ma anche per sapere direttamente da Dio quello che dovrete insegnare, ad imitazione di Mosè, il quale insegnava al popolo che Dio gli aveva ispirato: Haec dicit Dominus.

Inoltre, dovete ricorrere a Dio mediante l'orazione per conservare l'anima vostra nel suo timore e nel suo amore; perché, purtroppo!, signore, sono obbligato a dirvelo, e voi dovete saperlo, è facile perdersi cooperando alla salvezza degli altri. Uno può far bene per conto proprio, ma poi dimentica se stesso nell'occuparsi degli altri. Saul fu trovato degno di esser re, perché viveva bene nella casa del padre suo; eppure, dopo esser stato elevato al trono, perse miseramente la grazia di Dio. San Paolo castigava il suo corpo per timore che, dopo aver predicato agli altri e indicato la via della salvezza, non si dannasse lui stesso.

Ora, per non incorrere nella sventura di Saul, né di Giuda, bisogna vi uniate inseparabilmente a Nostro Signore, e gli diciate spesso, elevando la vostra mente e il vostro cuore a Lui: "O Signore, non permettete che, volendo salvare gli altri, io mi perda per mia disgrazia; siate Voi stesso il mio pastore e non negatemi le grazie che comunicherete agli altri per mio mezzo e per il tramite del mio ministero".

Dovete ricorrere parimente all'orazione per conoscere da Nostro Signore i bisogni di coloro che dovrete dirigere. Persuadetevi che otterrete certamente più frutto con questo mezzo che con qualunque altro. Gesù Cristo, che deve essere il vostro esempio in tutto, non si contentò di impiegare le sue prediche, i suoi lavori, i suoi digiuni, il suo sangue, e la sua morte stessa; ma a tutto questo aggiunse l'orazione. Non ne aveva bisogno per sé; fu dunque per noi che pregò tanto per insegnarci a fare lo stesso, sia per quello che concerne noi stessi, sia per quello che si riferisce a coloro dei quali dobbiamo essere con Lui i salvatori.

Un'altra cosa che vi raccomando è l'umiltà di Nostro Signore. Dite spesso: "Signore, che ho mai fatto per avere tale ufficio? Quali sono le mie opere che corrispondono al carico che mi si mette sulle spalle? Ah! mio Dio! io guasterò tutto se Voi stesso non regolerete tutte le mie parole e tutte le mie opere". Consideriamo sempre quello che vi è di umano e d'imperfetto in noi, e ne troveremo anche troppo per umiliarci, non solo davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini ed ai nostri stessi inferiori.

Sopra tutto, non abbiate la smania di far vedere che siete il superiore, il padrone. Non sono del parere di una persona, la quale mi diceva, giorni addietro, che per ben dirigere e conservare la propria autorità, era necessario mostrare di essere il superiore. O mio Dio! Nostro Signor Gesù Cristo non parlò così; c'insegnò tutto il contrario con le parole e con l'esempio, dicendoci che Egli stesso non era venuto per essere servito, ma per servire, e che deve farsi il servo di tutti chi vuole essere il padrone.

Seguite dunque questa santa massima, comportandovi verso coloro con i quali dimorerete quasi unus ex illis, dicendo loro subito di non esser venuto per comandare, ma per servirli; fatelo internamente ed esternamente e ve ne troverete contento.

Di più, dobbiamo riferire sempre a Dio il bene fatto per mezzo nostro, e attribuirci, invece, tutto il male che accade nella comunità. Sì, ricordatevi che tutti i disordini vengono principalmente dal superiore, il quale, per sua negligenza o per il suo cattivo

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esempio, introduce la sregolatezza, come tutti i membri del corpo languono quando la testa è malata.

L'umiltà deve indurvi anche ad evitare ogni compiacenza, che s'insinua principalmente negli uffici un po' più in vista. O signore, qual pericoloso veleno è per le buone opere la vana compiacenza! E' una peste che corrompe le azioni più sante, e fa dimenticare presto Dio. Guardatevi, in nome di Dio, da questo difetto, come dal più opposto che io mi sappia al progresso nella vita spirituale e alla perfezione.

Datevi per questo a Dio, per parlare con l'umile spirito di Gesù Cristo, confessando che la vostra dottrina non viene da voi ma dal Vangelo. Imitate soprattutto la semplicità delle parole e dei paragoni che Nostro Signore adopera nella Sacra Scrittura, parlando al popolo. Oh! quali meraviglie non poteva Egli insegnare! Quanti segreti non avrebbe potuto scoprire della Divinità e delle sue mirabili perfezioni, Lui che era la Sapienza eterna del Padre suo! Tuttavia, vedete come parla intelligibilmente, e come si serve di paragoni familiari, di un contadino, di un vignaiuolo, di un campo, di una vigna, di un granellino di senape. Ecco come dovete parlare, se volete farvi capire dal popolo, cui annunzierete la parola di Dio.

Un'altra cosa, alla quale dovete porre particolarissima attenzione, è di uniformarvi alla condotta del Figlio di Dio; voglio dire che, quando sarà necessario che operiate, facciate questa riflessione: "E' conforme alle massime del Figlio di Dio?". Se vi par di sì, dite: "Alla buon'ora, facciamola"; se al contrario, dite: "Non ne farò nulla".

Di più, quando si tratterà di fare un'opera buona, domandate al Figlio di Dio: "Signore, se foste al mio posto, come vi regolereste in questa occasione? come istruireste questo popolo? come consolereste questo malato di spirito e di corpo?".

Tale uniformità deve estendersi anche ad una viva deferenza verso coloro che vi rappresentano Nostro Signore e che vi tengono il posto di superiore; credetemi, la loro esperienza e la grazia che Gesù Cristo, per sua bontà, loro comunica, in ragione della loro carica, ha insegnato ad essi molte cose per ben dirigere. Vi dico questo perché non facciate nulla d'importante, né iniziate nulla di straordinario, senza avvertircene; o, se la cosa fosse urgente e non aveste il tempo di aspettare il nostro parere, vi rivolgiate al superiore più vicino, domandandogli: "Signore, che fareste in simile circostanza?". L'esperienza ci dimostra che Dio ha sempre benedetto la condotta di chi si è comportato in tal modo, mentre, invece, coloro che hanno fatto diversamente si sono impegnati in affari che li hanno messi non solo in angustie, ma hanno procurato imbarazzi anche a noi.

Vi prego parimente di non volervi distinguere nella vostra direzione. Desidero che non ostentiate nulla di particolare, ma seguiate sempre viam regiam, quella gran via, per camminare con sicurezza e senza riprensione. Intendo dirvi con questo che vi conformiate in tutto alle regole e alle sante consuetudini della congregazione. Non introducete nulla di nuovo, ma osservate le norme stabilite per coloro che hanno la direzione della casa della Compagnia, e non togliete nulla di quanto si fa nella Compagnia medesima.

Siate non solo fedele all'osservanza delle regole, ma anche esatto nel farle osservare; perché altrimenti tutto andrebbe male. E siccome terrete il posto di Nostro Signore, così pure occorre che siate, a suo esempio, una luce che illumina e riscalda. "Gesù Cristo, dice san Paolo, è lo splendore del Padre"; e san Giovanni dice che è la luce che illumina tutti gli uomini che vengono al mondo.

Vediamo che le cause superiori influiscono sulle inferiori; per esempio, gli angeli di una gerarchia superiore rischiarano, illuminano e perfezionano le intelligenze di una gerarchia inferiore; parimente, il superiore, il pastore e il direttore deve purificare, illuminare, unire a Dio le anime affidategli da Dio medesimo.

E come i cieli inviano i loro benefici influssi sulla terra, anche coloro che sono sopra agli altri, bisogna che riversino su di essi lo spirito fondamentale che deve

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animarli; perciò dovete essere pieno di grazia, di luce, di opere buone, come vediamo il sole comunicare la pienezza della sua luce agli altri astri.

Infine, è necessario che siate come il sale: Vos estis sal terrae 341, impedendo che la corruzione entri nel gregge di cui sarete il pastore".

Dopo che il signor Vincenzo mi ebbe dette le cose accennate, con una zelo ed una carità che non posso esprimere, venne un fratello della Compagnia, il quale gli parlò di un affare temporale concernente la casa di San Lazzaro; e quando detto fratello uscì, prese occasione di darmi gli avvertimenti seguenti:

"Vedete, signore, come dalle cose di Dio di cui parlavamo ora, debba passare agli affari temporali; da questo dovete capire come spetti al superiore provvedere non solo alle cose spirituali, ma estendere anche le sue cure alle cose temporali; poiché, siccome le persone che deve guidare sono composte di anima e di corpo, deve provvedere ai bisogni dell'uno e dell'altra, ad imitazione di Dio, il quale, pur essendo occupato da tutta l'eternità a generare il Figlio, e il Padre e Figlio a produrre lo Spirito Santo, oltre, dico, queste divine operazioni ad intra, creò il mondo ad extra, e si occupa continuamente di conservarlo con tutto quello che contiene, e produce, tutti gli anni, nuovi grani sulla terra, nuovi frutti su gli alberi, ecc. E la medesima cura della sua adorabile Provvidenza si estende anche a non permettere che una foglia cada senza suo ordine; conta tutti i capelli della nostra testa e nutre perfino il più piccolo vermiciattolo, perfino un bacolino. Questa considerazione mi sembra molto potente per farvi capire che non basta applicarsi alle cose spirituali, ma è pur necessario che un superiore, il quale rappresenta in qualche modo l'estensione della potenza divina, si occupi anche delle minime cose temporali, non reputando questo interessamento indegno di lui. Datevi dunque a Dio per procurare il bene temporale della casa dove andrete.

Il Figlio di Dio, quando, da principio, mandò i suoi apostoli, raccomandò loro di non portar denaro; ma dopo, quando il numero dei fedeli si accrebbe, volle che vi fosse uno qui loculos haberet, ed avesse cura non solo di nutrire i poveri, ma anche di provvedere alle necessità della famiglia. Più ancora, tollerò che alcune donne lo seguissero per il medesimo scopo, quae ministrabant ei 342; e se comanda nel Vangelo di non angustiarvi per il domani, deve intendersi di non darsi troppa premura né sollecitudine per i beni della terra, ma non di trascurare assolutamente i mezzi necessari alla vita e al vestiario: altrimenti non bisognerebbe seminare.

E finisco qui! è abbastanza per oggi. Ripeto di nuovo che quello che andate a fare è un'opera molto grande, grande opus. Prego Nostro Signore di benedirvi in tutto quello che farete e, per parte vostra, pregatelo insieme con me di perdonarmi tutte le colpe che ho commesso nell'ufficio in cui sono".

154. CONFERENZA DEL SETTEMBRE 1656.Notizie della Polonia - Disegni di Dio sulla diffusione della Chiesa.343

"Ci umilieremo profondamente dinanzi a Dio per avere Egli voluto, se le voci che corrono sono vere, prolungare ancora l'attesa del bene, che tanto spesso e sì insistentemente Gli abbiamo chiesto; perché i nostri peccati ne sono certamente la causa. Corre voce, non ancora certa, né ancora confermata, che non solo i torbidi della Polonia non sono finiti, ma che il re, il quale aveva un esercito di quasi centomila

341 Mt V, 13.342 Lc VIII, 3.343 Abelly, op. cit., 1. II, cap. I, sez. X.

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uomini, avendo dato una battaglia, l'abbia persa344. Una persona ragguardevole della corte mi scrisse che la regina andava a trovare il re e non era che a due giornate dalle truppe. La sua lettera è del 28 luglio e sembra che la battaglia abbia avuto luogo il 30. Se ciò fosse, la regina non sarebbe al sicuro.

O signori, o fratelli, qual confusione per noi pensare che i nostri peccati hanno distolto Dio dall'accordarci la grazia che Gli chiedevamo! Affliggiamoci per quel grande e vasto regno, tanto fortemente assalito, e che è perduto, se la notizia è vera. Ma affliggiamoci anche per la Chiesa, che andrà parimente perduta in quel paese, se il re dovrà soccombere. La religione non può sussistervi se non vi rimane il re, e la Chiesa cadrà nelle mani dei suoi nemici. I russi occupano già più di cento o centoventi leghe d'estensione, e il resto è in pericolo di essere invaso dagli svedesi.

Oh! questi fatti mi fanno temere che si avveri quello che volle significare il Papa Clemente VIII, il quale era un sant'uomo, stimato non solo dai cattolici ma anche dagli eretici, un uomo di Dio e di pace, al quale i suoi nemici stessi tributavano lode; ed io pure ho sentito alcuni luterani lodare e stimare la sua virtù. Quel santo Papa, dunque, avendo ricevuto due ambasciatori inviati da alcuni principi d'Oriente, dove la fede cominciava a diffondersi, e volendo ringraziare Dio in loro presenza, offrì secondo la loro intenzione il sacrificio della messa. Salito all'altare e giunto al memento, cominciò a piangere, gemere, singhiozzare, il che li meravigliò vivamente. Cosicchè, finita la messa, si presero la libertà di domandargli qual motivo gli avesse strappato lacrime e gemiti in un'azione che doveva procurargli soltanto consolazione e gioia. Egli rispose loro semplicemente che aveva, è vero, cominciata la messa con gran soddisfazione e contentezza, vedendo i progressi della religione cattolica; ma quella contentezza si era cambiata in triste amarezza, alla vista della diminuzione e delle perdite che ogni giorno la Chiesa subiva per parte degli eretici; dimodoché temeva che Dio volesse trasportarla altrove.

Dobbiamo, signori e fratelli, avere gli stessi sentimenti e temere che il regno di Dio ci sia tolto. E' uno spettacolo desolante quello che abbiamo sotto gli occhi: sei regni strappati alla Chiesa, ossia, la Svezia, la Danimarca, la Norvegia, l'Inghilterra, la Scozia e l'Irlanda: oltre a questi, l'Olanda e gran parte della Germania, e molte di quelle grandi città anseatiche. O Salvatore! qual perdita! E dopo ciò, siamo alla vigilia di vedere il grande regno di Polonia perduto, se Dio, per sua misericordia, non lo preserva.

E' ben vero che il Figlio di Dio promise che sarebbe rimasto nella sua Chiesa sino alla fine dei secoli, ma non promise che questa Chiesa sarebbe stata in Francia, nella Spagna ecc. Disse chiaramente che non avrebbe abbandonata la Chiesa, e che essa sarebbe rimasta sino alla consumazione dei secoli, in un luogo qualsiasi, ma non determinatamente qui o altrove. Se c'era un paese al quale avesse dovuto lasciarla, sembra che nessuno avrebbe dovuto esser preferito alla Terra Santa, dove Egli nacque, dove dette inizio alla sua Chiesa ed operò tante e tante meraviglie. Tuttavia fu proprio a quella terra, per la quale aveva tanto fatto e nella quale si era compiaciuto, che tolse primieramente la Chiesa, per darla ai Gentili. In altri tempi, ai figli di quella medesima terra, tolse anche l'arca, permettendo che fosse presa dai loro nemici Filistei, preferendo esser fatto, per così dire, prigioniero con la sua arca, sì Lui stesso prigioniero dei suoi nemici, piuttosto che rimanere con amici che non cessavano di offenderlo. Ecco come Dio si è comportato e si comporta ogni giorno verso coloro che, essendogli debitori di tante grazie, lo provocano con ogni sorta di offese, come facciamo noi, miserabili che siamo. E guai, guai a quel popolo cui Dio dice: "Non voglio più saperne di voi, né dei vostri sacrifici ed offerte; le vostre devozioni e i vostri digiuni non mi piacciono, non so

344 La voce era fondata. L'esercito di Carlo Gustavo aveva preso Varsavia il 1° agosto, dopo tre giorni di combattimento.

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che farmene. Avete tutto contaminato con i vostri peccati; vi abbandono. Andate, non avrete più parte meco!". Ah! signori! quale sventura!

Ma, o Salvatore!, quale grazia essere nel numero di coloro di cui Dio si serve per trasferire altrove le sue benedizioni e la sua Chiesa! Lo capiremmo se lo paragonassimo ad un signore sfortunato che, costretto dalla necessità, dalla guerra, dalla peste, dall'incendio delle sue case o dallo sfavore di un principe, ad andarsene e fuggire, vede nel crollo di tutta la sua fortuna persone che vengono ad assisterlo, che si offrono di servirlo e trasportare quanto ha.Qual contentezza e qual consolazione per quel gentiluomo nella sua disgrazia! Ah! signori e fratelli, qual gioia proverà Dio, se nelle perdite della sua Chiesa, in questi sconvolgimenti fatti dalle eresie, nell'incendio che la concupiscenza appicca da tutte le parti, se, in tal rovina, troverà qualche persona che si offra a Lui per trasportare altrove, se possiamo parlar così, gli avanzi della sua Chiesa ed altre per difendere e custodire quello che qui rimane! O Salvatore, quale gioia provate vedendo tali servi e tal fervore per resistere e difendere quello che vi rimane qui, mentre gli altri vanno ad acquistarvi nuove terre! O signori, qual motivo di gioia! I conquistatori lasciano una parte delle loro truppe a sorvegliare quello che posseggono, e mandano l'altra ad acquistare nuove terre ed estendere il loro impero. Così dobbiamo far noi, conservare qui coraggiosamente i possessi della Chiesa e sostenere gli interessi di Gesù Cristo, ed inoltre faticare continuamente per ottenergli nuove conquiste e farlo conoscere ai popoli più lontani.

Un fautore d'eresia345 mi diceva un giorno: "Dio è finalmente stanco dei peccati di tutti questi paesi, è irritato, e vuol toglierci ad ogni costo la fede, della quale ci siamo resi indegni; non sarebbe, aggiungeva, una temerità opporsi ai disegni di Dio e voler difendere la Chiesa, che Egli ha risoluto di perdere? Quanto a me, diceva ancora, voglio cooperare a questo proposito di distruzione". Ahimè! signori, forse diceva la verità, asserendo che Dio, in punizione dei nostri peccati, voleva toglierci la Chiesa. Ma quell'eretico mentiva dicendo che era temerità opporsi in questo a Dio ed adoperarsi per conservare la sua Chiesa e difenderla. Poiché Dio lo esige, bisogna farlo; non è temerità digiunare, far penitenza, pregare per placare la sua collera e combattere sino alla fine per sostenere e difendere la Chiesa in tutti i luoghi in cui si trova. Se finora i nostri peccati, per questo non bisogna desistere; ma, umiliandoci profondamente, continuare i nostri digiuni, le nostre comunioni e le nostre orazioni, insieme con tutti i buoni servi di Dio che pregano continuamente per il medesimo scopo. E dobbiamo sperare che alla fine Dio, per la sua grande misericordia, si lascerà commuovere e ci esaudirà. Umiliamoci dunque quanto possiamo alla vista dei nostri peccati; ma abbiamo fiducia e gran fiducia in Dio, il quale vuole che continuiamo a pregare sempre più per quel povero regno di Polonia tanto desolato, e che riconosciamo che tutto dipende da Lui e dalla sua grazia".

155. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 18 OTTOBRE 1656Cominciando l'orazione, bisogna considerare sempre a chi mira il soggetto proposto

- S.Vincenzo applica tal principio all'orazione del giorno - Notizie dei missionari di Polonia - Bisogni della missione del Madagascar - Non usare l'espressione: i nostri signori.346

Il signor Vincenzo, dopo avere ascoltato quattro persone della Compagnia, alle quali aveva fatto ripetere la loro orazione fatta sul vangelo del giorno, disse di avere

345 L'abate di San Cirano.346 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 42.

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osservato che nell'orazione la Compagnia non badava abbastanza al fine di ogni meditazione, essendo certo che ogni meditazione ha il suo fine particolare che noi dobbiamo sempre raffigurarci prima di cominciare, dicendo a noi stessi: "Orsù, a qual fine mira questa meditazione? Per qual fine questo argomento ci è stato proposto?", ecc. "Perché, nella meditazione bisogna sempre considerare, come in qualunque altra cosa, il fine per cui dobbiamo farla, ossia la gloria che ne viene a Dio, oppure il bene e l'utilità che ne verrà al prossimo.

Per esempio, il soggetto della meditazione di oggi ci propone l'elezione e la missione dei discepoli e come Nostro Signore raccomandi di pregare il Padrone della messe di mandare operai, e raccomandi parimente ai medesimi discepoli di non portare né sacco, né borsa, né calzature. Ora bisognava considerare per quale ragione Nostro Signore comandava tali cose ai discepoli, che intendeva con questo, quale utilità poteva venirne per la sua gloria, per il bene della Chiesa e dei discepoli; e, all'opposto, quali mali prevedeva potessero venire dal comportarsi diversamente. Il fine di questa meditazione è dunque di stimolarci a pregare Dio perché mandi buoni operai nella sua vigna, buoni sacerdoti, buoni missionari, distaccati da se stessi e dai beni della terra, dal denaro, dagli agi, e poi vedere se ci troviamo nello stato che Nostro Signore esige dagli operai evangelici. Alcuni di quelli che hanno ripetuto l'orazione, ne hanno detto qualche parola; gli altri no. Soprattutto bisogna ragionar poco, ma pregar molto, molto. Dopo aver considerato quello che ho detto, bisognava elevarsi a Dio e supplicarlo: "Signore, mandate buoni operai alla vostra Chiesa, ma siamo buoni; mandate buoni missionari, quali devono essere, per lavorar bene nella vostra vigna; persone, mio Dio, distaccate da se stesse, dai loro propri comodi e dai beni terreni e siano piuttosto in piccolo numero, purché siano buone. Signore, concedete questa grazia alla vostra Chiesa. Mettete in me, Signore, tutte le disposizioni che desiderate nei vostri discepoli, come quella di non avere affezione ai beni terreni". E così del resto.

Per grazia di Dio, la Compagnia osserva la pratica di non portar denari, essendo uno soltanto destinato a pagare tutto quello che occorre alla Compagnia e a ciascuno in particolare, sia per il vitto che per il vestiario ed altro. Perciò abbiamo fatto voto di povertà, il quale ci obbliga a lasciare la nostra rendita a disposizione e lasciarla a chi giudicheremo più opportuno, se non abbiamo parenti bisognosi. In tal modo vedete che la Compagnia si trova, per grazia di Dio, nel secondo stato in cui Nostro Signore volle che fossero gli apostoli, perché ambedue gli stati sono altrettanto perfetti in Lui; intendo parlare dello stato in cui volle fossero i discepoli, che è di non avere né sacco, né denaro, ecc., e dell'altro, proprio degli apostoli, che fu d'aver tanto con cui provvedere al vitto e al vestito. Nostro Signore stesso e gli apostoli avevano molte persone, diaconi, donne pie e caritatevoli che li seguivano e provvedevano alla loro sussistenza, e permise ai medesimi apostoli e discepoli di avere di che vivere. Orbene, Dio che spirò, per esempio, ai padri cappuccini, di abbracciare il primo stato di cui abbiamo parlato in questa meditazione, ha ispirato ad altri religiosi e comunità il secondo stato, che è quello al quale si compiacque chiamare la Compagnia.

Perché credete, signori, che Nostro Signore volesse che i suoi discepoli andassero due a due? Perché, avendo raccomandato ad ognuno di esercitare la carità verso il prossimo e questo prossimo supponendo una seconda persona, perciò li ha mandati due a due affinché entrambi esercitassero continuamente la carità reciproca, e se qualcuno cadeva, vi fosse l'altro che lo rialzasse, o l'incoraggiasse nelle sue fatiche, se era stanco e disanimato. O signori e fratelli, quanto è mirabile la condotta di Dio!

Ho ricevuto notizie dalla Polonia. Il signor Ozenne mi scrive in quali condizioni si trovano i signori Desdames e Duperroy, e quello che è avvenuto a Varsavia. Vi avevo più volte raccomandato di pregare per essi, perché si diceva in città che erano stati uccisi al ritorno degli svedesi in Varsavia, dopo la battaglia vinta contro i polacchi; ma non essendo certo, non ve ne parlai. Ora, il signor Ozenne mi scrive che, per grazia di

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Dio, stanno bene, ma hanno perduto tutto; perché, in conseguenza della loro vittoria, circa due mesi fa, gli svedesi, già scacciati da quella stessa città dal re di Polonia, vi sono ritornati, ed hanno saccheggiato tutto, e poi sono andati al presbiterio di Santa Croce dove dimorano i missionari, ed hanno preso ogni cosa, portando via quanto trovarono, non lasciando assolutamente nulla ai signori Desdames e Duperroy. Ciò che più conta è che Nostro Signore ha lasciato loro la vita.

Prego la Compagnia, con tutto l'affetto possibile, di ringraziare Dio di essersi degnato conservare questi suoi servi; persone di cui posso asserire di non aver mai trovato in loro nulla da ridire, almeno a quanto ricordo. Al tempo stesso, offriamoci a Nostro Signore, per sopportare tutte le afflizioni che ci capiteranno. Chiediamogli caldamente questa grazia, fratelli, non solo per ciascuno di noi in particolare, ma anche per tutta la Compagnia in generale.

La regina li ha chiamati presso di sé ed ha cominciato a provvederli di biancheria e di altri abiti necessari per loro uso. Abbiamo bisogno di simili operai.

Vi dissi ultimamente che il signor maresciallo di La Meilleraye mi aveva scritto o fatto scrivere, perché non gli avevo mandato che un prete, mentre dodicimila anime aspettavano di conver (pag. 383)

tirsi alla nostra santa religione. "Ma come, diceva, il Signor Vincenzo vuole abbandonare così dodicimila anime, che non aspettano che preti per convertirsi? ".

A proposito, avverto i nostri fratelli coadiutori ed i nostri fratelli chierici di quello che ho già detto ai sacerdoti, cioé di non dire "i nostri signori" ma piuttosto "i preti", quando vorranno parlare di alcuni della Compagnia".

156. CONFERENZA DEL 27 OTTOBRE 1656SULLE USCITE IN CITTA'347

La conferenza conteneva le ragioni che la Compagnia aveva di comportarsi bene, andando in città; il secondo punto, quali mancanze possono commettersi; il terzo, i rimedi a tali mancanze.

Il signor Vincenzo raccomandò vivamente alla Compagnia di comportarsi con la maggior modestia possibile, per non scandalizzare nessuno; di non portare il mantello in modo curioso e non conveniente alla dignità ecclesiastica. Disse che i signori della conferenza del martedì avevano trattato tale argomento, e che da allora in poi non avevano mai sentito dire che alcuno di loro avesse portato il mantello se non conformemente alla convenienza e dignità dei veri ecclesiastici; aggiunge che non si doveva scegliere il proprio compagno, né preferire questo o quello, ma contentarsi del compagno dato dal superiore; e, che, su questo, rinnovava il proposito di non accordar mai ad uno della Compagnia che dovrà recarsi in città, la persona che gli chiederà per compagno.

E rivolgendosi ai signori Alméras e Admirault, ufficiali, disse loro:"E voi, signori, vi prego di non accordar mai a coloro che andranno in città le

persone che vi chiederanno per compagni; perché vedete, signori, ciò ha una grandissima importanza, in quanto che lo si fa sempre per qualche scopo. Ed infatti, abbiamo visto alcuni esempi in persone che ora non sono più nella Compagnia, e quello che ne seguì. Mi ricordo, tra gli altri, di uno che chiedeva sempre per compagno un tale; e perché? Per andare all'osteria. Ma quelle persone non durarono a lungo348. Oppure

347 Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 43 v°.348In margine: Nota che coloro di cui il signor Vincenzo parla qui furono obbligati di uscir presto dalla Compagnia dopo tali mancanze.

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è per andare in questa o quella casa dove non vogliono che il superiore lo sappia, e questo è contro la regola, la quale è, ecc.".

Il signor Vincenzo aggiunse che negli affari da trattarsi, dovevamo comportarci con gran discrezione e modestia; con un magistrato, considerando la giustizia di Dio in lui; con il re, se ne capitasse il caso, considerando la maestà di Dio; e così con ogni condizione di persone con le quali si doveva trattare, e provvedere il modo di comportarsi, il modo di condurre gli affari con loro, di parlare e via dicendo".

Quindi il detto signor Vincenzo, ponendosi in ginocchio, chiese perdono alla Compagnia, per il bene che aveva tralasciato di fare a causa del suo contegno, e che avrebbe fatto, invece, se si fosse comportato ed avesse agito come poteva e doveva; come pure, avrebbe potuto evitare molto male, se non avesse dato motivo di scandalo.

Disse inoltre che, uscendo di casa e quando ritornavamo di fuori, dovevamo andare a salutare Nostro Signore349.

157. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 2 E 3 NOVEMBRE 1656Rimprovera la negligenza nello studio del canto - Figlie della Carità malate - Le

suore sono richieste in vari luoghi - Dobbiamo dedicarci alle opere di misericordia - Elogio dei missionari di Varsavia e di Roma350

Il signor Vincenzo raccomandò caldamente a tutti i seminaristi e studenti di imparare a cantare, e disse che era una delle cose che un sacerdote doveva sapere. "Ma come! non fa vergogna, disse, sentire che i contadini cantano tanto bene, e che noi non sappiamo farlo?". Ed avendo saputo che gli studenti non imparavano il canto e che questa pratica era cessata, esclamò:

"O mio Dio, qual conto dovrò rendervi per tante cose che si interrompono per colpa mia! Ahimé! E perchè si è cessato di fare questo? Signor Alméras e signor Berthe, vi prego di riunirvi a tale intento e di chiamare anche il signor Portail, per prendere gli opportuni provvedimenti perchè nessuno termini il seminario e gli studi senza sapere cantare.

E' veramente un bel fatto che persone, studenti destinati ad insegnare nei seminari, non sappiano cantare! E come l'insegneranno agli altri, se loro stessi non lo sanno? Un grande prelato mi ha fatto l'onore di manifestarmi il suo desiderio di fondare non solo un seminario, ma due o tre nella sua diocesi, e mi parla della Compagnia a tale scopo. E chi sono quelli che egli chiede? Persone che non sanno cantare! sia lodato Dio del pensiero che mi ha dato di parlarne alla Compagnia, a proposito della raccomandazione fattami dal signor Dehorgny che ci chiede preghiere per il suo collegio! 351.

Raccomando anche alle vostre preghiere una buona Figlia della Carità, gravemente e pericolosamente malata, buona serva di Dio; come pure un'altra che la regina ha chiesta per l'ospedale di La Fère, la quale è ugualmente malata; anche essa è una buona serva di Dio e la piccola Compagnia perderebbe molto se morisse. Voi non potete credere quanto Dio le benedica e in quanti luoghi siano desiderate. Monsignor di Trèguier352 me ne chiede otto per metterle in tre ospedali; Monsignor di Cahors353, d'altra parte, le chiede per due ospedali che ha istituito nella sua città; monsignor d'Agde354 le vuole del pari; la signore sua madre me ne parlò tre o quattro giorni fa ed insiste per

349In margine: Nota che il signor Vincenzo disse molte altre cose che non ho raccolte; forse l'avrà fatto qualche altro.350 Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 44.351 Il collegio dei Buoni Fanciulli.352 Baldassare Grangier di Liverdi.353 Alano di Solminihac.354 Francesco Fouquet.

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averle. Ma come! non è possibile, non ne abbiamo abbastanza. Chiedevo, giorni addietro, ad, un parroco di questa città, che le ha nella sua parrocchia, se facevano bene. "Oh! signore, mi rispose, tanto bene, per grazia di Dio, che..... 355". Signori, non oso ripetervi il bene che me ne disse.

A Nantes, dove sono è lo stesso, da quando hanno riconosciuto la semplicità di queste buone figliuole. Insomma esse esercitano la misericordia, che è quella bella virtù della quale è scritto: "La caratteristica di Dio è la misericordia". Anche noi l'esercitiamo e dobbiamo esercitarla tutta la vita; misericordia corporale, misericordia spirituale, misericordia in campagna, nelle missioni, correndo sempre in aiuto del nostro prossimo; misericordia quando siamo in casa verso gli esercizianti, verso i poveri, insegnando loro le cose necessarie alla salvezza eterna; e in tante altre occasioni che Dio ci offre. Infine, dobbiamo spendere la nostra vita nel fare in tutto e per tutto la volontà di Dio indicataci dalla regola. La faremo sempre, vedete, fratelli, tutte le volte che non faremo la nostra; e quando faremo la nostra non faremo davvero quella di Dio.

Ahimé! che cos'è la nostra vita che passa tanto presto? Quanto a me, eccomi al mio settantesimo anno eppure tutto questo tempo mi sembra quasi un sogno; tutti questi anni sono passati. Ah!, signori, quanto sono fortunati coloro che spendono tutti i momenti della loro vita al servizio di Dio e di buon cuore si offrono a Lui! Qual consolazione non avranno mai al termine della loro vita! Ecco, per esempio, i signori Desdames e Duperroy che sono a Varsavia; che cosa non hanno fatto? Né i cannoni, né il fuoco, né il saccheggio, né la peste, né tutti gli altri disagi e pericoli in cui si trovavano, sono riusciti a farli desistere né abbandonare il loro posto, né il luogo dove la divina Provvidenza li aveva messi, preferendo esporre in tal modo la vita piuttosto che mancare all'esercizio della bella virtù della misericordia.

Mi scrivono da Roma che uno studente del collegio di Propaganda Fide è stato colto dalla peste e coloro che hanno cura della salute pubblica hanno fatto chiudere il collegio. Siccome la Compagnia fornisce i confessori a quel collegio, si ricorse al superiore356 domandandogli se era disposto a mandare qualche prete che acconsentisse a rinchiudersi là dentro. Il superiore della Missione ha proposto la cosa alla Compagnia; e il confessore stesso, che è il buon signor De Martinis, si è offerto ed ora infatti vi si trova. Ora, signori, che cos'è questo se non esporre la vita per il servizio del prossimo, ed il più grande atto di amore che possa offrirsi a Dio, come ci dice Egli stesso con queste parole: "Non vi è maggior amore che dare la propria vita per l'amico suo?". 357

Voglia Dio, signori e fratelli dare a noi tutti tale disposizione!".

158. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DELL'11 NOV. 1656Non meravigliarsi se si cambia disposizione d'animo - Grande carità di S. Martino

che la Compagnia deve imitare - I fratelli coadiutori non devono fare ricreazione - Notizie dei missionari della Polonia e di Luca Arimondo di Genova - Ritardo del viaggio dei missionari destinati al Madagascar358

Alla ripetizione dell'orazione, il signor Vincenzo prese motivo di parlare alla Compagnia da quanto un seminarista ripetendo la sua orazione, aveva riferito circa i cambiamenti che avvenivano in lui, trovandosi talora bene, talora male, talora fervoroso, poi fiacco e pigro. Il signor Vincenzo prendendo la parola gli disse che non bisognava meravigliarsene perchè l'uomo è fatto così: oggi è umiliato e nell'afflizione,

355 In margine: Il signor Vincenzo non volle proseguire e dire il bene che facevano quelle buone suore; perciò si fermò alla parola che.356 E. Jolly.357Gv 15,13358Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 45 v°.

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domani nella gioia e nell'allegrezza. "Lo stesso Figlio di Dio volle lasciare il cielo per assoggettarsi a questo stato, per qualche tempo. Vediamo che alla sua nascita gli angeli e i pastori vengono ad adorarlo, rallegrandosi della sua nascita, presentandogli i loro omaggi; poi lo vediamo costretto, diciamo pur così, a fuggire in un regno straniero, per evitare la persecuzione di Erode. Morto Erode, ritorna; va al tempio ed appare tra i dottori un fanciullo intelligentissimo. Da questo stato d'ammirazione che suscitava in tutti coloro che lo vedevano e l'udivano, passò ad un'altro, perchè essendo la Madonna e san Giuseppe partiti, rimase solo nel tempio come un povero bambino abbandonato. Altre volte lo vedete far miracoli, risuscitare i morti, dar la favella ai muti, guarire i malati, e poi lo vedete perseguitato dai nemici. Eccolo apparire in una luce abbagliante sul monte Thabor, e poi lo scorgete trattato crudelmente, schernito, ingiuriato, flagellato.

Ed anche alla Chiesa, avviene lo stesso, talora in pace, poi perseguitata e così via. Oh! no, fratelli, non bisogna meravigliarsi di vedere in noi simili cambiamenti; ma quello che si deve fare, è ringraziare Dio tanto dell'uno quanto dell'altro stato in cui piacerà a sua divina Maestà metterci, sia di gioia e di consolazione, sia di tristezza e di afflizione, e amarli tutti questi stati, in cui piacerà a Dio di metterci, qualunque siano.

Chiediamo oggi tal grazia a Nostro Signore per intercessione di S.Martino, di quel gran santo che tutta la Chiesa ha in sì grande venerazione. La Chiesa stessa apprezzò tanto il suo atto di carità, che ce lo rappresenta a cavallo, come cavaliere, nell'atto di tagliare il mantello per darne la metà a un povero. Nostro Signore stesso per dimostrare al suo servo quanto avesse gradito tale atto di carità gli apparve la notte ricoperto dalla metà di quel mantello. Questo, signori e fratelli, ci fa vedere quanto Dio e la Chiesa, ispirata e guidata dallo Spirito Santo, facciano conto della carità esercitata verso i poveri. O fratelli, quanto siamo fortunati di trovarci in una Compagnia che fa professione di correre in aiuto del prossimo. Carità in casa, carità in campagna mediante le missioni, carità verso i poveri, e posso dire, per grazia di Dio, che fino ad ora non si è mai offerta un'occasione di soccorrerli senza che la Compagnia vi si sia adoperata. Qual consolazione, signori, per questa piccola Compagnia, vedere che non ha ancora seminato e che raccoglie quasi subito. Questo lo si vede chiaramente nelle missioni dove la povera gente passa due o tre giorni con un pezzo di pane alla porta delle chiese per non perdere l'occasione di confessarsi e rimettersi in buon ordine. Insomma, lo ripeto, siamo fortunati di trovarci in condizioni di poter fare quelle stesse cose che faceva san Martino nel suo vescovado, d'andare cioè nei villaggi a predicare, catechizzare, istruire il povero popolo! Chiediamo a Dio, signori, per intercessione di questo gran santo, di darci la generosità fondata sull'umiltà. Si, preghiamo questo gran santo di ottenere alla Compagnia la virtù della generosità, fondata sull'umiltà; notate bene, la generosità fondata sull'umiltà, fondata sull'umiltà.

Anche oggi si offre alla Compagnia una occasione di servire i poveri359; la prego con tutto l'affetto del mio cuore di supplicare Nostro Signore che si degni di farle conoscere la sua volontà in proposito".

Quindi il fratello Alessandro, secondo in anzianità dei fratelli coadiutori, si mise in ginocchio, e il signor Vincenzo gli domandò che cosa avesse; egli rispondendo alla domanda del suo superiore, disse di aver trasgredita la proibizione fatta ai fratelli coadiutori di trattenersi insieme, a modo di ricreazione, dopo pranzo e dopo cena, essendosi trattenuto una volta a parlare con un fratello per lo spazio di circa un quarto d'ora.

Il signor Vincenzo gli rispose in questi termini:

359Il re si proponeva di affidare alla Congregazione della Missione la direzione spirituale dell'ospedale generale.

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"Ebbene, fratello, Dio sia lodato! E' vero che ciò non deve farsi e che l'abbiamo altra volta raccomandato, perchè essendo i fratelli, come sono, addetti ad uffici che distraggono di per sè e non richiedono applicazione di mente, non hanno bisogno di ricreazione, che deve essere riservata ai sacerdoti e ai chierici, i quali avendo tutto il giorno la mente tesa nello studio, all'uffizio, alla preparazione delle missioni, hanno bisogno di prendere un po' di sollievo. Ebbene, fratelli, datevi a Dio, ve ne prego, per essere fedeli a questa pratica di non intrattenervi gli uni con gli altri dopo i pasti a modo di ricreazione, ma andate ciascuno ai vostri uffici; e se è festa, o domenica, e qualcuno non ha da recarsi all'ufficio, vada in cucina o alla dispensa ad aiutare quelli che vi sono".

Il signor Vincenzo raccomandò inoltre alla Compagnia i bisogni della Polonia; disse di aver ricevuto la sera innanzi alcune notizie e che il signor Fleury, cappellano della regina di Polonia, gli aveva scritto che gli affari del re e della XXX cannoni, nè il fuoco, nè la peste, erano stati capaci XXX Non dimenticò neppure di lodare i signori Desdames e Duperroy, i quali, come è stato detto più volte, non avevano abbandonato la loro parrocchia di Santa Croce a Varsavia, nonostante che fossero stati spogliati di tutto, perfino dei loro mantelli, e nulla quasi fosse loro rimasto; nè i cannoni, nè il fuoco, nè la peste, erano stati capaci di farli abbandonare il posto dove la Divina Provvidenza li aveva messi, e dove perseveravano facendo meglio che fosse possibile.

Aggiunse che il signor Luca360, prete della Missione di Genova, in Italia, faceva il ritiro per disporsi ad assistere gli appestati, qualora fosse chiesto alla Missione di Genova un prete per tale ufficio; che la nave pronta a partire per il Madagascar, sul punto di far vela, la vigilia di Ognissanti, ne fu, per divina Provvidenza, impedita da un subitaneo cambiamento di vento del tutto contrario alla navigazione; e che il signor Herbron, prete della Compagnia, che doveva recarsi al Madagascar con quella nave, l'aveva informato di questo incidente per cui erano sempre fermi nel porto. Disse inoltre che Dio l'aveva permesso per una sua particolare provvidenza; perchè se il vento non si fosse così improvvisamente cambiato tanto da impedire la partenza della nave, il pacco delle lettere e delle carte, utili e necessarie ai missionari delle missioni di quel paese, non avrebbe potuto arrivare in tempo a Nantes per essere consegnato al signor Herbron, ed invece con quel ritardo le Figlie della Carità avranno trovato il mezzo di rimettere detto pacco nelle mani dei missionari che partono.

159. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 12 NOVEMBRE 1656Notizie delle missioni della Barberia - I missionari devono essere pronti a tutto

soffrire per la gloria di Dio.361

Alla ripetizione dell'orazione il signor Vincenzo disse, tra l'altro, che il signor Le Vacher, il più anziano dei due fratelli, prete della Compagnia, di residenza a Tunisi con il signor console, era in pace e tranquillità, ora sia con i turchi, che con il console inglese e i mercanti francesi, e pregava la Compagnia di ringraziarne Dio. Quanto ad Algeri le cose andavano diversamente, perchè da quando il nostro fratello Barreau è là come console, ha subito persecuzioni quasi continue, o almeno molto frequenti, per le angherie e i cattivi trattamenti fattigli dai turchi e le ingratitudini di alcuni cristiani, di modo che si trova pur ora imbarazzatissimo per tutte queste cose. Egli è minacciato parimente di un'altra rappresaglia, a causa di certi maltrattamenti fatti da un francese ad alcuni ebrei, per cui i turchi dicono che bisogna prendersela con il console dei francesi, non considerando che le colpe sono personali.

Quindi il signor Vincenzo esclamò:

360Luca Arimondo.361Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 47.

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"Dio voglia, signori e cari fratelli, che tutti coloro che chiedono di essere ammessi nella Compagnia vengano con il pensiero del martirio, con il desiderio di soffrire il martirio e di consacrarsi interamente al servizio di Dio, sia nei paesi lontani, sia qui, in qualunque luogo piacerà a Dio servirsi della nostra povera Compagnia! Si, con il pensiero del martirio. Oh! come dovremmo chiederla spesso questa grazia e questa disposizione a Nostro Signore, di essere pronti ad esporre la nostra vita per la sua gloria e per la salvezza del prossimo, tutti quanti siamo, fratelli, chierici, sacerdoti, insomma tutta la Compagnia! Ah! signori, c'è nulla di più ragionevole che dare la nostra vita per Colui che ha dato tanto liberamente la sua vita per tutti? E se Nostro Signore ci ama al punto di morire per noi, perchè non brameremo di avere la medesima disposizione verso di Lui, per attuarla quando se ne offrirà l'occasione? Vediamo che tanti Papi furono martirizzati gli uni dopo gli altri; se ne contano trentacinque di seguito. Non è strano vedere mercanti che, per un piccolo guadagno, attraversano i mari e si espongono a non so quali pericoli? Domenica scorsa mi trovai con uno di essi che venne a cercarmi qui, e mi disse che gli avevano proposto di andare nelle Indie e che si era risoluto d'accettare, nella speranza di guadagnarvi qualche cosa. Gli domandai se vi erano molti pericoli, e mi rispose che ve n'erano molti moltissimi, ma che una certa persona di sua conoscenza però era ritornata; un'altra, per dire la verità, vi era rimasta. Ed allora dicevo tra me: se questa persona per un piccolo guadagno, per riportare qualche pietra, si espone in tal modo a tanti pericoli, ben a più forte ragione noialtri dobbiamo farlo per portarvi la pietra preziosa del vangelo".

160. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 15 NOVEMBRE 1656Naufragio della nave che doveva trasportare al Madagascar Francesco Herbron,

Carlo Boussordec e il fratello Cristoforo Delaunay - Ammaestramenti da ritrarre da tale avvenimento.362

Il signor Vincenzo dette il segno per far avvicinare a sè la Compagnia, come per ripetere l'orazione secondo il solito, e disse:

"Vi prego di avvicinarvi non per ripetere l'orazione, perchè l'avete fatto ieri e ier l'altro, festa di San Martino, ma per parteciparvi una grazia che Dio, nella sua infinita bontà, ha fatto ad alcuni membri della Compagnia, affinché lo ringraziate; ed anche perchè voglio informarvi del disastro accaduto ad altre persone. Ricevetti ier sera una lettera del signor Boussordec, in cui mi scrive che la nave che doveva far vela per il Madagascar e sulla quale essi dovevano partire, è naufragata, ed ecco come. Vi ricorderete del gran vento che turbinò il giorno dopo Ognissanti, tanto impetuoso da rompere anche una finestra di questa casa e far cadere una parte del comignolo del fabbricato nuovo. Quella lettera ripete che la nave, come vi dicevo giorni addietro, era pronta a partire, ma nè fu impedita dal cambiamento di vento che sopravvenne tutto ad un tratto.

Il giorno di Ognissanti, i signori Herbron e Boussordec dissero a stento la messa sulla nave, ancorata nella rada a causa del vento che soffiava quel giorno.

Il giorno dopo, commemorazione dei morti, la tempesta aumentò, e, per evitare il pericolo, si fece scendere la nave di fronte a San Nazario, nel gran fiume di Nantes. Siccome quei signori desideravano vivamente di celebrare la santa messa, pensando ai loro parenti e amici forse ancora in purgatorio e che gridavano: Miseremini mei, saltem vos, amici mei363: ed anche perchè il signor Herbron aveva bisogno di scendere a terra, a quanto riferisce la lettera; comunque sia, il fatto è che si risolvettero a lasciare la nave e se ne andarono a San Nazario, ad un quarto di lega di distanza, per offrirvi il divino

362Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 47 v°.363Gb 19,21

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Sacrificio. Ed eccoli in cammino dicono la loro messa e questa terminata ritornano per imbarcarsi di nuovo insieme col capitano, che era parimente sceso. Ma giunti alla riva del gran fiume di Nantes, non trovarono nessuno che volesse condurli alla nave perchè la tempesta era troppo furiosa e i marinai non osavano esporsi con quel tempo, e perciò nell'impossibilità di trasbordare furono costretti a rimanere a terra. Vedendo che la tempesta continuava tutto il giorno, ritornarono a San Nazario dove si coricarono.

Ed ecco che durante la notte, verso le undici, la tempesta, raddoppiando la violenza, spinse la nave sopra un banco di sabbia, dove si infranse. Tuttavia Dio dette il pensiero e l'istinto a qualcuno della nave di fare una specie di zattera con alcune tavole legate insieme. Come avvenne questo? Non lo so ancora bene; vi montarono sopra sedici o diciassette persone abbandonandosi in balia del mare, o piuttosto della misericordia di Dio.

Tra quelle sedici o diciassette persone era il nostro povero fratello Cristoforo Delaunay, il quale, con il crocifisso in mano, cominciò ad incoraggiare i suoi compagni: "Coraggio, diceva loro, abbiamo fede e grande fiducia in Dio, speriamo in Nostro Signore che ci libererà da questo pericolo!". E stese il suo mantello per servirsene da vela. Non so se anche gli altri l'avessero; comunque egli stese il suo, del quale, forse, dette a tenere un capo ad uno di quelli che erano con lui, e l'altro capo ad un altro; ed in questo modo raggiunsero la riva, avendoli Dio, per sua bontà e particolare protezione, protetti nel pericolo in cui si trovavano. Ed arrivarono tutti vivi, eccetto uno che morì di freddo e per la paura avuta in quel pericolo364

Che diremo, signori e fratelli? Null'altro se non che le vie di Dio sono imperscrutabili e nascoste agli occhi degli uomini che non saprebbero comprenderle. Ma come! Sembra, Signore, che vogliate stabilire il vostro impero in quei lontani paesi, nelle anime di quei poveri infedeli, eppure permettete che quanto si credeva vi dovesse contribuire si rovini e perisca in porto?".

Poi, rivolgendosi alla Compagnia, il signor Vincenzo continuò a dire:"No, signori, no fratelli, non vi meravigliate, e quelli, a cui sua divina Maestà ha

dato il desiderio di andare in quei paesi, non si lascino scoraggiare da questo fatto, perchè le vie di Dio sono tanto nascoste che non possiamo conoscerle. E questo non significa che Egli non voglia la conversione di quella povera gente; se ha permesso un tal disastro lo ha fatto per ragioni a noi ignote. Forse in quella nave vi erano peccati che Dio non ha voluto più oltre sopportare. Il signor Herbron mi scrisse, or sono quindici giorni o tre settimane, che vi erano grandi disordini: che le imprecazioni, le bestemmie, le scostumatezze che vi si commettevano erano tanto orribili da far pietà. Vi erano molte persone imbarcate a forza per mandarle in quell'isola. Insomma, che sappiamo noi delle ragioni di quell'incidente? Nè bisogna accusarne questo o quello; ciò che dobbiamo fare, è adorare le vie di Dio.

Oh! perchè è accaduto questo, sarebbe ragionevole che coloro a cui Dio avesse ispirato il desiderio di recarsi all'estero fossero ora come pulcini bagnati perchè una nave è naufragata? No, non voglio credere che vi siano persone di tal sorta nella Compagnia. Vedete, i grandi progetti sono sempre attraversati da diversi ostacoli e difficoltà che non mancano mai, permettendolo Iddio. Ma che dunque! Dio non vuole che la Compagnia continui l'opera cominciata? No certamente, signori: Egli vuole che la Compagnia continui. E perchè allora distruggere così, a quanto sembra, quello che poteva contribuirvi? No, no, non vi fermate in questi pensieri. Anzi vi dicevo ieri, parlando della Chiesa, come anche tanti Papi, sino a trentacinque, furono martirizzati gli uni dopo gli altri. E perchè, se non per far vedere che quello che Dio aveva fissato,

364In margine: Nota che si dice che fecero circa due leghe in quello stato per salvarsi prima di arrivare a terra. Nota anche che questo fatto fu pubblicato sulla Gazzette de France come cosa meravigliosa.

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doveva compiersi, e la Chiesa sarebbe sussistita nonostante tutte le calamità, nonostante tutte le persecuzioni così violente che i cristiani erano costretti a nascondersi nelle caverne, chi da una parte, chi dall'altra? Al vedere tutto questo si sarebbe detto che Dio non voleva che la Chiesa sussistesse; eppure fu tutto l'opposto, perchè il sangue di tanti martiri condannati a morte era il seme fecondo per il consolidamento di essa.

Vedete, Dio non cambia mai quello che ha stabilito, qualunque contrarietà capiti. Abramo ci serve di esempio. Dio gli aveva promesso di moltiplicare la sua discendenza come le stelle del cielo. Abramo non aveva che un figlio, eppure Iddio comanda di sacrificarglielo, di tagliargli la testa, a quel figlio dal cui seme doveva nascere la madre del di Lui divin Figliuolo.

Abramo non avrebbe avuto ragione di dire: "Ma come, Signore, mi avete promesso che la mia discendenza si moltiplicherà come le stelle del cielo, sapete che ho un figlio solo, e mi chiedete di sacrificarvelo?". Abramo, però, spera contro ogni speranza, si fa un dovere di sacrificare il suo figliuolo; e Dio che, come vi ho detto, non cambia mai risoluzione, arresta il colpo. Parimente, fratelli, Dio vuol provare la nostra fede, la nostra speranza e il nostro zelo mediante l'incidente che ci è capitato.

Dio vuol punire il mondo tutto; manda il diluvio universale per punire i peccati che si commettono; ma che fa? Ispira Noè di costruire un'arca e Noè vi impiega cento anni.

Per qual ragione credete che Dio volesse che impiegasse tanto tempo a costruire quell'arca, se non per vedere se il mondo si fosse convertito, se avesse fatto penitenza e approfittando di quello che Noè diceva loro dalla finestra di quell'arca, gridando a piena gola secondo alcuni autori: "Fate penitenza, chiedete perdono a Dio". Anche questo ci fa vedere come, quantunque Dio sembrasse voler sommergere tutto l'universo nelle acque, tuttavia i suoi disegni erano ben diversi, volendo che Noè e tutta la sua famiglia fossero esenti dal naufragio, affine di ripopolare il mondo e perchè si compisse tutto quello che dall'eternità aveva stabilito circa l'incarnazione del divin Figlio.

E non vedete parimente che l'eterno Padre, avendo mandato il suo Unigenito sulla terra, per essere la luce del mondo, non ve lo fece apparire se non come un bambinello, come uno di quei poveri piccini che vengono portati qui alla porta? Ma come, Eterno Padre, avete mandato il vostro Figliuolo per illuminare ed insegnare a tutti, eppure ecco ch'Egli ci appare tutt'altro che un maestro! Ma aspettate un poco e vedrete i disegni di Dio; e perchè Egli ha stabilito di non mandare in perdizione il mondo, anzi ne ha compassione, quel medesimo Figlio darà la vita per essi.

Ma, signori e fratelli, se consideriamo, d'altra parte, la grazia fatta a quelli della Compagnia, salvati da quel naufragio, dovete convenire che Dio protegge in modo speciale la povera, piccola, meschina Compagnia. E questo, signori, deve maggiormente incoraggiarla a darsi a sua divina Maestà nel migliore modo possibile per compiere la sua grande opera; perchè, ahimè! al Madagascar, eh! chi vi pensava? Ma via! avremmo avuto la temerarietà d'impegnarci noi stessi in un'opera simile od anche di pensare solo che Dio si fosse rivolto alla più povera e misera Compagnia che sia nella Chiesa? No, signori, no, fratelli del Madagascar fu Monsignor Nunzio del Papa a parlarcene per primo, e ci pregò di voler mandare qualche prete della Compagnia, essendone stata fatta richiesta da quei signori che vi sono interessati e dai mercanti che vi inviavano stimando quei signori non poter riuscir meglio, per aver sacerdoti come occorrevano in quei paesi, che rivolgendosi a Monsignor Nunzio del Papa, il quale pose gli occhi su di noi: e così ecco come vi mandammo i signori Nacquart e Gondrée.

Ma non ammirate la presenza dello Spirito di Dio in quel giovanotto, nel nostro buon fratello Cristoforo, lui che era un ragazzo timido, umile e mite? Si, è il giovane più mite e più umile che io conosca. Eccolo con il Crocifisso in mano, che grida ai suoi compagni per incoraggiarli: "Coraggio! speriamo nella bontà e misericordia di Dio ed Egli ci ritrarrà dal pericolo!". Vi dirò tra parentesi, fratelli, che questo deve insegnarvi a

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non star mai senza un crocifisso. Non è stato lui, fratelli, che ha fatto questo, ma Dio solo che operava in lui. Ma, dopo tutto, quand'anche fossero morti alla testa di coloro che erano là, dobbiamo credere che sarebbero stati fortunati di morire servendo Dio, a capo delle loro pecorelle; perchè tutte quelle persone, riguardo allo spirituale erano affidate a loro per tutta la navigazione.

Mi ricordo di quello che mi fu raccontato più volte, quindici o diciotto anni fa, dal padre della signorina Poulaillon, il signor Lumague, nativo di Tivoli, in Lombardia, dove sua moglie morì. Mi diceva dunque che quando Dio volle distruggere quella città, situata sul fianco di un monte, qualche tempo prima avvenne un gran terremoto che faceva traballare quel monte e sradicava gli alberi. Il che fece pensare a taluni che Dio fosse irritato contro quella città a causa dei disordini e dei peccati che vi si commettevano; e, tra gli altri, questo pensiero venne ad un buon parroco del luogo, molto dotto e pio, il quale fede suonare la campana per chiamare i parrocchiani. Questi, sentendo la campana, accorrono alla chiesa; il buon parroco sale sul pulpito, li esorta, li stimola a convertirsi, a chieder perdono a Dio. Tra i presenti v'era un uomo dabbene, al quale, durante la predica, Iddio ispirò d'abbandonare la città, d'andarsene per sfuggire il pericolo da cui essa era minacciata. Egli ritorna a casa sua, prende in fretta la moglie, i figliuoli, tutto quello che aveva di più prezioso e partono. Arrivati già un po' lontano dalla città, quell' uomo si ricorda di non aver chiuso la bottega, e dice al ragazzetto che aveva seco: "Ascolta, và torna a chiudere la bottega; mi sono dimenticato di chiuderla". Il ragazzo torna indietro e la città in un istante si inabissa; tutto fu raso al suolo.

Questo, signori e fratelli, ci fa vedere come Dio abbia cura degli uomini e che, se li punisce, è soltanto in caso estremo, dopo averli, in vario modo, invitati a convertirsi; ci fa pure vedere la sua cura particolare per coloro che lo servono, come fece per quell' uomo, al quale comandò, come altra volta a Loth, quando volle distruggere Sodoma e Gomorra, di uscire dalla città.

Orsù, è tempo di finire. Mi sembra che dobbiamo far due cose: la prima ringraziare Dio della protezione data ai Missionari, come anche agli altri che ha salvato dal pericolo; e perciò prego tutti i sacerdoti che non hanno impegni, di offrire oggi il santo sacrificio della messa secondo questa intenzione.

L' altra cosa che credo si debba fare, è di celebrare una messa cantata da morto per il riposo delle anime di coloro che sono annegati, circa centoventi, tra i quali l' aiutante del capitano ed anche un altro graduato. Eccettuati quei sedici di cui ho parlato e i diciotto che erano a terra, tutti gli altri sono morti. Questa messa sarà per domani, con l' aiuto di Dio. Vi siamo tanto più obbligati, in quanto sembrava che Dio li avesse messi sotto la guida dei preti della Compagnia, che dovevano assisterli in qualità di parroci durante il viaggio e una volta arrivati. Mi pare ben fatto che preceda il ringraziamento".

Nota: Ho saputo da un membro della Compagnia, che trentaquattro persone si salvarono da quel naufragio, ossia sedici di cui si è parlato più sopra, tra cui v' era il nostro fratello Cristoforo; e diciotto che si trovavano a terra, tra le quali i signori Herbron e Boussordec; tutti gli altri, cioè centotrenta persone perirono insieme con la nave.

161. CONFERENZA DEL 17 NOVEMBRE 1656SUL DOVERE DI FARE CATECHISMO AI POVERI365

La conferenza conteneva tre punti: il primo era di esaminare se si notava che la Compagnia si fosse raffreddata nell' esercizio, praticato fin dal principio della sua istituzione, d' insegnare il catechismo ai poveri, ai fanciulli o ad altre persone che s' incontrano viaggiando o in casa o nelle missioni; il secondo: quali fossero i grandi

365Manoscritto delle ripetizioni dell' orazione, f° 51.

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benefici che provenivano dal fare il catechismo; il terzo, quali i mezzi di riattivare questo esercizio, qualora si fosse trascurato.

Il signor Vincenzo, parlando su questo argomento dopo molti anziani della Compagnia, tanto coadiutori che sacerdoti, disse: "Parlerò come un povero fratello; ignoro come ci si regoli ora su questo punto, perchè se vi in città e mi reco in qualche casa sono costretto a salire in una stanza o ad entrare in una sala; perciò, signori, voialtri che andate in missione e per le campagne lo sapete meglio di me. So però come si faceva al principio della Compagnia e come essa fosse premurosa nel non lasciar passare occasione d' istruire un povero che ne avesse bisogno, sia i sacerdoti, sia i chierici d' allora, sia i nostri fratelli coadiutori, andando e tornando. Se incontravano qualche povero, qualche ragazzo, qualche buon uomo, gli rivolgevano la parola per conoscere se sapesse i misteri necessari alla salvezza eterna; e se si accorgevano che non li sapeva, glieli insegnavano. Non so se oggi si è ancor così solleciti nell' osservare questa santa pratica. Parlo di coloro che vanno nelle campagne e si fermano, cammin facendo, negli alberghi. Se ciò fosse, alla buon' ora ! Bisogna ringraziare Iddio e chiedergli la perseveranza per la medesima Compagnia; che se ci si fosse rilassati bisogna chiedere la grazia di rialzarcene.

Quanto al secondo punto, ossia sui vantaggi che provengono da questa santa pratica, diremo che sono grandissimi; mentre invece, quelli che non vi sono fedeli sono in pericolo di commettere grandi mali. Dico grandi mali perchè , come ha detto benissimo chi ha già parlato, si può uccidere una persona in due modi: o percuotendola e dandole un colpo mortale, o privandola di quello che è necessaria al suo sostentamento. Dimodochè è colpa grave vedere il prossimo ignorare i misteri necessari alla salvezza eterna, e non insegnarglieli, quando si può. Ed a questo deve maggiormente indurci quello che dicono sant' Agostino, san Tommaso, sant' Atanasio, cioè: coloro che non conosceranno esplicitamente i misteri della Trinità e dell' Incarnazione, non potranno salvarsi. Ecco la loro opinione.

So bene che altri dottori non sono tanto rigorosi e ritengono il contrario, perchè, dicono, ripugna pensare che un povero uomo, per esimio, vissuto onestamente, debba dannarsi per non aver trovato nessuno che gli abbia insegnato questi misteri. Ma nel dubbio, signori e fratelli, sarà sempre un atto di somma carità per noi, se istruiremo quei poveretti, chiunque siano; e non dobbiamo lasciarcene sfuggire l' occasione quando possiamo.

Per grazia di Dio, so che nella Compagnia ve ne sono che non mancano mai di farlo, se non ne sono impediti. Non so se in portineria questo s' adempia bene;mi sembra che non si faccia così bene come una volta; temo che i due fratelli addetti alla portineria si siano rilassati forse perchè sono ambedue nuovi e non sanno come si era soliti fare. Nel cortile rustico non so se si osservi, e se il fratello sia premuroso d' informarsi se i nostri domestici siano sufficientemente istruiti, se abbia cura di parlar loro qualche volta in particolare su tale argomento, imitando Nostro Signore quando, seduto sulla pietra accanto al pozzo, cominciò, per istruire quella donna, dal chiederle l' acqua: "Donna, dammi un po' d' acqua", le disse366. E così si deve chiedere all' uno, poi all' altro: "Ebbene! come vanno i vostri cavalli? Come va questo? Come va quello? E voi come state?". E cominciar così da una cosa simile per raggiungere poi il nostro intento. Lo stesso si dica dei fratelli che sono in giardino, alla calzoleria, alla sartoria, e così degli altri; affinché qui non vi sia nessuno che non venga sufficientemente istruito di tutte le cose necessarie per salvarsi; intrattenendoli talora sul modo di ben confessarsi, sulle condizioni della confessione; poi su qualche altro soggetto utile e necessario.

366Gv 4,7.

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Coloro, dice la Sacra Scrittura367, che insegnano agli altri le cose utili e necessarie alla loro salvezza, brilleranno come stelle nella vita eterna. Ed ecco un altro gran vantaggio per coloro che insegneranno la via della salvezza agli altri che altrimenti forse non si salverebbero.

I fratelli non devono insegnare, nè fare il catechismo nella chiese; no, non è conveniente, ma fuori debbono sempre farlo.

Orsù, ecco che suona l' orologio, bisogna smettere. In questo sono assai consapevole, per essere stato tante volte causa di noia alla Compagnia, trattenendola troppo lungamente dopo suonata l' ora. Mi si è usata la carità di avvertirmi di questa mancanza, miserabile che sono; perciò chiedo umilmente perdono a Dio e a tutta la Compagnia dell' occasione di mortificazione e di cattivo esempio che le diedi in questo; come pure, di essermi lasciato sfuggire tanta occasioni d' istruire molte persone, anche povere, che sono venute nella nostra stanza: eppure, miserabile, non l' ho fatto".

Nota: In questa medesima conferenza il signor Vincenzo ammonì un fratello coadiutore perchè aveva detto "i nostri signori", parlando dei Preti della Missione di Annecy, dov' era stato; gli disse di non adoperare più quel termine "i nostri signori" e così, due giorni dopo, raccomandando alle preghiere della Compagnia il signor Luca368, prete della Compagnia, residente a Genova, lo denominò "il nostro fratello Luca".

162 RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 19 NOVEMBRE 1656SULLA PARABOLA DEL GRANELLO DI SENAPELa fedeltà alle regole e alle pie usanze assicura il progresso spirituale; la negligenza

su questo punto prepara la rovina degli individui e delle comunità - Servizi resi dalla casa di Marsiglia ai novizi di San Vittore.369

Il signor Vincenzo, nostro onoratissimo e beato Padre, cominciò col raccomandare i missionari di Roma e di Genova, a causa della peste che, a quanto dicevano, vi infieriva. Raccomandò inoltre il Santo Padre, il sacro collegio dei cardinali, i signori Desdames e Duperroy e disse che il primo, signor Desdames, aveva avuto la peste e per divina bontà era guarito. "Perciò prego la Compagnia di ringraziare Dio e di considerare quanta cura si prende dei suoi servi. O signori, o cari fratelli, credete a me, non c'è nulla che valga quanto essere fedeli a Dio e perseverare nel bene che si è intrapreso. "Perchè sei stato fedele nel poco ti costituirò padrone del molto", dice Iddio370. Siamo dunque fedeli, fedeli nella pratica delle regole, fedeli nell'osservare le pie usanze della Compagnia, fedeli nel conservare le buone opere che abbiamo iniziato, insomma, fedeli in tutto.

Che cosa seguirà da questa fedeltà, o fratelli? Avverrà che progrediremo di giorno in giorno nella virtù, come quel granellino di senape, il quale, pur essendo piccolissimo, a poco a poco diventò un grande albero; perciò spero che, se la Compagnia sarà veramente fedele nell'osservare con esattezza tutte le proprie regole e tutti gli uffici che la concernono, progredirà a poco a poco nel favore di Dio; e se oggi, per esempio, uno praticherà un atto di virtù sino al primo grado, domani lo praticherà sino al secondo, fino al terzo grado di perfezione, ecco come si cresce poco a poco. Oggi un fratello, un chierico, un sacerdote, praticherà un atto d'umiltà, raggiungendo, per esempio, due gradi di virtù; se è fedele a Dio, domani raggiungerà tre o quattro gradi, e così aumentando sempre, con l'aiuto di Dio, senza cui nulla possiamo, continuerà a lavorare solidamente nella pratica di quella virtù.

367Dn 12, 3.368Luca Arimondo369Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 52.370Mt 25,21.

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Non l'abbiamo constatato nel nostro povero fratello? Non abbiamo visto la virtù crescere in lui, quasi in un batter d'occhio? (Nota: credo che intendesse parlare del fratello Cristoforo Delaunnay). E se vi fate attenzione noterete le stesse cose in molti della Compagnia. Quanto a me, bisogna vi confessi che ogni volta che io vedo alcune persone della Compagnia non posso fare a meno di rientrare in me stesso e riempirmi di confusione. Non leggiamo nella vita di Sant'Antonio come dalla considerazione di tutte le creature si sentisse animato al servizio di Dio? Fratelli, se consideriamo molti della Compagnia, scorgiamo in uno l'umiltà, nell'altro la mitezza, in questo la carità verso il prossimo, in quello l'amore verso Dio, in quell'altro la regolarità e l'esattezza nelle regole, e in questo l'obbedienza pronta e la pazienza. E che opera tutto questo? Dio. Dio, fratelli miei, opera in tali persone, nelle une più, nelle altre meno, secondo la forza con cui lo spirito del medesimo Iddio si comunica a loro. Non parlo qui dell'ingegno, come dell'eloquenza, per esempio, la quale non è per noi ma per gli altri, e non serve, molto spesso, se non a fomentare la nostra vanità e a perderci; ma parlo delle virtù che ci rendono più cari a Dio. E la considerazione delle virtù che scorgeremo nei nostri fratelli ci farà maggiore impressione sapendo che sono persone come noi, che vediamo con i nostri occhi, con le quali viviamo; e questo ha spesso molto più efficacia, in certe persone, che il leggere le virtù di molti santi che sono morti, che non vedono più o che non hanno conosciuto. Ah! quando penso ad alcuni della Compagnia che da un anno, due, sei, otto o dieci anni, soffrono, chi dolori acutissimi, chi malattie spossanti, e con perfetta pazienza e conformità al beneplacito divino, mentre io, appena sento qualche dolore ai piedi, ai ginocchi, grido, mi lamento; credetelo pure, ve l'assicuro, che tali esempi mi coprono di confusione, sentendomi tanto meschino da non poter sopportare il minimo male!

O signori, o fratelli, quanto potere ha il buon esempio e quanto bene fa chi è esemplare in una Compagnia! Come al contrario, chi comincia ad intiepidirsi, sia nella pratica delle virtù, sia nell'osservanza delle regole, o Dio! quanto male non corre rischio di commettere se non esce subito da quello stato! e come quelli che son fedeli progrediscono di giorno in giorno, come vi ho detto, quelli, invece, che si lasciano prendere dalla rilassatezza, scendono gradatamente e finiscono per cadere, perchè non possono più reggere. Bisogna che cadano, ed accade loro come ad un uomo che ha fatto un passo falso: voi lo vedete vacillare, poi il peso del suo corpo che pende da una parte fa si che non possa più reggersi, e cade inevitabilmente. Orsù, Iddio sia lodato! Oh! si, fratelli, quando Dio s'è affezionato ad un'anima, qualunque cosa essa faccia, lo tollera. Non avete mai osservato un padre che ama tanto il suo piccino? Sopporta tutto quello che il piccino gli fa, anzi qualche volta gli dice anche: "Mordimi, bambino mio". E perchè? Perchè ama quel bambino. Così fa Iddio con noi, fratelli.

Mi scrivono da Marsiglia che si è incominciato ad insegnare ai novizi di San Vittore a dire l'uffizio, a fare le cerimonie, cose che non avevano mai fatto. Ebbene riflettete un po' a questo e sino a qual punto sia oggi decaduto quel grande ordine. Dico "grande ordine", dal quale uscirono cardinali e prelati, ed anche dei papi, in quale stato ora è ridotto. Ecco quello che accade ad altri ordini e comunità della Chiesa di Dio, che hanno abbandonato la loro prima osservanza regolare e la pratica delle virtù, e quello che accadrà sempre alle Compagnie che si intiepidiranno.

Insomma, accadrà esattamente quello che avvenne al castello di Ventadour, situato sulla montagna di...371. In altri tempi si vide abitato da persone virtuose, timorate di Dio,da persone ragguardevoli; e oggi da chi credete sia abitato? Da rospi, cornacchie, gufi ed altri sconci animali. I tetti sono rovinati; rimangono soltanto le muraglie. Parimente le case che s'intiepidiscono nella virtù si trovano in un attimo abitate da

371Il nome è omesso nel manoscritto. Possiamo vedere ancora nel comune di Moustier-Ventadour (Corrèze) le rovine di quell'antico castello.

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persone piene di vizi, di passioni, di peccati. Fanno compassione. Orsù, coraggio dunque, signori, coraggio, fratelli! Diamoci sinceramente a Dio e con tutto il cuore; lavoriamo fermamente all'acquisto della virtù e principalmente dell'umiltà, si dell'umiltà; chiediamo insistentemente a Dio che si degni concedere questa virtù alla piccola Compagnia della Missione. L'umiltà, si, l'umiltà, lo ripeto, l'umiltà!".

163. BRANO DI CONFERENZARACCONTO DEL MARTIRIO DI PIETRO BORGUNY AD ALGERI372

"Non posso fare a meno di palesarvi i sentimenti che Dio mi concede riguardo a quel giovane di cui vi ho parlato, che è stato messo a morte nella città di Algeri 373. Si chiamava Pietro Burgoin, nativo dell'isola di Maiorca, di soli ventuno o ventidue anni. Il padrone di cui era schiavo, aveva pensato di venderlo per mandarlo alle galere di Costantinopoli, dalle quali non sarebbe più uscito. Preso da questo timore, il giovane andò a trovare il pascià per supplicarlo di avere pietà di lui e non permettere che fosse mandato alle galere. Il pascià glielo promise purchè prendesse il turbante, e per farlo apostatare adoperò tutte le lusinghe immaginabili, e, infine, aggiungendo le minacce alle promesse, l'impaurì in modo tale da farne un rinnegato.

Il povero figliuolo tuttavia conservava sempre in cuore i sentimenti di stima e di amore per la sua religione, e non commise questa colpa se non per timore di una così crudele schiavitù e per desiderio di facilitare la sua liberazione. Dichiarò anzi ad alcuni schiavi cristiani che gli rimproveravano il suo fallo che se era turco esteriormente, in cuor suo era però cristiano. E a poco a poco, riflettendo al grave peccato commesso col rinunziare esteriormente alla religione, fu tocco da vero pentimento; vide di non potere espiare la sua viltà altro che con la morte e vi si risolse, piuttosto che vivere più a lungo nell'infedeltà. Avendo palesato ad alcuni il suo proposito, per riuscirvi cominciò a parlare apertamente in favore della religione cristiana e a disprezzare il maomettanismo; diceva, su tale argomento tutto quello che una viva fede poteva suggerirgli, anche in presenza di qualche turco e soprattutto dei cristiani. Temeva tuttavia la crudeltà di quei barbari, e prevedendo il rigore delle pene, che gli avrebbero fatto soffrire, tremava di spavento: "Non di meno, diceva, spero che Nostro Signore mi assisterà; Egli è morto per me, è giusto che io muoia per Lui". Infine, spinto dal rimorso della sua coscienza e dal desiderio di riparare l'ingiuria fatta a Gesù Cristo, andò con generosa risoluzione, a trovare il pascià; e in sua presenza: "Tu mi hai sedotto, gli disse, facendomi rinunziare alla mia religione, che è la buona, la vera, e facendomi passare alla tua che è falsa. Ora, ti dichiaro che sono cristiano, e per dimostrarti che abiuro con tutto il cuore le tue credenze e la religione dei turchi, rigetto e calpesto il turbante che mi desti". Così dicendo, gettò il turbante per terra e lo calpestò, e poi soggiunse: "So che mi farai morire, ma non m'importa, perchè sono pronto a soffrire ogni sorta di tormenti per Gesù Cristo, mio Salvatore".

Infatti, il pascià, irritato per tanto ardire, lo condannò subito ad essere bruciato vivo. Conseguentemente fu spogliato, lasciandogli soltanto i pantaloni, gli fu messa una catena al collo, lo si caricò di un grosso palo per esservi legato e bruciato. Uscendo in questo stato dalla casa del pascià per essere condotto al luogo del supplizio, vedendosi circondato da turchi, da rinnegati e anche da cristiani, disse altamente queste belle parole: "Viva Gesù Cristo, e trionfi sempre la fede cattolica, apostolica romana! Non ve

372Abelly, op. cit., 1. II, cap. I, sez. VII, § 51. Ci accorgiamo un pò tardi che questa conferenza e del 1654 o del 1655, e conseguentemente avrebbe dovuto essere posta più sopra.373Il 30 agosto 1654. La relazione di Filippo Le Vacher ha Propaganda su questo martirio è stata stampata nell'opera Vida y Martirio del Siervo de Dios Pedro Borguny, Mallorca, 1820 n. 8, pp. 117-146.

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ne è altra in cui sia possibile salvarsi". Ciò detto, andò a subire la pena del fuoco ed affrontare la morte per Gesù Cristo.

Orbene, il sentimento più vivo che ho provato dinanzi a questa bella azione è per le parole che quel bravo giovane disse ai suoi compagni: "sebbene tema la morte, sento tuttavia qualche cosa qui dentro (e portava la mano alla fronte) che mi dice che Iddio mi farà la grazia di sopportare il supplizio che mi si prepara. Anche Nostro Signore temè la morte, eppure sopportò volontariamente dolori molto maggiori di quelli che fanno soffrire a me: spero nella sua forza e nella sua bontà". Fu dunque legato ad un palo, e il fuoco acceso attorno a lui gli fece rimetter presto nelle mani di Dio la sua anima pura come l'oro passato nel crogiuolo. Il signor Le Vacher che l'aveva sempre seguito fu presente al suo martirio; al segnale convenuto, sebbene da lontano, gli tolse la scomunica nella quale era in corso e gli dette l'assoluzione, mentre soffriva con tanta costanza. Ecco, signori, com'è fatto un cristiano, ed ecco il coraggio che dobbiamo avere per soffrire e per morire, quando occorrerà, per Gesù Cristo. Domandiamogli questa grazia, e preghiamo questo santo giovane di chiederla per noi, lui che è stato un sì degno allievo di un sì coraggioso maestro, che in tre ore si rese suo vero discepolo e suo perfetto imitatore morendo per Lui.

Coraggio, signori e fratelli! Speriamo che Nostro Signore ci fortificherà nelle croci che ci capiteranno, per quanto grandi possano essere, se vede che abbiamo amore per esse e fiducia in Lui. Diciamo alla malattia, quando si presenterà, alla persecuzione, se verrà, alle tentazioni e alla morte stessa che Egli ci manderà: "Siate i benvenuti, favori celesti, grazie di Dio, sante prove che venite per mio bene da una mano paterna e piena di amore per me; vi ricevo con cuore pieno di rispetto, di sottomissione e di fiducia in Colui che vi manda; mi abbandono a voi, per darmi a Lui". Procuriamo dunque di avere questi sentimenti, signori e fratelli, e soprattutto, confidiamo fermamente, come ha fatto questo nuovo martire, nell'aiuto di Nostro Signore, al quale raccomanderemo, ve ne prego, quei buoni missionari di Algeri e Tunisi".

164. BRANO DI CONFERENZA, GENNAIO 1657SULL'AMORE DEI POVERI374

"Dio ama i poveri e per conseguenza ama coloro che amano i poveri; perchè quando si ama molto una persona si sente affetto anche per i suoi amici e per i suoi servi. Ora, la piccola Compagnia della Missione certa di dedicarsi con amore al servizio dei poveri, che sono i prediletti di Dio; e perciò abbiamo motivo di sperare che per amor loro Dio ci amerà. Coraggio dunque, fratelli, e dedichiamoci con rinnovato amore al servizio dei poveri, cerchiamo anzi i più miserabili e i più abbandonati, riconosciamo dinanzi a Dio che sono essi i nostri signori e padroni, e che non siamo degni di prestare loro i nostri umili servizi".

165. BRANO DI CONFERENZA(APRILE O MAGGIO 1657375)SULL'UMILTA'376

"I signori ecclesiastici che si riuniscono qui377, presero come argomento della loro conferenza, martedì scorso, quello che ognuno di loro aveva osservato delle virtù del

374ABELLY, op. cit., 1.III, cap. XI, sez. II.375Vedi nota (32)376ABELLY, op. cit., 1, III, cap. XIII, sez. II.377I membri della Conferenza del martedì.

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defunto signor Olier378, che era della loro Compagnia. Tra le altre, una delle cose più considerevoli fu che qual servo di Dio propendeva ordinariamente ad abbassarsi con le sue parole, e, fra tutte le virtù, si studiava particolarmente di praticare l'umiltà. Orbene, mentre si parlava, io miravo i quadri di quelle sante persone che sono nella sala e dicevo dentro di me: "Signore, mio Dio, se potessimo penetrar bene le verità cristiane come come hanno fatto essi e conformarci a questa conoscenza, oh! opereremmo ben diversamente da quello che facciamo". Per esempio, essendomi soffermato sul ritratto del beato vescovo di Ginevra, pensavo che se guardassimo le cose del mondo con lo stesso occhio con cui le guardava lui, e se ne parlassimo con il sentimento con cui egli ne parlava, e se le nostre orecchie non fossero aperte ad altro che alle verità eterne, non come le mie, la vanità si guarderebbe dall'invadere i nostri sensi e i nostri spiriti.

Ma soprattutto, signori, se consideriamo attentamente il bel quadro che abbiamo davanti agli occhi, il mirabile originale dell'umiltà Nostro Signor Gesù Cristo, sarebbe possibile dare adito nella nostra mente ad una buona opinione di noi stessi, vedendoci tanto lontani dai suoi prodigiosi annientamenti? Saremmo tanto temerari da preferirci agli altri, vedendo che Egli è stato posposto ad un assassino? Temeremmo di esser conosciuti per miserabili, vedendo l'innocente trattato come un malfattore, morire tra due ladri come fosse il più colpevole?

Preghiamo Dio signori, di preservarci da tale accecamento, chiediamogli la grazia di tenerci sempre in basso: confessiamo dinanzi a Lui e dinanzi agli uomini che non siamo altro che peccato, ignoranza e malizia; desideriamo che questo si creda, si dica e ci si disprezzi. Infine non perdiamo nessuna occasione di annientarci per amore di questa santa virtù.

Ma non basta amarla e fare il proposito di acquistarla, come molti fanno; è necessario farsi violenza per venire alla pratica degli atti; è quello che non si fa abbastanza".

166. CONFERENZA DEL 27 APRILE 1657SULLE VIRTU' DEL FRATELLO JOURDAIN379

La conferenza era sulle virtù del defunto nostro fratello Giovanni Jourdain, il primo e più anziano fratello coadiutore della Compagnia, morto il giorno di S. Marco, 25 del corrente mese, verso le sei pomeridiane. Il signor Vincenzo, parlando dopo quattro nostri fratelli coadiutori, disse quanto segue:

"Dio sia lodato per tutto quello che è stato detto! Il nostro buon fratello Jourdain defunto, era nato in un luogo380 a dieci o dodici leghe di qui, da genitori campagnoli. Il suo primo ufficio, appena ne fu capace, fu quello di maestro nel suo paese, d' insegnare ai fanciulli. Quindi, dopo qualche tempo, venne a Parigi e trovò da impiegarsi presso la signora marchesa di Maignelay, dove occupò due uffici: quello di scudiere , cioè di condurla fuori, e quello di maggiordomo. Quindi andò da un buon ecclesiastico ricchissimo, che aveva ricevuti i sacri ordini per pura pietà e che abitava nelle vicinanze di Notre-Dame; non so, però, se fosse prima di entrare dalla signora di Maignelay o dopo.

Comunque, io cominciai a conoscerlo dalla detta marchesa, circa quarant' anni fa, mi ricordo che eravamo quasi coetanei. Domandò poi di essere ricevuto nella Compagnia, tre o quattro anni dopo che si era stabilita e riunita per vivere in comune. Vi fu ricevuto ,e fu incaricato della cucina, poi venne con noi alle missioni; in seguito

378Morto il 2 aprile 1657.379Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 53 v°.380Le Queue-les-Yvelines (Seiene-et-Oise).

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fu assegnato alla dispensa con l' incarico di comprare tutto quello che occorreva, e gli furono così affidati gli uffici convenienti ai fratelli coadiutori.

Era un po' impulsivo e violento, ma, come è stato giustamente osservato, riparava chiedendo perdono a coloro contro cui aveva scattato e che aveva offeso; li abbracciava con grande tenerezza di cuore; perchè aveva questo di proprio, d' intenerirsi facilmente. Qualche volta lo rimproveravano delle sue impazienze e perchè talora s'impicciava di correggere gli altri, il che non poteva farlo senza asprezza e non sempre opportunamente; giunsi anche a dargli qualche penitenza ed a proibirgli di prendersi la libertà di ammonire e correggere alcuno. Riceveva tutto bene; ricadeva facilmente nella medesime mancanze, ma accettava volentieri gli avvertimenti che gli si davano. Qualche volta veniva a trovarmi quand' ero solo: "Eh! signore, per amor di Dio , sopportatemi, sopportatemi, ve ne prego!".

Qui, il signor Vincenzo esclamò, parlando di se stesso: "Ahimè! quanto sono miserabile, lo rimproveravo, io che avevo bisogno quanto, o più di lui, di essere ripreso! Orsù, Dio si degni di usarmi misericordia! Tuttavia Dio gli ha fatto la grazia, nonostante tutto, di perseverare sino alla fine nella Compagnia.

La virtù che si notava in lui, com' è già stato detto, era una grande cordialità verso i membri della Compagnia, abbracciando egli e baciando chi avvicinava. E quando io stesso andai a visitarlo il giorno della sua morte, mi disse:"Eh! signore, permettete che vi abbracci per l' ultima volta!". E' stato riferito del male che gli sopravvenne alla gamba e gli fece esercitare grande pazienza, di modo che terminò il corso della vita soffrendo. Ma, è la fine, signori, che corona l' opera; felice lui, d' aver avuto qualche somiglianza con Nostro Signore Gesù Cristo, il quale terminò la sua vita soffrendo per tutti gli uomini sull' albero della croce! Oh! no, signori e fratelli, non ci meravigliavamo, anche se vediamo in certe persone alcuni difetti, perchè Dio lo permette per fini che non conosciamo.

Ma che dico? Dio si serve anche dei peccati per la giustificazione di una persona; sì, i peccati entrano nell' ordine della nostra predestinazione, e Dio ne trae per noi stessi atti di penitenza, di umiltà; sì, signori, di umiltà che è la virtù propria del suo Figliuolo, Nostro Signore Gesù Cristo. E non è vero che le rose, per esempio, portano seco le spine, e non c'è mai rosa senza spine?Così i difetti che Dio permette in qualche persona, in chi più, in chi meno, servono come cenere per nascondere le virtù che sono in esse, e fanno sì che, vedendosi tanto difettose, si conservino nell' umiltà e nell' abiezione di se stesse. Chi non va soggetto a qualche difetto se i santi stessi li sono stati e soltanto il Figlio di Dio e la Madonna sua madre, ne furono esenti? Gli apostoli erano stati istruiti alla scuola di Gesù Cristo e della sua stessa bocca; eppure, sapete quello che avvenne tra loro: piccole emulazioni, mancanze di fede,tanto che, al momento in cui Nostro Signore salì al cielo, rimproverò la loro incredulità. Ho conosciuto un sant'uomo che faceva miracoli e aveva tali tentazioni d'impurità che quando era obbligato di andare in campagna, si congedava dal suo direttore, dicendogli: "Padre, mi sento sì orribilmente sollecitato da tentazioni disoneste che non so se, al mio ritorno, sarò puro; ne temo assai". E tuttavia Dio tollerava questo stato in una persona di cui voleva fare un santo; e appunto perchè voleva fare un santo di un uomo che amava i propri comodi, le sue agiatezze, un po' vanaglorioso, cose tutte ben lontane da quello che Egli esigeva da lui, permetteva che cadesse in colpe che l'umiliavano e gli facevano conoscere la propria miseria.

Un giorno ero con il padre..., gesuita (v'era anche lui) e discorrendo tra noi venimmo a parlare di una persona che, in qualunque luogo e compagnia fosse, difendeva l'onore di tutti coloro di cui si voleva parlar male; eppure essa era piuttosto impetuosa e facile alla collera, ma appena si accorgeva di essersi lasciata sfuggire qualche scatto, si gettava ai piedi dei suoi di casa, delle cameriere e perfino delle serve. E santa Paola, benchè santa, aveva un temperamento assai impetuoso ed altre

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imperfezioni, fino a prendersela con san Girolamo stesso. Un giorno, il medesimo san Girolamo, giudicandola degna di riprensione e non osando ammonirla lui stesso (era per le sue eccessive mortificazioni), pregò un vescovo di darle gli avvertimenti necessari. Quel buon vescovo cominciò dunque ad ammonire la santa, ma essa, in un impeto di collera, senza attendere che terminasse gli disse: "Ve l'ha detto Girolamo; ve l'ha detto Girolamo". Eppure è una santa, e una gran santa, che fu soggetta a tali difetti, e questo prova che nessuno è esente da imperfezioni; Dio lo permette per umiliarci e farci praticare atti di virtù. In questi permette la collera, in quegli la golosità, in quell'altro l'impurità; ma tutto si può superare con l'aiuto di Dio.

E infatti, noi tutti, quanti siamo, come ci comportavamo prima di venir qui? Come abbiamo vissuto? Ahimè dovrei parlare di me, miserabile, che sono lo scandalo del mondo, e non di voi soltanto; ognuno però conosce la vita che ha condotto, ed ora, per misericordia di Dio, non è più in quelle condizioni, si è emendato. Non già che di quando in quando non faccia capolino qua o là qualche difettuccio, ma è nulla in confronto di quello che era prima.

- Ma, signore, direte voi, ricado sempre; temo perciò di non amare abbastanza Dio, perchè se l'amassi veramente, non ricadrei tanto spesso. - Ricadete? ebbene! dovete rialzarvi subito e umiliarvi profondamente. Non amate Dio, voi dite; eh! ditemi, non desiderate d'amarlo? - Si, signore. - Dunque l'amate, dice sant'Agostino, perchè non si desidera se non quello che si ama. Ma quello che dovete temere sono i peccati dell'intelligenza, voglio dire i peccati dell'intelletto, perchè da questi molto difficilmente, anzi quasi mai ci si rialza; sono queste le colpe più pericolose, come vedrete da quello che vi racconterò.

Conosco due persone381, le quali per un tempo abbastanza lungo vissero da santi, facendo molte elemosine ai poveri; ma ora si sono lasciate trasportare da alcune opinioni moderne, e vi hanno talmente radicato la mente e il loro povero cervello, che finora non ci fu modo di rimuoverli per quante ragioni siano state addotte. Non

sanno decidersi ad uscire da quello stato, per quanto tale stato sia orribile; e vi confesso che non ho mai visto nulla che mi dipingesse sì dal vivo l'immagine dell'inferno. Oh! lagrimevole ed infelice stato! Voler credere al proprio miserabile cervello, al proprio falso giudizio, piuttosto che sottomettersi a quello che comanda il Papa! Lo ripeto di nuovo, nulla ho mai visto che mi abbia tanto bene raffigurato l'inferno, quanto questo, se non, forse, quello che vidi in una persona 382, tribolata da un certo umore tetro che la faceva sembrare un demonio, lo spirito di un demonio, dal quale tuttavia riuscì a liberarsi per grazia di Dio; ma però fu necessario, per ottenerlo, innalzare molte preghiere a Dio e compiere molti pellegrinaggi.

I mezzi, poi, per preservarci dal cadere in una sventura simile, sono l'umiltà e la sottomissione del nostro giudizio. Oh! se Dio si degnasse di concedere questa grazia alla piccola Compagnia di avere sempre di mira il disprezzo di sè e la santa umiltà, che è la virtù propria di Nostro Signore! Vedete, signori e cari fratelli, vorrei che questa Compagnia in generale e ciascuno in particolare aspirasse continuamente alla santa umiltà, cercando i mezzi di raggiungerla senza lasciar passare nessuna occasione di esercitarla. Ma Dio, si degni la vostra bontà di dare a questa Compagnia tale spirito, lo spirito della santa umiltà, che è la virtù propria del vostro Figlio diletto! Chiediamo, signori, questa grazia a sua divina Maestà nelle nostre meditazioni, nelle nostre preghiere, andando e venendo: insomma non ci stanchiamo di chiedergliela".

381San Vincenzo probabilmente intendeva alludere al signore e alla signora di Liancourt.382Nel pensiero del santo, si tratta verosimilmente di Chiara-Maria Amaury che era, al momento di questa prova religiosa nel primo monastero della Visitazione a Parigi.

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167. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 17 GIUGNO 1657Non dilungarsi a far ragionamenti nel tempo della meditazione - Cambio

d'abitazione dei Missionari di Genova - Non trascurare alcun sacrificio per il bene delle anime.383

"Dio sia lodato!" disse il signor Vincenzo, ripetendo queste tre parole quattro o cinque volte di seguito, e questo a proposito di quanto aveva detto il signor Cogleè, prete della Compagnia, ripetendo la sua orazione, cioè che durante la meditazione si era fermato molto poco a ragionare, applicandosi principalmente a produrre affetti, ecc. Il signor Vincenzo lodò vivamente questo sistema, e disse che bisognava comportarsi proprio così nella meditazione, ossia non perdersi in cerca di ragionamenti, ma preferire gli atti di amore verso Dio, di umiltà, di dolore dei nostri peccati, ecc.; perchè, qual bisogno abbiamo delle ragioni, quando siamo persuasi di quello che dobbiamo meditare? "Oh! quanto desidero che la Compagnia adotti questa pratica, di seguir subito i lumi che Dio ci dà senza lasciarli per andare ad investigare le ragioni che diventano inutili, dal momento che non ne abbiamo più bisogno! Chiediamo insistentemente questa grazia a dio oggi, ossia la grazia di pregarlo bene; diciamogli: "Signore, insegnateci a pregare come si deve". Esortò i sacerdoti a chiedere oggi , nella santa messa, questa grazia per la Compagnia; e i chierici, i fratelli e il seminario alla santa messa e alla comunione; la seconda intenzione che dovranno avere comunicandosi, sia per ottenere da Dio questa grazia alla piccola Compagnia.

"Raccomando alla Compagnia i nostri fratelli di Genova, i quali devono ora soffrire avendo dovuto lasciare la loro casa per andare in una casa d' affitto, per prestare la loro dimora agli appestati; Le fatiche del trasloco furono grandi, avendo avuto soltanto sette giorni di tempo. Eppure, grazie a Dio, soffrono come si deve, e quanto sono fortunati di soffrire per il bene pubblico! Perchè, è soffrire per il bene pubblico; anzitutto per Iddio e poi per il pubblico. Vedete, signori e fratelli, dobbiamo essere disposti , anzi desiderare di soffrire per Iddio e per il prossimo, di consumarci per questo. Oh! quanto sono fortunati coloro cui Dio concede tali disposizioni e tali desideri! Sì, signori, dobbiamo essere tutti di Dio e al servizio del pubblico; dobbiamo darci a Dio per questo, consumarci per questo, dare la nostra vita per questo, spogliarci, per modo di dire, per rivestirlo; almeno desiderare di essere in tale disposizione, se non vi siamo già, essere disposti ad andare e venire dove piacerà a Dio, sia nelle indie che altrove, insomma esporci volentieri per il bene del prossimo, per dilatare l' impero di Gesù Cristo nelle anime. Ed anch' io, vecchio come sono, devo avere la medesima disposizione in me, sia pure di partire per le Indie, per riconquistarvi anime a Dio, anche se dovessi morire per via o sulla nave. Che cosa credete che Dio esiga da noi? Il corpo? Eh! niente affatto. E che dunque? Dio esige la nostra buona volontà , una buona e vera disposizione di approfittare di tutte le occasioni per servirlo anche con il pericolo della vita; di avere e conservare in noi questo desiderio del martirio che qualche volta Dio gradisce come se lo avessimo effettivamente sofferto. E vediamo che anche la Chiesa l' apprezza tanto da ritenere per martiri quelli che sono stati esiliati per la fede e sono morti in esilio.

Oh! quanto sono esperti i nostri confratelli di Varsavia, i signori Desdames e Duperroy, in questa pratica del soffrire! Sono in mezzo alla guerra, alla peste e alla carestia, eppure rimangono fermi ed incrollabili. Nelle lettere che ho ricevuto d' ambedue ( poichè l' uno e l' altro mi hanno scritto), non vedo altro che una fermezza e una forza in quei servi di Dio. Pensate un poco a questa povera e meschina Compagnia ed alla grazia che Iddio le ha concesso di vedersi composta da tali persone e da tali

383Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 55 v°.

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membri, tanto fedeli e costanti nel soffrire per amor suo e per il pubblico! La sua bontà e misericordia infinita conservino questi suoi servi fedeli alla Compagnia!".

168. RIPETIZIONE DELL' ORAZIONE DEL 10 AGOSTO 1657384

SULL' ORAZIONE385

"Si conoscono quelli che fanno bene l' orazione non solo dal modo di riferirla, ma molto più dalle loro azioni e dalla loro condotta, dimostrando così il frutto che ne ritraggono; lo stesso si deve dire di coloro che la fanno male, tanto è facile vedere come quelli progrediscono e questi retrocedono. Ora per trarre profitto dall' orazione bisogna prepararvisi, e manca grandemente chi trascura tale preparazione e non va a fare orazione se non per abitudine e perchè vi vanno gli altri. Ante orationem praepara animam tuam, dice il Savio386; prima di presentarti all' orazione prepara l' anima tua; perchè l' orazione è un' elevazione dell' anima a Dio per confidargli le nostre necessità e implorare il soccorso della sua misericordia. E' dunque ragionevole che, dovendo trattare con sì alta e sublime Maestà, si pensi un poco che cosa si va a fare, davanti a chi ci si presenta, che cosa si vuole dirgli, qual grazia si vuol chiedergli. Accade però spesso che la pigrizia e la tiepidezza c' impediscono di pensarvi; oppure, all' opposto, la precipitazione e l' inconsideratezza ce ne distolgono; da questo viene quella mancanza di preparazione a cui bisogna rimediare. Bisogna anche badare alla nostra immaginazione vagabonda e girovaga per fermarla, e alla leggerezza della nostra mente per tenerla alla presenza di Dio, senza far tuttavia uno sforzo troppo grande, perchè l'eccesso è sempre troppo nocivo.

L'orazione ha tre parti: ognuno ne conosce l'ordine e il metodo; è necessario attenervisi.

Ecco dunque il da farsi: prima di tutto mettersi alla presenza di Dio, considerandolo sia com'è in cielo, seduto sul trono della sua Maestà, donde volge lo sguardo su noi e contempla tutte le cose; sia nella sua immensità, presente dovunque, qui e altrove, nel più alto dei cieli e nel più profondo degli abissi, scrutando i nostri cuori ed investigando sino alle pieghe più segrete della nostra coscienza; sia nella sua presenza nel Santissimo Sacramento dell' altare - o Salvatore, eccomi, povero e misero peccatore, eccomi ai piedi dell'altare ove Voi dimorate; o Salvatore, che nulla commetta d'indegno di questa santa presenza! - sia, infine, in noi stessi, penetrandoci tutti e dimorando infondo ai nostri cuori. E non domandiamoci se veramente vi sia; chi ne può dubitare? I pagani stessi hanno detto:

Est Deus in nobis, sunt et commercia coeliIn nos; de coelo spiritus ille venit.Non si discute su tale verità. Tu autem in nobis es, Domine. Nulla di più certo. E'

importantissimo far bene questo punto, mettersi seriamente alla presenza di Dio, perchè da ciò dipende tutto il corpo dell'orazione; fatto questo, il resto vien da sè.

Preghiamo Dio di darci la sua grazia affinché possiamo ben intrattenerci con sua divina Maestà, riconoscendo che da noi stessi non possiamo nulla, scongiuriamolo per il suo grande amore verso di noi, per i suoi meriti infiniti, per l'intercessione della Madonna e dei santi.

384Questa data ci viene dall' editore della Vie de saint Vincent de Paul, dell' Abelly, pubblicata nel 1891. Non abbiamo potuto ritrovare il documento che ha avuto tra mano e che gli ha permesso di aggiungere due lunghi passi al testo di Abelly, quelli che vanno dalle parole: "Ecco dunque"a "la Madonna e i santi" e verso la fine da "Finendo" in poi. La citazione del poeta latino, tanto contraria alla abitudini di S. Vincenzo, lascia qualche dubbio sull' autenticità di tali aggiunte.385ABELLY, op. cit., 1. III, cap. VII, sez. I.386Qo, XVIII, 23.

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L'argomento può riguardare una cosa sensibile od insensibile: se è sensibile, come un mistero della vita di Nostro Signore, bisogna raffigurarcelo e fare attenzione a tutte le sue particolarità e circostanze: se la cosa è insensibile, come una virtù, bisogna considerare in che consiste e quali sono le sue principali proprietà, come anche le sue caratteristiche, i suoi effetti, e particolarmente quali sono i suoi atti e i mezzi per metterla in pratica. E' bene cercare anche le ragioni che c'inducono ad abbracciare questa virtù, e fermarci ai motivi che maggiormente ci riguardano. Possono trarsi dalla Sacra Scrittura o dai Santi Padri; e quando qualche passo dei loro scritti ci torna alla memoria su quel soggetto durante l'orazione, è bene ruminarlo nella mente; ma non bisogna cercarlo e neppure applicarsi a molti di questi passi; perchè a che serve formare il pensiero su un cumulo di passi e di ragioni, se non forse ad illuminare e raffinare il nostro intelletto? Così è piuttosto attendere allo studio che fare orazione. Quando vogliamo il fuoco, ci serviamo dell' acciarino; si batte, e appena il fuoco si è appreso alla materia preparata, si accende la candela; e sarebbe ridicolo chi, avendo acceso la candela, continuasse a battere l'acciarino. Parimente, quando un'anima è abbastanza illuminata dalle considerazioni, che bisogno c'è di cercarne altre, e battere e ribattere la nostra mente per moltiplicare le ragioni e i pensieri? Non vedete che è un perder tempo, occorrendo invece applicarci ad infiammare la volontà ed a stimolare gli affetti con la bellezza della virtù e con la bruttezza del vizio contrario? E non è difficile, perchè la volontà segue la luce dell'intelletto e si porta su quanto le è proposto come buono e desiderabile.

Ma non basta. Non è sufficiente aver buoni affetti; bisogna andar più avanti e risolversi a far di tutto in avvenire per l'acquisto della virtù, proponendosi di metterla in pratica e farne gli atti. Ecco il punto importante e il frutto da ricavare dall'orazione. Perciò non bisogna andare alla leggera nelle proprie risoluzioni , ma ripeterle e scolpirle bene nel cuore: è pure bene prevedere gli impedimenti che possono sopravvenire, e i mezzi che possono aiutarci a metterle in pratica, e proporsi di evitare gli uni e seguire gli altri.

Ora, non è necessario in questo, nè spesso conveniente, provare grande commozione per la virtù che vogliamo abbracciare, e neppure desiderare di smentirla, perchè il desiderio di rendersi sensibili le virtù che sono qualità puramente spirituali, può qualche volta nuocere e affaticare la mente, e la eccessiva applicazione dell'intelletto riscalda il cervello e produce dolori di testa; come pure gli scatti di volontà troppo spesso ripetuti, o troppo violenti, esauriscono il cuore e l'indeboliscono. Bisogna moderarsi in tutto; l'eccesso non è mai lodevole in nulla, specie nell'orazione; bisogna comportarsi moderatamente e soavemente e conservare sempre la pace della mente e del cuore.

Finendo, ringraziamo Dio dei lumi e delle grazie accordateci durante l'orazione, e delle risoluzioni che ci ha ispirato, e chiediamogli il suo aiuto per poter mettere in pratica sollecitamente quello che ci siamo proposti.

Dio sia benedetto! Ecco fatto. Orsù, applichiamoci tutti seriamente a questa pratica dell'orazione, poichè da essa deriva ogni bene. Se perseveriamo nella nostra vocazione, avviene per merito dell' orazione , se non cadiamo nel peccato , è per motivo dell'orazione; se dimoriamo nella carità, se ci salviamo, tutto è per grazia di Dio e merito dell'orazione. Come Dio non ricusa nulla all'orazione, così non accorda quasi nulla senza l'orazione: Rogate Dominum messis; no, nulla: neppure la propagazione del suo Vangelo e quello che maggiormente si riferisce alla sua gloria. Rogate Dominum messis. Ma, Signore, questo è affare vostro e vi appartiene. Non importa! Rogate Dominum messis. Chiediamo dunque umilmente a Dio di fortificarci in questa pratica".

169. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 24 AGOSTO 1657

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Malattia di Nicola Duperroy - Valore dei patimenti sopportati con spirito di fede - I beati vedono in paradiso le pere buone fatte da coloro che sono loro cari.387

Il signor Vincenzo, parlando dei patimenti di questa vita e particolarmente delle malattie, ci disse, dopo averlo raccomandato alle preghiere della Compagnia, che il buon signor Duperroy era nelle mani dei chirurgi per farsi curare di un male lasciatogli dalla seconda peste che ebbe, e in seguito a cui gli si trovarono alcune costole cariate, ed occorreva applicarvi il fuoco; che però soffriva tutti questi mali con tanta pazienza che appena si sentiva lamentare.

"Considerando come a Dio piaccia mettere alla prova questo suo servo, dicevo dentro di me: "E' questa, Signore, la ricompensa che date ai vostri servi, a quest'uomo nel quale non abbiamo mai scorto la minima mancanza, a colui che è rimasto fermo come una roccia nel luogo dove la vostra divina Provvidenza l'aveva posto, nonostante tutte quelle calamità della peste, della guerra, della carestia?".Eppure, ecco come Dio tratta i suoi servi. Oh! bisogna pur dire, signori e fratelli, che Dio si compiace grandemente nel veder soffrire un'anima che sopporta tutto con rassegnazione per amor suo!

Vidi ieri una giovane, malata da molti mesi, la quale soffre con sì grande pazienza che vedendola, dal suo aspetto, direste che nulla soffre, tanto appare contenta; eppure il suo male è tremendo, perchè ha un dolore di testa continuo. E' una giovane dovuta uscire di convento a causa di alcune infermità. Vi assicuro, signori, che mi sembrava di vedere su quel volto qualche cosa di luminoso che mi rivelava come Dio risiedesse in quell'anima sofferente. Pensate quanto questo stato sia gradito a Dio, se il suo stesso Figliolo volle che tutte le azioni sante ed eroiche , praticate nel corso della vita, fossero coronate dai patimenti!388.Ciò che egli fece morendo per tutti gli uomini. Oh! quale felice condizione è quella di soffrire per Iddio!

Tre, quattro o cinque giorni fa, ero in una camera tutta circondata da specchi, in modo che da qualunque parte mi voltassi non si vedeva altro che specchi, e non era possibile far nulla senza che fosse visto e riprodotto da quegli specchi, neppure muovere un dito, perchè quegli specchi riflettevano perfino la minima azione che si faceva. Vedendo questo, dicevo dentro di me: "O mio Dio, se, per mezzo di questo vetro, che vien dalla terra, perchè il vetro si ottiene con la sabbia e sassi fatti disciogliere mediante una certa radica, se, dico, vediamo, per mezzo di quegli specchi, perfino la minima azione fatta nella stanza, che cosa non vedono i beati in Dio, che riempie tutto e nel quale tutte le cose sono racchiuse?", e così tutte le opere buone dei fedeli, tutti quegli atti di pazienza, di conformità al beneplacito divino e tanti atti di virtù, tutto, sino alla minima azione, si vede in Dio, dai beati, principalmente gli atti di virtù. E per questo sant'Agostino dice che una delle consolazioni che Dio dà lassù in cielo ai beati che hanno lasciato parenti ed amici in terra, è di far loro vedere gli atti di virtù che questi praticano; per esempio, la retta intenzione nel fare la orazione, il fervore nello spirito, la compostezza del corpo, e così fino al minimo atto di virtù che facciamo; e guardano i dolori che quelle anime sofferenti inchiodate alla croce sopportano per amor di Dio, come altrettante gemme dalle quali emana un vivo splendore".

170. BRANO DI CONFERENZA389

387Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 56 v°.388ABELLY riferisce così questo passo (op. cit., 1. III, cap. VI): "Quanto è gradito ai suoi occhi, poichè il suo Figliuolo stesso volle coronare le azioni eroiche della sua santa vita con un eccesso di dolori che l'hanno fatto morire".389Ci si può domandare se questa istruzione non è lo sviluppo della prima parte della ripetizione dell'orazione del 24 agosto 1657; comunque, la sua data non ne è

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Malattia di Nicola Duperroy - Bisogna esser pronti a sopportar tutto per la salvezza delle anime390

"Uno di quei due391, ha una grave malattia allo stomaco; sono postumi di una peste mal curata. Ho saputo che gli è stato applicato il fuoco, in fondo ad una costola cariata, e la sua pazienza è tale che non si lamenta mai: soffre con molta pace e tranquillità di spirito. Un altro si affliggerebbe vedendosi malato a tre o quattrocento leghe dal suo paese; egli direbbe: "Perchè mi hanno mandato lontano? Perchè non mi richiamano? Ma come ! mi si vuole abbandonare? Gli altri sono in Francia con tutti i loro comodi, e lasciano morir me in un paese straniero!". Ecco quello che direbbe un uomo carnale, che desse retta ai suoi sentimenti naturali e non si uniformasse a quelli di Nostro Signore sofferente, cercando la sua felicità nei patimenti. Oh! che bella lezione ci dà questo suo servo perchè amiamo tutti gli stati in cui piacerà la divina Provvidenza metterci!

Quanto all'altro392, guardate come da tanto tempo lavori con pace di spirito e con una fiducia meravigliosa, senza stancarsi della lunghezza dei lavori, nè scoraggiarsi per le difficoltà, nè stupirsi dei pericoli. Sono ambedue indifferenti alla morte e alla vita e umilmente rassegnati a quello che Dio vorrà. Non mi fanno trasparire alcun segno di impazienza nè di mormorazione; anzi, sembrano disposti a soffrire ancor di più. Siamo così anche noi, signori e fratelli? Siamo pronti a sopportare le pene che Dio ci manderà e soffocare i moti della natura per non vivere più se non la vita di Gesù Cristo? Siamo disposti ad andare in Polonia, in Barberia, nelle Indie, a sacrificargli le nostre soddisfazioni e la nostra vita? Se è così, benediciamone Dio. Ma se, invece, ve ne sono che temono di lasciare i loro comodi, tanto sensibili da lamentarsi per la minima cosa che loro manchi, e tanto delicati da voler cambiar casa ed ufficio, perchè l'aria non v'è buona, il vitto povero, e non sono abbastanza liberi di andare e venire; in una parola, signori, se qualcuno di noi è ancora schiavo della natura, dedito ai piaceri dei sensi, come lo è il miserabile che vi parla, il quale a settanta (sette) anni393 è ancora tutto mondano, si reputi della vita apostolica a cui Dio l'ha chiamato e si confonda vedendo i suoi fratelli esercitarla tanto degnamente, mentre lui è tanto lontano dal loro spirito e dal loro coraggio.

Ma che hanno sofferto in quel paese? La carestia? Vi è. La peste? L'hanno avuta ambedue, ed uno due volte. La guerra? Sono in mezzo agli eserciti e sono passati per le mani dei soldati nemici. Insomma Dio li ha provati con tutti i flagelli. E noi staremo qui come degli infingardi senza zelo? Vedremo gli altri esporsi ai pericoli per il servizio di Dio e staremo paurosi come pulcini bagnati? O miseria, o viltà! Ecco ventimila soldati che se ne vanno alla guerra per soffrirvi ogni sorta di mali, nella quale uno perderà un braccio, l'altro una gamba e molti la vita, per un poco di fortuna e per qualche speranza molto incerta; eppure non hanno paura e vi corrono come incontro ad un tesoro. Ma per guadagnare il paradiso, signori, quasi nessuno si muove; spesso coloro che si sono proposti di conquistarlo conducono una vita tanto languida r sensuale che è indegna non solo di un sacerdote e di un cristiano, ma di un uomo ragionevole; e se tra voi vi fossero individui simili, non sarebbero altro che cadaveri di missionari. Orsù, mio Dio, siate sempre benedetto e glorificato per le grazie che concedete a chi si

lontana.390ABELLY, op. cit., 1. II, cap. X.391Nicola Duperroy, missionario in Polonia.392Guglielmo Desedames, missionario in Polonia.393ABELLY scrive: "all'età di settant'anni": il testo originale diceva certamente "all'età di settantasette anni". ( Cfr. Ripetizione dell'orazione del 3 novembre 1656 ).

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abbandona in Voi; siate Voi stesso la vostra lode per aver dato a questa piccola Compagnia quei due uomini di benedizione.

Offriamoci a Dio, signori, per andare a portare il suo Vangelo in tutta la terra; in qualunque parte Egli ci conduca, conserviamo il nostro posto e le nostre pratiche finchè il suo beneplacito non ce ne ritragga. Le difficoltà non ci spaventino; ne va di mezzo la gloria dell'Eterno Padre e l'efficacia della parola e della passione del suo Figliuolo. La salvezza dei popoli e la nostra propria sono un bene sì grande che bisogna conquistarlo a qualunque costo; e non importa se moriremo più presto, purchè moriamo con le armi in mano; noi saremo più felici e la Compagnia non diverrà più povera, perchè sanguis martyrum semen est christianorum. Per un missionario che avrà dato la sua vita per carità, la bontà divina ne susciterà molti altri che faranno il bene che egli non avrà fatto.

Ognuno si risolva dunque di combattere il mondo e le sue massime, di mortificare la carne e le sue passioni, di sottomettersi agli ordini di Dio, di consumarsi nelle mansioni del nostro stato e nel compimento della sua volontà in qualunque luogo Egli voglia. Prendiamo ora tutti insieme questa risoluzione, ma prendiamola nello spirito di Nostro Signore, con la perfetta fiducia che, occorrendo, Egli ci assisterà. Non volete prenderla, fratelli del seminario? Non volete prenderla, fratelli studenti? Non lo domando ai sacerdoti perchè senza dubbio vi son tutti disposti. Sì, mio Dio, vogliamo tutti rispondere ai disegni che avete su di noi. Lo proponiamo tutti in generale e ciascuno in particolare, con l'aiuto della vostra grazia; non avremo più predilezione nè per la vita, nè per la salute, nè per i nostri comodi e soddisfazioni, nè per un luogo nè per un altro, nè per nulla al mondo che possa impedirvi, o mio Dio, di usarci questa misericordia che vi chiediamo gli uni per gli altri. Non so, signori, come io vi abbia detto tutte queste cose; non vi avevo pensato, ma sono rimasto tanto commosso da quello che è stato riferito, e d'altra parte tanto consolato dalle grazie che Dio ha fatto ai nostri preti della Polonia, che non ho potuto fare a meno di riversare nel vostro cuore i sentimenti del mio".

171. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 25 AGOSTO 1657San Vincenzo aspetta notizie dei missionari di Genova e del Madagascar - Quando

anche queste notizie fossero cattive non bisognerebbe scoraggiarsi; Dio ha i suoi disegni - Lettere della regina di Polonia.394

Il nostro beato Padre cominciò il discorso raccomandando alle preghiere della Compagnia i nostri missionari di Genova, dei quali disse non aver più alcuna notizia, non potendo più scrivere, perchè era stato sospeso il commercio di quella città con le altre, a causa della peste che v'imperversava furiosamente.

"Sono morti o sono vivi? In qualunque stato siano ve li raccomando e prego i sacerdoti che non hanno altri impegni d'applicazione di celebrare per quella famigliuola, ed i fratelli di ricordarsene ascoltando la santa messa e nelle loro comunioni. Raccomando inoltre alla Compagnia quei del Madagascar. Abbiamo saputo che è arrivata una nave a Nantes, ma, non avendo ancora ricevuta alcuna notizia, aspettiamo di sapere lo stato dei nostri confratelli lontani. Sono morti? Sono vivi? Non lo sappiamo. In qualunque stato si trovino preghiamo Dio per loro. E quand'anche fosse vero che siano morti, dovremmo per questo abbandonare quell'opera, quella terra che essi e coloro che li hanno preceduti hanno cominciato a dissodare? O Gesù! no, bisogna guardarsene bene! - Ma come? si dirà forse, e non sembra che Dio non voglia più servirsi di noi, nè là, nè a Genova, permettendo che muoiano tanti e sì buoni operai? - Signori e fratelli, non ci meravigliamo di questo, consoliamoci, invece, vedendo come Iddio si compiaccia trattare la Compagnia come trattò da principio la Chiesa nascente.

394Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 57 v°.

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Oh! quanto le vie di Dio sono mirabili e incomprensibili agli uomini! Vediamo che il Figlio di Dio stesso era la colonna della Chiesa, eppure l'Eterno Padre volle che morisse. Ma che fa? Sceglie alcune persone, gli apostoli, per diffonderla sulla terra; e questi apostoli, sostegno della medesima Chiesa, Dio vuole parimenti che muoiano e siano tutti martiri; e dopo loro ne suscita altri. Da ciò si sarebbe detto che Dio intendesse abbandonare la Chiesa e lasciarla rovinare interamente; ma è tutto l'opposto, perchè il sangue dei cristiani fu il seme del cristianesimo per tutta la terra, e si contano sino a trentacinque i papi martirizzati l'uno dopo l'altro; a quello veniva troncata la testa, e Dio ne suscitava un altro; a questo succedeva la medesima cosa e un altro lo sostituiva. Ed ecco, signori, come Dio si comportò ai primordi della Chiesa. Considerate, ve ne prego, questa condotta di Dio, il quale istituì e consolidò la sua Chiesa con la distruzione e la morte, diciamo così, di coloro che la sostenevano e ne erano i principali sostegni.

Ve lo dico fratelli, affinché vi disponiate a ricevere le notizie, qualunque siano, conformandovi al beneplacito di Dio; e non vi meravigliate se ci si comunicherà che quelli di Genova sono morti, che quelli del Madagascar sono morti, e non vi passi mai per la mente che sarebbe opportuno abbandonare Genova o che bisogni abbandonare il Madagascar. O Dio, no davvero! Bisogna guardarci bene dall'abbandonarli; anzi, questo ci deve incitare a non farlo, perchè così Dio si comportò nella fondazione della Chiesa, ed è segno, poichè la sua divina Maestà suol fare così, che vuole darle più solide fondamenta in quei paesi.

E il nostro buon signor Desdames, quel buon servo di Dio, che ha tanto sofferto, lo raccomando pure alla vostre preghiere. Vi debbo dire che la regina di Polonia mi ha fatto l'onore di scrivermi lei stessa di propria mano? Ecco la sua lettera; non c'è nessun male a leggerla, anzi, quello che udirete, vi consolerà".

Il signor Vincenzo fece leggere la detta lettera da un fratello. In essa, scritta nel mese di luglio scorso, sua Maestà racconta al signor Vincenzo le azioni generose e gli atti di virtù eroica praticati da quel servo di Dio, il signor Desdames.

Letta la lettera, egli disse rivolto alla Compagnia: " Non è meraviglioso? Che ve ne sembra signori? Che ve ne sembra, fratelli? Guardate un poco, ve ne prego, quanto vale un uomo animato dalla spirito di Dio! E che cosa non fa ? Orsù, Dio sia lodato! Da un lato abbiamo motivo di afflizione; dall'altro, motivo di consolazione. Oggi, ad esempio, sentiremo dire che la Compagnia ha avuto qualche scapito, qualche affronto in un luogo, e domani sapremo che in in altro Dio si è servito di essa per far meraviglie; come, per esempio, ora ci scrivono dal Piemonte che Dio dà una tale benedizione alla missioni dei nostri confratelli, che non bastando a soddisfare tutte le popolazioni che accorrono in folla, sono stati costretti a prender seco i sacerdoti secolari che hanno trovato; ma anche questi non sono bastati e sono ricorsi pure ai religiosi".

172. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 30 AGOSTO 1657Danni cagionati dalla peste a Genova - Morte di Maturino di Belleville in mare, di

Claudio Dufour e di Nicola Prèvost nel Madagascar - Nonostante queste perdite, la Compagnia deve continuare ad evangelizzare quell'isola - Rimproveri rivolti ad un prete non osservante della regola e indelicato395

"Raccomando i nostri infermi alle preghiere della Compagnia, il signor Almèras e quelli che sono andati ai bagni con lui. Raccomando inoltre la casa di Genova; non ne abbiamo notizie da molto tempo. Il signor Martin mi scrive da Torino due cose: una che il senato di Genova, avendo comandato agli abitanti di una città appartenente ai

395Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 58 v°.

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suoi Stati, situata in direzione di Torino, che si chiama.....396 di mandare viveri, ne caricarono una barca. Coloro che la conducevano, non osando avvicinarsi a Genova per paura della peste, spararono un colpo di cannone per avvertire i cittadini che venissero a prendere quello che loro si portava, ma nessuno comparve. I barcaioli si avvicinarono allora alla spiaggia, misero le provviste a terra e spararono un nuovo colpo di cannone. Nessuno si mosse, e questo fece credere loro che la desolazione fosse molto grande in quel paese. Lasciarono lì i viveri e tornarono alla loro città per ricaricare la barca e ricondurla di nuovo".

Il signor Vincenzo aggiunse di aver saputo che le prime piogge avevano fatto diminuire molto il contagio, che l'aria era lievemente purificata e si cominciava a riaprire le botteghe. "Ma, disse, Torino è tanto lontana di là che questa voce non è ben sicura. Comunque sia, preghiamo Dio per loro, in qualunque stato si trovino, e sopra tutto per quella povera famigliuola di quella città tanto afflitta.

Vi diceva l'altro giorno che è arrivato a Nantes una nave proveniente dal Madagascar, una della tre che vi erano andate, e che non avevamo ancor ricevuto lettere. Ne ho ricevuto ora una, non da quel paese, ma soltanto da Nantes, da un buon giovane chiamato Baudouin il quale era stato per qualche tempo qui da noi, ma poi uscì per motivi di salute, ed ora si trova nel seminario di Nantes. Questo giovane, avendo saputo dell'arrivo della nave, andò a trovare il capitano che doveva recarsi a far visita al signor maresciallo de la Meilleray, gli domandò notizie della traversata, e, tra l'altro, dei missionari; ma il capitano non volle dir nulla volendo render conto dell'esito del viaggio prima di tutto e di tutti al maresciallo. Vedendo di non poter cavare nulla al capitano, andò a trovare un altr'uomo dell'equipaggio, il quale dette molti particolari, e fra l'altro, gli raccontò una disgrazia capitata ad un buon sacerdote di grandi capacità, appartenuto precedentemente all'esercito e che il signor maresciallo mandava in quel paese. Questo sacerdote, essendo salito sulla tolda della nave, cadde in mare. Alle sue grida si accorse e parecchi si gettarono nell'acqua per salvarlo; ma invano; non udirono altro di lui se non che si dibatteva nelle onde, dicendo: "Gesù, abbiate pietà di me! Vergine santissima, soccorretemi".

Questo avvenne il secondo giorno da che avevano fatto vela per partire, ed i viaggiatori giudicarono che il viaggio non sarebbe stato felice. Siccome il medesimo signor Baudouin desiderava notizie dei missionari, gliele domandò, e quell'uomo gli rispose che i tre partiti con la loro nave erano morti; il signor Belleville morì verso il Capo Verde, e fu gettato in mare, che è il cimitero di quelli che vi muoiono. V'era grande mortalità nella nave, gran numero di malati, dei quali i nostri missionari si occuparono moltissimo. Il signor Dufour, passando un fiume, vi cadde dentro e ne fu ritratto vivo: però, avendogli consigliato, quelli che erano con lui, di cambiarsi per non prendere un malanno, non volle dare ascolto, dicendo che era troppa delicatezza e che tutto sarebbe andato bene. Ma dopo qualche tempo, fu preso da brividi, e così morì; è stato seppellito in riva al mare, ai piedi di una croce, che lui stesso ha fatto piantare sopra un'altura. Quanto al signor Prèvost, si addolorò tanto per la morte del signor Dufour da lui amato in modo specialissimo, che morì parimente qualche tempo dopo. E così, non rimane più che il buon signor Bourdaise, il quale è benedetto da Dio, tanto per lo spirituale di cui è incaricato, quanto per gli affari temporali dei quali ha cura nel forte, dove è amatissimo da ciascuno e si comporta con molta prudenza e bontà. Egli si occupa di tutti i francesi che sono nell'isola e dei nuovi convertiti.

Ecco come stanno le cose.Qualcuno della Compagnia dirà probabilmente che bisogna abbandonare il

Madagascar; la carne e il sangue terranno forse questo linguaggio, e ci suggeriranno di non mandare più nessuno, ma sono sicuro che lo spirito dice ben diversamente. Ma

396Il posto della parola è rimasto in bianco.

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come! signori, lasceremo là solo il nostro signor Bourdaise? La morte di quei signori farà certamente stupire alcuni. Dio trasse dall'Egitto seicentomila uomini, senza contare le donne e i bambini, per condurli nella terra promessa; eppure di tutto quel gran numero, soltanto due vi entrarono, nemmeno Mosè il condottiero degli altri. Dio chiamò i nostri confratelli in quel paese e tuttavia e tuttavia ecco che gli uni muoiono in cammino e gli altri appena arrivati. Signori, bisogna abbassare la testa e adorare le vie adorabili e incomprensibili di Nostro Signore. Non sono stati chiamati in quel paese da Dio? Chi ne dubita? Tutti e tre mi domandarono più volte di andarvi. Il signor Dufour ne aveva il desiderio fino da quando si cominciò a parlare del Madagascar; questo, unito alle circostanze e particolarità che vi furono a suo riguardo, ci fece pensare che Dio ve lo chiamasse. E il nostro povero signor Lambert, defunto, quante volte mi pregò di permetterglielo! Non sono certo la carne e il sangue, potete ben crederlo, che li hanno indotti ad esporre così come fecero la loro vita. Quanto a sapere se la Compagnia ha avuto la vocazione da Dio per quel luogo, se essa vi è stata chiamata, oh! signori, non c'è dubbio, perchè non pensavamo affatto al Madagascar quando sono venuti a farcene la proposta. Ecco come avvenne.

I signori della Compagnia delle Indie di questa città, ossia quei signori che hanno formato una società per il commercio in quei paesi, vi avevano mandato un sacerdote secolare, ma siccome non si comportò bene, pensarono che la via migliore , per ottenere alcuni sacerdoti di vita esemplare, fosse di rivolgersi a Monsignor Nunzio pontificio, qui residente397. Così fecero; gliene parlarono e quel buon prelato dopo aver pensato e ripensato chi potesse far per loro, gettò gli occhi sulla povera e meschina Compagnia e consigliò quei signori di parlarcene, dicendo che egli stesso ce ne avrebbe fatto parola ed era persuaso che la Compagnia avrebbe lavorato con benedizione. Vennero, infatti, quei signori ad interessarci della cosa: Monsignor Nunzio aggiunse le sue raccomandazioni ed anzi ce ne scongiurò; riunimmo alcuni anziani della Compagnia; in breve, si decise di accettare questa missione e scegliemmo a tale scopo due dei migliori soggetti della Compagnia, i nostri buoni defunti signori Nacquart e Gondreé, il primo dei quali era di una condotta e di una prudenza mirabile, di vero zelo apostolico e molto criterio; l'altro pure virtuosissimo, di grande umiltà e mitezza. I prelati della Congregazione della Propagazione della Fede ci mandarono le facoltà necessarie e lodarono anzi la Compagnia per il suo zelo. E' questa la Congregazione che ha facoltà d'inviare in quelle missioni perchè il Papa, in cui soltanto risiede il potere d'inviare in tutta la terra, le ha concesso facoltà di farlo e di attendere a questo. I vescovi hanno potere soltanto nell'estensione e circoscrizione dei loro vescovadi ed arcivescovadi; ma questa Congregazione ha avuto dal Papa questa facoltà di poter inviare per tutta la terra ed essa ci manda.

Ora, di grazia, non è questa una vera vocazione? Ma come! Signori e fratelli, sapendo ciò, sarebbe possibile che fossimo tanto vili e tanto effeminati d'abbandonare questa vigna del Signore, dove sua divina Maestà ci ha chiamati, per l'unica ragione che quattro o cinque o sei sono morti? E, ditemi, sarebbe forse un bell'esercito quello che, per aver perso due, tre, quattro o cinque mila uomini (come si crede sia avvenuto nell'ultimo assedio di Normandia ) lasciasse tutto andare? Sarebbe uno spettacolo magnifico vedere un esercito siffatto, fuggiasco e codardo! Diciamo lo stesso della Missione; sarebbe una bella Compagnia quella della Missione, se per cinque o sei che sono morti abbandonasse l'opera di Dio: Compagnia vile, attaccata alla carne e al sangue! Oh! no, non credo che nella Compagnia vi sia uno solo con tanto poco coraggio da non essere disposto ad andare a prendere il posto di quelli che sono morti. Capisco benissimo che la natura freme sul principio; ma lo spirito, riacquistando il

397Nicola Bagni.

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predominio, dice :" Lo voglio, Dio me ne ha dato il desiderio; no, tutto quello che è avvenuto non sarà capace di farmi abbandonare questa risoluzione".

Sapete il naufragio della nave arrivata il giorno di Ognissanti scorso sul gran fiume di Nantes. Il signor Herbron mi scrive che sentiva il bisogno di confessarmi che quel disastro gli aveva messo in cuore qualche scoraggiamento, ma avendo ripreso animo e la ragione il suo comando, egli aveva scacciato il timore ed era pronto ad imbarcarsi, se lo avessi desiderato. Il signor Boussordec, lo stesso, mi scrive di essere pronto; e il nostro povero fratello Cristoforo , quel buon figliuolo, mi scrive con tanta ingenuità che vi assicuro di essermi commosso leggendo la sua lettera. Mi dice dunque che prega spesso Dio di concedergli la grazia di fare sempre la sua santa volontà, e che qualche volta si domanda: "Dove preferisci fare la volontà di Dio, qui o al Madagascar? E vi confesso, signore, aggiunge, che mi sembra di preferirla al Madagascar più di qui". Del resto, è una specie di martirio esporre la vita, attraversare i mari per puro amor di Dio e la salvezza del prossimo; e quantunque non lo sia effettivamente, lo è però di desiderio, poichè si lascia tutto, ci si espone non so a quali pericoli. E infatti i santi, morti in esilio, dove erano stati mandati per la causa di Nostro Signore, la Chiesa li considera come martiri.

Oggi facciamo la festa di san Felice; ebbene, mentre lo si conduceva al martirio, un tale chiamato Adauto, egli pure santo e martire, scorgendolo, corse da lui per abbracciarlo, ed avendo saputo per qual motivo fosse condannato a morte, cominciò a dire a coloro che lo conducevano: "Se volete far morire quel servo di Dio perchè è cristiano, anch'io lo sono, e non avete maggior diritto su di lui che su me". E così non volle separarsene, lo seguì e fu martirizzato con lui. E chi gli aveva dato quell'ispirazione, ditemelo, per favore, se non Dio? E quante volte non si sono visti i carcerieri che custodivano i servi di Dio, passare alla religione dei cristiani e cattolici che tenevano rinchiusi?

Mi si scrive da Roma che cinque o sei sacerdoti francesi, che furono qui per l'ordinazione, sono andati a gettarsi ai piedi del Papa e ad offrirsi per lavorare nelle Indie, e che il Papa, lodandoli del loro zelo, ha detto: "Desidererei essere in condizioni di poter fare lo stesso anch'io; in altri tempi, prima di essere quello che sono, ebbi l'ispirazione di chiederlo; ma ciò che me ne fece astenere furono le parole che lessi nel libro del beato Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra: nulla chiedere, nulla ricusare".

Il Papa stesso, come avete udito, loda il proposito dei sacerdoti francesi che hanno avuto il coraggio d'andarsi ad offrire a Sua Santità a tale scopo. Orsù, signori, da parte nostra diamoci a Dio e offriamoci a Lui per tutti gli uffici ai quali piacerà a sua divina Maestà adibirci; correggiamoci della nostra codardia. Oh, signori e fratelli, quello che deve maggiormente affliggerci non è il vedere che Dio chiama a sè i suoi servi, dei santi, ma piuttosto lo scorgere che vi sono tra noi sacerdoti, alcuni come me, si, alcuni come me, che siamo di scandalo alla Compagnia. O signori, o fratelli, qual motivo d'afflizione per la Compagnia medesima che nota questo! Qualcuno non viene all'orazione se non raramente, specie da qualche tempo; non fa altro, durante la giornata, che andare e venire per il chiostro, per il dormitorio; se qualche cosa manca nella camera degli altri, si ritrova nella sua; insomma è una vita deplorevole. Per individui di tal sorta, signori, dobbiamo affliggerci, per essi dobbiamo pregare. O mio Dio, o mio Salvatore!".

Quindi il signor Vincenzo fini il discorso dicendo che, per conformarsi alla Chiesa, si pregasse per quei cari defunti, sebbene vi fosse motivo di crederli già in paradiso.

173. CONFERENZA DEL 7 SETTEMBRE 1657SULLE VIRTU' DI MATURINO DI BELLEVILLE398

398Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 61.

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Alla conferenza, che era sulle virtù del defunto signor di Belleville, prete della Compagnia, di cui si è parlato più sopra, morto andando al Madagascar, il nostro onoratissimo Padre, prendendo la parola dopo che ebbero parlato due nostri fratelli chierici, i quali avevano riferito sulle virtù osservate in quel buon confratello e, tra le altre, l'umiltà, la dolcezza, la cordialità, la mortificazione, il disprezzo di sè, lo zelo delle anime, disse di trovar giusto quello che i suddetti fratelli avevano riferito ed egli pure la pensava allo stesso modo circa quel buon defunto. Aggiunse che il signor di Belleville era gentiluomo di nascita, di Normandia, che si era fatto sacerdote prima di entrare nella Compagnia, ed era stato mandato al Madagascar, sebbene fosse da poco tra noi, avendolo subito riconosciuto molto virtuoso. Aveva chiesto insistentemente di entrare nella Compagnia, la quale lo ricevè per la sua viva pietà ed umiltà, nonostante la sua scarsa istruzione.

Da questo il signor Vincenzo prese argomento per incoraggiare quelli della Compagnia che riuscivano a stento ad imparare la filosofia, la teologia ed altre scienze, dicendo che chi si trovava in tale stato non doveva perdersi d'animo, ma confidare in Nostro Signore che avrebbe supplito in altro modo; poichè Egli, ordinariamente, si serve di persone poco considerevoli per operare grandi cose. Aggiunse che molti membri della Compagnia erano stati ammessi con difficoltà, eppure diventarono ottimi soggetti, ed alcuni di essi erano superiori e dirigevano la loro piccola famiglia con molta prudenza e mitezza; dimodochè v'era motivo di lodare Dio e di ammirare i suoi disegni su tali persone.

Quindi, il signor Vincenzo disse, rivolgendo la parola principalmente ai sacerdoti ed a coloro che avevano la grazia di dirigere gli esercizianti nei ritiri spirituali tenuti nella nostra casa:

"Signori, state bene attenti, voialtri che dirigete gli esercizianti, di non spingerli ad entrare nella Compagnia, ma soltanto di assisterli nei loro propositi, aiutarli a determinarsi per il luogo dove sentono che Dio li chiama. Lasciamo fare a Dio, signori. Fin qui, per divina misericordia, si è sempre fatto così nella Compagnia e possiamo dire che in essa non vi è nessuno che non ve l'abbia messo Dio. Non abbiamo chiesto nè case, nè fondazioni, ma abbiamo cercato di corrispondere ai disegni di Dio; e quando Egli ci ha chiamato in questo o in quel luogo, in un ufficio od in un altro, abbiamo procurato di andarvi e cooperare dal canto nostro per quanto abbiamo potuto399.

In nome di Dio, signori, regoliamoci in questo modo, ve ne prego, e lasciamo fare a Dio, contentandoci di cooperare con Lui. E credetemi, signori, se la Compagnia si comporterà così, sua divina Maestà la benedirà. Contentiamoci dei soggetti che Egli ci manderà. Se ci accorgiamo che desiderano ritirarsi altrove, voglio dire in qualche santo ordine religioso o comunità, non l'impediamo; altrimenti si dovrebbe temere che Dio punisse la Compagnia per volere avere quello che Egli non vuole che essa abbia. E

399Il passo precedente, dalle parole "ma soltanto di assisterli nei loro propositi" è citato diversamente da ABELLY (op. cit., 1, I, cap. XXXIV): "Più ancora, quand'anche vi confidassero di avere intenzione, e vi manifestassero di sentirvi inclinazione, guardatevi bene dallo spingerli voi stessi a farsi missionari, consigliandoglielo od esortandoli. Dite loro soltanto di raccomandare sempre più questo proposito a Dio, di riflettervi seriamente, essendo una cosa di grande importanza. Fate loro presenti le difficoltà che potrebbero incontrare secondo la natura, e dite che devono aspettarsi, se abbracciano questo stato, di soffrir molto e di lavorar molto per Iddio. Se dopo questo, si risolvono, alla buon'ora! potete farli parlare con il superiore, per conferire più ampiamente con essi della loro vocazione. Lasciamo fare a Dio, signori, e aspettiamo umilmente gli ordini della divina Provvidenza. Per sua misericordia si è fatto sempre così nella Compagnia, e possiamo dire che non vi è nulla in essa che non ve l'abbia posto Dio, e che noi non abbiamo ricercato nè uomini, nè ricchezze, nè fondazioni".

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ditemi, se la Compagnia non avesse avuto lo spirito di cui ho parlato, ossia di non attirare altre altre persone, quantunque di spiccata intelligenza, all'infuori di quelle che piace a Dio mandarci, e che l'hanno desiderato per molto tempo, i padri certosini e i padri di santa Genoveffa ci manderebbero, come fanno, per il ritiro, tanti giovani che hanno il desiderio di farsi certosini o canonici regolari? Anzi, se ne guarderebbero bene. E come? ecco, per esempio, un giovane che desidera farsi certosino; è mandato qui per conferire con Nostro Signore mediante un ritiro, voi lo persuadereste di rimanere con noi, perchè, forse, è un giovane intelligente? Che cos'è questo, signori, se non pretendere quello che non ci appartiene, voler far entrare una persona in una Compagnia, dove Dio non la vuole, dove Dio non la chiama, e alla quale non ha mai pensato? Che cosè ancora se non attirare lo sdegno di Dio sulla Compagnia? O povera Missione! O povera, piccola Compagnia della Missione! in quale stato deplorevole cadrai se giungi a questo punto! Preghiamo Dio, signori, preghiamo Dio, fratelli, perchè confermi sempre più la grazia fatta alla Compagnia fin'ora, di non volere se non quello che Egli ha piacere che abbia di non ingerirci per iniziativa nostra in un ufficio qualsiasi, ma di aspettare la chiamata di sua Divina Maestà".

Quindi, tornando al buon defunto, signor di Belleville, il signor Vincenzo disse di avere una relazione autentica di quello che era avvenuto nella sua malattia e nella sua morte, scritta dal signor Dufour, morto poi al Madagascar. Ne lesse una parte; ma essendo suonata l'ora del riposo non potè continuare e terminò la conferenza con un De profundis per il riposo dell'anima del nostro buon confratello.

174. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 23 SETTEMBRE 1657MORTE DI VARI PRETI DELLA MISSIONE A GENOVA400

Il signor Vincenzo, alla ripetizione dell'orazione, disse, tra l'altro, che si doveva aver gran fiducia in Dio, ricorrer spesso a Lui; perchè, aggiunse, che cos'è l'uomo se non peccato corruzione e miseria? Fece questa osservazione perchè s'accorse, il signor Vincenzo, che un fratello chierico, che aveva ripetuto la sua orazione, non aveva implorato abbastanza l'aiuto divino, si era fermato troppo a ragionare, aveva cercato poco d'affezionarsi alla virtù: non aveva pregato sufficientemente Dio, nè ricorso a Lui nella sua orazione.

Quindi disse: "A proposito di fiducia in Dio abbiamo gran motivo di pregarlo che ne riempia la Compagnia per quello che vi dirò. Sua divina Maestà ci ha tolto quel grande e sant'uomo del signor Blatiron, del quale avete sentito molte volte parlare; quell'uomo apostolico di cui Dio si è servito per fare tante grandi cose non l'abbiamo più; Dio ce l'ha tolto. Non abbiamo più neppure il signor Duport, nè il signor Tratebas, nè parecchi altri. Infine, non vi dirò quanti morti abbiamo, ma piuttosto, e faremo prima, vi dirò quanti rimangono vivi, supposto che Dio nel frattempo non li abbia chiamati, da quando ci è pervenuta la notizia da Roma, perchè da Genova non ne abbiamo ricevuta alcuna da circa due mesi. Rimane il signor Simon e il signor Le Juge, il quale signor Le Juge ha avuto la peste ed è guarito per misericordia di Dio. E' un buon prete italiano. Rimangono al seminario un prete italiano e tre chierici, tra cui, credo, il nostro fratello Pinon. Ecco dunque quattro persone del seminario che rimangono, supposto non sia capitato a loro nulla di male, dall'ultima notizia ricevuta, come vi ho detto. Quanto ai fratelli coadiutori, uno è morto e ne rimangono tre, fra cui il fratello Rivet. Ecco, signori, in quale stato Dio ha permesso fosse ridotta la casa di Genova, provata dalla peste401

400Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 62 v°.401Questa pagina è riferita diversamente da ABELLY (op. cit., 1. III): "Oh! quanto è vero, signori e fratelli, che dobbiamo avere una gran fiducia in Dio, e metterci

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Il signor Blatiron, ah! quale perdita! Quell'uomo che per tre o quattro anni abbiamo veduto qui quasi sempre all'infermeria, sapete quanto bene ha compiuto, quante conversioni Dio ha operato per mezzo suo! Perfino i banditi! E' una cosa inaudita che dei banditi si siano convertiti. La loro conversione non è mai stata tanto frequente come da quando i preti della Missione sono in Italia. I banditi sono ladri dei boschi, individui che hanno commesso qualche delitto nei loro villaggi o nelle loro città e si sono rifugiati nelle foreste. Appena dunque i nostri missionari andavano a fare la missione in qualche borgo o villaggio, nelle vicinanze dei boschi, alcuni di questi banditi si convertivano e si riconciliavano con i parenti di coloro che avevano ucciso, e i parenti con essi; e questo per mezzo della missione. Ed anche ora, riguardo a quei signori che sono a Torino, Dio concede una tale e sì grande benedizione alle loro missioni che è una cosa mirabile. Mi scrivono che stanno per cominciare la missione in una città che appartiene a Madama Reale402. In quella città v'è molta nobiltà, ma molta discordia e molti disordini. Madama Reale ha fatto quello che ha potuto per metter pace, ma non vi è riuscita nonostante tutti i mezzi adoperati fino ad ora. Infine, le è stato detto: "Madama, se volete rimediarvi, è necessario che Vostra Altezza vi mandi i preti della Missione. Una parte della nobiltà stessa residente in questa città chiede la missione".

Ora, per tornare al nostro buon signore Blatiron, un uomo perpetuamente al lavoro, mi meraviglio come potesse vivere; un sacerdote il cui solo sguardo imponeva rispetto e venerazione. Vi assicuro, signori, che quando lo guardavo, sentivo in me un certo rispetto e riverenza verso quell'uomo di Dio.

E dei signori Duport, Ennery e Tratebas, che lavoravano con tanta benedizione di Dio, che ne diremo, signori? Non diciamo soltanto il bene che hanno fatto, ma diciamo anche il male; ne avete mai osservato in quei servi di Dio? Quanto a me, vi confesso che non ne ho mai scorto nè sentito mai dire. Orsù, preghiamo sua divina maestà che

interamente nelle sue mani, persuasi che la sua Provvidenza dispone, per il nostro bene e vantaggio, tutto quello che vuole e permette ci accada! Si, tutto quello che Dio ci dà e tutto quello che Dio ci toglie è per nostro bene e secondo il suo beneplacito, e il suo beneplacito è appunto ciò che desideriamo ed è la felicità nostra. E' in tal considerazione che vi parteciperò un'afflizione che ci è capitata; posso dire con verità, fratelli, che è una delle più grandi che potevano colpirci; abbiamo perduto il grande appoggio e il principale sostegno della nostra casa di Genova. Il signor (Blatiron), superiore di quella casa, gran servo di Dio, è morto: è così! Ma non è tutto: il buon signor (Duport) che si dedicava con tanta gioia al servizio degli appestati, che aveva tanto amore per il prossimo, tanto zelo e fervore per procurare la salvezza delle anime, ci è stato anche lui rapito dalla peste. Uno dei nostri preti italiani (signor Domenico Boccone), molto virtuoso e buon missionario, come mi è stato riferito, è egualmente morto. Il signor (Ennery), il quale era parimente un vero servo di Dio, ottimo missionario e grande in tutte le virtù , è pure morto. Il signor (Tratebas) che voi conoscete, e che non è per nulla meno degli altri, è morto. Il signor (Vincent), uomo saggio, pio, esemplare, è morto. Si, signori e fratelli, il male contagioso ci ha tolto questi bravi operai; Dio li ha chiamati a sè. O Salvatore Gesù, qual perdita e quale afflizione! E' proprio ora che abbiamo gran bisogno di rassegnarci sinceramente a tutti i voleri di Dio; perchè, altrimenti, che faremmo se non lamentarci e rattristarci inutilmente della perdita di quei grandi zelatori della gloria di Dio? Ma con tal rassegnazione, dopo aver accordato qualche lacrima al dolore della separazione, ci eleveremo a Dio, lo loderemo e lo benediremo di tutte queste perdite, poichè sono avvenute per disposizione della sua santissima volontà. Ma, signori e fratelli, possiamo dire di perdere quelli che il Signore ci toglie? No, no, non li perdiamo, e dobbiamo credere che la cenere di quei buoni missionari servirà come seme per produrne altri. Tenete per certo che Dio non priverà la Compagnia delle grazie che aveva accordate ad essi, ma le darà a coloro che avranno zelo di andare a prendere il loro posto".402Bra, in Piemonte.

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abbia di disporre altri a prendere il loro posto. Dei signori Blatiron, ahimè! dove li troveremo? dei signori Duport, Ennery e Tratebas, dove li troveremo? Si degni la bontà di Dio scegliere essa stessa le persone che desidera mandare per occupare il loro posto, ed animarle del medesimo spirito! Fiducia, signori, abbiamo gran fiducia in Dio! Spero che ci assisterà e ci farà la grazia di corrispondere ai disegni che Egli ha sulla piccola Compagnia. Voglio credere che non vi sia alcuno che non sia pronto ad andarvi qualora gli si dicesse. Grazie a Dio, alcuni si sono già offerti, anche di altre case, i quali me ne hanno scritto; e, vedete, alla sola parola vade, sono sicuro, partirebbero subito.

Orsù, lodo Dio per aver Egli fatto alla piccola Compagnia la grazia di avere queste disposizioni: perchè voglio sperare che tutti quanti abbiamo la stessa disposizione e se ci dicessero: "Venite qui", "andate là", saremmo pronti ad obbedire. Dio sia lodato!

Prego la Compagnia, prima di tutto, di ringraziare Dio delle grazie concesse a quei buoni defunti; e, in secondo luogo, pregheremo il Signore che se, per caso, qualcuno di essi fosse ancora in purgatorio lo liberi per la sua santa misericordia".

175. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 1° NOVEMBRE 1657Festa di Ognissanti - L'umiltà - Morte di Dermot Duiguin403

Dopo che il nostro onoratissimo Padre ebbe fatto ripetere a tre o quattro persone della Compagnia i pensieri che Dio aveva ispirato loro nell'orazione, raccomandò alla Compagnia medesima di elevarsi a Dio in quel bel giorno d'Ognissanti e di chiedergli le sue grazie per i bisogni di ciascuno in particolare e per la Compagnia in generale.

"Vedete, disse egli, in questo giorno, Nostro Signore è solito riversare le sue grazie con maggiore abbondanza sui fedeli che gliele chiedono debitamente e per intercessione di tutti i santi; poichè, essendovi più intercessori per noi presso Dio, così non possiamo dubitare che le grazie che Egli concede ai fedeli in tal giorno non siano più abbondanti che nelle altre feste particolari dei santi. Quello che dobbiamo dunque fare, signori e fratelli, è ringraziare sua divina Maestà di tutti i doni e di tutte le grazie che si è degnata accordare a tutti i santi in generale, che sono lassù in paradiso, ed a ciascuno di essi in particolare, del buon uso da essi fatto di quelle medesime grazie, della perseveranza che hanno avuto nella pratica delle buone opere sino al termine; ringraziamo Dio di tutto questo e per aver essi praticato la prima lezione che Nostro Signore ha insegnato a loro e a noi: beati i poveri in spirito, perchè di questi è il regno dei cieli404

O bella e santa umiltà, quanto sei gradita agli occhi di Dio, poichè Nostro Signore Gesù Cristo volle venire Lui stesso appositamente quaggiù in terra per insegnarcela con l'esempio e la parola! O signori, o fratelli, piacesse a Dio che l'amore e il desiderio di questa virtù fossero ben scolpite nei nostri cuori! Si, l'amore del disprezzo di noi; esser contenti se ci si mette in derisione, se ci si stima persone da poco, se non si fa nessun conto di noi, se il mondo ci crede individui di poca virtù, ignoranti, buoni a nulla.

Non solo ciascuno della Compagnia deve amare questo a proprio riguardo, ma deve amarlo anche per la Compagnia in generale. Si, amare che se ne parli come di una comunità la meno utile nella Chiesa di Dio, la più imperfetta; amare che si dica che è la più ignorante e la più inetta a tutto. Il Figlio di Dio volle passare per queste trafile, fu considerato dal popolo come un sobillatore; tollerò di essere posposto a Barabba, di passare per indemoniato, il rifiuto della plebe; insomma amò questo stato. Ciò posto, se il Figlio di Dio lo ha amato, perchè non l'ameremmo anche noi? Vedete, bisogna sforzarci sempre di amare l'abiezione, la confusione che proviene dalle nostre colpe; bisogna odiare e detestare il male quando giunge sino al peccato e fare il possibile per

403Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 63 v°.404Mt 5, 3

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correggercene. Ma, una volta commesso, dobbiamo amare la confusione che ce ne deriva ed esser ben contenti, se saremo, per questo disprezzati. Ho conosciuto una buona giovane405 che aveva una gamba grossa il doppio dell'altra, e non potendo fare come le altre del mondo, andare ai balli, ecc., si ritirò per vivere in solitudine e non maritarsi. Diceva, poi, queste parole: "Gamba maledetta; che sei stata causa che io mi sia ritirata dal mondo! O amabile confusione che mi ha procurato un bene tanto grande!".

Leggevo ieri sera una lettera concernente il defunto signor Duiguin, nella quale mi si scrive che tutti hanno pianto la sua morte, vedendo che perdevano il loro buon padre (come tale lo consideravano); e grandi e piccoli si scioglievano in lacrime; egli era loro padre per averli generati a Gesù Cristo. Questo può far nascere qualche sentimento di stima per la Compagnia; ma che cosa dobbiamo fare in tali occasioni se non dire, appena vediamo ed ascoltiamo simili cose: "A voi solo, Signore, la gloria! A voi, mio Dio, tutta la gloria?". E così soffocare in noi tutto quanto potrebbe causarci qualche pensiero di vana compiacenza di noi in particolare o della Compagnia in generale. Dio si degni fare la grazia alla Compagnia medesima di ricercare particolarmente principalmente i mezzi di acquistare questa santa virtù dell'umiltà e di abiezione di noi stessi! Si, fratelli, lo ripeto, dovremmo correre all'acquisto dell'umiltà. Sua divina Maestà ce ne faccia la grazia, se lo crede".

176. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DELL'11 NOVEMBRE 1657Bisogna fare in tutto la volontà di Dio per amor di Dio - Zelo dei due fratelli

Giovanni e Filippo Le Vacher, missionari in Barberia.406

Il nostro onoratissimo Padre fece ripetere la orazione ad un fratello chierico, il quale disse che non basta far le cose che Dio esige da noi, ma bisogna farle per amor suo. Allora il signor Vincenzo prese la parola e disse a quel buon fratello: "Fratello, avete detto una cosa meritevole di essere pesata e considerata, e prego Dio di benedirvi. Infatti, signori e fratelli, non basta far la cosa che Dio esige da noi, ma si deve inoltre fare questa medesima cosa per amor di Dio; fare la volontà di Dio, e questa medesima volontà di Dio farla secondo la sua volontà, ossia nel modo che Nostro Signore fece la volontà del Padre suo, quando era sulla terra. Per esempio, noi sacerdoti, celebriamo la santa messa perchè è la volontà di Dio; ora non basta fare in questo la volontà di Dio, ossia celebrare, ma dobbiamo anche sforzarci di offrire, con la maggiore perfezione che ci sarà possibile, questo medesimo sacrificio a Dio, secondo la volontà di Dio stesso, come Nostro Signore offrì sulla terra il sacrificio cruento e incruento di se stesso all'eterno Padre. E dobbiamo sforzarci, signori, quando potremo, di offrire i nostri sacrifici all'eterno Padre, con il medesimo spirito di Nostro Signore, come vi ho detto; e quanto più perfettamente la nostra povera, meschina e miserabile natura ce lo permetterà. Lo stesso deve dirsi dei nostri fratelli che ascoltano la santa messa, ai quali non basta ascoltarla e fare in questo modo la volontà di Dio, ma devono fare anche la medesima volontà di Dio ascoltando la messa devotamente, con attenzione e purità d'intenzione. Altrettanto si dica delle azioni, intendo le azioni buone; se una persona, verbi gratia, osserva bene la regola, fa bene, ma non basta se non lo fa per amor di Dio.

Dimodochè, vedete, tutto quello che facciamo o soffriamo, se non lo facciamo o soffriamo per amor di Dio, non serve a niente; anzi, quand'anche fossimo bruciati vivi o dessimo tutto il nostro patrimonio ai poveri, dice san Paolo, se non abbiamo la carità e se non lo facciamo o soffriamo per amor di Dio, non ci servirà a nulla. Assistere, per esempio i poveri schiavi è opera esimia e vi sono anzi alcuni ordini religiosi nella

405Isabella du Fay.406Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 64 v°.

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Chiesa di Dio che sono sempre stati stimati e considerati più degli altri, perchè addetti a tale ufficio, come l'ordine della Redenzione degli schiavi, i cui membri emettono, oltre agli altri voti, quello di offrirsi schiavi al posto di coloro che fossero tentati di apostatare, per liberarli dal pericolo di perdere la fede.

Questo atto, signori, è bello, magnifico; ma mi sembra che vi sia qualche cosa di più in coloro che non solo vanno ad Algeri, a Tunisi, per contribuire a riscattare i poveri cristiani, ma, oltre a ciò, vi rimangono per redimere quella povera gente, assisterla spiritualmente e materialmente, soccorrerla, esser sempre là per assisterla. O signori, o fratelli, la considerate la grandezza di quest'opera? La comprendete bene? V'è di grazia cosa più simile a quella che fece Nostro Signore scendendo quaggiù in terra per riscattare gli uomini dalla schiavitù del peccato e del demonio? Che fece il Figlio di Dio? Lasciò il seno dell'eterno Padre, luogo del suo riposo e della sua gloria; e perchè? Per discendere quaggiù tra gli uomini, affine di istruirli con le sue parole e con i suoi esempi, liberarli dalla schiavitù in cui erano e redimerli. Per far questo dette perfino il suo sangue. E noi del pari, signori, non dobbiamo affezionarci a nulla ; ricchezze, comodità, lasciamo tutto per servir Dio e il prossimo. La natura è avida di cambiamento; se le si darà ascolto, ci persuaderà continuamente di cambiare, ma bisogna star saldi. Occorre molta forza, ne convengo.

Ecco, il signor Le Vacher, il più anziano, che è a Tunisi; non potete farvi un'idea del lavoro che ha sulle braccia! In due che erano riuscivano a stento a fare quello che dovevano, ora è rimasto solo con il peso del consolato che deve esercitare, e, nel tempo stesso, con la cura dei poveri schiavi! La natura certamente ricalcitrerebbe, ma bisogna domarla, esser costanti e rimanere dove Dio ci ha messo, in qualsiasi ufficio e paese407

E questo qui (parlando del signor Filippo Le Vacher, ritornato da Algeri da circa due mesi e che si disponeva a ritornarvi)408 lo sapete che passa da sette a otto notti, tutti gli anni, senza dormire, per ascoltare le confessioni dei poveri schiavi, che va a trovare nei luoghi dove sono rifugiati e passa la notte con loro, non avendo quei poveretti altro tempo per confessarsi, poichè i loro padroni non vogliono che siano distratti dal lavoro durante il giorno. Ne sono stato informato più volte dal console, il quale mi avvertiva che se non gli facevo moderare le sue veglie, v'era da temere che soccombesse sotto la fatica. Vi prego di non parlargli di questo, nè di riferirgli quello che vi ho raccontato di lui. Forse ho fatto male a dirvelo; ma via! Come non posso fare a meno di dire il bene quando lo vedo, così, in cambio, non posso fare a meno di dire il male quando l'osservo, e dirvi: "Avete commesso tale e tal mancanza"409

Orsù, Dio sia sempre benedetto e glorificato. Il regno di Dio soffre violenza, e soltanto i forti lo rapiscono, quelli che praticano la virtù tra le maggiori difficoltà, che soffrono e patiscono di più per amor di Dio; ed è quello che Dio vuole da noi. Si degni sua divina Maestà fare a tutti noi la grazia di far sempre e in tutto la sua santa volontà".

177. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 25 NOVEMBRE 1657Biasimo rivolto ad un missionario che aveva fatto gli elogi della Compagnia -

Ragioni di essere umili e riferire tutte le lodi a Dio - Far bene tutto quello che si fa, osservar bene la regola e lasciare nella Compagnia una tradizione di virtù - Quando rientrava a Parigi dopo le sue missioni, san Vincenzo si rimproverava di lasciar le

407In margine: Nota: Il signor Vincenzo voleva incoraggiare, com'è credibile, il signor Filippo Le Vacher che era prossimo a ritornare ad Algeri.408In margine: Qui parla del suddetto signor Filippo Le Vacher che era appena uscito dalla ripetizione dell'orazione.409In margine: Il signor Vincenzo citò un passo del profeta in cui era detto che avendo egli veduto i nemici, si era scagliato contro di loro. Bisogna ricercare quel passo e scriverlo qui.

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anime in abbandono - Raccomanda alle preghiere Ognissanti Bourdaise, missionario al Madagascar.410

Il signor Vincenzo fece ripetere l'orazione ad un sacerdote del seminario, ricevuto di recente, e questo sacerdote, parlando della Compagnia, la qualificò col nome di santa Compagnia, santa Congregazione. Il signor Vincenzo, udendolo, fermò il discorso di quel buon sacerdote e gli disse: "Signore, quando parliamo della Compagnia, non dobbiamo servirci dei termini di santa Compagnia o Congregazione, o altri vocaboli equivalenti ed elevati, ma servirci di questi: la Compagnia, la piccola Compagnia e simili; ed imiteremo in ciò il Figlio di Dio, il quale chiamava la Compagnia dei suoi apostoli e discepoli piccolo gregge, la sua piccola Compagnia411. Oh! quanto desidererei che piacesse a Dio di concedere a questa meschina Compagnia la grazia di ben fondarsi nell'umiltà, di metter questa virtù a base di tutto l'edificio, in modo che vi rimanesse come nel suo proprio luogo, nel suo proprio ambiente, perchè vedete, signori, non c'illudiamo, se non abbiamo l'umiltà non abbiamo nulla. Non parlo soltanto dell'umiltà esteriore, ma parlo principalmente dell'umiltà di cuore, di quella che ci induce a credere veramente che nessuno sulla terra è più meschino e più miserabile di noi, che la Compagnia della Missione è la più meschina di tutte le Compagnie, la più miserabile, ed esser contenti che se ne parli in tal modo. Ahimè! signori, voler esser stimati, ma che cos'è? Voler esser trattati diversamente dal Figlio di Dio, non è un orgoglio insopportabile? Che cosa dicevano di Lui, quando era sulla terra? E per che volle passare nella mente del popolo? Per pazzo, per sedizioso, per uno stolto, un peccatore, sebbene non lo fosse; sino a tollerare di essere posposto ad un Barabba, ad un ladro, ad un delinquente! O Salvatore, o mio Salvatore, o mio Salvatore, di qual confusione sarà la vostra umiltà per i peccatori come me, miserabile, al giorno del giudizio.

Stiamo attenti, fratelli! Voi che andate in missione, voi che parlate al pubblico, state attenti! Qualche volta, anzi spesso, si vede tutto il popolo commosso per quel che è stato detto; si vede che tutti piangono, ed altri talora, spingendosi più oltre giungono fino a proferire queste parole: "Beato il seno che vi ha portato, e le mammelle che vi hanno nutrito412". Abbiamo sentito parole simili, qualche volta. Udendo ciò, la natura rimane appagata, la vanità germoglia e si alimenta, se non si reprimono subito le vane soddisfazioni, rinunziando alla vanità, a sè medesimi e cercando puramente la gloria di Dio, per il quale solo, vedete, dobbiamo lavorare, si, puramente per la gloria di Dio e la salvezza delle anime; perchè far diversamente è predicar sè stesso e non giovare agli altri; una persona che si comporti in tal modo, voglio dire che predichi per farsi applaudire, per procacciarsi stima, per essere lodata, per far parlare di sè, che fa questa persona, questo predicatore? Che fa? Un sacrilegio, si, un sacrilegio.

O mio Dio, mio Dio, concedete a questa povera piccola Compagnia la grazia che nessuno dei suoi membri cada in simile sventura. Credetemi, signori e fratelli, non saremo mai atti a far l'opera di Dio, se non abbiamo un'umiltà profonda, il disprezzo di noi stessi. No, se non è umile, se non ha il pensiero e la persuasione di non poter fare nulla di buono, che è più adatta a sciupare che a fare, la Compagnia della Missione non concluderà mai molto. Ma quando sarà e vivrà nello spirito di cui ho parlato, allora state certi, signori, che potrà lavorare nell'opera di Dio, perchè di tali soggetti Egli si serve per opere grandi.

I dottori, spiegando il vangelo d'oggi, dove si fa menzione delle dieci vergini, delle quali cinque prudenti e cinque stolte, reputano doversi applicare questa parabola ai religiosi e alle comunità che si sono ritirate dal mondo. Se è vero, signori, che la metà

410Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 66.411Lc 12,32.412Lc 11, 27. In margine: Riferire qui il passo in latino.

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dei religiosi e delle comunità si perde, ahimè! quanto dobbiamo temere! Miserabile io che sono un vecchio peccatore e non ho mai fatto alcun bene sulla terra, quanto devo temere! Orsù, signori e fratelli, non perdiamoci d'animo, diamoci risolutamente a Dio, rinunciando a noi stessi, alle nostre soddisfazioni, ai nostri comodi e piaceri, convinti di non aver maggior nemico di noi stessi, facendo tutto il bene che ci sarà possibile.

Vi sono qui due cose da considerare, ossia non solo di fare il bene, ma di farlo bene. Perchè, vedete, non basta fare il bene, per esempio dare l'elemosina, digiunare e via dicendo; questo è bene, ma non basta; dobbiamo farlo nello spirito di Nostro Signore, come Nostro Signore lo fece sulla terra, e puramente per la gloria di Dio. Le piante non danno frutti migliori della loro natura; e noi, tutti, siamo come il seme e la specie di coloro che verranno dopo, i quali, con ogni probabilità, non porteranno i loro frutti, la loro perfezione più in alto di noi. Se avremo fatto bene noi, faranno bene pure loro, e allora, signori, il bene si tramanderà dall'uno all'altro; quelli che vi sono ora, insegneranno agli altri in qual modo i primi praticano la virtù e osservano la virtù e osservavano la regola; ed essi ancora ad altri che verranno dopo; e ciò faranno, aiutati dalla grazia di Dio, meritata loro dai primi, si, meritata dai primi. Donde viene che vediamo nel mondo tante famiglie che vivono sì cristianamente nel timor di Dio? Ne ho una in mente, tra le altre, di cui ho conosciuto il nonno e il padre, ambedue uomini molto dabbene; e anche oggi conosco i figli che vivono in pari modo. Da che proviene questo? Dalla grazia divina che i padri ottennero da Dio ai figliuoli con la loro buona e santa vita, secondo la promessa di Dio stesso, che ricompenserà la virtù dei genitori, fino alla millesima generazione.

Guardiamo dall'altra parte. Si vedono persone, marito e moglie, molto buone e morigerate; eppure tutto si dissipa nelle loro mani, non riescono a nulla. Da che deriva? E' la punizione di Dio, la quale, meritata dai genitori per qualche grave colpa commessa, passa nei figli, secondo quanto è scritto, che Dio castigherà il peccatore nei suoi discendenti, sino alla settima generazione413; e sebbene questo si intenda principalmente dei beni temporali, pure possiamo applicarlo anche a quelli spirituali. Perciò, se noi faremo bene, se osserveremo attentamente le nostre regole, se praticheremo tutte le virtù proprie di un vero missionario, meriteremo da Dio questa grazia ai nostri figli, ossia a quelli che verranno dopo di noi, i quali si comporteranno bene. Ma se faremo male, è da temere che essi pure facciano lo stesso, e anche peggio, perchè la natura trascina e porta di continuo al male. E poi si dirà della Compagnia quello che si dice comunemente del mondo: "Quella gente va giù, se ne va, ossia è in decadenza".

Vedete, noi possiamo considerarci come i padri. La Compagnia è ancora in culla, è appena nata; sono venticinque o trent'anni che ha cominciato a vivere. Che cosa significa? Non è essere ancora in culla? E coloro che vorranno fra tre o quattro cento anni ci considereranno come i loro padri. Anche quelli che sono entrati ora, sono riputati i primi; tutti coloro che appartengono ai primi anni sono considerati come i primi padri. Quanto voi, signori, volete citare qualche passo di un Padre dei primi secoli, dite: "Questo passo è riferito dal tal Padre che viveva nel primo secolo, un tal Padre della Chiesa che viveva nei primi secoli". Ecco come si è soliti dire. Lo stesso si dirà di quelli che sono ora nella Compagnia: "Al tempo dei primi preti della Missione, si faceva così: essi facevano così; si praticava la tale o tale altra virtù", e così via.

O signori, ciò posto, quale esempio non dobbiamo lasciare ai nostri successori, ai nostri figli, poichè il bene che essi faranno dipende in qualche modo da quello che praticheremo noi! Se è vero, come dicono i Padri della Chiesa, che Dio fa vedere ai padri e alle madri che sono dannati il male che i loro figli commettono sulla terra, affinché il loro tormento si accresca e quanto più questi figli fanno male, tanto più i

413Bar 6, 2.

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padri e le madri, che ne furono causa con i cattivi esempi lasciati, ne soffrono; così pure, lo dice Sant'Agostino, Dio fa vedere ai padri e alle madri che sono in paradiso il bene che fanno i loro figli quaggiù in terra, affinché aumenti la loro gioia. Parimenti, signori, qual consolazione, qual gioia non avremo noi quando piacerà a Dio farci vedere il bene fatto dalla Compagnia, la quale sarà feconda in buone opere, osserverà fedelmente ed esattamente le regole, praticherà le virtù che compongono il suo spirito, e tutto per i buoni esempi che abbiamo dato!

Oh, quanto sono miserabile, io che dico e non faccio! Dico agli altri quello che devono fare ed io stesso non lo pratico! Pregate Dio per me, signori, pregate Dio per me, fratelli, affinché mi converta.

Orsù, diamoci dunque risolutamente a Dio, lavoriamo, lavoriamo, andiamo ad assistere i poveri campagnoli che ci aspettano. Per grazia di Dio, alcune nostre case sono in attività quasi continua; le une più, le altre meno, a questa missione, a quell'altra, da un villaggio all'altro, lavorano sempre, per misericordia di Dio.

Mi ricordo (devo dirlo?) che, per l'addietro, quando tornavo da una missione e rientravo a Parigi, mi sembrava che le porte della città mi dovessero cadere addosso e schiacciarmi; era raro che tornassi da una missione senza che questo pensiero mi tornasse in mente. La ragione era che riflettevo dentro di me: "Tu vai a Parigi, ed altri villaggi aspettano da te la medesima cosa che hai fatto in questo e in quello! Se tu vi non fossi stato, probabilmente quelle tali persone, morendo nello stato in cui le hai trovate, si sarebbero perdute e si sarebbero dannate. Se tu hai trovato ciò, tali e tali peccati che si commettono in quella parrocchia, non puoi dubitare di trovare la medesima cosa e che i medesimi disordini si commettano nella parrocchia vicina? Frattanto, quei poveretti aspettano da te il medesimo bene fatto ai loro vicini, aspettano la missione, e tu te ne torni, li abbandoni! Se intanto muoiono e muoiono nei loro peccati, sarai in qualche modo responsabile della loro perdita eterna e devi temere che Dio non te ne chieda conto". Ecco, signori, i pensieri che assorbivano la mia mente.

Finiamo. Raccomando alle preghiere della Compagnia il buon signor Bourdaise, rimasto solo al Madagascar, affinché Dio si degni di fortificarlo con la sua grazia e di conservarlo alla Compagnia; quell'uomo benedetto da Dio, nel modo che sapete; quell'uomo che più volte siamo stati sul punto di mandar via, giudicandolo non abbastanza istruito per rimanere nella Compagnia. Oh! quanto giova sperare in Dio e mettere tutta la nostra fiducia in Lui!".

178. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE414

Morte di Caterina Butefer, madre di Giovanni e Filippo Le Vacher - Elogio di G. Le Vacher415

Dopo aver raccomandato alle preghiere della comunità la madre di Giovanni e Filippo Le Vacher, Caterina Butefer, la quale era morta e doveva essere seppellita, secondo il suo desiderio, nella chiesa di san Lazzaro, il signor Vincenzo aggiunse:

"Si faranno presto il trasporto, le esequie e il seppellimento di questa buona madre di figli sì degni, soprattutto dei due che sono preti nella Compagnia, di cui uno eccolo là all'altare416, e l'altro a Tunisi417, dove fa un bene indicibile. Egli ha un'abilità meravigliosa anche per le cose temporali.

414Questa ripetizione dell'orazione fu tenuta tra il 30 agosto 1657, data del ritorno di Filippo Le Vacher in Francia, e il 21 settembre 1658, data d'un atto notarile (cf. La famille de Jean Le Vacher, Paris, 1907, in 8°, p. 15) posteriore alla morte di Caterina Butefer.415Vita manoscritta del signor Giovanni Le Vacher, p. 17.416Filippo Le Vacher.417Giovanni Le Vacher.

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Un capitano francese, essendosi impadronito di una nave turca con sopra centocinquanta turchi, li condusse, insieme con la nave, a Tunisi per vendervi tutto, ma, occorrendo per questo il permesso del console, mandò a chiamare il signor Le Vacher, il quale in assenza del signor Husson, tornato in Francia, disimpegnava tale ufficio, perchè si recasse a bordo. Ma egli gli fece sapere che l'uso voleva che i capitani rendessero per primi e in persona la visita al console, il quale rappresentava la persona del re. Il capitano andò dunque e, dopo una lunga conversazione, gli manifestò il suo progetto. Il signor Le Vacher gli oppose che tutto apparteneva al re, il quale l'aveva armato e l'aveva mandato, e che questa era la legge del mare.

L'altro insiste, questo non cede. Alla fine il capitano dichiarò che avrebbe fatto quello che gli pareva.

Il signor Le Vacher, raccogliendo tutte le sue forze interiori, gli disse: "Signore, voi avete la forza in mano, farete come vorrete; ma, quanto a me, vi dichiaro che non acconsentirò mai; mi opporrò, anzi, in tutti i modi possibili. Devo questa fedeltà al re".

L'altro, allora, non osò più insistere. Il signor Le Vacher, gli fece conoscere inoltre il mezzo che Dio gli aveva messo in mano per riscattare tanti infelici cristiani, dando in cambio i turchi catturati. E credo che ne cedesse un terzo, senza vendere alcuno degli altri.

Vedete dunque la forza e le generosità del figlio di una sì buona madre. Noi perciò li offriremo tutti a Nostro Signore, insieme con gli schiavi, presso i quali questi due fratelli di benedizione lavorano e consumano la loro vita".

179. CONFERENZA DEL (1658418)ABNEGAZIONE DI GIOVANNI LE VACHER PER GLI SCHIAVI419

"Ho ricevuto da Tunisi una lettera del signor La Vacher nella quale mi informa che essendo arrivata una galera d'Algeri a Biserta, situata a dieci o dodici leghe di là, non sapeva come fare, perchè era solito andare a soccorrere i forzati, non solo spiritualmente, ma anche materialmente. E siccome si trovava ora privo di denaro, era in grande ansietà, non sapendo se andare o no, perchè quei poveretti avevano bisogno di assistenza materiale, quanto di quella spirituale, ed egli si trovava privo, come ho detto, di denaro perchè aveva mandato tutto il suo al console di Algeri per liberare quel buon console dalla miseria, dalle bastonate e dalla tirannia che deve sopportare. Tuttavia, dimenticando tali ansietà, non pensò ad altro che a soccorrere quei poveri forzati. Raccolse tutto il denaro che poté trovare, prese seco un interprete ed un altro per aiuto, e partì; arrivato che fu, appena scorto in lontananza dalla galera e riconosciuto dall'abito, quei poveretti esultando di gioia, cominciarono ad emettere alte grida dicendo: "Ecco il nostro liberatore, il nostro pastore, il nostro padre"; ed, entrato nella galera, i miseri schiavi si slanciarono su di lui, piangendo di tenerezza e di gioia nel vedere il loro liberatore spirituale e materiale, sino a inginocchiarsi ai suoi piedi, prendendolo chi per la veste, chi per la casacca, fino a strappargliela, talmente desideravano avvicinarlo. Impiegò più di un'ora ad attraversare la galera, per andare a salutare il comandante, perchè gli ostruivano il passo e non poteva andare avanti in mezzo agli applausi e alla gioia di quella povera gente. Il comandante fece mettere tutti in fila ed accolse con molta cortesia quel buon sacerdote, dimostrandogli di apprezzare grandemente la carità e il modo di fare dei cristiani nel soccorrersi a reciprocamente nelle afflizioni. Quindi il buon signor Le Vacher comprò tre buoi, i più grassi che poté

418Nel marzo 1658 (cf. Coste, Correspondance, t. VII, lettera 2553) san Vincenzo venne a sapere dei debiti fatti da Giovanni Le Vacher per aiutare il fratello Giovanni Barreau, console ad Algeri.419Vita manoscritta del signor Giovanni Le Vacher, p. 11.

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trovare, e, fattili uccidere, li distribuì, e fece cuocere molto pane, e così offrì ai forzati il cibo materiale, mentre faceva il possibile per dar loro la refezione spirituale, molto più necessaria per la gloria di Dio, insegnando loro il catechismo e istruendoli nei misteri della santa fede, e, infine, confortandoli con molta carità. Continuò in questo modo per lo spazio di otto giorni, con molte benedizioni e singolare consolazione dei poveri schiavi, i quali lo chiamavano loro liberatore, loro consolatore, colui che li saziava nell'anima e nel corpo. E così li lasciò consolati e fortificati nella fede e risoluti di sopportare pazientemente le loro fatiche per amor di Dio.

Ritornato a Tunisi, il bey, benchè sia un barbaro, gli disse che egli guadagnava il paradiso facendo tante elemosine. Il signor Le Vacher volle scusarsi dichiarando di aver fatto tutto mediante la carità e l'elemosina altrui, ed i bey replicò che lui e tutti quelli che facevano le elemosine avrebbero guadagnato il paradiso. O Salvatore! o signori! quanto bene fa un sacerdote! Vedete che per merito suo gl'infedeli stessi rispettano la religione. Me lo ha assicurato anche il signor Filippo Le Vacher, suo fratello, al quale domandai come si comportassero i turchi verso la nostra religione; egli mi rispose che, per la parte spirituale, essi erano troppo grossolani e non vi capivano niente, ma quanto alle cose e cerimonie esterne, le rispettavano e onoravano, sino al punto di prestare i loro tappeti per le nostre solennità. O Salvatore! o preti della Missione! o noi tutti della Missione! possiamo in tal modo rispettare la nostra santa fede vivendo secondo Dio, imitando il buon signor Le Vacher. Si degni la divina bontà concederci tal grazia! O Salvatore, o Vergine santissima, chiedete tal favore per noi, otteneteci una grande purezza, ai sacerdoti, ai chierici, ai seminaristi, ai fratelli coadiutori, a tutta la Compagnia. Questa è la preghiera che faremo".

180. CONFERENZA DEL 17 MAGGIO 1658SULL'OSSERVANZA DELLE REGOLE420

Quantunque i missionari siano sempre obbligati a raccogliere, se è possibile, tutte le parole del signor Vincenzo, perchè non ve n'è alcuna che non contenga qualche istruzione per essi e per la posterità, tale obbligo, tuttavia, è particolarissimo quando parla loro come un padre e li tratta come suoi cari figli, e svolge qualche argomento importante. Perciò, siccome il discorso che egli fece alla conferenza del venerdì 17 maggio 1658, quando distribuì i libri delle regole, era pieno non solo di buoni e utili insegnamenti, ma anche di sentimenti paterni che aveva per la Compagnia, alcuni421

cercarono di raccoglierli con la maggior fedeltà a loro possibile, come pure procurarono di descrivere quello che avvenne in tale circostanza, affinché gli assenti potessero partecipare all'edificazione e alla consolazione di coloro che ebbero la fortuna di essere presenti.

La conferenza era sull'osservanza delle regole e conteneva due punti: il primo, i motivi; il secondo, i mezzi per osservare le nostre regole. Il signor Vincenzo arrivò nella sala delle conferenze mentre parlava un fratello, il quale diceva, a riguardo al primo punto, che se non si osservavano bene le regole ora, a più forte ragione non sarebbero osservate tra cento o duecento anni. Il signor Vincenzo glielo fece ripetere; poi, quando ebbe finito, parlò lui stesso press'a poco in questi termini:

"Signori e fratelli miei, Dio non mi ha fatto la grazia di darmi motivi tanto persuasivi per osservar bene le nostre regole, nè mezzi tanto efficaci come quelli che sono stati detti e che avete udito. Sia benedetto Iddio! il suo santo nome sia sempre benedetto!

420Manoscritto delle conferenze.421Giacomo Eveillard ed il fratello Ducournau. (Testimonianze del fratello Pietro Chollier al processo di beatificazione di S. Vincenzo de' Paoli).

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Si fermò quì un pò di tempo."Un motivo che deve indurci, signori e fratelli, a ben osservare le regole mi sembra

sia quello che, per grazia di Dio tutte le regole della Missione hanno di mira di allontanarci dal peccato ed anche dall'imperfezione, di procurare la salvezza delle anime, servire la Chiesa e dar gloria a Dio. Mi sembra che tutte abbiano, per divina bontà, questo scopo, così che, chi le osserverà come si conviene, si troverà nelle condizioni volute da Dio, libero da vizi e da peccati, utile alla Chiesa, e renderà a Nostro Signore la gloria che Egli si aspetta. Qual motivo, signori, per la Compagnia di osservare bene le regole, essere immuni da difetti, per quanto l'infermità umana può permetterlo, glorificare Dio e far sì che sia amato e servito sulla terra! O Salvatore! qual felicità! non l'apprezzeremo mai abbastanza.

Un buon servo di Dio mi diceva tempo fa, a proposito del libro "Introduzione alla vita devota", "Vedete, chi osservasse bene tutto quello che è contenuto in quel libro, giungerebbe ad una grande perfezione, sebbene sembri che tutte le pratiche siano ordinarie e adatte all'infermità umana". Non potrò dire anch'io la medesima cosa delle nostre regole, le quali, non prescrivendoci, apparentemente, che una vita abbastanza comune, hanno forza tuttavia di portare coloro che le praticheranno ad un'alta perfezione, non solo, ma anche di renderli abili a distruggere il peccato e l'imperfezione negli altri? E infatti, signori, chi non le osservasse potrebbe lavorare alla propria perfezione e a quella del prossimo? E qual gloria darebbe a Nostro Signore? Invece, se, con la grazia di Dio, la Compagnia ha fatto qualche progresso nella virtù, se ciascuno è uscito dallo stato di peccato e ha fatto progressi nella perfezione, non lo dobbiamo all'osservanza delle regole? Se la Compagnia per divina misericordia fa qualche bene nelle nelle missioni e agli ordinandi, non è merito delle nostre regole? E senza le nostre regole, come avremmo potuto farlo? Oh! abbiamo dunque grandi motivi di osservarle inviolabilmente, e la Compagnia sarà felice se vi sarà fedele!

Un altro motivo per il quale dobbiamo essere esatti nella osservanza delle regole, è che esse sono tutte tratte dal Vangelo, come vedrete, signori, come vedrete, e che hanno di mira di conformare la nostra vita a quella che Nostro Signore trascorse sulla terra. Nostro Signore venne e fu mandato dall'Eterno Padre ad evangelizzare i poveri. Pauperibus evangelizare misit me422. Pauperibus, ai poveri! Signori, ai poveri! come, per grazia di Dio, cerca di fare la piccola Compagnia.

Gran motivo di confondersi ha la medesima Compagnia al pensare che fino ad ora non si era mai sentito dire che ve ne fosse una che avesse per fine di fare quello che Nostro Signore venne a fare sulla terra, annunziare, cioè, ai poveri soltanto, ai poveri abbandonati: Pauperibus evangelizare misit me. Poichè questo, vedete, è il nostro fine, e Dio ha voluto lasciarne di recente come un documento alla Compagnia e un memoriale alla posterità.

La regina avendo sentito parlare della poca fede e di alcuni disordini che regnavano nella città di Metz, anche tra il clero, si propose, qualche tempo fa, di farvi dare la missione, e mi fece chiamare per mezzo di due prelati. Io vi andai, ed avendo Sua Maestà confidato il suo pio disegno, ed espresso il desiderio che la Compagnia tenesse una missione a Metz, le risposi: "Vostra Maestà, non sa dunque che i poveri Preti della Missione, sono soltanto per la gente di campagna? Ma abbiamo un'altra Compagnia di ecclesiastici che si riuniscono a San Lazzaro tutti i martedì, i quali potranno benissimo, se la Vostra Maestà lo gradisce, disimpegnare più degnamente di noi tale ufficio". La regina mi rispose che non aveva mai saputo che la Compagnia non fosse destinata alle città, che sarebbe stata dolente di distoglierci dal nostro fine e che acconsentiva volentieri che i signori della conferenza del martedì facessero la missione a Metz. Essi l'hanno fatta, per grazia di Dio, con molte benedizioni. Ne torneranno appunto ora.

422Lc 4,18.

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A noi spettano dunque, signori e fratelli, i poveri , i poveri; pauperibus evangelizare misit me. Qual felicità, signori, qual felicità! Fare quello per cui Nostro Signore scese dal cielo in terra, ed entrare in tal modo, noialtri, dalla terra al cielo; continuare l'opera di Dio, il quale, sfuggiva le città e andava per le campagne in cerca dei poveri. Ecco quanto ci assegnano le nostre regole: aiutare i poveri, nostri signori e padroni. O povere, ma felici regole della Missione, che ci spingono a servirli, escludendo le città! Perchè, vedete, era questa una cosa inaudita, e beati sono coloro che le osservano, perchè conformano la loro vita e tutte le loro azioni a quelle del Figlio di Dio. O Dio! qual motivo ha, quindi, la Compagnia di osservar bene le regole: fare quello che il Figlio di Dio venne a fare sulla terra! Che vi sia una Compagnia, e sia quella della Missione, composta da persone povere, che sia tutta per tale scopo, che vada qua e là nelle borgate e nei villaggi, lasci le città, cosa che non si era mai fatta, e vada ad annunziare il vangelo soltanto ai poveri; eppure sono proprio queste le nostre regole!

Ma quali sono queste regole? Sono quelle che la Compagnia ha avuto tra le mani sino ad ora? Si, ma si è creduto bene svilupparle un poco, e farle stampare, affinché ciascuno possa averle più comodamente. Cominceremo a distribuirle stasera alla Compagnia. Le avete aspettate lungamente, e noi abbiamo molto differito a darvele per buone ragioni. Prima di tutto per imitare Nostro Signore, il quale cominciò prima a fare a poi ad insegnare: Coepit Jesus facere et docere423. Praticò le virtù per i primi trent'anni di sua vita e impiegò solo gli ultimi tre alla predicazione ed all'insegnamento. Anche la Compagnia ha cercato d'imitarlo, non solo facendo quello che Egli venne a fare sulla terra, ma facendolo nello stesso modo; poichè la Compagnia può dirlo, che essa, prima ha fatto e poi ha insegnato: coepit facere et docere. Sono ormai circa trentatrè anni che Dio le ha dato principio, e da allora in poi, per grazia di Dio, si sono sempre osservate le regole che daremo ora. Perciò non vi troverete nulla di nuovo, nulla che non abbiate praticato da vari anni con molta edificazione.In secondo luogo, se avessimo dato, fin da principio, le regole, sarebbe stato difficile evitare certi inconvenienti che ne sarebbero provenuti; il ritardo, per grazia di Dio, ce ne ha preservati. Se si dessero alla Compagnia regole da essa mai praticate potrebbe trovarvi qualche difficoltà; ma dandole quello che ha fatto ed osservato da tanti anni con edificazione, e di cui non si è trovata male per il passato, non v'è nulla ch'essa non debba trovare ugualmente facile e agevole per l'avvenire. S'è fatto come i Recabiti, di cui parla la Sacra Scrittura, i quali osservavano per tradizione le regole lasciate dai padri, sebbene non fossero scritte. Ora che avremo le nostre scritte e stampate, la Compagnia non avrà da far altro che conservare la tradizione di molti anni, e far sempre quello che ha fatto e praticato fino ad ora.

In terzo luogo, signori, se avessimo date le regole da principio e prima che la Compagnia ne avesse adottata la pratica, si poteva credere che vi fosse in questo dell'umano, più che del divino, un disegno preso e concertato umanamente, piuttosto che un'opera di Dio. Ma, signori, e tutte queste regole, e tutto quello che vedete, si è fatto non so come, perchè io non vi avevo mai pensato; tutto è avvenuto a poco a poco senza poterne dire la causa. Orbene, è una massima di Sant'Agostino, che quando non possiamo trovare la causa di una cosa buona, dobbiamo riferirla a Dio e riconoscerlo come il principio e l'autore. Secondo tal massima di S.Agostino, Dio non è forse l'autore di tutte le nostre regole, le quali si sono introdotte non so come, e in modo tale che non si potrebbe dire nè come, nè perchè?

O Salvatore! quali regole! e donde vengono? Vi avevo pensato io? Niente affatto, perchè, signori, nè alle nostre regole, nè alla Compagnia, nè al nome stesso di Missione, non vi avevo mai pensato; Dio ha fatto tutto, gli uomini non vi hanno avuto parte alcuna. Quanto a me, quando considero di quali circostanze Dio volle servirsi per

423At 1,1

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far nascere la Compagnia nella sua Chiesa, vi confesso che non so raccapezzarmi dove sono, e tutto quello che vedo mi sembra un sogno. Oh! ciò non è umano, è opera divina. Chiamereste umano quello che l'intelletto non ha previsto e quello che la volontà non ha desiderato, nè ricercato in alcun modo? Il buon signor Portail non vi aveva pensato; nemmeno io vi avevo pensato; tutto si è fatto contro ogni mio speranza e senza che io vi pensassi per nulla. Quando penso a ciò e poi vedo le occupazioni della Compagnia, in verità mi sembra che questo sia un sogno e che sogni io stesso, io non saprei spiegarlo. Mi accade come al povero profeta Abacuc che un angelo prese per i capelli e portò lontano per consolare Daniele nella fossa dei leoni; poi lo riportò nel luogo donde era stato preso, e lui, vedendosi nello stesso luogo donde era uscito, credeva di aver sognato.

Chiamereste umana l'origine delle nostre missioni? Un giorno fui chiamato a confessare un pover'uomo gravemente ammalato, che godeva riputazione d'esser uomo migliore, o almeno uno dei migliori del suo villaggio. Eppure era carico di peccati che non aveva mai osato manifestare in confessione, come lo dichiarò poi lui stesso ad alta voce in presenza della defunta signora generalessa, dicendole: "Signora, se non facevo una confessione generale, ero dannato, a causa dei gravi peccati che non ho mai osato confessare". Quell'uomo morì, e la detta signora, avendo riconosciuto da questo la necessità delle confessioni generali, desiderò che facessi il giorno dopo una predica su tale argomento. Io la feci e Dio la benedì tanto che tutti gli abitanti del luogo fecero poi la confessione generale e tale fu la ressa che dovetti far venire due padri gesuiti per aiutarmi a confessare, predicare e fare il catechismo. Questa buona riuscita incoraggiò a ripetere il medesimo esercizio per più anni, nelle altre parrocchie dei possessi della suddetta signora, la quale, infine, volle mantenere alcuni sacerdoti per continuare le missioni, e ci fece avere a tale scopo il collegio dei Buoni Fanciulli, dove ci ritirammo, il signor Portail ed io, e prendemmo con noi un buon sacerdote al quale davamo cinquanta scudi l'anno. Andavamo così tutti e tre a predicare e dare la missione di villaggio in villaggio. Partendo consegnavamo la chiave a qualche vicino, e noi stessi pregavamo di andare di notte a dormire in casa. E da per tutto non facevo che una sola predica, che rigiravo in mille modi: sul timor di Dio.

Ecco quello che facevamo, noi altri, e Dio intanto faceva quello che aveva previsto da tutta l'eternità. Accompagnò con qualche benedizione i nostri lavori, ed alcuni ecclesiastici, vedendo ciò, chiesero ed ottennero di unirsi a noi. O Salvatore! O Salvatore! chi avrebbe mai pensato che saremmo giunti al punto in cui siamo ora? Se uno me l'avesse detto allora avrei creduto che si burlasse di me, eppure fu in questo modo che Dio volle dar principio a quello che vedete. Ebbene, signori, ebbene! fratelli, chiamereste umano quello a cui nessuno aveva mai pensato? Perchè nè io, nè il buon signor Portail vi pensavamo; ah! non vi pensavamo; ah! ne eravamo ben lontani!

Avevamo mai pensato agli uffici che ha la Compagnia, per esempio agli ordinandi, che sono il più ricco e il più prezioso deposito che la Chiesa poteva metterci nelle mani? Non ci sarebbe mai venuto in mente. Alla confraternita della Carità, vi avevamo mai pensato? Com'è che abbiamo preso cura dei poveri trovatelli? Non so come sia avvenuto; quanto a me non saprei dirlo.

Ecco il signor Portail che può attestarvi che non pensavamo a nulla e tanto meno a tutto ciò.

E le pratiche della comunità come si sono introdotte? Egualmente: a poco a poco, non saprei come. Alle conferenze, per esempio, delle quali è forse questa l'ultima che farò con voi, non vi pensavamo affatto. E della ripetizione dell'orazione, prima così inaudita nella Chiesa di Dio, e che si è introdotta poi in molte comunità ben regolate, dove ora si pratica con gran vantaggio, come ce ne venne il pensiero? Non lo so proprio. Come ci venne il pensiero di tutte le altre pratiche ed uffici della comunità? Non so neppur questo.

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Tutto è avvenuto come da se stesso, a poco a poco, una cosa dopo l'altra. Il numero di coloro che si univano a noi aumentò; ciascuno cercava di acquistare la virtù; e mentre il numero cresceva da un giorno all'altro, anche le buone pratiche s'introducevano, per poter vivere tutti uniti e comportarci con uniformità nei nostri uffici. Quelle pratiche sono sempre state osservate e si osservano anche oggi, per grazia di Dio.

Infine ci è parso opportuno scriverle e farne delle regole, che sono quelle che distribuiremo ora alla Compagnia. Ora, vi sono due sorta di regole, signori: le une sono particolari per il superiore, per l'assistente e per gli altri ufficiali; e queste non devono darsi se non a coloro che sono in carica, come si usa in tutte le comunità ben ordinate. Ve ne sono altre comuni a tutti, ai sacerdoti, ai chierici, ai fratelli; sono quelle che abbiamo fatte stampare e che vi daremo. Spero, signori, che come la Compagnia le ha sempre praticate con buona fede e con sincerità, spero, dico, che le riceverà, ora che le abbiamo raccolte insieme, con la medesima buona fede, sincerità e semplicità che le sono abituali, che le considererà non come venute dagli uomini ma da Dio ed emanate dal suo Spirito, a quo bona cuncta procedunt e senza il quale non sumus sufficientes cogitare aliquid quasi ex nobis424.

O mio Salvatore! o signori! Dormo? Sogno? Io dare delle regole? Non so come abbiamo fatto a venire a questo punto; non so concepire come sia accaduto; mi sembra ancora di esser sempre al principio; quanto più vi penso, tanto più mi sembra lontano dall'invenzione degli uomini, e tanto più vedo che Dio solo le ha ispirate alla Compagnia, si, signori, alla Compagnia. Se io vi ho contribuito in qualche cosa, temo purtroppo che sia in quello che è di ostacolo alla loro esatta osservanza e impedisce che producano tutto il bene che avrebbero fatto. Che rimane, signori, se non imitare Mosè il quale, avendo dato la legge di Dio al popolo, promise a tutti colore che l'avessero osservata ogni sorta di benedizioni nei loro corpi, nei loro beni, e in tutte le loro cose? Parimente, signori e fratelli, dobbiamo sperare dalla bontà di Dio ogni sorta di beni e di benedizioni per tutti coloro che osserveranno fedelmente le regole che Egli ci ha dato: benedizioni nelle persone, benedizioni nei loro progetti, benedizioni nelle loro opere, benedizioni nel loro entrare e nel loro uscire, benedizioni di Dio, infine, in tutto quello che loro concernerà.

Ma, anche, come il medesimo Mosè minacciava della vendetta e della maledizione di Dio coloro che non avessero osservato i suoi santi comandamenti, v'è motivo di temere, e gran motivo di temere, che coloro i quali osserveranno queste regole da Dio ispirate alla Compagnia, incorrano nella sua maledizione: maledizione nel loro corpo e nella loro anima, maledizione in tutti i loro progetti e nelle loro opere, maledizione infine, in tutto quello che loro concernerà.

Ma ho fiducia, per grazia di Dio e per vostra bontà, signori, che ravviverete tutti in quest'occasione, la fedeltà con la quale le avete osservate, anche prima che fossero scritte; che colui la cui esatta osservanza era a tre gradi, l'avrà ormai a quattro, che colui che l'aveva a quattro gradi, l'avrà d'ora innanzi a cinque o sei. Infine, signori, spero che la fedeltà passata con la quale avete osservate queste regole e la vostra pazienza nell'aspettarle tanto tempo, otterranno a voi per la bontà di Dio la grazia di osservarle ancor più facilmente in avvenire".

Egli pregò che gli fossero portati i libri delle regole, e continuò così:"O Signore, che avete date tante benedizioni a certi libri, per esempio a quello che

leggiamo ora a tavola425, affinché le anime ben preparate ne ritraggano notevole profitto per liberarsi dai loro difetti e progredire nella perfezione, concedete, Signore, la vostra benedizione a questo, e degnatevi accompagnarlo con l'unzione del vostro Spirito,

4242 Cor 3,5.425Il copista nota qui che era l'opera del padre Rodriguez.

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affinché operi nelle anime di tutti quelli che lo leggeranno, l'allontanamento dal peccato, il distacco dal mondo e da tutte la sue vanità e l'unione con Voi".

Quindi disse che avrebbe distribuito i libri delle regole ai preti anziani, che il giorno dopo li avrebbe dati agli studenti, e che due o tre copie sarebbero in comune al seminario, affinché ciascuno potesse leggerle; per i fratelli coadiutori, non sapendo essi il latino, si farebbero stampare le regole in francese, e così le avrebbero parimente. Dopo pregò gli anziani di andarle a prendere essi, dicendo che se avesse potuto, avrebbe risparmiato loro questo disturbo e sarebbe andato lui stesso a portarle a ciascuno. E con chiuse in questo modo:

"Venite, signor Portail, venite, voi che avete sopportato sempre la mia infermità; che Dio vi benedica!".

Compiuta la distribuzione, il signor Almèras si mise in ginocchio e gli chiese la benedizione in nome di tutta la Compagnia, la quale si mise parimente in ginocchio. Quindi anche il signor Vincenzo si prostrò e disse queste parole:

"O Signore, che siete la legge eterna e la ragione immutabile, che governate con la vostra sapienza infinita tutto l'universo, Voi dal quale emanano, come da viva sorgente, tutte le leggi delle creature e tutte le regole di ben vivere, benedite, ve ne supplichiamo, tutti coloro a cui avete date queste regole, che le hanno ricevute come da Voi; date loro, o Signore, la grazia necessaria per osservarle sempre e inviolabilmente sino alla morte. In tal fiducia e nel vostro nome io, miserabile peccatore, pronunzierò le parole della benedizione: Benedictio Domini Nostri Iesu Christi descendat super vos et maneat semper, in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, Amen".

Dopo queste parole cominciò la preghiera Sancta Maria ecc., e la Compagnia si ritirò.

Questi discorsi del signor Vincenzo furono pronunziati con tono di voce medio, umile, mite e devoto in modo che faceva sentire nel cuore degli uditori l'affetto paterno del suo. Sembrava a tutti coloro che l'ascoltavano, di essere con gli apostoli ad udire parlare Nostro Signore, specialmente nell'ultimo discorso che egli loro tenne prima della sua passione in cui diede loro le sue regole compendiate nel comandamento della dilezione e della carità: Mandatum novum do vobis; oc est praeceptum meum ut diligatis invicem, sicut dilexi vos426. Molti non poterono trattenere le lacrime, e tutti provarono nell'anima vari sentimenti di gioia per quello che vedevano e udivano, di amore alla loro vocazione, di nuovo desiderio di progredire nella virtù e di fermo proposito di essere fedeli nell'osservanza delle regole. E se fosse stato permesso, ciascuno si sarebbe detto quella sera stessa, quello che si dicevano poi gli uni agli altri, specialmente queste parole di S. Luca e di S.Matteo: Beati oculi qui vident quae vos videtis427 et aures vestrae, quia audiunt428; beati gli occhi che vedono quello che voi vedete, e beate le orecchie che odono!

181. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE (1658)429

SULL'OPERA DEGLI ORDINANDI430

"Dio vi benedica, fratelli! E' bene chiedere a Dio che faccia buoni vescovi, buoni parroci, buoni sacerdoti, ed è quello che dobbiamo chiedergli sempre tutti; quali i pastori, tali i popoli. Si attribuisce agli ufficiali di un esercito l' esito buono o cattivo di

426Gv 13,34.427Lc 10,23.428Mt 13,16.429Questa conferenza seguì pochi giorni dopo la missione di Metz, che si chiuse nel maggio 1658.430ABELLY, op. cit., 1. II, cap. II, sez. IV.

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una guerra; possiamo dire lo stesso che, se i ministri della Chiesa sono buoni, se fanno il loro dovere, tutto andrà bene; se invece non lo fanno, sono causa di ogni disordine.

Siamo tutti chiamati da Dio allo stato che abbiamo abbracciato, per lavorare intorno ad un capolavoro; poichè è un vero capolavoro in questo mondo, far buoni sacerdoti; dopo di questo non possiamo pensare a nulla di più grande, nè di più importante. Anche i nostri fratelli possono contribuirvi con il loro buon esempio e con i loro impieghi esteriori; essi possono compiere i loro impieghi con l'intenzione che Dio si degli dare il suo Spirito ai signori ordinandi. Ogni altro può fare la medesime cosa e tutti devono studiarsi di dar loro buona edificazione; e, se fosse possibile indovinare le loro inclinazioni e i loro desideri, dovremmo prevenirli per contentarli, per quanto si possa fare ragionevolmente. Infine, quelli che avranno la fortuna di parlar loro e di assistere alle loro conferenze devono elevarsi a Dio per ricevere da Lui quello che devono dir loro. Poichè Dio è una sorgente inesauribile di sapienza, di luce e di amore, in Lui dobbiamo attingere quello che diciamo agli altri; dobbiamo annientare l'intelletto nostro e i nostri sentimenti particolari, per dar luogo alle operazioni della grazia, la quale, soltanto, illumina e riscalda i cuori; è necessario uscire da se stessi per entrare in Dio; è necessario consultarlo per imparare il suo linguaggio e pregarlo di parlare Lui stesso in noi e per mezzo di noi; Egli farà allora l'opera sua e noi non guasteremo nulla. Nostro Signore conversando con gli uomini, non parlava mai in nome proprio: "La mia scienza, diceva, non viene da me, ma dal Padre mio; le parole che vi dico non sono mie, ma sono di Dio"431. Questo ci dimostra quanto dobbiamo ricorrere a Dio, affinché non siamo noi che parliamo ed operiamo, ma sia Dio. Potrà darsi anche che, se Dio permette che si ricavi qualche frutto, sia per le preghiere di un fratello che non avvicinerà quei signori; egli sarà occupato nel suo lavoro usuale, e, lavorando, si eleverà spesso a Dio, per pregarlo di degnarsi benedire l'ordinazione; e forse anche, senza che vi pensi, Dio farà il bene che desidera a causa delle buone disposizioni del suo cuore. E' scritto nei salmi: Desiderium pauperum exaudivit Dominus"432.

Il signor Vincenzo si fermò qui, non riceordandosi del resto del versetto e domandò: "Com'è il resto del versetto?". Allora, il suo assistente lo finì, dicendo: "Praeparationem cordis eorum audivit auris tua".

"Dio vi benedica, signore!" esclamò il signor Vincenzo, con un gran sentimento di gioia, gustando la bellezza di quel passo, che ripetè più volte con gesti devoti e commoventi, per inculcarlo ai suoi figli. "Meraviglioso modo di parlare, aggiunse, degno dello Spirito Santo! Il Signore ha esaudito il desiderio dei poveri, ha compreso la disposizione del loro cuore, per farci vedere che Dio esaudisce le anime ben disposte, anche prima che esse lo preghino. E' una grande consolazione: e dobbiamo certamente incoraggiarci nel servizio di Dio, anche se non vediamo in noi altro che miserie e meschinità. Vi ricordate della bella lettura che facemmo ieri a tavola? Essa diceva che Dio nasconde agli uomini i tesori delle grazie che Egli ha messo in loro. Nei giorni passati, uno di voi mi domandava che cosa fosse la semplicità. Egli non conosce tal virtù, eppure la possiede; non crede averla e tuttavia è una delle anime più candide della Compagnia.

Alcuni mi hanno riferito che, essendo andati a lavorare in un luogo dove sono molti sacerdoti, hanno trovato che sono quasi tutti persone inutili; essi dicono i loro breviario, celebrano la loro messa, e molto alla peggio; alcuni amministrano i sacramenti così così, ecco tutto; ma il peggio è che vivono nel vizio e nel disordine. Se piacesse a Dio renderci uomini di soda vita interiore e raccolti, potremmo sperare che Egli si servisse di noi, quantunque miserabili, per fare un pò di bene, non solo al popolo, ma anche e principalmente agli ecclesiastici. Quand'anche non diceste parola alcuna, se foste

431Gv 14,10.432Sal 9,17.

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penetrati di Dio, tocchereste i cuori con la vostra sola presenza. I reverendi de Chandenier e gli altri signori che hanno fatto la missione a Metz, in Lorena, con molte benedizioni, andavano, a due a due, in cotta, dalla casa in chiesa e dalla chiesa in casa, senza dire una parola, e con un raccoglimento così grande che chi li vedeva ammirava la loro modestia, non avendone mai vista una simile. La loro modestia era dunque una predica muta, ma di tale efficacia che contribuì al buon esito della missione, secondo quanto mi si dice, come e forse più di tutto il resto. Quello che l'occhio vede, ci colpisce molto più di quello che l'orecchio ode, e crediamo maggiormente ad un bene che vediamo che a quello che ascoltiamo. E sebbene la fede entri per l'orecchio, fides ex auditu433, tuttavia le virtù di cui vediamo la pratica fanno maggiore impressione in noi di quelle che ci sono insegnate.

Le cose fisiche hanno tutte le loro diverse qualità per cui le distinguiamo: ogni animale e l'uomo stesso, ha le sue note caratteristiche, che lo fanno riconoscere per quello che è e distinguere da un altro dello stesso genere. Parimente, i servi di Dio hanno qualità che li distinguono dagli uomini carnali; è un certo portamento esterno, umile, raccolto, devoto, che procede dalla grazia che hanno in sè, la quale opera nell'anima di quelli che li osservano. Vi sono qui dentro persone tanto piene di Dio che non le guardo mai senza esserne commosso. I pittori, nelle immagini dei santi, ce li rappresentano circondati da raggi; in egual modo i giusti che vivono santamente sulla terra diffondono al di fuori una certa luce, propria a loro soltanto. Appariva tanta grazia e tanta modestia nella Santissima Vergine, che Essa imponeva riverenza e devozione in chi aveva la felicità di vederla; e in Nostro Signore ne appariva ancor di più; la stessa cosa avviene proporzionatamente degli altri santi.

Tutto questo ci fa vedere, signori e fratelli, che se cercate di acquistare le virtù, se vi riempite delle cose divine, e se ciascuno in particolare ha di mira continuamente la propria perfezione, quand'anche non aveste alcuna attitudine esterna per giovare ai signori ordinandi Dio farà sì che la vostra sola presenza porterà lumi nel loro intelletto e riscalderà la loro volontà per renderli migliori. Dio voglia farci questa grazia! E' una opera tanto difficile ed elevata che non c'è altri che Dio che possa ottenere qualche cosa; perciò dobbiamo pregarlo incessantemente che benedica i piccoli servigi che cercheremo di render loro e le parole che diremo. Santa Teresa, la quale vedeva fino dal suo tempo il bisogno che la Chiesa aveva di buoni operai, chiedeva a Dio continuamente di donarci buoni sacerdoti, e volle che le figlie del suo Ordine stessero spesso in preghiera a tale scopo; e forse il cambiamento in meglio avvenuto ora nello stato ecclesiastico è dovuto in parte, alla devozione di questa grande santa, perchè Dio si è sempre servito di deboli strumenti in grandi disegni. Nell'istituzione della Chiesa non scelse poveri individui, ignoranti e grossolani? Eppure, per mezzo loro, Nostro Signore rovesciò l'idolatria, assoggettò alla Chiesa i principi e i potenti della terra, ed estese la nostra santa religione in tutto il mondo. Può servirsi anche di noi, miserabili quali siamo, per favorire il progresso dello stato ecclesiastico nella virtù. In nome di Nostro Signore, signori e fratelli, diamoci a Lui per contribuirvi tutti con i nostri servigi e con i buoni esempi, con le preghiere e con le mortificazioni".

182. CONFERENZA DELL' 8 GIUGNO 1658SUL DISTACCO DAI BENI DELLA TERRA434

La conferenza era sul distacco dalle cose terrene, e vi erano tre punti: il primo riguardava le ragioni che ha la Compagnia di distaccarsi interamente dalle cose della

433Rm 10,17.434Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 69.

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terra; il secondo punto, le cose particolari dalle quali i missionari devono distaccarsi; il, terzo, sui mezzi di distaccarsene per non vivere se non in Dio e per Iddio.

Questa conferenza era la seconda sul medesimo argomento. Dopo che alcuni della Compagnia, tanto fratelli che sacerdoti, ebbero parlato, il signor Vincenzo concluse tal soggetto e disse che uno dei motivi che la Compagnia aveva di darsi interamente a Dio e di staccarsi da tutte le cose della terra, dall'affezione alle ricchezze agli onori e ai comodi, era che senza tale distacco non farebbe mai molto e non sarebbe mai capace di rendere tali servigi a Dio. "Gli apostoli, disse, abbandonarono tutto quando si trattò di seguire Nostro Signore; così dobbiamo fare noi altri che ci siamo dati a Dio per seguirlo, ne abbiamo anzi fatto il voto; poichè, con il voto di castità, abbiamo promesso a Dio di rinunziare ai piaceri del corpo e dello spirito; con quello di povertà ai beni di fortuna e ai comodi della vita, all'oro, all'argento e alle ricchezze della terra; e con quello di obbedienza, agli onori, dignità e lodi del mondo. Questi tre voti, di castità, povertà e obbedienza, mirano a distruggere e sono opposti ai tre vizi che regnano sulla terra, di cui parla S. Giovanni, cioè: la concupiscenza della carne, la superbia della vita e la cupidigia degli occhi.

Un altro motivo che mi è venuto in mente e che deve indurci a questo, è stato detto da quello che ha parlato or ora; non lo ripeterò.

Secondo punto. - Che cos'è questo distacco, e quali sono le cose dalle quali i missionari devono essere particolarmente distaccati? E' Bene spiegarlo per i nostri fratelli coadiutori. E' non avere attaccamento nè affetto a nulla di quello che abbiamo detto, a se stessi e ai propri sensi, evitando tutto quello che tende all'impurità, sia della mente che del corpo; non accarezzarci troppo; non essere tanto teneri con noi medesimi, o tanto meschini da non poter tollerare che ci manchi qualche cosa sia nel bere come nel mangiare. Vogliamo buon pane, buon vino, begli abiti, dico begli abiti, essere agghindati e che nulla ci manchi. Signori... vi dirò signori? Vi dirò fratelli? Orsù, vi dissi ultimamente che non vi chiamerò più altro che fratelli, eppure ecco che vi ho chiamato signori; questa parola mi è sfuggita; forse mi sfuggirà altre volte; ad ogni modo è mia intenzione di chiamarvi, d'ora innanzi, sempre fratelli; Nostro Signore faceva così con gli apostoli.

Ora, per tornare a quanto dicevo, dovete sapere che v'è stato tra noi qualcuno tanto esigente da ricusare un abito, una tonaca, che gli era stata data perchè non gli piaceva. Non è strano? Ma come! ricusare quello che vi si offre e dire: "Non lo voglio; non mi piace!". Che pensare di una persona, ditemi, giunta a questo punto? E' praticare la virtù della povertà? Ma come! invece di essere contenta di avere un'occasione di praticare un atto di virtù, si fa tutto l'opposto? O miei fratelli, o fratelli miei, quanta ragione abbiamo di temere i castighi di Dio, se non ci emendiamo!

Miserabile, infame che sono, che mi servo di un'infamia! Un pezzente, un porcaro, andare in carrozza, oh! quale scandalo! Salvatore dell'anima mia, perdonatemi! Ma vedete un pò in quale miseria permette Iddio che io cada; essere obbligato a servirmi di carrozza, non potendo più muovermi diversamente.

Ora, tornando all'argomento, dico che bisogna tagliar corto con le donne; quando c'è da dir loro qualche cosa, o da conferire con esse, sia sempre in un luogo dove uno possa esser visto. Se è in parlatorio, non chiuder mai la porta, anzi è preferibile non entrare in parlatorio. Non posso fare a meno di dirvi che tra noi c'è qualcuno che appena gli dicono che una donna lo chiama alla porta, corre subito, va in quel piccolo parlatorio, chiude l'uscio a metà e vi rimane spesso per molto tempo. Ebbene, fratelli, evitiamo queste lunghe conferenze inutili con le donne; non parliamo loro se non quando è necessario. So bene che è un sesso con il quale siamo obbligati, qualche volta, di conferire, ma facciamo in modo che sia soltanto in caso di necessità; ed anche allora bisogna spicciarsi, però concedendo loro il tempo di dirci tutto quello che hanno da proporci. Ecco le povere Figlie della Carità; occorre pure che io conferisca con loro per

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provvedere a quello che c'è da fare. Non posso stare in piedi, essendone impedito dai miei incomodi, e perciò sono costretto ad entrare nella stanza del parlatorio e mettermi a sedere.

Osservate un poco se non è un'opera di Dio la fondazione di quelle povere suore. Ho ricevuto tre o quattro lettere, questa settimana, da diversi luoghi del regno, nelle quali si chiedono queste povere figlie. La signora duchessa d'Aiguillon vorrebbe metterle all'Havre de Grace. La regina, d'altra parte, le richiede; non mi ha scritto essa, ma mi ha fatto scrivere dal signor di Saint-Jean, uno dei suoi cappellani, d'inviarne per assistere i poveri soldati feriti e malati. Monsignor vescovo di Sarlat435, me le domanda pure per Caohrs, desiderandole per l'assistenza di un ospedale che egli ha fondato da poco. Che cosa significa, fratelli? Non è opera di Dio? Ma come! povere misere campagnole, la maggior parte incolte! Eppure, sono richieste dovunque. Domani dovrò far loro un'altra conferenza sulle regole.

La superbia della vita: voler riuscire da per tutto, scegliere parole nuove, fare sfoggio di eloquenza in pulpito, nelle conferenze delle ordinazioni, nei catechismi. E perchè? Che cosa si cerca con questo? Volete saperlo, fratelli? Se stessi. Ci vuol far parlare di sè, si cerca di essere lodati, si desidera che ovunque dicano che riusciamo bene, che facciamo meraviglie, si vuol essere esaltati. Ecco che si vuole, ecco il mostro, ecco la bestia. Oh! miseria umana, o maledetta superbia, di quanti mali sei causa! Infine, è predicar se stesso e non Gesù Cristo, nè per il bene delle anime.

Oggi, nel pomeriggio, ho udito la conferenza fatta da Monsignor di Sarlat ai signori ordinandi, e dopo, intrattenendomi con lui, gli ho detto: "Monsignore, oggi voi mi avete convertito". Ed egli: "Com'è possibile, signore?". - "Perchè, gli ho risposto, avete detto tutto tanto alla buona, tanto semplicemente, che ne sono rimasto commosso, e non posso fare a meno di lodarne Dio". - "Ah! signore, replicò, potrei ben dire altre cose più elevate, più tornite; ma mi parrebbe di offendere Dio, se lo facessi".

Allora, il signor Vincenzo, aggiunse: "Notate, fratelli, il sentimento di quel buon prelato, notatelo; così fanno coloro che cercano Dio e la salute delle anime: vanno alla buona e semplicemente. Se fate così, vedete, Dio è obbligato, in qualche modo, a benedire quello che direte a benedire le vostre parole; Dio sarà con voi, opererà con voi; cum simplicibus sermocinatio eius436. Dio è con i semplici e con gli umili, li assiste, benedice i loro lavori, benedice le loro imprese. Ma come credere che Dio assista una persona che cerca di perdersi! Ecchè! aiuterà un uomo a perdersi, come fanno coloro che predicano tutt'altro che semplicemente e umilmente, che predicano sè medesimi ecc. ? non può venire neppure in mente! O fratelli, o cari fratelli, se conosceste che male è predicare diversamente da quello che fece Nostro Signore Gesù Cristo quaggiù in terra, da quello che fecero gli apostoli e fanno molti servi di Dio ancora oggi, ne avreste orrore!

Dio sa che per tre volte mi misi in ginocchio davanti ad uno della Compagnia, che allora era tra noi ed ora non v'è più, per tre giorni consecutivi, e lo pregai a mani giunte di predicare alla buona e semplicemente, a non dire se non quello che trovava negli appunti che gli erano stati dati, ma non ottenni mai nulla. Egli faceva allora le conferenze per l'ordinazione. Vedete un pò quanto era forte in lui quel maledetto attaccamento! Perciò Dio non lo benedì; non ricavava alcun frutto dalle sue prediche e conferenze; tutto quel bel cumulo di parole e di periodi andava in fumo.

Semplicità dunque, fratelli! predichiamo Gesù Cristo a solo vantaggio delle anime; diciamo quello che abbiamo da dire alla buona, semplicemente, umilmente, ma fortemente e caritatevolmente; non cerchiamo di soddisfare noi stessi, ma di accontentare Dio, di conquistare le anime e di indurle alla penitenza, perchè tutto il

435Nicola Sevin.436Pr 3,32.

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resto non è altro che vanità e orgoglio; si, comportarsi diversamente non è altro che superbia, pura superbia, per la quale Dio, state certi, saprà bene punire un giorno coloro che si sono lasciati trascinare da essa.

E se la Missione si ridurrà in questo miserabile stato, potremo dire che è finita, che andrà in rovina; e sarà lasciata in disparte. Infatti, ditemi, ve ne prego, che cosa attira quei signori della Sorbona, per esempio, a venire da noi per l'ordinazione? Niente altro che l'umiltà e la semplicità con cui cerchiamo di comportarci, e per misericordia di Dio è quanto abbiamo cercato di fare fin qui. Ecco un laureato in teologia; chi lo ha spinto a venire? Lo scopo forse di impararvi qualche altra cosa all'infuori delle virtù? E quando non vedranno più risplendere nella Compagnia l'umiltà, la semplicità, la carità, cesseranno di venire, perchè, quanto alle scienze, ne sanno più di noi. Perciò, fratelli, dobbiamo augurarci e chiedere a Dio che si degni concedere a ciascun membro della Compagnia e alla Compagnia in generale, la grazia di agire semplicemente, umilmente, alla buona; di predicare la pura verità del Vangelo, come lo stesso Nostro Signore l'insegnò; in modo che tutti ci intendano, che ognuno possa trar profitto da quello che diciamo.

Quanto poi all'affetto e ai beni terreni, come, verbi gratia, essere contenti di avere del denaro e tornando da una missione, ritenerne per sè, e poi andare a trovare il superiore e dirgli: "Signore, mi rimane tanto; permette che compri il tal libro, il tale oggetto?". Ora, fratelli, anche questo implica attaccamento ai beni e ai comodi della vita. Non bisogna farlo, ma consegnare, appena arrivati, il denaro che rimane a chi ha cura di conservarlo, al procuratore della casa. Distaccarsi, inoltre, dalle ricchezze che uno ha, o che potrebbero spettargli, sbarazzarsi lo spirito da tutto e non aver attaccamento a parenti e amici; si, fratelli, lo dico, dobbiamo distaccarci dall'affetto soverchio dei parenti ed amici, dai loro interessi, e via dicendo. Insomma, chi dice missionario (intendo vero missionario) dice un uomo che non ha di mira altri che Dio soltanto, la sua salvezza e quella del suo prossimo; dice un uomo che non brama se non quello che l'unisce intimamente a Dio.

I mezzi - 1° Darci risolutamente a Dio e fare un fermo proposito, fin da ora, di non tenere e non affezionarci d'ora innanzi a qualsiasi cosa della terra che possa esserci d'ostacolo alla virtù e alla perfezione che Nostro Signore esige da ciascuno di noi nella nostra vocazione, ma cercar sempre Dio puramente e semplicemente e mai noi stessi e i nostri interessi; e siate sicuri, fratelli, che se la piccola Compagnia si comporterà in questo modo, Nostro Signore la benedirà in tutto quello che farà, essendo questa una buona disposizione per ricevere lo Spirito Santo.

2° Domani, che il giorno di Pentecoste, giorno in cui lo Spirito Santo discese sulla santa Vergine, sugli apostoli e gli altri discepoli riuniti, sarà un buon mezzo, per ottenere il distacco da noi stessi e da tutte le cose della terra, il trovarci uniti in spirito con la Madonna a questo medesimo Spirito. Piaccia a sua divina Maestà di farcene la grazia".

183. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 9 GIUGNO 1658SUL DONO DELLE LINGUE437

"A proposito di quanto s'è detto del dono delle lingue, credo che faremo bene di chiedere, oggi, a Dio la grazia d'imparare esattamente le lingue estere per coloro che saranno mandati nei paesi lontani; perchè, essendosi sua divina Maestà compiaciuta di suscitare questa povera Compagnia per far nel mondo almeno una parte di quello che fecero gli apostoli, abbiamo bisogno di partecipare con loro al dono delle lingue, tanto necessarie per insegnare al popolo la dottrina della fede; perchè, se la fede entra per

437Archivio dei preti della Missione, casa centrale di Cracovia.

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l'udito, come dice S. Paolo, fides ex auditu438, è necessario che coloro che l'annunziano si facciano capire da coloro sui quali vogliono espandere la luce divina. Orbene la diversità delle lingue è grandissima, non solo in Europa, in Africa, in Asia, ma anche in Canada; perchè vediamo nelle relazioni dei padri gesuiti, che vi sono tante lingue, quanti sono i paesi. Gli Huron non parlano come gli Irochesi, nè questi come i loro vicini; e chi intende gli uni non intende gli altri.

Come potrebbero dunque i missionari, con tanta diversità di lingua, andare per tutto il mondo ad annunziare il Vangelo, se non conoscono altro che la propria lingua? E come ne saprebbero altre, se non richiedono a Dio e vi si applicano? Che vuol dire missionario? vuol dire inviato. Si, fratelli, missionario vuol dire inviato da Dio; a voi Nostro Signore ha detto: Euntes in mundum universum, praedicate Evangelium omni creaturae439. E perciò Egli vuole che impariate le lingue necessarie. Dio non chiama mai un uomo ad un determinato stato se non vede in lui le debite qualità, o se non si propone di dargliele. Per conseguenza, fratelli, speriamo che se Dio si degnerà a chiamarvi nei paesi lontani, vi farà la grazia d'impararne la lingua. Confidate in Lui; Egli non vuole il fine senza i mezzi; e vi chiede l'uno vi darà gli altri.

Aspetto di momento in momento che mi scrivano dalla Polonia di far partire alcuni uomini per una fondazione che un buon ecclesiastico ci procura a Cracovia. Abbiamo là il signor Ozenne, che parla un poco il polacco; il signor Desdames, che lo parla bene, ed anche il signor Duperroy; ma gli altri che vi manderemo non capiranno una parola; e per questo non dovremmo mandarli? Oh! no davvero; ma è necessario che si mettano a studiare la lingua con cura e con pazienza, ed altrettanto devono fare gli altri che saranno mandati altrove.

Prima di tutto s'imparano i nomi delle cose e poi i verbi che sono le azioni. Si comincia dalle cose principali, il cielo, la terra, ecc., e a poco a poco uno si rende capace di servire Dio ovunque. Come credete voi che i padri gesuiti abbiano tanto lavorato nel Giappone e negli altri paesi esteri? Certo non hanno imparato la lingua tutto ad un tratto, ma si sono dati la pena di studiarla bene. Vi esorto dunque, fratelli, ad offrirvi a Dio non solo per andare lontano, come quei grandi uomini, per far conoscere ed amare Gesù Cristo, ma ad applicarvi, quando vi sarete, ad imparar bene la lingua, senza scoraggiarvi per le difficoltà che certamente incontrerete. Alcuni si immaginano, quando sono là, di non potervi mai venire a capo. Si scoraggiano dopo qualche tentativo, ed invece di pregare e confidare in Dio per progredirvi, invece di aspettare pazientemente questa grazia dalla sua bontà, perdono il desiderio di continuare, si persuadono di essere adatti soltanto al loro paese; ed ecco la tentazione del ritorno.

Preghiamo lo Spirito Santo, fratelli, per intercessione di quella santa assemblea che ricevette oggi il dono delle lingue, di comunicare una grazia simile alla Compagnia, essendo essa chiamata ai medesimi uffici. Preghiamolo tutti vivamente, uniamo le nostre intenzioni e le nostre preghiere a tale scopo; ma confidiamo, fratelli, confidiamo che la sua infinita bontà, facendo ad alcuni l'onore di sceglierli per i paesi stranieri, darà loro la grazia delle lingue; ma confidino in essa, aspettino in pace la sua ora, e spendano bene il loro tempo per acquistarne l'intelligenza e l'uso. Lo preghino anche i nostri fratelli coadiutori; perchè sebbene essi non debbano predicare ai popoli, pure danno modo ai sacerdoti d'istruirli e di salvarli".

184. CONFERENZA DEL 28 GIUGNO 1658SUL BUON USO DELLE INFERMITA'440

438Rm 10,17.439Mc 16,15.440Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 72.

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Il signor Vincenzo, nostro onoratissimo Padre, venne un pò in ritardo a questa conferenza, cioè una mezzora dopo. La concluse in questo modo, appena un missionario ebbe finito di parlare. Principiò a salutare la Compagnia secondo il solito togliendosi il berretto quadrato, poi disse:

"Ho perduto molto, non avendo assistito alla prima conferenza fatta, or sono otto giorni, sul medesimo argomento, e non essendo venuto al principio di questa. Quello che è stato detto mi sembra molto buono, e devo cercare di trarne profitto.

Un motivo per indurci a far buon uso ed a comportarci bene in tutte le infermità che sopravvengono quaggiù sulla terra, è che dobbiamo considerarle tutte come venute da parte di Dio, o permesse da Lui; la morte, la vita, la salute, la malattia, tutto viene per ordine della Divina Provvidenza e, in qualunque modo sia, sempre per il bene e per la salvezza dell'uomo. Ho detto più volte, e non mi posso trattenere dal ripeterlo anche ora, che le persone tribolate da qualche infermità nella Compagnia, sono la benedizione della Compagnia medesima e della casa; ci sembrerà tanto più vero se pensiamo che Nostro Signore amò questo stato di patimenti, per il quale volle passare Lui stesso, e si fece uomo per soffrire. I santi hanno passato per queste trafile, e quelli a cui Dio non mandò malattie durante la loro vita, cercarono di affliggere essi stessi il loro corpo a modo di castigo. Ne è prova S. Paolo: Castigo corpus meum et in servitutem redigo441. Ed è quello che dobbiamo fare anche noi, che godiamo buona salute. Castigo corpus meum, castigare noi stessi, affliggere noi medesimi, considerando i peccati che abbiamo commesso o che si commettono nel mondo contro la divina Maestà. Eppure! l'uomo è tanto meschino e tanto miserabile che non solo non si castiga da se stesso, ma talora soffre con molta impazienza lo stato di afflizione e di infermità nel quale a Dio piace metterlo, quantunque sia per il suo bene; e questa colpa la commettono molti di coloro che piace a Dio affliggere con malattie ed incomodi.

Un'altra colpa che si commette, o può commettersi nella Compagnia, è quel gran desiderio che hanno alcuni di voler cambiare luogo, casa, voler andare qua o là, in quella casa, in quella provincia, al proprio paese, con il pretesto che l'aria è, od a loro sembra, migliore. E che cos'è questo, fratelli? E che diremo di queste persone, se non che si preoccupano troppo di se stesse, che sono spiriti puerili, persone che non vogliono soffrir nulla? Vi dirò che nella Compagnia vi è chi ha chiesto di cambiare e venir qui da cento leghe, perchè gli è sopravvenuto qualche incomodo! E se gli si fosse creduto, sarebbe andato in altro luogo di suo gusto, dove gli sembra che l'aria è migliore, e che è a centocinquanta leghe di qui! Non è strano vedere nella Compagnia persone siffatte e tanto piene dell'amore di se stesse? Come se le infermità corporali fossero uno stato da fuggirsi, quando a Dio piace mandarcele! Fuggire la felicità! Si, fratelli, sarebbe fuggire la felicità poichè i patimenti sono uno stato di felicità in quanto santifica le anime.

Il buon signor Pillè, di venerata memoria, mi ricordo che si è santificato in quello stato. Si, è santo, l'abbiamo sempre considerato un santo.

Poche persone della Compagnia l'hanno conosciuto, eccetto il signor Portail e qualche altro anziano. Questo sant'uomo dunque, dopo due anni che fu ricevuto nella Compagnia, piacque a Dio di affliggerlo con infermità, con una malattia polmonare, della quale morì. Un uomo che riceveva tante grazie da Dio! In una parola, è un santo; il signor Pillè è un santo, visse da santo e morì da santo.

Oh! il buon signor Senaux (nota che parla qui del signor Senaux, morto quest'anno nella nostra casa di Troyes) quanto era lontano da questa smania di cambiamento! Vi dirò, fratelli, che sebbene sia sempre stato, da quando entrò nella Compagnia, quasi continuamente infermo, non ha mai chiesto, che io sappia, un cambiamento d'aria per tal motivo; no, mai il signor Senaux ha messo mano alla penna per scrivere una sola

4411 Cor 9, 27.

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parola e chiedere un cambiamento di luogo e d'aria per andare in Normandia, di cui era nativo, o altrove; tuttavia nelle sue infermità non cessava mai di lavorare quanto poteva e di osservare le regole, si, le regole; e bisogna confessare che mentre era nella nostra piccola casa di Troyes, tutto andava bene. Perciò dopo la sua morte, quelli che vi sono ancora l'hanno ben riconosciuto e mi hanno scritto con dolore la perdita che hanno fatta di questo servi di Dio, il quale mi dicono sia stato per tutta la sua vita un esempio di regolarità.

Inoltre vi saranno forse altri che non chiederanno apertamente di cambiare luogo, ma lo faranno indirettamente per mezzo del medico, al quale diranno tanti se, tanti ma, tante ragioni per costringerlo a dire che gioverebbe cambiare aria, andare al loro paese nativo, o in altro luogo, che infine glielo consiglia. E poi quelle persone che dicono? "Bisogna che cambi aria; l'ha detto il medico".

Il rimedio e di ricevere dalle mani di Dio tutto quello che avviene; non farlo è uno sbaglio. Un giorno domandarono a un buon fratello, chiamato fratello Antonio442, il cui ritratto è in questa sala... Era un uomo che non sapeva nè leggere, nè scrivere, eppure aveva lo spirito di Dio in abbondanza. Pochi della Compagnia, che son qui, l'hanno conosciuto, forse il signor Portail; io, si, l'ho visto; è già molto tempo che è morto. Questo buon uomo chiamava tutti fratelli; se parlava ad una donna sorella; anche la regina, quando le parlava, la chiamava sua sorella. Tutti, in quel tempo, volevano conoscerlo. Un giorno gli si chiese: "Ma, fratello, come fate, a proposito delle malattie che vi sopravvengono? Come vi comportate? Come vi regolate per farne buon uso?" - "Ricevo le malattie, egli disse, dalle mani di Dio". E poi, siccome s'insisteva, perchè dicesse un pò più su questo punto, aggiunse: "Vedete, quando, per esempio, mi viene qualche febbre, la ricevo tranquillamente e le dico: Orsù, sorella malattia, oppure, sorella febbre, voi venite dalla parte di Dio; orsù, poichè così è, siate la benvenuta".

Ecco, fratelli, come faceva quel sant'uomo. In tal modo sono soliti fare i servi di Nostro Signore, gli amanti della croce. Ciò non impedisce che si possa e si debba usare i rimedi materiali a sollievo ed a guarigione di ogni malattia; in questo, è fare onore a Dio, che ha creato le piante e dato virtù a ciascuna. Ma esser tanto delicati per sè, cullarsi per il minimo male che ci capiti, o Salvatore!, è una cosa di cui dobbiamo sbarazzarci. Si, dobbiamo gettar lungi da noi questo spirito e questa eccessiva tenerezza per noi stessi.

O miserabile che sono! qual cattivo uso ho fatto delle malattie e dei piccoli incomodi che è piaciuto a Dio mi venissero! Quanti atti d'impazienza ho commessi, miserabile che sono, e quale scandalo ho dato a coloro che mi hanno visto comportarmi in tal modo! Aiutatemi, fratelli, a chieder perdono a Dio di aver fatto sì cattivo uso, per il passato, dei miei piccoli incomodi, e la grazia in avvenire, di far buon uso di quelli che piacerà alla sua divina Maestà di mandarmi nella mia tarda età e nel poco tempo che mi rimane da vivere sulla terra".

185. CONFERENZA DEL 5 LUGLIO 1658SUL SOPPORTARSI RECIPROCAMENTE443

Il signor Vincenzo, concludendo, dopo che ebbero parlato molti altri della Compagnia, disse che era rimasto assai edificato da quanto aveva udito. "E' stato detto benissimo, aggiunse, che il reciproco sopportarsi è nella Compagnia quello che sono i nervi per il corpo dell'uomo. Infatti che cosa si vede in una casa, in una comunità dove non regna il reciproco sopporto, se non disordine? Nostro Signore sopportò san Pietro,

442Su tal persona vedi il primo volume delle Conferenze alle Figlie della Carità. conf. 41, nota 4.443Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 73 v°.

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che pure aveva commesso l'infame peccato di rinnegare il suo Maestro. E san Paolo, non lo ha Nostro Signore ugualmente sopportato? Dove si troveranno uomini tanto perfetti e senza difetti in cui non ci sia nulla da sopportare? Parimente, dove si troveranno superiori che non abbiano difetti e verso i quali non vi sia occasione di sopportare? Trovatemene qualcuno. Vado più innanzi, e dico che l'uomo è così fatto che spesso ha bisogno di sopportare se stesso, tanto è vero che la virtù del sopportarsi è necessaria a tutti, anche per esercitarla verso se stesso, che si stenta, a volte, sopportarsi! Ahimè miserabile, che oso parlare degli altri! e non c'è nessuno sulla terra che abbia bisogno di essere sopportato più di me, miserabile! O Salvatore, quanto ho bisogno che la Compagnia mi sopporti!

In che cosa dobbiamo sopportare i nostri fratelli? In tutto, in tutto, fratelli: sopportate il loro cattivo umore, il loro modo di fare, di comportarsi, ecc., che non è di nostro gusto, che ci urta. Vi sono persone fatte tanto male che tutto dà loro fastidio, che non possono sopportare la minima cosa che non sia secondo le loro idee o il loro umore. Oh! quanto si distingueva in questa pratica del sopportare, l'ottima defunta signora Gondi, nostra fondatrice! Sopportava tutti, chiunque fossero. Non c'era nessuno che ella non scusasse, talora allegando la debolezza umana, poi, altre volte, l'astuzia dello spirito maligno, la vivacità di carattere, l'irascibilità e così di seguito; e si poteva essere sicuri, sì, tutte le persone del mondo che erano sulla terra potevano esser sicure che quella buona signora le avrebbe sopportate e difese.

Il beato vescovo di Ginevra diceva che gli era più facile assoggettarsi alla volontà di cento persone, che assoggettarne una sola alla sua volontà. Dove trovare due persone che si somiglino nei lineamenti del volto, ed abbiano lo stesso modo di fare? Trovatene due, se siete capaci; non le troverete certo, avendo Dio voluto che gli uomini fossero così, a maggior gloria della sua divina Maestà; e per conseguenza tutti hanno bisogno di sopportarsi a vicenda, e tanto di sopportare se stessi, quanto di sopportare gli altri. Ah! miserabile! parlo degli altri, eppure non c'è nessuno che abbia maggior bisogno di questa virtù di me, che non so sopportar nulla e che, d'altronde, ho tanto bisogno di essere sopportato nei miei difetti! Talvolta, la sera, quando considero in che cosa si è occupato il mio pensiero tutto il giorno, trovo che s'è perso in mille cose inutili, e in non so quante miserie, dimodochè io stesso duro fatica a sopportarmi; mi sembra che meriterei di essere impiccato a Montfaucon444.

Riferirò pure alla Compagnia, in proposito, una cosa che mi fu raccontata ieri e che mi dimostra quanto l'uomo sia fragile, sino al punto, talvolta, di non poter sopportare la minima cosa, neppure dai suoi più intimi amici. Mi si raccontò, dunque, che due sacerdoti, entrambi di mia conoscenza, e dei quali uno è un mò più ricercato nel mangiare e nel bere, si erano sempre molto amati fino a dimorare insieme e mangiare insieme. Ora, accadde che il domestico, od altra persona, mescendo da bere, versò un pò di vino; ciò dispiacque a quel signore più suscettibile, tanto che cominciò ad urlare: "Si fa questo per farmi dispetto!". Guardate un pò cos'è l'intelligenza dell'uomo! S'immagina che ciò sia stato fatto per disgustarlo. Poco tempo dopo, esclamò nuovamente: "Non posso sopportare questa cosa". Dimodochè, l'altro sacerdote vedendo che tutto quello che poteva dirgli per distoglierlo dal pensiero che avessero voluto offenderlo era inutile, si alzò da tavola e si ritirò in camera sua a piangere. Ora, giudicate, fratelli, da questo esempio, che cos'è lo spirito umano e a che cosa non va soggetto; ora vuole una cosa, poi l'altra; si affeziona prima ad un qualche soggetto, poi lo lascia, non lo può più soffrire.

Ancora: ecco due persone, per esempio, che non avete mai visto, eppure accade abbastanza spesso che la vostra simpatia si porti più all'una che all'altra. Perchè questo?

444Località situata una volta fuori di Parigi tra la Villette e Buttes-Chaumont; ivi s'impiccavano i malfattori.

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Perchè il nostro spirito è fatto così. Orsù, mio Salvatore, orsù, mio Salvatore, dateci, di grazia, la virtù di sopportarci reciprocamente.

Credo di dare una consolazione alla Compagnia dicendole che tra noi, per misericordia di Dio, questa virtù è ben praticata, c'è molto sopporto scambievole; va bene questo per grazia di Nostro Signore. Domando qualche volta ad alcuni miei fratelli sacerdoti quello che pensano della Compagnia. Lo domandai, anzi, non è molto, a qualcuno e mi rispose che gli sembrava che non fosse mai andata tanto bene come al presente e questo da vario tempo. Donde proviene, ditemi, se non che ognuno si sopporta, ognuno si rispetta? Insomma, va bene, su questo punto, per misericordia di Dio, e noi dobbiamo ringraziarlo. Vedete, quando scorgo il bene, non posso fare a meno di dirlo; come al contrario, quando vedo il male, non posso egualmente fare a meno di dirvelo, di sgridare e di ammonire coloro che lo commettono e ne sono causa. Veniamo ai mezzi.

Il primo e unico, mi sembra, dopo quello di chiedere a Dio la virtù del sopporto reciproco, è l'umiltà, il disprezzo di se stesso, stimandoci i più miserabili di tutti, mettendoci sotto a tutti, non preferendoci mai a nessuno, riguardando tutti, secondo il detto di S. Paolo, come nostri superiori; esser contenti che gli altri ci siano preferiti, sia nelle missioni, che altrove, in qualsiasi ufficio: che vi riescano meglio di noi; sopportarlo lietamente per amore di Nostro Signore. E credetemi, fratelli, se faremo così, la povera Compagnia sarà un piccolo paradiso in terra; si, la casa di S. Lazzaro sarà un piccolo paradiso in terra. Dio ci conceda questa grazia, per sua misericordia!".

Quindi, il signor Vincenzo, mettendosi in ginocchio, disse:"E perchè ho bisogno, più di ogni altro, che la Compagnia mi sopporti a causa di

tante miserie che sento in me, di tanti cattivi esempi che do ai miei fratelli, specialmente a quelli che mi assistono nei miei piccoli incomodi, vi prego, fratelli, di volermi continuare questa medesima carità e perdonarmi il passato. I vecchi, come dice David, hanno molto bisogno di essere sopportati; sopportatemi dunque, fratelli, ve ne supplico, e pregate Dio per me, affinché mi emendi".

Poi baciò la terra, come di solito; e lo stesso fece tutta la Compagnia. In ultimo, il signor Vincenzo raccomandò alle preghiere della Compagnia il signor

Hopille, canonico di Agen, morto da qualche giorno, e disse che era un uomo che aveva sempre avuto affetto e carità per i missionari che sono colà, fino a lasciar loro, morendo, la sua biblioteca. Chiese ai sacerdoti una messa per quel buon canonico, ed ai fratelli la loro prossima comunione, almeno come seconda intenzione, se non potevano diversamente.

186. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 4 AGOSTO 1658RITORNO DI FRANCESCO LE BLANC, MISSIONARIO DELLA SCOZIA -

MALATTIA DEL FRATELLO CRISTOFORO DELAUNAY - MORTE DI DUE FIGLIE DELLA CARITA' - ELOGIO DELLE FIGLIE DELLA CARITA'.445

Quando tre o quattro della Compagnia ebbero finito di ripetere la loro orazione, il signor Vincenzo raccomandò alla Compagnia medesima di chiedere lo zelo per la salvezza delle anime, lo spirito e la virtù necessarie per occuparsene. Raccomandò quindi di ringraziarlo per il ritorno del signor Le Blanc, e per averlo preservato, lui e gli altri che erano con lui, da tanti pericoli.

"Il nostro fratello Cristoforo Delaunay, proseguì il signor Vincenzo, è rimasto a Saintes, dove si è ammalato in conseguenza dei disagi sofferti nel lungo viaggio. Raccomando frattanto questo buon fratello alle preghiere della Compagnia; il capitano della nave olandese che lo raccolse in mare, dopo la perdita della nave francese, gli

445Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 75 v°.

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voleva tanto bene, e fu molto contento di averlo vicino a sè, per un mese circa che durò la traversata, cioè dal salvataggio della nave francese operato dagli olandesi.

Raccomando inoltre le Figlie della Carità che abbiamo mandato a Calais per assistere i poveri soldati feriti. Delle quattro suore mandate446, due sono morte, ossia le più forti e più vigorose, delle quali una di esse, suor Manceau, nipote del signor Manceau, prete della Compagnia, era la servente, cioè aveva la cura e la direzione delle altre. Era una delle suore più robuste della piccola Compagnia della Carità, eppure eccola soccombere la prima, sotto quella grave fatica. Immaginatevi, signori, che cosa sono quattro povere suore per cinque o seicento soldati feriti e malati! Considerate un poco, ve ne prego, le vie di Dio e la sua bontà di aver suscitato in questi tempi una Compagnia di simil genere! E per far che? Per assistere i poveri materialmente ed anche spiritualmente, dicendo loro qualche buona parola, principalmente ai moribondi, per aiutarli a disporsi a ben morire. O Salvatore! o mio Salvatore! la storia non fa menzione che vi sia mai stata una Compagnia di vergini (e vero che tra loro v'è qualche vedova) che si siano consacrate a Dio come fanno le nostre povere suore per assistere i malati e i feriti. Quanto a me non l'ho mai sentito dire, nè l'ho mai letto, avendo Dio aspettato fino ad ora a farlo, in un tempo in cui permette che la sua Chiesa sia molto perseguitata, afflitta e quasi annientata in certi paesi come in Inghilterra, Irlanda e Scozia; e Iddio voglia che non accada lo stesso in Francia. Si dice che Cromwell cominci a prendere sotto la sua protezione coloro che sono di opinione contraria alla religione cattolica, intercede per essi, e via dicendo.

E chi sono le suore che compongono quella Compagnia? Sono tutte campagnole, povere serve, eccettuate una o due di condizione un pò più civile; le altre sono come vi ho detto. Eppure vediamo quanto Dio le benedice, e quanto siano piene di zelo per la sua gloria e per assistere il prossimo.

E siccome la Compagnia della Missione, quantunque, se non del tutto viziosa, pure mancante di molte virtù, ha qualche relazione colla compagnia di queste povere figlie, avendo Nostro Signore voluto servirsi della missione, per dar principio alla Compagnia di queste povere figlie, abbiamo perciò stesso un più stretto dovere di offrirle a Dio, ed io prego la Compagnia di farlo, e insieme di ringraziare Dio di tutte le grazie che loro ha fatto fin qui, e Lo pregheremo, per la sua bontà infinita, di continuar loro le medesime grazie e benedizioni per l'avvenire.

La regina ha scritto a madamigella Le Gras ed a me di mandarne altre a Calais per assistere quei poveretti, ed è ciò che si sta facendo. Oggi stesso ne partono quattro per questo scopo. Una di queste povere suore, che ha circa cinquanta anni447, venne a trovarmi venerdì scorso all'Hotel-Dieu, dove mi ero recato, per dirmi che avendo saputo che due sue sorelle erano morte a Calais, ella si offriva a me, per esser mandata colà al loro posto, se l'avessi gradito. Le risposi: "Sorella, vi penserò". E ieri venne qui per avere la risposta. Vedete, fratelli, quanto è grande lo zelo di queste povere suore, nell'offrirsi in tal modo! Offrirsi per andare a esporre la loro vita, per amore di Gesù Cristo e il bene del prossimo, non è cosa ammirevole? Quanto a me, non so che dure, se non che quelle povere suore saranno i nostri giudici nel giorno del giudizio; si, fratelli, quelle suore saranno i nostri giudici nel giudizio di Dio se non siamo disposti, come loro, a dare la nostra vita per Lui. E chi non è giunto a questo punto, credetemi, possiamo dire che è ancora molto lontano dalla perfezione.

O miserabile, io che non mi sento, o almeno che mi sento tanto poco disposto e tanto poco aspiro a questo eminente grado di virtù, quanto non devo temere fratelli!, quanto non devo temere! E quanto non devono temere con me quelli della Compagnia della Missione che sono nelle medesime condizioni, che non sentono affatto in loro tal

446Francesca Manceau, Margherita Ménage, Maria Poulet e Claudia Muset.447Suor Enrichetta Gesseaume.

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disposizione, la quale è, vedete, uno dei gradi interiori più eminenti che si possono avere, si, il più eminente! Perciò quelli che hanno questa disposizione, devono chiederla continuamente a Dio, onde esser pronti a dar la vita per Gesù Cristo. Quanto a coloro cui Dio ha già concesso questa grazia e la sentono in sè, credetemi, devono ringraziare Dio e pregarlo di non permettere che se ne rendano indegni con qualche azione che gli dispiaccia".

187. CONFERENZA DEL 23 AGOSTO 1658SULLA SOBRIETA'448

Il venerdì sera, 23 agosto del detto anno, alla conferenza che aveva per argomento la sobrietà, tanto nel bere come nel mangiare, il signor Vincenzo concluse tale conferenza già cominciata il venerdì precedente, e disse:

"Dio sia lodato e ci faccia la grazia di trar profitto da quanto è stato detto! L'argomento di questa conferenza è sulla sobrietà che dobbiamo praticare tanto nel mangiare quanto nel bere: sulle ragioni per praticarla e i mezzi di cui la Compagnia deve servirsi per evitare di cadere nel difetto contrario. Non parleremo, per il momento, altro che della sobrietà da osservarsi quanto al vino; ci accontenteremo di questo punto, essendo il più pericoloso.

Ora, fratelli, una ragione che deve indurci a praticare assai accuratamente la virtù della sobrietà, sono i grandi mali che provengono dal contrario, ossia dall'intemperanza nel bere, perchè quali mali non vengono da quella parte! Purtroppo lo sapete. Una persona che beva, e beva vino più del necessario, cade un uno stato bestiale, diventa anzi peggiore di una bestia e molto peggiore. Non c'è vizio che tali persone non siano capaci di commettere; inoltre, il vizio dell'ubriachezza non è mai solo, o raramente, ma è sempre accompagnato da qualche altro più grande, specialmente dall'abominevole e orribile vizio della carne, che uno commette o su di sè o sugli altri. O stato miserabile! Che cos'è, fratelli, se non uno stato bestiale, vivere come le bestie, seguire le proprie inclinazioni come le bestie, come un cavallo, come un maiale, si, come un maiale, e peggio delle bestie? Poichè almeno le bestie seguono le loro inclinazioni naturali; ma un uomo, un uomo ubriaco, non sa quel che fa; è peggio di una bestia perchè bisogna portarlo, sorreggerlo sotto le braccia, altrimenti cadrebbe come un masso...

Vi dirò su questo punto, che c'è un certo tale nella Compagnia che quando presenta il bicchiere per avere il vino, non è mai contento se non gli si riempie. "Versate, versate", dice al dispensiere. L'ho avvertito di correggersi; non l'ha ancora fatto. Se non lo farà e non si correggerà presto, dovremo servirci di qualche altro rimedio, perchè è una cosa da non tollerarsi. Vedete bene che la Compagnia non è immune da questo vizio, e Dio ha permesso a Satana di tentare qualche membro.

- Ma, signore, perchè dite una cosa simile pubblicamente? Veramente scandalizzate la Compagnia; sebbene, tra le persone che la compongono, ve ne siano alcune dedite a questo vizio, via, mi sembra sarebbe meglio avvertirle in privato. - Fratelli, oltre a Nostro Signore Gesù Cristo stesso che faceva in questo modo quando era sulla terra, anche sant'Agostino avvertiva pubblicamente delle colpe che erano state commesse, affinché i colpevoli se ne correggessero, e gli altri che ascoltavano stessero in guardia per non cadervi; per questo io pure, fratelli, adotto egualmente questo sistema e dico pubblicamente le colpe che Dio ha permesso che alcuni della Compagnia commettessero.

Vi dirò anche, fratelli, che qualcuno dei signori ordinandi è rimasto scandalizzato di due preti della Compagnia, si, di due preti, i quali si sono diportati molto male al refettorio mangiando e bevendo, e gettandosi sul cibo come se volessero divorare tutto

448Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 76 v° e seg.

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in un boccone. Insomma, hanno tanto scandalizzato qualcuno di quei signori ordinandi, che hanno creduto dovercene avvertire per porvi rimedio. Due preti della Missione comportarsi in modo che invece di essere stati di buon esempio al prossimo, sono stati di scandalo! O signori! o fratelli, a che punto siamo giunti! E qual motivo di afflizione per la Compagnia, specialmente per coloro che osservano la sobrietà e la modestia tanto raccomandate nel bere e nel mangiare!

Quanto ai mezzi per rimediare a tale male, perchè non avvenga più in avvenire, il primo, che mi sembra opportuno mettere in uso, è che il superiore si metta ad un capo della tavola, e il suo assistente o vice-assistente dall'altro, affinché mentre il superiore vede quello che avviene da una parte del refettorio, l'assistente possa vedere quanto accade dall'altra. Perciò, sarà necessario dividere in due la tavola per poter passare.

Un altro mezzo che abbiamo pensato è di diminuire il vino; invece di mezzo litro come ora, accontentarsi di un quarto. Vi sono alcune comunità che non ne hanno di più e se ne trovano molto bene. Ora, se le altre comunità lo fanno già e si contentano di un quarto di litro ogni pasto, perchè non potremmo farlo anche noi? Rifletteremo maggiormente su questo mezzo, prima di metterlo in pratica; perchè, infine, se, dopo aver tentato altri mezzi, ci accorgiamo che non raggiungono l'effetto, bisognerà ben ricorrere a questo. Vi penseremo.

- Oh! ma, signore, mi dirà forse qualcuno, c'è differenza tra persone e persone; ad alcuni potrà bastare un poco vino, ma altri ne avranno bisogno di più. Quanto a me che ho lo stomaco freddo, me ne occorre per riscaldarlo un poco, altrimenti digerisco con difficoltà la carne, l'insalata, ecc. - Fratelli, è uno sbaglio credere che lo stomaco abbia bisogno di vino per aiutarlo a digerire la carne. Anch'io prima lo credevo, miserabile che sono, ma il signor Portail mi ha disilluso e mi ha dimostrato che è un errore; e quello che mi ha detto, l'ho trovato giusto e lo ho sperimentato.

E a questo proposito dirò ai fratelli dispensieri che non devono dare piatti pieni d'insalata, come fanno di solito. Danno ad uno solo quello che basterebbe per tre o quattro persone. L'insalata! oh! le antiche comunità non ne mangiano affatto; e se le antiche comunità non ne mangiano, non potremo farne a meno noi? Per esempio, all'Oratorio, è vero che hanno l'insalata; ma quanto credete che ne diano a ciascuno? Pochissima. Vorrei che aveste veduto quanta ne danno; notereste la differenza con la nostra. C'è da stupirsi se molti della Compagnia non si sentono bene? No; e perchè? Eh! perchè troppo spesso i loro incomodi provengono dal bere e dal mangiare troppo frequentemente. Per esempio, alcuni fanno colazione, pranzano, fanno merenda e poi cenano. Vanno la mattina al refettorio a far colazione. Dalla colazione al pranzo non c'è molto tempo; e così quel povero stomaco non ha tempo di digerire. Vanno a pranzare avanti che questa prima digestione sia compiuta, e poi, subito dopo vi aggiungono la merenda. Tutto ciò è causa di vapori, che circolano e salgono al cervello: e da questo deriva la maggior parte dei mali di testa di alcuni di noi.

Un terzo mezzo al quale abbiamo già pensato più volte, è d'istituire un ispettore, come praticano i gesuiti, ossia una persona deputata dal superiore, il cui ufficio sia di osservare tutto quello che avviene nella casa, nel refettorio, se vi si osserva bene la modestia, se s'innacqua bene il vino, e quando veda qualche mancanza ne avverta il superiore, il quale stabilisca una penitenza proporzionata, ed avverta poi pubblicamente colui che ha commesso la colpa: "Avverto in ispirito di umiltà e di carità il tal padre e il tal fratello che ha commesso questa colpa e per penitenza farà la tal cosa". Chi è avvertito si mette subito in ginocchio e compie la penitenza che gli è imposta. Ecco come i padri gesuiti si regolano, e perciò vediamo tra loro gran modestia e riserbo. Penso che sarà necessario farlo anche noi. Vedremo se sarà opportuno aggiungere tale incarico all'ufficio di prefetto di tavola, oppure se sarà preferibile creare e istituire un altro ufficiale, la cui mansione sarà di passeggiare da un capo all'altro del refettorio per vedere se ognuno conserva la modestia, se non mangia con troppa avidità e malagrazia,

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se innacqua convenientemente il vino e via dicendo; e quando avrà notato qualche mancanza ne avverta, perchè, insomma, è necessario cercare un rimedio al male, quando si scorge. Vediamo praticare questo sistema nei capitoli e nelle chiese cattedrali. C'è una persona che passeggia per il coro ed osserva se vi è ben mantenuta la modestia, se il canto va bene; e quando c'è qualche cosa da ridire, avverte.

4° Finalmente non indugiarsi ad ascoltare la propria natura, non venir troppo a patti con il proprio temperamento, ma abituarsi ad innacquare il vino, in modo che l'acqua sia appena colorita. Su questo punto prego i fratelli dispensieri di non dare, a colazione, più di due o tre dita al massimo. Credereste, fratelli, che si vede a colpo d'occhio che tra i seminaristi, quelli che innacquano di più il vino (poichè, per grazia di Dio, v'è chi lo fa, e per davvero, progrediscono a gran passi verso la perfezione! Quanto a me ho notato, ripeto, che quelli che innacquano di più il vino, fanno veri progressi di virtù in virtù; ciò si vede chiaramente. E ditemi, la maggior parte di noi, prima di entrare nella Compagnia, beveva vino? Niente affatto, o almeno molto raramente. Eh! che cosa dunque? Un poco di birra e forse, più spesso, acqua sola449

Orsù! Dio sia lodato e glorificato per sempre! Possiamo aggiungere a quanto abbiamo detto un altro mezzo, che sarà di fare domani mattina l'orazione su questo soggetto, e cominciare la pratica d'innacquare bene il nostro vino. Tuttavia domani v'è l'orazione di san Bartolomeo, essendo la festa di quel grande apostolo; ma non tornerà male a tale soggetto. San Bartolomeo fu scorticato vivo, e noi cominceremo a scorticare la nostra volontà, il nostro appetito di bere il vino troppo puro. Dio si degni farci la grazia di lavorare seriamente in proposito".

188. CONFERENZA DEL (30 AGOSTO 1658)450

SULL'INDIFFERENZA PER GLI UFFICI451

"Il primo motivo che hanno i vecchi come me, miserabile, per gli incomodi che sopraggiungono alla vecchiaia, di mettersi in uno stato d'indifferenza verso gli uffici, qualora non vi siano già, è, signori e fratelli, la gloria che viene da Dio da tale indifferenza.

Chi non è in questo stato d'indifferenza ma nell'opposto, si trova in uno stato da demonio. Per osservare bene il voto di obbedienza fatto, è necessario essere indifferenti a tutto.

Un altro motivo lo troveremo pensando che è una vera felicità non essere indifferenti per gli uffici e all'obbedienza a qualunque superiore ci sia dato.

Oh! ma, si dirà, io sono vecchio. - Voi siete vecchio! ebbene! dovete essere per questo meno indifferente, meno virtuoso?

Oh! ma io sono dotto. - Oh bella, è dotto!e perchè è dotto non deve essere indifferente, nè pronto e disposto a fare quello che il superiore o un ufficiale desidererà da lui! Guardate se tale obbiezione è ragionevole, se deve uscire dalla bocca di una persona che fa professione di servire Dio.

Oh! ma, signore, è un sant'uomo. - Ho piacere che sia un sant'uomo; ma como! è questa una ragione che debba esonerarlo dal fare quello che si desidera da lui, quello che gli sarà ordinato, dall'obbedire a quel superiore, che è, se volete, meno perfetto di lui, meno istruito e, se volete ancora, nel quale appariscono vari difetti? E' questo,

449In margine: Nota: la maggior parte degli studenti e dei seminaristi erano dei Paesi-Bassi e della Piccardia.450Questa conferenza non ha data. Se consultiamo la nota delle conferenze tenute a S. Lazzaro, dopo l'assedio di Montmèdy (6 agosto 1657), non ne troviamo altro che una sola sull'indifferenza per gli uffici, quella del 30 agosto 1658. E' questa perciò la data sua propria.451Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 11.

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ancora una volta, un giusto motivo? Certamente no. E ciò non deve esonerarlo dalla indifferenza per gli uffici: andare nella campagna, se vi è mandato; rimanere in casa, se i superiori lo desiderano; dirigere un seminario o andare in missione; rimanere in quella casa o in quell'altra, andare in paesi lontani o no; obbedire a questo superiore o a quell'altro, poichè Dio lo vuole e lo ha trovato adatto per la direzione e il governo.

Ma, signore, avete qualche esempio da riferirci? - Si, certamente, eccone uno che si addice a tale argomento e che è nella Sacra Scrittura. Quando Giuda ebbe commesso l'esecrabile peccato di tradire e vendere il suo buon Maestro e morir poi disperato, gli undici apostoli si riunirono per eleggere qualche altro al posto stesso di Giuda; posero lo sguardo, a tale scopo, su due discepoli di Nostro Signore, di cui l'uno si chiamava Barsaba, soprannominato il giusto, e l'altro Mattia; quindi procedettero all'elezione, e la sorte cadde su Mattia piuttosto che su Barsaba, soprannominato il giusto a causa della sua santa vita. Era dunque giusto, e tuttavia la sorte cadde su Mattia, di cui non è detto nulla. Dio vide, notatelo, signori, che era adatto a governare e perciò volle che la sorte cadesse su di lui. Alcuni sono santi e vivono santamente, eppure non sempre hanno il dono di saper dirigere. La santità è una continua disposizione e un'intera conformità alla volontà di Dio; e la direzione sta nel criterio, ossia richiede un buon criterio per dirigere e regolare le cose.

La scienza non è assolutamente necessaria per bene governare; ma quando la scienza, lo spirito di direzione e un buon criterio sono riuniti in un medesimo soggetto, o Dio!, qual tesoro!

La vecchiaia non è sempre da prendersi in considerazione per dirigere, poichè si vedono molti giovani che hanno maggior capacità di governare di molti vecchi e anziani. Ne abbiamo un esempio in David, il quale fu scelto da Dio per guidare il suo popolo sebbene più giovane di tutti i suoi fratelli. Vedete, un uomo di molto criterio e di grande umiltà è capace di ben governare, ed ho esperimentato che quelli pieni dello spirito opposto e che ambiscono cariche, non hanno mai fatto nulla di buono.

Ho pure esperimentato che chi ha avuto qualche carica e conserva questo spirito e questo desiderio di governare, non è stato mai nè un buon inferiore nè un buon superiore".

Qui il signor Vincenzo si è umiliato, secondo il suo solio. "Mentre tornavo dalla città, egli ci ha detto, ho visto dieci o dodici muli carichi, che erano fermi vicino alla porta di un'osteria, aspettando quelli che li conducevano, i quali probabilmente stavano a bere nella medesima osteria; pensavo dunque a quelle povere bestie, con il carico sul dorso, senza muoversi, aspettando il loro padrone e conducente452.

Si tratta di sapere se sia meglio chiedere di andare in paesi lontani a lavorarvi per la salvezza delle anime, oppure starsene in una continua disposizione di andarvi, senza però chiederlo, secondo la massima: nulla chiedere, nulla ricusare; e rimanere nel luogo dove l'obbedienza ci ha messo, finchè essa non ce ne allontani. O signori, qual felicità per coloro che hanno tal disposizione e ai quali Dio fa la grazia di esser pronti e disposti ad andare nei paesi lontani a spendervi la loro vita per Gesù Cristo! Le storie fanno menzione del martirio di tanti uomini che si sono sacrificati per Iddio; e se consideriamo che, nell'esercizio, tante persone espongono la vita per un pò di onore, o forse nella speranza di una piccola ricompensa temporale, con più forte ragione noi altri dobbiamo esporre la vita per portare il Vangelo di Gesù Cristo nei paesi più lontani dove la divina Provvidenza ci chiama! Ecco, all'assedio di Montmédy, di trentamila uomini circa, che vi erano, a quanto riferiscono, ne sono rimasti un ventiduemila. Ora,

452In margine: Esempio che dimostra che quegli animali, sebbene irragionevoli, si lasciano tuttavia condurre e sono indifferenti a quello che il conducente vuole da loro, stanno dove li mette e non si muovono, quantunque abbiano il carico sul dorso.

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se quelle persone hanno avuto il coraggio di esporre in tal modo la vita per la conquista di una città, perchè non lo faremo noi per conquistare anime a Gesù Cristo?

Tra i mezzi per ottenere lo stato di indifferenza, qualora non l'avessimo già, il primo è l'umiltà e l'abiezione a noi stessi; stimandoci bestie e incapaci di direzione, nè di avere alcuna carica o governo.

Il secondo, quando ci sarà dato qualche ufficio, se abbiamo qualche incomodo che ci impedisce di eseguirlo, andare davanti a Nostro Signore nel Santissimo Sacramento, e domandargli la grazia di farci conoscere se dobbiamo dirlo al superiore; dopo avere conosciuto che la sua volontà è che lo diciamo, farlo, poi rimetterci a tutto quello che il superiore comanderà".

189. CONFERENZA (SETTEMBRE 1658)453

SULLA PERDITA DEL PODERE DI ORSIGNY454

"Da qualche tempo, e anche molto spesso, mi sono fermato a pensare, come la Compagnia non soffrisse nulla, tutto le riusciva, godeva qualche prosperità, diciamo meglio, era benedetta da Dio in tutti i modi, senza avere nè contrarietà, nè disgusti. Cominciavo a diffidare di questa bonaccia, sapendo che è caratteristica di Dio mandar prove a coloro che lo servono ed affliggere coloro che Egli ama. Quem anim diligit Dominus, castigat455. Ricordo quello che si racconta di S. Ambrogio, cioè che facendo egli un viaggio capitò in una casa, dove il padrone non sapeva che fosse afflizione; e che allora, quel santo prelato, illuminato da luce celeste, giudicò che quella casa, trattata tanto blandamente, era prossima alla rovina. "Usciamo di qui, disse, l'ira di Dio sta per cadere su questa casa"; come, infatti, avvenne appena furono fuori: un fulmine la distrusse e tutti coloro che vi erano dentro furono travolti nelle sue rovine.

D'altra parte, vedevo molte Compagnie oppresse ogni tanto, particolarmente una delle più grandi e delle più sante che siano nella Chiesa, la quale è travolta costernata e soffre anche al presente una persecuzione orribile456, e dicevo: "Ecco come Dio tratta i santi e come ci tratterebbe se fossimo forti nella virtù; ma, conoscendo la nostra debolezza, ci alleva e ci nutre di latte, come bambinelli, e fa che tutto riesca, senza quasi che ce ne occupiamo". Avevo dunque ragione, con tali considerazioni, di temere di non essere accetti a Dio, nè degni di soffrire qualche cosa per amor suo, perchè Egli distoglieva da noi le afflizioni e i colpi, che mettono alla prova i suoi servi. Ci accadde, è vero, qualche naufragio negli imbarchi per il Madagascar, ma da essi dio ci ha scampati; e nell'anno 1649 i soldati ci fecero un danno di quarantaduemilalire a conti fatti; ma questa perdita non fu cosa particolare a noi; tutti risentirono dei torbidi pubblici; il male fu comune e non fummo trattati diversamente dagli altri. Ma sia benedetto Dio, fratelli, perchè la sua adorabile Provvidenza si è compiaciuta di spogliarci di una terra che ci è stata or ora tolta! La perdita è considerevole. Entriamo nei sentimenti di Giobbe, quando diceva457: "Dio mi aveva dato questi beni, Dio me li ha tolti; sia benedetto il suo santo nome!". Non guardiamo a questa privazione come venutaci da un giudizio umano; ma diciamo che ci ha giudicati Dio, e umiliamoci sotto la mano che ci colpisce come David, il quale esclamava: Obmutui, et non aperui os

453La conferenza non ha data, ma sappiamo che il processo, relativo al podere di Orsigny, fu perduto nel mese di settembre dell'anno 1658.454ABELLY op. cit., lib. III, cap. XXII, e cap. XVIII. La parte presa al cap. XXII si ferma alle parole: "Egli ha fatto tutto bene".455Eb 12, 6.456Si tratta della Compagnia di Gesù, allora violentemente assalita per la morale insegnata da alcuni suoi membri.457Gb 1, 21.

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meum, quoniam tu fecisti458. "Ho taciuto, Signore, perchè l'hai fatto tu". Adoriamo la sua giustizia, e persuadiamoci che trattandoci così ci ha usato misericordia: l'ha fatto per nostro bene. Bene omnia fecit, dice san Marco459. "Egli ha fatto tutto bene".

San Vincenzo aggiunse quindi, che, consigliato da uno dei giudici di rifarsi con istanza civile, rispose: "O mio Dio! noi non ci curiamo di presentarla".

E proseguì:"Voi stesso, Signore, avete pronunziato la sentenza; essa sarà, se lo permettete,

irrevocabile, e, per non differirne l'esecuzione, facciamo fin da ora il sacrificio di quei beni alla vostra divina Maestà. E ve ne prego, signori e fratelli, accompagnamolo con un sacrificio di lode; benediciamo il somme Giudice dei vivi e dei morti di averci visitato nel giorno della tribolazione. Ringraziamolo infinitamente, per avere non soltanto allontanato il nostro affetto dai beni della terra, ma per averci spogliati di averci spogliati di fatto da quelli che avevamo, e perchè ci fa grazia di amare questo spogliamento. Voglio credere che siano tutti contenti della privazione di questo bene temporale; poichè, siccome Nostro Signore dice nell'Apocalisse460: Ego quos amo castigo, non dobbiamo amare i castighi, come segni del suo amore? Non basta amarli; occorre rallegrarsene. O mio Dio! chi ci farà questa grazia? Voi siete la sorgente di ogni gioia, e fuori di Voi non ve n'è alcuna vera; a Voi dunque la chiediamo. Si, signori, rallegriamoci perchè Dio ci ha trovato degni di soffrire. Ma come possiamo rallegrarci dei patimenti, dato che naturalmente dispiacciono, e si sfuggono? Nello stesso modo che si accettano le medicine; sappiamo bene che le medicine sono amare e che le più dolci rivoltano lo stomaco, anche prima di prenderle; eppure s'inghiottiscono lietamente; e perchè? Perchè si desidera la salute, che si spera di conservare o ricuperare con le purghe. Parimente, le afflizioni, che di per se stesse sono sgradevoli, contribuiscono tuttavia alla buona salute di un'anima e di una Compagnia; per mezzo di esse Dio la purifica, come l'oro per mezzo del fuoco. Nostro Signore, nel giardino degli Olivi, non sentiva altro che angosce e, sulla croce, altro che dolori, e talmente atroci, da sembrargli, nell'abbandono in cui si trovava di ogni soccorso umano, terrori della morte, e negli eccessi della passione, si rallegrò di fare la volontà del Padre suo; e quantunque rigorosa, la preferì a tutte le gioie del mondo; essa è stata il suo cibo e la sua delizia. Fratelli, la nostra allegrezza deve essere uguale nel veder compiere in noi il suo beneplacito, mediante le umiliazioni, le perdite e le pene che ci capitano. Aspicientes, dice san Paolo, in auctorem fidei, et consummatorem Iesum, qui, proposito sibi gaudio, sustinuit crucem, confusione contempta461. I primi cristiani, a testimonianza del medesimo apostolo, avevano gli stessi sentimenti: Rapinam bonorum vestrorum cum gaudio suscepistis462. Perchè non ci rellegreremo oggi con essi della perdita del nostro possedimento? O fratelli, quanto è contento Dio di vederci qui per parlare di questo, e vedere che ci eccitiamo a tal gioia! Da una parte, siamo dati come spettacolo al mondo, nell'obbrobrio e nella vergogna di tale sentenza, la quale ci proclama, sembra, come ingiusti detentori dei beni altrui: Spectaculum facti sumus mundo et Angelis et hominibus463. Opprobriis et tribulationibus spectaculum facti464. Ma d'altra parte: Omne gaudium existimate, fratres mei, cum in tentationes varias incideritis465;

458Sal 38, 10.459Mc 7, 37.460Ap 3, 19.461Eb 12, 2.462Eb 10, 34.4631 Cor 4, 9.464Eb 10, 33.465Gc 1, 2.

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reputate, fratelli, di avere ottenuto ogni gioia quando sarete caduti in diverse tentazioni e tribolazioni.

Persuadiamoci, dunque, di aver molto guadagnato, perdendo; poichè Dio ci ha tolto, insieme con questo podere, la soddisfazione che avevamo di averlo; e quella che avremmo avuto andandovi qualche volta; ed un sollievo simile, essendo conforme ai sensi, sarebbe stato per noi come un dolce veleno che uccide, come un coltello che ferisce e come un fuoco che brucia e distrugge. Eccoci liberati, per misericordia di Dio, da questo pericolo; ed essendo più esposti ai bisogni materiali, la divina bontà vuol sollevarci ad una maggior fiducia nella sua Provvidenza, costringerci ad abbandonarci del tutto ad essa per la necessità di questa vita, quanto per le grazie della salvezza. Oh! Dio volesse che questa perdita materiale fosse ricompensata da un aumento di fiducia nella divina Provvidenza e d'abbandono ai suoi voleri, da un maggior distacco dalle cose terrene e dalla rinunzia a noi stessi: o mio Dio! o fratelli! quanto saremmo felici! Oso sperare che la sua paterna bontà, la quale fa tutto per il meglio, ci concederà questa grazia.

Quali sono dunque i frutti che dobbiamo ritrarre da tale avvenimento? Il primo sarà di offrire a Dio tutto quello che ci rimane di possessi e di consolazioni, tanto per il corpo, quanto per lo spirito: di offrire a Lui noi stessi in generale e in particolare, ma sul serio, affinché disponga assolutamente delle nostre persone e di tutto quello che abbiamo secondo la sua santissima volontà; in modo di essere sempre pronti a lasciar tutto, per accettare gli incomodi, le ignominie e le afflizioni che ci capitano, e così seguire Gesù Cristo nella sua povertà, umiltà e pazienza.

Il secondo è di non fare mai causa, qualunque diritto ne abbiamo; o, se vi siamo costretti, sia soltanto dopo aver tentato tutte le vie immaginabili per metterci d'accordo, a meno che il buon diritto sia chiaro ed evidente; perchè chi si fida del giudizio degli uomini spesso rimane ingannato. Praticheremo il consiglio di Nostro Signore, il quale dice: "A chi vuol toglierti la tonaca, cedigli anche il mantello"466. Dio conceda alla Compagnia la grazia di seguire questa norma. Dobbiamo sperare che, se essa sarà fedele nell'adottarla e costante nel non discostarsene mai, la sua divina bontà la benedirà, e, se le si toglie da una parte, le sarà dato dall'altra".

190. CONFERENZA DEL 20 SETTEMBRE 1658SUL SILENZIO467

"Il primo motivo che la Compagnia della Missione ha di osservar bene la virtù del silenzio è perchè con il silenzio Dio è glorificato: Te decet hymnus, Deus, in Sion 468. Un'altra versione dice: Tibi silentium laus, Deus, in Sion469. Dio è glorificato con il silenzio, quanto con gl'inni cantati in suo onore.

Il secondo motivo è il gran vantaggio e i grandi beni che la Compagnia trova custodendo il silenzio, sia per l'anima che per lo studio o gli altri uffici da disimpegnarsi; poichè, siccome la mente dell'uomo non può rimanere inerte, se egli è obbligato a custodire il silenzio, si dedicherà maggiormente allo studio, se è un sacerdote o uno studente; se è un'altra persona, al suo ufficio ed occupazione. Chi non ha questa virtù del silenzio, se non si sforza a tutto potere di acquistarla, non farà altro che perdere il tempo, ad andare là, a venire qui, a parlare con quello, a chiacchierare con questo, nella camera, fuori della camera, a parlare di questo e di quello, a dare le

466Mt 10, 40.467Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 80.468Sal 64, 1.469Versione di S. Girolamo.

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notizie del giorno, della guerra, e via di seguito: insomma a perdere il tempo, ad intrattenersi di cose inutili e nocive, molto spesso, alle anime nostre.

Qualche tempo fa, non andavo mai o raramente dal nunzio del Papa, che dimorava in una casa di religiosi, senza incontrare alcuni di essi nel chiostro o nel giardino, tutti intenti a parlare gli uni con gli altri, a ridere, a guardare, a passeggiare. E donde ciò proveniva? Mancanza di silenzio; perchè se quelle persone fossero state amanti del santo silenzio, non si sarebbero viste comportarsi in questo modo.

Sapete che cosa è avvenuto da poco in una casa di religiosi di questa città? 470 Ve lo devo dire, fratelli? Purtroppo la cosa è incredibile, ma già troppo pubblica. Due religiosi sono stati uccisi. E come mai? Per mancanza di silenzio. Per essersi immischiati in cose in cui non avevano nulla a che fare. Il parlamento, sapendo che vi era qualche disordine, qualche discordia fra loro, ha voluto porvi rimedio; alcuni degli stessi consiglieri furono incaricati di recarsi in quella casa. Sul principio i religiosi hanno resistito; si sono rinchiusi e si sono difesi con le armi alla mano. Oh! cospetto! appena il parlamento lo seppe, inviò nuovamente una deputazione con gente armata, e alcuni di detti religiosi, come ho detto, sono stati feriti e sono morti. Ecco, fratelli, i mali che vengono non serbando il silenzio, volendosi impicciare delle cose del mondo, ecc. E il male è stato tanto grande che la persona che me l'ha riferito, mi ha detto che alcuni avrebbero meritato nientemeno che la galera. Vedete, fratelli, vedete a che punto si giunge471.

Ma vi dirò, inoltre, quello che è avvenuto qui dentro, in S. Lazzaro, si, in S. Lazzaro? E' avvenuta una cosa quasi consimile, non già, per grazia di Dio, al punto di questa, nè che sia apparsa esternamente; oh! no, non siamo giunti a tanto, ma era un avviamento per giungervi al più presto. Si, Dio ha permesso che da qualche giorno sia accaduto a S. Lazzaro una cosa quasi consimile. E' strano vedere come nella Compagnia, nata da poco e ancora in culla, avvengano tali cose! - Eh! ma che dunque, signore? che cosa è avvenuto? - Eccolo.

Quello che vi racconterò si è svolto tra i nostri studenti. Essi andavano a passeggiare nel nostro recinto, quando due di loro, precedendo i compagni, trovano un giuoco di birilli e si mettono a giuocare; sopraggiungono gli altri e dicono di voler prendere parte alla partita. Uno di questi getta per terra i birilli, uno dei due che avevano cominciato a giuocare li rimette a posto e di nuovo il primo li getta in terra. Infine, eccoli eccitati. Uno di coloro che avevano cominciato la partita, vedendo questa cos, prende un birillo e con esso dà un colpo nello stomaco di quello che aveva gettato in terra i detti birilli. Non si contenta di questo, ma replica, e gli dà un nuovo colpo sulla spalla, ma con tal forza che l'altro ne risente ancora il dolore. Osservate un poco, ve ne prego, a quale impeto di collera si è lasciato andare quel tale; vedete un poco se ciò non è causa di afflizione sensibilissima per la Compagnia. Ahimè! se una cosa simile avviene nella Compagnia al suo inizio, che sarà tra molti anni, quando forse s'intiepidirà nel suo primo fervore e nella sua fedeltà alle regole! Infine abbiamo fatto rinchiudere quello studente472.

Un altro motivo è che, secondo la massima dei santi, tutto procede regolarmente nella casa o nella comunità che osserva bene il silenzio, mentre, invece, in una comunità dove il silenzio non è punto osservato, si può dire che tutto vada male.

Ora veniamo al secondo punto, il quale riguarda i luoghi dove più particolarmente dobbiamo osservare maggior silenzio che in altri; cioè: 1° in chiesa; 2° in refettorio; 3° 470Gli Agostiniani.471Il racconto di questo triste scandalo si trova nella Gazette de France, 1658, p.265.472In margine: Nota: egli fu rinchiuso per otto giorni in una stanza, dove rimase tutto quel tempo a pane ed acqua. Informarmi presso il fratello Pasquale se è vero che non visse altro che di pane ed acqua, per essere più certo.

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in dormitorio; 4° nel chiostro. In certe ore, non parlare due a due nelle camere, e chi lo fa sappia che compie un'azione scandalosa e sarà causa che altri commettano la stessa mancanza, della quale egli conseguentemente sarà molto colpevole.

Il tempo del silenzio va da una ricreazione all'altra. Le suore di Santa Maria hanno tra loro due specie di silenzio; il primo che esse chiamano il gran silenzio, e l'altro, il piccolo silenzio. Durante il gran silenzio, il quale va dalle preghiere della sera al giorno dopo, finita l'orazione del mattino, non è permesso ad una suora parlare con l'altra, e questa regola è osservata esattamente e fedelmente. L'altro, chiamato da esse il piccolo silenzio, per distinguerlo dal suddetto, l'osservano dall'orazione del mattino sino al termine della ricreazione della sera, ed in questo tempo esse possono parlarsi, ma sottovoce e per cose necessarie; sono eccettuati i due tempi della ricreazione dopo il pranzo e dopo la cena. Ma fuori di allora non si parlano se non per necessità e sempre sottovoce. Ma una cosa da notarsi è che nessuna suora parla mai ad un'altra nella sua camera, senza il permesso della superiora. Ecco, fratelli, come il silenzio è osservato tra loro.

So bene che gli ufficiali hanno bisogno di qualche ora per poter parlare e provvedere agli affari della casa. Noi prendiamo il tempo immediatamente dopo l'esame generale come il più adatto e più comodo, e nel quale si può parlare di affari più facilmente senza essere interrotti. Mi sono informato come facciano altre comunità; mi è stato detto che non è possibile esonerarsi da questo; è una cosa necessaria. Bisognerà vedere se potremo prendere qualche altra ora nella giornata: però mi sembra difficile trovare altro tempo più favorevole e più adatto a tale scopo.

Un altro mezzo per osservare più esattamente il silenzio è di prendere, ciascuno in particolare, la ferma risoluzione di praticare tal virtù, cominciando da domani, notate bene, da domani; ciascuno si offra risolutamente a Dio per questo.

Un altro mezzo al quale dovremo giungere, io credo, è che, come è stata designata una persona che ogni mattina fa il giro delle camere per vedere se tutti si alzano e nessuno si esenta dall'orazione delle quattro e mezzo, così occorre incaricare qualcuno della Compagnia che vada per tutta la casa e sia come un sorvegliante della comunità, per vedere ciò che avviene ed avvertire il superiore di quello che avrà notato. Dai gesuiti, un padre si reca da per tutto e se si accorge che qualche cosa non va come si deve, ne avvisa il superiore, il quale impone la penitenza. Questa penitenza, scritta sopra il biglietto, è data al lettore di tavola, il quale, al principio del pranzo o della cena, la legge ad alta voce. Spetterebbe al sotto-assistente il farlo. Vi prego, signor Almèras, di consigliarvi con il vostro sotto-assistente e di vedere chi potremmo nominare per tale ufficio; perchè, vedete, quello che è accaduto agli studenti è un avvertimento che Dio fa a noi altri. E la missione cadrà nei medesimi inconvenienti dei religiosi di cui ho parlato, se trascura il silenzio; non ne dubitate.

Nei giorni passati, dalla nostra camera, dove ero con il signor parroco di S. Nicola 473, sentii che in questa sala si faceva molto rumore con i signori ordinandi; si parlava così forte che, vi assicuro, ne provai una gran pena. In altri tempi, ai Buoni Fanciulli, si sarebbe sentita volare una mosca, appena ci fu affidata la direzione degli ordinandi. E perchè ora non è più così? Perchè abbiamo perduto la virtù del silenzio. O mio Dio! o mio Salvatore! date nuovamente, o Signore, questa santa virtù alla piccola Compagnia della Missione! Chiediamola, fratelli, chiediamola insistentemente a sua divina Maestà"474.

191. CONFERENZA DEL 23 OTTOBRE 1658

473Ippolito Fèret, paroco di S. Nicola du Chardonnet, a Parigi.474Dette anche un altro mezzo, ma mi è sfuggito di mente: spero l'avrà raccolto qualche altro della Compagnia.

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ESORTAZIONI AGLI STUDENTI CHE STAVANO PER COMINCIARE IL CORSO DI FILOSOFIA475

Gli studenti, stando per cominciare il loro corso di filosofia, si recarono, accompagnati dal signor Guillot, prete della Compagnia e loro direttore, a trovare il signor Vincenzo, al quale chiesero, in ginocchio, la benedizione che egli dette loro, inginocchiato lui pure, secondo il solito. Raccomandò quindi vivamente a quei giovani di studiare diligentemente con lo spirito che Nostro Signore desidera, per servir meglio Dio e più utilmente il prossimo; di stare molto attenti che l'orgoglio non si impadronisse del loro cuore con il desiderio di comparire, di essere stimati, di fare bella figura, poichè molti giovani, uscendo dal noviziato e dai seminari, si perdono assai spesso per quella via e perdono lo spirito del loro seminario.

"Orbene, aggiunse, per evitare questo male, fratelli, non desiderate eccessivamente di ottenere una buona riuscita, di riportare il premio, di fare pompa della vostra abilità, sia nell'argomentare, sia nel difendere, sia nel sostenere le vostre tesi; ma auguratevi piuttosto, desiderate e chiedete a Nostro Signore la grazia di amare e praticare l'umiltà in tutto e ovunque, di amare la vostra abiezione, di non cercare nè bramare altro che questo, e soprattutto convincetevi che avete qualche cosa che valga, poco o molto, in voi, lo dovete a Dio, poichè è Dio che ve l'ha dato. Vivete, fratelli, con questo spirito, cercate di conservarlo, se l'avete già; e, se non l'avete, chiedetelo insistentemente a Nostro Signore. La filosofia che imparerete vi serva ad amare e a servire maggiormente il buon Dio, ad elevarvi a Lui per mezzo dell'amore; mentre studierete la scienza filosofica di Aristotele ed imparerete tutte le sue divisioni, imparate anche la scienza di Nostro Signore e le sue massime e mettetele in pratica in modo che quello che imparerete no vi gonfi d'orgoglio, ma vi aiuti a servir meglio Dio e la sua Chiesa. La filosofia è utilissima ad una persona, quando se ne serve nel dovuto modo e nello spirito di Nostro Signore; altrimenti contribuisce a mandare in rovina le anime e a riempirle di superbia.

Benedictio Domini Nostri ...".

192. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL NOVEMBRE 1658BIASIMO RIVOLTO AD UN CHIERICO CHE AVEVA CHIAMATO LA

COMPAGNIA, SANTA COMPAGNIA - COME FARE ORAZIONE - TRISTI CONDIZIONI DELLA RELIGIONE IN ALCUNI PAESI - LA COMPAGNIA DEVE CHIEDERE A DIO IL DONO DELLE LINGUE - MODO D'IMPARARLE.476

Il signor Vincenzo, alla ripetizione dell'orazione, corresse un chierico il quale, ripetendo la sua orazione e parlando della Compagnia, l'aveva chiamata santa Compagnia, e gli disse che bisognava dire la Compagnia, o questa Compagnia puramente e semplicemente.

Ed aggiunse:"Vedremo se l'assistente o il sotto-assistente non saranno obbligati di leggere loro

stessi i punti della meditazione, perchè mi sembra che no ci si conduca abbastanza bene nel fare l'orazione mentale; non si entra sufficientemente nella materia dell'orazione proposta ogni giorno. Forse dipende dal fatto che i punti del soggetto da meditarsi non sono bene capiti. Ora, essi potrebbero fare a questo modo e dire: "Fratelli, ecco quanto la meditazione ha di mira; nel primo punto mediteremo questo; nel secondo questo e nel terzo questo". Con tal mezzo, fratelli, potrete capire più facilmente il soggetto che dovete meditare.

475Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 82.476Manoscritto delle ripetizioni dell'orazione, f° 83.

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Per esempio, oggi era sulla scelta che Nostro Signore fece degli apostoli; ebbene! vi erano tante e tante belle cose da meditare! Dodici poveri operai, poveri pescatori, da Lui scelti per convertire il mondo, per distruggere l'idolatria, ecc. Ne sceglie dodici soltanto, non più. In questa meditazione si poteva considerare il grande bisogno che la Chiesa ha di buoni sacerdoti, di buoni operai. Ve ne sono molti, è vero, ma in questo numero ve ne sono pure molti non buoni, nè quali dovrebbero essere per lavorare utilmente nella vigna del Signore; ve ne sono molti viziosi. Chiedete dunque a Dio, fratelli, che si degni mandare buoni operai, buoni sacerdoti alla sua Chiesa, buoni missionari alla Compagnia; ma che siano buoni e bene scelti. Ecco quello che dovevamo fare in questa meditazione, che rispondeva perfettamente a questo scopo.

Il signor Jolly mi scrive da Roma di aver fatto fare il ritiro ad una trentina di giovani che la Propagazione della Fede mantiene in un collegio dove li fa studiare, e tra loro ve n'era persino uno della Moldavia, provincia vicina all'Ungheria. Questo giovane diceva al signor Jolly che in tutta la sua provincia, vastissima, non vi sono che setto od otto sacerdoti in tutto. Quale la causa? L'eresia. Non dovrebbe ciò incoraggiarci, fratelli, a consacrarci risolutamente a Dio per renderci utili, più che potremo, a servirlo nella nostra vocazione, mettendoci in condizioni di poter assistere quella povera gente, se la divina Provvidenza ci chiamasse in quel paese?

Monsignor vescovo della Rochelle477, quando era ancora vescovo di Saintes, mi diceva un giorno che in quella diocesi v'erano ben pochi che volessero essere di Chiesa e farsi sacerdoti, e che ciò proveniva dall'eresia, di cui quella diocesi era infetta in molti posti. Gli eretici, disse, avevano reso talmente spregevole lo stato ecclesiastico che a stento si sarebbe trovato in tutta la sua diocesi un ragazzo che avesse voluto farsi sacerdote, e se anche l'avesse voluto, il padre e la madre glielo avrebbero proibito. E di fatti, anche oggi, nel seminario di Saintes vi sono soltanto quattro o cinque seminaristi.

E' necessario che la Compagnia chieda insistentemente a Dio il dono delle lingue; Egli lo dette agli apostoli dopo che li ebbe scelti, dimodochè essi intendevano tutti coloro che parlavano, sebbene di vari paesi e di nazioni differenti; e gli apostoli si facevano parimente intendere, parlando e rispondendo nel loro stesso idioma. Chiediamo a Dio, fratelli, di darci almeno il desiderio di imparare le lingue; tutti devono essere disposti a questo e chiederlo a Dio. La grande e santa Compagnia dei padri gesuiti vi si applica moltissimo, e una delle prime cose che i suoi membri fanno, quando sono mandati in paese straniero, è imparare la lingua; e pongono in questo la loro cura tutta particolare e conducono sempre seco qualcuno del paese, o qualche altro che conosca la lingua per essere aiutati. Lo stesso devono fare quelli della Compagnia che verranno destinati ai paesi stranieri, quando dio ve li chiamerà.

Il nostro povero, ma fortunato signor Nacquart fece in questo modo; appena arrivato in Madagascar, prese con sè un francese che capiva la lingua di quell'isola e cominciò a studiarla, ad imparare i nomi, poi i pronomi, i verbi, dopo a coniugare e così di seguito; e in tal modo, al termine di quattro mesi, la capiva ed era in grado di cominciare a fare il catechismo.

Mi auguro dunque che la Compagnia ami fare lo stesso quando ne offrirà l'occasione e quando un missionario sarà mandato in un luogo di cui non conosce la lingua. Chiediamo a Dio di renderci facile questo studio, poichè si è degnato chiamarci al medesimo ufficio degli apostoli".

193. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DELL'11 NOVEMBRE 1658

477Giacomo-Rodolfo de la Guibourgère.

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NOTIZIE DEI MISSIONARI DI POLONIA - PERICOLI CHE INCORRE AD ALGERI IL FRATELLO BARREAU - RACCOMANDA ALLE PREGHIERE SANTI BOURDAISE - GRANDO ATTO DI CARITA' DI S. MARTINO478

"Raccomando alle preghiere della Compagnia i nostri infermi; raccomando inoltre quei missionari479, che hanno attraversato il mare, non senza pericolo. Gli uni erano in una grossa nave ed erano più al sicuro; gli altri, imbarcati in una nave più piccola, erano in serio pericolo, a causa dei Turchi che fanno continue scorrerie su quel mare, da Marsiglia a Genova e Roma.

Raccomando anche i nostri buoni signori Desdames e Duperroy. Ricevei ieri o ieri l'altro le loro lettere nelle quali mi dicono che la peste persiste ancora a Varsavia e che nella loro parrocchia di Santa Croce muoiono circa venti persone alla settimana. Mi scrivono in modo che li direste al riparo da questi pericoli, ed io non ho saputo scorgere dalle loro lettere che essi abbiano la minima paura.

Raccomando parimente alle vostre preghiere un nostro fratello, il quale si trova in grandi angustie per un incidente sopraggiunto; è il nostro buon fratello Barreau, che è ad Algeri. Ecco di che si tratta.

A cinquanta leghe da Algeri, tra Tunisi ed Algeri, ossia a mezza strada tra le due città, v'è una fortezza tenuta dai francesi, nella quale era un governatore con un presidio di soldati; ciò fu concesso dal Gran Signore al re di Francia, nel trattato che fecero insieme, con l'obbligo però di pagare un tributo ogni anno alla città di Algeri. Questa fortezza era stata ottenuta dal re di Francia per favorire il commercio dei cristiani con gli arabi e gli abitanti di quei paesi. Da qualche anno tale tributo non è stato pagato; perciò quelli di Algeri hanno mandato quattro spahi e cinquanta mori dal Governatore a reclamare il denaro, ma questi non se n'è dato per inteso. Gli spahi l'hanno minacciato, dicendogli che se non avesse pagato, sarebbe venuta una truppa che non era lontana da lì, e l'avrebbe fatto pagare per forza. Il governatore, udendo ciò, fa armare la sua guarnigione, s'impadronisce degli spahi, di quei quaranta o cinquanta mori e di altri uomini che avevano seco, li lega, li mette su una nave, fa caricare tutti i mobili che può e che erano in quella fortezza; li fa, dico, caricare su una nave. Ciò fatto, esce dalla fortezza con tutta la sua gente, poi vi appicca il fuoco e fila dritto verso l'Italia.

Vi lascio immaginare, fratelli, in quale pericolo si trovi ora il nostro fratello console ad Algeri, e tanti poveri cristiani schiavi francesi, il cui numero si avvicina a dieci mila tra quelli che sono ad Algeri e quelli dei dintorni. O Salvatore! o mio Salvatore! che cosa avverrà di quei poveretti? Che faranno? Che farà il nostro povero fratello, quell'uomo che ha lasciato la sua patria, i suoi parenti, il paese nativo, dove poteva vivere tranquillamente? Eppure ha lasciato tutto per Iddio, per servire Dio, per assistere il prossimo, ossia quei poveri schiavi!

Il signor Bourdaise, fratelli, il signor Bourdaise, che è lontano e così solo, e, come avete saputo, ha generato a Gesù Cristo, con tanta pena e tanta fatica, un gran numero di anime nel paese dove si trova, preghiamo anche per lui. Signor Bourdaise, siete voi ancora in vita o no? Se lo siete piaccia a Dio conservarvela ancora! Se siete in paradiso, pregate per noi!

O fratelli, qual felicità per la Compagnia, aver soggetti tanto buoni, come quei suoi servi di cui ho parlato! E' così, fratelli, è in questa disposizione che dobbiamo essere noi tutti quanti siamo, ossia esser sempre pronti e disposti a lasciar tutto per servire Dio e il prossimo, e il prossimo, badate, e il prossimo per amor di Dio.

478Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 84.479In margine: Nota quelli di cui parla qui sono il signor Berthe e quelli della Compagnia che egli aveva condotto con sè a Genova e a Roma.

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Pensate a quello che fece S. Martino; ce l'hanno ricordato or ora. Quel gran santo, sebbene catecumeno, vedendo un povero chiedergli l'elemosina, prese la spada, tagliò la metà del suo mantello e gliela dette. Tale atto di carità piacque tanto a Nostro Signore che la notte seguente gli apparve lui stesso, coperto con quel mezzo mantello. E la Chiesa ha tanta stima e venerazione per la carità di S. Martino, che ce lo rappresenta non già con le insegne di vescovo o arcivescovo, benchè questa sia un'altissima dignità, ma ce lo fa vedere a cavallo, vestito da soldato, nell'atto di tagliare la metà del mantello".

Quindi il signor Vincenzo si alzò e finì in tal modo il suo breve discorso.

194. RIPETIZIONE DELL'ORAZIONE DEL 17 NOVEMBRE 1658BIASIMO RIVOLTO AD UN SACERDOTE CHE SI ERA RICUSATO DI

RIPETERE L'ORAZIONE - ALTRI RIMPROVERI - SEVERA PENITENZA.480

Il signor Vincenzo chiamò un sacerdote già anziano della Compagnia, cioè ricevuto in essa da dodici o tredici anni, perchè ripetesse la sua orazione; ma essendosi scusato, il signor Vincenzo gli disse che l'avvertiva che non era la prima volta che si ricusava di ripetere l'orazione e che anzi era questa la sua abitudine. "E' strano, aggiunse, volersi scusare e rifiutarsi di fare una cosa di tanta edificazione e da cui ognuno ritrae tanto frutto per la virtù, qual'è la ripetizione dell'orazione, e gli altri la fanno bene. Anche i nostri poveri fratelli coadiutori vedete che la fanno tutti, ad eccezione di pochi, riferendo semplicemente quello che hanno ricevuto da Dio, chi più, chi meno, secondo i lumi che sua divina Maestà ha loro comunicato. Gli studenti la fanno, i seminaristi pure. Se talora qualcuno confessa di non aver concluso nulla nell'orazione, pazienza!, una altra volta dio gli ispirerà qualche cosa che ripeterà quando sarà interrogato. Ma voi, signori, vi scusate tutte le volte che siete chiamato".

E poichè quel sacerdote era in piedi e non si metteva in ginocchio, gli disse queste parole: "Signore, siete voi in posizione da ricevere l'avvertimento che ho da darvi?". Ed allora si mise in ginocchio.

Il signor Vincenzo lo ammonì anche perchè il venerdì precedente si era assentato dalla conferenza serale, nonostante gli fosse detto di andarvi, chiamando ciò una disobbedienza formale.

E perchè quel sacerdote, vedendosi così avvertito pubblicamente, volle scusarsi dicendo che credeva di essere dispensato quella sera dall'assistervi, il signor Vincenzo gli disse di no, che non era vero, che anzi gli aveva detto: "Andiamo signore, andiamo!" e che quando il fratello, incaricato della visita durante la conferenza, gli ebbe riferito che era in camera invece di essere alla conferenza, ne rimase molto meravigliato. Di più, disse a questo sacerdote che voleva scusarsi:

"Signore, non bisogna parlare nè scusarsi, quando si è avvertiti di qualche cosa; ma tacere, umiliarsi, ricevere la penitenza che è data ed eseguirla".

Un'altra cosa di cui l'avvertì, è che riposava spesso, con il pretesto d'incomodi e mancava frequentemente di trovarsi all'orazione.

L'avvertì pure perchè, trovandosi con altri due nel recinto interno, aveva fatto un'azione molto incivile per un sacerdote, e se qualche esterno l'avesse visto, ne avrebbe ricevuto una pessima impressione; non volle però fare i nomi dei due che erano con lui.

Disse inoltre, che essendo già anziano nella Compagnia, doveva essere di esempio; che dapprima l'aveva visto tanto devoto, anche quando era ragazzetto; nel Mans, dove era stato mandato si era comportato molto bene, ed anche qui; tuttavia da circa due anni, era stata notata in lui una certa rilassatezza e si era fatto vincere dalla pigrizia.

480Manoscritto delle ripetizioni della orazione, f° 85.

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"Forse fa pena, aggiunse il signor Vincenzo, vedere che, essendo sacerdote, dovete essere avvertito di tali colpe e in questo modo. Ma come! è pur necessario avvertire dei difetti. Nostro Signore, quando avvertiva gli apostoli, chiunque fossero, come faceva? Di quali parole si serviva? "Vattene Satana, ritirati da me"481. Ecco come Nostro Signore li avvertiva. Sono queste le parole di cui si servì. Eppure si trattava di una mancanza, dove non sembrava fosse gran colpa, perchè Nostro Signore parlava della sua passione e di quello che avrebbe dovuto soffrire e san Pietro, credendo di far bene, volle deviare tali discorsi che Nostro Signore teneva loro; nonostante, Nostro Signore, per correggerlo, si servì della parola Satana, chiamandolo in questo modo.

Gli avvertimenti elencati nel diritto civile e canonico non si fanno e non sono stabiliti se non per l'edificazione dei cristiani, affinché non cadano tanto facilmente nelle colpe o si correggano se vi sono caduti; gli altri che odono tali avvertimenti stiano attenti a non cadere e, se sono caduti, a correggersene e chiederne perdono a Dio.

E affinché ognuno della Compagnia sappia che deve essere disposto a render conto della sua orazione, quando sarà pregato di farlo, e che non deve cercare scuse, voi, signore, perchè siete caduto più volte in tale mancanza, e perchè vi ricordiate di non ricadervi in avvenire, come pure nelle altre colpe di cui siete stato ammonito, vi asterrete oggi e domani dal celebrare la santa messa. Ecco la penitenza che vi do".

195. CONFERENZA DEL 6 DICEMBRE 1658SUL FINE DELLA CONGREGAZIONE DELLA MISSIONE482

(Regole comuni, cap. I, art. 1)

"Fratelli, stasera non terremo la conferenza nel modo solito, a guisa di conferenza, ossia permettendo che ognuno dica i propri pensieri sull'argomento proposto. Abbiamo pensato che sarebbe stato opportuno fermarci sulla spiegazione delle regole della Compagnia; e perchè, miserabile che sono, io non le osservo, temo di non capire quanto sia importante tale osservanza e, perciò, di non poter dir nulla che ridondi a gloria di Dio e spieghi lo spirito della regola per farla conoscere. Faremo tuttavia un tentativo e vedremo se sarà conveniente continuare, o da me o da altri, con lo stesso sistema.

E' bene leggere le regole, per poterne poi parlare".Ed avendo fatto avvicinare la lampada ed aperto il libro, disse:"Ecco la prima regola, dalla quale la ragione vuole che cominciamo; la leggerò in

francese a causa dei nostri fratelli che non capiscono il latino.La Sacra Scrittura c'insegna che Nostro Signore Gesù Cristo, essendo stato mandato

nel mondo per salvare il genere umano, cominciò prima a fare e poi ad insegnare. Compì la prima cosa, praticando perfettamente ogni sorta di virtù, e la seconda, evangelizzando i poveri e dando agli apostoli e ai discepoli la scienza necessaria per dirigere i popoli. E desiderando la piccola Compagnia della Missione imitare il medesimo Gesù Cristo Nostro Signore, per quel poco che le è possibile con l'aiuto della sua grazia, tanto rispetto alle sue virtù, quanto agli uffici per la salvezza del prossimo, è conveniente che si serva di tali mezzi per mantenere degnamente questo pio proposito. Perciò il suo fine è: 1° di lavorare alla propria perfezione, facendo quanto è possibile per praticare le virtù che il divin Maestro si è degnato di insegnarci con la parola e con l'esempio; 2° predicare il Vangelo ai poveri, particolarmente a quelli della campagna; 3° aiutare gli ecclesiastici ad acquistare le scienze e le virtù necessarie al loro stato.

481Mc 8, 33.482Manoscritto delle Conferenze. ABELLY riproduce (op. cit., 1, II, cap. V), con notevoli varianti, una parte di tale conferenza.

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Ecco, fratelli, le prime parole delle nostre regole, le quali ci fanno vedere i disegni di Dio sulla Compagnia e come fin dall'eternità Egli avesse l'idea dello spirito e dei servigi della Compagnia medesima. Orbene, la regola contenuta nelle parole che abbiamo udito, se regola possiamo chiamarla, dice, alla fine dell'articolo, che la piccola Compagnia deve servirsi dei medesimi mezzi che Nostro Signore praticò per corrispondere alla sua vocazione, i quali mezzi sono: 1° cercare la propria perfezione; 2° evangelizzare i poveri, particolarmente quelli della campagna; e, in terzo luogo, servire gli ecclesiastici. Ecco la regola; abbiamo fatto in questo come nei concilii, nei quali, prima di compilare il canone, i cardinali e i prelati espongono la dottrina e presentano non solo la materia di cui devono comporre detto canone, ma anche le ragioni che hanno di farlo. Quello che precede la nostra regola dice Nostro Signore, essendo venuto al mondo per salvare gli uomini, cominciò a fare e poi ad insegnare. Compì la prima cosa praticando tutte le virtù, e tutte le sue azioni erano altrettante virtù convenienti a un Dio fattosi uomo per essere di esempio agli altri uomini; praticò la seconda istruendo il povero popolo nelle verità divine e dando agli apostoli la scienza necessaria per la salvezza del mondo, per dirigere i popoli e renderli felici.

Lo scopo della Compagnia è di imitare Nostro Signore, per quanto povere e meschine creature possano farlo. Che cosa ciò significa? Significa che essa si è proposta di conformarsi a Lui nella sua condotta, nelle sue azioni, nei suoi fini. Come può una persona rappresentare un'altra se non ha le stesse fattezze, gli stessi lineamenti, la stessa statura, lo stesso modo di fare e di guardare? Non è possibile. E' dunque necessario, se ci siamo proposti di renderci somiglianti a questo divino modello, e se sentiamo i nostri cuori infiammati da questo desiderio e da questo santo effetto, è necessario, dico, cercare di conformare i nostri pensieri, le nostre opere e le nostre intenzioni alle sue. Egli non è soltanto Deus virtutum, ma è venuto a praticare tutte le virtù; e siccome ogni sua azione e inazione, tutte erano altrettante virtù, anche noi dobbiamo conformarci a questo, cercando di essere uomini di virtù, non solo nel nostro intimo, ma operando virtuosamente anche all'esterno, dimodochè tutto quello che facciamo o non facciamo sia secondo questo principio. Così dobbiamo interpretare le parole che precedono la nostra regola.

Era conveniente, fratelli, cominciare la regola dal dire il fine cui mira la Compagnia, e in che e come essa potrà servire Dio. Così hanno fatto sant'Agostino, san Benedetto e tutti coloro che hanno istituito qualche Compagnia; prima di tutto hanno detto quello che devono fare, ed hanno cominciato dalla definizione dell'Istituto. Era perciò opportuno mettere a capo delle nostre regole il segno o lo scopo cui miriamo. Se ci domandassero: "Perchè siete nella missione?", dovremmo poter testimoniare che ci ha chiamato Dio, affinché lavoriamo: primo, alla nostra perfezione; secondo, per la salvezza dei poveri; e, terzo, al servizio dei sacerdoti, e dire: "Io vi sono per questo". O signori, o fratelli, che vi sembra di tal fine? Poteva Nostro Signore darcene uno più santo e più santificante, più conforme alla sua infinita bontà e più adatto alla sua Provvidenza nella cura che essa ha di condurre gli uomini a salvezza? Il nostro fine è dunque di cercare la nostra perfezione, di evangelizzare i poveri e di insegnare le scienze e le virtù proprie agli ecclesiastici.

Quanto alla prima parte, noi vi siamo invitati dal Vangelo, nel quale i sacerdoti e tutti i cristiani trovano una regola di perfezione, non di una perfezione qualsiasi, ma simile a quella dell'Eterno Padre. Meraviglioso decreto del Figlio di Dio! "Siate perfetti, Egli dice483, come il vostro Padre celeste è perfetto". La mira è molto alta. Chi potrà raggiungerla? Perfezionarsi come il Padre Eterno! Eppure, questa è la misura. Ma, poichè non tutti i cristiani se ne preoccupano, Dio, scorgendo la negligenza della maggior parte, suscita, per vie mirabili, alcuni che si consacrano alla sua divina Maestà,

483Mt 5, 48.

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per cercare, con la sua grazia, di perfezionare se stessi e perfezionare gli altri. A che serve questa perfezione? A renderci accetti agli occhi di Dio, ad aver la grazia santificante e ad averla senza interruzione. Per essa sola i nostri pensieri, le nostre parole e opere, tutto in noi Gli è gradito, e Gli è gradito anche quello che tralasciamo di fare. Oh! qual felicità! oh! qual felicità per un missionario che mette tutto il suo impegno per rendersi gradito a Dio, che fa tutti i suoi sforzi per togliere da sè tutti gli impedimenti ed acquistare quello che gli manca! Questa fatica ci rende accetti a Dio. Orsù, signori, ciò suppone che lavorare per l'acquisto delle virtù, equivale a lavorare per rendersi cari a Dio; dobbiamo dunque farlo continuamente, ricevere la grazia a tale scopo, andar sempre più avanti, plus ultra. E se al mattino siamo a sei gradi, nel pomeriggio dobbiamo giungere a sette, facendo le nostre azioni più perfette che ci sarà possibile. Che fa un sacerdote od un fratello che la mattina si eleva a Dio, per offrirgli tutto quello che farà nella giornata, in unione alle azioni e alle intenzioni di Nostro Signore, che rinunzia alla vanità, alla compiacenza, ad ogni interesse personale? Fa un atto di perfezione che lo rende accetto a Dio più di quello che fosse la sera precedente. Che fa colui che, nell'orazione, studia le sue cattive intenzioni, prende i mezzi per combatterle, si eccita al pentimento dei peccati, si affeziona alle umiliazioni, ai patimenti, si accende di zelo? Costui fa un atto di perfezione, che lo rende accetto a Dio, oggi più di ieri. Ciò posto, signori, saremo tanto più graditi a Dio, quanto praticheremo la virtù. Ecco a che cosa deve condurci la nostra regola. Ringraziamo Dio di questa felice sorte. O Salvatore, o fratelli! quanto siamo fortunati di trovarci nella via della perfezione! Salvatore, fateci la grazia di camminar in essa diritti e senza soste.

In una parola, in che consiste la nostra perfezione? Consiste nel far bene tutte le nostre azioni: 1° come uomini ragionevoli, nel trattar bene con il prossimo, nel non mancare alla giustizia verso di esso; 2° come cristiani, nel praticar la virtù come Nostro Signore ce ne dette l'esempio; 3° infine, come missionari, nel far bene le opere che Egli stesso fece e con il medesimo spirito, per quanto la nostra infermità, che Dio conosce tanto bene, può permetterlo; ecco a che dobbiamo tendere. Quindi, fratelli, se un missionario non pensasse ad altro che alla scienza, a predicar bene, a dire meraviglie in una provincia, a commuovere tutta una popolazione, stimolandola alla compunzione e a tutto l'altro bene che si fa per mezzo delle missioni o, per meglio dire, per la grazia di Dio; se tal uomo poi trascurasse la meditazione e gli altri esercizi della sua regola, sarebbe un missionario? No, mancherebbe dell'essenziale, che è la propria perfezione. E' ben giusto che le persone chiamate ad uno stato importante qual'è quello di servire Dio, come noi lo serviamo, e che hanno ricevuto la grazia di corrispondere a tal vocazione, si rendano accette ai suoi occhi e facciano di tutto per piacergli. La sposa non deve rendersi gradita allo sposo, in modo che nulla in lei possa spiacergli?

Inoltre, noi siamo i mediatori per riconciliare gli uomini con Dio. Orbene, per riuscirvi, la prima cosa che dobbiamo fare è cercare di piacere a Dio, come, appunto, si fa quando si vuole ottenere grazia da un personaggio eminente, un principe o un re: si sceglie una persona che goda il suo favore, che sia ascoltata e non abbia in sè nulla che possa impedire la grazia desiderata.

Quindi, signori, è troppo necessario che non ci stanchiamo mai di tendere alla nostra perfezione e di far bene le nostre azioni, affinché siamo conformi al beneplacito divino e con questo mezzo ci rendiamo degni di aiutare gli altri. Per conseguenza, un superiore che trascuri in missione le pratiche spirituali e il buon ordine, che lasci andare tutto secondo la fantasia di ognuno, e non consideri il suo progresso spirituale come la principale cosa, trasgredisce il primo punto della sua regola, la quale esige che si perfezioni noi stessi. Una risoluzione, dunque, da prendersi, è di offrirci a dio per fare e far bene, ciò più importa, le nostre azioni usuali nelle circostanze che possono renderle gradite a Dio; ecco la nostra perfezione. Altrimenti, quid prodest homini si mundum

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universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur?484. Che ci servirà aver fatto meraviglie per gli altri, ed aver lasciato l'anima nostra nell'abbandono? Nostro Signore so sottraeva alle turbe per dedicarsi all'orazione e voleva che gli apostoli si ritirassero, come Lui, in disparte, dopo aver sbrigato le faccende esteriori, per non omettere i loro esercizi spirituali; e la loro perfezione fu di far bene le une e gli altri.

La seconda cosa indicataci dalla regola, è di istruire le popolazioni della campagna; ecco a che siamo chiamati. Si, Nostro Signore esige che evangelizziamo i poveri; questo è quello che fece Lui e che vuol continuare a fare per mezzo nostro. E' un gran motivo di umiliarci vedere che l'Eterno Padre ci chiama a continuare le opere del Figlio suo, il quale venne ad evangelizzare i poveri e dette in tal modo la prova evidente di essere il Figlio di Dio e che il Messia atteso era venuto. Grande obbligo abbiamo dunque verso la sua bontà infinita per essergli associati in quel divino mistero e per essere stati scelti tra tanti e tanti altri maggiormente degni di questo onore, e più capaci di riuscirvi di noi!

-Ma, signore, non siamo i soli ad istruire i poveri; i parroci che fanno di diverso? Che fanno i predicatori tanto delle città quanto delle campagne? Che fanno nell'avvento e nella quaresima? Predicano ai poveri e predicano meglio di noi. - E' vero, ma nella Chiesa di Dio non si trova nessuna Compagnia addetta particolarmente ai poveri e che si dia tutta ai poveri per non predicar mai nelle grandi città; i missionari fanno appunto professione di questo; la loro particolarità è di essere, come Gesù Cristo, dedicati ai poveri.

La nostra vocazione è dunque una continuazione della sua, o, per lo meno, le assomiglia nelle sue circostanze. Oh! qual felicità, fratelli, ma quale obbligo di amarla! Un gran motivo di amarla è dunque la sua grandezza; far conoscere Dio ai poveri, annunziare loro Gesù Cristo, dir loro che il regno dei cieli è vicino ed è per i poveri. Oh! quanto è grande! Ma che siamo chiamati ad essere soci e partecipi dei disegni del Figlio di Dio, ciò sorpassa il nostro intendimento. Ma come! renderci... oserò dirlo? ... insomma è una missione tanto sublime quella di evangelizzare i poveri, che è, per eccellenza, la missione del Figlio di Dio; e noi siamo applicati come strumenti per mezzo dei quali Egli continua a fare dal cielo quello che fece sulla terra. E' una gran ragione, fratelli, di lodare Dio e ringraziarlo continuamente di questa grazia!

Un altro motivo di darci totalmente a questo ministero è la necessità. Voi sapete, signori, quanto sia grande, sapete l'ignoranza quasi incredibile del povero popolo, e sapete che non c'è salvezza per le persone che ignorano le verità cristiane necessarie a sapersi, ossia secondo l'opinione di san'Agostino, di san Tommaso e di altri, i quali dicono che una persona, che non sa che cosa sia il Padre, nè il Figlio, nè lo Spirito Santo, nè l'Incarnazione, nè gli altri misteri, non può salvarsi. Infatti, un'anima che non conosce Dio, che non sa quello che Dio ha fatto per suo amore, come può credere, sperare, amare? E come si salverà, senza fede, senza speranza, senza amore? Dio vedendo, adunque, tal necessità e i mali che, nel succedersi dei tempi, sono derivati dalla negligenza dei pastori e dal sorgere delle eresie che hanno recato sì gran danno alla Chiesa, ha voluto, per sua somma misericordia, rimediarvi con i missionari e li ha mandati per mettere quei poveretti in condizione di salvarsi.

Altri dottori trovano questa opinione un pò troppo severa, sebbene fondata sulle parole di Nostro Signore: Haec est vita aeterna ut cognoscant te solum Deum verum et quem misisti Iesum Christum485; la vita eterna è che conoscano Te, solo vero Dio, e Gesù Cristo che hai mandato. Da ciò possiamo concludere che chi non conosce l'unità di Dio, nè la Trinità, nè Gesù Cristo, non avrà la vita eterna.

484Mt 16, 26.485Gv 17, 3.

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Alcuni dicono, dunque, che non è possibile salvarsi senza tal conoscenza, altri ritengono il contrario. Nel dubbio non è meglio seguire l'opinione più sicura? In dubiis tutior pars est tenenda. E poi c'è nulla di più degno al mondo che istruire gl'ignoranti di queste verità, come necessarie alla salvezza? Non è manifesta la bontà di Dio nel provvedere a questo bisogno? O Salvatore! o mio Salvatore e mio Dio! voi suscitate una Compagnia a tale scopo; l'avete mandata ai poveri, e volete che ella faccia conoscere Voi ad essi per solo vero Dio e Gesù Cristo che avete mandato sulla terra, affinché abbiano così la vita eterna. Tal considerazione deve farci preferire il nostro ministero a tutte le dignità e a tutti gli uffici della terra e reputarci veramente fortunati. O Dio, chi potrà comprenderlo!

V'è un'altra necessità di assistere le povere popolazioni; ed è che molti di esse non fanno buone confessioni e tacciono scientemente peccati mortali; dimodochè non ricevono l'assoluzione e morendo in tale stato sono dannati per sempre. Eppure quanti ne troviamo che tacciono pre vergogna! Non mancano di andare a confessarsi e comunicarsi; ma queste buone azioni sono per loro altrettanti sacrilegi.

Ne incontrai uno che aveva un peccato orribile, di cui non aveva mai avuto la forza di accusarsene. Accadde che in una malattia, trovandosi in pericolo di morte, si confessò al parroco senza manifestare quel grave peccato, eppure sapeva benissimo che non dicendolo commetteva un sacrilegio e si sarebbe dannato morendo in tale stato; tuttavia, non volle dirlo. Ricuperata la salute, e dandosi la missione in un villaggio vicino al suo, vi si recò, si confessò e ci narrò poi tutto quello che ora vi ho detto.

Da tale esempio, considerate, ve ne prego, qual motivo abbiamo di lodare Dio, per averci mandati come rimedio a tanta sventura, e di infiammare i nostri cuori all'amore della fatica nell'assistere il povere popolo. Ma dobbiamo dedicarvici sul serio, poichè il suo bisogno è estremo e Dio lo vuole da noi.

Perciò vanno contro la regola tutti coloro che non vogliono andare in missione, o che, dopo avervi sofferto qualche pena, non vogliono ritornarvi, oppure, sentendosi inclinati a lavorare nei seminari ecclesiastici, non vogliono staccarsene, o stando bene in qualche altro ufficio non intendono lasciarlo per andare a quello delle missioni, pur tanto necessario. E' certamente cosa degna di un missionario avere a conservare il desiderio di andare nelle missioni ad assistere le povere popolazioni, come Nostro Signore stesso le assisterebbe se fosse ancora sulla terra, ed infine formulare l'intenzione di vivere e di morire in questo santo esercizio. Ecco il da farsi; le difficoltà non devono spaventarci; è l'opera di Dio e merita bene che sormontiamo le ripugnanze e resistiamo alle tentazioni. E' quanto avviene a tutti coloro che vogliono seguire Nostro Signore; e con ciò? il Figlio di Dio, non vi fu soggetto? Egli le superò tutte e senza dubbio ci farà la medesima grazia, se vogliamo combattere come Lui: Una cosa che molto ci aiuterà sarà di renderci indifferenti ad ogni ufficio.

Il terzo fine del nostro piccolo Istituto è di istruire gli ecclesiastici, non soltanto nelle scienze, perchè siano dotti, ma anche nelle virtù, affinché le pratichino. Che fareste insegnando le une senza le altre? Nulla o quasi nulla. Ad essi occorre capacità e buona condotta; senza questa l'altra è inutile e pericolosa. Dobbiamo guidarli ad ambedue, ed è quanto Dio esige da noi. sul principio a nulla pensavamo meno che a servire gli ecclesiastici, pensavamo a noi e ai poveri. Il Figlio di Dio come cominciò. Si teneva nascosto, sembrava che non pensasse che a Sè, pregava Dio e non faceva che azioni private; appariva questo soltanto. Poi annunziò il Vangelo ai poveri; quindi, ma con il tempo, formò gli apostoli, si dette la pena d'istruirli, avvertirli, formarli, ed infine li animò del suo spirito, non per essi solamente, ma per tutti i popoli della terra; insegnò loro anche tutte le massime per fare i sacerdoti, per amministrare i sacramenti e disimpegnare il loro ministero. Sarei troppo lungo se scendessi ai particolari. Così pure, da principio, la Compagnia non si occupava che di sè e dei poveri; in alcune stagioni viveva ritirata, in altre andava ad istruire le popolazioni della campagna. Dio permise

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che in noi pure apparisse questo soltanto; ma, nella pienezza dei tempi, ci chiamò per contribuire a formare buoni sacerdoti, a dare buoni pastori alle parrocchie, ad insegnar loro quello che devono sapere e praticare. Oh! quanto è alto questo ministero! quanto è sublime! oh! quanto è al di sopra di noi! Chi aveva mai pensato agli esercizi degli ordinandi ed ai seminari? Non ci era mai venuto in mente finchè Dio non ci significò che il suo volere era che ci dedicassimo ad essi. Ha dunque condotto la Compagnia a questi ministeri senza scelta da parte nostra; e perciò esige che ce ne occupiamo, in modo serio, umile, devoto, costante che corrisponda alla bellezza dell'opera.

Ecco press'a poco, signori, quello che avevo da dirvi a spiegazione di questa regola. Vediamo ora le difficoltà che possiamo incontrarvi. Prima di tutto si sarebbe potuto domandare al Figlio di Dio: "Perchè siete venuto? Per evangelizzare i poveri. Ecco l'ordine del Padre vostro; perchè dunque fate dei sacerdoti? Perchè date loro il potere di consacrare, di legare e di sciogliere, eccetera?". Si può dire che per evangelizzare i poveri, non s'intende soltanto insegnare i misteri necessari alla salvezza, ma fare le cose predette e figurate dai profeti, rendere effettivo il Vangelo. Sapete che anticamente Dio rigettò da sè i sacerdoti contaminati che avevano profanato le cose sante; ebbe in abominio i loro sacrifici e disse che ne avrebbe suscitato altri, i quali dal levante all'occidente e dal mezzogiorno al settentrione avrebbero fatto risuonare le loro voci e le loro parole: In omnem terram exivit sonus eorum486. E per mezzo di chi è stata adempiuta questa promessa? Per mezzo del suo Figliuolo Nostro Signore, il quale formò i sacerdoti, li istruì, li modellò e dette loro il potere di farne altri: Sicut misit me Pater et ego mitto vos487. E ciò per compiere in tutti i secoli, per mezzo loro, quello che Lui stesso aveva fatto in vita per salvare tutte le nazioni con la dottrina e l'amministrazione dei sacramenti.

Si potrà dire nella Compagnia: "Signore, io sono venuto per evangelizzare i poveri e voi volete che lavori nei seminari; voglio dedicarmi a quello che sono venuto a fare, ossia alle missioni di campagna e non rinchiudermi in una città per servire gli ecclesiastici". Sarebbe un inganno e un forte inganno, non voler attendere a far buoni sacerdoti, tanto più che non c'è nulla di più grande di un sacerdote, al quale Dio concede ogni potere sul suo corpo naturale e su quello mistico, il potere di rimettere i peccati, ecc. O Dio, qual potere! oh! quale dignità! Questa considerazione ci obbliga a servire i sacerdoti il cui stato è tanto santo e sublime.

Ma ecco un altro motivo: è la necessità che la Chiesa ha di buoni sacerdoti che riparino a tanta ignoranza e a tanti vizi di cui la terra è ricoperta, e che tolgano questa povera Chiesa dallo stato deplorevole per cui le anime buone devono piangere lacrime di sangue. Viene il dubbio se tutti i disordini che vediamo nel mondo non debbano attribuirsi ai preti. Ciò potrà scandalizzare qualcuno, ma l'argomento richiede che io dimostri, con la grandezza del male, l'importanza del rimedio. Sono state tenute molte conferenze su tale questione, ed è stata trattata a fondo per scoprire le sorgenti di tante sventure; ma la conclusione fu che la Chiesa non ha peggiori nemici dei preti. Da essi sono venute le eresie ne sono prova i due eresiarchi Lutero e Calvino, che erano preti; e per colpa dei preti gli eretici prevalsero, il vizio ha regnato e l'ignoranza ha stabilito il suo trono nel povero popolo, e questo per la loro stessa sregolatezza e per non essersi opposti con tutte le loro forze, secondo il loro obbligo, a questi tre torrenti che hanno innondato la terra.

Qual prezioso sacrificio, signori, non offrite voi a Dio, adoperandovi alla loro riforma, in modo che vivano conformi all'altezza e alla dignità della loro condizione e che la Chiesa si rialzi, in tal modo, dall'obbrobrio e dalla desolazione in cui si trova!

486Sal 18, 5.487Gv 20, 21.

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Sta bene, signori, che facciamo questo, ma perchè servire le Figlie della Carità? Il Figlio di Dio, non venne per evangelizzare i poveri, fare sacerdoti ecc.? Si. Non si degnò acconsentire che delle signore facessero parte della sua Compagnia? Si. Non le condusse alla perfezione e all'assistenza dei poveri? Si. Gli apostoli non ebbero anch'essi donne da dirigere? Sapete che fin da allora furono istituite le diaconesse, le quali fecero meraviglie nella Chiesa di Dio, e il cui ufficio era di assegnare il posto alle donne e di insegnar loro le cerimonie nelle assemblee. E così Dio era servito dall'uno e dall'altro sesso. E noi non pretenderemmo che non spetti alla Missione far sì che Egli sia onorato e servito da ambedue? Non siamo noi imitatori di questo Maestro, il quale, sebbene dimostrasse di essere venuto al mondo soltanto per i poveri, tuttavia volle dividere una Compagnia di donne? Vedete, signori, qual benedizione di Dio trovarci nelle medesime condizioni del Suo Figliolo, dirigendo alcune donne che servano Dio e il prossimo nel miglior modo che povere creature possono fare.

Ma perchè incaricarsi di un'ospedale? Per esempio, i poveri del Nome di Gesù ci rubano il tempo; dobbiamo andare da loro a dire la messa, istruirli, amministrare i sacramenti e provvedere a quello di cui abbisognano. Signori, non è forse un'empietà trovare a ridire di queste opere buone? Quando i sacerdoti si applicano alla cura dei poveri, fanno l'ufficio stesso di Nostro Signore e di molti grandi santi. I poveri non sono nostri fratelli? E se i sacerdoti li abbandonano, chi volete che li assista? Perciò, se tra noi vi fosse qualcuno che pensasse di appartenere alla Missione per evangelizzare i poveri e non per soccorrerli, per provvedere ai loro bisogni spirituali e non ai temporali, rispondo che noi dobbiamo assisterli e farli assistere in tutte le maniere, da noi e da altri. Fare questo, è evangelizzare con parole e con opere, è la cosa più perfetta, ed è anche quello che nostro signore ha praticato e quello che devono fare coloro che lo rappresentano sulla terra per il loro carattere e ministero, come i sacerdoti; ed ho sentito dire che ciò che aiutò i vescovi a farsi santi, è stata l'elemosina.

Ma, signore, mi dirà qualche altro, è nella nostra regola ricevere i pazzi a S. Lazzaro e quegli individui ribelli che sono piccoli demoni? Dirò a costui che Nostro Signore volle essere circondato da lunatici, da pazzi e da ossessi; da tutte le parti glieli conducevano perchè li liberasse e li guarisse e a tutti dava un rimedio. Perchè troveremo da biasimare questo in noi che procuriamo di imitare Nostro Signore in una cosa che mostrò gradire? Se ricevette gli alienati e gli ossessi, perchè non li accoglieremo noi? Non andiamo a cercarli; ci sono condotti; e che sappiamo se la sua Provvidenza, che così vuole, non si servirà di noi per alleviare l'infermità di quei poveretti, avendola Egli tanto amata in loro, sì da voler passare Lui stesso da pazzo e indemoniato, per voler santificare nella Sua sacra persona quello stato: Et tenuerunt eum, dicentes quoniam in furorem versus est?488. O Salvatore e mio Dio, fateci la grazia di guardare queste cose con i medesimo occhio con il quale le guardate Voi!

Ma i trovatelli, perchè incaricarci di loro? Non abbiamo abbastanza da fare? Fratelli, ricordiamoci che Nostro Signore disse ai suoi discepoli: "Lasciate che i pargoli vengano a me"489 e stiamo bene attenti a non impedire che non vengano a noi perchè altrimenti Gli saremo saremo contrari. Prender cura dei bambini è, in qualche modo, diventar bambini; e prender cura dei trovatelli, è prendere il posto del padre loro, o piuttosto quello di Dio, il quale ha detto che se la madre giungesse a dimenticare il suo figlioletto, Egli non lo dimenticherà mai. Se Nostro Signore vivesse ancora tra gli uomini, e vedesse bambini abbandonati dal padre e dalla madre come sono questi, credete, signori, che Egli pure li abbandonerebbe? Sarebbe fare ingiuria alla sua bontà infinita fermarsi su tal pensiero e saremmo infedeli alla sua grazia che ci ha scelto per la direzione di quell'ospedale, se non accettassimo la fatica che ci porta.

488Mc 3, 21.489Mc 10, 14.

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Vi dico queste difficoltà, fratelli, prima che giungano, perchè può darsi che giungano. Io non posso tirare a lungo, me ne andrò ben presto: la mia età, le mie infermità e le infamie della mia vita non permettono che Dio mi tolleri ancora sulla terra. Potrà dunque accadere, dopo la mia morte, che degli spiriti di contraddizione dicano: "Perchè impicciarsi di questi ospedali? Perchè dirigere le suore che servono i malati e perchè perdere il nostro tempo con degli insensati?" vi saranno alcuni che vi si opporranno, non ne dubitate; altri diranno che è spingersi troppo mandare i missionari in paesi lontani. Ma, mio Dio, non avete mandato san Tommaso nelle Indie e gli altri apostoli per tutta la terra? Non li avete incaricati della cura e della direzione di tutti i popoli in generale, e di molte persone e famiglie in particolare?

Non importa; la nostra vocazione è: Evangelizare pauperibus490. Siamo disposti a far la missione in questo paese; c'è abbastanza da fare senza andare più lontano, voglio dedicarmici; ma dei trovatelli, ma dei vecchi e della gente qui rinchiusa non mi si parli! Vi saranno un giorno questi spiriti malfatti che criticheranno le opere buone che Dio ci ha fatto intraprendere e sostenere con benedizione, statene certi. Ne avverto la Compagnia, affinché consideri le cose come realmente sono. Perciò tutti nel mondo pensano che la Compagnia sia di Dio perchè si vede accorrere dove i bisogni sono più stretti e più urgenti.

Non per questo non vi si troverà da ridire; ve ne avverto, fratelli, prima di lasciarvi, con il medesimo spirito con cui Mosè avvertiva i figli di Israele, come è riferito nel Deuteronomio. Me ne vado, non mi vedrete più491, ho conosciuto che molti di voi insorgeranno per sedurre gli altri; essi faranno quello che io vi proibisco492 e non faranno quello che vi raccomando da parte di Dio. State bene attenti a non lasciarvi cogliere all'improvviso, perchè, se fate come loro, vi capiteranno mali che vi distruggeranno; mentre, invece, se amerete le opere del Signore, senza nulla sopprimere, sarete benedetti con ogni benedizione. Dopo che io me ne sarò andato, verranno lupi rapaci e sorgeranno tra voi falsi fratelli che annunzieranno cose perverse e vi insegneranno il contrario di quello che vi ho detto io; non li ascoltate, sono falsi profeti.

Non so se dirò troppo, riferendo quello che san Benedetto diceva prima di morire. Già fin da allora si trovavano nelle case da lui fondate, alcuni religiosi malcontenti, che domandavano continuamente: "Perchè questo? Perchè quello?", mormoravano dei superiori e condannavano le pratiche santamente stabilite; essendo ciò venuto a cognizione del santo abate, egli temette che dopo la sua morte tutto andasse in rovina. Che fa egli? Il suo è un Ordine dove non v'è superiore generale; ogni casa è padrona di se stessa, non riceve nè visite, nè correzioni da nessun altra; allora egli scongiura i vescovi vicini che, se vedessero in alcune di esse qualche disordine, intervenissero con riprensioni e sospensioni, allo scopo di frenare i monaci turbolenti e discoli, fino a chiedere l'aiuto ai gentiluomini dei dintorni, affinché con gente armata e con la forza li richiamassero al dovere.

Ma la Compagnia, diranno alcuni, è oppressa da tale incarico. Oh! se nell'infanzia ha potuto sostenere questo come gli altri pesi, perchè non vi riuscirà quando sarà più forte? "Lasciateci, bisogna rispondere, lasciateci nello stato in cui era Nostro Signore sulla terra; noi facciamo quello che Egli fece, non ci impedite di imitarlo". Avvertirli, mi raccomando, avvertirli e non ascoltarli.

Ma chi potrà distoglierci da questi beni iniziati? Saranno individui indipendenti, senza legge, insofferenti d'ogni freno, i quali non chiedono altro che divertirsi, e , purchè abbiano da mangiare non si preoccupano del resto. Chi ancora? Saranno... E'

490Lc 4, 18.491Gv 16, 16.492Mt 24, 11.

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meglio che non lo dica. Saranno persone che stanno a crogiolarsi (così dicendo metteva le mani sotto le ascelle, contraf- (pag; 564)

facendo i pigri), persone che hanno una piccola periferia e limitano la loro vista e i loro progetti ad una certa circonferenza dove si rinchiudono come in un punto senza volerne uscire. Se qualcuno indica loro qualche cosa al di là, si avvicinano per osservarla, ma subito si ritirano nel loro centro, come le lumache nel loro guscio".

Nota: dicendo questo egli faceva gesti con le mani, movimenti con la testa ed aveva un'inflessione sdegnosa nella voce, in modo che la sua espressione era più significativa delle parole.

E raccogliendosi disse a se stesso: " O miserabile, tu sei un vecchio simile a costoro; le piccole cose ti sembrano grandi

e le difficoltà ti atterrano. Sì, signori, perfino l'alzata del mattino mi pare una faccenda grave, e le minime contrarietà mi sembrano insormontabili. Saranno dunque menti grette, individui come me che vorranno diminuire gli impieghi e le occupazioni della compagnia. Diamoci a Dio, signori, affinché ci faccia la grazia di essere costanti. Teniamo fermo, fratelli, teniamo fermo, per amor di Dio; Egli sarà fedele alle sue promesse, non ci abbandonerà mai, finché Gli saremo sottomessi per il compimento dei suoi disegni. Rimaniamo nella cerchia della nostra vocazione, cerchiamo di sviluppare in noi la vita interiore, d'avere grandi e santi propositi per il servizio di Dio; facciamo il bene che ci è proposto, nel modo che abbiamo detto. Non dico di andare all'infinito ed abbracciar tutto indifferentemente, ma quello che Dio ci fa conoscere di volere da noi. Apparteniamo a Lui e non a noi stessi; se aumenta il nostro lavoro, Egli aumenterà anche le nostre forze. O Salvatore! qual felicità! O Salvatore, se vi fossero molti paradisi a chi li dareste se non ad un missionario che fosse stato riverentemente fedele a tutte le opere che gli avete indicato, senza nulla detrarre agli obblighi del suo stato? E' quanto speriamo, fratelli, e lo chiederemo a sua divina Maestà. Ed ora, ringraziamolo tutti dal più profondo del cuore, di averci chiamati e scelti per uffici sì santi e santificati da Nostro Signore medesimo, il quale li praticò per primo. Oh! quante grazie possiamo sperare, se le praticheranno col suo vero spirito, per la gloria del Padre suo e la salvezza delle anime! Amen".

***196. CONFERENZA DEL 13 DICEMBRE 1658I MEMBRI DELLA CONGREGAZIONE DELLA MISSIONE493

(Regole comuni, cap. I, art. 2 e 3)

"Fratelli, continueremo stasera ad intrattenerci delle nostre regole e termineremo il primo capitolo, che contiene tre articoli. Parlammo venerdì passato del primo, e stasera parleremo del secondo e del terzo. Eccoli:

Questa Congregazione è composta di ecclesiastici e di laici. L'ufficio degli ecclesiastici è di andare, ad esempio di Nostro Signore e dei suoi discepoli, nei villaggi e nelle piccole città, a spezzare il pane della parola di Dio ai piccoli, predicando ed insegnando il catechismo; esortarli a fare la confessione generale di tutta la loro vita passata, ed ascoltarli nel tribunale della penitenza: comporre le divergenze e le liti; fondare la confraternita della Carità; dirigere i seminari eretti nelle nostre case per gli esterni ed insegnarvi: dare gli esercizi spirituali; fare e dirigere le conferenze introdotte nelle nostre case per gli ecclesiastici esterni ed altre funzioni consimili che servono e sono conformi al nostro Istituto.

493 Manoscritto delle Conferenze.

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Quanto ai laici, essi devono aiutare gli ecclesiastici in tutti questi ministeri, facendo l'ufficio di Marta, secondo le prescrizioni del superiore, come pure contribuendovi con le loro preghiere, lacrime, mortificazioni e buoni esempi.

E affinché questa Congregazione raggiunga, con la grazia di Dio, il fine proposti, deve fare quanto può per rivestirsi dello spirito di Gesù Cristo, il quale apparisce principalmente nelle massime evangeliche, nella sua povertà, nella sua castità, nella sua obbedienza, nella sua carità verso i malati, nella sua modestia, nel modo di vivere e operare che prescrisse ai suoi discepoli, nella sua conversazione, nei suoi esercizi quotidiani di pietà, nelle sue missioni ed altri uffici verso le popolazioni. Le quali cose sono tutte contenute nei capitoli seguenti.

Sul primo di questi due articoli, diremo da chi è composta questa compagnia e quali sono gli uffici per raggiungere il fine che essa si è proposto: questa Compagnia che Dio ha suscitato sulla terra, nei tempi in cui siamo, perché attenda alla propria perfezione, alla salvezza delle popolazioni della campagna e a profitto del clero nella scienza e nella virtù.

Nel secondo, parleremo del mezzo di ben praticare tutte queste cose, il qual mezzo è di rivestirci dello spirito di Gesù Cristo, come dice l'articolo. Povera Compagnia! Povera Compagnia che, senza tale spirito, non sarebbe altro che un corpo senz'anima!

La regola dice dunque che la Compagnia deve essere composta di due sorta di persone. Prima di tutto gli ecclesiastici, ossia sacerdoti, chierici in sacris, e gli altri che hanno gli ordini minori o che, essendo ancora in seminario, aspettano di riceverli. In secondo luogo, i laici che non hanno alcun ordine, né pretesa di averlo; e tanto gli uni quanto gli altri lavoreranno, sebbene in modo diverso, per la salvezza dei poveri campagnoli e per progresso del clero nella pietà e nella scienza.

Può domandarsi come gli ecclesiastici e i laici possono applicarsi al fine proposto rispetto ai poveri e al clero, poiché questo si fa con gli esercizi delle missioni e con la direzione dei seminari, degli esercizianti, ecc.; sembra esservi qualche difficoltà a dire che i fratelli sono persone addette alla salvezza delle popolazioni della campagna e all'istruzione degli ecclesiastici, se non fanno il catechismo e non predicano, non avendo né carattere, né capacità per tali funzioni. Come dunque possono contribuirvi? Eppure, signori, è indiscutibile; in un certo senso essi pure lo fanno. Essi aiutano in quegli uffici, quantunque non predichino, né insegnino, né dirigano; e la regola dice la verità affermando che vi contribuiscono, non tuttavia come gli ecclesiastici, immediatamente e pubblicamente, ma a modo loro, aiutando coloro che, effettivamente, insegnano, esortano e amministrano i sacramenti, ecc.; vi cooperano con l'esercizio di Marta, perché detta santa aveva cura di preparare da mangiare a Nostro Signore e provvedere al suo alloggio. Essi vanno in missione per essere di sollievo ai sacerdoti che si affaticano per conquistare anime a Dio in modo che possano dedicarsi a questo santo ministero senza esserne distolti da cure materiali. Sotto questo aspetto, è vero dire che i nostri fratelli aiutano ad istruire il popolo, a procurare che tutti si confessino, che avvengano le pacificazioni, che la confraternita della Carità s'istituisca, nel modo stesso che i membri inferiori cooperano con i superiori nelle diverse funzioni del corpo.

Le operazioni dell'intelligenza non si fanno assolutamente con l'intelligenza sola; essa è aiutata dallo stomaco, dal fegato, dai polmoni, i quali servono all'intendimento, al buon senso e alle altre facoltà intellettuali. Un cadavere non può fare le funzioni di un uomo vivo, perché manca delle sostanze che formano il sangue e presiedono alla respirazione, principi di vita; ma in un corpo animato, in una persona ragionevole, v'è nella testa una certa cavità, dove circolano gli spiriti vitali, dove le immagini si formano, ed il ragionamento si fa mediante le parti inferiori, le quali mandano vapori al cervello, a ciò destinati.

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Parimenti, i fratelli, che sono i membri inferiori di quel corpo che è la Compagnia, concorrono, con il loro lavoro materiale, alle operazioni spirituali dei sacerdoti e alla conversione del mondo; contribuiscono a dare agli uomini la conoscenza di Dio, a dar loro la fede, a eccitarli alla penitenza, a disporli ai sacramenti e renderli capaci della vita eterna, tutte cose alle quali i sacerdoti non potrebbero dedicarsi senza il soccorso dei fratelli. Ciò dimostra la comunione che è nella Chiesa e nelle comunità, dove tutti mirano ad un medesimo fine, dove ognuno contribuisce a raggiungerlo, sebbene diversamente, e dove gli uni lavorano per gli altri. Questo ha fatto esclamare al reale profeta: Particeps ego sum omnium timentium te et custodientium mandata tua494; partecipo a tutte le opere buone che fanno coloro che vi temono ed osservano i vostri comandamenti. Come avviene? Nello stesso modo che in una società di mercanti, nel mondo, ogni socio guadagna secondo il denaro che vi ha posto.

Noi abbiamo portato tutti nella Compagnia la risoluzione di vivervi e di morirvi; vi abbiamo recato tutto quello che siamo, il corpo, l'anima, la volontà, la capacità, l'industria e il resto. Perché? Per fare quello che Gesù Cristo fece, per salvare il mondo. E come? Mediante questo legame che è tra noi e l'oblazione che abbiamo fatta di vivere e di morire in questa società dandovi tutto quello che siamo e quello che facciamo; da ciò proviene che questa comunione tra i missionari, rende loro comuni tutti i profitti, perché tutti concorrono alla riuscita, dimodoché i preti non ottengono le conversioni da soli, ma i fratelli laici vi concorrono, secondo la regola, mediante le loro preghiere, i loro uffici, le loro lacrime, le loro mortificazioni, il loro buon esempio. Un organista non suona solo, ma è aiutato da un uomo che tira i mantici; questi, effettivamente, non suona: è il maestro che tocca i tasti, eppure alzando i mantici, contribuisce all'armonia, e senza di lui, l'altro avrebbe un bel muovere le dita sui tasti, non farebbe nulla.

E così, signori, sia che i fratelli servano chi si affatica per il Vangelo, sia che preghino per la conversione dei peccatori, sia che facciano penitenza, sia che piangano o siano di edificazione per la santificazione degli ecclesiastici e dei popoli, può dirsi che sono partecipi e cooperano al bene che si fa nelle missioni, nei seminari, nelle ordinazioni, nei ritiri e nel resto.

Ebbene! fratelli, voi non siete operai immediati, come i sacerdoti che hanno ricevuto il sacro carattere per riconciliare le anime con Dio e per celebrare i santi misteri; Dio non vuole ricevere le oblazioni dalle vostre mani, e se qualcuno volesse offrire sacrifici, come Saul, o Signore Gesù, qual sacrilegio! o se un altro volesse offrire l'incenso, come Ozia, oh! qual delitto! Saul e Ozia erano re, erano unti, eppure l'uno fu colpito dalla lebbra, per avere messo la mano sul turibolo; e l'altro riprovato per essersi arrogato l'ufficio di sacrificatore. Ambedue persero il regno, e Samuele, rimproverando Saul della sua temerità, gli annunziò le sventure che sarebbero cadute su di lui, e che furono terribili perché Dio, avendo maledetto, permise che si suicidasse per disperazione.

Orbene, se lo Spirito Santo punì tanto severamente l'operato di quei re, i quali avevano creduto di far bene, giudicate, fratelli, quanto l'ufficio degli ecclesiastici sia superiore a tutte le altre dignità terrene, anche alla regalità, e quale alta stima dobbiate concepire dei sacerdoti, il cui carattere è la partecipazione al sacerdozio eterno del Figlio di Dio, il quale dette loro il potere di sacrificare il suo proprio corpo e di darlo in cibo, affinché coloro che lo mangeranno abbiano la vita eterna.

Oh! certo, dopo questo onore che essi hanno ricevuto dalla divina Maestà, voi dovete grandemente onorarli, ancorché siate chiamati a collaborare con loro per la santificazione delle anime, non facendo quello che fanno loro, ma, come dice la regola, nel modo che il superiore lo comanda, notate bene, nel modo che il superiore lo comanda. Bisogna arrivare fin qui, e non passare oltre. Dovete ringraziare Dio di

494 Sal 118, 63.

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trovarvi in condizioni di poter contribuire ai disegni che Gesù Cristo ha sulla Compagnia. Fortunati voi, che vi trovate in uno stato che, per essere inferiore, è più sicuro! Dovete, perciò, lodare Dio di poter aiutare il prossimo come l'obbedienza vi prescrive, senza pericolo di vanità, perché non vi accorgete del bene che fate, il quale bene è attribuito ai sacerdoti, sebbene forse voi abbiate contribuito maggiormente al frutto delle loro azioni pubbliche con le vostre nascoste e particolari.

Un altro motivo che avete, fratelli, di ringraziare Dio, è di avervi chiamato in una Compagnia dove ciascuno ha per fine la propria perfezione. Siete dunque qui per lavorare alla vostra. Oh! qual grazia! oh! qual motivo di umiliarvi! In questo potete spingere la virtù così avanti che i sacerdoti. E se voi lavorerete fedelmente all'acquisto della virtù, diremo con verità che siete in uno stato perfetto. E se c'è un sacerdote che vi lavora miseramente, come me, detestabile peccatore, bisogna confessare che sarete più perfetti di lui, sebbene sacerdote, sebbene anziano, sebbene superiore. E perché? Perché la dignità, non più dell'età non dà il merito all'uomo, ma le opere che lo rendono più somigliante a Nostro Signore. E' con esse che ci si perfeziona; è con la pratica delle virtù che ci si salva. Ciò apparisce nel vangelo del giudizio universale, in cui è detto che Nostro Signore metterà alla sua destra coloro che avranno faticato all'acquisto delle virtù e specialmente della virtù della carità ed essi soltanto entreranno nel regno dei cieli. E' dunque la pratica della virtù che ci lega al suo amore, ed il suo amore ci porta a fare nuovi atti di virtù.

Se amate veramente Dio, opererete in questo modo. Orbene, voi potete amare Dio quanto i sacerdoti; ed una povera donnicciola quanto un dotto. Il buon signor Duval mi diceva un giorno: "Signore, i poveri si contenderanno un giorno il paradiso e ci vinceranno, perché c'è una gran differenza tra il loro modo di amare Dio e il nostro". Il loro amore si esercita come quello di Nostro Signore, nei patimenti, nelle umiliazioni, nel lavoro e nella conformità al beneplacito divino. E il nostro, se l'abbiamo, in che si manifesta? Che cosa facciamo che assomigli a questi segni del vero amore?

Voi sapete la storia di frate Egidio: é abbastanza nota. Egli confidava a S. Bonaventura di avere un vivo desiderio di amare Dio. Oh! se fossi istruito, diceva, oh! se fossi sacerdote come voi amerei molto Dio! E il santo dottore avendogli detto, che sebbene frate laico senza studio e senza sacri ordini, poteva amare Dio quanto i più dotti rivestiti di dignità e che, una piccola donnicciola lo poteva del pari - Ma come! esclamò, un povero ignorante come me, può amare Dio come Bonaventura? - Si. - Allora quel frate, pieno di gioia, cominciò a gridare: "Coraggio! voi che mi udite, coraggio! Voi potete amare il nostro gran Dio quanto il nostro padre Bonaventura!".

Dimodoché, fratelli, voi potete eguagliare in questo i sacerdoti; s'intende, però, se attenderete di buon proposito alla virtù e alla vostra perfezione. Perché se non lo fate e non vi perfezionate secondo la regola, se vi adagiate nei vostri difetti, sarete di scandalo dentro e fuori; per conseguenza, invece di contribuire alla salvezza delle anime, ne sarete in qualche modo d'ostacolo e, quello che più conta, perderete infine la vostra. Stateci dunque attenti, fratelli.

- Ma, domanderete, che dobbiamo fare per perfezionarci? - Ve l'ho detto: osservar bene le vostre regole, ma soprattutto quello che vi raccomanda la santa unione e la carità reciproca tra noi tutti, specialmente tra i sacerdoti e voi altri fratelli, in modo da viver sempre in buona armonia e perfetta unione, come membri tutti di un corpo, quantunque più nobili gli uni degli altri. L'esempio di S. Paolo, cui ho accennato più sopra, ci fa vedere questa bella unione, richiamando la nostra memoria quella che esiste tra il corpo umano e le sue membra, che si accordano benissimo insieme, ciascuno secondo il proprio ufficio, e senza alcuna emulazione gli uni contro gli altri. Nello stesso modo dobbiamo essere uniti noi; nello stesso modo, fratelli, dovete vivere con i sacerdoti, per progredire nella perfezione che la vostra vocazione esige da voi.

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- Ma come fare, mi direte, per avere per conservare questa santa unione tra noi tutti, particolarmente tra sacerdoti e fratelli? - Con la stima, con il rispetto tra i sacerdoti, tra i fratelli, e gli uni per gli altri. Non dobbiamo amarci secondo la carne, né umanamente, ma considerarci come creature di Dio, consacrate a Dio, che hanno rinunziato a tutto quello che non è Dio e prevenirci, perciò, reciprocamente di onore e di bontà, seguendo il consiglio di S. Paolo: Honore invicem praevenientes495. S'intende, con le dovute distinzioni; perché è evidente che i fratelli coadiutori devono maggiore ossequio ai sacerdoti che i sacerdoti a loro. Orbene, fratelli, voi mi domanderete come potrete onorare gli ecclesiastici; vi rispondo che dovete considerarli come vostri padri; infatti sono i padri che generano e ciò fanno i sacerdoti rimettendo i peccati e dandoci la grazia di Dio.

Pertanto, fratelli, state bene attenti a non mettervi mai alla pari con i sacerdoti; non vi misurate mai con essi, e, ancor meno, la vostra condizione con la loro. C'è differenza come dal cielo alla terra. Essi hanno ricevuto un carattere divino e incomparabile, un potere sul corpo di Gesù Cristo che gli angeli ammirano, e la facoltà di rimettere i peccati agli uomini, il che è per essi un gran motivo di stupore e di riconoscenza. C'è nulla di più grande, fratelli? C'è dignità paragonabile a questa? Sono i vostri padri e le vostre guide nella vita spirituale. Dovete tenervi bassi e umiliarvi molto dinanzi a loro; dovete a tutti i sacerdoti sommo rispetto e grande obbedienza e specialmente al superiore e agli ufficiali. Dico "ali ufficiali", fratelli, i quali hanno diritto di comandarvi ed anche di punirvi, per ordine tuttavia del superiore: se possono farlo con i chierici ed anche con i sacerdoti, quanto più lo possono con voi! Voi avete dei padri nella Compagnia: trattateli come tali, con riverenza e sottomissione e, in presenza loro, tenete il cappello in mano. Non importa che vi siano imperfezioni in loro, come ve ne sono in me, miserabile, che sono coperto d'iniquità; essi sono costituiti in uno stato santo e sublime, e, perciò, degni non solo di rispetto e di onore, ma di obbedienza, ma soprattutto il superiore e gli ufficiali.

Fratelli, finché avrete la sottomissione di veri figli, finché sarete ossequienti ai sacerdoti, Dio vi benedirà; ma se avrete la temerità di mettervi alla pari con loro, che sono i vostri padri, somiglierete a Satana, il quale diceva: In coelum conscendam et similis ero Altissimo496; salirò in cielo e sarò simile all'Onnipotente. Un laico che voglia eguagliarsi ad un ecclesiastico è come un demonio che voglia innalzarsi. Il fratello è un demonio se vuol mettersi alla pari di un sacerdote che Dio ha modellato secondo il suo cuore.

Fratelli, fatevi attenzione; ricordatevi che appena vorrete giudicare tutto, intromettervi negli affari e fare a vostro talento, perderete lo spirito di Dio; e se qualcuno cadrà in tale sventura non sarà più un fratello della Missione, ma una carcassa da fare orrore. Ecco come devono comportarsi i fratelli verso i sacerdoti.

Che cosa devono ora i sacerdoti ai fratelli? Devono loro l'amore come a figli, sebbene li trattino da fratelli; devono anche sopportarli, esser condiscendenti e compassionevoli per le loro infermità; dovete accondiscendere e compatirli nelle loro infermità. Ecco il mezzo di conservare nella Compagnia questa santa unione; i fratelli osservino il rispetto e l'obbedienza, e gli ecclesiastici amino sempre e sopportino i fratelli.

Ma come potremo conservare questa unione tra i sacerdoti, i chierici, i fratelli, l'unione tra noi tutti, come? Per grazia di Dio questa unione ora c'è. Ma che faremo per non rompere mai questo amabile e desiderabile vincolo della carità? Ne parlerò succintamente per ora e dirò alla Compagnia che l'altro giorno prendemmo un buon mezzo; il modo migliore di contribuirvi è che ognuno pratichi tutti i mezzi che

495 Rom., 12, 10.496 Is., 14, 13, 14.

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uniscono i cuori, quali sono quelli che abbiamo detto, ossia la stima, il rispetto, la deferenza reciproca e, a tale scopo, combattere continuamente i vizi contrari e particolarmente le maldicenza, e della medesima maldicenza, parlarne ogni tanto nelle nostre conferenze, come facemmo ultimamente; vizio questo che è la sorgente della discordia e il veleno delle comunità. Perciò, se vogliamo conservare l'unione, dobbiamo necessariamente bandire dalla Compagnia questo maledetto vizio. E' vero che, per grazia di Dio, gli avete dato la caccia, e così è scomparso, o quasi scomparso; ma bisogna stare attenti che non torni, ed essere, perciò, fedeli nel praticare i mezzi che ci siamo proposti. Vedete, signori, se ci fondiamo bene in questo, state sicuri che siamo§sulla via non solo di conservare tale unione, ma anche di perfezionarci. Dio benedirà questa Compagnia, sebbene composta non so da chi, da povera gente la maggior parte. Speriamo che essa servirà Dio per amore di Dio stesso, come di quel suonatore di liuto di cui parlava ieri la lettura di tavola, il quale, essendo sordo, non trovava altro piacere nella sua bella armonia, all'infuori di far cosa grata al principe che l'ascoltava. Speriamo dunque che la divina bontà, se non troverà tra noi né maldicenze né contumelie, stabilirà, con modi impercettibili, questo mezzo per conservare la Compagnia nella via della perfezione e che i sacerdoti ei fratelli vi progrediranno.

O beate regole, che scacciano dalla Compagnia questo difetto tanto contrario al nostro progresso nella virtù! Se qualche volta, per fragilità umana, vi manchiamo, il rimedio è di mettersi subito in ginocchio e chieder perdono a Dio ed alla Compagnia. Per grazia di Dio, alcuni hanno questa santa pratica, e ciò contribuisce non poco all'emenda di questi vizi; mi sembra di vederla questa emenda. Ecco il secondo mezzo che conserverà la Compagnia nello spirito della regola.

Infine, per dirlo in una parola, un mezzo sovrano per conservare tale unione, è l'umiltà. Si faccia l'anatomia delle antipatie e dei dissensi e si vedrà che provengono dall'emulazione. Se qualcuno riesce nella predicazione o in altri uffici, e se ne compiace, si dà grandi arie di importanza, le spara grosse. Che avviene? Lo si disprezza, lo si umilia, perché un uomo che esalta se stesso è insopportabile; ed ecco un motivo di discordia. L'opposto, invece, è una sorgente di pace e di unione; ossia l'umiliarci, il voler essere reputati come gl'infimi di tutti, e, se ci sembra d'essere riusciti in qualche cosa, riconoscere subito la nostra impotenza al bene e la nostra inclinazione al male per l'esperienza dei nostri stessi difetti. Ne troveremo anche troppi per persuaderci che c'inganniamo, che non siamo capaci che di guastar tutto; ed apparendo miserabilissimi agli occhi nostri, saremo effettivamente contenti di esser disprezzati. Se desideriamo una buona riputazione e buoni sentimenti, ciò sia per il prossimo, mai per noi; i sacerdoti anziani attribuiscano gli uni agli altri la stima e la buona riuscita; i chierici si abbassino gli uni agli altri, e i fratelli si assogettino al minimo, secondo il consiglio del principe degli apostoli: "Siate soggetti ad ogni creatura per amor di Dio"497. Allora tutto sarà amabile e bene ordinato.

Potrei dire altre cose su questo argomento, ma ho detto abbastanza per far vedere quanto sia necessario che i sacerdoti e i fratelli siano fra loro strettamente uniti da una vera carità, se questi ultimi vogliono utilmente e meritoriamente cooperare con i sacerdoti alla salvezza delle anime con i mezzi che la regola prescrive loro. Mi sono esteso molto su questo punto, perché mi è sembrato importantissimo.

Passiamo ora al secondo, che non sarà lungo, e vediamo quale mezzo la regola c'indica per raggiungere il fine che essa ci propone; leggiamo le parole stesse dell'articolo: E affinché questa Congregazione raggiunga, con la grazia di Dio, il fine propostosi, deve quanto può rivestirsi dello spirito di Gesù Cristo, ecc. Abbiamo detto che tanto i fratelli quanto i sacerdoti sono egualmente obbligati a ricercare la propria perfezione; ma in quello che concerne la salvezza dei poveri campagnoli e la

497 1Pt 11, 13.

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formazione del clero, la cosa è diversa, perché è la prerogativa dei sacerdoti predicare, fare il catechismo, appianare le liti, fondare le confraternite della carità, dirigere i seminari, le ordinazioni e il resto dei ministeri verso il prossimo. E' evidente. Ai fratelli spetta soltanto di dare loro il modo di attendere a tali occupazioni, facendo l'ufficio di Marta e contribuendo con gli altri mezzi già specificati.

La regola dice dunque che per fare tutte queste cose e per lavorare alla propria perfezione, è necessario rivestirsi dello spirito di Gesù Cristo. O Salvatore, o signori, che importante cosa rivestirsi dello spirito di Gesù Cristo! Questo vuol dire che per perfezionarci e soccorrere con frutto le popolazioni, per ben servire il clero dobbiamo far di tutto per imitare la perfezione di Gesù Cristo e cercare di riuscirvi. Questo dice parimente che da noi stessi non possiamo nulla. Bisogna riempirsi ed essere animati dallo spirito di Gesù Cristo. Per intenderlo bene, bisogna sapere che il suo spirito è diffuso in tutti i cristiani che vivono secondo le regole del cristianesimo; le loro azioni e le loro opere sono pervase dello spirito di Dio, e così Egli ha suscitato la Compagnia, e voi lo vedete bene, perché si comporti nello stesso modo. Essa ha amato sempre le massime cristiane ed ha desiderato rivestirsi delle massime del Vangelo, per vivere ed operare come Nostro Signore, affinché il suo, spirito apparisca in tutta la Compagnia ed in ciascun missionario, in tutte le sue opere in generale ed in ognuna in particolare.

Ma qual'è questo spirito così diffuso? Quando si dice: "Lo spirito di Nostro Signore è nella tal persona, nella tale azione" che s'intende? Si vuol dire che lo Spirito Santo stesso è diffuso in esse? Sì, lo Spirito santo, in persona, si diffonde n,ei giusti ed abita personalmente in essi. Quando si dice che lo Spirito Santo opera in qualcuno, significa che questo Spirito, risiedendo in questa persona, le dà le medesime inclinazioni e disposizioni che Gesù Cristo aveva sulla terra e che la fanno operare nello stesso modo, non dico con egual perfezione, ma secondo la misura dei doni di questo divino Spirito.

Ma cos'è lo spirito di Nostro Signore? E' uno spirito di perfetta carità, pieno di una stima inesprimibile della divinità e di un desiderio infinito di onorarla degnamente: una conoscenza delle grandezze del Padre suo per ammirarle ed esaltarle perennemente. Egli ne aveva sì alta stima che Gli faceva omaggio di tutto quanto era nella sua sacra persona e di quanto ne proveniva; Gli attribuiva tutto, non voleva dire che la sua dottrina fosse dottrina sua, ma la riferiva al Padre: Doctrina mea non est mea, sed eius qui misit me Patris498. C'è più alta stima di quella del Figlio, il quale è eguale al Padre eppure riconosce il Padre come autore e solo principio di tutti, i beni che sono in Lui? E il suo amore, com'era? Oh! quale amore! O Salvatore, quale amore non avete portato al Padre vostro! E poteva esservene uno più grande, fratelli, che annientarsi per Lui? E' san Paolo, il quale, parlando della nascita del Figlio di Dio sulla terra, dice che si annientò. Poteva attestarne uno maggiore che morendo per amore, nel modo in cui è morto? O amore del mio Salvatore! o amore! eravate incomparabilmente più grande di quello che gli angeli poterono comprendere e comprenderanno mai!

Le sue umiliazioni non erano che amore, il suo lavoro nient'altro che amore, i suoi patimenti e le sue orazioni e tutte le sue operazioni interne ed esterne, non erano altro che atti reiterati dell'amor suo. Il suo amore gli dette un grande disprezzo per il mondo, disprezzo dello spirito del mondo, disprezzo dei beni, disprezzo dei piaceri e disprezzo degli onori.

Ecco una descrizione dello spirito di Nostro Signore, del quale dobbiamo essere rivestiti, e consiste, in una parola, nell'aver sempre una grande stima e un grande amore per Iddio. Gesù Cristo ne era talmente pieno che non faceva nulla per se stesso nè per propria soddisfazione: Quae placita sunt ei facio semper499; faccio sempre la volontà del Padre mio, opero sempre come Gli è più gradito. E siccome il Figlio disprezzò il

498 Gv., 7, 16.499 Gv., 8, 29.

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mondo, le ricchezze, i piaceri e gli onori per volontà dell'Eterno Padre, così disprezzandoli anche noi, come Lui, entreremo nel suo stesso spirito.

Ciò posto, fratelli, dobbiamo attendere ad aumentare in noi la stima di Dio, sforzarci di concepire la massima stima. Oh! se avessimo la vista abbastanza acuta per discernere qualche cosa dell'infinita sua eccellenza, o mio dio, o fratelli, quali sublimi sentimenti ne ricaveremmo! Diremmo, come san Paolo, che gli occhi non hanno mai visto, nè le orecchie udito, nè la mente mai compreso nulla di simile. E' un abisso di dolcezza, un essere supremo ed eternamente glorioso, un bene infinito che racchiude tutti i beni; tutto vi è incomprensibile. Ora, la conoscenza che abbiamo che Egli è superiore ad ogni intelletto, deve bastarci per farceli stimare immensamente. E tale stima deve farci annientare in sua presenza e farci parlare della sua somma maestà con grande sentimento di umiltà, di riverenza e di sottomissione; e l'ameremo in proporzione della stima che ne avremo; e questa stima e questo amore ci daranno un desiderio continuo di far sempre la sua santa volontà, una perpetua vigilanza per le cose della terra; ci faranno disprezzare le ricchezze.

Mio Dio, conservate nei nostri cuori una santa avversione per esse e per i piaceri perituri, fate che non ne cerchiamo mai alcuno, evitando con cura le soddisfazioni a cui la natura ci porta impercettibilmente, come volere che gli altri facciano a modo nostro, che tutto ci riesca e tutto ci arrida. O Salvatore, insegnateci a cercare in Voi i nostri piaceri, ad amare quello che Voi avete amato, a gustare ciò che a Voi piace.

O mio Dio! la necessità ci obbliga ad avere questi beni perituri ed a conservare alla Compagnia quello che Nostro Signore le ha dato; ma dobbiamo applicarci ad essi come Dio stesso si applica a produrre e conservare le cose temporali per l'ornamento del mondo e l'alimento delle sue creature, sino ad avere cura del minimo bacolino; il che non impedisce le sue operazioni interiori, con le quali genera il Figlio e produce lo Spirito Santo; compie questa e non omette le altre. Come il beneplacito di Dio è di provvedere gli alimenti alle piante, agli animali e agli uomini, coloro che ne hanno l'incarico in questo piccolo universo della Compagnia, devono provvedere parimente ai bisogni degli individui che la compongono. E' pur necessario, mio Dio; altrimenti tutto quello che la vostra Provvidenza ha dato per il loro mantenimento si perderebbe, il vostro servizio cesserebbe e non potremmo più andare ad evangelizzare gratuitamente i poveri.

Permettete dunque, mio Dio, che, per continuare il nostro ministero a vostra gloria,prendiamo cura dei nostri beni temporali, ma in modo che l'anima nostra non ne rimanga contaminata, né la giustizia ferita, né i nostri cuori aggravati. O Salvatore, togliete lo spirito d'avarizia dalla Compagnia, datele soltanto quello di provvedere alle necessità della vita e provvedervi, Signore, come provvedete a quelle di tutti i popoli della terra e perfino ai minimi animali, con un'attenzione generale e particolare, senza che queste opere esteriori vi distolgano un solo istante dalle applicazioni eterne e mirabilmente feconde che avete dentro di Voi. I superiori e gli ufficiali della Compagnia facciano lo stesso, si occupino diligentemente degli affari, forniscano a tutto il corpo e a ciascun membro quello che conviene, senza discostarsi dalla vita interiore e dall'unione cordiale che devono avere con Voi.

Quanto agli onori, o Dio, liberateci da questo fumo d'inferno, allontanate da noi la fatale cupidigia che scaccio gli angeli dal paradiso e fa siventar gli uomini veri demoni; preservateci dall'insaziabile desiderio dell'onore, che spinge ad avere buona stima di sé, di tutto quello che si fa, che genera il disprezzo per gli altri, e spinge il superbo a drizzarsi come un dragone; è un mostro viscido e velenoso che s'insinua da per tutto ed infetta con il suo alito pestifero le anime più raccolte. Questo demonio si aggira sempre intorno alle comunità e alle persone più prossime alle santità cercando di divorarle; particolarmente con esse se la piglia il diavolo, per riempirle di stima di sé stesse e di vanagloria, rendere loro gravoso a poco a poco il sottomettersi e ridurle infine a non

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seguire se non i loro falsi lumi e farli cadere il qualche precipizio. Ed ecco la sventura! Oh! sventura, quanto sei grande!

Ebbene! fratelli, questo è quanto avevamo da dirvi rispetto allo spirito di Gesù Cristo; rimarrebbe ora da entrare nei particolari della regola, ma, essendo passata l'ora, ci contenteremo di aggiungere, per ora, che la stima, l'amor di Dio e la conformità ai suoi santi voleri, il disprezzo del mondo e di se stesso, che dobbiamo imitare in Gesù Cristo per essere rivestiti del suo spirito, no risplenderanno meglio in noi se non con la pratica con la virtù che rifulsero particolarmente in Nostro Signore vivente sulla terra, ossia di quelle che sono comprese nelle sue massime, nella sua povertà, castità e obbedienza, nella sua carità verso i malati, ecc.; dimodoché se imiteremo Nostro Signore in esse, e secondo quanto le altre regole ci indicano, dovremo sperare di essere rivestiti del suo spirito.

Dio si degni farci la grazia di conformar sempre la nostra condotta alla sua e i nostri sentimenti ai suoi; tenga Egli le nostre lampade accese in sua presenza e i nostri cuori sempre rivolti all'amor suo e sempre intenti a maggiormente rivestirsi di Gesù Cristo come abbiamo spiegato! Tutti i battezzati sono rivestiti del suo spirito, ma non tutti ne fanno le opere. Ciascuno deve sforzarsi di conformarsi a Nostro Signore, di allontanarsi dalle massime del mondo, di amare ed imitare gli esempi del Figlio di Dio , il quale si fece uomo come noi, affinché fossimo non solo saldi, ma salvatori come Lui; questo, s'intende, cooperando con Lui alla salvezza delle anime.

Ricordiamoci, signori e fratelli, che non arriveremo mai ad avere questa felicità e quest' onore, se non ci sforzeremo di conservare la santa unione che abbiamo tanto raccomandata; e, a tale scopo servitevi dei mezzi che abbiamo indicato, particolarmente della stima e del rispetto reciproco, e soprattutto della santa umiltà, sfuggendo la maldicenza ed ogni contumelia. Ma invano ci affanneremo per godere quel bene inestimabile, se Dio stesso non ci assiste. Non volete ora chiedergli, fratelli, di concederci questa grazia e non volete far tutti domani l'orazione per animarci del desiderio di somigliargli nei pensieri, nelle parole e nelle azioni, e infine, mettere in pratica quanto vi ho or ora raccomandato? Non dubito che tutti quanti non siate già risoluti di farlo, ma dovete fortificarvi in tal risoluzione con frequenti preghiere e nuovi affetti. Oh! se Dio si è compiaciuto proporcelo, non mancherà di esser fedele alla sua promessa, poiché Egli ha detto che faremmo le opere che ha fatto Lui stesso e anche più grandi. Ecco infine quello che per ora posso dirvi per la spiegazione di questa regola e della precedente".

197. CONFERENZA DEL 14 FEBBRAIO 1659 DELLE MASSIME EVANGELICHE500

(Regole comuni, cap. 2, art. 1).

"Fratelli, l'argomento proposto per la conferenza è quello dell'uso del tempo. Ieri sera, parlandone con il signor Gicquel501, dubitavo se stasera avrei potuto mettere a prova la vostra pazienza, ma trovandomi meno indisposto, ho pensato, in nomine Domini, d'intrattenervi sul secondo capitolo delle nostre regole e differire quello dell'uso del tempo ad altro giorno.

Fino ad ora, fratelli, abbiamo parlato del fine della Compagnia, che è soprattutto e innanzitutto di ricercare la propria perfezione, la propria perfezione (il signor Vincenzo ha ripetuto queste parole con tono grave e posato, per inculcarne il sentimento alla Compagnia) e ciò imitando le virtù che Nostro Signore ci ha insegnato con il suo esempio e con le sue parole. Dobbiamo aver dunque questo quadro divino davanti agli

500 Manoscritto delle conferenze.501 Sotto-assistente della casa.

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occhi. In secondo luogo soccorrere i poveri campagnoli, istruirli nelle virtù cristiane, esortarli ad una buona vita, aiutarli a fare una sincera confessione generale, e il resto. Terzo, servire gli ecclesiastici, secondo la nostra piccolezza, secondo la scarsa scienza e poca virtù che abbiamo; e, sebbene quei signori ne abbiano più di noi, dobbiamo nondimeno intrattenerli su ciò.

La regola dice inoltre che la Compagnia è composta di sacerdoti e laici; che l'ufficio dei primi è di andare di villaggio in villaggio ad evangelizzare i poveri, dirigere i seminari e le conferenze e dedicarsi alle altre opere che la Compagnia è solita esercitare a favore del prossimo.

Quanto ai fratelli, il loro ufficio è quello di Marta, che consiste nell'assistere i sacerdoti nelle cose necessarie alla loro vita materiale e contribuire ai loro ministeri spirituali con le preghiere, le lacrime, le mortificazioni e il buon esempio. E' stato detto che lo spirito di Gesù Cristo è indispensabile agli uni e agli altri per disimpegnare con profitto i loro obblighi; perché che cos'è lo spirito dell'uomo se non miseria e vanità? Bisogna essere dunque animati dal suo spirito per adempiere le azioni indicate dalle nostre regole. Ora per conoscere e per avere tale spirito, dicemmo che gli articoli seguenti ci avrebbero insegnato in che consiste e i mezzi per acquistarlo.

Leggiamo il secondo capitolo del librettino delle nostre regole; ecco quello che dice:

Prima di ogni altra cosa, ciascuno si sforzerà di fondarsi bene in questa verità, che la dottrina di Gesù Cristo non può ingannare, e, invece, quella del mondo è sempre fallace, affermando Gesù Cristo stesso che questa è simile ad una casa fondata sulla sabbia, e la sua ad un edificio fondato sulla dura pietra. Pertanto la Congregazione si propone di operar sempre conforme alla dottrina di Gesù Cristo, e mai secondo le massime del mondo; e per far questo, compirà particolarmente quanto segue.

Bisogna dunque ammettere come base, che la dottrina di Gesù Cristo fa quello che dice e quella del mondo non dà mai ciò che promette; che le persone che fanno quello che Gesù Cristo insegna fabbricano sulla roccia, che nè l'inondazione delle acque nè l'impetuosità dei venti possono far crollare; mentre le persone che non fanno quello che Egli comanda, sono simili a colui che ha fabbricato la casa sulla sabbia mobile e che il primo uragano atterra. Dunque chi dice dottrina di Gesù Cristo dice una roccia incrollabile, dice verità eterne seguite infallibilmente dal loro effetto; in modo che sarebbe più facile che cadesse il cielo piuttosto che la dottrina di Gesù Cristo, e mai quella del XXX questo la regola conclude che la Compagnia deve far pressione di abbracciare sempre e praticare la dottrina di Gesù Cristo, e mai quella del mondo, e facendo in tal modo, si riempirà e si rivestirà di Gesù Cristo.

Per spiegare bene questa regola, onde ritrarne frutto, terremo lo sesso ordine che abbiamo tenuto per alcuni degli articoli precedenti, e che forse osserveremo nella spiegazione di qualche altro dei seguenti, se l'argomento lo richiederà, come quello di oggi. Vi diremo dunque 1° in che consiste la dottrina di Gesù Cristo e che cosa s'intende per quella del mondo; 2° esporremo qualche motivo per cui dobbiamo amarla; 3° suggeriremo quindi alcuni mezzi per metterla in pratica.

Quanto al primo punto, la dottrina di Gesù Cristo è così definita: una legge divina positiva data a tutti gli uomini da Gesù Cristo, legislatore, maestro dei costumi, istitutore del santo Sacrificio e dei sacramenti nuovi. Ecco la definizione. Ora, propriamente parlando, una legge obbliga ad osservarla. Ma dovete sapere che questa dottrina di Gesù Cristo comprende comandamenti e consigli, chiamati evangelici. I comandamenti obbligano l'intelletto e la volontà, come questo: Hoc est praeceptum meum, ut diligatis invicem502; il mio comandamento è che vi amiate gli uni gli altri. Questa parte è una legge coattiva, che comanda; ma l'altra parte non è coattiva, ma una

502 Gv, 15, 12.

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regola di direzione, che ci propone i consigli evangelici per la perfezione, quale questo: "vendete quello che possedete e datelo in elemosina503". E' pure una legge divina e positiva, spiegata e proposta a tutti gli uomini, perché ognuno l'osservi secondo la propria condizione e secondo le disposizioni e l'impulso che sente; ma non obbliga sotto pena di peccato a praticarla, sebbene tutti siano obbligati a rispettarla; dimodoché peccherebbero se la disprezzassero. Questa dottrina o legge di Gesù Cristo è contenuta nel Nuovo Testamento, sia quanto a ciò che Egli ci ha insegnato per mezzo degli apostoli, per via d'ispirazione, sia quanto a ciò che Egli stesso ha detto a viva voce e gli evangelisti ci hanno conservato.

Per capir meglio quanto abbiamo detto, bisogna sapere che il Nuovo Testamento comprende prima di tutto la spiegazione della Sacra Scrittura e l'amplificazione di questa per l'istruzione e la buona vita del popolo; in secondo luogo, l'istituzione del santo Sacrificio, dei sacramenti e degli ordini stabiliti da Gesù Cristo; e, in terzo luogo, la dottrina percettiva, che comanda, o quella direttiva o di direzione, che consiglia, che è quella che chiamiamo consigli evangelici. E principalmente di questa terza specie di dottrina evangelica, tanto precettiva che direttiva intendiamo parlare in questa conferenza e ad essa la regola si riferisce. E' anche quello che chiamiamo massime evangeliche.

So bene che, propriamente parlando, le massime, chiamate anche assiomi, sono principì che non richiedono dimostrazioni,dai quali si ritraggono conseguenze concludenti; ma, come per il solito s'intende, si da il nome di massime, non solo ai primi principì, ma anche alle conclusioni che se ne deducono, sia mediatamente, sia immediatamente, ed anche a sentenze e detti notevoli, che mirino, o direttamente o indirettamente, alla pratica di qualche virtù o alla fuga di qualche vizio. Ora, noi prendiamo la parola massima in tutti questi sensi, ed abbiamo, perciò, intitolato il capitolo delle nostre regole: Delle massime evangeliche.

Ma quali sono tali massime? Ve n'è un gran numero nel Nuovo Testamento ma le principali e le fondamentali sono specificate nel sermone che Nostro Signore fece sulla montagna e che comincia: "Beati i poveri di spirito504, il quale sermone si trova nei capitoli 5°, 6° e 7° di S. Matteo. Prendiamo per esempio questa che è tra le fondamentali: "Andate e fate al vostro prossimo quello che vorreste fosse fatto a voi505". Questa massima è alla base della morale e su questo principio si possono regolare tutti gli atti della giustizia secolare; su di esso Giustiniano stabilì le sue leggi e i giureconsulti l'hanno preso a norma del diritto civile e canonico. E come qualunque conclusione tratta da uno o più principi deve indicare con sicurezza quello che prescrivono per la pratica della virtù o proibiscono per la fuga del vizio, così da queste massime evangeliche se ne deducono conseguenze certe, che conducono, secondo il volere di Nostro Signore, non solo a fuggire il male e a fare il bene, ma anche a procurare la maggior gloria di Dio suo Padre e ad acquistare la perfezione cristiana.

Per dare una maggiore intelligenza di queste massime e meglio distinguere quelle che obbligano da quelle che non obbligano, è opportuno aggiungere qui che alcune sono comandi assoluti come queste: "Guardatevi da ogni avarizia506", "Fate penitenza507", alle quali dobbiamo necessariamente obbedire. Altre obbligano, secondo S. Tommaso, soltanto quoad praeparationem animi; ossia bisogna essere disposti a conformarvisi, quando se ne presenti l'occasione e siamo al caso di farlo, come questa: "Fate del bene a

503 Mt. 19, 21.504 Mt., 5, 3.505 Mt., 7, 12.506 Lc., 12, 15.507 Mt., 4, 17.

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coloro che vi odiano508". Altre sono puramente consigli, come: "Vendete tutto quanto possedete e datelo in elemosina509": perché Nostro Signore non obbliga nessuno a vendere i proprii beni per darli a poveri, ma lo consiglia soltanto per maggior perfezione. Infine, ve ne sono altre che sono puri consigli evangelici, e tuttavia qualche volta obbligano ad osservarle per essere diventate precetti; questo avviene quando si è fatto voto do osservarle, pronunziando il voto di povertà, di castità, di obbedienza, perché i consigli evangelici, si riferiscono e si riducono a queste tre virtù, e non ve n'è alcuno che non si riallacci alla povertà o alla castità o all'obbedienza.

Per conseguenza, fratelli, noi, che abbiamo fatto voto di esser fedeli a questi tre consigli evangelici, siamo obbligati ad osservarli; e, osservandoli, siamo sicuri di fabbricare sulla roccia e di fare un edificio permanente. E sono questi i consigli e le massime che la nostra regola intende e che raccomanda alla Compagnia di abbracciare. Quest'obbligo c'impegna, al tempo stesso, a fuggire le massime del mondo, perché sono opposte a quelle del Vangelo; e per poterle fuggire è necessario sapere quello che sono. Perciò vi ho promesso dirvi che cosa s'intende per massime del mondo. Ebbene non saprei meglio dipingervele che facendovi vedere come sono opposte a quelle di Gesù Cristo ed in che le contraddicono. Ecco come:

Prima di tutto, le massime di Nostro Signore dicono: "Beati i poveri"; e quelle del mondo: "Beati i ricchi". Quelle che dobbiamo essere miti e mansueti; queste, che bisogna tener fermo e farsi temere. Gesù Cristo dice che l'afflizione è benefica: "Beati quelli che piangono"; e i mondani, invece: "Beati quelli che godono e si saziano di piaceri". "Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia". Il mondo se ne burla. "Beati, dice, quelli che cercano i loro vantaggi temporali e di farsi grandi". "Benedite quelli che vi maledicono", dice il Salvatore; ed il mondo afferma che non bisogna tollerare ingiurie: e "Chi si fa pecora, il lupo se lo mangia"; che dobbiamo conservare la riputazione ad ogni costo e che è meglio perdere la vita che l'onore.

Basta questo per conoscere la dottrina del mondo e a che cosa essa essa miri. La nostra regola dunque, impegnandoci a seguire la dottrina infallibile di Gesù Cristo, ci obbliga contemporaneamente, come abbiamo detto, ad andare contro la dottrina mondana, la quale è un abuso. Non già che nel mondo non vi siano proverbi giusti, perciò non opposti alle massime cristiane, come questo: "Chi farà il bene, avrà bene". E' vero; anche i pagani e i turchi lo confessano e non c'è nessuno che non ne convenga.

Mi trovavo un giorno in viaggio con un membro del Gran Consiglio e mi diceva che le buone massime del mondo sono come consigli evangelici. Per esempio: "Chi troppo abbraccia nulla stringe". E' una verità costante e accertata; tutti l'hanno sperimentato. Vi sono dunque nel mondo le buone e le cattive massime; le buone sono quelle che tutti gli uomini accettano e non sono opposte a quelle del Vangelo e le cattive sono quelle che si oppongono a quelle di Gesù Cristo e non sono approvate se non dai cattivi e dai mondani.

Vi è però differenza tra le buone massime del mondo e quelle del Vangelo; poiché le prime sono fondate sull'esperienza, avendone provati gli effetti; ma quelle di Gesù Cristo sono infallibili per la virtù del suo spirito, il quale ce ne dà la scienza e la penetrazione, ci fa vedere dove giungono queste divine conseguenze e ci dimostra che essendoci date dalla Verità eterna sono sempre verissime ed ottengono sempre il loro effetto.

I buoni contadini sanno che la luna cambia, che avvengono eclissi di sole e degli astri; ne parlano spesso e sono capaci di accorgersi di questi fenomeni quando avvengono. Ma un astronomo non solo li vede insieme con essi, ma li prevede da

508 Mt, 5, 44.509 Mt., 19, 21.

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tempo, sa i principi dell'arte e della scienza; egli dirà: "Avremo un'eclissi nel tal giorno, alla tale ora, al tal minuto". Ora, se gli astronomi, per la loro scienza, hanno questa infallibile penetrazione, non solo in Europa, ma tra i cinesi, e nell'oscurità dell'avvenire spingono sì oltre lo sguardo da conoscere con certezza gli strani fenomeni che devono accadere, per il movimento dei cieli, di qui a cento anni, a mille anni, quattro mila anni, e per i dati scientifici che possiedono, sino alla fine del mondo, se, dico, gli uomini hanno tal conoscenza, quanto più questa luce eterna, che scruta sino alle minime circostanze le cose più recondite, ha visto la verità di tali massime?

Ah! Signori! perché non siamo convinti che queste medesime massime, essendoci proposte dall'infinita carità di Gesù Cristo, non possono ingannarci? Eppure, il nostro male è che non ci fidiamo, che ci appoggiamo alla prudenza umana. Non vedete che siamo colpevoli di fidarci piuttosto del ragionamento umano che delle promesse della sapienza eterna, delle apparenze ingannatrici della terra più che dell'amore paterno del Salvatore, sceso dal cielo per toglierci d'inganno? O Salvatore, Voi conoscevate bene il valore di questa massima quando ce l'avete data, eppure pochi possono comprenderla. "Se ti danno uno schiaffo in una guancia, porgi anche l'altra"510. La vostra Provvidenza permette che ne vediamo spesso l'importanza, tuttavia continuiamo a fare il contrario. Vi domando, fratelli, quale massima è dunque migliore: quella di porgere la guancia sinistra quando siamo colpiti sulla destra o quella del mondo il quale vuole che si reagisca? Chi ha meglio conosciuto, ditemi, la natura di queste massime; il mondo che vuole che ci vendichiamo, o il Figlio di Dio che ce ne dissuade? Immaginiamoci un gentiluomo a cui sia dato uno schiaffo; il risentimento gli fa mettere mano alla spada; tutti gli si offrono per aiutarlo a chieder ragione di questo affronto; egli viene alle mani, ma eccolo in pericolo di perdere i suoi beni per la confisca, la sua vita per questo duello, l'anima sua per questo delitto, la propria moglie e i propri figli per questa sventura. Non sarebbe meglio per questo miserabile attenersi alla massima di Nostro Signore, la quale avrebbe conservato la sua persona e la sua casa nella prosperità e gli avrebbe attirato grandi grazie da Dio, piuttosto che seguire quella del mondo che gli ha procurato un vero disastro con il pericolo grandissimo della dannazione eterna?

Non vedete che le massime del mondo ci traggono sempre in inganno, mentre quelle di Nostro Signore sono sempre a vantaggio di chi le pratica, sebbene appariscano difficili? Bisogna dunque sottomettersi a queste verità; bisogna lasciarsi condurre secondo i lumi celesti.

Ve n'è una che proibisce d'intentare una lite. "A chi ti vuol togliere la veste, essa dice511, dà anche il mantello". Qual consiglio credete dunque sia meglio seguire: sostenere un processo, quando ci si vuol togliere una cosa legittimamente acquistata, o rinunziarvi senza litigare? Purtroppo, signori, abbiamo sperimentato noi stessi le cattive conseguenze del primo, con la perdita di Orsigny e servirà di norma e di prevenzione alla Compagnia per non far cause. Non sarebbe stato meglio desistere dalle nostre pretese e abbandonare quel podere, sebbene ci fosse venuto senza che l'avessimo ricercato? Lo sapete, mio Dio, che non avevamo fatto nulla da parte nostra per averlo, lo sapete, mio Dio, lo sapete. Non avremmo fatto meglio lasciarlo subito, nonostante le spese ingenti che vi avevamo fatto, piuttosto che far causa, sperando conservare quel possesso giustamente acquistato, se poi abbiamo dovuto perderlo? E Dio l'ha permesso per insegnarci, a nostre spese, quanto la prudenza umana sia ingannatrice e degna di fede e di amore la sua divina parola.

"Ma come! diranno alcuni, dobbiamo dunque lasciarci spogliar vivi e non aprir bocca per protestare contro l'ingiustizia? Non è lecito difendersi per conservare la nostra roba?" - Rispondo che qualche volta si è obbligati a comparire dinanzi ai giudici.

510 Mt. 5, 39.511 Mt., 5, 40.

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Anche Nostro Signore vi andò e San Paolo sostenne un processo, difendendo lui stesso la sua causa. Se siamo chiamati in tribunale dobbiamo andarvi a rispondere, ma diversamente, conviene che la Compagnia, per onorare i consigli di Nostro Signore e osservare questa massima, si disponga a perdere piuttosto che far liti, e cerchi di soffocare ad ogni costo qualunque divergenza senza ostinarsi a sostenere i suoi diritti, in modo da non rispondere all'intimazione prima di aver fatto ogni sforzo per un accomodamento amichevole. Diamo questa gloria a Dio, signori, e questo esempio al pubblico. La nostra regola vuol dunque che siamo fermi nelle massime di Nostro Signore; perciò, fratelli, dobbiamo darci a Dio per stimarle ed amarle tutte ed osservarle ciascuna a suo tempo. Chiedetegli questa grazia con la preghiere e i sacrifici; mettiamo in opera tutti i mezzi che Dio ha ispirato alla sua Chiesa per consolidarci in queste verità divine e rivolgiamo la nostra vita, le nostre mire e i nostri affetti da quella parte. Ecco alcune ragioni per stimolarci a farlo.

La prima ragione è che Gesù Cristo, sapienza eterna, ha detto che chi ascolta la sua parola e la mette in pratica è simile all'uomo savio che ha fabbricato sulla solida pietra e resiste sempre; all'opposto chi l'ascolta e non la pratica è simile a quei pazzi che, avendo eretto i loro edifici sulla sabbia, sono prossimi a vedere la loro rovina. Se ci atterremo alle sante massime di Nostro Signore, fabbricheremo sopra una roccia incrollabile, progrediremo sempre di virtù in virtù. Se i superiori della Compagnia vigileranno diligentemente che essa non retroceda, ma vada sempre avanti in questa santa osservanza, se Dio ci farà la grazia di essere costanti in questa risoluzione, la Compagnia farà gran passi nella perfezione, nel servizio della Chiesa e del popolo; ma occorre entrarvi addentro, convincersi di questa necessità, se vogliamo evitare la nostra caduta particolare e generale e godere i beni innumerevoli promessi a chi sarà costante.

La seconda ragione è tratta dal 5° capitolo di san Matteo, nel quale Nostro Signore dice agli apostoli e agli altri discepoli: "Badate a quello che vi dico: chiunque toglierà un punto e insegnerà agli altri a fare lo stesso sarà misero e meschino dinanzi a Dio; ma chiunque farà e insegnerà quello che vi comando, sarà chiamato grande nel regno dei cieli". Nostro Signore ne vedeva qualcuno tra di loro. "Non abbiamo, diranno essi, i comandamenti della legge; non bastano? Egli vuol costringerci a certi precetti difficili e dice che soltanto quelli che li osserveranno saranno beati". Perciò nel 7° capitolo ancora di san Matteo dà loro questa risposta: "Sappiate che la porta del paradiso è stretta, che la via spaziosa conduce a perdizione, e grande è il numero di coloro che entrano per la porta larga che introduce nell'inferno"512.

Signori, non c'illudiamo; il Figlio di Dio l'ha detto, Egli conosceva la disgraziata inclinazione che gli uomini hanno di vivere a loro talento, e, vedendo che ve ne sarebbero stati pochi che si sarebbero fatti violenza per seguire il Vangelo, ce ne avverte. Stiamoci attenti, riflettiamo a ciò che hanno detto i santi, e quante poche persone essi credono salve. Consideriamo che nell'arca di Noè non c'erano che sette od otto persone e che tutti gli altri perirono, e che di dieci vergini cinque furono respinte, e che di dieci lebbrosi guariti uno soltanto tornò a Gesù Cristo.

Questi esempi sono segni del piccolo numero degli eletti. "Voi li conoscerete dai loro frutti", dice Nostro Signore513; e sono quelli che, essendo battezzati, rinunziano al mondo, al demonio, alla carne, e che, con fede viva, animati dallo spirito di Gesù Cristo, fanno le opere del Vangelo; costoro giungeranno sino al trono di Dio. Oh! quanto sono pochi! Voi ci parlate, mi direte, di questo piccolo numero, eppure vediamo che coloro che osservono la legge di Mosè fecero miracoli, come diranno loro stessi al Salvatore del mondo nell'ultimo giorno. Ma Egli ha risposto in precedenza: "Non chi

512 Mt., 7, 14.513 Mt., 7, 16.

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dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio 514. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi scacciato il demonio, profetizzato e compiuto molti miracoli in nome vostro? Ed allora dichiarerò: non vi ho mai conosciuto. Andate, iniqui, allontanatevi da me, io vi abbandono". Oh! quanto è grande il numero di quegli sventurati! Vogliamo, signori, esporci a tanta disgrazia e camminare con loro nella via larga, noi che siamo chiamati per la via stretta, per essere nel piccolo numero dei salvi? Vogliamo essere come gli operai malcauti che fabbricano sulla sabbia e periscono miseramente? O Gesù, mio Salvatore, siamo vostri e vogliamo, con l'aiuto della grazia vostra, seguire le vostre massime.

Ecco, signori, una terza ragione che ci obbliga: ed è che Nostro Signore dette questi consigli e li osservò per il primo. Mi si dica una massima che quel divino Legislatore non abbia praticato. In Verità, non si è strappato gli occhi, né troncata una mano; ma questo comando si riferisce soltanto agli occhi che guardano con cupidigia e alle mani che danno scandalo. Ed inoltre, non dobbiamo prenderlo alla lettera; s'intende soltanto che occorre chiuder gli occhi per non veder quello che induce al peccato e troncare ogni amicizia e conversazione pericolosa. Ad eccezione di questo, se si tratta di perder tutto, di non aver nulla, di sopportare le ingiurie, di amare i nemici, di pregare per chi ci perseguita, di rinunziare a se stesso e di portare la croce, Egli l'ha fatto sino alla morte per compiere la volontà del Padre suo. Orbene, se siamo suoi figli, dobbiamo seguirlo, dobbiamo, come Lui, abbracciare la povertà, le umiliazioni, i patimenti, distaccarci da tutto quello che non è Dio, ed unirci al prossimo con la carità per unirci a Dio medesimo, mediante Gesù Cristo.

Ecco a che ci conducono tutte queste massime; ed allora fabbricheremo sulla roccia, dimodochè le tentazioni e il turbine delle passioni non ci getteranno a terra, come vi gettano ordinariamente quelli che fondano la loro condotta sulle massime del mondo.

I mezzi per ben stabilirci nelle massime del Vangelo sono di leggere ognuno con attenzione e devozione il Nuovo Testamento, ma principalmente, in san Matteo, i capitoli che le racchiudono, ossia il quinto, sesto, settimo e decimo. Fin da domani, si cominci a leggerli elevando la mente a Dio, per chiedergliene la stima e l'intelligenza, stimolandoci al desiderio di osservarle inviolabilmente e cercare, fin dal primo giorno, di metterle in pratica.

Ma non basta; è opportuno fare orazione su tale argomento. Non ho ancora pensato, se sia meglio dare per lettura di meditazione una massima o se ciascuno in particolare debba meditare quella di cui crede aver maggior bisogno. Vedremo. Frattanto, ciascuno segua l'ispirazione che Dio gli darà dopo la lettura di questi quattro capitoli, prendendo per materia della prima orazione che farà di poi le massime che maggiormente gli convengono.

Un altro buon mezzo per indurci alla pratica di tali massime è di considerare spesso che la Compagnia, fino dal principio, ha avuto il desiderio di unirsi a Nostro Signore per fare quello che Egli fece praticando dette massime, per rendersi, come Lui, accetta al Padre Eterno e utile alla sua Chiesa, e che essa ha cercato effettivamente di progredirvi e di perfezionarvisi, se non al grado in cui avrebbe dovuto farlo, almeno meno male che le è stato possibile. Questa considerazione deve incoraggiare i nuovi e gli anziani, rammentando che tale è lo spirito di cui i missionari devono essere animati in modo particolare.

Signore, perdonateci le mancanze che abbiamo commesse contro le vostre massime, rinnovate in noi la volontà che ce le fece accettare e aumentateci la grazia di compierle tali e quali sono nelle nostre piccole regole! Così facendo, fratelli, troveremo lo spirito di Nostro Signore, lo spirito delle sue massime e tutto quello che Egli c'indica per renderci degni operai del suo Vangelo. Questa devozione è stata sempre tra noi, ma, per

514 Mt., 7, 21.

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colpa mia, la Compagnia non ha portato i frutti nel grado dovuto. Speriamo, fratelli, che per divina bontà, per le vostre disposizioni presenti, per l'aiuto che Dio dà alla Compagnia, che ha fatto di queste regole come un compendio del Vangelo, adatto all'uso a noi più conveniente per unirci a Gesù Cristo e corrispondere ai suoi disegni, Egli ci farà la grazia di portare ogni massima ed ogni regola al più alto grado di perfezione. Si tratta di formare una Compagnia animata dallo spirito divino e che si conservi nelle operazioni di detto spirito. Sia benedetto Dio che ne ha posto le fondamenta e che vi ha scelto a tale scopo! Sia benedetto il suo santo nome perché ha disposto così di voi! Ciò è manifesto nell'aver voi lasciato il mondo ed aver fatto i voti, per applicarvi maggiormente alla santa imitazione di Nostro Signore. Ci sentiamo, dunque, per sua misericordia, tutti obbligati e pronti a praticare le sue massime, se non sono contrarie all'Istituto515. Riempiamone la nostra mente, riempiamo il nostro cuore del loro amore e viviamo conformi ad esse. Preghiamo gli apostoli che le hanno tanto amate e tanto esattamente osservate; preghiamo la Madonna, la quale, meglio di ogni altro, ne ha penetrato la sostanza e dimostrato la pratica: infine, preghiamo Nostro Signore che le ha stabilite per farci la grazia di esser fedeli a praticarle, eccitiamoci a tal fedeltà con la considerazione della loro virtù e dei loro esempi. V'è motivo di sperare che vedendoci qui incamminati a vivere secondo queste massime, essi ci saranno favorevoli nel tempo e nell'eternità. Amen".

198. CONFERENZA DEL 21 FEBBRAIO 1659SULLA RICERCA DEL REGNO DI DIO.(Regole comuni, cap. II, art. 2)516

«Signori, poiché il mio incomodo mi permette stasera di parlarvi, continueremo a spiegarvi il secondo capitolo delle nostre regole. L'ultima conferenza e la prima su detto capitolo furono sulle massime evangeliche in generale, delle quali questa Compagnia deve fare una particolare professione, come di una dottrina divina, suggerita principalmente alle anime che aspirano alla perfezione, alle anime giuste e scelte da Dio per essere, dice Nostro Signore, la luce della Terra, e giungere a possedere il cielo. Ve ne dicemmo qualche cosa venerdì scorso; sarebbe un annoiarvi parlarvene ancora, se non fosse per ricordarvi, di volo, che queste massime sono raccomandate specialmente a noi, tanto perché sono mezzi per arrivare al primo fine che ci siamo proposti, che è la nostra perfezione, quanto in ragione dell'obbligo che abbiamo contratto di praticarle da quando le abbiamo costituite nostre proprie regole.

Passiamo ora al secondo articolo, dove la regola dice con Gesù Cristo: "Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia e tutte le cose di cui avete bisogno vi saranno date per sovrappiù"517. Nostro Signore, avendoci dunque fatto questa raccomandazione, dobbiamo consacrarvici; Egli lo vuole, Egli è la regola della Missione; è Lui che parla, spetta a noi ascoltare le sue parole e donarci a sua Maestà per metterle in pratica. E' bene spiegar parola per parola quelle già riferite, almeno le prime e le principali.

E' scritto di cercare il regno di Dio. Si cerchi, non è che una parola, ma mi sembra racchiuda molte cose. C'insegna ad aspirar sempre a quello che ci è raccomandato, ad affaticarci continuamente per il regno di Dio e non rimanere in uno stato di inerzia e d'indolenza, a riflettere alla propria vita intima per ben regolarla e non alle cose esterne per trovarvi diletto. Cercate, cercate, significa aver cura, significa azione. Cercate Dio

515 Non dobbiamo meravigliarci di questa restrizione; non tutti i consigli evangelici sono per tutti.516 Manoscritto delle conferenze517 Mt., 6, 33.

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in voi, perché sant'Agostino confessa che finchè Egli lo cercò fuori di sè non lo trovò; cercatelo nell'intimo dell'anima vostra, come nella sua gradita dimora; è questo il luogo dove i suoi servi che procurano di mettere in pratica tutte le virtù, le stabiliscono. E' necessaria la vita interiore, e ad essa devono convergere tutti i nostri sforzi: se si manca in questo, si manca a tutto e quelli che vi hanno già mancato devono umiliarsene, implorare la misericordia di Dio ed emendarsene. Se c'è uomo al mondo che ne abbia bisogno, è questo miserabile che vi parla; io cado, ricado, esco spesso fuori di me e vi rientro raramente; accumulo colpe su colpe; questa la vita miserabile che conduco e il cattivo esempio che do".

E raccogliendosi in se stesso, il signor Vincenzo aggiunse:"O pover'uomo! hai tanti motivi d'essere un individuo di vita interiore, e sei in uno stato continuo di cadute e ricadute! Dio mi perdoni!

Cerchiamo, signori, di formarci una vita interiore, di procurare che Gesù Cristo regni in noi; cerchiamo, non rimaniamo in uno stato di languore o di dissipazione, con sentimenti profani e secolareschi, che fanno sì che ci occupiamo degli oggetti che ci cadono sotto gli occhi, senza considerare il creatore che li ha fatti, senza fare orazione per potersi svincolare dai beni della terra e senza cercare il sommo bene. Cerchiamo, dunque, signori... e che cosa? Cerchiamo la gloria di Dio, cerchiamo il regno di Gesù Cristo.

La parola cercate è seguita da: anzitutto, ossia cercate il regno di Dio prima di ogni altra cosa. - Ma, signore, vi sono tante cose da fare, tanti uffici in casa, tanti incarichi in città, in campagna; lavoro dovunque; e bisogna lasciar tutto da parte per non pensare che a Dio? - No, ma bisogna santificare queste occupazioni cercandovi Dio e compierle per trovarvelo, piuttosto che per vederle fatte. Nostro Signore vuole che innanzitutto cerchiamo la sua gloria, il suo regno, la sua giustizia, e, perciò, che facciamo tesoro della vita interiore, della fede, della confessione, delle umiliazioni, delle fatiche e delle pene, soffrendole per Iddio, nostro supremo Signore: vuole quindi che gli facciamo offerte continue di sottomissione e di desideri per procurare regni alla sua bontà, grazie alla Chiesa e virtù alla Compagnia. Una volta ben fondati nel ricercare la gloria di Dio, siamo certi che il resto verrà da sè.

Nostro Signore ci promise di provvedere a tutti i nostri bisogni, senza che ci angustiamo; tuttavia bisogna badare anche agli affari temporali e seguirli con quella sollecitudine che Dio desidera, ma non per farne il nostro scopo principale. Iddio vuole che ce ne occupiamo, e la Compagnia farà bene ad attendervi. Ma se prende abbaglio e cerca le cose esteriori e periture trascurando le interiori e le divine, non sarà più Missione; sarà un corpo senz'anima e questo luogo sarà di nuovo, come una volta, motivo di dolore per le persone dabbene e di avversione a Dio. Ecco, signori, come dobbiamo anzitutto e prima di ogni altra cosa cercare il regno di Dio.

Ma che cos'è il regno di Dio?Si possono dare varie spiegazioni: 1° Si può intendere l'impero di Dio su tutte le

creature, angeliche ed umane, animate ed inanimate, sui dannati e sui demoni; Egli è padrone, signore e sovrano di tutto e di tutte le cose. 2° Del governo della sua Chiesa composta di eletti e di reprobi; Dio ne è il re, Egli ha dato delle leggi a questa Chiesa ed ispira a quelli che la governano le buone vie da tenersi; regna sui concili canonici e le sante assemblee tenute per il buon ordine dello Stato cristiano, e che perciò sono presiedute dallo Spirito Santo. E' Lui che dette i lumi diffusi per tutta la terra, lumi che illuminarono i santi, confusero i perversi, dissiparono i dubbi, manifestarono le verità, scoprirono gli errori e indicarono le vie per cui la Chiesa in generale e ogni fedele in particolare potessero camminare con sicurezza. 3° Egli regna in modo speciale sui giusti che l'onorano e lo servono; sulle anime buone che si danno a Dio, che non respirano che Dio; sugli eletti che devono glorificarlo in eterno. Su tali persone Egli regna particolarmente, per le virtù che esse praticano e che da Lui hanno ricevuto. Egli

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è il Dio delle virtù, non ve n'è alcuna che non venga da Lui. Esse procedono tutte da questa sorgente infinita, che le manda alle anime elette, le quali, essendo sempre pronte a riceverle, sono sempre fedeli a praticarle. In questo modo esse procurano il regno di Dio e Dio regna in loro.

Ah! signori, siamo in queste condizioni? Abbiamo noi questa felicità che Dio sia padrone in casa nostra, in modo che le sue virtù vi compiano le loro operazioni, senza incontrare resistenza? Fratelli, chiediamoci: "Faccio quanto fanno tali anime? Sono docile alle ispirazioni di Dio, fedele ai suoi voleri, esatto alle mie pratiche e sempre disposto a sottomettermi alla sua divina volontà?" Se così è, dite arditamente quello che diceva Nostro Signore: "Come il Padre mio vivente mandò me, così io vivo per il Padre518". Persuadetevi che avendovi il Dio delle virtù scelto per praticarle, voi vivete per Lui, e che il suo regno è in voi. Ma se non è così, che fare? Darci immediatamente a Lui senza dilazione e senza riserva, affinché si degli disporci alla vita degli eletti ed allontani da noi tante volontà proprie e la ricerca delle nostre proprie soddisfazioni che impediscono a Dio di risiedere tranquillamente e assolutamente in noi. Che cosa c'impedisce di fare ora tutti insieme quest'atto di abbandono alla sua divina bontà? Diciamoglielo dunque: "Re dei nostri cuori e delle anime nostre, eccoci umilmente prostrati ai vostri piedi, tutti dediti alla vostra obbedienza e al vostro amore; ci consacriamo di nuovo, interamente e per sempre alla gloria della Vostra Maestà e vi scongiuriamo con tutte le nostre forze di stabilire il vostro regno nella Compagnia, di farle la grazia di lasciarsi interamente governare da Voi e nessuno se ne sottragga, e tutti si lascino così guidare come il Figlio vostro e i vostri sudditi fedeli".

Ecco, signori, come occorre interpretare queste parole: "Cercate il regno di Dio"; ma è detto anche: "E la sua giustizia". Osservate che aggiunge giustizia!

So bene che alcuni non mettono differenza, tra cercare il regno di Dio e cercare la sua giustizia, e perciò non vi sarebbe bisogno che mi fermassi maggiormente a spiegare queste parole; tuttavia, siccome altri ne fanno distinzione e non c'è parola nella Sacra Scrittura dalla quale non si possa ritrarre qualche frutto, se è bene spiegata e meditata, non sarà inopportuno spiegarvi che s'intende con la parole: "Cercate la giustizia di Dio". E per poterlo fare, è necessario saper bene prima che cos'è questa giustizia di Dio. Signori, voi avete studiato la teologia e io sono un ignorante, uno scolaro di quarta; sapete che vi sono due sorta di giustizia, ossia la commutativa e la distributiva; l'una e l'altra si trovano in Dio; iustus Dominus et iustitias dilexit519. Si trova anche negli uomini, ma ha il difetto di essere dipendente, mentre quella di Dio è sovrana. Le nostre giustizie non lasciano per questo di avere le loro proprietà, per le quali hanno relazione e somiglianza con quella divina, da cui dipendono. Quella di Dio dunque è, insieme, commutativa e distributiva.

1° Commutativa, perché Dio volge le fatiche degli uomini in virtù, e i loro meriti in ricompensa; e allorché avviene la corruzione dei corpi, l'anima prende possesso della gloria che essi hanno meritata. Questa commutazione dei meriti in ricompensa si fa con misura e numero, o, come dicono i teologi, con proporzione aritmetica. Sì, Dio proporziona le virtù alla violenza che uno si fa per acquistarle e concede la gloria secondo il numero e il valore delle buone azioni. Questa considerazione deve commuoverci, signori; Dio ci ricompenserà secondo la giustizia e il numero delle opere. Lavoriamo, fratelli, lavoriamo per acquistare la virtù, accelleriamo il passo, cerchiamo l'onore e il beneplacito del nostro buon Salvatore; coltiviamo la vita interiore, aumentiamo il regno di Dio in noi. V'è un passo di S. Paolo ai Corinti: Opera illorum sequuntur illos520; le opere buone del giusto lo accompagneranno, e Dio lo ricompenserà, come pure punirà i malvagi, in proporzione delle loro iniquità, con la

518 Gv., 6, 58.519 Sal., 10, 8.

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pena dell'inferno; ma lo farà rigorosamente, con quella proporzione aritmetica di cui abbiamo parlato. Diminuiamo le miserie dell'anima nostra e facciamo progressi nella virtù; Dio sarà giusto nel ricompensarci delle opere buone e nel punirci delle cattive. Questo è vero; lo lessi anche poco tempo fa. Se dunque Dio opera in tal modo, non dobbiamo considerare la sua giustizia cercando la sua gloria e considerare la sua gloria cercando la sua giustizia? Non dobbiamo fare tutto il bene possibile a tale scopo, affinché le nostre opere siano degne di questa commutazione della gloria e che la gloria corrisponda alle opere? Non possiamo sperare una buona e sovrabbondante se siamo taccagni con Lui; è necessario seminare con buone azioni per raccogliere molto in ricompensa, e cercheremo così la giustizia di Dio, in quanto è commutativa e propria di Lui solo.

2° Essa è parimenti distributiva, osservando essa una certa proporzione chiamata geometrica, quando distribuisce il paradiso ai buoni, l'inferno ai cattivi, come sono io, che non devo aspettarmi altro che un severo castigo. Il paradiso è un cumulo di beni infiniti che Dio distribuisce alle anime giuste. Che cos'è l'inferno? Un luogo dove abbondano mali di ogni sorta che non finiranno mai, distribuiti a quelli che si prostituiscono al peccato; e questa giustizia si chiama distributiva. Perché? Perché il paradiso è la mercede o il salario con cui Egli ricompensa i suoi servi e l'inferno è la pena con cui castiga i cattivi. E' proprio di Dio rendere a ciascuno, secondo le sue opere. Signori, non c'illudiamo, saremo puniti, temiamo.

Leggevo, nei giorni scorsi, oppure mi fu riferito che un religioso diceva che nel suo ordine si notava che Dio era temuto; il timore vi dominava, sebbene non in tutti, perché alcuni non pensavano affatto ai castighi di Dio e il timore non trovava posto in essi; erano persone rilassate, senza riflessione e senza preoccupazione per il fine ultimo. "Quanto a me, diceva, faccio l'orazione, dico l'ufficio e faccio tutte le pratiche di pietà, ma con timore di farle male o almeno di non farle abbastanza bene".

Signori, riflettiamo come disimpegnamo le nostre; non vi troveremo altro che troppi motivi per temere che, invece di meritarne la ricompensa, Dio ci trovi degni di castigo. Ma dove va a finire tutto questo discorso di giustizia commutativa e distributiva? A farci capire in una parola che per ben cercare ed anche felicemente trovare questa divina giustizia, bisogna considerarla come commutativa e distributiva insieme, ossia pronta a ricompensarci abbondantemente, se cerchiamo di meritarlo con la pratica delle virtù proprie al nostro stato; il che è, in qualche modo, imitare la giustizia divina.

Ecco, signori, una lunga spiegazione di questa massima; tuttavia non basta. Dovete sapere che con le parole: "Cercate in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia", Nostro Signore non esige soltanto che cerchiamo innanzi tutto il regno di Dio e la sua giustizia, come abbiamo spiegato; voglio dire che non basta fare in modo che Dio regni in noi, cercando così il suo regno e la sua giustizia, ma dobbiamo, inoltre, desiderare e procurare che il regno di Dio si estenda da per tutto, che regni in tutte le anime, che non vi sia se non la vera religione sulla terra e che il mondo viva diversamente da quello che vive, grazie alla virtù di Dio, e con i mezzi stabiliti nella sua Chiesa, affinché la sua giustizia sia tanto ben cercata e imitata da tutti con una santa vita, che egli ne sia perfettamente glorificato nel tempo e nell'eternità.

Ecco dunque quello che dobbiamo fare: desiderare la gloria di Dio e far di tutto per propagarla.

Dico la sua gloria, dico il suo regno e prendo così l'uno per l'altra, essendo la medesima cosa. La gloria di Dio è in paradiso; e il suo regno, nelle anime. Abbiamo dunque questo continuo desiderio che il regno di Dio si estenda e questa sincera volontà di lavorarvi a tutta forza, affinché avendo cercato di estendere il regno di Dio sulla

520 Ap., 14, 13. - S. Vincenzo per inavvertenza nomina S. Paolo invece di S. Giovanni.

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terra, andiamo a goderlo in paradiso. Conserviamo questa lampada sempre accesa nei nostri cuori.

O signori, quanto siamo fortunati di essere in una Compagnia che ha per fine, non solo di renderci degni che Egli regni in noi, ma che sia amato e servito da tutti e che tutti siano salvi! Quando leggeremo la regola, troveremo che essa ci raccomanda prima di tutto di perfezionarci, ossia di far regnare Dio in voi e in me ed in secondo luogo di cooperare all'estensione del suo regno. Non è grande il nostro fine? E' fare come gli angioli incaricati da Dio di portare e riportare i suoi voleri agli uomini, affinché essi operino a seconda dei medesimi. C'è al mondo condizione più desiderabile della nostra?

Ecco, signori, spiegate, all'ingrosso, le parole "Cercate in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia". Veniamo ora ai motivi che abbiamo di darci, per questo, a Dio. Il primo è che non solo vi siamo obbligati dalla regola, ma Gesù Cristo ce lo comanda; la prima delle sue massime, la principale delle sue pratiche, è di aspirare che Dio sia conosciuto, servito, amato, che il suo regno e la sua giustizia siano ricercate sopra tutte le cose. Ora, se Nostro Signore ci esorta e ce lo comanda, dà anche la grazia per farlo a chi gliela chiede e l'aumenta a chi Gli è fedele. Perché dunque, fratelli, non corrisponderemmo ad una cosa tanto santa, tanto vantaggiosa e tanto inerente alla nostra professione? La mia regola mi dice di far di tutto perché Dio regni. Oh! nulla m'impedirà, con l'aiuto di Dio, di applicarmi interamente ad un dovere tanto giusto.

Il secondo motivo è la promessa di Nostro Signore. Qual'è? Se facciamo i suoi interessi, Egli farà i nostri. Cerchiamo la sua gloria, occupiamoci di essa e non preoccupiamoci di altro; et haec omnia adicientur vobis; e tutte le altre cose di cui avrete bisogno, vi saranno date per sovrappiù. Siamo solleciti nel procurare che Dio regni in noi e negli altri mediante tutte le virtù; quanto alle cose temporali, lasciamogliene la cura; Egli vuol così. Sì, Egli ci provvederà di cibo, di vesti, anche di scienza. Guai a noi, se non l'avessimo! Guai ai missionari che non studiano per averla! Ma prima di tutto bisogna tendere alle virtù, formarsi una vita interiore, preferire le cose spirituali alle temporali e il resto verrà da sè.

Su tale argomento, ricordatevi di Abramo, al quale Dio aveva promesso di popolare la terra, per mezzo dell'unico suo figlio. Eppure gli comandò di sacrificarglielo. Se Abramo fa morire il figlio, Dio come compirà la sua promessa? Abramo tuttavia, abituato a far la volontà divina, si dispone ad eseguire quell' ordine, senza mettersi in pena per il resto. Spetta a Dio pensarvi, poteva dire; se io compio il suo comando, Egli compirà la sua promessa; ma come? Non lo so. Mi basta sapere che è onnipotente. Gli offrirò quello che mi è più caro al mondo, poiché l'esige. Ma è il mio figlio unico! Non importa! Ma togliendo la vita a questo fanciullo, toglierò a Dio il modo di mantenere la sua parola. E' lo stesso. Egli vuol così, bisogna farlo. Ma se lo conservo la mia stirpe sarà benedetta; ma l'ha detto Dio. Sì, ma ha detto anche che lo uccida; me l'ha manifestato; obbedirò, qualunque cosa avvenga, e spererò nelle sue parole. Ammirate che fiducia! Abramo non si angustia per quello che avverrà; eppure la cosa lo riguarda da vicino, ma egli spera che tutto si rivolgerà a bene, poiché Dio se ne occupa. Perché non avremo la medesima speranza, lasciando a Lui la cura di tutto quanto ci concerne, preferendo quello che ci comanda?

Su tale argomento parimente, non ammireremo la fedeltà dei figli di Recab? Questi era un uomo dabbene che aveva ricevuta da Dio l'ispirazione di vivere diversamente dagli altri uomini. Non avrebbe dunque più dimorato nelle case, ma sotto le tende e in padiglioni. Abbandona quindi la casa che aveva ed eccolo in campagna, dove ha il pensiero di non piantar vigne, per non ber mai vino; infatti non ne piantò, e non ne bevve mai. Proibì ai suoi figli di seminare il grano od altri foraggi, di piantare alberi e fare ortaggio, dimodochè eccoli senza grano, senza pane e senza frutta. Come farete dunque, povero Recab? Credete che la vostra famiglia possa fare a meno di viveri come parimenti voi? - Mangeremo quello che Dio ci manderà. - E' cosa dura, signori. Non

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dispiaccia ai religiosi più poveri se asserisco che neppure essi spingono la rinunzia sino a questo punto. Insomma la fiducia di quest'uomo fu tale, che si privò di tutti i comodi della vita, per dipendere assolutamente dalle cure della Provvidenza e visse così trecento cinquant'anni. Ciò fu tanto gradito a Dio, che rimproverando a Geremia la durezza del suo popolo, tutto dedito ai piaceri, gli disse: "Va da quegl'induriti, dì loro che c'è un uomo che fa questo, questo e questo". Geremia fece dunque venire un figlio di Recab per rendersi conto della grande astinenza del padre e dei figli, e a questo scopo fece mettere sulla tavola pane, vino, alcuni recipienti ecc. Venuto costui, Geremia gli disse: "Ho ordine da Dio di dirti di bere vino". - "Ed io, rispose il fanciullo, ho ordine di non berne; è tanto tempo che non ne beviamo, avendocelo nostro pane proibito".

Orbene, se questo padre ebbe tanta fiducia da esser certo che Dio avrebbe provveduto al sostentamento della sua famiglia, senza che egli si mettesse in angustie, e se i figli furono tanto fedeli e costanti nell'imitare il padre loro, ah! signori, qual fiducia dobbiamo aver noi pure che in qualunque stato Dio ci ponga, provvederà del pari a quanto ci abbisogna. Qual'è la nostra fedeltà alla regola in confronto di quella dei recabiti, i quali non erano per nulla obbligati ad astenersi da tante cose nell'uso della vita, eppure vivevano in tal povertà? O mio Dio! fratelli, chiediamo alla sua divina bontà una gran fiducia per tutto quello che ci occorre; purché gli siamo fedeli, nulla ci mancherà. Vivrà Lui stesso in noi, ci condurrà, ci difenderà e amerà; quello che diremo, quello che faremo, tutto Gli sarà gradito.

Il terzo motivo lo troviamo nelle parole di Nostro Signore, riferite in san Matteo 521, che parlano di questa fiducia dovuta a Dio: "Guardate gli uccelli; non seminano, nè mietono: eppure Dio apparecchia loro dovunque una mensa; li veste e li nutre; anche le erbe dei campi, perfino il giglio, così magnificamente ornato che neppure Salomone, in tutta la sua gloria, lo fu egualmente". Ora, se Dio provvede in questo modo gli uccelli e le piante, perché non vi affidereste voi, uomini di poca fede, ad un Dio tanto buono e tanto provvido? Ma come! confidereste in voi stessi, piuttosto che in Lui! Egli può tutto e voi non potete nulla, eppure osate appoggiarvi alla vostra industria piuttosto che alla sua bontà, alla vostra povertà piuttosto che alla sua abbondanza! O miseria dell'uomo! Tuttavia dirò qui, che i superiori sono obbligati a vigilare sui bisogni di ciascuno e di provvedere a tutti quanto è necessario. Come Dio si è obbligato a fornire la vita a tutte le creature, sino al più piccolo insetto, vuole anche che i superiori e gli ufficiali, come strumenti della sua Provvidenza, vigilino perché nulla manchi del necessario nè ai preti, nè ai chierici, nè ai fratelli, nè a cento, duecento, trecento persone, o più, se fossero qui, nè al più piccolo, nè al più grande. Ma d'altra parte, fratelli, dovete abbandonarvi alle cure amorose della medesima Provvidenza per il vostro mantenimento e contentarvi di quello che vi dà, senza preoccuparvi se la comunità ha i mezzi o non li ha, nè mettervi in pena di nulla all'infuori di cercare il regno di Dio, perché la sua divina sapienza provvederà a tutto il resto.

Ultimamente domandai a un certosino, superiore di una casa, se chiamava i religiosi a consiglio per il governo dei loro affari temporali: "Noi vi chiamiamo, rispose, soltanto gli ufficiali, come il sotto-priore, il procuratore, con me; tutti gli altri sono tranquilli e non pensano ad altro che a cantare le lodi di Dio e a fare quello che la regola e l'obbedienza comandano loro". Anche tra noi, grazie a Dio, v'è la stessa abitudine; conserviamola. Noi pure siamo costretti a possedere qualche cosa e a farla fruttare per provvedere a tutto. Vi fu un tempo in cui il Figlio di Dio mandava i suoi discepoli senza denaro e sanza provviste; poi trovò opportuno averne, ricevere elemosine e mettere in serbo qualcosa per sostenere la sua Compagnia e assistere i poveri. Gli apostoli continuarono quell'uso e S. Paolo disse di se stesso che lavorava

521 Mt., 6, 26, 28, 29.

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con le proprie mani e metteva da parte di che soccorrere i cristiani bisognosi. Spetta dunque ai superiori di vigilare all'economia; ma essi devono cercare che la vigilanza degli affari temporali non diminuisca quella della virtù, fare in modo che la pratica ne sia in vigore nella Compagnia e che Dio vi regni su tutto; questo deve essere il loro primo scopo.

E affinché l'abbiamo tutti, la regola ci fornisce un quarto motivo: Nessun missionario, essa dice, sarà sollecito dei beni temporali, anzi metterà ogni suo pensiero in Dio, tenendo per certo che mentre sarà ben fondato nella carità e nella fiducia, rimarrà sempre sotto la sua divina protezione e così non gli avverrà alcun male, nè gli mancherà alcun bene, ecc. Non è una massima nostra, ma della Sacra Scrittura, dov'è detto: Qui habitat in adiutorio Altissimi, in protectione Dei coeli commorabitur 522. Ad essi non accadrà alcun male, perché tutto si volgerà in bene; non saranno privi di alcun bene, perché Dio provvederà loro quello che sarà necessario, tanto per il corpo, quanto per l'anima; e infine tutto riuscirà felicemente, quantunque sembri loro di essere minacciati da tutti i mali. In tal modo, fratelli, abbiamo motivo di sperare che, mentre sarete costanti in tal fiducia, non solo sarete preservati da spiacevoli incidenti, ma avrete ogni sorta di beni; sì, avete motivo di sperarlo, anche quando tutto sembrerà perduto.

I santi, signori, i santi, con questo distacco dalle creature e dai propri comodi, vollero attestare al cielo e alla terra la loro perfetta fiducia nel Signore: perciò Gli assoggettarono le loro ricchezze, i piaceri, gli onori, la loro vita e l'anima loro. Perché? Affinché Egli ne fosse il padrone, regnasse assolutamente su loro ed essi dipendessero in tutto da Lui solo per il tempo e per l'eternità. Oh! qual grande abbandono! oh! qual grande fiducia! Ma il Santo dei santi, il quale ha aperto loro la vita, fin dove non spinse la pratica delle cose che ho detto? (Bisogna accorciare, l'ora passa). Il Figlio di Dio, dunque, dichiarò di se stesso, che non era venuto a cercare la sua gloria, ma quella del Padre. Tutto quello che fece e disse fu per glorificarlo, non riservandosi altro che le privazioni, i patimenti e l'ignominia. Bel esempio, fratelli, con il quale Gesù Cristo ci fa dolce violenza ad adottare le sue inclinazioni, affetti, pratiche e consigli! Non ha mai cercato la sua gloria. Ma se vogliamo imitarlo, rinunzieremo a qualunque pretesa d'onore, non cercando altro che il suo, opereremo soltanto per stabilire la sua gloria nelle anime, per far sì che venga il suo regno e si faccia la sua volontà sulla terra, come in cielo. Se lo faremo avremo tutto. Ecco, mi sembra, motivi molto persuasivi per indurci alla pratica di questa santa massima; ma con quali mezzi?

I mezzi sono: 1° chiederlo a Dio incessantemente. Noi siamo mendicanti, siamo tali al cospetto di Dio: siamo poveri meschini, abbiamo bisogno di Dio sempre, particolarmente nell'osservanza di questa massima, che ci obbliga a cercarlo sopra tutte le cose, non possiamo fare senza il suo spirito. Non basta chiederlo, ma dobbiamo cominciare fin da domani a praticare questa regola. In qual modo? Praticando le virtù che richiede, lo zelo per la sua gloria, il distacco dalle creature e la fiducia nel Creatore; col compierne gli atti interni ed esterni; pensandovi spesso e, se si cadesse, rialzandosi.

2° Nella medesima regola è ancor detto che ognuno preferirà le cose spirituali alle temporali, l'anima al corpo, Dio al mondo e, infine, sceglierà la penuria, l'infamia, i tormenti e la morte stessa, piuttosto che esser separato da Gesù Cristo. Trovandosi nell'occasione di scegliere tra una cosa spirituale od una temporale, bisogna preferire la prima e lasciar l'altra; è quanto Dio ci domanda. Occupandoci dei suoi interessi piuttosto che dei nostri, preferendo la vita dell'anima a quella del corpo, fratelli, la vita dell'anima a quella del corpo, è farlo regnare in noi. Vedete, se si offre un'occasione agl'infermi di dare a Dio qualche cosa nelle loro infermità, devono farlo. Signori, preferite l'anima al corpo, preferendo l'onore di Dio a quello del mondo, è proprio del

522 Sal., 90, 1.

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regno di Dio. Trangugiamo il calice amaro, scegliamo la confusione nella fiducia che essa si volgerà a nostro vantaggio. Infine, è necessario risolversi con l'apostolo a scegliere i tormenti e la morte stessa, piuttosto che separarsi dalla carità di Dio. Può darsi che capiti l'occasione di perdere Gesù Cristo o di soffrire la prigione, la tortura, il fuoco, il martirio; o benedette occasioni che ci procurate il modo di far regnare da sovrano il Figlio di Dio! Diamoci a Lui, signori, ve ne supplico per il suo santo nome, affinché ci faccia la grazia di preferire i patimenti e la morte stessa al pericolo di perdere il suo amore e di questo dobbiamo farne il proposito, in questo stesso momento. Sì, mio Dio, sì, signori, se si offre l'occasione di perdere l'onore, i piaceri e la vita, affinché Gesù Cristo sia conosciuto e servito, vivendo e regnando da per tutto, eccoci pronti, , eccoci pronti per sua misericordia. Facciamogli dunque in anticipo questa oblazione, sebbene la natura vi ripugni; confidiamo che Dio, all'occorrenza, ci fortificherà. "Vi manderò come agnelli tra i lupi", diceva Nostro Signore ai suoi apostoli523. Non voleva che neppure pensassero alle risposte che dovevano dare ai principi e ai tiranni; "perché allora, diceva, vi sarà suggerito quello che dovrete dire". Non dubitate punto, signori, che Egli non sia con voi in simili occasioni per farvi parlare o soffrire da perfetti cristiani. Lasciamolo fare, non avendo di mira altro che il suo amabile ed unico beneplacito. Oh! chi ci darà lo zelo di santa Teresa, la quale fece voto di sceglier sempre la gloria del suo Signore, non solo la sua gloria, ma la sua maggior gloria! Se stava per fare un'opera buona in suo onore e se ne offriva un'altra più importante, correva a questa e differiva l'altra; e s'impegnò con la parola e con la coscienza di comportarsi sempre così. Era pure l'ottima abitudine di sant'Ignazio: Ad majorem Dei gloriam. un gran prelato dei giorni nostri ha la stessa pratica e la stessa intenzione di preferir sempre il maggior bene: è Monsignor di Cahors524, che ricerca sempre il più perfetto e gli riesce.

Se tra noi ve ne sono alcuni, signori, che sentono un simile desiderio, alla buon'ora, fratelli, aprite i vostri cuori e questa divina ispirazione, e seguite questo nobile impulso che porta sempre in alto. Gli altri che strisciano a terra, come me, miserabile, procurino di rialzarsi. Diamoci a Dio per desiderare e per far sì che il regno di Dio si dilati in noi, si dilati sul clero e sul popolo, e, facendo così, praticheremo quello che Nostro Signore e il nostro zelo richiedono da noi con questo articolo.

O mio Salvatore Gesù Cristo, che vi siete santificato affinché anche gli uomini si santificassero, che avete sfuggito i regni della terra, le loro ricchezze e la loro gloria, non curandovi se non del regno del Padre vostro sulle anime, non quaero gloriam meam, ecc., sed honorifico Patrem meum525, se Voi, che eravate Dio eguale al Padre vostro, vi siete così comportato nella vostra vita, che cosa non dobbiamo far noi per imitar Voi, che ci avete tratti dalla polvere e chiamati ad osservare i vostri consigli ed aspirare alla perfezione? Ah! Signore, attraeteci a Voi, fateci la grazia di imitare i vostri esempi e seguire la nostra regola, che c'induce a cercare il regno di Dio e la sua giustizia e ad abbandonarci a Lui per tutto il resto; fate che il vostro Padre regni in noi e in noi regnate Voi pure facendo che noi regnamo in Voi mediante la fede, la speranza, l'amore, l'umiltà, l'obbedienza e mediante l'unione con la vostra divina Maestà. Facendo in questo modo, potremo sperare con ragione che regneremo un giorno nella vostra gloria, meritataci dal vostro Sangue preziosissimo. E questo, fratelli, è ciò che noi dobbiamo chiedergli nell'orazione e nel corso della giornata; cominciando dallo svegliarsi, dirsi: "Come farò perché Dio regni da sovrano nel mio cuore? Come farò a diffondere nel mondo la cognizione e l'amore di Gesù Cristo? Mio buon Gesù, insegnatemi a farlo ed aiutatemi a metterlo in pratica!". Rinnoviamo questa preghiera e

523 Mt., 10, 16.524 Alano di Solminihac.525 Gv., 8, 54.

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il proposito di lavorare per questo quando suoneranno le ore e ancor più particolarmente nella santa Messa, istituita per riconoscere sovranamente la suprema Maestà divina e ottenerci le grazie necessarie per vivere e per morire sotto il regno glorioso del suo eterno Figlio. Amen".

Dopo la preghiera, il signor Vincenzo disse con grandissimo sentimento di umiltà e di riconoscenza:

"Aspettate un poco, signori, per favore. Noi parliamo della Provvidenza, fratelli, e del desiderio che Dio ha che ci abbandoniamo ad essa; ed ecco come la sua bontà si è degnata farci provare recentemente quanto sia verace nelle sue promesse. Ha ispirato ad una signora, morta ieri, di fare un pò di bene a questa povera e meschina Compagnia, a una nostra casa, ma non questa, non questa: essa le ha lasciato per testamento diciotto mila lire. Somma considerevole, diciotto mila lire. Oh! bontà di Dio, quanto siete ammirabile! Condotta ammirabile, quanto siete degna di amore! O provvidenza infinita, che vegliate sui bisogni di ciascuno, ecco che nel giorno in cui dovevamo parlare di voi, vi svelate a noi; nel medesimo giorno che dovevamo animarci a riposarci sulle vostre cure paterne per quanto si riferisce alle cose temporali, per non pensare se non alle spirituali, questo medesimo giorno Voi mandate qui un ragazzetto per darci la prima notizia di questa considerevole elemosina! Appena arrivato alla porta, quel ragazzo ha chiesto di parlarmi; gli hanno risposto che io non potevo riceverlo; egli ha insistito ed ha tanto fatto che è riuscito ad entrare nella nostra camera, dove mi ha presentato l'estratto del testamento della defunta. Essa è la signora Marchesa di Vins, la quale ha posto lo sguardo sulla casa più povera e più utile della Compagnia, quella di Marsiglia, alla quale ha lasciata detta somma, per essere messa a frutto, a condizione di fare le missioni nella diocesi di Marsiglia ed ogni tanto in alcune terre di sua proprietà che vi si trovano. Il signore di S. Nicola du Chardonnet526, me ne ha dato poi avviso. Chi non ammirerà, signori, questa grazia di Dio, il quale, vedendo quella povera famiglia in pericolo di soccombere, l'ha rialzata e l'ha consolidata con questo soccorso considerevole? Essa trovasi sulla via e a metà strada da Roma: è un porto di mare dove ci s'imbarca per l'Italia e per il Levante, e, perciò, comodissima per la Compagnia. Essa ha cura dei poveri forzati, sani e malati, e tratta gli affari degli affari in Barberia, e si occupa, inoltre, delle medesime opere delle altre case.

O signori, o fratelli, questo è un gran motivo di umiliarci davanti a Dio per la cura che si prende di mantenerci in quell'importante fondazione, ed in modo tanto efficace, come nessuno di noi si aspettava. E' un gran motivo per riconoscere con tutte le nostre forze il bene che Egli fa a quella povera casa, dove i nostri fratelli lavorano con frutto e benedizione. Dico questo alla Compagnia, affinché da un lato ringrazi Dio delle grazie concesse a quella buona signora, che era di grande pietà, come pure della carità che la sua infinita misericordia ci ha fatto per suo mezzo; dall'altro lato, preghi Nostro Signore che sia Lui stesso la ricompensa eterna dell'anima sua e le applichi il merito del bene che potrà farsi in virtù di questa elemosina. Prego tutti i sacerdoti di celebrare domani secondo tale intenzione, se non hanno altri impegni. Avevo dimenticato di dirvelo sebbene me lo fossi proposto. E' quanto avevo da dirvi".

199. CONFERENZA DEL 7 MARZO 1659SULLA CONFORMITA' ALLA VOLONTA' DI DIO527

(Regole comuni, cap. 2, art. 3)

"Fratelli, siamo alla spiegazione del secondo capitolo delle nostre regole, concernente le massime evangeliche. Parlammo ultimamente di questa: "Cercate in

526 Ippolito Féret.527 Manoscritto delle conferenze.

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primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia", contenuta nel secondo articolo del detto capitolo.

Eccoci ora al terzo articolo, che dice:E poichè la santa pratica di far sempre e in tutto la volontà di Dio è un mezzo sicuro

per giungere con sollecitudine alla perfezione cristiana, ciascuno cercherà secondo il possibile di rendersela familiare, adempiendo queste quattro cose:

1° Eseguendo debitamente le cose che ci sono comandate, e fuggendo con cura quelle che ci sono proibite, tutte le volte che ci accorgiamo che questo comando o questa proibizione, vengono da parte di Dio, o della Chiesa, o dei nostri superiori, o delle nostre regole e costituzioni.

2° Scegliendo, tra le cose indifferenti che ci capita di fare, quelle che ripugnano alla nostra natura, a preferenza di quelle che la soddisfano, a menochè le cose che piacciono non siano necessarie; perché allora bisogna preferirle alle altre, considerandole, tuttavia, non dal lato che dilettano i sensi, ma soltanto dal lato che sono più gradite a Dio. Se si presentano contemporaneamente diverse cose indifferenti di lor natura, ugualmente gradite o sgradite, allora conviene applicarsi indifferentemente a quello che si vorrà, come mandato dalla divina Provvidenza.

3° Quanto alle cose che ci sopraggiungono inopinatamente, come sono le afflizioni o consolazioni, sia materiali, sia spirituali, riceverle tutte con eguaglianza d'umore, come uscite dalla mano paterna di Nostro Signore.

4° Fare tutte queste cose perché sono il beneplacito di Dio, e per imitare, in esse, per quanto è possibile, Nostro Signore Gesù Cristo, il quale ha fatto sempre queste medesime cose per il medesimo fine come attesta lui stesso: "Io faccio sempre, egli dice, le cose che sono conformi alla volontà del Padre mio".

Orbene, rileggendo queste regole, ho trovato che ci è sfuggito un errore di stampa, al quale non abbiamo fatto attenzione; dove è detto: Se si presentano diverse cose indifferenti di lor natura, che non sono nè gradite nè sgradite; allora conviene applicarsi indifferentemente a quello che si vuole.

La regola dice dunque che quello che ci aiuta a raggiungere la perfezione di cristiani e di missionari è la pratica di fare la volontà di Dio. E' da notarsi che vi sono diverse pratiche proposte dai maestri della vita spirituale che essi stessi hanno esercitate in modi diversi. Alcuni si sono proposti l'indifferenza in tutto ed hanno pensato che la perfezione consista nel non desiderar nulla, nel non ricusar nulla di quello che Dio manda. In ogni occasione si elevavano a Dio e rimanevano indifferenti tanto alle une come alle altre. E' un santo esercizio quello dell'indifferenza. Oh! qual santo esercizio! Volere quello che Dio vuole in generale e nulla di particolare!

2° Altri si sono proposti di operare con purità d'intenzione, di scorgere Dio nelle cose che sopraggiungono, per farle o sopportarle per amor suo. Ciò è molto sottile. Insomma l'esercizio di far sempre la volontà di Dio è il migliore di tutti, perché comprende l'indifferenza e la purità d'intenzione e tutti gli altri modi praticati e consigliati: e se c'è qualche altro esercizio che conduca alla perfezione, si troverà eminentemente in questo. Chi è più indifferente di colui che fa la volontà di Dio in ogni cosa, che non ricerca mai se stesso in cosa alcuna e non vuole neppure quello che potrebbe volere, se non perché Dio lo vuole? C'è qualche persona più libera e più disposta di questa per compiere il beneplacito divino? E la purità d'intenzione come può meglio praticarsi che con la sottomissione alla volontà di Dio? C'è qualcuno che abbia una purità più perfetta di colui che vuole e fa tutto quello che Dio vuole e nel modo che Iddio lo vuole? Paragonando tutti questi esercizi, si troverà che Dio è più glorificato nella pratica della sua volontà che in tutti gli altri e nessuno l'onora più di colui che si dedica particolarmente a questa santa pratica. Ecco un motivo di darci risolutamente a Dio per osservare questa regola.

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Eccone un secondo: se facciamo le opere umanamente e meschinamente senza imprimere loro un fine nobile, qual'è quello di compiere la volontà di Dio, sono opere morte. Assistere all'ufficio divino, meditare, predicare e lavorare senza un fine, che cosa sono se non azioni inanimate? E' una moneta che non ha corso, non portando l'impronta del conio del principe, perché Dio non considera le opere se non in quanto vi si vede se stesso e Gli sono dedicate.

Il nostro padre Adamo era un albero rigoglioso nel giardino del paradiso terrestre e produceva naturalmente frutti graditi agli occhi del Signore; ma avendogli il diavolo fatto commettere il peccato, avvenne lo sregolamento della sua volontà che, distaccandolo da quella divina, lo rese incapace di produrre nulla da se stesso che potesse piacere a Dio; e noi che usciamo da questo ceppo infetto siamo, umanamente parlando, nella medesima impotenza, dimodochè quello che procede da quella parte, le azioni che vengono dal vecchio Adamo, non sono per nulla gradite a Dio, no, per nulla, perché sono opere che per loro natura non hanno relazione alcuna con Dio, non essendo dirette a Lui.

Se alcuni dottori reputano come peccato quello che non è fatto per Iddio, perché non ci persuaderemo che, se non è peccato, per lo meno bisogna considerarlo come non avvenuto? Orbene, per far sì che le nostre azioni e omissioni siano buone, che quello che facciamo e quello che lasciamo di fare abbia le condizioni richieste per piacere a Dio, la regola ce ne dà il mezzo quando ci comanda di far sempre e in tutto la volontà di Dio e dice che ciascuno cercherà, secondo il possibile, di rendersi questa pratica familiare. Se abbiamo sufficiente grazia di Dio e abbastanza fiducia nella sua bontà, poiché non manca mai di darne sufficientemente, non dobbiamo darci a Lui in questo momento per piacergli ed operare ormai in Lui e per Lui? Deus virtutum; Egli è il Dio delle virtù. Pratichiamo dunque queste virtù, si faccia tutto per Iddio. Se nella Compagnia si trovassero alcuni che fossero fedeli a questo, se il numero fosse grande, se fossimo tutti in quel beato numero, o Salvatore! qual benedizione! o mio Dio! quanto la missione vi sarebbe gradita! Bontà divina, Voi lo sapete!

E noi sappiamo, signori che le nostre opere non hanno valore, se non sono vivificate ed animate dal pensiero di Dio. Ecco il consiglio del vangelo, che c'induce a far di tutto per piacergli. Dobbiamo lodar molto la sua Maestà infinita per la grazia fatta alla Compagnia di adottare questa pratica tutta santa e sempre santificante. Sì, abbiamo tutti desiderato, fin da principio, di entrare nella via dei perfetti, che è quella di onorare Nostro Signore in tutte le nostre opere; e se ciò non si è compiuto con la perfezione dovuta, non occorre domandarne il motivo; è questo miserabile che non ne ha dato l'esempio.

Il terzo motivo è l'esempio di Nostro Signore. Egli faceva sempre e in tutto la volontà del Padre suo, e diceva, perciò, di essere sceso sulla terra non per fare la propria volontà, ma quella del Padre suo. O Salvatore! o bontà! qual risalto, quale splendore date all'esercizio delle vostre virtù! Voi siete il re della gloria, eppure non venite al mondo, se non per fare la volontà di colui che vi ha mandato. Voi sapete, fratelli, quanto intensa fosse questa brama del cuore di Nostro Signore. Cibus meus est, diceva Egli528, ut faciam voluntatem eius qui misit me; quello che mi nutre, mi diletta, mi mortifica è il fare la volontà del Padre mio.

Ciò posto, signori, non dobbiamo stimarci fortunati di essere entrati in una Compagnia che fa particolare professione di praticare quello che il Figlio di Dio ha praticato? Non dobbiamo sollevarci spesso verso di Lui per conoscere l'altezza, la profondità e la larghezza di tale esercizio, che va a Dio, ci riempie di Dio, che abbraccia tutte le cose buone e ci fa lasciare le cattive? Cibus meus est ut faciam voluntatem eius qui misit me. O mio salvatore, questa è la vostra pratica! S. Giovanni

528 Gv., 4, 34.

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aveva quella della penitenza; bruciava dal desiderio di farla e di inculcarla agli altri; per questo egli è venuto al mondo. E Voi, agnello di Dio, che togliete i peccati del mondo, Voi siete venuto con la brama di fare e d'inculcarvi la volontà del Padre vostro. Elia aveva questo ardore e questo zelo ammirabile per la gloria del suo Dio; metteva tutto a fuoco e fiamme per imprimere il rispetto e il timore nel cuore degli uomini; e Voi, mio Salvatore, eravate animato dal grande e incomparabile desiderio, che la volontà di Dio fosse fatta da tutte le creature e perciò metteste nell'orazione domenicale: Fiat voluntas tua. E' la preghiera che avete insegnato ai vostri discepoli; è quello che avete voluto che tutti gli uomini chiedessero e facessero. Che cosa? La volontà del Padre Eterno. Dove? In terra come in cielo. E come? Come la fanno gli angeli e i santi: prontamente, interamente, costantemente e amorosamente. Sono sicuro che non vi siano qui preti che abbiano detto la Messa, nè persona che abbia compiuto altre azioni in se stesse sante, se non per onorare la Maestà di Dio; tuttavia può darsi che Dio abbia rigettato le nostre oblazioni, per aver fatto in quei giorni la nostra propria volontà. Non è forse quello che il profeta dichiarò, quando disse da parte di Dio: "Non so che farmi dei vostri digiuni; voi credete onorarmi e fate il contrario, perché quando digiunate, fate la vostra volontà, con la quale sciupate il digiuno". Possiamo dire lo stesso di tutte le opere: fare la vostra volontà, è sciupare le vostre devozioni, i vostri lavori, le vostre penitenze, ecc. Sono venti anni che non posso leggere questa epistola, tratta dal 58° capitolo d'Isaia, senza sentirmi fortemente turbato, ma, ciò nonostante, non divento migliore.

Come far dunque per non perdere tempo e fatica? Non operar mai spinti dal nostro interesse o dalla nostra fantasia, ma abituarci a fare la volontà di Dio in tutto, notatelo bene, in tutto, e non in parte. E' questa grazia santificante che rende l'azione e la persona accette a Dio. Qual consolazione pensare che quando osservo le regole, adempio i miei doveri, obbedisco ai superiori e mi sollevo a Dio, offrendogli tutte queste cose, mi rendo in tal modo continuamente gradito a Dio! Dobbiamo perciò chiedere questa grazia di santificazione, possederla e usarne, altrimenti tutto è perduto.

"Molti mi diranno, diceva Gesù Cristo, come vi rammentavo ultimamente: Signore, Signore, non abbiamo forse profetizzato, scacciato i demoni, e fatto molti miracoli in nome vostro?".

- "Io non vi ho mai conosciuto, risponderà Egli, andate, operatori d'iniquità". - "Ma, Signore, chiamate voi opere inique le profezie e i miracoli che abbiamo fatto in vostro nome?" - "Allontanatevi da me, iniqui, non vi conosco". - "E chi saranno dunque quelli che entreranno nel regno dei cieli?" - "Coloro che faranno la volontà del Padre mio che è nei cieli"529. Dunque Nostro Signore no dirà mai ad una persona che si sarà studiata di seguir sempre il suo beneplacito: "Non vi conosco". All'opposto, la farà entrare nella sua gloria. O Salvatore, fateci la grazia di riempirci di questo desiderio, per non portare alcun frutto selvatico, ma perché tutte le nostre azioni si facciano in Voi e per Voi, per essere bene accette al Padre vostro; fateci esercitare, ve ne preghiamo, questa fedeltà e adempire sempre le opere nostre secondo i vostri voleri.

Diamoci a Dio, fratelli, per porvi attenzione ed essere costanti in questo; perché allora qual motivo non avremo di lodare Dio? Con quale occhio non guarderà Egli la Compagnia in generale e ciascuno in particolare? Ebbene! In nomine Domini. Ed abbiamo detto abbastanza per i motivi che ci obbligano a renderci familiare la pratica di fare la volontà di Dio in tutte le cose e per farci seguire questa massima di Nostro Signore: Cibus meus est ut faciam voluntatem eius qui misit me. Vediamo ora in che consiste.

Sono convinto che è necessario praticarla, ma come? - Bisogna sapere che tutte le opere che si fanno o che si tralasciano sono o comandate o proibite o indifferenti sono tali, perché non sono nè proibite nè comandate. Ecco in che possiamo conoscere la

529 Mt., 7, 21-23.

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volontà di Dio. Tutto quello che l'uomo fa, lo ripeto, sono opere comandate o proibite o non sono nè l'uno nè l'atro. Quanto alle opere comandate o proibite, Dio vuole che facciamo quelle e omettiamo queste; ecco una cosa comandata, devo farla; eccone un'altra proibita, devo lasciarla. Dobbiamo farle sempre, purché siano comandate da Dio, direttamente o indirettamente da Lui stesso o dalla Chiesa. Tutto quello che Egli ci comanda bisogna eseguirlo; tutto quello che la Chiesa ordina bisogna adempierlo; essa è sua sposa ed Egli è il padre di famiglia che esige che i figli obbediscano alla madre come a se stesso. Faremo la volontà di Dio se, indirizzandogli la nostra azione comandata, ciascuno dirà o proporrà: "Voglio far questo per essere gradito a Dio", oppure: "Per piacere alla sua bontà non voglio fare quell'azione proibita". Se ci comporteremo così, compiremo infallibilmente la volontà di Dio. Un figlio come fa la volontà del padre suo e un suddito la volontà del suo re? Eseguendo quello che essi comandano e fuggendo quello che proibiscono; il figlio lo fa per onorare il padre e il suddito per obbedire al re; entrambi fanno la volontà di questi quando eseguiscono i loro ordini e si sottomettono alle loro parole. Perciò, fratelli, eseguirete la volontà di Dio quando, facendo quello che Egli comanda e non facendo quello che proibisce, avrete l'intenzione di glorificare questo Padre mirabile e d'obbedire amorosamente a questo Re di amore. Ma, per ben animare tal pratica, occorre dire: "Mio Dio, io lo faccio, o mi astengo di far questo, perché è il vostro beneplacito". Ecco l'anima della cosa.

Ho detto che la Chiesa comanda e che noi dobbiamo obbedirle come a sposa di Gesù Cristo; perché, come tale, essa ha il diritto di fare leggi e di obbligarvi i fedeli; sì, essa obbliga all'osservanza di quello che è comandato dai concili, dai papi e dai vescovi. Facendo in tal modo, sembra che non vi sia alcun merito, tuttavia possiamo rendere tutto fruttuoso offrendolo a Dio; lo stesso vale per le azioni naturali, quali il mangiare, dormire e il resto, facendole, come dice l'apostolo 530, nel nome di Nostro Signore.

Ci sottomettiamo dunque alla volontà di Dio: 1° facendo quello che è comandato e omettendo quello che è proibito, non solo da parte di Dio, della Chiesa, delle nostre regole e dei superiori spirituali ed ecclesiastici, ma anche da parte del re, dei governatori, magistrati, ufficiali e giudici di tribunale stabiliti da Dio per le cose temporali; obbedendo a loro, è fare la volontà di Dio, perché Dio lo vuole; 2° facendo, nelle cose indifferenti, quelle che contribuiscono maggiormente a mortificare l'uomo vecchio; e, in terzo luogo, facendo per amor di Dio quelle che non piacciono, nè dispiacciono, nè al corpo, nè all'intelligenza, anche le naturali, sebbene la parte inferiore le appetisca quando la necessità ci obbliga.

Vi è un quarto modo di conoscere la volontà di Dio; è quello delle ispirazioni. Spesso Egli getta luci nell'intelletto e dà impulsi al cuore per ispirare la sua volontà; ma è necessario un piccolo di sale, per non rimanere ingannati. Tra una moltitudine di pensieri e di sentimenti che ci assalgono, alcuni sono apparentemente buoni, eppure non vengono da Dio, non sono di suo gradimento; dobbiamo dunque esaminarli, ricorrere a Dio medesimo, domandargli come fare, considerarne i motivi, il fine, i mezzi, per vedere se tutto è disposto secondo il suo beneplacito, proporli ai prudenti e prendere consiglio da coloro che hanno cura di noi, che sono i depositari dei tesori della sapienza di Dio: e, facendo quello che ci diranno, adempiremo la volontà di Dio.

Un quinto modo per conoscerla e compierla, è il considerare bene e fare le cose ragionevoli. Presentandosene una nè comandata nè proibita, che è conforme però alla ragione, essa è conseguenza, secondo la volontà di Dio, il quale non è mai contrario alla ragione, e dobbiamo farla anche secondo la prescrizione della Chiesa, la quale ci fa chiedere la grazia a Dio con questa orazione: Praesta, quaeusumus, omnipotens Deus,

530 1 Cor., 10, 31.

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ut, semper rationabilia meditantes, quae tibi sunt placita et dictis execuamur et factis; vi supplichiamo, Dio onnipotente, che, meditando sempre le cose ragionevoli, eseguiamo, con i nostri atti e i nostri discorsi, le cose che vi sono gradite. Dimodochè, secondo tale orazione, fare una cosa che appare ragionevole, è fare la volontà di Dio. Questo, si capisce, sempre con il pizzico di sale della prudenza cristiana e con il consiglio di coloro che ci dirigono, perché può darsi che la cosa proposta sia ragionevole di sua natura, ma non nelle circostanze presenti di tempo, di luogo e di modo; nel qual caso non dovremmo farla.

E' da notarsi che è fare la volontà di Dio attivamente, il farla in tutti i modi che abbiamo detto. La facciamo anche passivamente, aderendo a Dio quando compie la sua volontà in noi, senza che vi pensiamo. Eccovi un motivo di consolazione che ci sorprende; ci giunge notizia - che so io? - della conversione importante di una persona ragguardevole o di tutto un paese, o che Dio è ben servito da persone che amiamo, o che si è fatta la pace tra due famiglie o due province la cui discordia era scandalosa nella Chiesa; bisogna ricever tutto come dalle mani di Dio e rallegrarcene in ispirito, come fece Nostro Signore quando ringraziò il Padre di aver rivelato i suoi segreti ai semplici. Se, invece, ci capita qualche ragione di pena, una perdita, una calunnia, eccetera, bisogna riceverla parimente come da parte di Dio, perché è suo beneplacito di provarci in tal modo, ed è Lui che ci manda tutte queste afflizioni: non est malum in civitate quod non fecerit Dominus531. Nostro Signore, meditando nell'orto degli Olivi i tormenti che doveva soffrire, li considerava come voluti dal Padre; noi pure dobbiamo dire come Lui: "Non sia fatta la mia volontà, Signore, ma la vostra". Perciò, essendoci la volontà di Dio manifestata da questi avvenimenti causanti pena o consolazione, possiamo praticare la sua volontà passiva, accettandoli come provenienti da Dio, al quale soltanto spetta di mortificarci e vivificarci. La volontà di Dio è dunque attiva e passiva; è attiva quando la facciamo mediante l'osservanza dei suoi precetti e la pratica delle cose che Gli sono gradite; ed è passiva quando sopportiamo che Lui stesso la compia in noi, senza di moi. Mi accorgo di non esser chiaro; e il tempo è troppo breve per potermi spiegar meglio. Si terrà qualche conferenza su tale argomento e vedremo allora più chiaramente che cos'è la volontà di Dio e come sia necessario praticarla in tutti i modi. Mi auguro tuttavia che ognuno si abitui ad offrire a Dio tutto quello che fa o che soffre, dicendogli: "Mio Dio, è vostra volontà che io mi prepari a fare una predica, a dire la santa Messa, a fare tale azione; che io sia tentato, languito, afflitto; che io sia nel turbamento o nella pace, triste o lieto,; lo voglio, Signore, e lo voglio perché è il vostro beneplacito". Vediamo ora qualche mezzo per facilitarci questa santa pratica.

Il primo mezzo ci è insegnato nell'orazione domenicale: Fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra; perché, avendo Nostro Signore messo queste parole nell'orazione quotidiana, vuole che tutti i giorni Gli domandiamo la grazia di fare la sua volontà in terra come è fatta in cielo, continuamente e perfettamente, con una semplice e invariabile conformità alla volontà di Nostro Signore. Preghiamolo dunque spesso, che si degni conformarci a tutto quello che Egli vuole ed esigerà da noi e sarà questo un buon mezzo per ottenere la grazia di praticare questo santo esercizio.

Il secondo mezzo è di abituarci non solo a questa preghiera, ma di praticare quello che essa dice e cominciare fin da domani, fin da ora; per esempio: offrendo a Dio la vostra pazienza nell'ascoltare questo pover'uomo che vi parla, e dirgli: "Signore, voglio ascoltare e fare , per glorificarvi, tutto quello che mi sarà significato da parte vostra". Vedete, fratelli, è importante attuare così la sua volontà e abituarsi a rinnovarne spesso l'intenzione, specialmente la mattina alzandosi: "Mio Dio, mi alzo per servirvi; vado all'orazione per piacervi, ad ascoltare o dire la Messa per onorarvi, a lavorare perché lo

531 Am., 3, 6.

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volete". Infine bisogna procurare di elevarsi a Lui, nelle azioni principali, per consacrargliele interamente e per compierle in conformità alla sua volontà.

Ma, Signore, non me ne ricordo; passo ore, mezze giornate o giornate intere senza pensare a Dio, o senza che mi venga in mente di dedicargli quello che faccio. - Se tra voi vi sono persone simili devono umiliarsi molto di questo, affliggersi per la perdita del merito di tali azioni, o almeno del piacere che Dio avrebbe ricevuto se Gli fossero consacrate. Per supplire a questo difetto, ciascuno, cominciando la sua giornata, Gli faccia un'offerta generale di tutte le opere del giorno; oltre a ciò, è bene ripetere questa offerta una o due volte la mattina e altrettanto dopo desinare, dicendogli: "Mio Dio! gradite, ve ne prego, tutti i moti del mio cuore e del mio corpo; attirateli a Voi, io ve li offro con le mie sante regole, i miei lavori e le mie pene". E quanto più lo faremo, fratelli, tanto più troveremo facilità e profitto. Che ciò sia quattro volte al giorno, almeno. Con tal mezzo acquisteremo nuovi titoli di amore e l'amore ci farà perseverare e progredire in questa santa pratica. E' necessaria dunque la pratica, signori, è necessaria la pratica di quanto vi ho detto per ben adempiere la volontà di Dio.

La mortificazione è parimente necessaria, perché, per sottrarre al nostro piacere quello che diamo a Dio, è necessario farsi forza, e con questa virtù soltanto riusciamo a vincerci; con essa rinunziamo ai comodi e alle soddisfazioni della vita; essa c'induce a fare quello che alla natura ripugna e quello che Dio domanda; perciò dobbiamo, signori, prendere l'abitudine di mortificarci internamente ed esternamente in tutte le cose che piacciono alla natura. E' il terzo mezzo per renderci familiare questa pratica di fare incessantemente la volontà di Dio. Essa a poco a poco discenderà nel nostro spirito; si cambierà in abitudine o, per meglio dire, in grazia di Dio, dimodochè, come molti vi si abituano con atti ripetuti, così anche noi ci troveremo finalmente interamente pronti ad essa e da essa sempre animati. Quanti ve ne sono che non perdono mai di vista Dio! Vediamo alcuni tra noi camminare ed operare sempre in sua presenza. Quanti nel mondo fanno lo stesso! Ultimamente ero con una persona che si faceva scrupolo di essersi distratta tre volte in una giornata dal pensiero di Dio. Quelle persone saranno i nostri giudici che ci condanneranno davanti alla Maestà divina, per la dimenticanza che abbiamo avuto di essa, noi che non abbiamo da fare altro che amarlo ed attestargli il nostro amore con i nostri sguardi e i nostri servigi.

Preghiamo, fratelli, Nostro Signore perché ci faccia la grazia di dire come Lui: Cibus meus est ut faciam voluntatem eius qui misit me532. O signori, o fratelli, diamoci a Dio risolutamente fino da ora e domani all'orazione, in tutto, da per tutto e sempre per aver fame e sete di questa giustizia. Pensiamoci; riflettiamo ciascuno in particolare su quello che io vi ho detto con sì poca grazia e con sì poco ordine; animiamo la nostra volontà a dire e compiere queste divine parole di Gesù Cristo: "Il mio cibo è di fare la sua volontà e di compiere l'opera sua". E' stato il vostro piacere, Salvatore del mondo, la vostra ambrosia, il vostro nettare, fare la volontà del Padre vostro. Noi siamo vostri figli e ci gettiamo nelle vostre braccia per imitarvi; fateci questa grazia. Non potendolo noi stessi, lo chiediamo a Voi, da Voi lo speriamo, ma con fiducia, ma con un gran desiderio di seguirvi. O Signore, se vi piace di comunicare questo spirito alla Compagnia, che essa s'adoperi a rendersi sempre più accetta ai vostri occhi, riempitela d'ardore di divenire simile a Voi e tal desiderio la faccia già vivere della vostra vita in modo che ognuno possa già dire con S. Paolo: Vivo ego, iam non ego, vivit vero in me Christus533. O beata Compagnia! o beati noi tutti! Se vi aspiriamo, infallibilmente vi arriveremo. Oh! qual felicità verificare in noi queste parole: Vivo ego, iam non ego, vivit vero in me Christus! Poiché non viviamo più una vita umana, viviamo una vita divina e la vivremo, fratelli, se i nostri cuori saranno pieni e le nostre azioni saranno

532 Gv., 4, 34.533 Gal., 2, 20.

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accompagnate da questa intenzione di fare la volontà di Dio. Orbene, se alcuni possono dire di farla già, come è vero, altri parimente possono dire come me: "Non sono forse sventurato nel vedere tanti miei confratelli vivere la vita di Gesù Cristo, essere accetti agli occhi del Padre eterno, mentre io vivo una vita sensuale e animale, e merito di essere allontanato dalla loro compagnia come oggetto di dispiacere a Dio?"Piaccia alla sua bontà che questo sentimento ci penetri tanto in cuore che, vergognandoci della nostra fiacchezza, studiamo il passo per raggiungere coloro che sono più avanti nella via della perfezione! Dio ci conceda questa grazia!

200. COLLOQUIO CON LUIGI LANGLOIS PRETE DELLA MISSIONEMARZO 1659534

Il signor Vincenzo, fatto chiamare il signor Langlois, prete della Compagnia, gli disse che Monsignor Arcivescovo di Narbona535, allora soltanto ausiliare, gli aveva scritto, pregandolo di fargli sapere il nome del sacerdote che avrebbe avuto cura di dirigere le persone che egli intendeva mandare a San Lazzaro per farvi il ritiro e per essere istruiti sul modo di tenere le scuole inferiori. Egli aveva posto o sguardo su lui e lo aveva fatto chiamare per pregarlo di assumersi quell'incarico; l'avrebbe scritto a Monsignor ausiliare di Narbona.

Il signor Vincenzo pregò il detto signor Langlois di darsi a Dio per rendere a sua divina Maestà questo servizio. Ma questi, scusandosi, disse pure che i signori di San Nicola du Chardonnet536 avrebbero adempiuto quest'incarico meglio della Compagnia, perché essi tengono le scuole inferiori e conoscono, per conseguenza, le qualità richieste per un maestro di scuola.

Il signor Vincenzo gli replicò che, poiché indirizzavano queste persone a noi, non dovevamo rifiutarle, ma rendere anche questo servigio a Dio ed alla Chiesa; che egli avrebbe potuto informarsi, da qualcuno di quei signori di San Nicola, di quello che suol farsi in simili circostanze, e di quello che deve fare un maestro per ben disimpegnare il suo ufficio.

Il signor Langlois gli fece allora osservare che, quanto a sè, se ne sentiva incapace essendo sprovvisto di virtù e non essendo un uomo d'orazione e che chiunque altro avrebbe fatto meglio di lui. Ma il signor Vincenzo gli rivolse queste parole:

"E' vero, signore, che da voi stesso come tale non farete nulla di buono, è più probabile che giustiate tutto anziché fare qualcosa di buono ed avete ragione di dirlo; ma, signore, tutto il bene che si ritrarrà da questi esercizi lo farà Dio, non voi; perché noi, signore, non sappiamo fare altro che tutto guastare. Orsù, signore, andate e fate, da parte vostra, quello che potrete e Dio farà il resto. Incoraggiateli vivamente a consacrarsi a Dio in tale ufficio; e perché serva loro di stimolo, dimostrate quanto bene ne verrà alla Chiesa e quanto onore Dio ne ritrarrà".

Quindi, il detto signor Langlois aggiunse: "Signore, poiché desiderate che mi prenda questo incarico, nonostante la mia incapacità e la mia poca virtù, farò quello che potrò; vi prego, signore, di darmi la vostra benedizione". Il signor Vincenzo gliela impartì.

Nota: Il signor Vincenzo ci disse, al signor Langlois e a me, che Monsignor Ausiliare di Narbona e qualche altro, avevano pensato che fosse un opera buona e utile alla Chiesa fare istruire alcune persone per essere maestri di scuola nelle parrocchie che ne erano prive.

534 Manoscritto delle ripetizioni della orazione.535 Francesco Fouquet.536 I preti del signor Bourdoise.

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201. CONFERENZA DEL 14 MARZO 1659SULLA SEMPLICITA' E SULLA PRUDENZA(Regole comuni, cap. 2. art. 4 e 5)537

"Ecco, fratelli, il quarto e il quinto articolo del secondo capitolo delle nostre regole, concernente le massime del Vangelo, dei quali parleremo stasera.

Il primo: Volendo Nostro Signor Gesù Cristo da noi la semplicità della colomba, la quale

consiste nel dire le cose semplicemente, come si pensano, senza inutili riflessioni e nell'operare alla buona, senza travisamenti, nè artifici, considerando Dio soltanto, ciascuno si sforzerà quindi di fare tutte le sue azioni con questo medesimo spirito di semplicità rammentando che Dio si compiace di comunicarsi ai semplici e di rivelar loro i suoi segreti che tiene nascosti ai dotti e ai prudenti del mondo.

Il secondo:Ma poiché Gesù Cristo, mentre ci raccomanda la semplicità della colomba, ci ordina

di usare la prudenza del serpente, la quale è una virtù che ci fa parlare ed operare con discrezione, perciò noi taceremo prudentemente le cose che non è conveniente dire, specialmente se sono di per sè cattive ed illecite e toglieremo da quelle che, in qualche modo, sono buone, le circostanze che vanno contro l'onore di Dio, o portano pregiudizio al prossimo, o possono soddisfare la nostra vanità. E perché tal virtù si riferisce anche, nella pratica, alla scelta dei mezzi adatti per raggiungere il loro fine, avremo per massima inviolabile di prender sempre mezzi divini per le cose divine e di giudicare le cose secondo il sentimento e il giudizio di Gesù Cristo, e mai secondo quello del mondo e secondo i deboli ragionamenti del nostro intelletto. E così saremo prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.

Parleremo di queste due virtù, se il tempo ce lo permette.Fratelli, queste regole parlano da se stesse, e ciascuno di voi le capisce meglio di

me; che, se volessi facilitarvene l'intelligenza, abuserei della vostra pazienza.Si tratta della semplicità. O Salvatore! La semplicità, raccomandata dalla regola, è

dunque l'argomento della nostra conferenza.Vediamo le ragioni che abbiamo da darci a Dio per la pratica di questa virtù tanto

amabile. Prima di tutto ce ne invita Egli stesso quando dice: Estote prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae538. Nostro Signore, dicendo agli apostoli che li mandava come pecore in mezzo ai lupi, disse pure loro che dovevano essere prudenti come serpenti e semplici come colombe. Poi aggiunse: "State attenti; gli uomini vi faranno comparire nei loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe, sarete condotti per causa mia dinanzi ai governatori e ai re, ma quando sarete posti nelle loro mani, non vi mettete in pena per quello che dovrete dire, nè come dovrete parlare, perché vi sarà suggerito in quel momento quello che dovrete dire; lo Spirito Santo parlerà in voi539. Egli parla prima di tutto della prudenza e poi della semplicità; l'una è per andare come pecore in mezzo ai lupi, dove essi correvano il rischio di essere maltrattati. "Siate prudenti, egli dice, siate accorti e tuttavia siate semplici"; cavete ab ominibus, state in guardia come esige la prudenza. Ma se siete chiamati davanti ai giudici, non vi mettete in pena per le vostre risposte. Ecco la semplicità. Voi vedete che Nostro Signore unisce queste due virtù, in modo che vuole ce ne serviamo in una stessa circostanza; ci raccomanda di usarle insieme e ci fa capire che la prudenza e la sincerità

537 Manoscritto delle conferenze. Questa conferenza è stata pubblicata in gran parte da ABELLY (op. cit., 1. 3, cap. 15) sotto una forma notevolmente diversa.538 Mt., 10, 16.539 Mt., 10, 17 e seg.

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si accordano bene quando sono intese come si deve. E' la dottrina di Gesù Cristo e si rivolge a noi che vogliamo praticare i consigli evangelici e dobbiamo abbracciare questo con riverenza, amore e ferma risoluzione e chiedere spesso a Dio le virtù ch'Egli ci raccomanda, cercando sinceramente di acquistarle.

La semplicità è tanto gradita a Dio! Sapete che la Scrittura dice che Egli trova le sue delizie nell'intrattenersi con i semplici, con i semplici di cuore che vanno alla buona e schiettamente. Cum simplicibus sermocinatio eius540. Volete trovare Dio? Egli parla con i semplici. o mio Salvatore! o miei fratelli, che sentite il desiderio di essere semplici, qual felicità, qual felicità! Coraggio, poiché avete la sicurezza che piace a Dio conversare con gli uomini semplici.

Un'altra cosa che ci raccomanda in modo tutto speciale la pratica della semplicità è la dichiarazione stessa di Nostro Signore; Confiteor tibi, Pater, quia abscondisti haec a sapientibus et prudentibus et revelasti ea parvulis541. Riconosco, o Padre, e ti ringrazio perché la dottrina, che ho imparata dalla tua Maestà divina e che io diffondo tra gli uomini, non è compresa altro che dai semplici, e perché permetti che i prudenti del mondo non l'intendano; Tu l'hai loro nascosta, se non in quanto alle parole, almeno in quanto allo spirito.

O Salvatore! o mio Dio! questo deve spaventarci. Noi corriamo dietro alla scienza come se ne dipendesse tutta la nostra felicità. Guai a noi se non l'avessimo! E' necessario averla, ma sufficientemente. Bisogna studiare, ma con sobrietà. Taluni ostentano perspicacia negli affari, vogliono passare per persone abili nel negoziare. A costoro Dio toglie la penetrazione delle verità cristiane: ai dotti e ai pratici del mondo. A chi la concede dunque? Ai semplici popolani, alle persone alla buona. Possiamo accertarcene raffrontando la differenza tra la fede dei contadini e la nostra. Per l'esperienza che ne ho e secondo il concetto che me ne son sempre fatto, la vera religione, la vera religione, signori, la vera religione è tra i poveri. Dio li arricchisce di una fede viva; essi credono, essi toccano, essi gustano le parole di vita. Voi non li scorgerete mai, nelle loro malattie, afflizioni, penurie, ribellarsi, mormorare e lamentarsi; mai, mai o almeno molto raramente.

Di solito, conservano la pace in mezzo ai dolori e alle angustie. Quale ne è la causa? La fede. Perché? Perché sono semplici, Dio aumenta loro le grazie che ricusa ai ricchi e ai sapienti del mondo.

Ma aggiungiamo che tutti amano i semplici, le persone candide che non usano astuzie, nè imbrogli, che vanno alla buona e parlano sinceramente, in modo che tutto quello che dicono corrisponde a quello che hanno in cuore. Costoro godono alla Corte, quando ve ne sono, una stima universale; tra individui di buon senso, ciascuno porta loro un affetto singolare, perché sebbene non tutti operino candidamente, tuttavia anche quelli che non hanno candore in sè non lasciano di apprezzarlo negli altri.

Per tutte queste ragioni dobbiamo darci a Dio e renderci amabili ai suoi occhi mediante la virtù della semplicità. Nella Compagnia vi sono alcuni, apparisce chiaramente, oh! quanto è chiaro!, che si sono dati all'acquisto di tale virtù e la predicano con i loro esempi.

Ma, signore, che cos'è? Non so come praticarla. - Taluni dicono che vi sono due sorta di semplicità: l'una puramente naturale e sciocca, come in certe persone senza buon senso, nè discernimento, che hanno più... non oso dirlo, che intelligenza. Parlate loro; vedrete che sono stupidi. E' una semplicità che non vale nulla o almeno non è virtù.

Ve n'è un'altra che ha qualche relazione con Dio. Oh! che bella virtù! Dio è un essere semplice che non ha in sè altro essere, un'essenza suprema e infinita che non

540 Pr., 3, 32.541 Mt., 11, 25.

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ammette nessuna aggregazione con essa; è un essere puro che non tollera alterazioni. Orbene, questa virtù del creatore si trova in qualche creatura per comunicazione e si conosce in essa nel modo riferito alla regola.

V'è pure un'altra definizione, ossia che è una virtù che allontana da noi le cose che non sono conformi alla semplicità di Adamo, quando era in grazia, nè a quella del secondo Adamo, Nostro Signore, degli Apostoli e degli altri santi, quando vivevano sulla terra, le opere e i discorsi dei quali non avevano alcun artificio, nè altro oggetto all'infuori di Dio. Secondo tali definizioni, la semplicità riguarda le azioni e le parole per renderle rette e sincere.

So bene che la semplicità viene presa in generale per verità o purità d'intenzione: verità, in quanto che rende il nostro pensiero conforme alle parole e agli altri segni con i quali l'esponiamo; purità d'intenzione, in quanto che dirige tutti i nostri atti di virtù a Dio. Ma la semplicità, come virtù particolare e propriamente detta, comprende non soltanto la purità d'intenzione e la verità, ma anche la proprietà di allontanare dalle nostre parole e dalle nostre azioni qualunque inganno, astuzia o doppiezza: è in questo senso che ne parla la regola e su di esso intendo intrattenervi. Per farlo più chiaramente e più utilmente, distingueremo nella semplicità due parti: semplicità nelle parole, semplicità negli atti.

Quella delle parole consiste nel dire le cose come le abbiamo in cuore, notate bene, come le pensiamo. Diversamente abbiamo l'astuzia, la finzione, la doppiezza, che sono contrarie alla virtù di cui parliamo, la quale esige che si dicono le cose come sono, senza rifletter tanto a questo o a quello, parlando ingenuamente e alla buona, aggiungendovi la pura intenzione di piacere a Dio.Non già che sia semplicità scoprire ogni sorta di pensieri, perché questa virtù è discreta e non è mai opposta alla prudenza, la quale ci fa discernere quello che è bene dire da quello che è conveniente tacere. Bisogna dunque che la lingua esprima le cose come sono dentro di noi; altrimenti è preferibile stare zitti. Ecco che in una adunanza ci si offre l'occasione di presentare una proposta buona nella sostanza e nelle circostanze; dobbiamo farlo semplicemente; ma se qualche volta vi sono cose che sta bene a dire, ma viziate per qualche circostanza, allora, pur dicendone la sostanza, dobbiamo toglierne le circostanze. La Sacra Scrittura è purissima in sè e possiamo servircene utilmente in qualunque discorso; ma se lo facciamo per scherzo è cosa cattiva; se ce ne serviamo per ingannare qualcuno è proibito; quando quello che citiamo serva ad esaltare, è vanità. Adoperiamo sempre le buone cose per i buoni fini o non diciamo una parola. Queste tre circostanze sono viziose e ci dimostrano come non dobbiamo dire le cose quali le abbiamo in cuore, quando vanno contro Dio, o contro il prossimo, o tornano a nostro onore.

La povera defunta generalessa delle galere542 mi domandò più di cento volte che cosa fosse la semplicità ed era la persona più semplice che io abbia mai conosciuto; essa non poteva aprir bocca nè fare un'azione, se non con semplicità di cuore, ma aveva l'abilità di separare dalla natura delle cose le circostanze nocive e inutili, perché era parimente prudentissima. Aveva la semplicità e la prudenza al più alto grado, eppure non le conosceva. Vi sono, infatti, alcune persone che hanno speciali virtù, e Dio gliele nasconde, perché lo stima conveniente; ed è veramente semplice chi non se ne accorge; invece, chi crede di esserlo, non lo è.

E così, signori, venendo agli atti della semplicità, se parliamo bisogna farlo semplicemente, e mai per doppio fine, mai per qualche utilità propria, sensuale o temporale, nè per attirare qualcuno dalla nostra parte, e mai per cercarne una lode o un favore, ma sempre per piacere a Dio. Sarebbe una cosa magnifica, fratelli, se la Missione fosse fatta in questo modo, magnifica davanti a Dio, magnifica davanti agli uomini. Nulla attrae maggiormente le persone dabbene. Questo in quanto al parlare.

542 L a signora Gondi.

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Quanto all'altra parte della semplicità relativa alle azioni, essa ha la caratteristica, come abbiamo detto, di fare operare alla buona, rettamente e sempre considerando Dio negli affari, negli uffici e negli esercizi di pietà, escludendo ogni sorta d'ipocrisia, d'artificio e di vane pretese. Per esempio, una persona fa un regalo ad un'altra e finge di farlo per affetto, mentre invece lo fa con la speranza di averne in cambio uno di maggior valore; secondo il mondo ciò è permesso, e forse anche secondo Dio; tuttavia è contro la semplicità, la quale non tollera che si manifesti una cosa e se ne pensi un'altra, e tal virtù ci fa parlare secondo i sentimenti inferiori, ci fa operare, egualmente con franchezza e rettitudine cristiana, sempre per Iddio, poiché è necessario avere questo fine.

Ciò posto, questa semplicità nelle azioni non è nelle persone che, per rispetto umano, vogliono apparire quello che non sono; come non possono dirsi semplici gli abiti quando sono doppi o coperti di guarnizioni e di passamani. E' parimente contro tal virtù, aver camere ben accomodate, ornate d'immagini, di quadri, di mobili superflui, avere una quantità di libri per comparire, compiacersi in cose vane ed inutili, o nella varietà delle cose necessarie, quando una sola basta; tener prediche forbite, con uno stile ampolloso, e infine non aver Dio solo di mira nei nostri esercizi; tutto ciò che è contrario alla semplicità cristiana nelle azioni. Ed ecco in che consiste la semplicità voluta dalla regola.

Veniamo alla prudenza. Voi sapete le definizioni dei dottori e i vari significati che le attribuisce la Scrittura. Non ve li ripeterò. Ma in fondo, la prudenza è in se stessa quella che è descritta nella regola; le sue operazioni si riferiscono alle parole e agli atti; è proprio del prudente parlare prudentemente e non indiscretamente di tutto nè svantaggiosamente di nulla. O Salvatore! dove trovare simili persone che non parlano se non con il riserbo dovuto quando è conveniente ed in termini giudiziosi? Insomma, tal virtù vuole che diciamo con discrezione e criterio quello che dobbiamo dire.

Il suo ufficio è pure d'indurre a fare quello che uno fa, prudentemente, saggiamente e per un buon motivo, non solo quanto alla sostanza dell'azione, ma nelle sue circostanze, in modo che il prudente opera come deve, quando deve, e per il fine che deve; e l'imprudente, invece, non osserva i modi, nè l'opportunità, nè lo scopo che dovrebbe osservare, ed è questo il suo difetto, mentre la prudenza, operando con discrezione, fa tutto con peso, numero e misura.

Orbene, la semplicità ha per oggetto le parole e le azioni, la prudenza parimenti; essa regola la parola e gli atti; e come i semplici non devono dire se non le cose buone di loro natura e nelle loro circostanze, e tacere quelle che vanno contro Dio, o nuocciono al prossimo, o mirano a loro lode, i prudenti, per essere prudenti, devono avere il medesimo riserbo, la medesima circospezione e discrezione.

Qual differenza c'è dunque tra queste due virtù? Non ce n'è alcuna; è la medesima cosa quanto alla loro natura ed ai loro effetti. La prudenza e la semplicità hanno il medesimo fine, che è di ben parlare e di ben fare e l'una non può stare senza l'altra. So però che vi si troverà una differenza per distinzione di ragionamento; ma, in verità, esse hanno un'unica sostanza, un unico oggetto. La prudenza della carne e del mondo ha per fine le ricchezze, gli onori, i piaceri, ed è del tutto opposta alla vera prudenza e semplicità cristiana, che si distacca dall'affetto a questi beni apparenti e perituri per farci abbracciare i beni solidi e permanenti; sono due buone sorelle inseparabili. Oh! chi sapesse servirsene come conviene accumulerebbe grandi tesori di grazie e di meriti; dobbiamo dunque esercitarci in esse, signori, dobbiamo conquistarle. Ma chi le conquisterà? Coloro che aspireranno continuamente a Nostro Signore e si affaticheranno per averle; costoro le conquisteranno con la grazia di Dio.

La prudenza ha un altro oggetto ed è di scegliere i mezzi per raggiungere il fine proposto. E' oggetto della prudenza cristiana prendere le vie più brevi e più sicure per la perfezione. Lasciamo da parte la prudenza politica e temporale, la quale non mira che a

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successi materiali e qualche volta ingiusti, prende soltanto mezzi umani ed incerti; ma parliamo di questa santa virtù che Nostro Signore consiglia a coloro che vogliono seguirlo; di quella che ci fa giungere al fine al quale Egli vuol condurci, che è Dio medesimo. E' ufficio della prudenza produrre questo salutare effetto; per essa discerniamo quello che è buono e quello che è migliore a tale intento, e ci serviamo, per le cose divine, di mezzi divini.

Gli uomini possono scegliere i mezzi proporzionati al fine propostosi, in due modi; il primo con il ragionamento, per il quale stabiliscono di fare questo o quello, secondo i lumi naturali; e l'altro con le massime della fede, prendendo i mezzi che Dio ci ha insegnato sulla terra. Per esempio, ecco un giovane che desidera far parte di una comunità; ma prima di entrarvi va a consultare un dottore, per avere il suo parere: "Mi sento spinto, gli dirà, di darmi a Dio nella tal Compagnia, ma sarei contento di non far nulla senza consiglio". Il dottore per ben giudicare la sua vocazione, deve basarsi sui principi infallibili di Nostro Signore, che dice: "Beati coloro che lasciano padre, madre, fratelli, ricchezze, piaceri, eccetera e seguono me"543. Se giudica secondo tali principi, giudicherà secondo Dio; ma se segue la propria ragione, gli dirà: "Amico mio, il vostro progetto è grave e siete ancor giovane; la vita religiosa è austera, aspettate; avete un padre ed una madre che si affliggerebbero se li lasciaste, mi pare che non dovreste aver fretta". Giudicare in questo modo, è una prudenza, a parer nostro, secondo il mondo, è passar sopra al Vangelo, è dire al Figlio di Dio: "Voi non ve ne intendete, Signore; Voi non avete considerato le difficoltà che vi sono ad abbandonare tutto". Dunque per giudicar bene la cose ed usar prudenza, bisogna uniformare il nostro giudizio alle massime cristiane, sempre sicure, e non alle false massime dei mondani. "Vendi quanto hai, dice Nostro Signore, dallo ai poveri e seguimi"544. Viene una persona a dirvi: "Ho questa ispirazione; che debbo fare? tenere quello che ho e rimanere come sono o abbracciare la povertà e la vita evangelica?".

Per ben servirci del nostro intelletto e della nostra ragione, dobbiamo avere la regola inviolabile, di giudicare in tutto come Nostro signore ha giudicato; ma dico, sempre e in tutto domandandoci all'occasione: "Che ne pensava Nostro Signore? Come si comportava in un caso simile? Che ne diceva? Bisogna che mi conformi alle sue massime e ai suoi esempi". Atteniamoci a questo, signori, camminiamo per questa via con sicurezza; è una via regia; il cielo e la terra passeranno in eterno. Se andiamo contro le massime di Gesù Cristo, se ci opponiamo alle sue vie, troviamo il pericolo dove naufragano miseramente coloro che credono di vogare contro vento e contro marea, guidati dalla stella della loro propria ragione.

Oh! se Dio ci fa la grazia di prendere l'abitudine di non giudicar mai con il ragionamento umano, perché non raggiunge mai la verità, non è mai conforme a Dio, mai alle ragioni divine, mai; se, dico, consideriamo il nostro puro ragionamento come ingannatore e operiamo secondo il Vangelo, benediciamo Nostro Signore, fratelli, e cerchiamo di giudicare come Lui, di fare quello che Egli ci ha raccomandato con la parola e con l'esempio. E non solo questo, ma partecipiamo anche al suo spirito per partecipare così alle sue operazioni. Non basta fare il bene, ma bisogna farlo bene, ad esempio di Nostro Signore, del quale è detto nel Vangelo, che fece bene tutte le cose: Bene omnia fecit545. Non basta digiunare, osservare le regole, occuparsi per amor di Dio; bisogna farlo con il suo spirito, ossia con la perfezione, con gli stessi fini e circostanze che osserviamo nelle sue azioni. La prudenza consiste dunque nel giudicare e operare come la Sapienza eterna ha giudicato e operato.

543 Mt., 19, 29.544 Mt., 19, 21.545 Mc., 7, 37.

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Orsù, signori, orsù, se facciamo in questo modo siamone lieti; ma se non lo facciamo ci sia motivo di afflizione e di emenda. Ecco le due virtù legate insieme; sono quasi la stessa cosa. Benediciamo Dio di averci chiamati qui dentro per farne particolare professione. Il Figlio di Dio le praticò ottimamente in tutte le occasioni; come quando Gli condussero la donna adultera per condannarla, non volle far l'ufficio del giudice, ma voleve liberarle. Come fare? "Chi di voi, disse agli Ebrei, è senza peccato scagli la prima pietra".

Vedete, queste parole racchiudono la semplicità e la prudenza. La semplicità corrisponde al sentimento che aveva in cuore di salvare quella povera creatura e di fare la volontà del Padre suo; e la prudenza si manifesta nel modo di cui si servì per riuscire al suo proposito; nel che seppe congiungere le due virtù: Come pure, quando lo tentarono per il tributo di Cesare: "Dobbiamo pagarlo? gli domandarono; che vene sembra?" Nostro Signore volle, da un lato, far rendere l'onore dovuto al Padre suo e, dall'altro, non far torto a quello di Cesare, senza tuttavia comandare che fosse pagato il tributo per non pregiudicare la questione dinanzi a quella gente, che l'avrebbe incolpato di favorire l'assolutismo. Che cosa dirà dunque? Chiede di vedere la moneta del tributo, e sentendo da essi stessi che quella incisa sopra era l'immagine del principe, disse loro: "Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che é di Dio"546. La semplicità è ammirevole in quella risposta, perché si ricollega con l'intenzione che Gesù Cristo aveva in cuore di far rendere al re del cielo e a quello della terra l'onore loro dovuto, ed evita prudentemente il tranello che quei perfidi Gli avevano teso.

O Salvatore, che avete praticato queste virtù in sì alto grado, fateci la grazia di poterle praticare anche noi per piacervi e per onorarvi. Sappiamo che con esse avete glorificato il Padre vostro, e che colora che hanno la fortuna di possederle vi sono accetti; siano queste, ve ne preghiamo, la virtù dei preti della Missione: il candore e la discrezione si manifestino nelle loro parole e nelle loro azioni!

Esse appariscono, fratelli, in quei signori della Conferenza del martedì, associati a questa casa, che si comportano semplicemente e prudentemente, e che avendo preso qualche volta per argomento dei loro trattenimenti lo spirito della loro Compagnia, hanno fatto vedere che la semplicità vi regna. Orbene, fratelli, se questi signori, non legati a Dio quanto noi, hanno lo spiriti tanto semplice e prudente, se coloro che non sono così obbligati ad aspirare alla perfezione quanto noi, a causa della nostra vocazione e dei nostri voti, manifestano, nel loro modo di fare, di possedere queste virtù, quanto, a più forte ragione, dobbiamo affaticarci ad acquistarle noi, e quanti motivi abbiamo di sperare che Dio ce le darà, per sua misericordia, se da parte nostra facciamo quanto ci è possibile! Non c'è nulla di più facile, nè di più giusto, e nulla di più raccomandabile, quanto allontanarsi da ogni finzione e doppiezza, da tutto ciò che è inconsiderato e sciocco! E come? Con la pratica continua della semplicità e della prudenza, che ne sono il rimedio. e come l'umiliazione, secondo S. Bernardo, è un vero mezzo per diventare umili, così con gli atti frequenti di queste virtù strettamente unite, saremo presto semplici e prudenti. S'intende sempre con la grazia di Dio, che dobbiamo spesso chiedergli.

Rivolgiamoci ora alla semplicità stessa, Nostro Signore; diciamogli insieme:O buon Gesù, voi siete venuto al mondo per insegnare la semplicità ed annientare il

vizio contrario, per insegnare la prudenza divina e distruggere quella del mondo; ecco un Compagnia che non aspira ad altra grazia, all'infuori di quella di osservare le vostre massime, di modellarsi sui vostri esempi e di progredire nelle vie della perfezione che le avete prescritto; è tutto il suo desiderio e tutto quello che implora. Fateci parte, Signore, di quelle divine virtù, che sono state tanto eminenti in Voi. Date ad ognuno il desiderio di semplificarsi e diventare più prudenti della cristiana prudenza. E' la

546 Mt., 22, 21.

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preghiera che vi facciamo uniti in un cuor solo e con la fiducia dei figli al padre loro. Offrite, ve ne scongiuriamo, alla maestà del Padre eterno i nostri desideri e le nostre intenzioni, le nostre parole e le nostre opere, affinché Egli sia per sempre glorificato. Amen".

202. CONFERENZA DEL 28 MARZO 1659SULLA DOLCEZZA547

(Regole comuni, cap. 2, art. 6)

"Un piccolo incomodo che ho avuto oggi, mi ha messo in dubbio, se avrei potuto esercitare anche stasera la vostra pazienza con la spiegazione del sesto articolo delle nostre regole, che segue quello di cui parlammo ultimamente.

Abbiamo percorso finora cinque articoli del secondo capitolo, di cui il primo è sulle massime del Vangelo nelle quali la Compagnia deve stabilirsi, ed è stato detto come essa debba darsi a Dio per nutrirsi di questa ambrosia celeste, per vivere come visse Nostro Signore e come noi dobbiamo indirizzare a Lui tutte le nostre azioni e modellarle sulle sue; così uniformeremo la nostra vita alla vita dell'autore di questa mirabile dottrina, da Lui per primo praticata.

Egli ha stabilito come prima massima di cercar sempre la gloria di Dio e la sua giustizia, sempre e a preferenza di qualunque altra cosa. Oh! quanto è bello, signori, cercare in primo luogo il regno di Dio in noi e comunicarlo ad altri! Una Compagnia animata da questa massima di dilatare sempre più la gloria di Dio, quanto aumenterebbe lei stessa la propria felicità! Qual motivo non avrebbe di sperare che tutto le si rivolgerebbe in bene! Se Dio si degnasse farci questa grazia, la nostra felicità sarebbe incomparabile. Ho conosciuto un sapiente del mondo, ma sapiente della sapienza di Dio, il defunto commendatore di Sillery, nostro benefattore, che seguiva questa pratica; mi diceva: "Tutti i giorni e in tutte le azioni dobbiamo considerare a che queste tendano". Orbene, se tra le persone sapienti di una sapienza comune, ve ne sono alcune che stanno attente se camminano rettamente, e si domandano: "Dove vai"? quanto più coloro che fanno professione di seguire le massime evangeliche, specialmente quella di cercare in tutto la gloria di Dio 548, devono domandarsi: "Perché fo questo? Per mia soddisfazione? Perché altre cose mi ripugnano? Per compiacere qualche meschina creatura? O non è piuttosto per ottenere in primo luogo la gloria di Dio e cercare la sua giustizia?" Qual vita, qual vita, sarebbe questa, signori. Sarebbe una vita umana? No, angelica, perché è per amor di Dio che faccio o non faccio quanto debbo fare o non fare.

Se noi ora aggiungiamo l'articolo seguente sulla volontà di Dio, che è l'anima della Compagnia e una delle pratiche deve avere maggiormente impressa nel cuore, è per dare a ciascuno in particolare un mezzo di perfezione facilissimo, ottimo e infallibile, il quale fa si che le nostre azioni non siano più nè umane, nè angeliche, ma azioni di Dio, poiché fatte in Lui e con Lui. Qual vita, signori, qual vita sarà quella dei missionari! Qual Compagnia, se si fonda su tal principio!

Viene quindi la semplicità, la quale permette che Dio trovi le sue delizie in un'anima che la possiede. Osserviamo tra noi coloro nei quali spiccano maggiormente i caratteri di questa virtù; non è vero che sono più amabili, che il loro candore ci conquista e che abbiamo piacere di trattare con essi? Ma chi non lo avrebbe, se Nostro Signore stesso si compiace dei semplici?

547 Manoscritto delle conferenze. Questa conferenza si trova quasi interamente in Abelly.548 Mt., 6, 33.

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Parimente, la prudenza bene intesa ci rende accetti a Dio, poiché ci conduce alle cose che si riferiscono alla sua gloria e ci fa evitare quelle che ce ne distolgono; non soltanto ci fa andare contro la doppiezza delle parole e delle azioni, ma ci fa compiere tutto con sapienza, circospezione e gratitudine, per raggiungere i nostri fini, con i mezzi che il Vangelo c'insegna, non per un determinato tempo, ma per sempre. Per questa via i prudenti camminano incessantemente. Oh! qual vita! oh! qual Compagnia sarà questa!

Se aggiungete ancora la dolcezza e l'umiltà, che ci mancherà? La dolcezza, la dolcezza! Oh! che bella virtù. Parleremo di essa stasera e dell'umiltà, se avremo tempo. Sono due sorelle germane che si accordano bene insieme, con la semplicità e la prudenza le quali non possono stare separate.

Che uomo sarà dunque quel prete, quel fratello che sempre cercherà il regno di Dio, che seguirà la santa pratica della sua volontà, che si eserciterà nella semplicità e prudenza cristiana ed infine nella mitezza ed umiltà di Nostro Signore? Che saremo tutti noi, se vi siamo fedeli? Qual Compagnia sarà allora la Missione! Dio può farvelo comprendere; quanto a me non so esprimerlo. Domani nell'orazione applicatevi a pensare che cosa sarà una simile Compagnia ed un uomo che possegga tali virtù.

Ecco quello che dice la regola sulla dolcezza:Tutti studieranno con diligenza la lezione che Gesù Cristo ci ha insegnato, dicendo:

"Imparate da me che sono mite ed umile di cuore"549 considerando, come l'assicura Lui stesso, che con la dolcezza si possiede la terra, perché, operando con tale spirito, si conquistano i cuori degli uomini per convertirli a Dio, mentre uno spirito aspro vi mette impedimento; e che con l'umiltà si acquista il paradiso, dove ci porta l'amore della nostra abiezione, facendoci salire, come a gradi, di virtù in virtù, finchè non vi siano giunti.

Non passerò all'umiltà, il tempo è troppo breve per parlarne stasera.E' dunque una lezione, una lezione di Nostro Signore Gesù Cristo che c'insegna ad

imparare da Lui che è mite ed umile di cuore. "Imparate da me", Egli dice. O Salvatore, quale parola! Ma quale onore essere vostri discepoli ed imparare questa lezione sì breve ed energica, ma di tale eccellenza che ci rende simili a Voi! O Salvatore, non avrete su noi la medesima autorità che in altri tempi avevano i filosofi sui loro seguaci, i quali erano talmente attaccati alle loro massime che bastava dire: "L'ha detto il maestro" perché le credessero e non se ne dipartissero mai!

Se dunque i filosofi, con i loro ragionamenti, si acquistavano tanto credito presso i discepoli che le loro massime erano subito attuate nelle cose umane, quanto più Nostro Signore, la Sapienza eterna, merita di esser creduto ed obbedito nelle cose divine! O Salvatore! fratelli, che Gli risponderemmo ora se ci domandasse conto di tutte le lezioni che ci ha date? Che Gli diremo, alla nostra morte, quando ci rimprovererà di averle tanto male imparate, noi che siamo suoi discepoli, ai quali ha insegnato la verità che operano la grazia effettiva, quando uno brama metterle in pratica? Eppure dovremo confessare di non averne approfittato, di non esserci uniformati ai suoi sentimenti, di aver trascurato quello che ci aveva comandato.

"Imparate da me, Egli dice, ad esser dolci". Se fosse soltanto un S. Paolo o un S. Pietro che, di sua iniziativa, ci esortasse ad imparare da lui la dolcezza, potremmo forse scusarcene; ma, fratelli, è un Dio fatto uomo, venuto in terra per farci vedere in qual modo possiamo esser graditi al Padre; è il maestro dei maestri che c'insegna... che cosa? che io sono dolce; e... che ancora? che io sono umile. Fateci parte, Signore, della vostra grande dolcezza; ve ne supplichiamo in forza di essa stessa, che non può nulla ricusarci.

La dolcezza, signori, ha molti atti, che si riducono a tre principali. Il primo atto ha due uffici, e il primo di essi consiste nel reprimere i moti d'ira,gl'impeti di quel fuoco che sale alla faccia, i quali turbano l'anima e non ci fanno più essere quelli che

549 Mt., 11, 29.

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eravamo. Un volto sereno diventa tutto ad un tratto nero o bigio o tutto infiammato. Che fa la dolcezza? Frena questi impeti e ne impedisce i cattivi effetti. Non già che chi la possiede non provi più alcun moto di collera, ma resiste, per non lasciarsi trascinare; tutt'al più potrà subire qualche cambiamento di colore, ma si rimette subito. Non bisogna meravigliarci se ci sentiamo combattuti da questa passione; i moti della natura prevengono quelli della grazia, ma questi li sormontano. Non stupirsi dunque degli assalti, ma chiedere la grazia di vincerli, nella certezza che se anche sentissimo in noi qualche ribellione contraria alla dolcezza, essa ha la proprietà di reprimerla. Ecco dunque il primo atto, meravigliosamente bello, tanto bello che impedisce la bruttezza del vizio di palesarsi; è una forza segreta nell'intimo del cuore che non solo tempera l'ardore della collera, ma ne soffoca i minimi sentimenti.

Ah! quanto sono miserabile! da quanto tempo studio questa lezione e non l'ho ancora imparata. M'irrito, muto di colore, mi lamento, biasimo: anche stasera ho rimproverato il fratello portinaio, il quale veniva ad avvertirmi che qualcuno mi desiderava, e gli ho detto: "Mio Dio!, ma cosa fate, fratello. Vi avevo detto di non chiamarmi per nessuno". Dio mi perdoni, per sua misericordia, ed anche questo fratello! Altre volte mortifico gli uni o gli altri, parlo ad alta voce e seccamente. Non ha ancora imparato ad esser mite. O miserabile! Supplico la Compagnia di sopportarmi e perdonarmi.Una persona che possegga questa virtù, non cade in tali miseria; e sebbene senta in se qualche amarezza, produce sempre frutti soavi.

L'altro ufficio di questo primo atto di dolcezza consiste in questo: sebbene qualche volta sia necessario mostrarci sdegnati, sgridare, rimproverare, punire, le anime miti non lo fanno per impulso di natura, ma perché credono di doverlo fare, come il Figlio di Dio che chiamò S. Pietro "Satana", che diceva dei giudei "andate, ipocriti", non una ma più volte; vediamo questa parola in un sol capitolo ripetuta dieci o dodici volte; ed in altre circostanze, scacciò i venditori dal tempio, rovesciò i banchi e dette altri segni di essere sdegnato. Era per impeto di collera? Egli possedeva al sommo grado la dolcezza che regolava tutti i suoi moti. In noi questa virtù ci fa dominare la passione, ma il nostro Signore che non aveva altro che propassioni, la dolcezza faceva soltanto affrettare o ritardare gli atti del suo sdegno, secondo che stimava conveniente. Se dunque si dimostrava severo in certe occasioni, Lui che era essenzialmente dolce e benigno, lo faceva per correggere le persone alle quali parlava, per mettere in fuga il peccato o togliere lo scandalo; per edificare le anime e per nostra istruzione.

Ah! quanto frutto otterrebbe un superiore comportandosi in questo modo! Le sue correzioni sarebbero ben ricevute, perché dettate dalla ragione e non dal malumore; quand'anche ammonisse severamente, non avverrebbe mai per irritazione, ma sempre per il bene della persona avvertita. Siccome Nostro Signore deve essere il nostro modello in qualunque condizione ci troviamo, coloro che sono destinati a dirigere gli altri devono guardare come Lui stesso faceva e regolarsi su Lui. Egli governava con amore, ma se qualche volta prometteva la ricompensa, altre volte parimente minacciava il castigo. Dobbiamo fare lo stesso, ma sempre guidati da questo principio dell'amore; saremo dunque nello stato di cui il profeta voleva che Dio fosse, quando diceva: Domine, ne in furore tuo arguas me550. Sembrava a quel povero re che Dio fosse sdegnato contro di lui, e perciò lo supplicava di non punirlo nel suo furore. Tutti gli uomini sono raffigurati in esso; nessuno vuol essere corretto da chi è in collera; perciò i superiori devono dominarsi, in modo che le loro correzioni non procedano dall'ira e dalla vendetta, ma dall'amore. E' dono di pochi non risentire una certa commozione, come ho detto; ma l'uomo mite si riprende subito.

Ecco dunque il primo atto della dolcezza, il quale consiste nel reprimere i moti contrari, appena avvertiti, sia franando del tutto la collera, sia usandone

550 Sal., 6, 2.

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opportunamente quando occorre, in modo che non venga affatto separata dalla dolcezza. Per conseguenza, signori, ora che ne parliamo, proponiamo, tutte le volte che ci capiterà l'occasione d'irritarci, di franare subito tale impeto, per raccoglierci, sollevarci a Dio, e dire: "Signore, che mi vedete assalito da questa tentazione, liberatemi dal male che essa mi suggerisce". Ognuno si proponga dunque di fare in questo modo. Dio ci conceda questa grazia!

Il secondo atto della dolcezza è di avere una grande affabilità, cordialità e serenità di volto verso le persone che ci avvicinano, in modo che esse ne provino consolazione. Infatti, coloro che hanno una fisionomia ridente e piacevole contentano tutti, avendo Dio concesso loro la grazia di avere un modo di avvicinare cordiale, dolce e benevolo, con il quale sembrano offrirvi il loro cuore e chiedervi il vostro; mentre altri, rozzi come me, si presentano con un'aria rigida, burbera, dispettosa, del tutto contraria alla dolcezza. Pertanto, fratelli, un vero missionario farà bene ad imitare i primi e comportarsi in modo da dar consolazione e fiducia a tutti quelli che l'avvicinano. Voi vedete per esperienza che questo modo di insinuarsi conquista i cuori e li attira; mentre, invece, è stato notato in persone di nascita ragguardevole, che quando hanno qualche ufficio e sono troppo gravi e fredde, ognuno le teme e le sfugge. E siccome noi dobbiamo occuparci dei poveri campagnoli, dei signori ordinandi, degli esercizianti e di ogni sorta di persone, non è possibile che produciamo buoni frutti se siamo come terre aride sulle quali non germogliano altro che cardi. Occorre un pò di buona grazia e un volto amabile per non spaventare nessuno.

Fu per me una vera consolazione, tre o quattro giorni fa, vedere la gioia che traspariva in una persona che usciva di qui, perché essa vi aveva osservato, diceva, una cordialità, un'apertura di cuore e una semplicità deliziosa (sono parole sue), che l'avevano grandemente commossa.

Suvvia, fratelli, se vi sono individui al mondo che debbano studiarsi di fare come si è detto, sono coloro che hanno incarichi come i nostri: missioni, seminari e il resto; è necessario insinuarci nelle anime per conquistarle e non è possibile senza un sembiante affabile e grazioso.

O Salvatore, quanto erano fortunati coloro che avevano la grazia di avvicinarvi! Quale volto! quale dolcezza, quale cordialità non dimostravate loro per attirarli! Qual fiducia non ispiravate alle anime perché vi avvicinassero! Oh! qual titolo d'amore! Sant'Andrea ne fu preso per il primo e per mezzo suo S. Pietro e poi tutti gli altri. Mio Salvatore, quanto bene farebbe nella vostra Chiesa chi avesse un sembiante così amoroso e una benignità così incantevole! I peccatori e i giusti correrebbero ad essi, gli uni per essere aiutati a risorgere e gli altri per essere incoraggiati. Isaia dice di Nostro Signore... E' detto nella Sacra Scrittura che Nostro Signore si sarebbe nutrito di burro e di miele; e questo per esprimere la dolcezza che Gli sarebbe data per discernere il bene e il male. Com'è quel testo? Chi se ne ricorda?".

Il signor Portail, alzatosi, disse: Butyrum et mel comedet, ut sciat reprobare malum et eligere bonum551. Il signor Vincenzo l'ha ringraziato. E, dopo aver ripetuto questo testo in francese: " Egli mangerà il burro e il miele, affinché sappia riprovare il male ed eleggere il bene", ha aggiunto: "Io credo che soltanto alle anime miti sia dato discernere le cose; perché come l'ira è una passione che torbida l'intelletto, spetta alla virtù contraria dare il discernimento. O buon Salvatore, dateci questa dolcezza. Ve ne sono, e molti, nella casa che la praticano, per vostra misericordia, per vostra misericordia; ma altri non vi si applicano abbastanza; fate a tutti loro la medesima grazia ed a me quella d'imitarli in tale soavità.

Il terzo atto della dolcezza si esercita quando, avendo ricevuto un dispiacere da qualcuno, vi si passa sopra, non ce ne facciamo accorgere, oppure si dice, scusandolo:

551 Is., 7, 15.

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"Non vi pensava, l'ha fatto con precipitazione; si è lasciato trasportare da un primo moto"; cioè distogliamo il pensiero dal preteso torto. E quando queste persone miti sentono dirsi parole sgradevoli e pungenti, non aprono bocca per rispondere e mostrano di non accorgersene.

Ho sentito dire di un cancelliere di Francia che un giorno, mentre usciva dal consiglio e montava sulla sua mula (allora non usavano ancora le carrozze), gli si avvicinò un uomo che aveva perso una lite e gli disse: "O perfido giudice, voi mi avete tolto tutti i miei beni; Dio vi punirà ed io vi aspetto al suo giudizio". La storia dice che quel signore, se ne andò senza voltarsi nè da una parte nè dall'altra, e senza dir mai una parola. Se fosse stata la virtù cristiana a fargli inghiottire quell'amarezza, oh! qual esempio per noi! E quando anche non fosse per questa virtù, ma per un qualche principio morale che avesse sopportato quegli insulti, quanto dobbiamo restare confusi noi, che ci irritiamo qualche volta per inezie!

Questo fatto avvenne al cancelliere di Sillery, che praticava eminentemente la dolcezza dopo avere assistito, quando era consigliere al parlamento, ad una brutta scena di due suoi colleghi che vennero a parole e si ricoprirono d'ingiurie; essendosi accorto che avevano il volto disfatto, livido, spaventoso, fece questa riflessione: "Oh! coloro che ho visto con volto d'uomini, li vedo ora trasformati in belve: storcono la bocca, sono pieni di bava e si trattano come bruti". E questo spettacolo gli fece una tale impressione che, giudicando l'enormità del vizio dalla deformità di quei furibondi, si mise d'impegno ad acquistare la pazienza e la mitezza.

Orbene, se tale esempio ebbe tanto potere sul primo capo della giustizia del regno, da fargli tollerare il rimprovero ingiurioso di quel litigante, senza manifestare alcun risentimento - tolleranza certo ammirevole nella posizione che aveva, nella quale non gli sarebbero mancati ragionamenti umani, nè mezzi facili per punire tale temerità - il vostro esempio, o mio Salvatore, non avrà egual potere su di noi? Vi vedremo praticare una mansuetudine incomparabile verso i più colpevoli, senza diventare noi stessi miti? Non saremo commossi dagli esempi e dalle lezioni che troviamo alla vostra scuola? Agnello di Dio, che togliete i peccati del mondo, rendeteci in questo simile a Voi.

La mitezza non soltanto ci fa scusare le ingiustizie e gli affronti che riceviamo, ma vuole anche che trattiamo con dolcezza chi ce li procura, usando con loro parole amabili; e se giungessero all'oltraggio, fino a darci uno schiaffo, dovremmo sopportarlo per amor di Dio. E' la dolcezza che ottiene tale effetto. Sì, un servo di Dio che la possegga veramente, anche se deve subire una prepotenza, offre alla sua divina bontà quell'aspro trattamento e rimane tranquillo.

O fratelli, se il Figlio di Dio nella sua conversazione appariva tanto buono, quanto più ha fatto risplendere la dolcezza nella sua passione! Sino al punto da non lasciarsi sfuggire alcuna parola di rimprovero contro i deicidi che lo coprivano d'ingiurie e di sputi e lo deridevano nei suoi dolori. "Amico mio" disse a Giuda, che lo dava in balìa dei suoi nemici. Oh! quale amico! Lo vedeva venire a cento passi, a venti passi; ma, molto di più, aveva veduto quel traditore tutti i giorni da quando aveva concepito l'infame disegno, eppure gli va incontro con questa dolce parola: "Amico". Trattò gli altri con la stessa bontà. "Chi cercate? domandò loro. Eccomi". Meditiamo queste pagine del vangelo, signori; troveremo atti prodigiosi di dolcezza, che superano l'intelletto umano; e consideriamo come conservasse tale dolcezza da per tutto. E' coronato di spine, caricato della croce, ve lo distendono sopra, Gli trafiggono con i chiodi le mani e i piedi; è alzato e quindi si lascia ricadere la croce con violenza nello scavo preparato, insomma, è trattato con la maggiore crudeltà possibile, e ben lungi dall'usargli qualche dolcezza.

Eccolo in quel tormento orribile, tormento che prego la Compagnia di valutare pensando alla pesantezza, allo stiracchiamento delle sue braccia, alle trafitture dei chiodi, al numero e alla sensibilità dei suoi nervi dilaniati. Qual dolore, signori! Chi

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può immaginarne uno più grande? Se cercherete di assaporare tutti gli eccessi della passione amarissima, rimarrete meravigliati come Egli potè o volle sopportarli. Lui che non aveva da fare altro che trasfigurarsi sul Calvario, come sul Tabor, per farsi temere e farsi adorare. E dopo tale ammirazione direte, come il dolce Redentore "Vedete se c'è un dolore simile al dolor mio!"552.

Che dice Egli in croce? cinque parole, delle quali non una risente l'impazienza. E' vero che esclama: "Eli, Eli, Padre mio, Padre mio, perché mi avete abbandonato?"553. Ma no,è un lamento, è uno sfogo della natura sofferente che patisce al massimo grado senza consolazione alcuna, mentre la parte superiore dell'anima sua acconsente dolcemente. Altrimenti, avendo il potere di attirare quella canaglia e farla morir tutta per sottrarsi alle loro mani, l'avrebbe fatto; eppure non lo fece. O Gesù, mio Dio, qual esempio per noi che ci siamo proposti d'imitarvi! quale lezione per coloro che non vogliono soffrir nulla!

Vedete dunque, fratelli, quanto dobbiamo amare questa virtù, e sforzarci d'acquistarla! Con essa non solo Dio ci farà la grazia di reprimere i moti di collera, di trattare affabilmente il prossimo e di rendere il bene per il male, ma anche di soffrire con pazienza le tribolazioni, le percosse, la prigionia e la morte stessa, che gli uomini potrebbero darci. Fateci la grazia, Signore, di profittare di quella che Voi avete subìto con tanto amore e mitezza. Molti ne hanno profittato, per vostra bontà infinita, e forse io sono il solo qui, che non abbia incominciato ad essere dolce e paziente. Chiedete a Dio, fratelli, chiedetegli di farmi partecipe di questa virtù di Gesù Cristo e di non permettere che io marcisca sempre nelle colpe che commetto tanto spesso contro la dolcezza. E perché raramente un vecchio si corregge delle sue malvagie abitudini, sopportatemi, ve ne prego, e non vi stancate di supplicare Nostro Signore, affinché mi trasformi e mi perdoni".

203. CONFERENZA DEL 18 APRILE 1659L'UMILTA'(Regole comuni, cap. 2, art. 7).554

"Fratelli, eccoci giunti al settimo articolo del secondo capitolo delle nostre regole. Nell'ultima conferenza su questo argomento, dicemmo che eravamo invitati da Nostro Signore ad imparare una lezione da Lui stesso insegnataci: "Imparate da me, Egli dice, che sono mite e umile di cuore".

"Che sono mite", parlammo di questo allora; "che sono umile di cuore", non ne parlammo sebbene me lo fossi proposto. Il tempo fu breve e la mia miseria è tale che non riesco a sbrigarmi. Siamo dunque rimasti alla seconda lezione, della quale ci occuperemo ora. Ecco quanto dice la regola:

Ora quest'umiltà che Gesù Cristo raccomanda tanto spesso con la parola e con l'esempio e che la Compagnia deve cercare con tutte le sue forze di acquistare, deve avere tre condizioni di cui la prima è di stimarci con tutta sincerità degni di disprezzo; la seconda, esser contenti che gli altri conoscano i nostri difetti e ci disprezzino; la terza, nasconde, considerando la nostra miseria, il poco di bene che Dio opererà in noi e per mezzo nostro, e, se questo non è possibile, attribuirlo totalmente alla misericordia di Dio e ai meriti altrui. Sta qui la base della perfezione evangelica e il nodo di tutta la

552 Lam., 1, 2.553 Mt., 27, 46.554 Manoscritto delle Conferenze. Questa conferenza la troviamo diversamente redatta in ABELLY, il quale ne pubblicò un lungo brano. (Op. cit., 1. 3, cap. 13, sez. 2).

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vita spirituale. Chi avrà questa virtù otterrà facilmente tutte le altre; ma chi non l'avrà, sarà privo anche di quelle che sembra avere e vivrà in continui turbamenti.

Il significato dell'articolo di questa regola è tanto chiaro che non c'è nessuno che non l'intenda e non ha quasi bisogno di spiegazione.

Si tratta dunque, carissimi fratelli, della santa umiltà tanto amata e così vivamente raccomandata da Nostro Signore e che per questo motivo dobbiamo praticare ed amare. Se facessi parlare qualcuno della Compagnia, chiunque fosse, ci direbbe molte ragioni e citerebbe molti testi, ed io pure potrei citarvene qualcuno, tuttavia per onorare quel che ne disse Nostro Signore e i suoi sentimenti, asseriremo soltanto che ci è raccomandata da Lui stesso: "Imparate da me, Egli dice, che sono umile"555. Se fosse un apostolo, se fosse san Pietro o san Paolo che ci desse questa lezione, se fossero i profeti o qualche santo, potrebbe dirsi che essi erano scolari come noi; se fossero filosofi... Ahimè! Non hanno conosciuto questa virtù ed Aristotele non ne ha detto nulla, lui che ha parlato tanto bene di tutte le altre virtù morali.

Soltanto Nostro Signore ha detto e potuto dire: Discite a me quia mitis sum et humilis corde. Oh! quali parole! imparate da me, non da un altro, non da un uomo, ma da un Dio, imparate da me... Che desiderate, Signore, che impariamo! Che io sono umile. O Salvatore! quale parola! che siete umile. Sì, Io lo sono, non già esteriormente, per ostentazione e vanità, ma umile di cuore, non di un'umiliazione superficiale e passeggiera, ma di cuore veramente umiliato davanti al mio eterno Padre, di cuore sempre umiliato davanti agli uomini e per gli uomini peccatori, guardando sempre le cose abiette e vili e sempre accettandole cordialmente, attivamente e passivamente. Imparate da me come io sia umile ed imparate ad esserlo nello stesso modo.

Fratelli, questa cosa è tanto contraria allo spirito del mondo e alla consuetudine, tanto lontana dall'inclinazione dell'uomo e dalla natura di ciascuno, che, se Dio non l'avesse detto e non lo avesse fatto, nessuno vorrebbe sentirne parlare, perché tutti stimano tanto quello che è in loro e quello che producono all'esterno che non c'è neppure uno che, naturalmente, non ami aver buona riputazione e non faccia di tutto per essere stimato, lodato, preferito; per un certo sentimento della natura corrotta del primo uomo, tutti hanno questa maligna inclinazione e cadono in questo misero tranello.

Nondimeno, signori, eccovi una cosa strana: avendo spesso domandato tanto al tribunale di penitenza, quanto nelle mie visite: "Quale virtù amate maggiormente? A quale vi sentite più attirato?" ho osservato che quasi tutti risposero che era per l'umiltà. "E' una virtù, mi si disse, che amo moltissimo; ma sebbene l'ami, continuo ad essere pieno di orgoglio onde sono molesto agli altri che metto sotto di me ed insopportabile a me stesso, perché non vorrei esaltarmi come faccio". Da che proviene questo? Dal fatto che quantunque siamo per natura inclinati alla superbia, li siamo pure per l'umiltà, essendo essa speculativamente bella; o, almeno, non potendo due inclinazioni contrarie trovarsi contemporaneamente nella medesima persona, vorremmo avere inclinazioni per questa virtù. E come mai? Perché la grazia ricevuta col battesimo ci fa sentire questo desiderio. Sì, lo spirito di Nostro Signore dà la medesima inclinazione per la virtù, come la natura la dà per il vizio.

Se vi domandassi, fratelli, quale virtù amate maggiormente e se lo chiedessi pure a me stesso, risponderemmo tutti che è l'umiltà; eppure se vi domandassi: Come vi par d'essere? Praticate tale virtù? - No, mi trovo tutto l'opposto. Mi applico alle azioni esterne che mi fanno fare una bella figura; cerco di essere onorato; voglio essere ascoltato; peso le mie parole, forbisco i miei periodi, insomma mi faccio valere. - Ma non sapete che in questo modo predicate voi stesso e non Gesù Cristo e che con queste prediche elevate che il vento porta via vi rendete inutile al popolo? - Ne sono persuaso;

555 Mt., 11, 29.

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ma, tant'è, bisogna che acquisti la stima del mondo. - Oh! quale accecamento! oh, quale sventura! o signori; piacesse alla bontà di Nostro Signore ritrarci da questa detestabile abitudine e ben fondarci nella pratica della santa umiltà; se si degnasse concederci questa grazia santificatrice di amare il disprezzo, oh! qual grazia mirabile sarebbe! mio Dio! quanto ci sarebbe preziosa!

Bisogna pur convenire che vi sia in noi una strana inclinazione per il vizio opposto e vi sia nello spirito maligno una forza segreta e molto potente contro l'uomo, se, nonostante la cognizione che abbiamo della bellezza e santità della umiltà, ci lasciamo trascinare dalla violenza dell'orgoglio. Ma, o mio Salvatore! o miei fratelli! non è tempo di resistergli? Ci è stato raccomandato dal Figlio di Dio di essere umili e ci ha detto ancora: "Chi si umilia sarà esaltato"556. Ecco una dottrina di salvezza venuta dal cielo; e non è un prodigio e causa di stupore che, pur credendo alla verità di queste parole, ricusiamo di cooperare ai loro effetti?

Sappiamo che Nostro Signore in un altro luogo dice: "Chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato". Tuttavia, alcuni vogliono passare per dotti, per spiriti forti e giudiziosi, per uomini sapienti, per buoni superiori e vigilanti ufficiali e non pensano che questi saranno umiliati e abbassati. O Salvatore! qual pazzia!

Orsù, signori, non bisogna convenire che è ben disgraziato chi, conoscendo i vantaggi dell'umiltà, non fa il possibile per nascondersi nelle viscere della terra, non teme l'esaltazione, la stima e le lodi degli uomini e non si considera come l'ultimo di tutti?

O mio Salvatore, quanto a questa lezione orale: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore", ci è stata insegnata dalle vostre azioni! Signori, che cos'è la sua vita, se non un costante esercizio di umiltà? E' un'umiliazione continua attiva e passiva; Egli l'ha talmente amata che in terra non l'ha mai abbandonata; e non solo l'ha amata mentre viveva, ma anche dopo la sua preziosa morte, avendoci lasciato come immortale monumento delle umiliazioni della sua divina persona, un crocifisso, e così passare come un malfattore confitto al patibolo, volendo che la Chiesa ce lo mettesse dinanzi agli occhi in questo stato d'ignominia nel quale morì per noi. Volle che il nostro benefattore ci fosse raffigurato come un malvagio e che l'autore della vita soffrisse la morte più vergognosa e più infamante che si sia potuto immaginare. O mio Salvatore, quanto foste infiammato per questa virtù! Perché vi abbandonaste a sì eccessivi avvilimenti? Perché conoscevate bene il pregio delle umiliazioni e la malizia del peccato opposto, il quale non soltanto aggrava gli altri peccati, ma rende viziose le opere che di per se stesse non sono cattive ed anche quelle che sono buone e le più sante.

Tutta la sua vita non fu che umiliazione. Il corpo mirabile, formato dallo Spirito Santo, rimanere tanto tempo chiuso in una vergine! Permettere che si dicesse che Gli era stato ricusato l'alloggio e che si era dovuto accontentare di una stalla e dopo aver ricevuto qualche omaggio, sia dal cielo che dalla terra, da parte degli angeli e da parte degli uomini, cadesse subito nel disprezzo, essendo costretto a fuggire in Egitto poveramente, come un fanciullo, che dico?, come un Dio debole e impotente.

Sarebbe qui il caso di richiamarci, se il tempo lo permettesse, la vita di Nostro Signore come un continuo atto di stima e di amore per il disprezzo; il suo spirito ne era traboccante e chi ne avesse fatto l'anatomia, come si fa qualche volta dei santi che sono stati aperti per vedere ciò che avevano nel cuore, dove spesso si trovavano i segni di quello che maggiormente avevano amato durante la loro vita, si sarebbe certamente trovato nel cuore adorabile di Gesù che la santa umiltà vi era scolpita in modo tutto particolare, e forse non esagero se dico a preferenza di tutte le altre virtù.

556 Mt., 23, 12.

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Mio Dio! fratelli, essendo venuta l'ora in cui la divina bontà ci fa parlare di questo, preghiamolo tutti, ma umilmente, di concederci la grazia di esser partecipi della sua umiltà e di venirne, come Lui, alla pratica. Fortunati se si potrà dire di ciascuno di noi quello che san Paolo diceva di Nostro Signore umiliato: Humiliavit semetipsum, formam servi accipiens!557.

O Padre eterno, che avete voluto che il Figlio vostro si rivestisse della nostra carne, per essere simile a noi, in similitudinem hominum factus et habitu inventus ut homo 558, rivestiteci della sua virtù d'umiltà per potergli assomigliare.

O Salvatore! quale desiderio, qual ardore, quale sete avevate di questa virtù, se continuamente avete cercato di praticarla, se vi siete studiato di abbassarvi ovunque e avete voluto che tutte le creature contribuissero alla vostra umiliazione! Chi potrà imitarvi? Ma chi potrà soltanto parlare di questa virtù? Signore, fateci la grazia di parlarcene Voi stesso; le parole degli uomini colpiscono l'orecchio ma non penetrano intimamente, mentre una vostra detta all'orecchio del nostro cuore ci farà rinunziare alla vana riputazione per la quale la maggior parte delle persone perde il merito delle proprie azioni. Avviene spesso che alcune di quete azioni sono apparentemente buone; ma sono piene di questo fumo della stima di sè, il quale fa sì che esse non abbiano nè peso nè consistenza, ma che qual nebbia si dissipino.

Voi sapete, mio Dio, quanta contrarietà vi sia da parte della natura, per questa rinunzia allo onore, e, se Voi non ce la ispirate, non riusciremo mai a farla debitamente. Ispiratecela dunque, Signore, parlatecene Voi stesso; eccoci come tanti servi che vi ascoltano. I figli d'Israele volevano che parlasse loro Mosè e non Voi, poiché temevano che lo splendore della vostra maestà li facesse morire; noi, invece, vi supplichiamo di parlarci, affinché viviamo e viviamo della vita di Gesù Cristo. Dite dunque, fratelli, dite a Dio: "Parlateci, Signore, parlateci voi e non questo povero uomo che c'intrattiene, perché quello che Egli ci dice è tanto volgare e scipito che non ne rimaniamo per nulla commossi. Figlio unico del Padre, diteci una buona volta: " Imparate da me l'umiltà" e fate che questa parola operi quello che significhi.

In che consiste l'umiltà? Consiste, signori, nell'amare il disprezzo, nel desiderare l'avvilimento, nel rallegrarsene, quando capita, per amore di Gesù Cristo. E' difficile, ma che non può la grazia e l'uomo con essa? L'amore della propria abiezione e quello che ho detto ora, sono la medesima cosa. Dobbiamo esser dunque ben contenti se siamo conosciuti come spiriti piccini, come caratteri fastidiosi, come individui senza virtù, soggetti ad ogni sorta di miserie; se effettivamente siamo ingiuriati e lasciati in disparte, trattati come ignoranti, rimproverati dei nostri difetti e fatti passare per scorretti e insopportabili.

Signore, che ci dite? Ecco una cosa per nulla conforme alle nostre abitudini passate ed alle nostre disposizioni presenti. Durus est hic sermo559. - E' duro, è vero; ma quando si pensi che dobbiamo farlo per amor di Dio, e che Iddio ha annesso grandi favori alla pratica dell'umiltà, come per esempio che gli ultimi saranno i primi, che quelli che si fanno piccoli saranno i più grandi560 e chi si abbassa sarà esaltato561, ci sentiremo incoraggiati ad acquistare questa virtù. Voglio dunque abbracciarla con l'aiuto di Dio, per fargli piacere. Faremo a Lui cosa graditissima se ci risolveremo tutti ad esercitarci in essa, non per un pò di tempo soltanto ma per sempre, rinnovando spesso la nostra intenzione, di onorare Dio, glorificarlo, piacergli e amarlo. Nulla può maggiormente commuoverci che l'onore di Dio, nè nulla è più tenero del pensiero della sua bontà e del

557 Fil., 2, 8.558 Ibid., 2, 7.559 Gv., 6, 61.560 Mt., 19, 31.561 Ibid., 18, 4.

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suo compiacimento, come nulla è più forte quanto dire: " Voglio umiliarmi per un Dio che mi ama; per Lui voglio amare la mia abiezione". Bisogna giungere a questo punto, signori, bisogna che ognuno vi tenda e che tutti vi portino la Compagnia.

E' certo qualche cosa che uno in particolare ami il disprezzo di sè, ma non basta; è necessario che l'ami anche per essa. Non basta accettare le umiliazioni solo per ciascuno in particolare, ma per tutti in generale; dobbiamo esser ben contenti che si dica che la Missione è inutile alla Chiesa, che è composta di povera gente, che fa male tutto quello che fa, che i suoi ministeri della campagna sono senza frutto, i seminari senza grazie, le ordinazioni senza metodo. Vedete, fratelli, se abbiamo lo spirito di Dio, dobbiamo essere lieti che la Compagnia sia riputata come abbiamo detto, e messa al di sotto di tutte le Compagnie, lungi dal desiderare che se ne dicano meraviglie, e che si sappia che essa fa questo o quello, che è stimata dai grandi e ben vista dai vescovi. Oh! Dio ci liberi da una simile pazzia! Soltanto lo spirito del mondo e la malizia dell'orgoglio possono suggerirci tali pensieri. Dobbiamo, invece, desiderare e rallegrarci ch'essa sia attualmente disprezzata e, checchè ne possano dire la natura e la prudenza del secolo, amare questo disprezzo, finchè piacerà a Dio che duri e per quanto sia grande.

E circa al primato, alla virtù, all'umiltà, alla buona riputazione, dobbiamo cedere a tutti e parlar sempre a vantaggio delle altre comunità, mai dirne male, ed attribuirne loro ogni buona riuscita e tutto il bene che si fa. Troverete chi vi dirà l'opposto, non credete, son demolitori ed adulatori. Stimate tutti gli stati e tutti i santi ordini della Chiesa, ma stimateli in Dio per il loro merito e amateli con tutto il vostro cuore; non crediate di far molto preferendoli a nullità che siamo noi.

Nostro Signore fa la grazia a molti membri della Compagnia di camminare con la massima celerità verso questa virtù, di animare le loro azioni col desiderio del proprio annientamento e di mettere tutte le loro attenzioni nel nascondersi e nell'umiliarsi. Fateci la grazia a tutti, mio Dio, a tutti, di non avere altro desiderio, e che l'umiltà sia la virtù della Missione. O santa virtù, quanto sei bella! O piccola Compagnia, quanto sarai amabile, se Dio ti concederà questa grazia. Se mai vi è capitato, notatelo bene, di sentir raccontare dagli altri qualche bene fatto dalla Compagnia, ebbene fateci attenzione e vedrete che è stato perché hanno scorto in essa qualche piccolo tratto di umiltà, qualche azione ritenuta bassa e abietta, come istruire i contadini e servire i poveri. Se vedete gli ordinandi partirsene edificati dalla casa è perché vi hanno osservato un modo di fare umile e semplice che è per loro una novità, e per tutti un incanto e un'attrattiva. Nell'ultima ordinazione, vi fu uno che volle lasciar per iscritto i buoni sentimenti che riportò di qui per una qualche tinta di umiltà di cui egli s'accorse.

La Chiesa, conoscendo l'importanza di questa virtù, quando fa l'inchiesta di un santo per procedere alla sua canonizzazione, tra le molte domande che è usa fare, mi sembra che la prima sia questa: "Era umile?" Se dunque uno dei primi articoli del suo formulario d'istruttoria è l'umiltà, eh! mio Dio! fratelli, perché non la metteremo noi tra le prime, anzi addirittura la prima, nel nostro cuore e nei nostri esami, sapendo che è il fondamento di tutte le altre virtù?

Se piacerà a Dio concedervi a tutti l'umile disposizione che da voi desidera oh! quante grazie vi farà a vostra santificazione ed a salvezza del prossimo! Chiediamogli dunque, non solo ciascuno per sè, ma per tutti quanti siamo, la cognizione della nostra miseria, l'odio della propria stima e di ogni lode e riputazione, insieme con l'amore del disprezzo.

Nostro Signore non fu soltanto umile per sè, ma anche nella sua piccola Compagnia, composta da pochi e poveri rozzi individui senza istruzione nè educazione, che non andavano d'accordo neppure tra loro, che, infine, l'abbandonarono tutti e, dopo la sua morte, furono trattati come Lui, scacciati, disprezzati, accusati, condannati e giustiziati. Aiutiamoci reciprocamente, fratelli, ad esser tutti partecipi alle loro umiliazioni; essi ne

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ricevettero per i primi l'insegnamento e l'esempio dal divino Maestro; non ci vergognamo di seguirli. E' Lui che ancora ci parla. In questo momento , vi dice come ad essi: "Imparate da me che sono umile di cuore; fate come mi avete visto fare, perché, dal mio primo passo fino ad ora, vi ho indicato la pratica dell'umiltà; e questo è quello che vi ho sempre insegnato".

L'altro giorno mi trovavo con alcuni signori della città, ed uno di essi diceva: "Non concepisco l'umiltà se non come la descrivono i filosofi, una conveniente modestia, un contegno onorevole, una deferenza rispettosa, ecc.".

"Ma, signore, gli fu risposto, chi più di Nostro Signore conosce la natura delle virtù? Chi meglio di Lui conosce il pregio dell'umiltà, il potere che ha di attrarre le altre virtù e che, senza di essa, un cristiano è privo degli ornamenti della grazia che devono accompagnarlo?". La cosa si spinse più oltre... E' meglio che taccia.

Gli apostoli composero un simbolo: Credo in Deum Patrem, ecc., non solo per fissare le loro credenze, ma anche per distinguere i cristiani dagli ebrei e dagl'infedeli, tanto che se, incontrandoli, si diceva loro: "Chi siete?" rispondevano: Credo in Deum; Credo in Iesum Christum.

Se ci fosse possibile, signori, prendere oggi l'umiltà per contrassegno di un missionario, in modo da distinguerlo tra gli altri cristiani e gli altri sacerdoti piuttosto per questa virtù che per il suo nome, oh! che nostro Signore ci farebbe una grazia ben conveniente al nostro stato! Preghiamolo perché, se saremo interrogati sulla nostra condizione, ci permetta di rispondere: "E' l'umiltà". Sia questa la nostra virtù. Se ci si domanderà: "Chi va là?" - "L'umiltà!". Sia questa la parola d'ordine.

La nostra regola dice che l'umiltà deve avere tre gradi di cui il primo è il disprezzo di se medesimo. E in verità, signori, se ciascuno si esaminasse bene, troveremmo quanto ciò sia ragionevole. Sì, dopo che ci saremo esaminati accuratamente sulla corruzione della nostra natura, la leggerezza del nostro spirito, le tenebre del nostro intelletto, il disordine della nostra volontà e l'impurità dei nostri affetti, e dopo che avremo pesato sulla bilancia del santuario le nostre opere e le nostre azioni, troveremo che tutto è degno di disprezzo. Ma come! e le prediche fatte, le confessioni udite, le premure avute e le pene sostenute per il prossimo e per gli affari? Sì, ripassando le migliori di queste azioni compiute si troverà che ci si è mal condotti quanto al mondo, fuorviato quanto al fine e che, tutto sommato, si è fatto più male che bene.

Non può essere diversamente, fratelli, perché che cosa si può aspettare dalla debolezza dell'uomo? Il nulla, che può produrre? Il peccato, che può fare? E siamo noi qualcos'altro? Se dunque ciascuno si considera bene, vedrà di non meritare altro che il disprezzo non solo in alcune cose, ma universalmente in tutte. Assicuriamoci, signori, che siamo in tutto degni di disprezzo e sempre disprezzabili, per l'opposizione tra la nostra natura e l'essere e la santità di Dio, e la nostra dissomiglianza con la vita e le operazioni di Gesù Cristo. E chi ci persuaderà di tal verità è l'inclinazione naturale e continua che abbiamo al male, la nostra impotenza al bene e l'esperienza fatta che, anche quando crediamo di essere ben riusciti in qualche azione od avere indovinato nelle nostre penetrazioni e divisamenti, accade il contrario e Dio permette che siamo disprezzati.

Studiamoci bene e troveremo che in tutto quello che pensiamo, diciamo e facciamo, o nella sostanza, o nelle circostanze siamo pieni e circondati di motivi d'obbrobrio e di disprezzo. Studiamoci bene, ma proprio bene; ci troveremo non solo peggiori degli uomini, ma peggiori dei diavoli. Ve ne sono nella Compagnia, che si credono peggiori dei demoni dell'inferno; perché, se quei miserabili spiriti avessero a disposizione i nostri stessi mezzi per diventar migliori, ne farebbero mille e mille volte miglior uso di noi. E infatti, non hanno detto a certe persone: "O sventurati! eccovi in condizioni di onorare Dio e lo offendete! Se non avessimo questa malvagità contro di Lui e questa protervia nel male da cui non possiamo liberarci, se ci fosse possibile far penitenza, se

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il Figliuolo ci avesse fatto la grazia di morire per noi, se ci avesse dato buone ispirazioni, i soccorsi e il tempo che avete voi per emendarvi e per servirlo e soprattutto l'esempio delle sue prodigiose umiliazioni, oh! ci comporteremmo ben diversamente da voi! Ma come! credete in Dio e vivete tanto male?Ma come! ricevete tanto spesso i sacramenti e tutti i giorni nuove grazie e non siete più buoni?" O cielo! o terra! stupitevi di una sì grande insensibilità quale è la nostra e di una tale ingratitudine per i benefici di Dio! Francamente, signori, siamo peggiori dei demoni.

Il secondo grado che deve avere la nostra umiltà è di farci contenti che gli altri conoscano i nostri difetti e ci disprezzino. In verità non è cosa piacevole per l'uomo vecchio e potreste dirmi: "Durus est hic sermo; è una cosa difficile". Eppure bisogna giungervi, bisogna amare il disprezzo che si potrebbe avere per il nostro stato, le nostre persone, il nostro modo di fare e di parlare. Nostro Signore poteva evitare gli scherni, le ingiurie e i rimproveri che ricevette dai giudei, ma non lo evitò. Dio non permetta, signori, d'esser tanto meschini, quando avessimo da sopportare qualche confusione, da respingerla o scusarci, perché la santa umiltà non può permetterci questo!".

In questo mentre, essendo suonata l'ora, il signor Vincenzo si fermò per chiedere se erano le nove. Ed essendogli stato risposto di sì, rimase sorpreso, avendo ancora molte cose da dire. E aggiunse:

"Che faremo? Bisogna fermarci qui, Dio vi dirà il resto domani nell'orazione, dove intenderete il suo linguaggio molto meglio del mio. State attenti alla raccomandazione che Egli vi fa di questa virtù e pregatelo che ve ne dia l'intelligenza. Che se a Lui piacerà d'infiammarci anche solo del desiderio delle umiliazioni, ciò sarà più che sufficiente, benché non conosciamo l'umiltà come Nostro Signore il quale, praticandola, ne vedeva l'altezza, la profondità, la lunghezza e la larghezza e sapeva le relazioni che essa ha con le perfezioni di Dio suo Padre, con l'abbiezione della creatura e dell'uomo peccatore. Ciò noi non lo vedremo mai che molto oscuramente; tuttavia nelle nostre tenebre abbiamo fiducia che, se cominceremo ad amare le umiliazioni, Dio metterà ed aumenterà in noi tal virtù mediante gli atti che ce ne farà fare. Un'umiliazione ne attira un'altra e il primo grado dell'umiltà serve per salire al secondo, il secondo al terzo, al quarto e al quinto.

O Salvatore, Salvatore, che avete detto del pubblicano umiliato che la sua preghiera era stata esaudita! O fratelli, se Egli ha dato tale testimonianza di quell'uomo che era un malvagio, che cosa non dobbiamo sperar noi se siamo umili? E del fariseo che ne avvenne? Era un uomo separato dal popolo per la sua condizione, la quale era una specie di religione tra gli ebrei, e ringraziava Dio perché digiunava e pagava le decime. Eppure Dio lo condanna; perché? perché considera le sue opere, le stima, se ne compiace e crede d'essere stato lui che le ha fatte.

Ecco dunque un giusto e un peccatore; per il giusto le virtù sono state vizi e motivo di condanna, perché era senza umiltà; e, invece, per il peccatore una sola umiliazione è stata il mezzo di salvezza. Egli sta alla porta, si batte il petto, non osa alzar gli occhi al cielo e, sebbene colpevole, torna a casa giustificato.

L'umiltà attira nell'anima tutte le altre virtù; e da peccatore che si era, appena ci si umilia, si diventa accetti a Dio. Quand'anche fossimo degli scellerati, se ricorriamo all'umiltà essa ci cambia in giusti; e quando fossimo come angeli e ci mancasse questa benedetta umiltà, anche se avessimo tutte le altre virtù, è così, queste ci sarebbero tolte a motivo di quel che non abbiamo e diverremmo simili ai dannati che non ne hanno alcuna. Un uomo, per quanto sia caritatevole, se non è umile, non ha la carità; e senza carità, quando avesse pure abbastanza fede per trasportare le montagne, desse le sue ricchezze ai poveri e il suo corpo al fuoco, tutto gli sarebbe inutile.

Fratelli, ritiriamoci con questo pensiero: "Quando avessi tutte le virtù e non l'umiltà, non avrei altro che peccato; non sarei che un superbo fariseo e un abbominevole missionario".

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Mio Salvatore, fateci ben capire questa verità, fateci conoscere l'eccellenza di questa virtù, fate che l'amiamo e che amandola respingiamo tutti i vani pensieri. Cominciamo, miei fratelli, fin da questo momento a considerare quanto sia bella e quanto piacevole in coloro che cercano continuamente di umiliarsi, quanta pace godano e quanto siano stimati. non è vero che si tormentano invano, che quasi tutti li disprezzano, se ne fanno beffa e se ne ridono? E noi vedremo ciò, ed avremo tanto poco buon senso da essere avidi di queste misere soddisfazioni della natura cieca e corrotta?

L'umiltà ha questa prerogativa, d'impedire che prendiamo alcuna stima all'infuori della vostra, mio Dio, che date il giusto valore delle cose. Gli uomini non ne conoscono il valore. E non è da pazzi, da arcipazzi preferire la stima del mondo alla vostra, l'ombra al corpo, la menzogna alla verità?

Salvatore dell'anima mia, riempiteci di quei sentimenti che vi hanno reso così umile, di quei sentimenti che vi hanno fatto preferire le contumelie alla lode, di quei sentimenti che vi hanno fatto cercare la gloria del Padre vostro nella vostra stessa confusione. Fate che cominciamo fin da ora a respingere tutto quello che non torna a vostro onore e a nostro disprezzo, tutto quanto sa di vanità, d'ostentazione, d'amor proprio; che cerchiamo ormai di fare atti di vera umiltà; che rinunziamo una buona volta per sempre agli applausi degli uomini ingannati ed ingannatori, alla vana immaginazione del buon esito delle opere nostre; e, infine, mio Signore, che impariamo ad essere veramente umili con la vostra grazia e pel vostro esempio".

204. CONFERENZA DEL 2 MAGGIO 1659DELLA MORTIFICAZIONE562

(Regole comuni, cap. 2, art. 8 e 9)

"Eccoci arrivati, signori, all'ottavo articolo delle massime evangeliche, il quale così si esprime:

Siccome Gesù Cristo ha detto: "Chi vuol venire con me rinunzi a se stesso e porti la sua croce tutti i giorni563" e S. Paolo ha aggiunto con il medesimo spirito darete morte alle azioni della carne, vivrete"564, ciascuno, procurerà, per quanto gli è possibile, di praticare questo, cioè una continua mortificazione della propria volontà e del proprio giudizio e di tutti i suoi sensi.

Se il nono articolo che viene dopo non è uguale, ha però molti punti di somiglianza con questo, eccolo:

Ciascuno rinunzierà del pari all'affetto immoderato per i parenti, secondo il consiglio di Gesù Cristo, il quale esclude dal numero dei suoi discepoli tutti coloro che non odiano il padre, la madre, i fratelli, le sorelle, e promette il centuplo in questo mondo e la vita eterna nell'altro a coloro che li avranno lasciati per seguire il consiglio del Vangelo; dimostrando con ciò il grande ostacolo che l'attaccamento alla carne e al sangue porta alla perfezione cristiana. Non cesseremo tuttavia di amarli, ma d'un amore spirituale e secondo lo spirito di Gesù Cristo.

Ecco, fratelli, l'argomento della conferenza di stasera, che parla da sè. Questa regola è tanto evidente e tanto intelligibile, che abuserei della vostra pazienza se v'intrattenessi su di una cosa talmente chiara e sarebbe un offuscarne il senso volere aggiungere altre spiegazioni.

E' un consiglio che Nostro Signore dà a coloro che vogliono seguirlo, che Gli si offrono a tale effetto. "Volete venire dietro a me? Sia! Volete conformare la vostra vita

562 Manoscritto delle conferenze.....563 Mt., 16, 24.564 Rm., 8, 13.

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alla mia? Sia pure! Ma sapete che dovete cominciare dal rinunziare a voi stessi e proseguire portando la vostra croce?". Ebbene questo non è dato a tutti, ma a pochi; e da ciò è accaduto che tante migliaia di persone, che lo seguivano per ascoltarlo, lo hanno abbandonate e si sono ritirate, non essendo state trovate degne di essere suoi discepoli, perché non lo seguivano con la dovuta disposizione insegnata da Nostro Signore. Non erano disposti a vincersi. "Io vi accetto, diceva loro, venite, ma vi sono due cose da farsi: la prima, rinunziare a voi stessi, ossia lasciare il vecchio Adamo; e la seconda, portare la vostra croce e questa tutti i giorni; su questa base, considerate se siete capaci di seguirmi e di rimanere alla mia scuola".

Occorre dunque rinunziare a se stessi; è una necessità per chi vuol essere discepolo di questo divino Maestro. Vedremo in qual modo si può rinunziare a stesso; quello che vi dirò lo trarrò, parte dalla regola, la quale indica quattro modi, e parte da S. Basilio, che ha pagine bellissime sul tal soggetto.

Che vuol dunque dire: rinunziare a se stesso? La regola dice che è rinunziare al proprio giudizio, alla propria volontà, ai propri sensi e ai propri parenti.

Qual vita, signori, rinunziare a tutto se stesso per amor di Dio, adattare i propri giudizi a quelli del prossimo, obbedire per virtù a chi si deve, sottomettere tutto al giudizio che Dio fa delle cose! Nostro Signore faceva così. Per giudizio s'intende la scienza, l'intelligenza, il discernimento. Il Figlio di Dio voleva che si sapesse bene che non aveva un giudizio proprio, che il suo giudizio era quello del Padre e lo dichiarava: Mea doctrina non est mea, sed eius qui misit me565; la mia intelligenza ed il mio discernimento non sono miei, ma del Padre mio; considero il giudizio che Egli fa delle cose e giudico egualmente. O fratelli! o fratelli! qual vittoria è per un cristiano, sottomettere i propri lumi e la propria ragione per amor di Dio.! Che cos'è questo? E' la pratica di Nostro Signore rinunziare al proprio giudizio. Chi rinunzia a sè meglio di colui che sottomette il suo giudizio? Si propone una questione e ciascuno dice il proprio parere. Ebbene, in tal caso, per rinunziare a sè, uno non deve rifiutarsi di dire quello che pensa, ma deve sottomettere le sue ragioni, e chi ha questa sottomissione preferisce seguire il giudizio altrui al proprio.

Nostro Signore, pur essendo la sapienza stessa, non fa uso del suo giudizio, ma si sottomette al Padre. E noi, per essere veri missionari e suoi discepoli, dobbiamo sottomettere il giudizio a Dio, alle regole, alla santa obbedienza e, per condiscendenza, a tutti gli uomini; ecco che cos'è questa virtù. Lo riferivo ultimamente: il parere di san Vincenzo Ferreri era che il mezzo per santificarsi consiste nell'adattarsi al giudizio altrui, rinunziando al nostro. Conformiamo il nostro giudizio, come Nostro Signore, al giudizio di Dio, che ci è noto dalla Sacra Scrittura. Del resto non ne usiamo se non nel caso in cui le regole e i superiori non dicano nulla. Allora, in nomine Domini, si può formulare il nostro giudizio nel senso più conforme allo spirito del Vangelo.

Rinunziare alla propria volontà: Quae placita sunt ei facio semper566; faccio sempre la volontà di Dio. Così diceva e faceva la Sapienza medesima, Nostro Signore, suo Figlio. Se la sua divina bontà ci concedesse la grazia di fare sempre la volontà di Dio, delle regole e dell'obbedienza, saremmo allora ammessi alla sua scuola; ma finchè ci diletteremo della nostra volontà, o mio Signore, non avremo la giusta disposizione per seguirvi, non avremo merito nel soffrire le nostre pene nè parte con Voi, ed al contrario ne avremo, se rinunzieremo alla nostra propria volontà per amor di Dio.

La terza cosa che dobbiamo mortificare sono i nostri sensi interni ed esterni; dobbiamo avere su di essi una perpetua vigilanza ed una cura particolare per assogettarli a Dio. O miserabile che sono! come oserò pronunciare questo, io che sono tanto lontano dal praticare tale mortificazione, che sono sempre dissipato nella vista e

565 Gv., 7, 16.566 Gv., 8, 29.

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nello udito e sensuale nel gusto? Fatemi la grazia, mio Dio, di perdonarmi il passato e di mortificarmi per l'avvenire. La curiosità di vedere è frequente e pericolosa; io sono stato combattuto da questa passione. La curiosità di ascoltare, oh! quanta forza ha per distrarre la mente! Se c'è qualcuno che si lascia trascinare da questi desideri sregolati dalla vista e dell'udito, deve pregare molto Nostro Signore Gesù Cristo perché gli conceda la grazia di rinunziarvi. La curiosità fa causa della perdita del nostro primo padre ed effettivamente si sarebbe perduto, se egli stesso non si fosse riabilitato con la penitenza, come è detto nel libro della Sapienza. Anche la curiosità di toccare può avere cattive conseguenze. Coraggio, occorre sorvegliarsi per non lasciar mai briglia sciolta alle passioni, nè contentare i propri sensi.

La regola dice ancora una cosa che sembra dura, tuttavia dobbiamo chinare il capo. Il Figlio di Dio ha detto chiaramente che, per rinunziare a sè, bisogna odiare i parenti: ma ciò s'intende, qualora volessero impedirci di andare a Lui, perché, quando essi stessi ci spingono o almeno ci lasciano fare, no richiede da noi tale odio, ma soltanto quando ce ne distolgono; allora qui non odit patrem suum et matrem et uxorem et filios et frates et sorores, adhuc autem et animam suam, non potest meus esse discepulus567; chi non odia suo padre e sua madre, la sua sposa e i suoi figli, i suoi fratelli e le sue sorelle ed anche la vita sua non può essere mio discepolo. Non s'intende propriamente di odiarli ma solo comportarsi come se si odiassero, voglio dire abbandonarli, disobbedirli, ecc., quando vogliono impedirci di obbedire a Dio e seguire Nostro Signore Gesù Cristo.

Credo, fratelli, che Nostro Signore l'intenda così come ho detto io. I parenti che si oppongono alla felicità dei figli che vogliono darsi a Dio, devono essere abbandonati; in questo caso soltanto dobbiamo rinunziare all'affetto dei parenti. - Ma, signore, Gesù Cristo non s'è diportato così, è rimasto sempre con S. Giuseppe e la Santissima Vergine, era in relazione con i suoi parenti. - Sì, ma quei santi parenti avevano sempre il loro intelletto e i loro desideri sottomessi al divino Fanciullo; Gli erano del tutto conformi nelle opere e negli affetti in forza della sapienza adorabile e della volontà eterna del Padre suo, il quale l'aveva designato direttore e guida di S. Giuseppe e della Madonna. E i nostri parenti, invece, sono spesso tanto lontani da questa sottomissione ai disegni di Dio, che vogliono impedirci di seguirli; ed allora occorre odiarli e lasciarli. - Ma essi non lo fanno. - Tanto meglio: bisogna amarli in Nostro Signore, non per legarci con lo affetto ad essi perché sono buoni; ma perché, acconsentendo a separarsi da noi, ci danno modo di diventar migliori, seguendo il nostro comune Salvatore, che è l'unico perfetto.

I canoni dicono che i padri e le madri, trovandosi in estrema necessità, hanno diritto di reclamare i loro figli, in qualunque luogo o condizione siano, per esserne assistiti nel loro stato di indigenza, quando è necessità vera e propria; e che i figli possono anche uscire da una comunità religiosa, dopo averne chiesto il permesso ai superiori, sia che l'ottengano, sia che non l'ottengano. Ciò s'intende, come ho detto, in caso di vera necessità reale e non supposta. Possono dunque uscire ed andare ad assisterli e poi tornare donde erano usciti, come molti hanno fatto; ve ne sono molti esempi. Ma spesso i parenti fingono di avere bisogno di voi; no hanno tutti i loro comodi; vorrebbero star meglio; non è la necessità presente che li preme, ma il timore dell'avvenire, perché non hanno fiducia in Dio; o, se sono di condizione povera, sarebbero ben contenti di poter vivere senza lavorare. Stando così le cose, bisogna contentarsi di pregare Dio per essi e di contribuire, in altri modo possibili, al loro sollievo ed alla loro consolazione, affinché amino e servano Dio. Ma dobbiamo regolarci in modo che la passione non ci spinga ad andarli a vedere, perché, con il pretesto di procurare la loro salvezza, si mette in pericolo la propria, si lascia lo stato in cui Dio ci vuole, e, invece di rinunziare ai propri parenti, si vanno a cercare, si lascia Nostro Signore per loro e s'incorre nel suo

567 Lc., 14, 26.

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sdegno di cui ci avverte con queste parole: "Chi ama il Padre o la madre più di me, non è degno di me"568. Vedete, a chiunque voglia essere suo discepolo dice francamente che deve allontanarsi dall'affetto dei parenti. Non disse Dio stesso ad Abramo: "Esci dalla tua terra e dal tuo parentado?"569 E qual sant'uomo lo fece subito.

Oh! quale obbedienza! Ma, o bontà di Dio, con questo Voi avete voluto dimostrare che i paesi e i parenti sono d'impedimento alla nostra perfezione. Anche Nostro Signore ce l'insegno quando disse ad uno dei suoi discepoli, che Gli chiedeva il permesso di andare a seppellire suo padre: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti"570; e ad un altro, che voleva andare a vendere i suoi beni e darli ai poveri, non volle permettere di separarsi da Lui. "Seguitemi", disse ad entrambi. Da questo dobbiamo ritenere che vi sono grandi inconvenienti a tornare al proprio paese, una volta usciti per servire Nostro Signore, e l'esperienze ce lo fa constatare anche troppo, dentro e fuori della nostra congregazione. Ne abbiamo perduti molti, sul principio, per l'indulgenza usata nel lasciarli tornare a casa loro; perché quando sono stati là, la presenza degli oggetti che avevano amato altre volte, ha ravvivato i loro primi sentimenti ed hanno ritrovato di nuovo quella tenerezza della gioventù e degli affetti sregolati, contrari alla pietà e al timor di Dio. Per lo meno hanno preso di nuovo contatto con gli interessi della famiglia, con le sue idee circa l'avversità o la prosperità, con i suoi dispiaceri inutili o con le sue vane gioie: e vi sono rimasti impastoiati come una mosca caduta nelle reti di una ragno, delle quali non può liberarsi.

Io stesso posso testimoniare di questa verità. Quando dimoravo ancora presso il signor generale delle galere, e ancor prima che egli avesse fatto la prima fondazione della nostra congregazione, avvenne che, essendo arrivate le galere a Bordeaux, mi mandò colà per fare una missione ai poveri forzati, come infatti feci aiutato da religiosi di diversi Ordini della città, due su ogni galera. Orbene, prima di partire da Parigi per quel viaggio, confidai a due amici l'ordine ricevuto e aggiunsi: "Signori, vado a lavorare vicino al mio paese; non so se farò bene a darvi una scappata per rivedere i miei". Me lo consigliarono entrambi. "Andatevi, signore, mi dissero, la vostra presenza consolerà i vostri parenti, voi parlerete loro di Dio, ecc.". Ero rimasto incerto perché avevo visto molti buoni ecclesiastici far meraviglie finchè erano rimasti lontani dal loro paese ed avevano osservato che dopo essere stati a visitare i loro parenti, erano tornati tutti cambiati e diventati inutili al pubblico; si dedicavano interamente agli affari della loro famiglia; tutti i loro pensieri andavano a finir lì, mentre prima non si occupavano altro che del loro ministero, distaccati dalla carne e dal sangue. Ho paura, dicevo, di affezionarmi io pure in questo modo ai miei parenti. E infatti, avendo passato con loro otto o dieci giorni con loro per istruirli nella via della loro salvezza ed allontanarli dal desiderio delle ricchezze, fino a dichiarare che non aspettassero nulla da me, perché quand'anche avessi scrigni pieni d'oro e d'argento non darei loro nulla, perché un ecclesiastico, che ha qualche cosa, deve dare tutto a Dio e ai poveri, il giorno che partii provai tanto dolore nel separarmi dalla mia povera famiglia, che non feci altro che piangere per tutta la strada e piangere quasi continuamente. Alle lacrime tenne dietro il pensiero di aiutarli e metterli in condizioni migliori, di dare a questo una cosa, a quella un'altra. Nella mia mente intenerita pensavo così di far parte ad essi di quello che avevo e di quello che non avevo; lo dico a mia confusione e lo dico perché forse Dio lo permise per farmi meglio conoscere l'importanza del consiglio evangelico di cui parliamo. Rimasi tre mesi con questa passione importuna di giovare ai miei fratelli e alle mie sorelle; era l'incubo continuo della mia povera mente. Tuttavia, quand'ero un pò meno oppresso pregavo Dio di liberarmi da tale tentazione e lo pregai tanto che

568 Mt., 10, 37.569 Gen., 12, 1.570 Mt., 8, 22.

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infine Egli ebbe pietà di me. Mi tolse quella tenerezza per i miei parenti; e, sebbene fossero ridotti all'elemosina, e lo siano ancora, Egli mi fece la grazia di affidarli alla sua Provvidenza e di stimarli più fortunati che se avessero goduto molte ricchezze.

Lo dico alla Compagnia perché v'è qualche cosa di grande in questa regola, fatta secondo il Vangelo, il quale esclude dal numero dei discepoli di Gesù Cristo, tutti coloro che non odiano padre e madre, fratelli e sorelle, e che, di conseguenza, ci esorta a rinunziare all'affetto immoderato per i parenti. Preghiamo Dio per essi, e se li possiamo aiutare con carità, facciamolo ma teniamo fermo contro la natura, la quale, essendo sempre inclinata da quella parte, ci distoglierà, se può, dalla scuola di Gesù Cristo. Teniamo fermo.

Ecco dunque quattro modi di rinunziare a se stesso: 1° al proprio giudizio; 2° alla propria volontà; 3° ai propri sensi; ed in quarto luogo ai parenti. Questo è quanto la regola raccomanda e la grazia che dobbiamo chiedere a Dio.

San Basilio cita tutte queste cose e dice che questa rinunzia deve estendersi sino a dimenticare la vita passata, altrimenti ripenseremo alla nostra gioventù e agli affetti sentiti, o ai dispiaceri ricevuti. Occorre rinunziare, in qualunque senso, al ricordo di tutto, perché nulla suscita tanto l'appetito delle cose proibite, quanto il pensiero delle loro false dolcezze. Bisogna dunque dimenticare quei cattivi passi per rinunziare definitivamente ai pericolosi adescamenti della povera gioventù.

Il quinto odo di rinunziare a noi stessi dice questo santo, è di rinunziare alle pompe; egli dice: "Al diavolo e alle sue pompe". - Ma, signore, noi siamo poveri sacerdoti che vi abbiamo rinunziato da molto tempo; abbiamo vesti semplici, mobili meschini e nulla che sappia di pompa. - Possiamo avere lo spirito pomposo, signori. Purtroppo, sì! Studiarci di far belle prediche, di far parlare di sè, proclamare quel che si fa, gonfiarsi di orgoglio, è avere lo spirito pomposo. Per combatterlo è meglio far meno bene una cosa, che compiacersi di averla fatta bene. E' necessario rinunziare alla vanità e agli applausi; è necessario darsi a Dio, fratelli, per allontanarsi dalla propria stima e dalle lodi del mondo, che formano la pompa dello spirito.

Un predicatore mi parlava ultimamente in questi termini: "Signore, mi diceva, appena una predicatore cerca l'onore e la fama popolare si abbandona alla tirannia del pubblico; e desiderando farsi notare con bei discorsi, si rende schiavo della reputazione"; e noi possiamo aggiungere che chi spaccia ricchi pensieri con uno stile pomposo è opposto allo spirito di Nostro Signore, il quale disse: "Beati i poveri in spirito"571; con questa frase la Sapienza eterna dimostra quanto gli operai evangelici debbano evitare la magnificenza delle azioni e delle parole e prendere un modo di fare e di operare umile, facile e comune. Il demonio ci spinge a questa schiavitù di voler fare bella mostra, e vedendoci inclinati ad andare alla buona, ci suggerisce: "Ecco uno stile troppo basso; è volgare e indegno della maestà cristiana". Tranello del demonio! Siate in guardia, signori, rinunziate a queste vanità; ve ne prego per le viscere di Nostro Signore; rinunziate a questa parata mondana e diabolica; abbiate davanti agli occhi la maniera di Nostro Signore, tutta umile e del tutto opposta.

Egli poteva dare un grande splendore alle sue opere e una suprema virtù alle sue parole, ma non lo fece. "Farete, diceva ai suoi discepoli572, quello che faccio io e molto di più". - Ma, Signore, perché volete che facendo quello che avete fatto Voi, facciamo più di Voi? - Perché Nostro Signore vuol lasciarsi superare nelle azioni pubbliche, per eccellere nelle umili e nelle nascoste; Egli vuole i frutti del Vangelo e non i rumori del mondo; e perciò ha fatto più per mezzo dei suoi servi che da se stesso. Volle che S. Pietro convertisse, una volta, tremila e, un'altra volta, cinquemila persone, e che tutta la terra fosse illuminata dagli apostoli. Quanto a Lui, sebbene fosse la luce del mondo,

571 Mt., 5, 3.572 Gv., 14, 12.

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predicò soltanto a Gerusalemme e dintorni, e predicò là, pur sapendo che vi avrebbe ottenuto un esito minore che altrove. Sì, si rivolse ai giudei perché più disposti a disprezzarlo e a contraddirlo. Fece dunque poco, e i suoi poveri discepoli ignoranti e rozzi, animati dalla sua virtù, fecero più di Lui. Perché? Perché volle essere umile.

O signori! quanto siamo lontani dal fare come Lui! Perché non cediamo sempre il meglio agli altri, riserbando per noi il peggiore e il più umiliante? Questa è certamente la cosa più gradita e più onorevole per Nostro Signore, ed è tutto quanto dobbiamo pretendere. Facciamogli questa offerta. Ecco un'azione pubblica che devo fare; io la potrei ben mettere innanzi; non lo farò; toglierò tale e tal circostanza che potrebbe dare ad essa qualche splendore e a me qualche riputazione. Di due pensieri che mi vengono in mente, manifesterò il minimo, per umiliarmi, e riterrò per me il più bello, per sacrificarlo a Dio nel segreto del mio cuore. Nostro Signore non dimora e non si compiace se non nell'umiltà di cuore e nella semplicità di parole e di azioni; invano Lo cercheremo altrove. Se volete trovarlo, fratelli, rinunziate al desiderio di comparire, alla pompa dello spirito, a quella del corpo ed a tutte le vanità e alle brame della vita.

San Basilio indica con sesta maniera di rinunziare a noi stessi, cioè alla passione di godere una buona salute, di conservarsi, di fare il possibile e l'impossibile per mantenere in buono stato la propria persona. Ed infatti, questa sollecitudine di vivere, questo timore di soffrire e questa debolezza di alcuni, i quali dedicano tutta la loro intelligenza, capace di cose buone, alle cure della loro misera vita, sono grandi impedimenti al servizio di Dio. Non hanno la libertà di seguire Gesù Cristo. Noi siamo suoi discepoli e ci trova incatenati come schiavi. A che? Ad un poco di salute, ad un rimedio immaginario, ad un'infermeria in cui nulla ci manchi, ad una casa che ci piace, ad una passeggiata che ci diverte, ad un riposo che somiglia molto alla pigrizia. - Ma il medico mi ha detto di non applicarmi tanto, di andare a prendere aria, di cambiare residenza. - Oh! miseria! I grandi abbandonano la loro dimora usuale, perché sono qualche volta indisposti, un vescovo la sua diocesi, un governatore il suo posto, un borghese la sua città e un mercante il suo commercio? I re stessi lo fanno? Raramente. Se sono malati rimangono dove si trovano. Il defunto re fu malato per quattro o cinque mesi a S. Germano e vi rimase, senza muoversi, finchè vi morì di una bella morte, di una morte veramente cristiana. L'attaccamento alla vita non è senza uno specioso motivo. Immisit in faciem eius spiraculum vitae573. E' una partecipazione di Dio, si dice, dobbiamo conservarla. - Sì, ma è l'amor proprio che vuol mantenersi; perciò Nostro Signore ha dichiarato: "Chi ama la propria vita la perderà"574. Ed altrove aggiunge che non può esservi maggior prova di amore che dare la propria vita per l'amico. Dio non è il nostro amico? Il prossimo non lo è parimente? Non saremmo immeritevoli di godere la vita che Dio ci dà, se ricusassimo di adoperarla per esseri tanto degni? Certo, sapendo che l'abbiamo ricevuta dalla sua mano liberale, commetteremmo un'ingiustizia non consumandola secondo i suoi disegni.

Un altro modo di rinunziare a noi stessi è spoliare veterem hominem et induere novum, cioè spogliarsi dell'uomo vecchio e rivestirsi del nuovo. A tal fine, diciamo tutti i giorni vestendoci per la Santa Messa: Exue me, domine, veterem hominem et indue me novum, ecc. Signori, facciamo così quando cerchiamo di sbarazzarci delle nostre passioni e delle nostre imperfezioni, exue me, Domine, quando chi era nella sozzura si purifica. Ero pieno d'orgoglio; me ne libero facendo atti di umiltà; e in questo modo mi spoglio delle antiche abitudini. Mentre rimedio alla mia negligenza passata e combatto la mia fiacchezza presente, che faccio? Mi purgo del vecchio lievito che corrompe tutta la pasta e do vita alle mie azioni, mediante la vigilanza e la retta intenzione che vi reco. Dimodochè lavorare così per tutta la vita, non solo a correggersi dei vizi e delle cattive

573 Gen., 2, 7.574 Mc., 8, 35.

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inclinazioni, ma anche a regolare i propri costumi e le proprie occupazioni secondo quelle dell'uomo nuovo, Nostro Signor Gesù Cristo, è spogliarsi continuamente del vecchio Adamo e rivestirsi del nuovo. Davvero, exue me, Domine, veterem hominem et indue me novum.

S. Paolo dice che mediante il battesimo ci rivestiamo di Gesù Cristo: "Voi che siete battezzati in Gesù Cristo, siete rivestiti di Gesù Cristo"; quicunque in Christo baptizati estis Christum induistis575. Che facciamo quando stabiliamo in noi la mortificazione, la pazienza, l'umiltà, ecc? Vi stabiliamo Gesù Cristo; e coloro che cercano di acquistare tutte le virtù cristiane possono dire con San Paolo: Vivo ego, non iam ego, vivit vero in me Christus576; non son più io che vivo, è Gesù Cristo che vive in me. Io vivevo, vivo ego; non son più io che vivo, vivit vero in me Christus.

Piaccia a Dio farci la grazia di renderci somiglianti ad un buon vignaiuolo che porta un coltello in tasca, con il quale taglia tutto quello che trova di nocivo nella sua vigna! E poiché germoglia più di quanto desidera, e germoglia continuamente tralci inutili, ha sempre il coltello pronto e spesso lo prende in mano per troncare tutto il superfluo appena lo scorge, affinché la linfa del ceppo salga con tutta la sua forza nei tralci che devono portar frutto. In pari modo noi dobbiamo tagliare continuamente con il coltello della mortificazione i cattivi prodotti della natura guasta, che non si stanca mai di germigliare i rami della sua corruzione, affinché non impediscano a Gesù Cristo, che paragona se stesso al ceppo della vigna e noi ai rami, di farci produrre frutti abbondanti nella pratica delle sante virtù.

Quest'uomo è un buon vignaiuolo, perché lavora sempre nella sua vigna ed anche noi saremo buoni discepoli, se mortifichiamo continuamente i nostri sensi, se procuriamo di reprimere le nostre passioni, di sottomettere il nostro giudizio, di regolare la nostra volontà, tutto nel modo che abbiamo detto. Avremo allora la consolazione di dire: "Mi spoglio del vecchio Adamo e faccio quanto posso per rivestirmi del nuovo". Coraggio, fratelli, coraggio! Dio, che è il padrone di questa vigna, dopo aver tolto dalle anime nostre tutto quello che è inutile o dannoso, ci farà rimanere in Nostro Signore, come tralci che portano frutto, affinché ne produciamo sempre di più. Avremo qualche pena da principio, ma Egli ci farà la grazia di riuscire in una cosa, poi in un'altra, oggi di superare un moto di ira e domani una ripugnanza all'obbedienza. Coraggio! Il piacere segue la pena e quanto più i fedeli trovano difficoltà nel rinunziare e se stessi, tanto più godono di essersi mortificati e la ricompensa è proporzionata alla loro fatica.

Con la mortificazione dobbiamo dunque strappare da noi quello che dispiace a Dio; con essa porteremo la croce dietro a Nostro Signore e la porteremo ogni giorno, come Egli comanda, se ogni giorno ci mortificheremo. Per conoscere se uno segue Nostro Signore basta osservare se si mortifica continuamente. Procuriamo di farlo anche noi, fratelli, in modo che non passi un giorno senza fare almeno tre o quattro atti di mortificazione: facendo così, diremo con verità di seguire Nostro Signore; facendo così, saremo degni di esser chiamati suoi discepoli; facendo così, cammineremo alla via stretta che conduce alla vita; facendo così, Egli regnerà in noi durante questa vita mortale, e noi con Lui nell'eterna.

Che avete fatto tutta la vostra vita, mio Signore, se non combattere continuamente il mondo, la carne, il demonio? Avete mai fatto la vostra volontà, tenuto conto del vostro giudizio, ascoltato mai la sensualità? No, mai; in Voi non v'era altro che una continua mortificazione e una rinunzia assoluta in tutto.Osservate, ve ne prego, signori, osservate la sua povertà, osservate a qual punto giungeva, sino a non avere neppure una pietra dove riposare la testa; osservate la sua frugalità nel nutrirsi, mangiando il pane duro.

575 Gal., 3, 27.576 Ibid.

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Quanto all'onore, riflettete come l'ha combattuto e conformate a questi esempi la vostra vita e le vostre pratiche.

Signori, teniamo questo esempio davanti agli occhi e non perdiamo di vista la mortificazione di Nostro Signore, poiché non è possibile seguirlo senza mortificarci a sua imitazione. Modelliamo i nostri affetti sopra ai suoi e i nostri passi seguano le sue orme sulla via della perfezione. I santi sono santi per aver camminato sulle sue tracce, per aver rinunziato a se stessi ed essersi mortificati in tutto. Speriamo, signori, che la divina bontà ci darà lo spirito di mortificazione, che toglierà da noi tutto quello che le dispiace e che poi v'introdurrà le virtù che devono renderci accetti ai suoi occhi; ma dal canto nostro, lavoriamo con ardore e fedeltà, con amore e pazienza. Il tal caso stiamo sicuri che Dio ci farà la grazia di portare costantemente la nostra croce, di seguire da vicino Gesù Cristo e di vivere della sua vita nel tempo e nella eternità. Amen".

205. CONFERENZA DEL 16 MAGGIO 1659SULL'INDIFFERENZA(Regole comuni, cap. 2, art. 10)577

"Fratelli, essendo ieri in dubbio se stasera avrei potuto parlarvi, vi fu proposto un altro soggetto di conferenza, ed intrattenerci su di esso sarebbe molto più utile, riferendo ognuno quello che Nostro Signore gli avrebbe suggerito, di quanto possa dirvi io, che non farò altro che esercitare la pazienza della Compagnia. Tuttavia, mi sono proposto di parlarvi dell'indifferenza, la quale forma la regola contenuta nel decimo articolo delle massime evangeliche, cap. 2.

Tutti si studieranno, dice questa regola, con ogni possibile diligenza di acquistare la virtù dell'indifferenza, tanto stimata e così ben praticata da Gesù cristo e dai santi, in modo da non avere alcun attaccamento nè agli uffici, nè alle persone, nè ai luoghi, particolarmente ai loro paesi, nè a nessun'altra cosa simile, come pure di esser sempre pronti e puntuali nel lasciar tutto volentieri, appena il superiore avrà notificato la sua volontà, anche con un semplice segno; e di accettare il rifiuto o il cambiamento che troverà opportuno fare, riconoscendo, in omaggio a Dio, che tutto quello che egli fa è ben fatto.

Parleremo dunque della virtù dell'indifferenza, quale è intesa dalla nostra regola. Certo, tal regola dice bene, perché come potrà la Compagnia raggiungere la perfezione se acquista l'indifferenza e il distacco da tutto? Come arriverà al fine propostosi, di andare ad istruire le povere popolazioni, ritrarle dal peccato e, con l'aiuto di Dio, rimetterle in istato di grazia che vogliamo riversare su di essi? Come pure, se abbiamo attaccamento al mondo e a noi stessi, ai nostri piacerei e alla nostra stima, come, dico, potremo attendere alla santificazione dello stato ecclesiastico, che consiste nell'allontanarsi da tutte queste cose? Nessuno può dare quello che non ha: Nemo dat quod non habet. Vogliamo indurre gli altri a distaccarsi dalle cupidigie della terra e dalle soddisfazioni della natura; o Salvatore! come lo potremo se noi stessi ne siamo invischiati? Ma come creare il regno di Dio e la sua grazia se siamo legati a qualche altra cosa che ci toglie i mezzi e la libertà di cercarli? Come fare la volontà di Dio, che è una delle nostre regole, se secondiamo la nostra nelle cose che ad essa dispiacciono, particolarmente nella ricerca della comodità, degli onori, della disgraziata stima di noi stessi? Ma come rinunziare a noi, conforme al consiglio di Nostro Signore, se vi siamo

577 Manoscritto delle conferenze - ABELLY riproduce quasi integralmente questa conferenza (op. cit., 1. 3, cap. 5, sez. 2) della quale però dà una redazione molto differente.

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tanto affezionati? Come distaccarci da tutto se non sappiamo rinunziare ad un nulla che ci attira?

Signori, volete un rimedio? E' necessario che l'indifferenza dia la libertà alla persona schiava; soltanto questa virtù ci strappa alla tirannia dei sensi e all'amore delle creature; e da questo vedete come sia necessaria e quale obbligo abbiamo di darci a Dio per lavorare ad acquistarla, se non vogliamo essere schiavi di noi stessi e schiavi di una bestia, perché chi si lascia guidare dalla parte animale non merita di essere chiamato uomo, ma bestia.

Leggevo oggi il pensiero di un santo, il quale dice che l'indifferenza è il sommo grado della perfezione, il compendio di tutte le virtù e la rovina dei vizi. E' chiaro come l'indifferenza partecipi necessariamente alla natura dell'amore perfetto, perché è un'attività d'amore che spinge il cuore verso quanto v'è di migliore e distrugge tutto quello che l'ostacola; come il fuoco che non solo tende al suo centro, ma consuma tutto quello che lo trattiene. E così, fratelli, i vostri cuori arderanno dal desiderio di fare la volontà di Dio, se l'indifferenza li distaccherà dalla terra. Saranno necessariamente pieni dell'amore di Dio quando cesseranno di amare altre cose. In questo senso l'indifferenza è l'origine di tutte le virtù e la morte di tutti i vizi.

Diciamo che cos'è. Bisogna distinguerne due parti: prima, l'azione indifferente, e in secondo luogo lo stato d'indifferenza.

L'azione indifferente è un'azione morale volontaria nella quale non c'è nè bene nè male. Alcuni non ammettono che ve ne siano, asserendo che se un'azione non è buona, è cattiva. Ma, checchè ne sia, noi supponiamo qui una via di mezzo: un'azione volontaria che non ha in sè nulla di bene, nè di male. Esiste l'obbligo di nutrirsi: si mangia per questo. Tale azione non possiamo annoverarla tra gli atti virtuosi. Ma anche di male non ce n'è punto, purché non si guasti la sostanza dell'azione con qualche eccesso o circostanza proibita. Passeggiare, star seduti o in piedi, passare per una via o per un'altra, son cose indifferenti di per sè che non hanno alcun merito e neppure sono biasimevoli, se non c'è qualche circostanza cattiva. Ecco quanti riguarda l'azione indifferente.

Quanto allo stato d'indifferenza, è uno stato in cui si pratica una virtù mediante la quale l'uomo si distacca dalle creature per unirsi al Creatore. Non è soltanto una virtù; è in qualche modo uno stato che la comprende e in cui essa opera; è uno stato, ma occorre che tal virtù vi sia attiva e che, per mezzo di essa, il cuore si distacchi dalle cose che lo tengono schiavo. Dove sta il cuore amante? Nella cosa che ama. Per conseguenza, dove è il nostro amore, ivi è prigioniero il nostro cuore; non può uscirne, non può sollevarsi più in alto, non può andare nè a destra nè a sinistra, ma se ne sta fermo lì. Dov'è è il tesoro dello avaro ivi è il suo cuore; e dove è il nostro cuore, ivi è il nostro tesoro. E quello che è da deplorarsi, è che le cose che ci tengono in servitù sono, di solito, cose bassissime. Ma come! un nonnulla, un'immaginazione, una parola dura, che ci viene rivolta, un' accoglienza un pò fredda, un piccolo rifiuto, il solo pensiero che non si fa gran conto di noi, tutto questo ci ferisce e c'indispone al punto da non poterne guarire. L'amor proprio ci lega a queste ferite immaginarie; non sappiamo sbarazzarcene, non si pensa che a quello. E perché? Perché siamo schiavi di questa passione.

La caratteristica dell'indifferenza è di toglierci ogni risentimento e ogni desiderio, di staccarci da noi stessi e da tutte le creature; è questo il suo ufficio, il bene che essa ci da, purché sia operosa e lavori. E come? Bisogna prima studiarsi per conoscersi è necessario dirsi: "Orsù, anima mia, quali sono i tuoi affetti? Che cosa ci attrae? Che cosa ci tiene schiavi? Abbiamo noi la libertà dei figli di Dio, o siamo legati ai beni, alle comodità, agli onori?" Esaminarsi per scoprire i nostri legami affin di poterli rompere. In verità, signori, l'efficacia dell'orazione deve consistere nel ben conoscere le proprie inclinazioni e i propri affetti, nel risolversi di combatterli e d'emendarsi, e poi nel bene

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eseguire quanto abbiamo risoluto; esaminarsi, prima di tutto, e, accorgendosi di avere qualche attaccamento, sforzarsi di sbarazzarsene e liberarsene con risoluzioni e atti contrari. Certo, abbiamo ragione di temere di cadere in questi miseri legami, dai quali non sapremmo uscirne. O Salvatore! o Salvatore! quanta miseria!

Ho conosciuto un gentiluomo, l'ho detto altre volte, un gentiluomo della Bresse, chiamato signor Reugemont che era stato un famoso spadaccino; era un uomo alto, ben fatto, e si era trovato molte volte in occasioni, o perché pregato da altri gentiluomini che avevano questioni, o sfidando lui stesso al duello quelli che non rigavano dritto con lui. Me lo raccontò e non è credibile quante persone abbia battuto, ferito, ucciso. Finalmente Dio gli toccò tanto efficacemente il cuore che rientrò in se stesso, e, riconoscendo in quale deplorevole stato fosse, risolvette di cambiar vita, come infatti fece. Dopo questa mutazione, superati i primi passi dei principianti, fece tali progressi sino a chiedere a monsignor arcivescovo di Lione di tenere il Santissimo Sacramento nella sua cappella per potervi onorare Nostro Signore e meglio alimentare la sua pietà veramente singolare e conosciuta da tutti: il che mi fece un giorno nascere il desiderio di andarlo a trovare in casa sua, dove mi confidò le pratiche della sua devozione, tra le altre, quelle del suo distacco dalle creature. "Sono convinto, diceva, che se non mi lego a nulla, andrò a Dio, mia unica aspirazione; perciò osservo se l'amicizia con un tal signore, con un tal parente, con un tal vicino mi arresta, se l'amor di me stesso m'impedisce di procedere, se le ricchezze o la vanità mi vincolano, se i miei affari o i miei piaceri mi ritardano; e quando mi accorgo che qualche cosa mi distoglie dal sommo bene, prego, taglio, tronco, mi sbarazzo di quel legame. Sono queste le mie pratiche".

Una cosa tutta particolare che mi disse e di cui mi son sempre ricordato, è che un giorno, viaggiando, mentre pensava come al solito a Dio, si esaminò se da quando aveva rinunziato a tutto non fosse rimasto o sorto in lui qualche attaccamento; scorse i suoi affari, i suoi beni, le sue parentele, la sua riputazione, gli onori, i più piccoli allettamenti del cuore umano; gira e rigira, finalmente venne alla sua spada: "Perché la porto? si domandò. Come tollererei di esserne privo? Ma come! rinunziare a questa cara spada che mi ha sì ben servito in tante occasioni e che, dopo Dio, mi ha liberato da tanti pericoli? Se fossi nuovamente aggredito, sarei perduto senza di essa. Ma può capitarti anche qualche lite in cui, avendo la spada, non avresti la forza di non servirtene e offenderesti nuovamente Iddio. Che farò, o mio Dio? dice egli: un simile strumento della mia vergogna e del mio peccato è forse capace d'accalappiarmi il cuore? Mi pare che questa spada soltanto m'impastoi. Oh! non sarò più tanto vile da portarla". E trovandosi, in quel momento, dinanzi ad una grossa pietra, scende da cavallo, prende la spada, la batte su quella pietra, e tic-tac, tic-tac; alla fine la rompe, la riduce in mille pezzi e se ne va. Aggiunse che quell'atto di distacco, infrangendo la catena di ferro che lo teneva prigioniero, gli dette una libertà tanto grande che, quantunque questo atto fosse contrario all'inclinazione del suo cuore, attaccato a questa spada, non si affezionò mai più a cose periture e cercò sempre Dio solo.

Grande lezione, signori, grande umiliazione per un miserabile come me, che si affeziona prima ad una cosa, poi ad un'altra! non vi rigetto, o, se vi penso, non faccio uno sforzo sufficiente per tirarmene fuori. Gran motivo di confusione per me e per quelli che mi somigliano, che non si esaminano mai per sapere da che cosa sono avvinti, che non si domandano mai: "Che cosa domina in me e che cos'è quel cumulo d'oggetti e di affetti che assorbono inutilmente il mio cuore e il mio pensiero?". Oppure, se in qualche circostanza lo fanno, non vanno più in là; e invece di disfarsi di quella servitù, diventano sempre più schiavi e così sono sempre più impotenti a liberarsene. Che pietà, signori, vederci sempre strisciare in basso, sempre ventre a terra, marcir sempre nei nostri affetti e nelle nostre miserie! E' quanto bisogna dire di coloro che non si curano di acquistare l'indifferenza, che non fanno alcun progresso nella virtù,

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che son sempre di fronte al medesimo ostacolo e non lo vogliono togliere. Come non temere, signori, che Dio ci abbandoni? Chi ha mai visto uno schiavo eguale a costui? Perché non avremo noi lo stesso desiderio che lo schiavo ha per la libertà? O Salvatore! Voi ce ne avete aperto la porta, insegnateci a trovarla; fateci conoscere l'importanza della nostra liberazione, permetteteci di ricorrere a Voi per riuscirvi: illuminateci, mio Salvatore, per vedere a che siamo attaccati e degnateci metterci in libertatem filiorum Dei.

Fratelli, avendo Dio mandato il suo Figliuolo al mondo per riscattarci, ci ha fatto suoi figli; ma l'uomo vile, lasciandosi abbindolare dalle creature, si fa schiavo. Perdendo questa libertà dei figli di Dio, sembra commettere una bestemmia perpetua, come se dicesse che Dio non è suo Padre, o che Egli è meno amabile della cosa che ama e di quel piacere che lo domina.

Ma il figlio di Dio a che cosa era affezionato? Sapete voi in qual modo era sottomesso alla volontà del Padre suo? Ecco a che si paragona, per bocca del reale profeta: ad un giumento nelle mani del padrone. Paragona la sua perfetta rassegnazione a quella di questa bestia, la quale non può scegliere, nè ha desideri; voi ne fate quello che volete; è sempre pronta ad uscire ed andare, a ricevere una stella o un basto, ad essere attaccata a un carro o stare ferma; tutto le è indifferente; lascia fare, non è per nulla attaccata alla sua stalla nè inclinata ad andare da una parte o dall'altra; non si attacca a nulla. Non avete mai visto, passando, muli fermi davanti a una porta? Sono cinque o sei insieme che aspettano che chi li guida esca; appena venuto, partono, voltano a destra o a sinistra, vanno tutti come vuole e si fermano anche; non desiderano nulla. Ut Iumentum factus sum apud te578. Ecco come io sono, dice Nostro Signore, per manifestarci in qual modo Egli si adattasse a quello che Dio voleva da Lui. Oh! quale docilità! oh! quale abbandono in Dio! Che gliene avvenne? Et ego sum semper tecum579; Egli fu sempre con Dio. Perché ho fatto la tua volontà, Signore, e mai la mia, Tu sei stato con me.

Che fa colui che è perfettamente sottomesso agli ordini della Provvidenza? Fa come il giumento che obbedisce a tutto quello che gli altri vogliono, quando vogliono e nel modo che vogliono. E che faccio quando mi abbandono così? Attiro Dio in me, perché non ho avuto volontà mia propria. Tenuisti manum dexteram meam, et in voluntate tua deduxisti me, et cum gloria suscepisti me580; Voi mi avete tenuto per mano e condotto dove avete voluto. Se ho fatto qualche cosa di buono, siete Voi che mi avete guidato; ho obbedito al minimo segno della vostra volontà. E perché? Perché, mio Dio, mi sono fatto per Voi una bestia da soma; mi sono abbandonato alle fatiche, al disprezzo, ai patimenti e a tutte le disposizioni del vostro beneplacito; e perciò, Signore, vi siete servito di me nelle cose che vi sono state accette.

Non vedete,fratelli, i felici successi di coloro che hanno tale indifferenza? Non sono attaccati che a Dio, e Dio li conduce. Li vedrete domani, questa settimana, tutto l'anno e tutta la vita in pace, rivolti con continuo fervore rivolti verso Dio e spandendo sempre nelle anime i dolci e salutari effluvi delle operazioni di Dio in essi. E se paragonate coloro che sono indifferenti con quelli che non lo sono affatto, vedrete che nei primi le opere sono risplendenti di luce e sempre feconde di frutti; tutto è progresso nella loro persona, forza nelle loro parole, benedizione nelle loro imprese, grazia nei loro consigli e buon odore nelle loro azioni. Et in voluntate tua deduxisti me; mi avete condotto, Signore, per la via della vostra volontà. Vedrete, d'altra parte coloro che sono avidi di soddisfazioni non aver altro che pensieri terreni, discorsi da schiavi ed opere morte. La differenza dunque tra gli uni e gli altri è che questi si uniscono alle creature e quelli se

578 Sal., 72, 23.579 Ibid.580 Ibid., 24.

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ne separano, che la natura opera nelle anime basse, e la grazia in quelle che si elevano a Dio e non respirano che la sua volontà. Perciò questi ultimi potranno, in qualche modo, dire con Nostro Signore: Et cum gloria suscepisti me; mi avete ricevuto con gloria, mi avete dato potere sul cielo e sulla terra; mi sono comportato verso Dio e verso gli uomini come la giumenta o il giumento. Orsù, sia benedetto Nostro Signore! Per avere avuto questo spirito di sottomissione e d'indifferenza, Egli ebbe con sè il Padre, il quale lo condusse per mano nella via della sua volontà e lo riempì e lo circondò con lo splendore della sua gloria.

Preghiamolo, di concederci la grazia di essere in questo stato, per essere sempre guidati da Dio, e di tenerci per mano per condurci davanti alla sua divina Maestà. O mio Salvatore, fate che non abbiamo preferenza alcuna, non più di una bestia da soma, la quale non pretende di portare una cosa piuttosto che un'altra, di appartenere ad un padrone ricco piuttosto che ad uno povero, di stare più in questo paese che in quell'altro; per tutto è uguale; aspetta, va, soffre, lavora di giorno e di notte; nulla la sorprende.

Mio Dio ! mi par tanto bello far così! ho voglia di fare lo stesso, ma vedo bene che sono schiavo; soffro nel distaccarmi dalle cose che mi piacciono, di non predicare, di non aver incarichi, di non avere certe comodità, di non godere buona reputazione; provo grande difficoltà nell'assoggettarmi ad ogni sorta di persone; tuttavia, con la vostra grazia, mio Dio, potrò tutto. Non domando di essere un angelo, nè come un apostolo; lo sono già in qualche modo; desidero soltanto, mio Dio, la disposizione docile che date alle bestie, il coraggio di soffrire che date ai soldati e la fermezza che essi hanno nell'eseguire gli ordini militari. O fratelli, i nostri volti si coprano di rossore nel vederci superati da miseri soldati e da povere bestie in cose accettate da Dio che il suo stesso Figliuolo volle attuarle nella sua persona! Qual rossore, signori! Non ascoltate questo miserabile che vi parla; è il più indegno di tutti gli uomini di aspirare a questo stato fortunato per l'abuso che ho fatto della mia libertà e delle grazie di Dio, avendo amato altre cose fuori di Lui. Consacriamoci alla sua infinita bontà, signori, fiduciosi che Egli ci purificherà di questa affezione terrena, nella quale siamo marciti. Si tratta di lavorare per l'acquisto dell'indifferenza, distaccandoci dal nostro giudizio, dalla nostra volontà, dalle nostre inclinazioni e da tutto quello che non è Dio; è una virtù attiva e se non opera, non è virtù. Richiede fatica, fratelli miei, bisogna esaminarsi e spesso e sempre e domani stesso nell'orazione; perché no?

La regola dice dunque che Nostro Signore ha molto apprezzata e praticata l'indifferenza, e lo abbiamo veduto; quindi essa parla dei santi, i quali ce l'hanno parimente insegnata con il loro esempio. O S. Pietro, voi lo dicevate chiaramente di avere abbandonato tutto, e lo faceste vedere, quando riconosceste Gesù Cristo sulla riva del mare: Dominus est! Immediatamente questo apostolo si toglie i panni, salta dalla barca e si mette a nuotare; non gli importava più altro. Dominus est! Va verso di Lui, distaccato da tutto. O mio Salvatore! quale distacco! Pensa al divino Maestro soltanto, e non alla barca, non alla veste, non alla vita.

O S. Paolo! O gran S. Paolo che da quando vi convertiste aveste questa grazia infusa della indifferenza! Domine, quid me vis facere?581. "Eccomi pronto a quello che vorrete; non mi importa d'altro". Qual mirabile linguaggio è questo: "Signore, che vuoi tu che io faccia?" Manifesta un distacco non meno intero che immediato. Quale abbondanza di grazie infuse improvvisamente in quel vaso d'elezione! Quale istante meraviglioso che cambia un persecutore in apostolo! Oh! qual vivida luce si produsse in lui che, staccandolo dalla legge, dal triste incarico ricevuto, dai suoi averi, dai suoi sentimenti, gli fece dire ad un tratto: Domine, quid me vis facere?

581 At., 9, 6.

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Certamente, la regola ha ragione di dire che Nostro Signore e i santi hanno prediletto e praticato l'indifferenza e tutti abbiamo l'obbligo di imitarli. Sì, fratelli, questa virtù è necessaria ai missionari, perché essi non sono più padroni di sè, ma appartengono a Nostro Signore che li ha chiamati e li vuole a sua disposizione. E per quale scopo? Per fare quello che Egli fece e per soffrire con Lui. "Come il Padre ha mandato me, diceva ai suoi discepoli, io mando voi; e come hanno perseguitato me, così perseguiteranno voi".

Ostendam illi, disse altrove, parlando di San Paolo, quanta oporteat eum pro nomine meo pati582; gli farò vedere come il suo dovere sia di partire per il nome mio. E infatti, che non sopporto? E' prodigioso! Si stenta a credere tutto quello che soffrì nella persona, nell'onore, nel suo ministero.

Questo cuore generoso e tanto rassegnato di S. Paolo fu perseguitato in diversi luoghi. A Damasco fu costretto a salvarsi fuggendo da una finestra, altrove fu flagellato e buttato in mare, latra volta lapidato, più volte imprigionato, disprezzato, scacciato e infine martirizzato. Era destinato a soffrire: Ostendam illi quanta oporteat eum pro nomine meo pati; gli manifesterò quanto debba soffrire. E così fu. Sì, quello che soffrì è prodigioso, prodigioso!

Ma che diremo di Abramo, il corifeo dei veri obbedienti e perfetti distaccati? Dio gli comanda di allontanarsi dal suo paese e di abbandonare i suoi parenti. "Esci dalla tua terra, lascia tutto e vattene". Egli lo fa senza replica nè ritardo. Quale sottomissione, fratelli, oh! quale distacco! Ma, mio Dio, Voi non vi fermate qui; Voi avete voluto scrutare il suo cuore per vedere se era capace di andare più avanti. "Sì, dice Dio a questo suo servo, desidero un altro attestato del tuo amore; viglio che tu mi sacrifichi il tuo figliuolo". Il patriarca non ha un istante di esitazione se fare ciò, ma esclama: "Andiamo". Si munisce di tutto quello che occorre per sacrificarlo; prende Isacco e la sua spada; vanno ed arrivano al luogo destinato. Il rogo è pronto; il braccio del padre alzato ed il figlio, ai suoi piedi, aspetta il colpo. Quale indifferenza in Abramo! Quanto è superiore ai sentimenti naturali e quanto è libero nelle sue azioni e nei suoi affetti, poiché è tanto pronto a sottometterli agli ordini di Dio più strani ed inaspettati!

Ma non ammirate l'obbedienza del figlio, quanto quella del padre? Osservate la sua virtù; non s'informa dei progetti formati su di lui, si lascia condurre, si lascia legare, si mette in ginocchio ed offre la sua vita. Gli basta sapere che suo padre lo vuole. O mio Dio! o fratelli, quale motivo non abbiamo di temere che i frutti del nostro intelletto siano molto lontani da tale abbandono! Questi lumi, queste cognizioni e questa scienza che abbiamo, o pretendiamo avere, si tengono nella sottomissione? Siete pronti, fratelli, a sacrificarli a Dio? Esaminiamoci seriamente e supponiamo che un superiore ci dica: "Basta così, avete studiato abbastanza; cambiate casa, fate un'altra cosa". Ciò potrebbe accadere a qualcuno. Che cosa farebbero? Che cosa fareste, voi, fratelli, se vi si chiedesse il vostro Isacco? Tagliereste la testa a questo desiderio di sapere, a quel piacere di essere qui e non là, a quest'ostinazione di volere una cosa e ricusarne un'altra? Mettete una mano sulla coscienza e troverete che la santa indifferenza è assente. Eh! buon Dio! vi sono stati alcuni nella Compagnia i quali per non poter studiare dopo il loro seminario, come si aspettavano, hanno tanto mormorato, fatto tanti lamenti e tante storie da far pietà. Ma, signore, ma, fratello, non siete forse venuto qui per fare la volontà di Dio e non la vostra, per ubbidire e non per studiare? Ebbene! non studierete. Questo figlio della vostra mente vi tiene legato, questo affetto sregolato vi rende schiavo, andate, imparate e rendetevi libero e indifferente; sia questo il vostro studio.

Altri hanno il desiderio di essere ordinati sacerdoti prima del tempo; altri di predicare, di disputare, di avere incarichi di andare e venire; ve ne sono pochi che non

582 At., 9, 16.

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abbiano il loro Isacco prediletto; ma occorre disfarsene, occorre vuotare il nostro cuore di qualunque altro amore che non sia quello do Dio, e da qualunque altra volontà che non sia quella dell'obbedienza. Orsù, mi sembra di vedervi tutti ben disposti e spero che Dio vi concederà questa grazia. Sì, mio Dio, spero dalla vostra bontà che conosce i miei attacchi, che parlerete a me per primo; ed io che mi vedo nell'impotenza di correggermene dirò nella mia vecchiaia, come David: "Signore, abbiate pietà di me". Quanto a voi, fratelli, che vi trovate in condizioni di lavorare per l'acquisto delle virtù, lavorate per tenere l'indifferenza, perché se a Dio piacerà che un giorno l'abbiate, avrete la sorgente delle virtù e la morte dei vizi.

E se volete un altro motivo per amarla, prima di passare ai mezzi di praticarla, vi dirò che realmente la persona indifferente è tutta di Dio; Dio le tiene il posto di tutto, per essa il resto è nulla. Ditele bianco, è bianco; ditele nero, è nero; tornate, essa torna; lavorate, lavora; è sempre pronta a tutto, senza bisogno di dirglielo.

Sapete qual pensiero mi viene quando sento parlare dei bisogni lontani delle missioni estere? Si prova questo; si sente qualche attrattiva, riputiamo fortunati il signor Nacquart, il signor Gondrée e tutti quelli altri missionari morti da uomini apostolici per la fondazione di una nuova Chiesa. Sono veramente fortunati perché hanno salvato l'anima loro donandola per la fede e per la carità cristiana. E' una cosa bella, una cosa santa; ciascuno loda il loro zelo e il loro coraggio; e poi tutto finisce qui. Ma se avessimo questa indifferenza, se non fossimo affezionati ad una tal bagatella che amiamo, a un certo comodo che abbiamo, chi non si offrirebbe per il Madagascar, la Barberia, la Polonia e altrove dove Dio si compiace di essere servito dalla Compagnia? Ma poiché non lo facciamo è segno che siamo legati a qualche cosa. Alcuni vecchi infermi hanno chiesto di essere mandati e l'hanno chiesto nonostante la loro non piccola infermità. Oh! è segno che hanno il cuore libero; vanno con l'affetto ovunque Dio vuole essere conosciuto; e nulla li trattiene qui all'infuori della sua volontà. Se non fossimo impigliati in qualche triste rovo, diremmo tutti: "Mio Dio, mandate me, mi offro a Voi per tutti i luoghi della terra in cui i superiori giudicheranno opportuno che io vada ad annunziare Gesù Cristo. Quand'anche dovessi morirvi, mi disporrei ad andarvi, sapendo che la mia salvezza è nell'obbedienza, e l'obbedienza nella vostra volontà".

Il mezzo per ottenere da Dio questa indifferenza, è la continua mortificazione, interiore ed esteriore. Non ve ne darò altro. Anzitutto lo studio, per riconoscere se siamo inclinati più ad una cosa che ad un'altra e quali sono quelle che ci attirano di più, per potere, notate bene, stare in guardia, cercare di allontanarcene incessantemente, recidere e troncare tutto quello che ci sta a cuore, spogliarci di tutte le creature e mortificare i nostri sensi e le nostre passioni, sempre, ovunque.

proponiamoci oggi e cominciamo fin da domani a combattere le nostre soddisfazioni e i nostri attaccamenti, l'uno dopo l'altro e non dubitate, carissimi fratelli, non dubitate che, se vi sarete fedeli, Nostro Signore vi aiuterà a riuscirvi, ed in tal modo, da schiavi di noi stessi e delle cose che amiamo fuori di Dio giungeremo alla libertà dei suoi figli, non saremo soggetti se non alla volontà del Padre celeste. Lex iusto non est posita583. Gli uomini che vivono nell'indifferenza sono superiori ad ogni legge; appartengono ad una categoria diversa dagli altri e, simili ai corpi gloriosi, passano ovunque, vanno dovunque, nulla li trattiene, nulla li fa ritardare. O, Salvatore, quanto saremmo felici se fossimo distaccati come le bestie da soma, come Voi, Signore, che vi siete paragonato ad un giumento per applicarvi la docilità più perfetta che si possa immaginare! Fateci almeno la grazia di partecipare a questa disposizione, ve ne supplichiamo, o nostro liberatore, nella fiducia che non perderemo mai più la vostra libertà, e non abbandoneremo mai l'esercizio della santa indifferenza! Lo avremo sempre nella nostra mente e nella nostra volontà, dove nulla entrerà che possa

583 1 Tm., 1, 9.

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distoglierci dall'eseguire quanto ordinerete. Facendo così, Voi ci condurrete per mano, ci farete fare la vostra volontà ed infine c'introdurrete nella gloria. Amen.

Raccomando alle vostre preghiere Monsignor Vescovo di Meaux584; egli è in agonia da due giorni e soffre moltissimo. Nella Chiesa si spenge un lampada, che illuminava il popolo e il clero con la sua grande mitezza, la sua sapienza, la sua santa vita e la sua fermezza. Nutriva predilezione per la nostra Compagnia ed abbiamo avuto il bene d'essere stati da lui posti e trattenuti nella sua diocesi. La Provvidenza aveva permesso che fossimo ritirati da Crésy e questo buon prelato, avendolo saputo, prese a cuore la nostra causa. Siccome Dio fece la grazia alla Compagnia di preferire abbandonar tutto piuttosto che dispiacere a colui che ci aveva fondati in quel luogo ci disponemmo a partire per contentarlo; e questo per amor di Dio soltanto, senz'altra considerazione. Durante il processo, questo buon vescovo mi fece avvertire che dovevamo intervenire per esservi nuovamente richiamati, ma io lo pregai di scusarci se non volevamo entrare in causa contro il nostro benefattore585. "Egli ci ha messo là spontaneamente ed ora vuol disporre in altro modo della sua fondazione! alla buon'ora! lo lascieremo fare". - "Voi farete dunque questa parte, mi rispose, ed io ne farò un'altra; impedirò il disegno di quell'uomo". Infatti sostenne le spese del processo; e ne prese tanta cura che finalmente lo vinse. Fummo confermati dove eravamo; e le rendite che volevano toglierci per darle al grande ospedale, ci furono riconfermate. La Provvidenza stessa ha permesso che il fondatore, avendo visto che per deferenza verso di lui avevamo preferito ritirarci piuttosto che difenderci, venne qui per manifestarci il suo dispiacere per quello che aveva fatto; e non solo questo, ma aggiunse un'altra cosa... E' meglio tacere che dirla.

Abbiamo dunque grande obbligo di pregare per quel buon prelato. Faremo fin da stasera qualche elevazione di cuore a Dio affinché si degni accoglierlo nella sua pace. Manderemo domattina di buon'ora a chiedere che n'è avvenuto, e, se sarà il caso, offriremo per lui il Santo Sacrificio.

Raccomando anche alle vostre preghiere i bisogni della Compagnia, che non sono pochi. Dio la prova nei modi che la sua bontà conosce; si degni la sua stessa infinita bontà di farcene fare buon uso!".

206; CONFERENZA DEL 23 MAGGIO 1659SULL'UNIFORMITA'(Regole comuni, cap. 2, art. 11)586

"Miei cari fratelli, l'undicesimo articolo del capitolo delle massime evangeliche dice:

Per onorare la vita comune che Nostro Signore Gesù Cristo volle condurre per conformarsi agli altri e meglio conquistarli, in tal modo, a Dio suo Padre, tutti osserveranno, per quanto è possibile, l'uniformità in ogni cosa, considerandola come una virtù che mantiene il buon ordine e la santa unione; e fuggiranno la singolarità come radice dell'invidia e della discordia e non solo rispetto al vitto, al vestito, alla camera ed altre cose simili, ma anche per quello che si riferisce al modo di dirigere, d'insegnare, di predicare, di governare, come anche rispetto alle pratiche di pietà. Orbene, per poter conservare tra noi tale uniformità, non occorre altro che un solo mezzo, ossia un'esattissima osservanza delle nostre regole e costituzioni.

Vedete, fratelli, che la base di questo articolo è l'uniformità: tutto il resto converge qui. Ora, dovendo parlare di questa virtù o stato d'uniformità, ridurremo

584 Domenico Séguier, morto il 16 maggio 1659.585 Il signor de Lorthon.586 Manoscritto delle conferenze.

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aprossimativamente quello che contiene la regola al nostro piccolo metodo, e diremo prima di tutto che cos'è (credo che sia opportuno cominciare da questo) e poi le ragioni che abbiamo di darci a Dio per essere concordi e non avere altro che un cuore solo ed un'anima sola; poi indicheremo un mezzo.

Ho pensato se dovevo spiegare la regola parola per parola o se dovevo conformarmi a questa suddivisione e mi è parso che la materia richieda di essere trattata in questo ultimo modo.

Che cosa voglia dire uniformità, la parola stessa lo dice; è tanto evidente e tanto chiaro che nessuno ne dubita, principalmente quelli che hanno studiato.

L'uniformità è uno stato o una virtù, o l'uno o l'altra insieme. L'uniformità, considerata in un individuo, è una virtù che lo fa operare conforme alla sua condizione; e considerata in una Compagnia è uno stato che, unendo tutti gli individui forma di più membri un corpo vivo che ha operazioni sue proprie.

I missionari sono dunque concordi, se hanno tutti un medesimo spirito che li anima; e sono uniformi se non hanno altro che un'anima con le medesime facoltà in ciascuno di essi.

- Che intendete per facoltà? - Intendo l'intelletto, la volontà, la memoria, che sono facoltà o potenze dell'anima, che devono essere somiglianti in ciascuno di noi; dimodochè, propriamente parlando, l'uniformità consiste nell'avere uno stesso giudizio e una medesima volontà per le cose della nostra vocazione.

Orbene, in questa relazione o somiglianza che abbiamo mediante tale unione, dobbiamo distinguere le qualità naturali del corpo dagli atti morali; perché, quanto alle qualità del corpo, è difficile che siano uguali: due visi non sono mai eguali, ed anche il modo di camminare, di parlare, di gestire di due persone sono sempre un poco differenti. La natura forma queste differenze e la potenza di Dio è mirabile in tali diversità che distinguono un uomo da un altro.

Ma quanto alle azioni morali, l'unanimità deve esservi, perché le virtù che le producono risiedono nell'anima e noi dobbiamo aver tutti un'anima sola, e conseguentemente un medesimo giudizio, una medesima volontà e le medesime operazioni.

- Ma, signore, come è possibile? Vi è molta diversità nelle opinioni e nel modo di giudicare; l'uno vede le cose diversamente dall'altro: chi è istruito e chi non lo è; uno ha molto acume ed io son tardo d'ingegno. Come, nella diversità dei lumi, non avere pareri diversi? - E' vero che in fatto di scienza è quasi impossibile che tutti si somiglino; ma per quanto si riferisce al fine della nostra vocazione, il quale è di tendere alla nostra perfezione e di lavorare per istruire i popoli e per il progresso degli ecclesiastici, dobbiamo aver tutti uno stesso modo di pensare; dobbiamo giudicare in egual modo e renderci somiglianti nella pratica, e, secondo quello che la regola dice, aver tutti un medesimo pensiero per stimare i nostri ministeri, e un medesimo cuore, per quanto è possibile, per amarli; coordinare dunque il nostro giudizio alle regole, la nostra volontà alle regole e adottare i mezzi che ci fanno raggiungere tale intento.

Forse conosceremo meglio la virtù di cui parliamo, esaminandone gli estremi opposti. Un estremo è dividere e distinguere; chi tira da una parte, chi tira dall'altra, ciascuno fa come vuole. L'altro estremo è di lasciarsi trascinare dal capriccio, dalle azioni disordinate del prossimo.

La virtù sta nel mezzo; consiste nell'unione del nostro giudizio e nella conformità della nostra volontà per raggiungere la perfezione e per servire i poveri, mediante i mezzi comuni che le regole ci indicano. Ci fa dunque evitare, in egual modo, la separazione da tale unità e l'unione da coloro che se ne separano o se ne allontanano. Ci fa essere uniformi in tutti gli esercizi della comunità e Dio sa quanto bene ce ne deriverà, se ne useremo bene. Essa ci fa avere un medesimo volere e non volere tra noi e una santa condiscendenza per le opinioni di ciascuno, purché non siano contrarie alla

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virtù; infine, non tollera le contese, nè i litigi, ma ci fa aderire allo spirito delle regole, il quale si propone di unirci a Dio e tra noi e ci spinge ad unirci alle popolazioni per conquistarle a Dio.

Quali sono i motivi che abbiamo di conservare e accrescere tale uniformità?Ne troviamo molti nella Sacra Scrittura. Il primo è di S. Paolo, nella lettera ai

Romani, capitolo 15, nel quale raccomanda ut unanimes, uno ore honorificetis Deum et Patrem Domini Nostri Ieus Christi587; affinché con un medesimo cuore ed una medesima bocca onoriate Dio Padre. Secondo tale massima, dobbiamo esser sempre uniformi e concordi nel lodare Dio e servirlo, formare dei nostri cuori un sol cuore ed usar tutti un medesimo modo di onorarlo e di piacergli. Si tratta qui del servizio di Dio; è necessario che ognuno vi si conformi.

Il medesimo S. Paolo ai Filippesi, cap. 2: Implete gaudium meum ut idem sapiatis, eandem caritatem habentes, unanimes, idipsum sentientes588; rendete compiuto il mio gaudio, diceva quell'apostolo, non avendo che un medesimo cuore e i medesimi sentimenti per conservare la carità. E raccomandava ai fedeli di non aver che un sol cuore e una sola anima nella pratica della religione: Credentium erat cor unum et anima una589; abbiate la medesima fede e le medesime pratiche. Idem sentientes, egli ci dice 590; fate quello che potete per avere i medesimi affetti, per giudicare egualmente le cose, per andare d'accordo, per non altercare mai; se uno esprime il proprio parere, gli altri vi sottoscrivano e l'approvino stimandolo migliore del loro. La virtù vuole così e, se vi comporterete in questo modo, fratelli, tutti vedranno che la possedete.

Un altro passo dice: Unanimes collaborantes591; lavorate tutti unanimamente. Non dobbiamo essere uniti soltanto nei sentimenti interni, ma anche nelle opere esterne, occupandoci tutti secondo gli obblighi nostri; e come i cristiani devono concorrere a tutto quello che concerne il cristianesimo, anche noi dobbiamo cooperare a tutti i lavori della Missione e conformarci all'ordine e al modo di eseguirli.

E' una meraviglia della natura che ogni specie delle cose create si somigli in se stessa e nelle sue produzioni; per esempio, tutti i ceppi di una vigna dimostrano in generale che là c'è una vigna; parimente ogni ceppo in particolare attesta la stessa cosa, essendo tutti eguali nella forma, nella corteccia, nei tralci e nelle foglie; ma portano il medesimo frutto e contribuiscono tutti insieme a fare il vino che il padrone esige; sono tutti uniformi. Così dev'essere la nostra Compagnia per i disegni di Dio.

Osservate le specie degli uccelli e considerate gl'individui di ogni specie; troverete che quello che fa uno fa l'altro; per esempio, in un colombaio tutti i piccioni si somigliano; hanno tutti gli stessi graziosi modi, fanno le medesime cose e quello che produce uno produce l'altro; hanno tutti le stesse caratteristiche. Osservate anche le api di un alveare; è una piccola comunità; esse hanno la stessa forma, una medesima azione, un medesimo fine.

Orbene, tutte queste specie di animali sono uniformi per istinto; ma siccome gli atti morali superano tale istinto e si formano con la ragione, devono anche mirare più perfettamente all'uniformità, la quale, essendo voluta e comandata da Dio, deve farci fare per ragione quello che gli animali fanno per istinto. Ciò che la natura dà agli animali, in noi deve operarlo la grazia. Sì, fratelli, dobbiamo darci a Dio per avere tra noi la santa unione che ci dia un medesimo spirito, un medesimo volere e non volere e un medesimo modo di comportarci. Dobbiamo domandare a Dio che ci conceda, come ai primi cristiani, un cuor solo e un'anima sola. Fateci la grazia, Signore, di non aver

587 Rm., 15, 6.588 Fil., 2, 2.589 At., 4, 32.590 Fil., 2, 2.591 Fil., 1, 27.

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due cuori e due anime, ma un cuor solo e un'anima sola che informino e uniformino tutta la Compagnia; toglieteci i nostri cuori e le nostre anime particolari, che si allontanano dall'unità; toglieteci ogni operazione particolare, che non si accorda con l'operazione comune; fate che d'ora innanzi abbiamo tutti un solo cuore, che sia il principio della nostra vita, ed un'anima sola, che ci vivifichi nella carità, in virtù di quella forza unitiva e divina che forma la comunione dei santi.

Un'altra ragione di praticare l'uniformità, è che il Figlio di Dio, facendosi uomo, volle assumere una vita comune per conformarsi agli uomini e poterli così attrarre al Padre e si fece, molto più di S. Paolo, tutto a tutti per conquistarli tutti. Non prese soltanto le qualità naturali dell'uomo, ma in qualche modo, le morali: un intelletto come il nostro; un modo di sentire le cose fisiche come il nostro; una volontà che lo guidava come noi verso quello che l'intelletto gli presentava di bello e di buono; giudicava pure le cose naturali come le giudichiamo noi. Questo si rileva dai paragoni che adoperava: dal chicco di grano che se non marcisce non può germogliare; del seme che gettato nella buone terra produce il centuplo; del mercante che lascia la casa e se ne va; del legno verde e del legno secco e simili paralleli familiari da Lui usati per i quali dimostrano che aveva per quelle cose gli stessi pensieri nostri. Aveva anche il medesimo modo di fare, camminava come noi e come noi parimente lavorava. Insomma, per meglio insinuarsi in noi, si è fatto simile a noi: e siccome la somiglianza genera l'amore, ha voluto apparire ed operare come noi, per farsi amare; volle innestarsi alla nostra natura per unirci a Lui; si fece uomo per insegnarci, con il suo tenore di vita, come noi dobbiamo vivere. Egli era l'immagine del Padre, e, come se questo non Gli bastasse, aggiunse a questa immagine adorabile l'uniformità degli uomini, per conquistarli tutti, come dice la regola.

Questa sola ragione dovrebbe convincerci, ma ve ne sono molte altre in proposito; voglio riferirvene un'altra che ci tocca da vicino; l'uniformità genera l'unione della Compagnia, è il cemento che ci unisce, la bellezza che ci rende amabili e l'uno verso l'altro attira; questo amore reciproco fa sì che abbiamo i medesimi modi di concepire, le stesse cose da volere e i medesimi progetti da attuare.

Invece, se togliete da noi tale uniformità che forma la somiglianza, voi ne togliete l'amore; non rimane più altro che un corpo sfigurato e una desolazione completa; dove sono le singolarità, sono le divisioni. Questi uomini che vogliono predicare caeli caelorum592, che vogliono eccellere, acquistar fama, che fanno? Generano l'invidia negli altri che notano quella singolarità, la quale non solo è contraria all'uniformità, ma produce la disunione.

Coloro che usano singolarità nel vestire, nel mangiare o negli altri atti comuni, rattristano coloro che s'attengono alla vita comune. O quanto sono miserabile, io che devo essere di peso a tutta la casa, perché non mi uniformo agli altri! Ho una camera particolare ed un letto pure particolare; mi sono servito dell'infamia quando non potevo più camminare speditamente (chiamava così la modesta carrozza di cui si serviva, volendo dire che era un'infamia per lui e per tutta la Compagnia, che un uomo della sua condizione andasse in carrozza) e sono caduto in altre miserie; predico l'uniformità e sono io stesso difforme. O Salvatore dell'anima mia, degnatevi supplire a questi difetti con una grazia potente che mi faccia essere utile alla Compagnia col praticare qualche virtù, soprattutto la virtù dell'umiltà.

Dobbiamo dunque essere tutti uniformi nel vitto, delle vesti, nelle camere ed, inoltre, uniformi nel modo di dirigere, d'insegnare, di predicare e di governare, come pure nelle pratiche di pietà; sono le parole stesse della regola.

V'è tuttavia qualche distinzione da fare, e qualche cosa da eccettuare in questa uniformità generale, poiché non tutti possono seguire l'andamento ordinario; per

592 Con uno stile pomposo.

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esempio, gl'infermi e i malati non possono adattarsi agli usi comuni; hanno bisogno di una camera riscaldata, di persone che li servano e cibi diversi, convenienti ai loro incomodi. E' questa una singolarità? No, perché ognuno verrà trattato pure in questo modo quando sarà malato, e si osserva meglio l'uniformità, dando ai malati i sollievi che si può, che facendo diversamente, poiché lo richiede lo stato in cui si trovano, nel quale non violano l'uniformità se prendono quello che è dato loro e si fanno servire, ma sono conformi all'intenzione della regola e della comunità.

Vi sono altre cose che sembrano in contraddizione con l'uniformità, eppure non lo sono, come la diversità di abiti: i sacerdoti li hanno lunghi, i fratelli corti: perché ciò si addice alla condizione di ciascuno. Tra i fratelli stessi vi sono usi diversi, alcuni essendo vestiti di nero ed altri di bigio; e questo per l'ordine della Compagnia, alla quale Dio ispirò tale diversità. Perché? Perché quelli che rimangono in casa, applicati alle cose comuni, possono agevolmente portare il nero; ma gli altri occupati fuori, è conveniente siano vestiti di bigio. Fin dal principio ci parve opportuno fare in questo modo e dopo abbiamo continuato senza credere che tal differenza di colore costituisca una difformità, ma che sia, anzi, un'uniformità, perché tale è l'ordine della Compagnia.

E non solo i fratelli devono tenere quest'usanza, ma anche i sacerdoti, in certe occasioni concernenti la gloria di Dio e che obbligano di cambiar abito e vestire come i secolari. Non abbiamo visto uno di noi vestito di colore con la spada al fianco per andare in Inghilterra? Sarebbe stato processato, come han fatto ad altri, se fosse stato riconosciuto per sacerdote. Ci sono dunque alcune circostanze in cui i sacerdoti, i religiosi, i cappuccini stessi, si travestono da mercanti o da gentiluomini, portando la spada e i capelli lunghi. Costituisce ciò una difformità nel loro stato e nel loro Ordine? Niente affatto, perché tutto avviene per obbedienza e per un bene, ed anche questo conviene all'unitertio593.

Pertanto, fratelli, siate tutti disposti a cambiare abito tutte le volte che sarà conveniente; e quelli a cui è dispiaciuto portare l'abito bigio, si pentano di avere importunato il fratello della sartoria per essere vestiti diversamente. Questo avvenne, qualche tempo fa, ad uno che gli chiese la veste nera, insistette e l'ottenne senza odine del superiore. Per dire la verità, appena avvertito della sua colpa, si dimostrò pentito. Vi esorto quanto posso, fratelli, a portare il nero, quando il superiore lo permette, e il bigio tutte le volte e quando egli ve lo comanderà; e quelli che portano l'abito bigio, pensino alla colpa che commetterebbero se lo facessero cambiare senza permesso. Nessuno mai s'indispettisca per essere vestito in quel modo e non chieda di cambiar l'abito a motivo del colore. Proibisco al sarto di fare l'abito nero a quello che non l'hanno, se colore che hanno carica nella casa non glielo dicono. Ma come! fratelli, siete forse meno fratelli per essere vestiti in bigio? L'abito fa il monaco e i colori le qualità delle persone? Qual cosa vi fa coadiutori della Missione? La grazia che Dio vi ha fatto chiamandovi in essa; la gioia che avete di servire Dio mediante la pratica delle virtù cristiane; la carica che esercitate verso il prossimo, è questo l'abito del missionario. Noi viviamo insieme per compiere la volontà di Dio e non per portare questo colore o quell'altro. Vivete dunque contenti nello stato in cui siete e con l'abito che avete.

Certo, signori e fratelli, dobbiamo persuaderci che la nostra pace e la nostra gloria è riposta nella virtù, e la nostra virtù nella somiglianza con Gesù Cristo e nell'uniformità tra noi; essa bandisce l'invidia e la discordia e tutto quanto divide i cuori; essa ci rende uniformi nelle predicazioni, nel fare il catechismo, nel confessare, insegnare, dirigere e trattare con Dio e con il prossimo.

Rendiamoci uniformi; noi saremo un paradiso; non ne conosco alcuno sulla terra, se non tra coloro che accondiscendono gli uni agli altri per essere tutti simili; non conosco nulla al mondo che possa compiere la nostra felicità, se non l'uniformità tra noi, la

593 Uniformità.

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quale ci rende simili a Nostro Signore e ci unisce a Dio. Abbiamo tale grazia? Oh! qual consolazione! E' un principio di beatitudine. Abbiamo il contrario? E' un inferno anticipato, dove non c'è che odio e divisione.

Se piacerà alla bontà di Dio di usarci misericordia affinché ci amiamo a vicenda, ci guarderemo bene dal volerci elevare e pretendere di star sopra gli altri, perché ciò distrugge l'amicizia, introduce l'invidia e genera le avversioni. Se fino ad ora abbiamo voluto eccellere, in nome di Dio, fratelli, non lo facciamo mai più! Se nei miei discorsi e nelle mie argomentazioni potessi spingermi a grande altezza, mi fermerò a metà; se potessi elevare un'azione ad un grado straordinario o fare conoscere la mùia scienza o la mia industria sopra al comune, abbasso tutto questo! Nostro Signore non si comportò in questo modo. Egli, sebbene potentissimo, si conformò alla portata dei deboli. Se ha due concetti, uno bello e sottile e l'altro più basso e meno appariscente, sceglierò questo e rinunzierò al primo. Atteniamoci alla mediocrità; il dotto dimostri di sapere sobriamente ed il forte che lavora, lavori umilmente; perché tutto quello che si dice o che si fa per il povero popolo in modo pomposo è vano ed inutile: passa sopra la testa e il vento lo porta sui tetti. I predicatori che fanno sfoggio di argomenti nuovi, curiosi e strani, con toni di voce gravi o lamentevoli fanno quello che facevano con la camicia di Cesare piena di sangue le alte grida di coloro che la portavano. E che ottengono? Smuovono un poco i sentimenti della natura, ma non danno la vita ai morti, nè i lumi del vangelo al popolo ignorante. Devo riconoscere che c'è qualcuno tra noi che urla e che tempesta, e con un linguaggio gonfio che sembra volere stordire lo uditorio, invece d'indurirlo amabilmente alla cognizione di Dio e del proprio dovere; mi dicono che egli faccia quanto può per correggersene; se questo è vero, si può sperare che Iddio lo benedica.

Procuriamo, o signori, di fare le nostre esortazioni meno elevatamente che sia possibile e con meno eloquenza, per conformarci agli altri che predicano con minore scienza e talento. Ho conosciuto un buon parroco nei dintorni della Rochelle il quale avendo sentito dire che a Tolosa i Padri della Dottrina Cristiana predicavano semplicemente per farsi ben capire da tutti, ebbe un gran desiderio di ascoltarli, tanto più che fino allora non aveva sentito predicare altro che fastosamente e gli dispiaceva, costatando come ciò fosse inutile per il popolo. Chiese il permesso al suo vescovo di andare a sentire questa novità, che sembrava conforme all'uso dei primi operai della Chiesa. "Il mondo, diceva egli, non intende quello che gli è predicato, non è capace di assimilare certi punti della dottrina, le sottigliezze del pensiero e i fiori di rettorica di cui le prediche sono seminate; ad esso occorre qualche fatto edificante e qualche massima morale chiara e bene spiegata secondo la mentalità e i bisogni delle popolazioni". Quel buon sacerdote vedeva l'abuso e ne desiderava il rimedio. Io l'ho conosciuto ed il signor Portail pure, che può ricordarsi di quello che vi dico. E' morto da santo. Avendone avuto il permesso dal vescovo, partì dalla sua parrocchia e andò a vedere quegli uomini apostolici che predicavano tanto familiarmente che i più ignoranti potevano intenderli e rammentare le loro istituzioni. Ecco come la Missione deve fare.

Dico di più: non solo dobbiamo predicare familiarmente, ma essere mediocri predicatori per uniformarci agli altri; perché ognuno può uniformarsi alla mediocrità, ma pochi possono sollevarsi in alto. La mente elevata può abbassarsi ad un grado medio ed una mente meschina sollevarsi al medesimo grado; ciò bandirà da noi l'invidia, l'emulazione e la maldicenza e promuovere l'uniformità delle nostre persone e dei nostri ministeri.

Stabiliamoci bene in questo spirito, se vogliamo avere in noi l'immagine dell'adorabile Trinità ed una santa somiglianza con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Che cos'è che forma l'unità e la conformità in Dio, se non l'uguaglianza e la distinzione delle tre Persone? Che cos'è che forma il loro amore, se non la somiglianza? E se non vi fosse tra loro l'amore, che vi sarebbe di amabile? dice il beato vescovo di Ginevra.

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L'uniformità è dunque nella Santissima Trinità. Quello che vuole il Padre, lo vuole pure il Figliuolo; quello che fa lo Spirito Santo, lo fanno anche il Padre e il Figliuolo: operano tutti egualmente non hanno che un medesimo potere ed una medesima operazione. Ecco l'origine della nostra perfezione e il nostro modello. Diveniamo uniformi; e saremo in molti come se fossimo uno solo, avremo la santa unione nella pluralità. Se ne abbiamo già un poco, ma non abbastanza, domandiamo a Dio quello che ci manca e osserviamo in che differiamo gli uni dagli altri, per procurare di somigliarci tutti e renderci uguali, poiché la somiglianza e l'eguaglianza generano l'amore e l'amore tende all'unità. Procuriamo dunque di aver tutti i medesimi affetti ed un medesimo slancio per le cose che si compiono o si lasciano tra noi.

Il mezzo per avere questa unione dei cuori ed uniformità di azioni è l'osservanza delle regole. E' dire tutto, fratelli. Tutto contribuisce a renderci uniformi in questa osservanza, la quale, se vi siamo fedeli, farà fare a tutti la medesima cosa nei medesimi modi e per i medesimi fini. Tutto vi è indicato: e per vedere come ciascuno deve esser formato e come deve operare, non ha che da gettar lo sguardo su quello specchio. Osservate i certosini, mi diceva un giorno una persona; sono come i buoi; camminano allo stesso passo e chi ne vede uno, li vede tutti. Ed è vero, signori; sono uomini d'orazione, uomini gravi, di virtù solida e saldi nelle loro costituzioni. Facciamo anche noi lo stesso, fratelli, nelle nostre orazioni, pratiche di pietà, nel modo di celebrare e di servire la santa messa, nel raccoglimento e nella conversazione, nel modo di fare le missioni, d'insegnare la scienza della salvezza eterna, di inculcare la virtù, di dirigere gli esercizianti, presiedere alle funzioni delle ordinazioni, in una parola, rendiamoci uniformi in tutti i nostri obblighi generali e individuali, secondo il nostro regolamento.

Che dirò dei sentimenti della Chiesa su tale argomento? Non osserva l'uniformità nelle sue pratiche? Quello che fa a Roma, non lo fa in Francia, in Germania, in Polonia, nelle Indie e altrove? Non ha il medesimo sacrificio, gli stessi sacramenti, le medesime cerimonie e la medesima lingua da per tutto? E sebbene sul principio si disapprovasse che celebrando fosse adoperata una lingua che non si capiva, nondimeno per conservarsi in un medesimo spirito, dopo aver tutto pesato e messe le difficoltà in confronto con gli inconvenienti che ne sarebbero derivati se ogni paese avesse avuto la santa messa nella propria lingua, volle che tutti fossero unanimi e uniformi in tutte queste cose. Volle che tutte le nazioni si adattassero agli usi da essa stabiliti, nonostante i lamenti che se ne sono fatti. E perché? Perché oltre ad essere onorato Iddio, con questa pratica universale, si evitano, con tal conformità, molti abusi. Oh! se aveste visto, non voglio dire l'indecenza, ma la diversità delle cerimonie della messa, circa quarant'anni fa, vi avrebbero nauseato; mi sembra che non vi fosse nulla di più indecente al mondo dei diversi modi con cui si celebrava; alcuni cominciavano la messa col Pater noster; altri prendevano in mano la pianeta e dicevano l'Introibo e poi se la mettevano. Una volta ero a S. Germano en Laye dove notai sette o otto preti che dissero la messa tutti differentemente; uno faceva in un modo, l'altro in un altro; era una varietà degna di lacrime. Orsù, Dio sia benedetto, perché la sua bontà si è compiaciuta di rimediare un poco a questo grande disordine! Non è ancora tolto del tutto, perché, ah! purtroppo, quante differenze ancora si scorgono nella celebrazione dei santi misteri! Quanti sacerdoti che non s'uniformano, non s'istruiscono o non vogliono adottare il vero metodo che deve stabilire l'uniformità che è insegnato dalle rubriche!

O Salvatore, Voi avete tanto amato l'uniformità, che non solo vi faceste uomo per possederla come gli altri uomini conformandovi al loro modo di operare, ma avete anche raccomandato a tutti i cristiani, parlando ai vostri discepoli, di essere una sola cosa tra loro, come Voi siete una sola cosa con il Padre vostro; e in conformità a tale raccomandazione, avete voluto adattarvi voi stesso ai voleri e alle inclinazioni di ciascuno ed a tutto quello che desideravano da Voi i buoni e i cattivi durante la vostra vita e nella vostra morte. Dateci, ve ne supplichiamo, o buon Gesù, questa virtù di

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uniformarci tutti nell'intelletto, nella volontà e nelle azioni, di accordarci nei catechismi, nelle prediche e in tutti gli usi della Compagnia.

Speriamo, fratelli, che facendo così, godremo della gloria immortale della quale godono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo perché saremo uniti con lo stesso vincolo d'amore che li unisce. Non vi siano dunque più nella Compagnia due volontà, ma una volontà sola; non due cuori, ma un cuore solo; non diversità di sentimenti, ma uniformità in tutto. Che le resterà allora se non pace, unione e un paradiso?".

207. CONFERENZA DEL 30 MAGGIO 1659SULLA CARITA'594

(Regole comuni, cap. 2, art. 12)

"Ecco, carissimi fratelli, il dodicesimo articolo del secondo capitolo delle massime evangeliche, contenute nelle nostre regole:

Gli atti di carità verso il prossimo, dice tale articolo, saranno sempre in vigore tra noi, come sono: prima di tutto, fare agli altri il bene che giustamente vorremmo fosse fatto a noi; 2° non contraddir mai nessuno e trovar tutto bene in Nostro Signore; 3° sopportarsi reciprocamente senza mormorare; 4° piangere con coloro che piangono; 5° rallegrarsi con coloro che si rallegrano; 6° prevenirsi d'onore gli uni gli altri; 7° dimostrare affetto e render loro cordialmente servizio. Insomma farsi tutto a tutti per conquistare tutti a Gesù Cristo. Ciò s'intende, quando non ci sia nulla contro i comandamenti di Dio o della Chiesa, nè contro le nostre regole o costituzioni.

L'argomento dunque, fratelli, della conferenza di stasera è la carità verso il prossimo, o per meglio dire, gli atti che procedono da tale carità, le opere che essa deve produrre.

Questa carità è d'obbligo; è un precetto divino che ne abbraccia molti. Ognuno sa che nell'amor di Dio e del prossimo sono compendiati la legge e i profeti. Tutto si riferisce a questo; tutto va a finir lì; e la forza e il privilegio di questo amore c'induce a fare tutto quello che Dio esige da noi; qui enim diligit proximum legem implevit595.

Orbene, questo non si riferisce soltanto all'amore verso Dio, ma alla carità del prossimo per amore di Dio; badate, per amor di Dio; è cosa tanto grande che l'intelletto umano non può intenderlo; occorre che i lumi celesti ci elevino per farci vedere l'altezza e la profondità,la larghezza e la magnificenza di questo amore.

S. Tommaso propone questa questione, cioè: chi merita più, chi ama Dio e trascura il prossimo o chi ama il prossimo per amor di Dio? E risolvendo lui stesso la questione, conclude che è più meritorio amare il prossimo per amor di Dio, che amare Dio senza curarsi del prossimo. E lo prova così, il che sembra un paradosso: "Andare, egli dice, al cuor di Dio, limitar lì tutto il proprio amore, non è il più perfetto, perché la perfezione della legge consiste nell'amar Dio e il prossimo". Datemi un uomo che ami Dio soltanto, un'anima elevata alla contemplazione, che non pensi affatto ai suoi fratelli, oh! questa persona, provando un gusto soavissimo in questo modo di amare Dio, che gli sembra unicamente amabile, si ferma ad assaporare quella sorgente infinita di dolcezza. Ed eccone un'altro che ama il prossimo, e quanto rozzo e incolto possa essere, l'ama per amor di Dio. Ditemi, ve ne prego, qual'è il più puro e il meno interessato di questi amori? Il secondo, senza dubbio, perché osserva più perfettamente la legge. Egli ama Dio e il prossimo, che può far di più? Il primo non ama altri che Dio, ma l'altro li ama tutti e due. Dobbiamo proprio darci a Dio per scolpire tale verità nelle anime nostre, per conformare la nostra vita a questo spirito e far le opere con questo amore. Non vi sono

594 207. Conferenza - .....595 Rm., 13, 8.

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persone al mondo obbligate a questo più di noi, nè comunità che debbano essere più applicate all'esercizio esterno di una carità cordiale.

E perché? Perché Dio ha fatto sorgere questa piccola Compagnia, come tutte le altre, per amarlo e fare la sua volontà. Tutte, infatti, tendono ad amarlo, ma l'amano in modo diverso: i certosini con la solitudine, i cappuccini con la povertà, altri cantando le sue lodi; e noi, fratelli, se l'amiamo dobbiamo dimostrarlo inducendo le popolazioni ad amare Dio e il prossimo, ad amare il prossimo per Iddio e Dio per se stesso. Noi siamo scelti da Dio come strumenti della sua immensa e paterna carità la quale vuole stabilirsi e dilatarsi nelle anime. Ah! se sapessimo che cos'è questo santo ufficio! Non lo vedremo mai bene in questa vita; perché, se lo vedessimo, oh! ci comporteremmo in altro modo, almeno io miserabile!

La nostra vocazione è dunque di andare, non in una parrocchia e neppure soltanto in una diocesi, ma per tutta la terra; e a far che? Ad infiammare il cuore degli uomini a fare quello che il Figlio di Dio fece, Lui che venne a portare il fuoco nel mondo per infiammarlo dell'amor suo. Che possiamo noi desiderare, se non che arda e consumi tutto? Fratelli, riflettiamoci, ve ne prego. E' dunque vero che sono inviato non solo ad amare Dio, ma a farlo amare. Non mi basta amare Dio se anche il mio prossimo non lo ama. Devo amare il mio prossimo come immagine di Dio e oggetto dell'amor suo e far di tutto perché a loro volta gli uomini amino il loro Creatore che li riconosce e li considera come suoi fratelli, che li ha salvati; e procurare che, con mutua carità, si amino tra loro per amor di Dio, il quale li ha tanto amati da abbandonare per essi il proprio Figlio alla morte. E' dunque questo il mio dovere. O mio Dio, quanti mancamenti ho commessi su questo punto! come ho poco conosciuto l'importanza della mia regola e quanta poca attenzione ho fatto alla carità attiva e passiva alla quale Dio mi chiama! Ognuno di noi deve rimanere convinto dinanzi a Dio. Diciamogli tutti: "O mio Dio, ho mancato in questo punto; perdonatemi le mancanze passate e fatemi la grazia che la vostra santa dilezione si scolpisca profondamente nel mio cuore, che sia la vita della mia vita e l'anima delle mie azioni, affinché, manifestandosi esternamente, penetri ed operi anche nelle anime di cui dovrò occuparmi".

Orbene, se è vero che siamo chiamati a portare lontano e vicino l'amore di Dio, se dobbiamo infiammare le nazioni, se la nostra vocazione è di andare a spargere questo fuoco divino in tutto il mondo, se così è, dico, se così è, fratelli, quanto devo ardere io stesso di questo fuoco divino! Quanto incitarmi ad amare coloro con i quali convivo, quanto edificare i miei fratelli con lo esercizio dell'amore e quanto persuadere i miei cari confratelli a praticare gli atti che ne emanano! All'ora della morte, vedremo la perdita irreparabile che abbiamo fatta, se non tutti, almeno coloro che non hanno e non esercitano debitamente la carità fraterna. Come la daremo agli altri, se non l'abbiamo tra noi? Osserviamo se vi è, non in generale, ma se ciascuno l'ha in sè, se vi è al grado dovuto; perché se non è accesa in noi, se non ci amiamo l'un l'altro come Gesù Cristo ci ha amati e non facciamo atti simili ai suoi, come potremo sperare di diffondere tale amore su tutta la terra? Non è possibile dare quello che non si ha. Come potrà una Compagnia che non l'ha in sè, infiammare i cuori della vera carità? Converrebbe qui spiegare questa virtù secondo il nostro metodo usuale e dire che cos'è; ma lasciamolo da parte, perché ognuno lo sa. Osserviamola nei suoi effetti.

Qual'è il suo primo atto? Che cosa produce un cuore che ne è animato? Che cosa esce da esso, a differenza di quello che fa un uomo che ne è privo e non ha altro che moti animali? L'esatto dovere della carità consiste nel fare ad ognuno quello che con ragione vorremmo fosse fatto a noi. Faccio veramente al mio prossimo quello che desidero da lui? Ah! è un grande esame da farsi; ma quanti missionari vi sono che abbiano almeno questa disposizione interiore? Ah! quanto sono pochi! O mio Dio! dove sono? Se ne troveranno molti come me, che non fanno punto attenzione a dare agli altri quello che sarebbero contenti di ricevere loro; e non avendo questo affetto,

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non può esservi carità, perché essa fa fare al prossimo il bene che possiamo giustamente aspettare da un amico fedele.

Osserviamo il Figlio di Dio; oh! qual cuore caritatevole! qual fiamma d'amore! Gesù mio, diteci un pò Voi, ve ne prego, chi vi trasse dal cielo per venire a soffrire le maledizioni della terra, tante persecuzioni e tormenti che vi avete ricevuto? O Salvatore! o sorgente dell'amore umiliato fino a noi e fino ad un supplizio infame, chi in questo ha amato il prossimo più di Voi stesso? Siete venuto ad esporvi a tutte le nostre miserie, a prendere la forma di peccatore, a condurre una vita di patimenti e subire una morte ignominiosa per noi; vi è un amore simile? Ma chi potrebbe amare in un modo tanto eccelso? Non c'è che Nostro Signore che sia stato tanto rapito dall'amore per le creature da lasciare il trono del Padre suo per venire a prendere un corpo soggetto ad infermità. E perché? Per stabilire fra noi, mediante la sua parola e il suo esempio, la carità del prossimo. E' questo l'amore che l'ha crocifisso e ha compiuto l'opera mirabile della nostra redenzione. O signori, se avessimo un poco di questo amore, rimarremmo con le braccia conserte? Lasceremmo perire coloro che potremmo assistere? Oh! no, la carità non può rimanere oziosa, essa ci spinge a procurare la salvezza e il sollievo altrui.

Questo primo atto porta luce nell'intelletto; questa luce forma la stima, e la stima muove la volontà all'amore; fa sì che la persona che ama sia intimamente convinta dell'onore e dell'affetto che deve al prossimo, e se ne riempia e lo palesi con le parole e con le parole e con le opere.

Chi ha tale stima e tante tenerezze per il prossimo, può parlar male di lui? Può fare qualche cosa che gli dispiaccia? Ma, con tali sentimenti in cuore, può incontrare il suo fratello e il suo amico senza manifestargli il suo amore? La bocca parla dell'abbondanza del cuore e, ordinariamente, le azioni esterne svelano l'interno; coloro che hanno la vera carità dentro di sè, la manifestano all'esterno. E' proprietà del fuoco illuminare e riscaldare ed è proprietà dell'amore ispirare il rispetto e la compiacenza verso la persona amata. Abbiamo noi accolto anche solo l'impressione di minor stima e di minor affetto per qualche persona? Ne tolleriamo il pensiero più o meno a lungo? Se ciò fosse è segno che non abbiamo quella carità che scaccia i primi sentimenti del disprezzo e il seme dell'avversione; perché, se avessimo questa divina virtù, che è una partecipazione del Sole di giustizia, dissiperebbe i vapori della nostra corruzione e ci farebbe vedere quello che v'è di buono e di bello nel nostro prossimo per onorarlo ed amarlo. Debbo dichiarare che se nel passato vi fu tra noi qualche mancanza su questo punto, ora Dio ci ha guardato con gli occhi della sua misericordia".

A questo punto il signor Vincenzo, alzando gli occhi al cielo con sentimenti di riconoscenza, ha ripetuto:

"Dio ci ha guardato con gli occhi della sua misericordia; ha avuto pietà di noi togliendo dalla Compagnia alcuni spiriti mal fatti che erano causa di tale diminuzione d'amore: dimodochè mi è stato detto ultimamente: "Vedete, signore, mi sembra che qui dentro viviamo come fanciulli, nella libertà dell'innocenza e nell'esercizio reciproco di una sincera amicizia; non si odono vanterie nè parole pungenti; ci onoriamo a vicenda; nessuno si eleva sopra gli altri".

O Salvatore, che avete bandito dalla Compagnia le mancanze contrarie a questo primo atto di carità, conservatela nell'unione cordiale, nella quale, per grazia vostra, si trova. Non permettete, ve ne supplichiamo, che sia alterata da alcun soffio d'orgoglio nè dallo spirito di discordia, pronto sempre a perderci, nè che essa ritorni nel misero stato in cui è stata altre volte, dico altre volte, perché è molto tempo che la vostra bontà ne l'ha ritratta, dimodochè qui a vent'anni, a cinquant'anni e sempre questa Compagnia viva nella cordiale e reciproca stima.

Vi prego, signori, di fare frequenti voti davanti a Dio e di farli solidamente gli uni per gli altri, affinché i missionari si amino sempre tra loro. Consoliamoli perché ciò

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avviene ora, e preghiamo Dio di non permettere che essi si raffreddino nella pratica dell'amore fraterno. Orsù, passiamo agli altri atti.

Il secondo atto della carità consiste nel non contraddire. Siamo in compagnia, parliamo di qualche buona cosa; uno dice quello che ne pensa e un altro esclama senza discrezione: "Non è vero; voi non potete dimostrarlo". Far così, è ferire la persona contraddetta, la quale, se non è umile, vorrà sostenere la propria opinione, ed ecco la contesa che uccide la carità. Non è già contraddicendo che conquisto il mio fratello, ma prendendo bonariamente in Nostro Signore quello che dice; forse ha ragione ed io non l'ho; vuol contribuire ad un'onesta conversazione ed io la cambio in disputa; oppure intende dare a quello che dice un significato che, se lo conoscessi, l'approverei. Via dunque la contraddizione che divide i cuori! Evitiamola come una febbre che ci eccita, come una peste che ci desola e come un Demonio che fa cadere in rovina le Compagnie più sante; schiacciamo questo cattivo spirito con le nostre preghiere; solleviamoci spesso a Dio, e soprattutto quando avremo occasione di entrare nei sentimenti degli altri, affinché ci faccia la grazia, ben lungi dal contraddirli o contristarli, di intenderli come conviene; essi dicono alla buona quello che pensano, prendiamo anche noi alla buona quello che dicono. Se taluno mormora o schernisce gli altri (o Salvatore, non lo permettete mai), ma se ciò avvenisse, non bisogna ammonirlo pubblicamente; no, non mi sembra ben fatto, nè secondo la regola, nè secondo la teologia, nè secondo le massime del Vangelo, ma deve farsi in privato e in segreto.

Pensavo, poco fa, se Nostro Signore avesse mai contraddetto qualche suo discepolo in presenza degli altri; non mi è venuto in mente alcun esempio, all'infuori del rimprovero a S. Pietro, quando gli disse: "O Satana!"596 e glielo disse immediatamente; e un'altra volta, quando si vantava che avrebbe seguito il Maestro fino alla morte: "Ah! esclamò, stanotte mi rinnegherai tre volte".

Comunque sia, vediamo che Nostro Signore è stato molto riservato nel contraddire; perché non lo saremo anche noi? Egli aveva il diritto di correggere pubblicamente i suoi, perché era la via e la verità; ma noi che possiamo sbagliarci, dobbiamo esser molto cauti per non contraddire quelli che parlano, per timore di mortificarli, di promuovere una disputa e di opporci alla verità. Offriamoci a Dio per poter essere fedeli a questo, signori. Se la pensiamo diversamente, non diciamo una parola, o diciamo semplicemente le cose come le sappiamo, senza impugnare nè le interpretazioni degli altri, nè il modo con cui le riferiscono, giudicando che hanno ragione di dire così. Ed ecco in qual modo la carità è benigna, come dice S. Paolo 597. E' il secondo atto.

E il terzo si manifesta nel sopportare le reciproche infermità. Chi può dirsi perfetto? Nessuno sulla terra. Che anzi: chi non dovremo dire imperfetto? Poiché tutti gli uomini hanno difetti, chi dunque non ha bisogno di essere tollerato? Chi si esamina attentamente, trova in sè una quantità di mancanze e di debolezze e riconosce altresì che non può fare a meno di averne, nè, per conseguenza, di fare esercitare la pazienza agli altri; basta solo che s'esamini secondo il corpo e secondo lo spirito. Proveremo talora, tutti quanti noi siamo, una strana repulsione per un uomo che non sarà cattivo, ma del quale tutto ci dispiacerà; se guarda, se ascolta, se parla, se opera, tutto ci parrà difettoso in lui per la cattiva disposizione della nostra natura. Un altro parlerà corretto, secondo le regole della grammatica; troveremo i suoi concetti oscuri e le sue parole vuote, per un'antipatia che abbiamo per lui, sebbene non volontaria, è nondimeno se se ne accorge siamo contenti che non se ne offenda, ma che ci scusi. Perché non lo scuseremo anche noi quando ci farà cattivo viso o disapproverà le nostre parole e le nostre azioni? L'avversione che abbiamo verso di lui può essere reciproca. Noi siamo

596 Mt., 14, 23.597 1 Cor., 13, 14.

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talora lieti e talora tristi; qualcuno ci giudicò ieri eccessivi per la gioia ed oggi ci trova troppo malinconici. Poiché vogliamo, negli eccessi del nostro umore bizzarro, che il tale ci sopporti, non è giusto che lo sopportiamo in simili circostanze?

Esaminiamoci coscienziosamente; ognuno scruti in se stesso le infermità del corpo, lo sregolamento delle facoltà, l'inclinazione al male, il disordine dell'immaginazione, l'infedeltà e l'ingratitudine verso Dio e l'irascibilità verso gli uomini e scoprirà in sè più atti di malizia e motivi di umiliazione di quello che ne riscontra in qualsiasi altro al mondo. E allora dica francamente: "Io sono il più gran peccatore e il più insopportabile degli uomini". Sì, se ci esaminassimo bene, troveremmo di essere spesso di peso a coloro che ci frequentano. Chiunque, per effetto della grazia di Dio, giunge a riconoscere perfettamente tutte le sue miserie, assicuratevi che è al punto dovuto per convincersi dell'obbligo che ha di sopportare gli altri; non vedrà difetti in essi, o se li vede, saranno pochi in confronto dei suoi; e così, in mezzo alla sua debolezza, sopporterà il prossimo con carità. Oh! mirabile pazienza di Nostro Signore nel sopportarci! Voi vedete questa trave che sostiene tutto il peso del soffitto, senza la quale esso cadrebbe; Egli ci ha egualmente sopportati nelle nostre cadute, accecamenti e malizie dello spirito. Eravamo tutti come oppressi da iniquità e da miserie nel corpo e nell'anima, e il buon Salvatore se ne caricò per soffrirne la pena e l'obbrobrio. Se vi pensassimo bene, vedremmo quanto meritiamo di essere puniti e disprezzati, noi che ne siamo i colpevoli, soprattutto io, miserabile porcaro, che tutti i giorni accumulo colpe su colpe per le mie cattive abitudini e per la mia ignoranza, che è tanto grande che non so quasi quello che dico.

Ho detto che quando siamo giunti a conoscerci bene, è facile sopportarci... Ed ora non so dove andare a finire, nè a che punto sono... Sopportatemi, ve ne prego. Che facciamo sopportandoci? Pratichiamo l'alter alterius onera portate598... Che farete, quando sopporterete i vostri fratelli? Adempirete la legge di Gesù Cristo. Diciamogli tutti: "Signore, ormai non voglio riconoscere i difetti che in me solo; fate che, fin da questo momento, illuminato dallo splendore del vostro esempio, io tenga tutti gli uomini nel mio cuore, li sopporti per virtù vostra. Fatemi questa grazia, infiammatemi del vostro amore!".

Passo oltre per venire al quarto effetto della carità, per il quale non è possibile veder soffrire una persona senza soffrire con essa; vederla piangere, senza piangere egualmente. E' un atto dell'amore far penetrare il cuore degli uni nel cuore degli altri e sentire quello che essi sentono, ben diversamente da coloro che non hanno alcuna compassione per il dolore degli afflitti e per i patimenti dei poveri. Ah! quanto era tenero il Figlio di Dio! Lo chiamano a vedere Lazzaro: Egli va; la Maddalena si alza e Gli muove incontro piangendo; gli ebrei la seguono e piangono anch'essi; tutti cominciano a piangere. Che fa Nostro Signore? Piange con loro, talmente è tenero e compassionevole. Fu quella tenerezza che lo fece scendere dal cielo; vedeva gli uomini privi della sua gloria, fu commosso della loro sventura. Anche noi dobbiamo intenerirci pel nostro prossimo afflitto e prender parte alle sue pene. O S. Paolo, quanto eravate sensibile a questo riguardo! O Salvatore, che avete riempito quell'apostolo del vostro spirito e della vostra tenerezza, fateci ripetere come a lui: Quis infirmatur, et ego non infirmor?599 Vi è malato col quale io non sia malato?

E come posso risentire in me la malattia di un altro, se non per la partecipazione che abbiamo insieme in Nostro Signore, nostro capo? Tutti gli uomini compongono un corpo mistico; noi siamo tutti membri gli uni degli altri. Non si è mai sentito dire che un membro, neppure negli animali, sia stato insensibile al dolore di un altro membro; che una parte dell'uomo sia contusa, ferita, torturata e che le altre non risentano nulla.

598 Gal., 6, 2.599 2 Cor., 11, 29.

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Non è possibile. Tutti i nostri membri hanno tanta simpatia tra loro, sono talmente legati insieme che il male dell'uno è il male dell'altro. Con più forte ragione, i cristiani, essendo membri di un medesimo corpo e membri gli uni degli altri, devono patire assieme. Ma come! esser cristiano, vedere un fratello afflitto, e non piangere con lui, non essere malato con lui? E' non aver carità; esser cristiano in effigie; non avere umanità; esser peggiori delle bestie.

E' anche un atto di carità rallegrarsi con quelli che si rallegrano, partecipare alla loro gioia. Nostro Signore con le sue massime ha inteso di farci perfetti nell'unità dello spirito e nell'unità della gioia e della tristezza, il suo desiderio è che partecipiamo ai sentimenti gli uni degli altri... Troviamo nel Vangelo di S. Giovanni che il Precursore diceva, parlando di sè e di Gesù Cristo, che l'amico dello sposo si rallegra nell'udire la sua voce. «La mia gioia, soggiungeva600, è dunque compiuta; bisogna che Egli cresca ed io diminuisca». Rallegriamoci egualmente quando udiamo la voce del nostro prossimo rallegrarsi, perché esso rappresenta Nostro Signore; rallegriamoci se tutto gli riesce bene, se ci supera nell'onore e nella stima del mondo, nell'ingegno, nelle grazie e nella virtù. Ecco come dobbiamo partecipare ai suoi sentimenti di gioia.

Partecipiamo parimente alle afflizioni che gli capitano; facciamo per virtù quello che le persone del mondo fanno spesso per rispetto umano. Quando vanno a visitare una persona addolorata che ha perduto il padre, la moglie, un parente, che fanno? Di solito si vestono di nero; se hanno ornamenti, fiori e altri segni di allegrezza, li tolgono e prendono un contegno grave; appena arrivati, si mostrano con volto triste, e, avvicinandosi alla persona afflitta, le dicono: «Ah! non so esprimervi il mio dolore per la perdita che ho fatto insieme con voi; sono inconsolabile e vengo ad unire le mie lacrime alle vostre»; ed altre parole simili che attestano la parte che prendono a quel lutto.

Donde viene tale abitudine? Sapete meglio di me che le buone consuetudini dei cristiani sono antiche; hanno la loro origine nel Vangelo e nelle Lettere di S. Paolo. La pratica dei primi cristiani era di visitarsi l'un l'altro e consolarsi a vicenda. Questi doveri di amicizia sono giunti sino a noi; derivano dal fondo del cristianesimo, il quale lo ha fatto e lo fa ancora. Non avviene nulla di simile tra i turchi e gli indiani, e neppure tra gli ebrei; essi non si scoprono neanche solo per salutarsi. Originariamente dunque queste cose erano atti di carità, e il male è che sono state distolte dalla loro sorgente; si guastano comunemente per il modo con cui ora si compiono, perché si fanno per vanità, per finzione, per interesse per affetto naturale, e non per l'unità di spirito e di sentimento che il Figlio di Dio venne a stabilire nella sua Chiesa, la quale fa sì che i fedeli, avendo un medesimo spirito con Gesù Cristo, come suoi membri, sono lieti o tristi della gioia e della tristezza dei loro fratelli. Per conseguenza, dobbiamo considerare le vicende altrui come nostre.

Ecco cinque o sei atti di carità; ma eccone un altro: prevenirci d'onore. E perché? Perché facendo diversamente sembra che ci si fugga e che si voglia fare il gran signore, l'altero o il freddo; ciò stringe il cuore, mentre l'opposto l'apre e lo dilata. L'umiltà è un vero prodotto della carità, la quale ci fa essere i primi a dimostrare al prossimo, nelle varie occasioni, onore e rispetto e , con tal mezzo, ci concilia il suo affetto. Chi non ama una persona umile? Un leone feroce pronto a divorare un animale che gli resiste, se lo vede accucciato e, per modo di dire, umiliato ai suoi piedi, si placa subito. Che si può fare ad una persona che si umilia, se non amarla? Un missionario che si inginocchia dinanzi ai nostri signori i vescovi, davanti ai signori parroci, riceve, come una valle che attira le acque della montagna, la loro benedizione e la loro be-nevolenza. E se pratichiamo tra noi il rispetto praticheremo anche l'umiliazione, perché l'umiltà, essendo figlia dell'amore, fomenta l'unione e la carità.

600 Gv.3,30

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L'ultimo effetto della carità è il dimostrarci affetto. Dobbiamo far conoscere che veramente noi ci amiamo l'un l'altro di cuore e ciò si ottiene cordialmente per rendere servizi e per far piaceri. " Oh! come desidero dimostrarvi che vi voglio bene!". E dopo averlo detto con la bocca confermarlo con le azioni; servire effettivamente ciascuno, farsi effettivamente tutto a tutti. Non basta avere la carità nel cuore e nelle parole: deve passare nelle opere, ed allora è perfetta e diventa feconda perché genera l'amore nei cuori verso i quali si esercita; essa conquista tutti.

Praticando tutti questi atti, ossia: 1° fare agli altri il bene che vorremmo ragionevolmente fosse fatto a noi; 2° non contraddir mai nessuno e trovar tutto bene in Nostro Signore; 3° sopportarsi gli uni gli altri, senza mormorare; 4° piangere con chi piange; 5° rallegrarsi con chi si rallegra; 6° prevenirsi d'onore scambievole; 7° dimostrare il nostro affetto e prestare cordialmente i nostri servigi, insomma farsi tutto a tutti per conquistar tutti a Gesù Cristo. Che facciamo praticando queste cose? Prendiamo il posto di Nostro Signore, il quale le praticò per primo. Egli prese l'ultimo posto, prendiamolo anche noi; venne ad attestare il suo amore agli uomini; li prevenne con le sue benedizioni; preveniamo egualmente il prossimo con le prove del nostro affetto, non importunamente, né indiscretamente, ma debitamente, con moderazione e cortesia. E praticar così tutti gli altri atti, a tempo e luogo, perché tali atti non siano mai opposti, dice la regola, alla legge di Dio, né alle nostre regole e costituzioni, perché la carità non può permetterlo. All'infuori di questo, facciamoli sempre e ovunque, secondo le occasioni che capitano e che saranno assai frequenti; e quanto più ne faremo nello spirito di Nostro Signore, tanto più saremo accetti ai suoi occhi. Infine, signori, se Dio facesse questa grazia ai missionari, che ne direste d'una simile Compagnia? Se Iddio ci concedesse questa grazia d'amarci scambievolmente, la nostra vita sarebbe una vita d'amore; la vita degli angeli, la vita dei beati; sarebbe il paradiso del cielo e della terra. E' stato detto che viviamo come fanciulli, ma dovrà dirsi: «Come vivono i beati e gli angeli insieme».

O Salvatore che ci avete dato la legge di amare il prossimo come noi stessi, che l'avete praticata tanto perfettamente verso gli uomini, non solo come possono farlo essi, ma in modo incomparabile, siate Voi stesso, Signore, il vostro ringraziamento eterno per averci chiamato ad uno stato di vita che ci fa amare continuamente il prossimo. Sì, per il nostro stato e professione, siamo applicati a tale amore, all'esercizio attuale di questo; o dobbiamo, almeno, avere la disposizione di esserli, pronti a lasciare qualun-que altra occupazione per attendere alle opere di carità. si dice che i religiosi sono in uno stato di perfezione; noi non siamo religiosi, ma possiamo dire che siamo in uno stato di carità, perché siamo costantemente dediti alla pratica reale dell'amore o disposti ad esserli.

O Salvatore, quanto sono fortunato di trovarmi in uno stato d'amore per il prossimo, in uno stato che di per sé vi parla, vi prega e vi offre continuamente quello che io faccio in suo favore! Fatemi la grazia di riconoscere la mia fortuna, di amare questo stato beato e di contribuire perché questa virtù si manifesti nella Compagnia ora, domani e sempre. Amen».

208. CONFERENZA DEL 6 GIUGNO 1659 SUL BUON USO DELLE CALUNNIE601

(Regole comuni, cap. II, art. 13)

« Se qualche volta la divina Provvidenza permette, dice la regola, che la calunnia o la persecuzione assalgano e provino la Congregazione, o qualche membro di essa, sebbene senza motivo, ci guarderemo dal vendicarci o dal maledire, o dal fare alcun

601 Manoscritto delle Conferenze.

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lamento contro tali persecutori e calunniatori; ma, invece, loderemo e benediremo Iddio, e lo ringrazieremo, rallegrandoci come di un occasione di gran bene, venutaci dalla mano del Padre dei lumi; pregheremo anzi caldamente Dio per loro tutti e li beneficheremo volentieri, quando ne avremo l'occasione e il potere, ricordandoci che Nostro Signore ce lo comanda, come a tutti gli altri cristiani, dicendo: «Amate i vostri nemici, fate il bene a coloro che vi odiano e pregate per coloro che perseguitano e vi calunniano».602 E affinché osserviamo più facilmente e più lietamente tutte queste cose, ci assicura che saremo in ciò fortunati, che dobbiamo esserne contenti ed esultare di gioia, perché ci sarà riservata una grande ricompensa in cielo. E, ciò che più importa, si è degnato praticare tutto questo Lui stesso rispetto agli uomini, per darcene l'esempio; e fu poi imitato dagli apostoli, dai discepoli a da un'infinità di cristiani.

Questo articolo, signori, che è il tredicesimo delle massime evangeliche, ci fa conoscere ciò che Dio vuole da noi, quando qualche persecuzione ci sarà mossa contro e la calunnia piomberà su questa piccola Compagnia in generale, sulle case o sugli individui che la compongono.

Divideremo questo discorso in due punti: il primo sarà sulle ragioni che ci obbligano a darci a Nostro Signor Gesù Cristo, affinché si degni concederci la grazia di far buon uso delle calunnie e delle persecuzioni; nel secondo punto diremo i mezzi per raggiungere questo fine.

Per ben fondarci in quello che voglio dirvi in questo piccolo trattenimento, metteremo come base che le calunnie e le persecuzioni non mancheranno mai alla Compagnia in generale, né alle varie case, né agli individui, se saremo fedeli a Dio. Omnes qui pie volunt vivere in Christo Iesu persecutionem patientur. 603 Omnes, tutti senza eccezione; donde ricavo per prima ragione che una delle maggiori sventure che potrebbero capitare alla piccola Compagnia sarebbe che la Provvidenza si comportasse diversamente verso di essa e che Nostro Signore non la purgasse con i patimenti e non la crivellasse con la contrarietà. O signori, quale disgrazia se le mancassero le punizioni e Dio non la provasse! Qual consolazione, invece, se Dio ci giudica degni di soffrire e ci fa la grazia di soffrire con merito, poiché abbiamo motivo di credere che il soffrire sia un effetto della bontà divina verso di noi, una conseguenza della sua volontà di salvarci che Egli ha voluto fino dall'eternità, e un segno che Dio è nella Compagnia, che vi si compiace e che vi è servito con fedeltà. Si, signori, é segno della fedeltà di una Compagnia, quando essa è perseguitata e calunniata; e se siamo privi di tal segno, se tutto ci arride, se il mondo ci applaude, temiamo signori, temiamo!

Oh! se Dio ci facesse la grazia di essere ben fondati nell'osservanza delle nostre regole, ben persuasi delle massime di Gesù Cristo, ben convinti della falsità di quelle del mondo, se fossimo interamente fedeli nell'adempiere i ministeri del nostro Istituto, le persecuzioni non ci mancherebbero,le calunnie ci piomberebbero da tutte le parti per vagliarci e farci progredire sempre più nella perfezione che Dio esige da noi. E non è una gran disgrazia che avvenga diversamente? Non abbiamo ragione di credere che non facciamo nulla in onor suo e che siamo inutili al suo servizio? E' questo ciò che dobbiamo deplorare e temere: Che la Compagnia sia in disgrazia di Dio, poiché le ricusa la grazia che Egli fa a quelle che Lo servono fedelmente.

Ho detto che la calunnia e le persecuzioni sono grazie che Dio favorisce a chi Lo serve fedelmente; e questo è la seconda ragione. So bene che Dio non è autore delle calunnie e delle persecuzioni, ma è certo che non avvengono mai senza il suo permesso; non est malum in civitate quod non fecerit Dominus.604 Non ci sono mali nelle città, nelle campagne, nelle case, negli individui, che non li faccia Dio, ossia che non li

602 Mt. 5,44603 2 Tm 3,12.604 Am 3,6.

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permetta, per ragioni giustissime, sebbene a noi ignote. I teologi spiegano diversamente questo permesso di Dio rispetto al peccato. Per quello che si riferisce al nostro argomento, possiamo dire che le calunnie e le persecuzioni, essendo esse prove ed esercizi di pazienza e di mansuetudine, sono opera di Dio, il quale vuole, con tali contrarietà, staccare i suoi servi da tutto quello che può impedirli di andare a Lui. E' questo il suo fine; non est malum in civitate quod non fecerit Dominus. E quando piacerà alla sua divina bontà di esercitarci, mandarci occasioni di soffrire, dovremo sollevare i nostri cuori al cielo, adorare e lodare la santa e sempre adorabile volontà di Dio sulla Compagnia, ricevere con gioia le calunnie e le persecuzioni come favori che Egli ci fa e dire con espansione di cuore: «Vieni, cara calunnia; vieni, amabile persecu-zione; venite, care croci mandate dal cielo; propongo di far buon uso della visita che mi fate da parte di Dio». La povera natura soffrirà, brontolerà, non importa; dobbiamo soffrire e soffrire con gioia quello che Dio vuole soffriamo.

O signori, se avessimo una fede viva, se guardassimo questi assalti con occhio cristiano, non come contrarietà che ci vengono dagli uomini, ma come grazie che Dio ci fa, e se la sua bontà si degnasse dissipare dalla nostra mente la nebbia delle massime del mondo che che impedisce alla fede di far penetrare le massime sue fino in fondo alle anime nostre, avremmo ben altre idee e altri sentimenti; e quando si trattasse di soffrire le ingiurie e le persecuzioni, reputeremmo una gran fortuna esser calunniati e perseguitati. Ed infatti non è una fortuna ed uno stato beato?

- Ma come! esser calunniato e perseguitato, è una felicità? Quando si dirà che la Compagnia non fa nulla di buono, che è inutile alla Chiesa di Dio, che è piena di ignoranti, che più? se si passasse dalla meschinità alla perversità e, non contenti di dire che siamo povera gente senza istruzione, senza ingegno, inutili e oziosi, si giungesse fino ad intaccare i nostri costumi, dicendo che i missionari sono persone che non valgono nulla, e cose simili, non sarebbe una vera sventura che la Compagnia fosse così screditata?- No, signori, no, è una felicità e uno stato fortunato. Lo dice Gesù Cristo: Beati qui persecutionem patiuntur propter iustitiam.605 Notate queste parole: propter iustitiam, ossia facendo il bene ed essendo fedeli a Dio.

Quando una Compagnia, una casa o alcuni individui danno motivo al mondo di parlare o andare contro di loro, bisogna piegare la testa sotto la mano vendicatrice di Dio, il quale non lascia niente di impunito e castiga, prima o poi, i trasgressori della sua santa legge. In tal caso, signori, le contrarietà che il mondo fa soffrire , vengono da parte di Dio irritato; sono effetti della sua giustizia, e quelli che devono subirle hanno piuttosto motivo di piangere che di rallegrarsi, poiché hanno dato occasione a queste traversie, poiché gli uomini non sono altro che ministri della giustizia di Dio. Ma qu-ando la calunnia investe le persone che servono fedelmente Dio, il quale dà mano libera allo spirito maligno di vagliarli, come gli permise di affliggere il suo servo Giobbe, è una grande felicità e uno stato beato, poiché è un mezzo di cui Dio si serve per santifi-carli sempre di più.

Quando il medico ordina un rimedio per espellere i cattivi umori dal corpo, si dice che lo purga; e quando il giardiniere taglia i rami vivi di un albero fruttifero, si dice parimente che lo purga, con la differenza che il medico purga per togliere il male e il giardiniere purga e recide i rami vivi dell'albero, affinché portino più frutto e meno fronde. Nel medesimo modo, quando Dio manda le persecuzioni ad una Compagnia e permette che sia disprezzata e umiliata, perché la sua condotta non è quale dovrebbe essere, la purga. Può esservi eccesso e cattiva volontà da parte degli uomini; ma Dio, come un buon medico, intende con ciò togliere i cattivi umori da quel corpo, e rimettere in quella Compagnia e in quella casa il buon ordine; è una grazia che Dio fa loro, sebbene non si trovano in quelle fortunate condizioni di cui parliamo.

605 Mt 5,16.

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E se un'altra compagnia soffre da parte degli uomini, senza aver dato motivo di perseguitarla e di calunniarla, la pena che soffre non è effetto né conseguenza dei suoi disordini; è il giardiniere che taglia sul vivo, affinché l'albero produca più frutti che foglie. Questa Compagnia ha due gradi di virtù, Dio vuole portarla a quattro; ne ha quattro, vuole che ne abbia sei; e perciò adopera il ferro della calunnia e della persecuzione. E' uno stato felice ossia il possesso di una delle beatitudini evangeliche, perché, dicendo beatitudine evangelica s'intende lo stato e lo stabilirsi di una anima in una delle principali massime di Gesù Cristo secondo la quale compie atti eroici di virtù, nonostante tutte le difficoltà e le contrarietà che le capitano; s'intrattiene con gioia nelle lodi di Dio, invece di coltivare l'avversione e l'odio per coloro che la perseguitano; e invece di scoraggiarsi, rimane fedele e costante nella fedeltà al suo servizio. Questo stato si chiama beatitudine cristiana o evangelica, ossia l'inizio della felicità del cristiano e anticipo di una beatitudine che si compirà in cielo, perché posseduto, tale stato, in questa vita, lo corona la beatitudine eterna. Beati qui persecutionem patiuntur propter iustitiam, quoniam ipsorum est regnum caelorum.

Se dai contrari si possono trarre conseguenze opposte, non sarà lecito dire: «Disgraziate le Compagnie e le cose che vivono nella calma e hanno tutto quello che desiderano»? Sì, signori, tenete per massima che una Compagnia che non soffra nulla e che non sia soggetta alla persecuzione è prossima alla rovina, e che quando tutto le riesce ed ha tutto secondo i suoi desideri è allora che bisogna temere.

In considerazione di tali verità, aspettiamo con piè fermo le occasioni che Dio ci offrirà di esercitare la pazienza, e reputiamo gran favore se piacerà alla sua divina bontà che siamo calunniati e perseguitati. Ma non basta soffrire per la giustizia, bisogna sof-frire anche con quello spirito con il quale il Nostro Signore soffrì. Vediamo dunque in qual modo dovremo comportarci quando saremo calunniati e perseguitati, ed anche quando sarà usata prepotenza contro di noi; è il secondo punto.

Prima di tutto e sopra ogni altra cosa, dobbiamo disporci di buon'ora a ricevere questa grazia delle tribolazioni da parte del mondo, coll'approfittare fedelmente, delle piccole occasioni che Dio ci fornisce tutti i giorni: parole pungenti, contraddizioni e mormorazioni. E' necessario fare il tirocinio nelle cose più lievi per prepararsi a sostenere gli assalti più importanti e più aspri; perché quale speranza può esservi che una persona che si turba, si scoraggisce, o si sottrae alle cose più leggere, rimanga ferma e risoluta nel sostenere gli assalti più vigorosi?

Riteniamo in noi stessi, signori, e guardiamo come sappiamo profittare delle occasioni giornaliere che la sua divina Provvidenza permette ci capitano. Se siamo pusillanimi in esse, come sapremo sopportare pazientemente le grandi pene? Se non possiamo tollerare ora una parola dura e uno sguardo bieco, come riceveremo co serenità di volto, od anche con gioia, le calunnie, gli obbrobri e le persecuzioni? Esercitiamoci dunque, signori, su questo punto e correggiamo la nostra sensibilità nelle piccole circostanze, affinché Dio ci conceda la grazia di essere costanti e lieti nelle più grandi e più dolorose.

In secondo luogo quando verranno le calunnie e le persecuzioni, dovremmo praticare diligentemente quello che che la regola ci prescrive; essa parla chiaramente. Occorre, essa dice, chiudere la bocca per lasciarci sfuggire parole di maledizione, di impazienza o di recriminazione contro coloro che ci calunniano e perseguitano; obmutui et non aperui os meum; quoniam tu fecisti606. Non è giusto tacere, poiché queste prove ce le manda Iddio? Non è ragionevole accettare questa croce con sottomissione, poiché è il suo bene placito? Non dobbiamo anzi lodarlo e ringraziarlo delle persecuzioni che ci assalgono, poiché le permette per nostra santificazione?

606 Salmo XXXVIII,10.

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In terzo luogo, non basta chiudere la bocca alle parole di impazienza e di lamento contro chi ci perseguita e ci calunnia; non dobbiamo neppure difenderci, né a viva voce né per iscritto. - Ma come! mi dirà qualcuno, non sarà permesso giustificarci e disingannare coloro che fossero stati prevenuti contro di noi dalla calunnia? - No, signori, non posso dirvi altro che quello che è secondo lo spirito del Vangelo; pazienza e silenzio! sono questi i principi della ragione cristiana ai quali bisogna attenersi. - Ma alcune Compagnie della Chiesa di Dio fanno diversamente; scrivono e fanno scrivere apologie e manifesti per giustificare la loro condotta e conservare una buona reputazione fra il popolo; le biasimeremo noi per questo? - No davvero, ma da parte nostra ci atterremo al Vangelo e cercheremo soltanto d'imitare Nostro Signore. - Ma via! E le altre non sostengono il Vangelo e Nostro Signore? - Sì, ma esse in un modo e noi in un altro; tendiamo tutti ad un medesimo fine, per vie diverse. Nella vita mortale e passeggiera di Nostro Signore vi furono diversi stati, e la sua vita, secondo questi diversi stati, assume pure diverse attrattive; tutti questi stati sono santi e santificanti, sono tutti adorabili e tutti imitabili, ciascuno a suo modo. Le Compagnie che sono nella Chiesa di Dio considerano Nostro Signore diversamente, secondo le varie attrattive della grazia, secondo i lumi e le inclinazioni differenti che a Lui piacque dar loro, questa in uno stato, quella in un altro; e così l'onorano e l'imitano in diversi modi.

Ora, nella sua bontà e misericordia infinita, non volle darci altri inclinazioni ed altre attrattive, all'infuori della sua vita dolorosa, calunniata e disprezzata. Noi dobbiamo attenerci a questo e imitarlo nella sua abiezione, nei suoi obbrobrii, negli oltraggi e nelle persecuzioni che soffrì, e nel modo con cui li soffrì, ossia con pazienza e silenzio, ed anche con gioia e ardore.

- Ma ciò sarà un condannarci da noi stessi; il nostro silenzio sarà una tacita confessione, dopo la quale non potremo più sperare di ottenere alcun frutto presso il popolo.- C'inganniamo, signori, se fondiamo la buona riuscita dei nostri piccoli lavori sulla stima del mondo; è un abbracciar l'ombra e lasciare il corpo. La stima e la ri-putazione di cui parliamo non è altro che uno splendore che sgorga dalla buona e santa vita; la sua base e il suo sostegno è la virtù, la quale non può esserci tolta dalle calunnie, né dalle persecuzioni, se rimaniamo fedeli a Dio e ne facciamo buon uso.

La calunnia può produrre per qualche tempo un'eclissi nello splendore della virtù, ma la virtù rimane al medesimo grado; essa ricupererà tale splendore, quando piacerà a Dio dissipare le nubi che le impediscono di scoprirsi agli occhi degli uomini. Non turbiamoci dunque. Dio non permetterebbe che i suoi servi fossero calunniati e perseguitati, se le persecuzioni e le calunnie li rendessero inutili al suo servizio. Seguiamo, come figli, Gesù Cristo, nostro buon Padre, disprezzato, oltraggiato e vilipeso; non ci fermiamo alle massime del mondo sempre ingannatrici; Egli spia e sta in ascolto per vedere quello che diremo e quello che faremo nel tempo della persecuzione. Fino ad ora abbiamo sofferto molto poco; Dio, conoscendo la nostra debolezza, ci ha risparmiati. Oh! se ci rendesse degni di soffrire qualche cosa per il suo servizio! Oh! se volesse provarci per bene e vagliarci! Perché mi sembra necessario cavare sangue per diminuire questo calore che osservo nella Compagnia; quasi tutto va a nostro genio; abbiamo bisogno di qualche contrarietà che ci consolidi nella fiducia in Dio, nel distacco da noi stessi e in quella gioia piena, compagna di coloro che soffrono. Omne gaudium existimate, fratres mei, cum in tentationes varias incideritis607. Chi ci stabilirà in questa gioia perfetta, omne gaudium, ossia nella sorgente della vera gioia? Ciò vuol dire che tutti i motivi di gioia sono accumulati e racchiusi in una anima afflitta e perseguitata e la mettono in uno stato di beatificazione.

O Salvatore delle nostre anime, che ci avete chiamati a praticare le vostre massime e ad imitare la vostra vita abietta e disprezzata, concedeteci le disposizioni che vi piacerà

607 Gc. I,2.

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mandarci. Metteteci in quello stato di beatitudine che avete promesso alle persone afflitte e perseguitate. Fateci la grazia di rimanere costanti nella persecuzione, senza sfuggire né vacillare per gli assalti del mondo. Ve lo chiedo per il merito dei vostri patimenti».

209. CONFERENZA DEL 1659608 PRIVAZIONE IMPOSTA ALLA COMUNITA' IN CONSEGUENZA DEL GELO

DELLE VIGNE

Una volta, avendo il freddo tardivo gelato il grano e le vigne, il santo, parlando ai suoi, terminò il discorso con queste parole:

«Dobbiamo gemere sotto il grave peso dei poveri e soffrire con coloro che soffrono, altrimenti non siamo discepoli di Gesù Cristo. Ma che faremo altresì? Gli abitanti di una città assediata fanno ogni tanto la rivista di quello che hanno. Quanto grano abbiamo? si chiedono. Tanto. Quante bocche siamo? Tante. E su questo regolano il pane che ciascuno deve avere e dicono: «A due libbre il giorno possiamo arrivare fin là». E se vedono che l'assedio accenna a durare maggiormente e che i viveri diminuiscono, si riducono ad una libbra di pane, a dieci once, a sei e a quattro once per resistere più a lungo e non esser presi per fame. E in mare come fanno, quando una nave è stata sballottata dalla tempesta e trattenuta per vario tempo in qualche costa remota? Contano il biscotto, osservano le bevande e, se ne hanno troppo poco per arrivare al luogo dove vogliono andare, ne danno meno; più ritardano, più diminuiscono la porzione. Ora, se i governanti delle città e capitani delle navi fanno in questo modo, se la prudenza stessa richiede tal precauzione per non perire, perché non faremo altrettanto? Credete che i borghesi non tolgano qualche cosa ai loro pasti usuali e che le migliori famiglie, vedendo che la vendemmia è perduta per quest' anno, non risparmiano il vino, per timore di non averne a sufficienza l'anno prossimo? Ieri alcune persone di città e ragguardevoli, trovandosi qui, mi dissero che la maggior parte delle case avrebbero tolto interamente il vino ai domestici; si dirà loro: «Provvedetevi, non c'è più vino qui, altro che per il padrone».

Queste cose, fratelli, ci fecero pensare a quello che dovevamo fare, e io riunii ieri i preti anziani della Compagnia per avere il loro parere; infine abbiamo trovato opportuno ridurci ad un quarto di litro per pasto, durante quest'anno. Dispiacerà ad alcuni che credono aver bisogno di bere un poco di vino: ma essendo abituati a sottomettersi agli ordini della Provvidenza ed a dominare i loro appetiti, faranno buon uso di questo dispiacere, come fanno delle altre occasioni di mortificazione, di cui non si lamentano. Altri si lagneranno forse perché sono avidi di soddisfazioni: spiriti carnali, persone sensuali e inclinate ai piaceri, che non vogliono perderne alcuno e mormorano di tutto quello che non è di loro gusto. O Salvatore, liberateci da questo spirito di sensualità».

210. CONFERENZA DEL 5 AGOSTO 1659609

SULLA TEOLOGIA MORALE, LA PREDICAZIONE, IL CATECHISMO E L'AMMINISTRAZIONE DEI SACRAMENTI

«Signori, non faremo oggi la ripetizione, ma ci accorderemo tra noi sopra un altro argomento, utilissimo per la Compagnia; rimetteremo dunque ad altra volta la ripetizione dell'orazione, che, come sapete, signori, è uno dei mezzi maggiormente necessari per infiammarci gli uni gli altri alla pietà. Abbiamo dunque il dovere di

608 Abelly, op. cit., 1. III, cap. XXIV, sez. II.609 Manoscritto delle Conferenze.

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ringraziare Dio per questa grazia concessa alla Compagnia e possiamo dire che questa pratica non è mai stata in uso in alcuna comunità, all'infuori della nostra.

Mi preme dirvi, signori che come voi vedete che c'è un seminario a S.Sulpizio, a S.Nicola e ai Buoni Fanciulli, così bisogna cercare di metterne uno a S.Lazzaro, voglio dire praticar qui le medesime cose che si fanno colà, affinché ognuno sappia come comportarsi nei seminari, in modo che se vi fosse destinato, sappia come regolarsi per riuscire in tal direzione. Credo che la maggior parte dei presenti non abbia mai visto tutti questi esercizi; perciò dato che resta un po' di tempo prima dell'ordinazione, lo spenderemo utilmente a questo fine.

Noi pratichiamo qui alcune cose comuni con i seminari, come la ripetizione dell'orazione e le conferenze su qualche soggetto di pietà, che ci servono per intrattenerci un giorno della settimana. Il canto e la teologia morale, insegnati parimente nei seminari, sono per grazia di Dio, in uso in questa casa, ma forse non nello stesso modo; e quanto alle prediche e ai catechismi, sapete che ne facciamo una professione particolarissima; è stata sempre consuetudine della Compagnia, di prendere un po' di tempo dopo le missioni per esercitarsi a predicare; se vi abbiamo mancato è stato per colpa mia; prego Dio di perdonarmelo, miserabile che sono! Dio sia lodato! pratichiamo dunque le stesse cose dei seminari, ma ve ne sono alcune nelle quali noi non ci esercitiamo, come sarebbe l'amministrazione dei sacramenti, la spiegazione del metodo e del modo di fare il catechismo e la teologia morale, la quale, per dire la verità, s'insegna qui, ma lato modo, più estesamente: aggiungetevi anche le rubriche del breviario e del messale. Il buon signor Bourdoise, ora defunto, fu il primo a cui Dio ispirò di fare un seminario per insegnarvi tutte le rubriche. Prima di lui, nessuno sapeva che fossero; non vi erano luoghi particolari dove s'insegnassero; un individuo dopo aver fatto il corso di teologia, di filosofia, dopo studi minimi, dopo un po' di latino, andava in una parrocchia e amministrava i sacramenti a modo suo; di una gran diversità tra l'uno e l'altro. Ma, per misericordia di Nostro Signore, si vede oggi tutto il contrario. E per dire la verità, non so, signori, come molti di noi se la caverebbero, qualora fossero chiamati a battezzare. Domandai l'altro giorno ad uno della Compagnia come si comporterebbe in una certa circostanza. «Vi assicuro, signore, mi rispose, che non so come farei». Quanto a me, sebbene sia stato parroco, mi troverei ora molto imbarazzato. Questo ci ha fatto prendere la determinazione di spendere il tempo che ci rimane prima della ordinazione per fare tutti gli esercizi di un seminario.

Ci occuperemo dunque della teologia morale, delle prediche familiari, del catechismo e dell'amministrazione dei sacramenti; e siccome temo di non aver tempo sufficiente per le rubriche e il canto, potremo lasciarli da parte.

Per materia della morale prenderemo le Conferenze agli Ordinandi610 tanto più che se ne avvicina il tempo; si impareranno a memoria e se ne farà una breve spiegazione,

610Le Conferenze agli Ordinandi non sono mai state stampate. Prima del 1789 se ne conservava un esemplare nella biblioteca della casa di S. Lazzaro, e un altro in quella del seminario di S. Sulpizio. Uno dei manoscritti della biblioteca di Beaune (ms. 85) ha per titolo Entretiens des Ordinands sur les matières de dévotion. L'ordine seguito corrisponde abbastanza esattamente al piano delle Conferenze agli Ordinandi di S. Lazzaro quale ce lo fa conoscere Abelly (op. cit., 1. II, sez. III); la calligrafia sembra quella del copista al quale Giovanni Bonnet, superiore generale, affidò la cura di trascrivere gli Actes de fondation delle case della Congregazione della Missione negli in-foglio conservati negli archivi nazionali, sotto le indicazioni MM 534, 536, 537, 538 e 539. Certe confusione del copista dimostrano che il manoscritto di Beaune è la riproduzione di un manoscritto più antico. Queste osservazioni c'inducono a concludere con ogni probabilità che la Conferenza agli Ordinandi, in uso a S. Lazzaro al tempo di S. Vincenzo, ci sono conservate nel ms. 85 della biblioteca di Beaune. La biblioteca Santa Genoveffa a Parigi ne possiede un secondo esemplare (ms. 2946).

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non disputativo modo, instructivo. Vi dirò che sul principio della Compagnia non si usavano altro che le dette Conferenze. I vescovi di Boulogne611 e di Alet,612 don Olier ed altre persone si riunirono per alcuni giorni per vedere quello che fosse necessario per i signori ordinandi; composero dunque queste Conferenze che abbiamo; le trovarono sufficienti e non ci siamo serviti mai d'altre materie. Ho domandato altre volte ed anche a dottori della Sorbona, se un sacerdote, che possedesse bene dette Conferenze, avesse potuto confessare nei villaggi e altrove; mi risposero che sarebbe capace di confessare anche a Parigi, sì, a Parigi. Perciò daremo copia delle Conferenze agli studenti di teologia e ai sacerdoti del seminario; intendo a quelli che vi sono per lo meno da due mesi, perché gli altri devono attendere ad acquistare lo spirito e a distaccarsi dal mondo.

Prego il signor Cruoly, che insegna morale, ma non nel modo che diciamo, sebbene faccia benissimo diversamente, di darsi a Dio per far ripetere brevemente queste Conferenze agli studenti e ai sacerdoti del seminario, spiegando loro le parole e le cose che non intendono. Potremo prendere una di queste Conferenze, o la metà, ogni giorno. Questo studio servirà per formare quelli che ne hanno bisogno. Ho sentito dire tempo addietro che una persona che conoscesse bene la Istituzioni613, avrebbe un'idea di tutto quello che si riferisce giurisprudenza e che potrebbe servirsene per regola, finché non avesse fatti maggiori progressi; parimente chi conoscesse bene le Conferenze avrebbe già un buon fondamento, per non dire abbastanza sicurezza, per servirsene nelle accademie.

Quanto alla amministrazione dei sacramenti, pregherò il signor Admirault, che è stato ai Buoni Fanciulli, ed ha insegnato molto queste materie, di assumerne l'incarico; non gliene ho ancora parlato, ma credo che, nonostante le sue infermità, potrà farlo, trattandosi più di mostrare la pratica di parlare.

Per la predicazione ci riunivamo nei primordi della Compagnia, e i vescovi di Boulogne e di Alet con don Olier vi assistevano; veniva proposto come argomento una virtù o un vizio; ciascuno prendeva carta e calamaio e scriveva le ragioni per fuggire il vizio o seguire la virtù, e poi si cercavano le definizioni e i mezzi; infine si raccoglieva tutto quello che era stato scritto e se ne componeva una conferenza. Non si adoperavano libri; ciascuno lavorava con la sua testa. Il signor Portail, dopo aver raccolto da una parte e dall'altra quello che fu detto allora e fu esposto in seguito in altre conferenze fatte nella Compagnia, compose un metodo facile per predicare utilmente e fare i grandi catechismi aggiungendovi pure del suo614. Egli ne farà la spiegazione, ma siccome ha qualche incomodo alla lingua e d'altronde il signor Alméras non può sempre parlare a causa del suo male che l'obbliga a nutrirsi, come voi sapete, si aiuteranno scambievolmente.

Il tempo che potremo fissare per la teologia, sarà la mattina dalle otto alle dieci; e per la spiegazione del metodo di predicare, fare il catechismo e amministrare i

611 Francesco Perrochel.612 Nicola Pavillon.613 Le Istituzioni di Giustiniano.614 In una delle sue circolari, Giovanni Bonnet, Superiore generale, parlava così nel 1712 del lavoro di Antonio Portail. "Nel 1652 e 1653, egli (il signor Vincenzo) fece fare le conferenze a S. Lazzaro alle quali assistette per quanto gli fu possibile, e vi fece raccogliere tutto quello che lui stesso, il signor Portail, suo primo compagno, e gli altri antichi missionari stimavano più conveniente per rendere il nostro modo di predicare solido, chiaro e facile allo stesso tempo. Il defunto signor Portail ne compose un abbastanza grosso volume in-folio che abbiamo in questa casa. Ma nel 1666 il defunto signor Alméras..., considerando che questa raccolta... era troppo prolissa e poiché persone avrebbero avuto la comodità di leggerla, compilò un compendio di questo piccolo metodo di predicare".

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sacramenti, sarà dopo i vespri ogni pomeriggio. Dunque faremo due cose: 1° l'amministrazione dei sacramenti; 2° la spiegazione del metodo di predicare oppure ci eserciteremo nel fare il piccolo catechismo.

Ecco, signori, quello che cercheremo di fare; e quantunque forse sappiamo già queste cose, tuttavia è bene rinfrescarne la memoria; e poi non sappiamo forse tutto quello che dobbiamo sapere. Se si offrisse l'occasione d'illuminare un ugonotto sulle sue difficoltà, ci troveremmo assai imbarazzati, almeno io, che sono un povero miserabile scolaretto di quarta; se incontrassi un ministro che mi fa le sue obiezioni, vi confesso che sarei ben imbrogliato. A proposito vi dirò che essendo in missione con il signor de la Salle, gran missionario di cui il defunto monsignor di Beauvais615 diceva non aver mai visto una persona più abile di lui nel ragionare, questo buon signore, essendo a Villiers-le-Bel, trovò una donna che gli chiese di confessarla, e lo pregò di risolvere prima alcune difficoltà che aveva, mi pare, sulla presenza reale del Santissimo Sacramento o sulla Comunione sotto le due specie. Siccome aveva studiato soltanto la filosofia e qualche altra cosa, si trovò molto impacciato. Avendomelo confidato, facemmo alcune conferenze su tali materie, e Dio ci fece la grazia di risolvere tutte le difficoltà che ci potevano proporre. Qual buon signore aveva ricevuto da Dio la grazia di convincere di tutto quello che voleva. Se la sua divina bontà si degnasse concederci una grazia simile, oh! signori, quanto saremmo felici! E' qualche cosa fare conferenze sulle prediche e il catechismo, ma quello che più conta è la pratica; è ciò che coi faremo per grazia di Dio.

Mi ricordo di quello che mi scrisse il signor Chrétienne616 rispetto agli ugonotti che tengono la loro adunanza e al tempo stesso la benedizione che Dio si degna dare ai cattolici per combatterli; egli racconta cose consolantissime; lo farò leggere in refettorio. Gli ugonotti si riuniscono dunque tutti gli anni per il loro sinodo e sono in numero di ottanta e qualche volta di centoventi. Tutti i giorni uno di loro predica, durante il tempo dell'adunanza, su qualche punto di controversia. Monsignor di Cahors617, benché non potesse far nulla contro di essi non avendo giurisdizione in quella diocesi, tuttavia vi andò, perché era la diocesi del suo suffraganeo618, e si servì dell'autorità del vicario generale del suo suffraganeo, pregandolo di accompagnarlo. Vi condusse alcuni ecclesiastici per tenervi una missione. Hanno con loro anche un buon uomo di mestiere calzolaio619, che voi avete visto qui, che li accompagna e a cui Dio ha dato grazie straordinarie per convertire gli eretici: questo brav' uomo, dopo le prediche dei missionari, fa una conferenza e lancia una sfida ai ministri, quando escono dalle loro sedute.

Non avete ammirato, signori, lo zelo di queste buone persone che, per imparare le controversie , sono tanto assidue e puntuali nell'assistere alle conferenze tenute tutte le settimane a Parigi? Quel calzolaio è una di queste. La signora duchessa d'Aiguillon l'ha mandato nei suoi possessi per conservare i suoi sottoposti nella religione. Egli aveva aveva una bottega a Parigi e la signora duchessa gli domandò quanto guadagnava all'anno; avendole egli risposto 400 lire, essa gliene offrì altrettante se voleva andare a lavorare ad Aiguillon; cosa che accettò volentieri cedendo la bottega a suo fratello. Dio si compiace comunicargli tante grazie, che tutti i giorni lancia una sfida ai quei ministri, i quali non osano comparire alla sua presenza, ed è chiamato, perciò, scacci-ministri. Il

615 Agostino Potier.616 Superiore della casa di La Rose, vicino ad Agen.617 Alano di Solminihac.618 Nicola Sevin, vescovo di Sarlat.619 Forse Claudio Leglay <<semplice artigiano che viveva del suo mestiere>>, tanto abile nelle controversie, <<che si credette bene spingerlo a lasciare la sua bottega perché vi si consacrasse senza riserva>>. (Monier: Vie de Jean-Jacques Olier, t. I, pag. 399).

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signor des Isles620, che ha studiato la filosofia e che abbiamo veduto quì lavorar con lui tanto bene, l'accompagna. Essi sfidano insieme i ministri, dimodoché questi, che prima ci assalivano, si vedono ora assaliti da noi, ed anche da persone senz'altro studio all'infuori di quello della Scrittura. Sono grazie gratuite, proprie degli ecclesiastici, che Dio comunica a questi secolari. L'esito che questo buon calzolaio ottiene lo fa chiamare da tutto il paese, come vi ho detto, scaccia-ministri.

Abbiamo ben divagato, signori. A che punto siamo? Torniamo al nostro argomento, ve ne prego. Eravamo rimasti che avremmo parlato del metodo di predicare e di fare il catechismo; ma avremmo fatto poco se non mettessimo in pratica la teoria; e certamente ne abbiamo obbligo maggiore, perché capitano occasioni considerevo-lissime alla Compagnia che ci costringeranno a servirci non solo dei sacerdoti già formati, ma anche di quelli che non sono ancora addestrati, come si deve, a questo ministero. Cercheremo dunque di metterci in condizioni d'insegnare queste cose a coloro che ci saranno affidati dai reverendissimi vescovi. Farete sbagli o non ne farete? Ne farete, mi rispondete, perché non siete predicatori eminenti come gli altri, che hanno un vero talento per la predicazione.

Il beato vescovo di Ginevra manifestò il desiderio che, dopo la sua morte, il suo corpo fosse dato ad un chirurgo per farne l'anatomia, affinché, diceva egli, non avendo servito nulla in vita, servisse almeno dopo la sua morte a qualche cosa. Ebbene! i vostri sbagli serviranno per correggere gli altri ed impedire che vi cadano, oppure per dar rilievo alla predicazione più perfetta. In ogni modo la vostra confusione vi servirà a qualche cosa; credetemi, l'orgoglio soltanto può farvi cercare delle scuse.

Sapete che non c'è nulla che faccia meglio risaltare la bellezza di un quadro, i suoi colori e le sue diverse figure che vi sono rappresentate, in una parola, la bellezza del colorito, come le ombre; e nella musica vi si mescolano dissonanze per renderla armoniosa! In pari modo gli sbagli serviranno a far vedere la predicazione in tutto il suo splendore. Se c'è qualcuno a cui Dio abbia dato un talento particolare, alla buon' ora! bisognerà sforzarci d'imitarlo. Ci offriremo a Nostro Signore per predicare, sacerdoti e studenti; parlo dei sacerdoti anziani; poiché, quanto a voi, fratelli, che siete in filosofia non è ancora giunto il vostro tempo; daremo le prediche bell'e fatte a quelli che non potessero comporle o non ne avessero il tempo, perché le imparino a mente. Facciamo così per vedere l'intelligenza e le attitudini di ciascuno. Nessuno dovrà esonerarsi da questo esercizio; e credetemi, non c'è che l'orgoglio che possa indurre una persona a volersene dispensare. Bisogna cooperare dunque tutti, da parte nostra, a questo esercizio. So bene che il signor Portail non lo potrà, a causa delle difficoltà che ha nel parlare; il signor Alméras, a causa della sua infermità; il signor Bécu, a causa delle sue mani, e non della sua testa perché è ottima; il signor Bourdet, a causa della sua debolezza, ma tutti gli altri, sì; e io, povero porcaro che sono, comincerò per primo, non sul pulpito perché non posso salirvi, ma in qualche conferenza, in cui tratterò alcuni punti della regola od altri argomenti.

Ma quando cominceremo? Oggi? No, domani. E perciò gli studenti e i sacerdoti del seminario potranno prendersi un po' di sollievo, per cominciar meglio; anche gli anziani lo potranno, se lo vogliono. Domani, dunque, alle otto e mezzo; prego, a tale scopo, il signor Alméras di dare le copie delle Conferenze agli studenti e ai sacerdoti del seminario. Ci aduneremo nella sala di S. Lazzaro. E al pomeriggio, dopo i vespri, cominceremo l'esercizio dell'amministrazione dei sacramenti, ecc. Quanto alle prediche, si faranno in tempo di pranzo e di cena; anzi anticiperemo la cena di una mezz'ora a

620 Nicola des Isles, autore di Apologie des disputes et du procédé des catholiques. Paris 1656, in-8.

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causa degli esercizianti. Vedremo se sarà opportuno che vi assistano quei signori sacerdoti621.

Ecco, signori, di che cosa ci occuperemo da qui all'ordinazione. Che ci rimane, se non di umiliarci davanti a Dio? Perché egli dà le sue grazie agli umili. Ma per riuscire che faremo? Umiliarci, signori, umiliarci e chieder quindi la sua grazia a Dio, perché tutto dipende dalla sua bontà e misericordia, senza la quale non possiamo nulla. Prego i fratelli di ascoltare, con questa intenzione, la Santa Messa e i sacerdoti di offrire il Santo Sacrificio. E' quanto faremo>».

211. CONFERENZA DEL 22 AGOSTO 1659SULLE CINQUE VIRTU' FONDAMENTALI(Regole comuni, cap. II, art. 14).622

Sebbene dobbiamo fare quanto ci è possibile per osservare tutte le massime evangeliche, come sante e utilissime, tuttavia essendovene alcune a noi più confacenti delle altre, ossia quelle che raccomandano in modo speciale la semplicità, l'umiltà, la mitezza, la mortificazione e lo zelo delle anime, la Congregazione ne farà uno studio particolare, in modo che queste cinque virtù siano come le facoltà dell'anima di tutta la Congregazione e le azioni di ciascuno ne siano sempre animate.

«Ecco, carissimi fratelli, l'argomento della nostra conferenza. Copritevi il capo, ve ne prego; io lo terrò scoperto per mia comodità.

Divideremo l'argomento secondo il nostro metodo, nei tre punti che, di solito, si trovano nelle nostre prediche. Nel primo, vedremo i motivi e le ragioni che abbiamo di darci a Dio per infervorarci di nuovo nella pratica delle massime evangeliche, secondo quello che vi fu detto qualche tempo fa.

Nel secondo punto faremo vedere quali sono le regole e le massime più attinenti e più adatte alla nostra vocazione; nel terzo parleremo dei mezzi. E tutto a maggior gloria di Dio e per la santificazione delle anime nostre.

Il primo motivo, carissimi fratelli, o la prima ragione di darci a Dio per osservare le massime evangeliche, è a causa del loro autore, che è Nostro Signore Gesù Cristo, il quale, venuto dal cielo in terra per annunziare la volontà di Dio suo padre ed insegnare agli uomini quello che dovevano fare per essergli più accetti, consigliò loro le massime evangeliche. Fu dunque il Figlio di Dio che, sceso dal cielo per guidarci al Padre suo e istruirci su quello che Egli esigeva da noi per essergli più accetti, ci annunciò questa massima. Vedete da ciò, fratelli, com'Egli ne sia l'autore; ed ecco la prima ragione.

La seconda è che Egli le osservò, come fu evidente agli occhi del cielo e della terra; e tutti quelli che ebbero la felicità di conversare con Lui durante la sua vita mortale, lo videro osservare fedelmente le massime evangeliche. Questo è stato sempre il suo scopo, la sua gloria e il suo onore; e non dovendo aver noi altra intenzione all'infuori di seguire Nostro Signore e conformarci interamente a Lui, ne segue che questo solo deve bastare a spingerci alla pratica dei consigli evangelici.

La terza ragione si trae dall'essere la creatura... Non è questo che volevo dire; dovevo spiegarvi che i motivi si traggono dalla santità e dall'utilità delle regole e massime evangeliche. Che siano ben sante lo arguisco: primo dall'averle praticate il Santo dei santi stesso; in secondo luogo lo si deduce dalla natura stessa della santità. Che poi siano utilissime è di per se stesso evidente.

I motivi dunque devono prendersi dalla natura della santità e dall'utilità delle massime. Vediamolo, ve ne prego. Che cos'è la santità? E' il distacco e l'allontanamento

621 I sacerdoti di Chandenier, ospiti di S. Lazzaro.622 Manoscritto delle conferenze.

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dalle cose della terra, e, in pari tempo, un amore verso Dio e un'unione alla divina volontà. La santità mi sembra consista in questo. E che cosa può allontanarci dalla terra o unirci al cielo, quanto le massime evangeliche? Perché esse sono fatte appunto per distaccarci dalle ricchezze , dai piaceri, dagli onori, dalla sensualità e dalle proprie soddisfazioni; esse mirano a questo ed è il loro fine. Perciò, dire che una persona osserva le massime evangeliche, equivale a dire che è nella santità; perciò dire che una persona le pratica, equivale a dire che ha la santità, perché la santità, come abbiamo veduto, consiste nel distogliere l'affetto dalle cose della terra e nell'unione con Dio; ed è inconcepibile che una persona osservi le massime evangeliche e non sia distacca dalla terra e unita al cielo.

Il secondo motivo, che è l'utilità, si trae dalla pratica delle massime evangeliche. Le persone che cominciano a praticarle, che fanno? Si liberano da tre potenti nemici, il primo dei quali è la passione delle ricchezze; il secondo la passione dei piaceri; e il terzo la passione della libertà. Ecco, fratelli, lo spirito del mondo che oggi regna tanto imperiosamente da poter dire che totus mundus in hoc positus623, che tutto lo studio dell'uomo mondano è di procacciarsi ricchezze, piaceri e fare la propria volontà. Ecco quello che si cerca, ecco dietro a che cosa si corre. Facilmente uno s'immagina che la beatitudine in questo mondo consista nell'accumular ricchezze, procacciarsi piaceri e vivere secondo il proprio capriccio. Ma ahimè! chi non sa che avviene il contrario e chi ignora che colui che si lascia governare dalle passioni ne rimane schiavo? Chi serve il peccato, dice la Scrittura, è schiavo del peccato; a quo quis superatus est huius et servus est624; e chi è schiavo del peccato è schiavo del demonio. Una persona che rimanga in questo stato, voglio dire che non abbia acquistato il dominio delle sue passioni, può e deve credersi figlia del diavolo. Al contrario, coloro che si distaccano dall'affetto dei beni terreni, dalla cupidigia dei piaceri e dalla propria volontà diventano figli di Dio e godono una perfetta libertà; poiché essa si trova soltanto nell'amor di Dio. Sono queste, fratelli, le persone libere, che non hanno legami, che volano, vanno a destra e a sinistra, che volano sempre più in alto, senza che nulla le fermi, e non sono mai schiave del demonio né delle loro passioni. Oh! fortunata libertà dei figli di Dio!

Ma che! può esservi cosa più utile della libertà? Una massima dice che bisogna comprare la libertà a prezzo d'oro e d'argento e perder tutto per possederla. Orbene, fratelli, essa si trova in modo eminente nella pratica dei consigli evangelici. Queste massime si riducono a tre punti: all'amore della povertà, alla mortificazione dei piaceri e alla sottomissione alla volontà di Dio. Esse pongono una persona nella libertà cristiana. Eravate, qualche tempo fa, schiavi delle vostre passioni; l'attaccamento alle ricchezze, ai piaceri e alla vostra volontà si era reso padrone della vostra persona; eccovi ora liberi in virtù di queste massime; né il mondo con i suoi incanti, né la carne con i suoi piaceri, né il demonio con i suoi artifici, possono tenervi prigionieri, perché l'amore della povertà, la mortificazione dei vostri piaceri e la sottomissione alla volontà di Dio vi fanno trionfare. Ecco la forza e la potenza delle massime evangeliche, tra le quali, essendo molto numerose, scelgo principalmente quelle più adatte ai missionari. E quali sono? Ho sempre creduto e pensato che fossero la semplicità, l'umiltà, la mansue-tudine, la mortificazione e lo zelo.

1° La semplicità consiste nel fare tutte le cose per amore di Dio, e non avere altra mira, in tutte le propie azioni, che la sua gloria. Ecco propriamente che cos'è la semplicità. Tutti gli atti di questa virtù consistono nel dire le cose semplicemente, senza doppiezza né astuzia; andar dritti dinanzi a sé, senza tergiversare né cercare raggiri. La semplicità dunque consiste nel fare tutte le cose per amor di Dio, non ammettendo mescolanza alcuna, perché la semplicità esclude qualunque composizione. Perciò, non

623 1 Gv 5,19.624 2 Pt 2,19.

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trovandosi in Dio alcuna composizione, diciamo che è atto purissimo e semplicissimo. Dobbiamo dunque bandire ogni mescolanza per aver di mira Dio soltanto. Ora, fratelli, se vi sono persone al mondo che devono avere questa virtù, sono i missionari, perché tutta la nostra vita è dedita agli atti di carità o verso Dio o verso il prossimo. Ed in ambedue i casi, bisogna comportarsi semplicemente, di modo che se dobbiamo fare cose che si riferiscono a Dio e dipendano da noi, bisogna fuggire le ricercatezze, perché Egli non si compiace e non dà le sue grazie se non alle anime semplici. Se si tratta del prossimo, dovendo noi assisterlo materialmente e spiritualmente, buon Dio!, quanto bisogna stare attenti a no dimostrarci circospetti, accorti, scaltri, e soprattutto a non dir mai una parola a doppio senso! Ah! come un missionario deve astenersene!

Sembra che Dio abbia voluto, in questi tempi, che una Compagnia avesse tal virtù, perché il mondo è immerso nella doppiezza. A stento si trova oggi un uomo che parli come pensa: il mondo è talmente corrotto che da ogni parte non si vede altro che artificio e finzione; e ciò s'infiltra anche - lo dirò?- s'infiltra attraverso le grate. Se c'è una comunità che debba far professione di semplicità, è la nostra, perché, vedete bene, fratelli, la doppiezza è la peste del missionario; la doppiezza è la peste del missionario; la doppiezza gli toglie il suo spirito; è il veleno e il tossico della Missione, non esser sinceri e semplici agli occhi di Dio e degli uomini. La virtù dunque della semplicità, miei fratelli, la semplicità, miei fratelli, la semplicità miei fratelli, ah! quanto è bella!

Nella Conferenza del martedì, composta dai signori ecclesiastici esterni, abbiamo parlato, qualche volta, nei nostri trattenimenti, dello spirito di questa Compagnia; la maggior parte e quasi tutti riconoscevano che lo spirito di semplicità vi era palese. E' vero. Chiunque vedesse come essi si comportano,direbbe che la semplicità vi regna, perché ognuno riferisce semplicemente e davanti a Dio quello che ha pensato sull'argomento proposto. Che se propter quod unum tale, et illud magis tale 625; quanto, a più forte ragione, noialtri, che abbiamo dato origine a questa Compagnia, siamo obbligati ad avere la virtù della semplicità. Vergogna della Missione, addio spirito della medesima, se no ha lo spirito della semplicità! Debbo raccontarvi quello che mi ha detto un gentiluomo? Egli mi diceva: «Vedete, signore, quando parlo, dico le cose come sono; se c'è qualche circostanza da tacere, taccio». Orbene, che cos'è questo, se no la pratica della virtù della semplicità? Questo gentiluomo è una delle più belle intelligenze che io conosca nella sua condizione, egli torna dall'ambasciata di Venezia. «Se ho da parlare, mi diceva, dico quello che so; altrimenti taccio». Ed eco come parla un ambasciatore di Venezia, incaricato di trattare con tutti i grandi. La semplicità! ah! quanto è mirabile questa virtù! O mio Dio; concedetecela.

La seconda massima è l'umiltà; per essere accetti a Dio, non basta essere semplici, ma è anche necessario essere umili. L'umiltà dunque, che consiste nell'annientarsi davanti a Dio, e nel distruggere se stesso per mettere Dio nel proprio cuore, nel non cercare la stima e la buona opinione degli uomini, e nel combattere continuamente tutti i moti della vanità. L'ambizione spinge una persona a farsi valere, a cercare una buona reputazione, in modo che si dica: «Eccola!». L'umiltà fa che ella si annienti, affinché Dio solo comparisca ed a Lui vada tutta la gloria. L'umiltà ci fa desiderare di essere disprezzati, che nessuno faccia conto di noi e che tutti ci ritengano per miserabili; essa ci suggerisce sempre: «L'onore e la gloria a Dio solo, che è l'Essere degli esseri!». Scolpisce nella mente questi sentimenti: «Rinunzio alla gloria, rinunzio all'onore, rinunzio infine a tutto quello che può fomentare la mia vanità, perché, purtroppo, io non sono altro che polvere e corruzione. Voi solo, mio Dio, dovete regnare, e se fosse in mio potere l'avere qualche cosa che non fosse in Voi, o mio Dio, me ne spoglierei volentieri per darvela ed annientarmi in me stesso». Questi sono i diversi affetti

625 Quello che dà ad una cosa il suo modo d'essere, possiede quel modo d'essere ad un più alto grado.

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prodotti dall'umile e che i missionari dovrebbero avere; ma ci accorgiamo, alla luce dell'alto, che siamo ben lontani dal non voler essere né stimati né conosciuti.

Ecco la seconda massima assolutamente necessaria ai missionari; perché, ditemi, come potrà un orgoglioso adattarsi alla povertà? Il nostro fine è il povero popolo, gente rozza; ora, se non ci adattiamo ad esso, non potremo giovargli in nulla; il mezzo per poterlo fare è l'umiltà, perché, mediante l'umiltà, ci annientiamo e ci stabiliamo in Dio, Essere supremo. Factus sum sicut iumentum apud te626. L'umile si considera, dinanzi a Dio, come una bestia. Ma durus est hic sermo627; è vero; tuttavia dirò che è uno stato necessario alla Missione, altrimenti abbiamo motivo di temere che ci manchi lo spirito di un vero missionario.

La terza massima è la mansuetudine, che si riferisce all'interno e all'esterno, a ciò che è dentro e a ciò che è fuori della casa; mansuetudine verso di noi, mansuetudine nel sopportare il prossimo, perché, vedete, fratelli, e mi sembra sia stato detto in una predica, un missionario ha bisogno di sopportare molto fuori di casa. Povera gente che viene a confessarsi, tanto rozza, tanto ignorante, tanto ottusa e, per non dire, tanto bestia, che molti non sanno quanti dei vi sono, quante persone in Dio; fateglielo ripetere cinquanta volte e li troverete alla fine tanto ignoranti quanto al principio. Che cosa farà una persona che non abbia la pazienza di sopportare le loro rustichezze? Nulla; anzi, maltratterà quei poveretti che si distingueranno e non vorranno più tornare ad imparare le cose necessarie alla salvezza eterna. Sopporto dunque.

Mi ricordo, in proposito, che confessando una persona (possiamo riferire, fratelli, le cose udite anche in confessione, quando si tratta di persone già morte, non conosciute e che non possono essere conosciute da quelli con cui si parla), questa creatura mi diceva: «Basta, signore, sbrigatevi». Credendo che non l'udissi, mi tirava per la cotta e mi ripeteva: «Signore, sbrigatevi, finite, me n'avete detto abbastanza». Vi assicuro che non pensava affatto a quello che dicevo, ma alle sue faccende.

Quanta pazienza ci vuole in tali circostanze! E se un missionario ne è privo, che farà? Mi scrivono che i nostri confratelli lavorano con molte benedizioni sui monti del regno di Napoli e gli abitanti di là sono zotici e intrattabili; è il paese dei briganti. Ora, com'è possibile ottenere qualche risultato tra quella gente,senza questa virtù? La mitezza dunque e il sopporto sono necessari tra noi e per servire il prossimo. O Salvatore, che bell'esempio ci avete dato, sopportando i vostri apostoli che mormoravano e si contendevano i primi posti! Ah! fratelli, qual sopporto il Nostro Signore che vedeva che lo avrebbero abbandonato, che il primo di essi doveva rinnegarlo e che l'infedele Giuda l'avrebbe tradito! Dopo un esempio simile, potrà un missionario non cercare di acquistare questa virtù?

Ecco, fratelli, le tre massime evangeliche più conformi al nostro stato: la prima è la semplicità che si riferisce a Dio; la seconda è l'umiltà che si riferisce alla nostra sottomissione; per mezzo di essa siamo un olocausto a Dio, a cui dobbiamo tutto l'onore e in presenza del quale dobbiamo annientarci e fare in modo che Egli prenda possesso di noi; la terza è la mitezza, per sopportare il prossimo nei suoi difetti. La prima si riferisce a Dio, la seconda a noi stessi e la terza al prossimo.

Ma il mezzo di acquistare queste virtù è la mortificazione, la quale toglie tutto quello che potrebbe impedirci d'acquistarle. Ed infatti, se non siamo animati dallo spirito di mortificazione, come vivremo insieme? Non ci sarà sempre da ridire? Non c'è sempre qualcosa che ci urta nelle diverse circostanze in cui ci troviamo? Senza la mortificazione ci si troverà in un continuo puntiglio. E' tanto necessaria questa virtù, che non potremmo vivere, lo ripeto, non potremmo vivere gli uni con gli altri, se i nostri sensi interni ed esterni non sono mortificati; e non solo è necessaria tra noi, ma

626 Sal LXXII, 23.627 Gv 6,61.

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anche in mezzo al popolo, dove c'è dato da sopportare. Quando andiamo in missione, non sappiamo dove alloggeremo né cosa faremo; accadono cose tutte diverse da quelle che ci eravamo proposte, perché la Provvidenza rovescia spesso i nostri progetti. Chi non vede dunque che la mortificazione deve essere in separabile da un missionario, non soltanto nelle relazioni con il povero popolo, ma anche con gli esercizianti, ordinandi, forzati e schiavi? Se non siamo mortificati, come soffriremo quello che c'è da soffrire nei diversi uffici? Il povero signor Le Vacher, del quale non abbiamo notizie e che si trova tra poveri schiavi, in pericolo di contrarre il contagio della peste, e probabilmente anche suo fratello, quei missionari possono vedere soffrire le pene che sopportano le persone affidate a loro dalla Provvidenza, senza risentirne in se stessi? Non ci illudiamo, fratelli, i missionari hanno bisogno di mortificazione.

Lo zelo è la quinta massima, che consiste in un puro desiderio di rendersi accetti a Dio e utili al prossimo. Zelo per estendere il regno di Dio sulla terra, zelo per procurare la salute del prossimo. C'è nulla al mondo di più perfetto? Se l'amor di Dio è un fuoco, lo zelo ne è una fiamma; se l'amore è un sole, lo zelo ne è un raggio.Lo zelo è quanto v'è di più puro nell'amor di Dio. Ora, fratelli, come avremo lo spirito di semplicità, di umiltà e di mitezza, se non abbiamo la mortificazione che ci fa trovar tutto buono? E come avremo la mortificazione senza lo zelo, che ci porta a passar sopra ad ogni difficoltà, non solo con la forza della ragione, ma con quella della grazia, che ci fa provare piacere anche nel soffrire, sì piacere? Miserabile che sono, lo comprendo e non lo faccio. Oh, vediamo, miei fratelli, la Compagnia, ha tale spirito? Possiamo dirlo? E chi osserva i missionari vede in essi lo spirito di semplicità? Possiamo asserire, che apparisce in alcuni, ma non so se apparisce egualmente in Francesco,i Giovanni, in Claudio ecc., se tutti sono semplici, umili, miti, mortificati e zelanti. Mettiamoci la mano sulla coscienza; abbiamo queste virtù? Il desiderio di apparire quali noi siamo si è ben radicato nel nostro cuore? Chiediamo noi spesso a Dio la grazia di annientarci, di sopportare il prossimo, di mortificarci e il resto? Quando si presenta l'occasione di mortificare i nostri sensi interni ed esterni lo facciamo? Lo sentiamo in noi? Se lo sentiamo, oh! qual felicità! Se non lo sentiamo, persuadiamoci che non abbiamo missionari; perché i veri missionari sono semplici, umili, mortificati e pieni d'ardore per lavorare. Ho ragione di credere che molti abbiano questo spirito, se non del tutto, almeno in parte; ognuno si esamini e riconoscerà forse di averne due gradi. Orsù, Dio sia benedetto! Basta per il passato! Facciamo nuovi propositi di acquistare questo spirito , che è il nostro spirito; perché lo spirito della Missione è uno spirito di semplicità, di umiltà, di mansuetudine, di mortificazione e di zelo. L'abbiamo o non l'abbiamo?

Ma, signore, come fare per averlo? _ E' necessario che queste cinque virtù siano come le facoltà dell'anima di tutta la Congregazione; è necessario che come l'anima con l'intelletto conosce, con la volontà vuole e con la memoria ricorda, così un missionario non operi se non per mezzo di tali virtù. Si tratta, per esempio, di far questo, di far quello; devo predicare; devo farlo, ma semplicemente e per Iddio; niente fanfaronate, niente ricami. Si parli come si vuole, purché le nostre prediche siano fatte con semplicità, alla buon'ora! _ Ma dovremo subire un po' di confusione nelle nostre predicazioni. _ Ah! un vero missionario dice subito: «Accetto tale confusione; datemela per domare il mio orgoglio», perché, vedete, comportarsi diversamente è voler far buona figura e fare il fanfarone. Andare semplicemente, ecco la natura del nostro spirito; si giudicherà della bontà della Missione dalla semplicità, dall'umiltà; e così del resto. Da questo, fratelli, dobbiamo giudicarci, a questo affezionarci e con questi criteri regolarci quando dobbiamo fare qualche cosa; e, per dirlo in una parola,tutto quello che Dio esige da noi nelle massime evangeliche è racchiuso in queste cinque virtù.

O Signore, quanto questo spirito è bello e quanto la Missione Vi sarà accetta se sarà sempre animata dalla semplicità, umiltà, mansuetudine, mortificazione e zelo! Signore,

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come giudicate gli eletti se non da questo? Ah! semplicità che non guarda altri che Dio, che esclude tutto quello che non è Dio e che apparisce! La regola dice che tutte le nostre azioni devono essere pervase da questa virtù; la semplicità soprattutto ora che ci esrcitiamo nel predicare. Per grazia di Dio la cosa va bene; ne sono rimasto consolato e Lo ringrazio di cuore; tuttavia credo sia necessario mostrare un po' più di dolcezza, dico di dolcezza, verso se stessi e verso gli uditori. Abbiamo mancato su questo punto. Dolcezza dunque nelle nostre prediche. E la mortificazione deve praticarsi nel lasciar da parte tutte le cose che non servono che ad attirarci la stima; rinunziamo a queste cose; predichiamo Gesù Cristo, tutte le nostre azioni vadano a Dio, spirito semplicissimo.

Cerchiamo, ognuno di noi, di chiuderci in queste cinque virtù, come le chiocciole nel loro guscio e facciamo in modo che tutte le nostre azioni ne siano animate. Sarà un vero missionario chi farà così; se farà diversamente, non lo sarà, come tu miserabile, che non sei altro che polvere e sozzura.

O Salvatore, Signore mio Dio, che avete portato dal cielo in terra questa dottrina, l'avete raccomandata agli uomini e insegnata ai vostri apostoli, ai quali, tra i consigli che deste a loro, diceste che essa è la base del cristianesimo e tutto il resto è fondato sulla sabbia, riempitici di questo spirito. Signore mio Dio, che avete assegnato detto spirito alla nostra piccola Compagnia, spirito tanto necessario per corrispondere alla sua vocazione, Voi solo ne siete l'autore, ed oso dire, Signore, che dipenderà da Voi, se non l'abbiamo, perché bruciamo dal desiderio di possederlo. Disponete i nostri cuori a riceverlo. Voi, Signore, avete fatto sorgere questa Compagnia; Voi le avete dato principio. Osservo, fratelli, qualche progresso nella Compagnia; sembra che queste cinque virtù vi siano, se non nel grado che vi furono in Nostro Signore, negli apostoli e nei primi cristiani, almeno vi è un principio, che continuerà purché cerchiamo di conformare tutte le nostre azioni alle massime evangeliche. Il fine per il quale siamo missionari, signori, è di essere molto semplici, umili miti, mortificati, zelanti della gloria di Dio. E' quanto dobbiamo chiedergli; è quanto dobbiamo sperare dalla divina bontà; e se si trova opportuno fare domani mattina tutti insiemi l'orazione su tal soggetto, spero ne riceveremo molta consolazione. Dio ce ne conceda grazia!».

212. CONFERENZA DEL 29 AGOSTO 1659SULLE MASSIME CONTRARIE ALLE MASSIME EVANGELICHE(Regole comuni, cap. II, art. 15)628

«Carissimi fratelli, ecco il quindicesimo articolo del secondo capitolo della nostra regola, sempre concernente i consigli evangelici.

Questo articolo parla dei vizi che si oppongono alle cinque virtù nelle quali si compendiano le massime evangeliche e sono la perfezione dello spirito del missionario, di cui parlammo venerdì scorso. Quantunque dobbiamo fare quello che ci è possibile per osservare tutte queste massime evangeliche, perché sante e utili, tuttavia essendovene alcune che ci sono più proprie delle altre, specialmente la semplicità, l'umiltà, la mansuetudine, la mortificazione, lo zelo delle anime, la Congregazione si studierà più particolarmente di acquistarle, in modo che queste cinque virtù siano come le facoltà dell'anima di tutta la Compagnia e le azioni di ciascuno ne siano sempre animate. Ora, ecco l'opposto di queste virtù, ecco il contrario, i vizi che combattono tali massime evangeliche.

E perché il demonio cerca sempre di distoglierci dalla pratica di queste massime, con opporre le sue totalmente contrarie; ognuno userà grandissima prudenza e vigilanza nel combatterle fortemente e coraggiosamente, in particolare quelle che si oppongono

628 Manoscritto delle Conferenze.

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maggiormente al nostro Istituto, quali sono: 1° la prudenza umana; 2° il desiderio di comparire agli occhi degli uomini; 3° volere che tutti si sottomettano sempre al nostro giudizio e alla nostra volontà; 4° la ricerca della propria soddisfazione in tutte le cose; 5° l'insensibilità per la gloria di Dio e la salvezza del prossimo.

In base a questo, parleremo dunque delle massime contrarie alle massime del vangelo e indicheremo brevemente i vizi ai quali si ricollegano e come essi si oppongano alla perfezione delle spirito di un missionario. Abbiamo detto che le virtù alle quali si riducono le massime evangeliche e che compongono il nostro spirito, abbiamo detto, dico, che queste cinque virtù e queste massime sono contrarie alle cattive massime che dobbiamo combattere; perciò divideremo il nostro discorso in tre punti: nel primo, vedremo le ragioni del darci a Dio per combattere queste massime opposte a quelle del Vangelo; nel secondo, spiegheremo la regola e ne indicheremo gli avversari; nel terzo, cercheremo i mezzi e le armi per distruggerli. Spero che Dio benedirà il nostro assunto.

La prima ragione che abbiamo di darci a Dio per combattere e resistere a queste massime, è che ne è autore lo spirito maligno, come dice la regola, e non possono essere altro che cattive avendo un padre simile. Invece le massime che compongono il nostro spirito sono sante, poiché Nostro Signore ne è l'autore; lo dice pure la regola. Infatti, come tutto il bene viene da Dio, così tutto il male viene dal diavolo e dalla nostra natura corrotta, che oppone le sue massime a quelle del Vangelo. Il Vangelo dice: «Beati i poveri perché ad essi appartiene il regno dei cieli»629. La massima del demonio dice il contrario; il diavolo non insegna che i poveri sono beati: «E' necessario procurarsi le ricchezze, egli dice, a qualunque costo; disgraziato colui che non riesce ad accumulare beni di fortuna!». Il Vangelo raccomanda di essere mansueti e buoni, e il demonio invece dichiara che non dobbiamo patir nulla da nessuno; che dobbiamo considerar nemico nostro chiunque ferisca la nostra riputazione; c'insegna a vendicarci, a serbar rancore, e dice che siamo obbligati a difenderci se siamo assaliti con la parola e con gli scritti, che ne va di mezzo il nostro onore e la nostra riputazione se taciamo in simili circostanze. Ecco queste massime; ma donde vengono? Non le troviamo nella Scrittura, né in quello che il figlio di Dio ci ha comandato; però devono ben venire da qualche parte, e se non vengono né dal vangelo, né da Dio bisogna pur dire che ne sia autore lo spirito maligno.

La seconda ragione di darci a Dio per resistere con fermezza contro queste cattive massime, è che il diavolo si serve di noi stessi e prende le armi in casa nostra per farcele accettare e farci abbandonare quelle di Nostro Signore. Sapete che dal peccato originale in poi, sebbene cancellato dal battesimo, ci è rimasto questo fomes peccati; abbiamo in noi la concupiscenza che ci stimola all'amore e al desiderio delle ricchezze, delle soddisfazioni, a fare la nostra volontà: è una cosa nata con noi e che non uscirà mai più, se non mediante le virtù che compongono lo spirito della Missione. Poiché il diavolo è l'autore di queste cattive massime di cui parla la nostra regola e trova in noi le armi per mandarci in perdizione, bisogna darsi a Dio risolutamente per rigar dritto e resistere a questi vizi che vogliono distruggere l'impero di Gesù Cristo in noi. Ecco il gran male.

Ciò posto, vediamo, vi prego, quali sono questi avversari. Il primo è la prudenza umana, il secondo un prurito di comparire di acquistare riputazione e stima davanti agli uomini; il terzo è la smania che tutti si sottomettano al nostro giudizio; il quarto, la ricerca delle proprie soddisfazioni in ogni cosa e il quinto, l'indifferenza per la gloria di Dio e per la salvezza del prossimo.

La prudenza umana è opposta alla semplicità. Una persona semplice non usa mai doppiezze, parla come pensa guarda sempre Dio nelle cose divine e non ricerca mai se

629 Mt, 5,3.

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stesa, guarda Dio negli atti di religione e di carità che pratica. Orbene, la prudenza umana dice tutto il contrario. Che cosa è la prudenza umana? Un grande studio di acquistare i mezzi, anche illeciti, per progredire e giungere al proprio scopo; una bramosia e una continua applicazione a soddisfarsi nelle inclinazioni della natura corrotta; e, infatti, possiamo scorgere questi sentimenti nelle persone che vivono se-condo la prudenza della carne. A che pensa, per esempio, una persona che non pensa Dio? Di solito cerca di soddisfarsi e seguire le sue inclinazioni. Le vostre inclinazioni dove vi portano? A fare bella figura. E quell'altro, a che dirige le sue mire? A riempirsi di cognizioni, a far collezioni di rarità o cose simili, per farsi ammirare. Ahimè! non è esser semplici cercare la soddisfazione in tutto, essere avidi di vedere, ascoltare le novità del giorno, informarsi di quello che avviene dentro e fuori, appagare il gusto nel bere e nel mangiare, coltivare amicizie particolari (non mi sembra che ciò apparisca molto nella Compagnia; Dio sia benedetto!), studiare d'attirare le buone grazie di questo o di quello... Tutto ciò, fratelli, è miseria, miseria. Che cosa vuol dire, prudenza umana? Avere mire umane. Orbene, tutto questo si oppone direttamente alla virtù della semplicità, la quale considera Dio solo in tutte le azioni, sia dicendo o ascoltando la messa, sia confessando, sia riconciliandosi con i nemici. La semplicità non cerca che Dio, là dove, al contrario, la prudenza della carne ricerca se stessa sempre e dovunque e ci fa usare mezzi indiretti per riuscire nel fine propostoci. Oh! quanto è dannosa la prudenza umana? Piaccia a Dio che non si trovi mai nella Compagnia!

Ecco la prima specie di prudenza umana. Ve n'è un'altra che non è così strettamente umana e che consiste nel voler risolvere le cose divine con quelle umane. Una persona vuole entrare in una comunità, oh! pericolosa prudenza quando si vuol consigliarla con ragioni umane! Ecco perché avremo un culto tutto particolare di risolvere le cose umane con quelle divine, sebbene la natura vi si opponga e contraddica. Ut quid perditio haec?630. Una persona viene a fare il ritiro per decidersi sulla scelta dello stato, e vi accorgete che questa inclina ad andare dai gesuiti, quell'altra dai certosini. Andare dai gesuiti; ma perché? La Missione non è una santa Compagnia dove si può raggiungere la salvezza eterna come altrove? Prudenza umana! Mi ricordo che un signore, una delle più belle intelligenze, avvocato del Consiglio, mi consultò sulla sua vocazione; era combattuto dal desiderio di farsi certosino e da quello di farsi missionario; mi sentivo sollecitato di attirarlo a noi; ma Dio mi fece la grazia di non suggerirgli mai di farsi missionario. Andò dai certosini. «Che! gli dicevo, Dio vi chiama dai certosini; andate, signore, dove Dio vi chiama». Ciò non mi impediva di sentirmi spinto di trattenerlo; ma pure gli ripetevo sempre: «Andate, signore, dove Dio vi chiama». E' vero che io credo avesse ragione di rimanere qualche tempo nel mondo per sistemare i suoi affari e prendere le sue ultime determinazioni. Facciamo in modo, signori, che dio abbia in questa compagnia consiglieri che considerino il valore della vocazione, che giudichino secondo lo spirito e non secondo la carne.

Dobbiamo dunque combattere contro questa prudenza umana con le armi che ci fornisce la nostra regola, ossia la semplicità, che risolve le cose umane con le divine e non le divine con le umane.

Il secondo vizio e secondo avversario da combattersi, è il prurito di comparire agli occhi degli uomini, vizio del tutto opposto alla virtù della umiltà, tanto necessaria ai missionari. Che se, per disgrazia, vi fosse chi si lasciasse trascinare alla ricerca di grandi cose, vi assicuro, fratelli, che costoro rovinerebbero la Compagnia. L'umiltà dunque, l'amore della propria abiezione, esser contenti che tutti ci conoscano quali siamo, che sappiano i nostri difetti, esserne contenti, rallegrarsene, questo è essere perfetto missionario. Ma desiderare l'opposto, non è avere lo spirito della Missione, il quale si cura poco e non si mette in pena per quello che gli altri dicono. Facciano quel

630 Mt, 26,8.

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conto che vogliono, dicano che siamo ignoranti, persone di bassa condizione, canaglia, se volete, bisogna accettar tutto, signori, in ispirito di santa umiltà. Ahimè! che cosa non hanno detto degli apostoli? Da quante calunnie non furono oppressi? Forse resero ingiuria per in giuria? Si servivano, invece, di queste occasioni come d'altrettante sorgenti di merito. Ah! non siamo apostoli ma peccatori, ma nullità; umiliamoci, ecco tutto!

Ma non ci difenderemo? - Non temete, ci difenderà Dio. - Ma, signore, è proprio tanto male scolparci con una piccola parola? - Ah! Dio ce ne liberi! Ecco questo spirito di vanità per cui uno vuole apparire buon casista, buon confessore, buon predicatore. Ah! fratelli, stimiamo gli altri, ma abbassiamoci e abbiamo di mira Dio solo nelle nostre azioni e ricordatevi che Nostro Signore diceva ai suoi discepoli: «Rallegratevi, non per le azioni clamorose che fate dinanzi agli uomini, ma perché i vostri nomi sono scritti nel libro della vita»631. A che servirà, ditemelo godere la buona reputazione degli uomini? Qual profitto e vantaggio ritrarrete da questa reputazione? Che cos'è la stima degli uomini? E' una certa idea che è nella loro mente e svanisce quasi subito. Certamente, fratelli, cercando la stima, si è ben delusi; quelli che corrono dietro agli onori non trovano, di solito, altro che confusione; e l'esperienza dimostra chiaramente che se gli uomini vi lodano, lo fano o per malignità o per finzione, dicendo tutto il contrario di quello che pensano. Dopo tutto, il mondo è composto di buoni e di cattivi. I buoni interpreteranno bene le vostre azioni, ma i cattivi, il quale numero è quasi infinito, le scherniranno; e così cercando l'onore, troverete il disprezzo e la confusione. Ah! siamo tanti meschini e miserabili da volere l'onore! E che cos'è? E' un fumo che è nella mente e si dissipa in un istante. La maggior parte si burlano di noi, eppure idolatriamo la stima; siamo insensati, pazzi, siamo come quelli che si immaginano dei essere papi, re; è una pazzia, un puro sogno. Combattiamola; prendiamo le armi per distruggere il nemico; uniamoci al Figlio di Dio, che ha combattuto l'orgoglio in un modo inflessibile. Costa alla natura, ma stiamo fermi, chiediamo a Dio i suoi lumi per conoscere noi stessi e riusciremo a sradicare questa maledetta passione. Combattiamo dunque l'orgoglio, fratelli; è un nemico che troveremo qui, fuori, in campagna, in città, in una parola, ci segue da per tutto; ma ne riporteremo vittoria se ci fonderemo nella santa umiltà. E' la seconda massima evangelica e la seconda virtù che compone lo spirito della Missione.

L'altro avversario è la pretesa che tutti sottomettano il proprio giudizio al nostro e la propria volontà alla nostra; questo è opposto alla mitezza, perché, ordinariamente, le persone che vogliono che tutto ceda dinanzi al loro giudizio e che i loro voleri siano sempre fatti, e nel tempo che vogliono e nel modo che vogliono, quelle persone sono aspre, violente, colleriche, imperiose; tutti difetti opposti alla mansuetudine. Invece i miti non hanno giudizio proprio, accondiscendono alla volontà altrui e non si affannano per far piegare gli altri alla loro, come costoro di cui abbiamo parlato.

Voler dunque che tutti ci sottomettano il loro giudizio e la loro volontà è un vizio opposto alla mitezza. O Salvatore dell'anima mia, qual'è il vizio che io non abbia? Salvatore dell'anima mia, perdonatemelo, e perdonatemi soprattutto le colpe che ho commesse contro questa massima che ci raccomanda di sottomettere il proprio giu-dizio! Fatemi la grazia, Signore, quando siamo riuniti in consiglio per trattare gli affari della casa, che io riferisca le cose come sono, senza passione né desiderio d'indurre gli altri a pensare a modo mio, ma nello spirito dovuto; e se dico qualche cosa, sia per dare maggiori schiarimenti, e affinché la verità sia scoperta piuttosto dagli altri che da me. Vi chiedo questa grazia, Signore.

Tale passione, signori, procede in parte dall'orgoglio e in parte dal desiderio di avere una soddisfazione. Siamo in consiglio; naturalmente si vorrebbe che la nostra

631 Lc, 10,20.

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voce fosse ascoltata; si soffre se gli altri raggiungono lo scopo, si vorrebbe il sopravvento, si credono le nostre ragioni più convincenti delle altre. Se ci lasciamo trascinare dalla natura, si finisce con l'ostinarci e ci mettiamo in contraddizione con tutti, mentre agendo secondo la virtù di un buon missionario, si rinunzia facilmente al proprio parere per rimettersi a quello altrui e si preferiscono le altrui opinione alle nostre. Ah! quanto saremmo felici, se ci comportassimo in questo modo! Avremmo la consolazione di far presiedere Nostro Signore ai nostri affari. Concedeteci anche la grazia, mio Dio, di non pretendere di essere serviti ed obbediti a bacchetta in tutte le cose, che tutti facciano, in ogni circostanza, la nostra volontà. Intendo quando quello che desideriamo non è un espresso comando di Dio, della Chiesa o una delle nostre regole; perché allora non è tanto la volontà nostra che vogliamo quanto la volontà di Dio stesso, alla quale è ragionevole obbedire e obbedire in tutte le circostanze.

Il quarto nemico è la ricerca delle proprie soddisfazioni in tutto. Salvatore dell'anima mia! che cos'è? Signori, non è forse vero che insensibilmente cerchiamo noi stessi, ci accarezziamo, non opponiamo resistenza alla natura, la quale non pensa ad altro che a procurarsi soddisfazioni? In nome di Dio, fratelli, ricordatevi che dobbiamo combattere questo vizio con la mortificazione, la quale non domanda soddisfazioni né ai sensi esterni, né a quelli interni. Amiamola, perché altrimenti non saremo mai contenti nella nostra vocazione. Osservate, vi sono alcuni qui dentro che hanno la pas-sione di vedere, ascoltare e sapere tutto quello che avviene dentro e fuori della casa; mortifichiamo questa voglia, non manchiamo di farlo. Come! Abbiamo lasciato tutto per Iddio; perché dunque cercar noi stessi come facciamo? Ve ne sono pochi nella Compagnia che siano tormentati dalla passione di veder, di ascoltare e di sapere notizie; ve ne sono pochi e vi prego di ringraziare Dio; ma siccome ve ne sono alcuni, mortificatevi in questo. Bisogna combattere con generosità il nemico che vuole mettere ostacolo alle grazie divine.

5° L'ultimo nemico è l'indifferenza nelle cose di Dio e del prossimo. Un uomo che abbia questo vizio, non sente alcun affetto e non si sente per nulla attratto verso le cose che si riferiscono alla sua salvezza eterna; perciò S. Bernardo considera questo vizio come un segno di riprovazione. Si va in chiesa per pregare, cantare, dire la messa e fare le altre funzioni ecclesiastiche, ma tutte queste funzioni si fanno senza sentimento, senza gusto, senza devozione. Qual'è la causa di tale insensibilità? Non abbiamo prati-cato le cerimonie secondo il loro fine, che è di animare il popolo alla devozione. Quando nella messa ci battiamo il petto, tale atto non c'è di nessuno stimolo. Insensibilità, fratelli, insensibilità! Abbiamolo zelo di edificare il popolo, facendogli vedere come dobbiamo trattare la parola di Dio, trattandola noi stessi come si deve; perché, credetemi, il popolo sta con rispetto in chiesa e fa conto della parola di Dio, se vede che anche noi lo stimiamo. Ah! fratelli, se fossimo fedeli nel far bene le cerimonie e le preghiere, riceveremmo da Dio tal sensibilità, per cui ci animeremmo vicen-devolmente alla devozione e gusteremmo con piacere le cerimonie; mentre, invece, senza questa sensibilità saremo di cattiva edificazione al prossimo. Perché S. Francesco pregava con le braccia tese? Perché si prostrava con la faccia a terra prima di salire in pulpito? Si preparava in questo modo, il suo atteggiamento commoveva il popolo e lo attraeva e la bontà di Dio dava tanta efficacia alla sua predica, che tutti ne uscivano edificati. Ah! fratelli, animiamoci di questo spirito, perché è esso che ci infiamma e saremo allora preservati dall'insensibilità.

L'indifferenza c'impedisce anche di commuoverci dinanzi alle miserie materiali e spirituali del prossimo; non si ha carità, non si ha zelo, non si sentono le offese di Dio. Eh! non siamo di questi missionari privi di zelo! Altrimenti, se uno è mandato in missione, va; se si deve occupare degli ordinandi, lo fa; degli esercizianti egualmente; ma come se ne disimpegna? Dov'è lo zelo? Lo zelo è combattuto dall'insensibilità. Cerchiamo dunque di animarci dello spirito di fervore, facciamo tutte le funzioni del

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nostro Istituto e facciamole con zelo, con coraggio, con devozione; abbiamo com-passione di tante anime che periscono e non permettiamo che la nostra pigrizia e insensibilità siano causa della loro perdita.

Ecco, fratelli, i cinque nemici che abbiamo da combattere, di cui il primo, come avete visto, è la prudenza della carne; il secondo, il prurito di comparire agli occhi degli uomini; il terzo, il desiderio che ognuno si sottometta al nostro giudizio e alla nostra volontà; il quarto, la ricerca delle proprie soddisfazioni in tutto; il quinto, l'insensibilità per la gloria di Dio e la salvezza eterna del prossimo. Fratelli, lavoriamo con coraggio per distruggere questi nemici; armiamoci di semplicità e di candore; diamoci a Dio per aver la mitezza, l'umiltà, la mortificazione, lo zelo delle anime; teniamoci fermi a questo, racchiudiamoci in queste cinque virtù come le chiocciole nel loro guscio. Ah! queste virtù ci preserveranno da tutti gli incidenti funesti; con esse andremo ovunque, verremo a capo di tutto; altrimenti non saremo altro che missionari in effige.

Coraggio dunque, fratelli, combattiamo questi nemici! Ma, per riportar vittoria, vediamone i mezzi.

Il primo mezzo e principale, comune a tutti le nostre condizioni, consiste nel chiedere a Nostro Signore le armi necessarie per combattere questi cinque nemici e, per farlo efficacemente, chiederglielo con fervore, perché Lui soltanto può darci la libertà e concederci la pace di cui godono le anime giuste. Questa grazia dipende dalla sua bontà e misericordia; perciò è necessario chidergliela.

La regola ci fornisce un mezzo, ed è di vegliare su noi stessi per non lasciarci cogliere all'improvviso dallo spirito maligno. Domandiamoci spesso: questo è secondo lo spirito della Missione? o ne è ben lontano? Non far mai nulla contro la semplicità; questo ci aiuterà molto a discernere le illusioni del demonio.

Vegliate dunque, fratelli, vegliate continuamente con la prudenza conveniente; non fate nulla da voi stessi, ma seguite il consiglio del superiore, del direttore, di un buon anziano, in sua mancanza; fate sempre così, perché, diversamente, il demonio vi ingan-nerà. O Salvatore, si tratta dunque di combattere il nemico della vostra croce. Dateci, ve ne scongiuriamo, forze per distruggerlo e farvi trionfare nei nostri cuori.

Avete visto, fratelli le ragioni che abbiamo di darci a Dio per combattere i nemici della Compagnia. La prima è che questi vizi sono stati suscitati dallo spirito maligno, la seconda è che egli è tanto più potente in quanto si serve delle nostre armi, ossia delle nostre inclinazioni, opposte alle massime evangeliche. Voi lo diceste, Signore, che la nostra natura corrotta era la sorgente di tutte le sventure.

Ciò posto, fratelli, combatteremo questi nemici, questa prudenza della carne, inimica mors632, che dà la morte. E dopo che combatteremo? La smania di essere onorati, che è la più grande di tutte le pazzie. Correre dietro alle farfalle! - Oh! ma io confesso bene. - Eh! che ne rimane? - Ah! egli ha predicato bene. - Che ne rimane? - Ha fatto bene il catechismo; è un gran casista; è un buon teologo. - Che ne rimane? Fumo. Che cos'altro? Fumo e basta. Ah! combattiamo questo spirito.

Dobbiamo, inoltre, combattere la passione di far prevalere il nostro giudizio. Se ce lo proponiamo, se lo abbiamo sempre davanti agli occhi, se diamo a Dio questo tributo, per gustare queste verità evangeliche, ah! sì che diverremo uomini di vita interiore e la Compagnia diventerà presto simile a Gesù Cristo e alla Compagnia degli apostoli. Ciò posto, dico, diamoci a Dio per vincere questi vizi. Abbasso l'orgoglio! Abbasso la prudenza umana! Ah! Via la ricerca delle proprie soddisfazioni! Via l'ostinazione nei proprii giudizi! Via la doppiezza!

Risolviamoci dunque a combatter con generosità e diciamo con fervore: «Viva la semplicità nella Missione! Viva la mortificazione e lo zelo delle anime!». Armiamoci di coraggio, combattiamo con ardore. Sebbene l'autore di queste cattive massime sia il

632 1 Cor 15,26.

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diavolo, pure non temiamo; perché, come dice Sant'Agostino, latrare potest, mordere non potest. Può abbaiare e far rumore, ma non potrà mai mordervi e nuocervi, se non volete; e certamente vediamo persone che vivono nella semplicità, umiltà, mitezza, mortificazione e zelo delle anime, ridersi di tutti i suoi sforzi, perché mordere non po-test nisi volentem. Eh! se siamo semplici, umili, mortificati, non abbiamo nulla da temere, la vittoria sarà nostra. Facciamoci animo.

Salvatore delle anime nostre, noi abbracciamo le vostre massime che il diavolo vuol farci abbandonare. Mio Salvatore, è vostro interesse che la vittoria sia nostra, poiché combattiamo contro il vostro nemico; soccorreteci! Protestiamo che finché ci sarà pos-sibile prenderemo le armi. Ma che faremo senza il vostro aiuto? Signore, che nei vostri eterni decreti avete suscitato una Compagnia che deve far professione d'imitarvi e ci avete associati alla vostra missione, fate che questa povera e meschina Compagnia della Missione si conformi alle vostre massime nel suo insieme e in ciascuno dei suoi membri, che ne sia pervasa e cresca nella semplicità, nell'umiltà, nella mortificazione e nello zelo per la salvezza del prossimo, affinché sia sempre più accetta agli occhi della vostra divina Maestà. Concedeteci, Signore, questa grazia che umilmente vi domandiamo».

213. CONFERENZA DEL 26 SETTEMBRE 1659SULLA RECITA DELL'UFFICIO DIVINO633

«Fratelli, avevo pregato il signor Alméras di dare l'argomento della conferenza di stasera sulla salmodia, per rimediare ad alcune mancanze che si commettono nella recita dell'ufficio divino. Non parlo delle domeniche e delle feste, nelle quali siamo soliti cantare la messa solenne e i vespri; ma parlo soltanto del mattutino, delle ore e dei vespri , che recitiamo nei giorni feriali in coro. Si comincia prima in un modo, terza in un altro; da una parte si sente una voce alta, dall'altra una voce bassa. Costatando ciò, dicevo tra me: «Mio Dio! quanto è spiacevole soprattutto in questa casa, che deve essere il modello delle altre per le recita dell'ufficio». Orbene, mentre riflettevo a questo, il signor Portail è venuto a trovarmi. - Parleremo quanto prima di questa cosa alla conferenza! gli ho detto. Ed avendo letto la regola per vedere quello che diceva, ho pensato che essa poteva fornirci oggi materia per una conferenza utilissima e spero che Dio ci darà la sua benedizione.

Parleremo dunque della regola che tratta dell'ufficio divino. Eccola:Avremo grandissima cura di ben disimpegnarci dell'ufficio divino che si reciterà

secondo il rito romano e in comune, anche in missione, ma con voce media e senza cantare, per avere maggior tempo e comodo di servire il prossimo, eccettuate però le case nelle quali, per ragioni di fondazione, di ordinandi, o di seminari esterni, o per altra simile necessità, fossimo obbligati al canto gregoriano. Ma in qualunque luogo o tempo reciteremo le ore canoniche, ci ricorderemo della riverenza, attenzione e devozione che dobbiamo recarvi, noi che sappiamo benissimo di cantare le lodi divine, e che, per conseguenza, compiamo l'ufficio degli angeli.

Ecco, carissimi fratelli, la regola concernente l'ufficio; non segue immediatamente quelle su cui ci siamo trattenuti nelle conferenze precedenti; ma la divina Provvidenza ha permesso questo per rimediare agli sbagli che vi si commettono. Il che mi fece pensare che sarebbe stato opportuno parlarne secondo il nostro piccolo metodo che si adatta a tutti gli argomenti. Divideremo questo in tre punti: nel primo vedremo i motivi di darci a Dio per recitare e cantar bene l'ufficio divino; nel secondo in qual modo recitarlo; e nel terzo i mezzi di rimediare alle mancanze commesse e il da farsi in avvenire per recitarlo bene.

633 Manoscritto delle Conferenze.

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Il primo motivo, fratelli, di darci a Dio per recitare bene l'ufficio divino, è quello indicato dalla regola: è importantissimo disimpegnar bene questo dovere e cantare le lodi di Dio come si deve. Temo che non intendiamo bene che cosa siano le lodi di Dio e quale ne sia la dignità. Ora, le lodi di Dio non sono cosa da poco, come alcuni s'immaginano. Lo sapete, fratelli, che il primo atto di religione è di lodare Dio? Aggiungo: ciò va anche innanzi al sacrificio. Una massima dice: Prius est esse quam operari; bisogna che una cosa esista prima di operare, che sia in essere prima di pensare a conservarsi; prius est esse quam sustentari. Dobbiamo riconoscere l'essenza e l'esistenza di Dio e avere qualche cognizione delle sue perfezioni prima di offrirgli un sacrificio; è naturale, perché, vi domando, a chi offrite doni? Ai grandi, ai principi e ai re; a tali persone rendete omaggio. E' tanto giusto, che Dio osservò il medesimo ordine nell'Incarnazione. Quando l'angelo andò a salutare la Santissima vergine, cominciò col riconoscere che era piena della grazia del cielo: Ave, gratia plena634. Signora, siete piena e ricolma dei favori di Dio: Ave, gratia plena. La riconosce dunque e la loda come piena di grazie. Quindi che le fa? Il bel dono della seconda persona della Santissima Trinità. Lo Spirito Santo, raccogliendo il sangue più puro di Maria, ne formò un corpo, poi Dio creò un'anima per informare quel corpo e subito il Verbo si unì a quell'anima e a quel corpo con mirabile unione e così lo Spirito Santo operò il mistero ineffabile dell'Incarnazione. La lode precedette il sacrificio.

Questo procedere di Dio c'insegna come dobbiamo comportarci noi. La prima cosa è inviare l'ambasciata; poi, avendo la Vergine dato il consenso, ne segue subito l'effetto. Parimenti, il primo atto di religione è di riconoscere Dio secondo gli attributi e le perfe-zioni che possiede. Ora, poiché il primo atto di religione è di ben recitare e cantare l'ufficio divino, comprendete, signori, quanto dobbiamo darci a Dio, perché il canto sia fatto nel debito modo. Lo lascio giudicare da voi stessi; vi cito al tribunale del vostro cuore per giudicarlo. Tutti i nostri sforzi devono convergere a fare quest'atto con la maggior perfezione che ci sarà possibile. Ecché! ci prepariamo per il sacrificio, ed è giusto; ma dobbiamo prepararci anche per le lodi a Dio, poiché esse pure sono un sacrificio; sacrificium laudis honorificabit me635; è la via per cui si giunge all'eterna salvezza procurataci dal suo Figliuolo; et illic iter quo ostendam illi salutare Dei 636. E, infatti, v'è nulla di più commovente e di più piacevole dei santi desideri e dei sentimenti affettuosi tratti dai sette salmi penitenziali? Ogni versetto, che dico? tutte le parole di ogni versetto, sono altrettanti dardi di amor di Dio che la sua bontà scocca su di una anima, che le trafiggono tanto amorosamente il cuore che essa sospira di continuo a Dio. Sì, fratelli, un versetto, non ce n'è bisogno di più, è capace di santificare un'anima, quando si gusta e si assapora con la devozione voluta da Dio.

Il secondo motivo di darci a Dio per ben recitare e cantare l'ufficio divino, è l'offesa che si fa a Lui, è il peccato che si commette quando non lo recitiamo nel modo prescritto dalla regola. Diciamo pure che v'è qualche cosa della bestia nel contegno di un uomo che si mette al suo posto in coro senza riflettere a quello che dice e che, mentre dovrebbe usare gran rispetto, poiché parla a Dio, pure lo fa animalescamente. Può darsi peccato più grande di trattar Dio in questo modo alla sua presenza? Sapete, o fratelli, che i casisti dicono che bisogna recitar l'ufficio digne, attente et devote. Qual peccato commette dunque chi si comporta diversamente? Voi sapete in quanti modi si può offendere dio nella recita dell'ufficio e non può essere altrimenti poiché S. Giovanni Crisostomo dice che Dio preferisce l'abbaiare dei cani alle lodi di un uomo che non lo fa come si deve. Dio preferisce l'abbaiare di un cane! d'un cane! Ah! fratelli, dev'essere un gran peccato non compier bene questo dovere! Sì, chi si applica

634 Lc 1,28.635 Sal XLIX,23.636 Ibid.

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negligentemente a recitar l'ufficio deve considerarsi come un cane; poiché, pur essendo dotato di ragione, si comporta, in un'azione così santa, in modo più che animalesco.

Il terzo motivo, signori, è che recitar bene l'ufficio equivale a cominciare a fare quello che faremo nel cielo. Eritis sicut angeli. Se avremo la felicità di possedere questa gloria, saremo simili agli angeli; - E i santi, faranno come gli angeli? - Sì, saranno occupati come loro a cantare eternamente le lodi di Dio. Osservate nell'Apocalisse i ventiquattro anziani: Et viginti quatuor seniores ceciderunt coram Agno, habentes singuli citharas, et cantabant canticum novum637. I santi lodano dunque Dio in cielo insieme agli angeli; e noi, sì, anche noi, saremo eternamente occupati nel cantare le lodi di Dio, e diremo: «Santo, santo, santo è il dio degli eserciti!». Recitar bene l'ufficio divino è dunque imitare quello che fanno in cielo i beati. Se non fosse così, come vi sarebbero nella Chiesa tanti Ordini che non hanno altro scopo all'infuori di cantare le lodi di Dio? I certosini, i benedettini e molti altri hanno per fine principale di recitare e cantare l'ufficio, per attirare le benedizioni celesti sulla terra e perché vi sia comunicazione tra la Chiesa militante e la Chiesa trionfante. E, infatti, come sarebbero state fatte tante fondazioni e capitoli, che non hanno altra occupazione se non quella di cantare le lodi di Dio? Come tanti re, principi, signori e altre persone ragguardevoli avrebbero fondato tanti monasteri e comunità, se non perché vi fossero nella Chiesa persone che lodassero continuamente Dio? E' questo il terzo ed ultimo motivo che vi suggerisco.

Ma che dobbiamo osservare, secondo la nostra regola? Sapete che è richiesta l'intenzione, l'applicazione, la devozione. Ecco parecchie cose e ve ne sono molte altre, ed occorre molto tempo per spiegarle.

- Ma, signore, diteci quello che bisogna fare. - Prima di tutto ciascuno sappia che l'ufficio che recitiamo deve essere l'ufficio romano, potendoci trovare in diversi luoghi; a Parigi il romano e nelle altre case lo stesso, a causa dei seminaristi e degli ordinandi che vengono a noi da diocesi differenti; aggiungo che, essendo noi obbligati ad andare ora da una parte, ora dall'altra, sarebbe incomodo cambiare ogni volta il breviario. Ecco perché diciamo il romano.

La regola dice inoltre che dobbiamo recitarlo in comune; la Compagnia ha avuto quest'uso fino dalla sua origine, e quelli che sono qui fino da allora sanno che v'era la consuetudine di recitare insieme il mattutino, le ore e i vespri. Tutti sanno parimente che si pratica in tal modo anche nelle altre case. Vedete, quando sento cantare le lodi di Dio, con lo spirito che Nostro Signore vuole da noi, ne rimango commosso più che da tutte le altre pratiche di pietà. Abbiamo dunque la pratica di recitarlo insiemi, in tutte le nostre case; A Richelieu c'è una fondazione apposta, a Saint-Méen e a Cahors egualmente; insomma, da per tutto si fa così. La regola dice pure che dobbiamo recitare l'ufficio in comune anche nelle missioni. E perché? L'esperienza ci ha fatto conoscere che, non recitandolo insieme, molti rimanevano addietro ed alcuni arrivavano alla sera senza aver detto prima; dovevano anche lasciare i pasti e assentarsi dagli esercizi comuni per recitare l'ufficio, avendolo omesso nel tempo opportuno. Aggiungete la precipitazione con la quale si recitava, la poca devozione che vi portavano ed una quantità d'altri inconvenienti che sarebbe troppo lungo enumerare. E come una candela non fa tanto lume quanto molte insieme, così, recitando soli l'ufficio, non c'è tanto fervore e devozione come quando lo recitiamo in comune; e vi confesso che c'è una non so quale benedizione particolare quando facciamo in questo modo. La applicazione poi che dobbiamo avere, consiste nel pensare le parole e il significato di ciascuna di esse, nel recitarlo posatamente e senza correre. Chi si affretta troppo corre il rischio di non soddisfare per nulla i suoi obblighi e scandalizza chi l'ascolta.

637 Ap 5,8.

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Per recitarlo bene è necessario osservare le pause e pronunziare i versetti devotamente e distintamente. Ciò certamente commuove quando lo si recita in comune. Ecco perché vedete i sacerdoti che vengono qui il martedì, accoppiarsi due a due, mentre aspettano l'ora della conferenza, per recitare l'ufficio e riconoscono, come mi hanno confidato, di trovarvi una vera benedizione. Per tal motivo abbiamo adottato questa pratica anche nelle missioni.

Ora, fratelli miei, noi ci troviamo colpevoli su questo punto. Che ho detto, che tutti sono colpevoli? Tutti sono scusabili; io soltanto, miserabile, ho peccato, per non avere vigilato che la regola fosse in vigore tra noi; io sono il solo responsabile davanti a Dio di tutti i peccati e di tutte le mancanze commesse nel servizio divino, per non essere stato fermo, per miseria mia, nell'esigere che le cose fossero osservate secondo le prescrizioni della regola. Pregate Nostro signore per me, signori, perché mi perdoni. Ma come avvenne questo? Lo ripeto, fratelli, è stato per la mia negligenza e so benissimo che se Dio non mi usasse misericordia e mi trattasse secondo i miei peccati, avrei da soffrire molti tormenti nell'inferno. Diciamo la verità: a San lazzaro non osserviamo affatto questa regola, sembra che non sia fatta per noi; andiamo chi da una parte, chi dall'altra, per dire individualmente il nostro ufficio, come se non fossimo obbligati a dirlo in comune. Chi ne è colpevole, signori? E' questo miserabile che si metterebbe in ginocchio, se lo potesse; perdonate le mie infermità. Siamo dunque caduti. Orsù, si degni la divina Maestà rialzarci!

La seconda cosa da osservarsi è di recitare l'ufficio media voce sine cantu; lo dice la regola per non obbligare i missionari a far sempre coro, come fanno a Notre-Dame, negli altri capitoli, e in molti ordini religiosi. Il nostro modo di recitare l'ufficio non è una nuova invenzione; i cappuccini, i minimi e qualche altra comunità lo recitano media voce, così dobbiamo far noi. La regola dice appunto di recitarlo media voce sine cantu, a voce bassa, per avere il tempo di occuparci dei ministeri della Missione. Bisogna eccettuarne le case fondate con l'obbligo di recitare l'uffizio in coro e obbligate a cantarlo. San Lazzaro vi era una volta obbligata; gli antichi religiosi cantavano tutti i giorni l'ufficio divino; ma, quando li abbiamo sostituiti, Monsignor Arcivescovo ci concesse di recitarlo media voce sine cantu, a condizione, tuttavia, di cantare, la domenica e le feste, la messa solenne e i vespri. Abbiamo dunque accettato la casa di San Lazzaro con tale obbligo. Ve ne sono altre, di cui ora non mi ricordo, che hanno lo stesso onere.

Altre case sono pure obbligate al canto, come a Richelieu, dove abbiamo una parrocchia, a Cahors e a Agde, dove dobbiamo cantare a causa del servizio parrocchiale che ci è affidato; Aggiungete altre case, come Saint-Méen, dove c'è l'obbligo di recitare l'ufficio in coro e di cantare la Messa solenne, non solo le domeniche e le feste, ma in molti altri giorni per ragione di fondazione. Dimenticavo dirvi che in qualche altra casa abbiamo l'obbligo di cantarlo qualche volta per insegnare ai seminaristi e agli ordinandi che vi sono ricevuti. Finalmente, negli altri luoghi dove non siamo obbligati di recitare l'ufficio in coro e di cantare le messe solenni e i vespri, non si lascia tuttavia di recitare tutti insieme l'ufficio in una stanza. Ecco, signori, i nostri obblighi. Orbene, se siamo obbligati, secondo la nostra regola, di recitarlo tutti insieme in una stanza o in una cappella come a Richelieu e nelle altre case, dove non vi sono ragioni di fondazione per recitarlo in coro, eh! perché noi, che siamo obbligati a dirlo in comune e, soprattutto in questa casa, in chiesa, perché non lo reciteremo in essa, piuttosto che nelle nostre camere e per conto nostro? Certamente, fratelli, noi non osserviamo affatto questa regola.

Il mezzo di rimediare a tal disordine (perché è un vero disordine), è di considerare il peccato che commettiamo. Non è piccolo, perché diamo occasione alle altre case di non osservare questa regola, vedendo che non è osservata in questa che deve essere la guida e il modello delle altre; è ciò che mi ha sempre spinto a non cedere: perciò dobbiamo

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vigilare, per quanto sta in noi, che questa pratica sia da noi osservata; perché altrimenti addio regola! Credereste che vi sono persone che si sono lamentate perché erano mandate all'ufficio in comune ed hanno chiesto di esserne dispensate? Non è stato alcun sacerdote anziano, ma un seminarista il quale, essendovi andato per otto giorni interi, ha detto al suo direttore: «Signore, voi mi applicate troppo all'ufficio; vi prego esone-rarmene». Osservate, ve ne prego, dove si va a finire. Persuadetevi che, non rimediando a tal disordine, nelle missioni non si reciterà più l'ufficio in comune; e ne verrà di conseguenza che per non averlo recitato nelle ore stabilite, non saremo pronti ad andare in confessionale, scusandoci di non aver detto l'ufficio. Considerate donde ciò proviene; non c'è nessuno, mi sembra, signori, che non veda che proviene da uno spirito sregolato e poco affezionato alla sua vocazione. Così è difatti e sono convinto che, se non tutti, almeno la maggior parte della Compagnia la pensano come me.

Ma ascoltiamo le proteste della natura e dello spirito maligno.- Ma, signore, sono vent'anni che si fa così; non sapete che c'è prescrizione e che

oramai ciò è diventata una consuetudine? Davvero, signore, è una consuetudine introdotta a San Lazzaro, di non andare più in coro, eccetto quelli del seminario. - All'udir questo, signori, abbasso in parte la testa e mi umilio davanti a Dio della poca cura che ho avuto per conservare quest'antica pratica; però debbo dirvi che non v'è mai prescrizione per le cose divine, ma soltanto in quelle umane. Inoltre non potrebbe esservi prescrizione, poiché ogni tanto è stato raccomandato di assistere l'ufficio, e ciò annulla la prescrizione, che si obbietta. Un altro impedimento alla prescrizione è che nella Compagnia vi sono stati sempre alcuni che vi hanno assistito. Dio li benedica! Dio li benedica perché hanno impedito tale prescrizione; finché la Provvidenza non ha fatto nascere l'occasione di rimediare alle mancanze insinuatesi nella Compagnia vi sono state persone pie che vi hanno assistito! Perciò, finché c'è chi osserva una legge, o una consuetudine, non possiamo dire che sia abrogata. Ora, nella Compagnia vi sono state persone che l'hanno osservata e perciò è falso sostenere che detta consuetudine non sia più in vigore. Quando il superiore dà qualche ordine contro chi trasgredisce tal pratica, quando le regole sono richiamate ogni tanto, non c'è consuetudine contraria che possa prevalere. Dico di più: i dottori stimano che non sarà scusabile davanti a Dio e davanti agli uomini chi, entrando in una comunità e conoscendone le regole e le pratiche, non le osserva perché c'è l'abitudine contraria. Egli è obbligato, avendone fatto voto, ad osservarle, e se non lo fa non c'è scusa che valga.

- Oh! ma che si dirà di me, se assisto d'ora innanzi all'ufficio? Oh! ma, signore, sarebbe per me una grande pena fare diversamente da quello che ho fatto fino ad ora. Signore, io dico il mio ufficio tutto solo, so bene che ce ne vogliono per dirlo in chiesa, ma ce ne vanno già abbastanza. - Fratelli, c'è poca differenza tra dirlo in privato e dirlo in pubblico e vi assicuro che la fatica è la stessa recitandolo tanto nell'uno che nell'altro modo; perché, ditemi, ve ne prego, non bisogna dirlo con attenzione, devozione, facendo le pause, anche quando lo diciamo privatamente?Vi assicuro che non ho mai visto, né letto che vi sia un dottore che non richieda tali condizioni per ben soddisfare al proprio obbligo. Tutte le persone dabbene osservano le pause per alimentare il loro spirito; fare il contrario, è peccato. Lo sapete come fanno alcuni? Le prime parole le dicono confusamente, le seconde indistintamente; poi giù, giù, alla peggio. Chiamerete ciò, signori, cantare le lodi di Dio?

- Ma, signore ci vuol tempo per andare dalla camera al coro. - Eh! mio Dio! che ragione è mai questa? Eh! Salvatore dell'anima mia! vediamo i canonici, che non hanno la casa così vicina alla chiesa, andare a mattutino, poi tornare a casa loro, vanno di nuovo alle ore, alla messa solenne e ai vespri, vanno e vengono continuamente; e noi ci lamenteremo? Dirò a nostra vergogna che vi sono undici o dodici canonici di Notre-Dame che vanno sempre a mattutino e a mezzanotte e non vi mancano mai, se non sono malati. dei canonici di Notre-Dame, i primi in un capitolo composto di persone

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nobilissime, si alzano a mezzanotte! Il signor di Ventadour, il duca di Ventadour è sempre alzato per andare a mezzanotte a mattutino! Un principe inglese, chiamato... non ricordo bene il suo nome, si chiama... conduce questa vita. Il signor de Parfait egualmente. Insomma, sono dodici quelli che non vi mancano mai, ad eccezione di quando sono malati. O Salvatore! Vedremo uomini del mondo che possiedono grandi ricchezze, avere lo zelo di alzarsi a mezzanotte per cantare le lodi di Dio e noi ci lamenteremo di andare durante il giorno dalla camera nostra alla chiesa? Fratelli, guardate dove si giunge, vedete a che punto arriva la nostra miseria!

- Ma, signore, sono infermo. - Dobbiamo trattare gli infermi da infermi; il giogo di Nostro Signore è soave e occorre adattarlo alle forze di ciascuno.

- Ma, signore, sono ufficiale della casa. - E' giusto che costoro ne siano esonerati; bisogna che qualche volta lascino Dio per Iddio; vada pure per essi.

Altri diranno: «Signore, ho da comporre una predica» e vogliono con ciò lasciare il servizio divino. - Lo sapete che il mezzo migliore per comporre qualche cosa di buono, è di assistere all'ufficio? Ivi attingerete santi pensieri.

- Sono studente. - In quanto a questi, vedremo. Tolti i gesuiti, non credo che vi siano religiosi o comunità dove coloro che studiano ed hanno ricevuto gli ordini sacri e che, per conseguenza, sono obbligati all'ufficio, siano dispensati dal dirlo in coro. So che tra i cappuccini gli studenti ci vanno; non so se altrove fanno lo stesso. Il mezzo migliore per studiar bene, dicono i cappuccini, è di assistere all'ufficio.

- Ah! ma, signore, ho questo incomodo. - Ciascuno di noi rifletterà davanti a Dio se lo può o non lo può, e, dopo essersi esaminato, lo esponga al superiore e gli dica: «Signore, vi prego dispensarmi dal mattutino per dieci giorni, per quindici giorni o per un mese». Spetterà allora al superiore esaminare nella sua coscienza le ragioni addotte. Bisogna dunque esporre quello che c'impedisce di compiere tale atto, e il superiore rifletterà davanti a Dio se può dispensare. Chi desidera tale dispensa si metta prima davanti a Dio e dica tra sé: «Se mi trovassi in punto di morte, chiederei questa dispensa? oppure, sono indifferente a quello che mi risponderà il superiore? L'impedimento che faccio valere è proporzionato a quello che dovrei fare?». Ma ricordatevi che non dovete mai proporre nulla senza averlo prima esaminato davanti a Dio ed esservi accertato che sia giusto; perché sapete che la debolezza dei superiori, che concedono dispense senza ragione, non scusa davanti a Dio. S. Bernardo la chiama: libertà di peccare; Notate che la regola obbliga talvolta sotto pena di peccato mortale, quando è fondata sulla Scrittura, o quando una cosa è comandata in virtù di santa ob-bedienza, o quando, per il cattivo esempio, si trascina gli altri a fare lo stesso. Ammettiamo il caso, io sono un sacerdote anziano della casa, avrei desiderio di farmi dispensare senza ragione da molte mie regole, gli altri chiederanno la stessa cosa; sono colpevole davanti a Dio, per il mio cattivo esempio, della inosservanza delle regole. Insomma, siamo obbligati alla regola e chiunque vi manchi e ricorra al superiore per essere dispensato senza motivo, quando v'è scandalo o disprezzo formale o della regola, o di un ordine del superiore, secondo i dottori, v'è sempre peccato. Non ci lusinghiamo dunque dicendo che le nostre regole non ci obbligano sotto pena di peccato.

Pertanto, signori, ecco giunta l'ora nella quale Dio, che fa le cose con peso, numero e misura, ci ha fatto conoscere la verità. Ero addormentato, ma Dio, per sua misericordia, mi ha svegliato ed aperto gli occhi per vedere quanto sia importante essere fedeli all'osservanza della regola. E' dunque venuto il tempo di riconoscere che siamo obbligati a recitare l'ufficio nel modo che abbiamo detto. Non è giusto? Lo lascio giudicare da voi. Diciamo dunque l'ufficio insieme ed in coro. Beati quelli che cominceranno fino da domani e sventurati quelli che troveranno da ridire di una pratica tanto santa! Andiamoci volentieri, senza ritardo. Sono sicuro che tutti, quanti siamo, vogliamo salvarci ed abbiamo un vivo desiderio di praticare la regola che ci raccomanda di recitar l'ufficio.

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Essendo questo uno dei mezzi più importanti per la nostra santificazione, ci daremo a Dio per adottarlo. Hodie, si vocem eius audieritis. Poiché udite nel vostro cuore la voce di Dio, ed è l'uso della Compagnia di recitare l'ufficio in comune, diamoci a Lui fino ad ora per attestargli il nostro desiderio di rendergli questo onore. Hodie, si vocem eius audieritis. Non differiamo più oltre. Ricordiamoci che dobbiamo avere questo in capite, in spiritu, che gli ecclesiastici sono obbligati a cantare le lodi di Dio.

Non sapete, fratelli, che la maggior parte dei sacerdoti, e noi siamo del loro numero, per non avere fatta loro principale occupazione il cantare le lodi di Dio, non sanno cantare, mentre altri hanno custodito questa grazia di seguire gl'insegnamenti dei padri loro? Si vede ciò chiaramente nei villaggi dove si è avuto cura di avere buoni maestri di scuola; quasi tutti i bambini conoscono il canto, che vien così trasmesso di padre in figlio. I secolari e i contadini hanno conservato questa grazia, almeno da quando Dio ha riordinato il suo ufficio, volendo che fosse cantato devotamente. Dirò, a mia vergogna, che, quando ero nella mia parrocchia e non sapevo come fare, ascoltavo con ammirazione quei contadini che intonavano i salmi senza sbagliare una nota. Allora mi dicevo: «Tu che sei il loro padre spirituale, l'ignori»; e mi affliggevo. Qual confusione, fratelli, per i sacerdoti, che Dio abbia permesso che il canto sia stato conservato dal popolo, Dio, che prova tanta gioia e piacere, se oso parlare così, quando si cantano le sue lodi!

Vi scongiuro, per il piacere che Dio prova nell'ufficio che recitiamo, di essere puntuali, di andarvi; ve ne scongiuro di nuovo, per gl'inconvenienti che potrebbero derivarne trasgredendo questa regola, inconvenienti grandissimi. Eh! che sappiamo quello che potrebbe accadere, se soltanto il seminario sapesse cantare, e diventasse necessario metterlo ed educarlo a parte, come fanno i gesuiti e i cappuccini? Chi osserverebbe la regola, signori? Per evitare che le case religiose abbiano più soggetti di quelli che potrebbero mantenere, il Papa ha stabilito che in Italia nessun novizio possa entrare, senza suo permesso, in un ordine o in un monastero. I gesuiti stessi vanno a dire a Sua Santità: «Si è presentato questo tale; Vostra Santità permette che lo riceviamo?». Se in Francia fosse adottata una misura simile, o per ordine del Papa, o per altro ordine (non fu l'imperatore Maurizio a proibire che fossero ricevuti i soldati nei conventi?), chi, signori, reciterebbe ancora l'ufficio?

Non ho da dirvi altro, se non che (permettetemi anche queste due parole) domani all'orazione rientriamo nell'intimo dei nostri cuori, per metterci alla presenza di Dio, e, sotto il suo sguardo, riflettere se non è giusto osservare tale pratica. Prego tutta la Compagnia di chiederlo insistentemente a Dio, nell'assoluta fiducia di ottenere da Lui questa grazia. Nessuno dunque deve dispensarsi dall'ufficio, senza il permesso del superiore, il quale è obbligato di esaminar la cosa. Ah! io credo che non vi sia qui nessuno che non si sacrifichi volentieri per cantare e recitare le lodi che fanno parte, per così dire, della gloria celeste. Dio ascolta con gioia e piacere le lodi che Gli diamo. Su dunque! Animiamoci dello spirito necessario per cominciare domani a cantare le lodi di Dio. Questa è la preghiera che Gli rivolgeremo».

214. CONFERENZA DEL 17 OTTOBRE 1659SUI VERI LUMI E SULLE ILLUSIONI638

(Regole comuni, cap. II, art. 16)

«Ecco, cari fratelli, il sedicesimo articolo delle massime evangeliche, del quale dobbiamo parlare. Eccone le parole:

E poiché lo spirito maligno si trasfigura spesso in angelo di luce, e talvolta c'inganna con le sue illusioni, tutti staranno diligentemente in guardia per non lasciarsi

638 Manoscritto delle Conferenze.

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sorprendere e si studieranno d'imparare il modo di discernerle e superarle. E siccome l'esperienza ci dimostra che il mezzo più pronto e più sicuro in questo caso è di confidarsi subito a coloro che Dio ha deputati a questo scopo, appena uno avrà pensieri sospetti d'illusione, o qualche pena interiore, o qualche notevole tentazione paleserà il suo stato, più presto che potrà, al superiore, o al direttore a ciò incaricato, affinché vi rechi il rimedio conveniente, che ognuno riceverà come dalle mani di Dio, sottomettendovisi con fiducia e rispetto. Soprattutto si asterrà dal parlarne ad altri, sia della casa, sia di fuori, avendoci l'esperienza dimostrato che in tal modo diventa peggiore, che se ne infettano gli altri e si finisce per recare gran pregiudizio a tutta la Congregazione.

Ecco, carissimi fratelli, l'argomento sul quale dobbiamo intrattenerci. Procureremo di spiegare questo articolo nel modo usato nei precedenti. Prima di tutto, vedremo le ragioni di darci a Dio, per distinguere lo spirito di luce da quello delle tenebre, il buon angelo dal cattivo, i veri lumi dalle false illusioni. Ecco il primo punto. Nel secondo parleremo delle illusioni, ne diremo la natura e le cause e quelle che principalmente possiamo incontrare nella Compagnia. Infine, daremo i segni per conoscere i veri lumi dai falsi; e, se il tempo lo permette, tratteremo del modo di comportarci per combattere le illusioni dello spirito maligno.

La prima ragione è, miei fratelli, che tutto è qui in gioco; intendo dire che dal discernimento dei veri lumi dai falsi, dall'abbracciare i buoni e dal fuggire i cattivi, dipende la nostra felicità od infelicità eterna, la nostra salvezza o la nostra dannazione; e, per dir tutto in una parola, quello che maggiormente conta è sapere quanto sia importante discernere le massime di Gesù Cristo da quelle del demonio. Tutte le sventure piombate sul mondo, per colpa del nostro primo padre, spogliato della santità e decaduto dallo stato d'innocenza nel quale era stato creato, la natura umana soggetta oggi alla giustizia di Dio, e ai mali che deve subire, tutto proviene dai falsi lumi, sì, fratelli, dai falsi lumi. E per farvi conoscere questa verità, ascoltate, ve ne prego, il linguaggio che lo spirito delle tenebre tenne ai nostri progenitori. «Perché non mangiate il frutto della vita? disse loro; perché?» - «Perché ci è proibito». - «Ah! non è vero, v'ingannate, ecco la vera ragione; è che, mangiandolo, eritis sicut dii639, diventerete altrettanti dei ed avrete inoltre la cognizione del bene e del male».

Da questi falsi lumi sono derivate tutte le miserie che dobbiamo soffrire, falsi lumi che ci devono far capire tutti quelli di cui è pieno il mondo; e non crediate, fratelli, che si tratti di poca cosa, come alcuni s'immaginano, poiché non è lieve delitto aver ridotto gli uomini a soffrire mali tanto violenti e continui, che il solo pensiero desta orrore e fa preferire a morte ad una vita sì miserabile. O signori! o miei fratelli! chi ci darà la grazia di ben discernere il bene dal male, i tranelli e gli artifici dello spirito maligno, e, infine, le miserie nelle quali la povera natura è caduta per colpa delle illusioni?

Il secondo motivo è che queste false luci, di solito, assalgono, più d'ogni altro, le persone che vivono separate dal mondo. Il demonio ha poco da faticare per attrarre a sé le persone del mondo; basta che proponga quello che vuole perché sia obbedito; si fa adorare da esse, con la lusinga di far loro godere i piaceri che cercano; le tiene, le rigira, le lascia correre dove vogliono, le fa godere a sazietà, essendo certo che gli saranno sempre sottomesse e rispetteranno i suoi ordini. ma le persone ritirate dal mondo per vivere con Gesù Cristo, sono più soggette alle illusioni. Osserviamo, infatti, che mentre Nostro Signore conversò con gli uomini e visse nel raccoglimento con il Padre suo, non fu tentato; ma quando si ritirò nel deserto e si addentrò in una penitenza non ancora praticata, lo spirito maligno lo tentò e fu tanto ardito da tentarlo per tre volte consecutive. Dietro tale esempio, avendoci Dio fatto la grazia di ritirarci dagli

639 Gen 3,5.

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imbarazzi del mondo, possiamo aspettarci di esser esposti ale illusioni più delle persone del mondo. Ecco, miei cari fratelli, il secondo motivo.

Il terzo motivo è che, propriamente parlando, sono le persone spirituali, ossia quelle che vivono in modo spirituale, che devono saper discernere i falsi lumi dai veri, tanto per loro interesse particolare, quanto per la consolazione del prossimo; poiché avendo ricevuto i lumi che lo Spirito Santo comunica a coloro che si danno a Lui, queste persone sentono di possedere la luce ed anche l'esperienza per aiutare le anime che sono spinte a far cose che le condurrebbero alla rovina. Certo! quante ne vediamo e quante ne videro i secoli scorsi di queste persone che hanno illuminato un'infinità di anime, sebbene non fossero chiamate al sacerdozio, la cui missione è di essere la luce del mondo! Se così stanno le cose, signori, come non possiamo minimamente dubitare, noi sacerdoti siamo obbligati ad acquistare una profonda conoscenza di questa materia e ad imparare quali sono i veri lumi, per disingannare coloro che camminano nelle tenebre, per consolare le anime che tormentate da false illusioni! E se non lo facciamo, siamo responsabili davanti a Dio di tante anime che periscono per colpa nostra, poiché, per il nostro sacro carattere,siamo obbligati ad aiutarle. E se le leggi divine andassero perdute, dovremmo ristabilirle; le popolazioni hanno il diritto di domandarcele, perché noi siamo i loro legislatori e i loro maestri; Per questo dobbiamo saper discernere i veri lumi. Ecco tre ragioni. Ciò posto, diciamo che cosa è l'illusione.

Il termine illusione, a parlar propriamente, può prendersi in due sensi. Gli avvocati hanno abitudine di adoperare questa parola nelle loro arringhe; donde viene che si dice che esse sono illusorie, ingannatrici. Non in questo senso la nostra regola l'intende; essa l'intende come un maligno splendore, una falsa luce che lo spirito maligno mette nell'immaginazione, dalla quale passa nell'intelletto, le cui riflessioni influiscono sulla volontà. Ecco in qual modo e in qual senso dobbiamo intendere la nostra regola.

- Ma, signore, che dite mai? Voi dite: «Una falsa luce». Ma come! le cose possono esser fatte apparire diverse da quelle che sono? Far dire che ciò che è bianco come un cigno è nero come un corvo, e che ciò che è nero come un corvo è bianco come un cigno? - Sì, dico una falsa luce quella prodotta dal demonio nell'immaginazione, perché le rappresenta le cose sotto apparenze diverse dalla verità che devono esprimere. Queste specie entrano dunque nell'immaginazione, salgono all'intelletto e si riflettono infine sulla volontà; dimodoché quest'angelo delle tenebre fa apparire bianco quello che è nero, e verità quello che non è altro che menzogna.

- Ma, signore, che dite voi? Ciò è ben strano! Potete citarci qualche altro esempio? - Sì, la natura stessa ha le sue illusioni. Chi è stato a Montmirail ha visto un tronco d'albero trasformato in pietra. Ma come può accadere? Non so per qual forza il tronco si congiunge alla pietra e avviene allora una trasformazione dall'uno all'altra, in modo che quello che era legno apparisce pietra. Il legno così trasformato, è ancora legno. E come mai ciò? Gli occhi dicono che è legno, il muschio che è intorno, le venature che si scorgono vi dicono che è legno, ma toccandolo sembra pietra. Ecco una illusione, miei fratelli. Che fa la natura? Si taglia un albero, si fa un innesto, e quando è attecchito, il selvatico si trasforma in albero e quello che prima era un melo è ora un pero. Che cos'è questo? E' illusione. Ho visto un uomo con una certa lesina affilata, la cui punta si ritraeva a misura che voleva conficcarla in bocca, e tutti, credendo volesse trafiggersi la gola, gridavano: «Cavala, cavala». Benché sembrasse che la punta penetrasse nella sua gola in realtà non vi entrava; e così quell'uomo ingannava gli spettatori. Che cos'è, a rigore, l'eloquenza? Un'illusione che fa apparir buono quello che è cattivo e cattivo quello che è buono, che fa prendere la verità per bugia e la bugia per verità; che, per una certa composizione e disposizione di parole, mentre alletta e incanta l'uditorio, lo inganna.

Ora, se nell'universo vi sono tante illusioni, giudicate, fratelli, se l'autore della menzogna, se il demonio che si trasforma in angelo di luce, come afferma S. Paolo, non

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può suscitarle. Se gli uomini, le cui cognizioni sono minime e limitatissime, possono facilmente ingannarsi gli uni con gli altri, che non può, ditemi, lo spirito maligno, che sa tutto e che ha l'abilità di fare apparire gli oggetti in quanti modi vuole? Volete saper che cos'è lo spirito maligno verso di noi, Non è altro che illusione e inganno; ci persuade, astuto com'è, che saremo felici, se otterremo questo o quello; ci dà a credere che ne verrà gloria a Dio se saremo applauditi nelle prediche, se riusciremo a segnalarci in una provincia. Ah! Salvatore, quanti tranelli, quanti inganni, quanti artifici usa il nostro nemico per rovinare le creature che Voi avete riscattato con il vostro sangue preziosissimo!

- Mi direte: «Certo, signore, lo spirito maligno la sa lunga; ma gli uomini non hanno essi potuto enumerare le specie e le caratteristiche delle illusioni da lui usate?». - E chi lo potrebbe? Ricordatevi perciò, che quando cadiamo in peccato è sempre effetto d'illusione, perché lasciamo allora il sommo bene, per prenderne uno immaginario.

Ah! mio Salvatore! quanti tranelli per gli uomini! Di quanti lumi abbiamo bisogno per eludere gli artifici dei demoni! Oh! se il primo uomo, che Dio aveva creato nella santità, cadde nella rete al primo passo che fece; se gli angeli, creati come altrettante luci, si eclissarono e caddero nel laccio; se dopo essere stati combattuti da S. Michele per non aver obbedito agli ordini di Dio, furono precipitati nell'inferno; oh! fratelli, chi, dopo tali cadute, non deve temere? E chi ne sarà esente?

- Ma, signore, come fa dunque il demonio? - Egli conosce gli umori che contribuiscono ad eccitare tale o tale passione, conosce i mezzi di stimolare e così, con le false luci che suscita nella fantasia, ci fa cadere. Conosce tutti i nostri umori; conosce le nostre azioni proprie e individuali; vede quelle che possono dare una falsa luce; sa mettere tutti questi umori insieme e comporne una luce, che dall'immaginazione passa all'intelletto e di là si presenta alla volontà per costringerla a dare il consenso. - Ma come fa? oppure, fa questo soltanto? - Ci tenta, inoltre, per mezzo delle creature, di cui si serve come di altrettanti lacci per farci cadere. Conoscete la storia di Sant' Antonio e come sia stato tentato dalle figure impudiche che il demonio formava nella sua immaginazione, dalle parvenze di certe donne di bellezza perfetta e tutte nude. Il diavolo adopera anche questo artificio di formare certi corpi aerei, e gli uomini, vedendoli, si lasciano spesso ingannare. Aggiungiamo i cattivi sogni, che di solito sono effetti del demonio.

Vi riferirò, su tale argomento, una storia che vi ho raccontato più volte; è del Papa Clemente VIII che ho avuto l'onore di vedere. Voi sapete dei torbidi suscitati in Francia a causa di Enrico IV; quel principe era stato eretico e recidivo, e i suoi sudditi si videro obbligati a rifiutargli l'obbedienza che gli avrebbero prestata se non si fosse dichiarato, per la seconda volta, nemico della religione cattolica. Questo re, sentendosi stimolato dalla sua coscienza ad abbandonare l'errore e vedendo che il popolo ricusava di sottomettersi alle sue leggi, mandò subito a Roma per riconciliarsi. Il Papa rispose che essendo recidivo, non v'era da sperare che cambiasse, e che il desiderio di regnare lo spingeva alla riconciliazione più del desiderio di convertirsi. Udita la risposta, il re manda nuovamente gli ambasciatori, ma il Papa resta fermo nel rifiuto; tuttavia, nel timore che il re rimandasse per la terza volta gli ambasciatori, digiuna, prega Dio per sapere se doveva dispensare il popolo dalla proibizione di sottomettersi al re mentre egli rimaneva nella sua ostinazione. Infine, dopo aver fatto molte penitenze e mortifica-zioni, dopo aver fatto pregare Dio secondo tale intenzione, si risolse ad accogliere la domanda e il pentimento del sovrano e ad obbligare i di lui sudditi a prestargli obbedienza. Qualche giorno dopo, quel sant'uomo durante la notte credette di trovarsi davanti al tribunale di Dio, dove gli fu rimproverato di avere sottoposto ad un caprone il popolo di Dio, di aver comandato ai cattolici di sottomettersi ad un carnefice. Questa visione afflisse il suo spirito, e dicono che risentisse le medesime pene di S. Girolamo, quando fu battuto, si dice, a staffilate. Questo santo Papa, trovandosi in tali angustie e

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temendo di aver ceduto troppo facilmente al re, mandò a cercare persone spirituali per avere il loro parere; ma nessuno lo accontentò, finché il suo confessore, il cardinale Toleto, gli disse che quello lo affliggeva era illusione, che dopo essersi comportato con tuta la prudenza richiesta dall'affare di cui si trattava, e dopo aver fatto tutto con consiglio e dopo molte preghiere, doveva stare in pace§e credere che tutto l'accaduto fosse la volontà di Dio. Questa assicurazione restituì la calma al pontefice. Che cosa era dunque avvenuto? Un'illusione nella mente del Papa che lo spirito maligno aveva voluto turbare, non solo durante il giorno con false apparenze, facendo apparire creature, ma anche nel sonno. L'illusione non avviene dunque soltanto nel primo e nel secondo modo, ma anche nel terzo, ossia dormendo. Perciò esamineremo queste illusioni, anche quelle che avvengono quando dormiamo.

V'è un'altra illusione riguardo alle cose straordinarie: una falsa luce. Verrà da voi un uomo che vi dirà di sentire un impulso, di udire una voce interiore che gli suggerisce continuamente di lasciare la moglie. Come chiamerete questo, fratelli? Stravaganza. E per queste idee stravaganti abbiamo bisogno di lumi dal cielo, per dare consigli salutari ad ogni sorta di persone, che desiderano cambiare stato e condizione. E' dunque necessario avere cognizioni teoriche e pratiche sulla natura e diversità delle illusioni, per non cadervi ed evitare, con l'aiuto di Dio, gli scogli e i tranelli dello spirito maligno.

Ma quali segni avremo per conoscere le false luci? Ne riferirò tre o quattro soltanto per brevità. Prima di tutto si discernerà se questa luce è vera, o se è un'illusione, guardando la sostanza della cosa e tutte le circostanze che devono accompagnarla. Abbiamo detto, per esempio, che una persona vuol lasciare la moglie; se è con il suo consenso e per qualche buon fine, passi! la Chiesa può permetterlo in certe circostanze. Un'altra persona vuole entrare in una comunità: bisogna vedere se in ciò v'è nulla contro i comandamenti di Dio e della Chiesa o contro le leggi dello Stato.

Un altro segno per discernere l'illusione, è quando si manifesta in essa qualche cosa di superstizioso. E vi accorgerete che è superstizione quando v'è ingiunzione di fare questo o quello tante volte, in certi dati momenti, di dire le tali parole, mescolare alcune erbe tra loro, fare la cosa in presenza di certe persone di tal riguardo e di tale età. Concludiamo dunque: tutto questo è illusione.

Il terzo segno è quando un pensiero ci opprime, ci turba, ci procura inquietudine. La ragione è questa, che lo spirito di Dio non turba mai: Non in commotione Dominus 640. Perciò, quando qualcuno verrà a lamentarsi da noi, ci esporrà i suoi dolori, le sue pene, i suoi lumi, quando ci accorgeremo che li sopporta con inquietudine, asprezza e impazienza, concludiamo che è illusione, perché lo spirito di Dio è uno spirito di pace, è una luce soave che si insinua senza far violenza alcuna. Non in commotione Dominus. Tutto quello che fa è sempre seguito da soavità e dolcezza; ed essendo Egli il Dio della pace e dell'unione non può tollerare alcun turbamento, alcuna divisione. Se, mediante il ministero degli angeli, ci comunica talvolta qualche favore, sarà facile riconoscere che quel lume viene da parte sua, se s'insinua nell'anima nostra con soavità e c'induce a ricercare tutto quello che si riferisce alla maggior gloria di Dio. Questa, fratelli, è regola molto comune, ma fa ben discernere i veri dai falsi lumi.

4° In fine, sarebbe illusione, falsa luce, se non volessimo manifestare al superiore o al confessore, che se ne fossero accorti, quello che proviamo, e sottometterlo a loro, poiché lo spirito di Dio induce alla sottomissione coloro che esso anima; lo spirito del Vangelo è uno spirito d'obbedienza e ricusare d'obbedire è resistere alla volontà di Dio. Orsù, se, per esempio, ci capita un affare importante che si riferisce a noi, che faremo? E' necessario chieder consiglio. Se la persona riceve con dolcezza, pace, tranquillità il

640 3 Re 19,11.

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consiglio datole e si sottomette, è segno che non c'è illusione in quello che fa e imprende.

Questi quattro segni sono molto comuni; ma dopo aver pensato se ve ne fossero altri (ho interrogato altre volte qualche persona su questo argomento), mi è parso che bastassero o che tutti gli altri si ricollegassero con questi.

- Ma come! signore, dite che lo spirito maligno tende tranelli per fare il male, che cerca d'impedirci di osservare la regola, che sta sempre in agguato; che credete che sia tutto ciò? - Queste cose, fratelli, non sono altro che false luci. per qual ragione uno non va all'ufficio? Donde viene quella singolarità che apparisce in alcuni della Compagnia, che fa tenere in tanto poco conto le pratiche e i consigli che vi sono dati? Di chi è opera? Chi ne è l'autore? Non è forse lo spirito maligno, il quale mette nella nostra mente falsi lumi e ragioni immaginarie, sulle quali ci appoggiamo per dispensarci dai nostri obblighi? Ah! mio Salvatore! ah! mio Salvatore! quanti tranelli ci tende il demonio e chi ci farà la grazia di evitarli?

Ma come potremo fare per metterci in condizione di sfuggire alle illusioni e di aiutare coloro che ne sono assaliti? Come primo mezzo , lo vedete, occorre una luce soprannaturale da parte di Dio per discernere i veri lumi dai falsi. E' necessario chiederla a Lui. Dirgli: Io sono fratello, non capisco che cos'è l'illusione. Voi mi avete fatto sacerdote; ma non ne conosco la dignità; non ne posseggo i lumi; non so come devo assistere il mio prossimo che si trova nell'illusione, se Voi, mio Dio, non mi date i veri lumi per discernerne le false. Noi tutti, Signore, vi domandiamo questa grazia.

In secondo luogo, non bisogna essere troppo curiosi di voler discernere queste false luci, perché la curiosità ci fa riflettere sulle nostre azioni, ci spinge a considerarle sotto diversi aspetti, e lo spirito maligno, vedendo questa smania di sapere, ne approfitta per turbare una povera anima e girarla e rigirarla da tutte le parti finché non sia caduta nella sua rete. Di solito, Dio punisce con illusioni quelli che vogliono sapere esageratamente e penetrare quello che dovrebbe esser loro nascosto. Ah! signori, ah! fratelli, fuggiamo qualunque curiosità e mettiamo tutto il nostro studio nell'umiliarci, nel crederci indegni di veder la luce, nel persuaderci che meritiamo di essere abbandonati da tutti, nel non vedere in noi stessi se non motivi di attirare la giustizia di Dio. Una persona siffatta non è soggetta ad illusioni. Dobbiamo dunque annientarci davanti a Dio, non vedere in noi altro che meschinità e miseria, respingere tutti i pensieri opposti, allontanarci da ogni singolarità, da ogni desiderio di riuscir bene in quello che facciamo ed avremo allora il discernimento dei falsi lumi. Ma se cerchiamo il contrario, che indizio è? Di orgoglio raffinato, fratelli. Se ci esaminiamo bene figli di Adamo, figli d'ira e di maledizione, ah! quanto siamo fortunati! Umiltà dunque, e non soltanto per noi, ma consigliamola alle persone con le quali avremo l'onore di conversare. L'umiltà, desiderare di sapere ad sobrietatem, voler fare quello che Dio vuole che facciamo e ammirare come la sua bontà ci sopporti dopo tanti peccati che abbiamo commesso. Purtroppo, fratelli, se non ci conosciamo, è perché non ci studiamo.

Sapete bene che siamo peggiori dei demoni, sì, peggiori dei demoni! Poiché, se Dio avesse concesso a loro la decima parte delle grazie che ha fatto a noi, mio dio! quale uso non avrebbero fatto! Ah! quanto siete sventurati! Siete stati riscattati dal sangue preziosissimo di un Dio incarnato, avete grazie attuali per vivere la vita di Gesù Cristo, eppure le disprezzate! Qual punizione non meritereste!

Coraggio, dunque! studiamoci bene, e quando avremo fatto tutto quello che dobbiamo, concludiamone che siamo servi inutili, sì, servi inutili, e ricordiamoci che dopo aver bene esaminato le nostre azioni circa alla loro sostanza, quanto alle loro qualità e alle loro circostanze, ci accorgeremo di non avere fatto nulla di buono in tutta la nostra vita. E se vogliamo penetrare questa verità più profondamente, consideriamo come abbiamo detto le nostre ore, come abbiamo passato la mattinata e così del

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rimanente della giornata; rimandiamo, ve ne prego, agli altri giorni, ed esaminiamo da-vanti a Dio tutte le nostre azioni e il modo con cui le abbiamo eseguite.

Quanto a me, non conosco come sono fatti gli altri, ma so che io non merito altro che giustizia; so che voi siete buoni, che amate Dio, che agite con buona fede, che camminate diritti al cospetto di sua divina Maestà; ma io, purtroppo, non vedo nulla in me che non meriti punizione; tutte le azioni che ho compiuto non sono altro che peccati e perciò temo i giudizi di Dio. Potrei dire molto di più, ma mi spingerei troppo oltre. Comunque sia, persuadiamoci che dopo aver praticato punto per punto le nostre regole, siamo servi inutili; non c'è alcun dubbio, perché l'ha detto il Figlio di Dio stesso.

Orsù, quale conclusione tireremo da quanto abbiamo detto, se non di darci a Dio, affinché si degni metterci le armi in mano per combattere lo spirito maligno? Se siamo caduti, se abbiamo qualche illusione, ricorriamo a Dio, avremo la pace; ma non ci confidiamo a nessuno, se non a quelli che hanno ricevuto grazia per questo, ossia il superiore o il padre spirituale della casa. Le nostre regole dicono che se sapessimo il male che ne deriva facendo le nostre confidenze al terzo e al quarto, nessuno aprirebbe mai il suo cuore se non a quelli che Dio ha stabilito a tale scopo. Credete, signori, che questi mali non si riflettano su tutta la Compagnia? E, come le nostre buone azioni ridondano su tutto il corpo della comunità, data l'unione dei membri con il loro capo, così tutti i mali che provengono da queste maledette comunicazioni si diffondono su tutta la Compagnia. Oh! non è deplorevole vedere in una comunità alcuni che si mettono in pena per tutto e trovano sempre da ridire? «Ah! che cos'è questo? che cos'è quello? A che serve quest'altro? Eh! non la finiremo mai?». E che cosa ne deriva? Si trasfondono queste cattive impressioni in altri; questo si confida a quello; ed eccone due; il secondo correrà ad un terzo; e in breve tutta la comunità sarà infetta da questo veleno. - «Ecco un fratello, si dirà, che fa questo: ecco un sacerdote, ecco un ufficiale» e così di seguito. Dove si va a finire, fratelli, se non a distruggere una Compagnia? Ah! se piacesse a Dio rimediare a tal disordine, e se facessimo oggi il proposito di darci alla sua divina bontà, per non manifestare mai le nostre pene se non a quelli che Egli ha costituito sopra di noi, o signori, o fratelli, quanto saremmo fortunati! Non già che qui non vi siano anziani molto virtuosi, ma soltanto chi si sottomette al proprio superiore è certo di non sbagliare, perché fa in questo la volontà di Dio. «Non vi siete determinato da voi, Egli dice, ma l'ho comandato Io per mezzo del vostro superiore». E vi assicuro che non sbaglierete mai, se ricorrerete a lui. Facciamo dunque così; chiediamo a Dio che istruisca la Compagnia sulle cose di cui abbiamo parlato e che ci dia le armi adatte per combattere le illusioni. Questa è la grazia che Gli chiederemo».

215. CONFERENZA DEL (24 OTTOBRE 1659)641

SULL'OBBLIGO DI AVVERTIRE IL SUPERIORE DELLE COLPE NOTEVOLI E DELLE TENTAZIONI DEL PROSSIMO642

(Regole comuni, cap. II, art. 16-17)

«Fratelli, la conferenza di stasera si terrà sopra una parte della regola spiegata venerdì scorso [17] ottobre643, ma troppo superficialmente, o che fu omessa, e sull'articolo che la segue. Ecco dunque l'articolo:

641 Questa conferenza non ha data, ma il contenuto ce la indica, in modo certo, nonostante una lieve difficoltà dilucidata nella nota 2.642 Manoscritto delle Conferenze.643 Il manoscritto porta 24 ottobre. E' un errore, perché la conferenza sulle illusioni è in data del 17 ottobre. Il 24 ebbe luogo la conferenza della quale diamo qui il testo e il venerdì seguente, 31, l'argomento della conferenza fu la santità, come è indicato da una lista contemporanea delle conferenze tenute a San Lazzaro.

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E poiché lo spirito maligno spesso si trasfigura in angelo di luce e talvolta c'inganna con le sue illusioni, tutti staranno bene in guardia per non lasciarsi cogliere da esse, ed avranno cura d'imparare i mezzi per discernerle e superarle. Ecco quanto fu spiegato parlandovi delle illusioni. L'articolo continua: E siccome l'esperienza ci dimostra che il mezzo più pronto e più sicuro in questo caso è di confidarsi subito a coloro che in Dio ha deputati a questo scopo, appena uno avrà pensieri sospetti d'illusione, o qualche pena interiore o qualche notevole tentazione, paleserà il suo stato più presto che potrà al superiore o al direttore a ciò incaricato, affinché vi rechi il rimedio conveniente, che ognuno riceverà come dalle mani di Dio, sottomettendovisi con fiducia e rispetto. Soprattutto, si asterrà dal parlarne ad altri, sia di casa, sia di fuori, avendoci l'esperienza dimostrato che aprendosi così ad altri il male diventa peggiore, se ne infettano gli altri e ciò finisce per recare gran danno a tutta la Compagnia.

O mio Salvatore! non è che troppo vero! Ecco l'articolo successivo che riuniremo insieme all'altro, per la connessione che v'è tra essi. E' il diciassettesimo.

E poiché Dio vuole che ognuno abbia cura del suo prossimo, ed inoltre, come membri d'uno stesso corpo mistico, dovendo vicendevolmente aiutarci, quando uno saprà che qualche altro è molestato da grave tentazione od è caduto in una colpa notevole, subito animato dallo spirito di carità, procurerà nel miglior modo che gli sarà possibile che il superiore a questi due mali applichi debitamente e opportunamente i rimedi convenienti. E per meglio progredire nella virtù, ciascuno approverà e gradirà che, nel medesimo spirito di carità, i suoi mancamenti siano palesati al superiore da chiunque li avrà osservati fuori di confessione.

Ecco l'articolo, il quale, come vedete, è strettamente connesso con il precedente, che spiegammo, in parte, ultimamente; mancai, però, di parlarvi dell'apertura di cuore che deve aversi per manifestare le illusioni, le colpe e le pene interiori al superiore, in una parola, per fargli la propria comunicazione e lo spiegheremo ora, insieme con la necessità di avvertire il superiore, quando vediamo un confratello subire qualche tentazione od esser caduto in una colpa grave e d'esser noi contenti quando saranno manifestate le nostre mancanze al superiore.

Dunque la prima regola parla della comunicazione; l'altra raccomanda di avvertire il superiore delle mancanze notate nei nostri fratelli. L'uno di questi articoli dice di comunicare le nostre pene e codificare le nostre mancanze al superiore; l'altro dice che in caso (è vero che le parole in caso non vi sono nella regola, ma è come se vi fossero), in caso che un missionario non manifestasse le proprie mancanze al superiore, uno dei confratelli, animato da zelo e da carità per il bene della Compagnia e dei suoi membri in particolare, dovrebbe avvisarne il superiore, affinché vi rimediasse da buon padre, e non da giudice: che Dio ce ne liberi!

Dunque ambedue questi articoli ingiungono di avvisare il superiore dello stato dei componenti la Compagnia; le medesime ragioni che ci obbligano a darci a Dio per ben fare quello che ci è raccomandato dal primo, ossia di manifestare apertamente le pene, le tentazioni, le colpe al superiore, ci obbligano anche a darci a Dio per fare bene quello che ci raccomanda il secondo, ossia avvisare il superiore delle pene, tentazioni e colpe notevoli del nostro prossimo. Ecco le ragioni, non tutte (com'è possibile dirle tutte?) ma alcune.

La prima ragione o il primo motivo, che ci obbliga a manifestarci apertamente e a fare la comunicazione delle nostre mancanze è l'intenzione della Chiesa, la quale ha tenuto questa pratica per quattro o cinquecento anni. I cristiani che tendevano alla per-fezione, non contenti di confessare le loro colpe al vescovo in particolare, le dicevano pubblicamente e davanti a tutti; il che si osservò fin verso l'anno 500. Ma siccome avvenne che una donna, avendo commesso una colpa grave, volle accusarsene pubblicamente ed un diacono ne prese occasione per fare il male, questa pratica fu tolta. Comunque sia, vediamo e leggiamo che così hanno praticato i santi; chi non sa ciò che

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fece la Maddalena, andata a gettarsi ai piedi di Nostro Signore come una miserabile peccatrice? Che cosa non ha detto S. Paolo di se stesso? Che cosa non ha scritto Sant'Agostino nel libro delle Confessioni? E tanti altri! Dietro a tale esempio, molte comunità religiose conservarono la lodevole abitudine di accusarsi in pubblico, di chiedere di essere avvertiti; ciò che si fa qui, per misericordia di Dio, nel capitolo, se non da tutti, almeno dalla maggioranza; forse uno o due non lo fanno, o almeno non tanto spesso. Molti fanno pure le loro comunicazioni con grande apertura di cuore, come mi è stato riferito, ed anzi vi è in ciò un tale progresso che, lo sapete tutti, parecchi, prima di fare la loro comunicazione, si raccomandano alle preghiere della Compagnia, affinché Dio si degni conceder loro la grazia di ben conoscere i consigli e gli avvertimenti che riceveranno per emendarsi. Gran motivo di lodare Dio e di ringraziarlo per la grazia fatta alla Compagnia! Di qui viene l'altra grazia di essere avvertiti da qualcuno animato da spirito di carità. Piaccia a nostro Signore continuarcela e accrescercela sempre più!

La seconda ragione, o il secondo motivo,è che questa è stata la pratica e l'uso delle comunità religiose e degli anacoreti; appena uno sentiva una tentazione, qualunque fosse, andava a manifestarla al superiore. S. Doroteo lo faceva spesso e sebbene, cammin facendo, gli venissero pensieri che lo dissuadevano dal farlo, non vi badava e andava a raccontar tutto al superiore. I compagni di S. Francesco facevano pure così come altri. Grazie a Dio, abbiamo questo uso anche nella Compagnia, e lo pratichiamo, se non tutti, almeno la maggior parte. Dio si degni conservare tale grazia a quelli che l'hanno e darla a coloro che non la posseggono ancora!

Un'altra ragione è che, non facendo così, non manifestando le proprie colpe e non volendo che altri le manifestino al superiore, uno si trova senza soccorsi; il povero superiore, non sapendolo, come potrà porvi rimedio? Se non vi rimedia, il colpevole rimane sempre nelle sue cattive condizioni e va, peggiorando; è come un malato che non volesse scoprire il suo male; ne viene di conseguenza un peggioramento e alla fine la morte. In pari modo, se una persona non svela le sue mancanze, o se non sono manifestate da altri al superiore, che è il medico spirituale, non rimane a questo punto, ma cade di colpa in colpa,e ne accresce continuamente il numero; piaccia a Dio che non sopravvenga la morte e lo trovi in quello stato miserando!

Un'altra ragione parimente è che l'unico mezzo che il superiore ha di ben governare una Compagnia, consiste nel rimediare ai mali e alle colpe che commette ciascun individuo in particolare. Chi non manifesta le sue colpe o non è contento che siano da altri manifestate, s'indurirà sempre più e quasi si pietrificherà, pretendendo guidarsi da se stesso e a modo suo. Oh! quanto male! o mio Salvatore, Voi lo sapete! Pertanto, ognuno deve darsi a Dio per continuare questa santa pratica se l'ha già, o, altrimenti, per cominciare fin d'ora; perché, se il superiore non é avvertito, la Compagnia come andrà a finire?Chi manderà nelle missioni? Se le colpe che si commettono in essa non sono scoperte, chi manderà in Italia, in Polonia, in Barberia e anche nelle Indie? Se il superiore non è avvertito delle colpe che si commettono, come vi rimedierà? Ed allora qual disordine, mio Salvatore! Ma se è avvertito fedelmente, con umiltà e carità, cercherà di porvi rimedio, a consolazione di tutti, per il bene degl'individui e ad edificazione generale.

Un'altra ragione è che le illusioni, le tentazioni, il cattivo stato di un'anima, non possono passare lungamente inosservati. Se è tentata contro la fede, contro la purezza, ecc., se non parla, se non copre il suo male, si forma nel suo interno un ascesso corro-sivo, come chi ha una postema o del pus nel corpo; aumenta di continuo e poco per volta sale al cervello. Per questo i medici o i chirurghi cercano premurosamente se c'è del pus nella piaga; e se lo trovano, affondano la lancetta sino al manico, se si può dir così poiché non l'ha, per farne uscire gli umori guasti.

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Voglio riferirvi, in proposito, quello che mi raccontò un chirurgo, un brav'uomo, dotto, abile e molto dabbene: il signor Juif644. Chiamato con gli altri medici presso un collega malato, fu pregato di dire il suo parere. Si trattava di sapere se il malato aveva un postema nel corpo; gli uni dicevano di sì, gli altri di no. Il signor Juif assicurò che realmente v'era un postema nel mesenterio e che bisognava aprirlo; fece fare perciò una grande lancetta, operò lui stesso perché era abilissimo ed ecco il pus uscire abbondante-mente, riempiendone delle catinelle; e subito l'infermo si sentì sollevato e poco dopo interamente guarito.

Ora, tornando al nostro discorso, diciamo che le illusioni corrodono lo spirito; sono un pus; uno è inclinato verso le donne, un altro ad altri difetti; se non scopre il suo male, prima o poi perirà; Mi ricordo che una persona venne un giorno a trovarmi (fu in questa corte) e mi disse: «O signore! sono tanto contento di vedervi perché ho da dirvi qualche cosa! Credo che se non vi avessi trovato sarei morto per dispiacere, tanto è grande il desiderio che avevo di vedervi e di parlarvi». Facciamone l'applicazione e diciamo: chi non svela al superiore le sue colpe, pene o tentazioni, soffre molto; se non le confida al superiore, è giocoforza che le scopra ad un altro; ma a chi? Sarà a qualche malcontento, perché se ne trovano sempre, o, altrimenti, a qualche altro, cui comunicherà il suo male e lo guasterà. Basta una pecora rognosa per rovinarne un'altra, la quale, alla sua volta, comunicherà l'infezione ad una terza, e così tutto il gregge sarà infetto.

- Oh! ma il superiore che penserà se gli dico di tal pena, tentazione o colpa? - Questo medesimo pensiero veniva talvolta in mente a S; Doroteo, che diceva a se stesso: «Dove vai? A trovare il superiore. Che cosa vuoi dirgli? Questo e questo. Ma egli che dirà?». Poco importa! e non lasciava di andare.

- Oh! ma il superiore non avrà da darmi consigli migliori di quelli che io conosco al pari di lui; posso quindi fare da me. - Rispondo che i pensieri che avete sono pensieri umani, ma i pensieri e i consigli del superiore sono pensieri e consigli di Dio. Dio non ha forse detto: Qui vos audit me audit645?

- Ma egli non ne sa più di me! - Dio non ha fatto parlare anche le bestie?- Ma è un peccatore come me e forse peggio! - Cento volte peggio, se volete; ma

tiene il posto di Dio Signor Nostro, il quale disse dei sacerdoti dell'antica legge: «Fate quello che vi diranno, ma non fate quello che fanno». No, no, il superiore non è impeccabile;o miserabile! io commetto colpe continue! Bisogna esser dunque fedeli nel manifestare le nostre colpe e nel fare bene la comunicazione, perché, altrimenti, il male rimarrebbe ed anche peggiorerebbe; voi lo sapete abbastanza.

Quanto a me, ho osservato che coloro che non vivono regolarmente non danno mai avvisi, si curano poco del loro progresso e di quello dei loro fratelli. Ma coloro che vivono con fervore, cercano coscientemente la propria perfezione e considerano la necessità e il vantaggio di far conoscere al superiore i difetti dei loro fratelli affinché ne siano corretti, sono esatti nell'avvertirne il superiore e contribuiscono con ciò al bene della Compagnia. Dunque se fin qui qualcuno non l'ha fatto, lo faccia ora. O Salvatore dell'anima mia! quanto la Compagnia si perfezionerebbe, se ognuno manifestasse le proprie colpe, pene e tentazioni al superiore e non ad altri!

Uno dei dispiaceri più sensibili che ho avuto da poco tempo è di saper che qualche individuo della Compagnia è andato a confidarsi al terzo e al quarto. O Dio! che gran male! Dio gli perdoni!

Si potrà farmi qualche obbiezione in proposito:

644 Francesco Juif, eminente chirurgo, morto a Parigi il 23 luglio 1643, a sessantasei anni.645 Lc 10,16.

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- Come! voi ci raccomandate, signore, di avvertire il superiore delle colpe notevoli commesse da un individuo; ma non è contro la massima evangelica, dataci da Nostro Signore, di fare la correzione fraterna inter te et ipsum solum? - Rispondo di no. La medesima obbiezione fu fatta da un dottore di Parigi, fattosi minore conventuale a Roma, contro i gesuiti che avevano messo questo articolo nelle loro regole. Egli lo criticava e sosteneva che non era giusto ed era contrario a quello che Nostro Signore ci aveva insegnato: Si peccavit frater tuus, corripe eum inter te et ipsum solum 646. I gesuiti, chiamati i loro principali e più abili dottori, difesero la loro opinione, in presenza di Gregorio XII, il quale si determinò in loro favore.

- Ma ripugna andare a raccontare al superiore le colpe di un altro; io gli farò dispiacere e il superiore lo maltratterà e lo guarderà di mal occhio. - Rispondo che queste informazioni si danno al superiore, non come ad un giudice, ma come ad un buon padre, il quale saprà ammonirlo a tempo e luogo e nell'occasione opportuna, con carità e cordialità.

- Ma il superiore o direttore andrà a dirlo agli altri. - O Dio! o Salvatore dell'anima mia! oh! egli se ne guarda bene! Non è obbligato al segreto? Qual pena non meriterebbe se lo facesse? Maledizione, s'egli lo fa!

Diciamo ora, come comportarsi in questo . Bisogna considerare bene colui che avverte, colui che è avvertito, di che e come deve avvertirsi.

il primo deve mettersi davanti a Dio e pregarlo di fargli la grazia di ben conoscere:1° Se c'è colpa e quale, prima di risolversi di darne avviso al superiore? Star bene

attento di no farlo per passione o antipatia. O Dio! quale male sarebbe!2° Se la cosa è vera, se ha delle prove, perché nel dubbio non bisogna avvertire.3° Se la cosa è importante; perché, se fosse un'inezia, non è il caso di avvertire il

superiore. E' necessario che sia notevole e che la Compagnia o il colpevole possa profittare dell'avvertimento.

4° Se il colpevole è caduto una volta, due o tre o più spesso. 5° se sente in sé antipatia per colui che vuol fare ammonire dal superiore; se la cosa

fosse grave deve, pur nonostante, avvertire, ma aggiungere: «Vi prego informarvi anche da altri, perché provo avversione per quella persona».

Procedendo con queste cautele, che danno può derivarne? Giudicatelo voi stessi.Quanto alla persona avvertita, essa deve ricevere l'avvertimento con spirito di

umiltà e di carità.- Oh! ma alcune circostanze non sono vere. - Basta che la cosa sia vera quanto alla

sostanza. Chi è avvertito deve rallegrarsi di sentirsi accusato, pur essendo innocente; quand'anche lo fosse in tutto, o Dio! qual consolazione! Io l'ho provata.

Il superiore deve comportarsi non da giudice ma da buon padre, con mitezza e cordialità, in spiritu lenitatis.

- Ma il colpevole ha fatto questo e questo, ed anche questo. - Oh! deve pensare il superiore, io ho fatto ben altro.

- Ma è una colpa grave. - Se anch'io avessi avuto una tentazione tanto forte, sarei caduto parimente e avrei fatto peggio di lui.

O mio Salvatore, che mi accuserete di tutte le mie asprezze e sapete che non c'è quasi tentazione alla quale non abbia ceduto, perdonatemi, fate la grazia a me e agli altri superiori di bene accogliere le informazioni che mi si danno e di ammonire secondo il vostro spirito. Quanto motivo ho di umiliarmi per avervi tanto mancato e di chieder perdono a Dio e a tutta la Compagnia! Vorrei potermi mettere in ginocchio per farlo, ma ne sono impedito dalla mia infermità. Sopportatemi dunque, cari fratelli, perché sono l'abbominazione e pregate Dio per me».

646 Mt 18,15.

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216. CONFERENZA DEL (7 NOVEMBRE 1659)SUI VOTI(Regole comuni, cap. II, art. 18)647

«Miei cari fratelli, ecco il diciottesimo articolo del secondo capitolo delle nostre regole ed ultimo delle massime evangeliche:

Essendo Gesù Cristo venuto al mondo per ristabilire nelle anime l'impero del Padre suo, col liberarle dalla potestà del demonio, il quale gliele aveva rapite con la disordinata cupidigia delle ricchezze, degli onori e dei piaceri, che aveva astutamente diffusa nel cuore degli uomini, il benignissimo Salvatore giudicò opportuno combattere l'avversario con armi opposte, cioè con la povertà, con la castità e con l'obbedienza, come fece sino alla morte. Ed essendo la piccola Congregazione della Missione sorta nella Chiesa per attendere alla salvezza delle anime, specialmente dei poveri della campagna, a pensato di non potersi servire di armi migliori e più adatte di quelle medesime di cui la Sapienza eterna si è servita tanto felicemente e utilmente. Perciò tutti e ciascuno osserveranno con fedeltà e sempre la povertà, la castità e l'obbedienza, conforme al nostro Istituto. E affinché più sicuramente e più facilmente, ed anche con maggior merito, possano perseverare sino alla morte nella pratica di tali virtù, ognuno cercherà, con l'aiuto di Dio, di eseguire, più fedelmente che gli sarà possibile, quello che é prescritto intorno a ciò nei seguenti capitoli.

Ecco, signori, l'argomento della conferenza di stasera. Ho pensato che tutti intendano facilmente quello che dice la regola, ossia che Nostro Signore, mandato quaggiù dal Padre con la missione di convertire le anime, vedendo che l'ambizione, il piacere, la cupidigia delle ricchezze avevano seminato la rovina nel mondo, e che spirito maligno se ne era servito per perdere le anime ed attrarle a se, volle usare armi opposte per strapparle dalle sue mani e conquistarle a Dio suo Padre e scelse la povertà, la castità, l'obbedienza. Così pure la Missione, considerando che il mondo si perde per la cupidigia dei piaceri, delle ricchezze, degli onori e sentendosi attratta vero la missione di Nostro Signore, a cui ci ha fatto l'onore di chiamarci, ha visto che non aveva nulla di meglio da fare che adottare i mezzi di cui il nostro benedetto Salvatore si è servito: così ha fatto.

Sarebbe troppo lungo dirvi oggi perché la Compagnia deve combattere questi tre nemici; del resto, è un soggetto che ritorna spesso nelle nostre meditazioni. Ora debbo dirvi le ragioni che la Compagnia ha di ringraziare Dio della grazia che Egli le ha fatto, chiamandola a continuare la missione che il suo Figliuolo aveva iniziato, ed a servirsi delle medesme armi, ossia della povertà, castità, obbedienza, per distruggere prima di tutto in noi questi tre nemici, l'amore delle ricchezze, dei piaceri, degli onori, e metterci quindi in grado di combatterli in altri nelle missioni, mediante il voto di povertà, castità e obbedienza; ed applicarci, infine, per tutto il resto della vita, alla salvezza dei poveri campagnoli.

647 Manoscritto delle conferenze. Questa conferenza e le seguenti non hanno data sul manoscritto. Siccome continuano la spiegazione delle regole comuni dell'articolo dov'era rimasta la conferenza del 24 ottobre 1659 e, d'altra parte la conferenza sulla povertà è, come indica chiaramente il suo contenuto, della fine del novembre o del dicembre 1659, ci è facile stabilire il giorno. La lista delle conferenze date a S.Lazzaro c'informa che il 31 ottobre, la conferenza si tenne sulla santità e il 26 dicembre, sulle colpe commesse nell'anno. Sette venerdì s'intercalarono tra queste due date ed è tanto più naturale porvi le conferenze sui voti, in quanto che tali conferenze sono sette e S. Vincenzo non poté averle tenuto nel 1660.

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Nelle nostre regole non sono nominati questi tre voti, perché nessuna Compagnia ne ha mai trattato nelle sue regole comuni, come sono le nostre. Ci rimane dunque da vedere per quali ragioni dobbiamo lodare e ringraziare Dio per averci chiamato a tale stato; e ciò sarà come l'esordio, per parlar poi della povertà, castità e obbedienza. Dunque il primo punto sarà sulle ragioni che abbiamo di ringraziare Dio per averci messo, per sua misericordia, nel medesimo stato del suo Figliuolo, Nostro Signore Gesù Cristo; e il secondo qual sia questo stato nel quale ci troviamo.

La prima ragione che abbiamo di ringraziare Dio dello stato in cui, per sua misericordia, ci ha messo, è che in questo stesso stato mise il suo Figlio, il quale disse di se stesso: Pauperibus evangelizare misit me648. Motivo di gran consolazione, trovarci in uno stato simile! Vedete quanto dobbiamo ringraziare Dio! Evangelizzare i poveri come Nostro Signore e, come Nostro Signore faceva, servendoci delle medesime armi, combattendo le passioni e il desiderio delle ricchezze, dei piaceri, degli onori! E' vero che Nostro Signore non aveva questi difetti e queste passioni, ma praticò altamente e mirabilmente le virtù contrarie, ossia la povertà, la castità e l'obbedienza. O Dio! fin dove Egli spinse la pratica di questa virtù! Esser nato povero, aver vissuto povero, esser morto povero! La purezza e la castità furono mirabili in Lui. Quanto all'obbedienza, morì per essa: Factus obediens usque ad mortem649. O Dio! non abbiamo ragione di ringraziarlo di essere in questo stato? Forse non l'ho mai fatto, miserabile che sono! E forse non l'ha neppur mai fatto nessuno di noi. Vedete dunque quanto siamo obbligati a farlo almeno cominciando da ora.

Non discuterò qui se Nostro Signore fece questi voti di povertà, castità, obbedienza. S.Tommaso dice di no, perché fare un voto vuol dire promettere ad un maggiore di noi. Ora, Nostro Signore è uguale a Dio suo Padre e perciò non poteva fargli voti. Tuttavia ho sentito dire da una persona eminente e dotta (il defunto Padre generale dell'Oratorio)650, che Nostro Signore aveva fatto i voti, non come Dio, ma come uomo. Egli si basava sulle parole del salmista: Vota quae distinxerunt labia mea adimplebo 651; infatti il salmo dove si legge questo versetto, parla propriamente di Nostro Signore, e quindi del compimento di questi voti da Lui fatti, di offrirsi e presentarsi a Dio suo Padre per fare in tutto la sua santa volontà, riscattare gli uomini, incarnandosi, provvedere alla loro salvezza ed infine morire per essi. Egli ha fatto e compiuto tutte le promesse; quale inconveniente può dunque esservi nel dire e assicurare, in questo senso, che Nostro Signore fece i voti e li osservò perfettamente?

Quanto agli apostoli, alcuni dicono che non li fecero neppure essi: ma li compirono ottimamente. Ecce nos riliquimus omnia652. Questo per la povertà. Qual maggior povertà di aver lasciato tutto, non essersi riservato nulla! Per la purità e castità, S.Pietro non lasciò sua moglie? Per l'obbedienza, non vissero tutti sottomessi? Com'è consolante per noi trovarci nelle loro medesime condizioni, o mio Salvatore!

Si fa una distinzione tra i diversi stati. Si dice che i vescovi e i religiosi sono in uno stato di perfezione. I primi sono in uno stato di perfezione acquisita o che avrebbero dovuto acquistare, perché Nostro Signore, avendoli scelti per perfezionare gli altri, vuole che siano perfetti ed abbiano la perfezione. S.Cipriano dice di loro: Qui episcopatum desiderat, martyrium desiderat; e ciò dimostra che devono essere perfetti ed essere in uno stato di perfezione acquisita. I religiosi non sono in uno stato di perfezione acquisita, ma da acquistarsi. E come? Perché i religiosi sono in uno stato in cui tutto li porta alla perfezione: le loro sante regole, le costituzioni, i voti, i sacramenti,

648 Lc., 4, 18.649 Fil., 2, 8.650 Il padre de Condren.651 Sal., LXV, 14.652 Mt., XIX, 27.

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le letture, ecc. Orbene, noi non abbiamo tutto questo? I secolari, che vivono nel mondo, non l'hanno; all'opposto, sono impicciati negli affari, nelle cure di famiglia, ecc. Ma noi ci troviamo in uno stato di perfezione non acquisita, ma da acquistarsi, se ci serviamo dei mezzi a nostra disposizione. O Dio! stiamo bene attenti a non trascurarne alcuno di questi mezzi, ci procureremmo un gran danno e decadremmo dal nostro stato. Si entra nello stato di perfezione mediante la povertà, la castità e l'obbedienza, perché Nostro Signore dice: Si vis perfectus esse, vade, vende omnia quae habes et da pauperibus. 653

Rinunziamo alle ricchezze, ai piaceri, agli onori. Dio ci ha fatto la grazia di metterci in questo stato. Oh! qual motivo di ringraziare la

sua divina Maestà! Ma riflettiamo e guardiamo se veramente rinunziamo ai piaceri, alle nostre piccole soddisfazioni e all'onore di riuscir bene nelle nostre prediche, desiderando che si parli bene di noi, che tutti faccian conto di noi, che ci reputino bravi predicatori, persone d'ingegno e di pensieri elevati. Mettiamoci la mano sulla coscienza; abbiamo in essa un testimone che, senza dire una parola, ci farà ben sentire chi noi siamo su questo punto ed altri simili. Se dunque non abbiamo rinunziato debitamente a tutte queste cose, facciamolo ora, rinnoviamo il buon proposito di darci a Dio; rinunziamo alle ricchezze, ai piaceri, agli onori, per amor suo.

Oltre la consolazione di trovarci nel medesimo stato di Nostro Signore e degli apostoli, di aver, cioè, rinunziato a tutto per fare le missioni e lavorare alla conversione di tante anime ci stacchiamo dalle cose che, di solito, inducono gli uomini al male, come sono le ricchezze, il desiderio di accumulare i beni di fortuna, ecc. Quali sono questi beni? Nel Madagascar sono certe pietre, nel Canadà i maiali, le bestie. Orbene, i voti ci allontanano da tutte quelle cose, da quei beni che sono causa della perdita di tante anime.

Uno dei vantaggi di questo stato è la pace di cui si gode, avendo con i voti rinunziato a tutto. La passione predominante, nel mondo, è la smania delle ricchezze, di fabbricare, di divertirsi, di essere stimati, per poter dire: «Io ho questo o quello, mi prendo tali svaghi, ho ottenuto tale carica»; e uno crede trovare quiete in questo. S'inganna; non c'è; ma la vera pace consiste nel rinunziare a tutto. Quello che tormenta i secolari e qualche volta ancor più gli ecclesiastici, è il desiderio di accumular ricchezze; essi non hanno riposo, mentre, invece, chi, mediante i voti, vi ha rinunziato, gode una grande tranquillità. Lo sentite voi, voi che vi avete rinunziato come si deve; lo vedete negli altri che osservano perfettamente i loro voti, ed all'opposto, vedete le angustie di coloro che non li compiono con egual perfezione.

Inoltre, questi voti sono un nuovo battesimo; operano in noi quello che aveva fatto il battesimo, perché, per mezzo di essi, siamo liberati dalla schiavitù di Satana, fatti figli di Dio ed otteniamo il diritto al paradiso. Ecco quello che fanno i voti; Perciò una persona che vuol essere perfetta, non si contenta di essere battezzata e di avere, con il battesimo, rinunziato al demonio, alle sue opere e alle sue pompe; ma vende anche i propri beni, rinunzia ai piaceri e agli onori. Orbene noi siamo in queste condizioni, per misericordia di Dio. OH! quante ragioni abbiamo per ringraziarlo! «Ma, dice un santo Padre, non basta essere in uno stato di perfezione, se non vi tendiamo, se non lavoriamo a tale scopo». Alcuni dicono che aver fatto i voti ed esservi fedeli è un continuo martirio. S. Bernardo dichiara che «questo stato dei voti non è tanto terribile quanto vedere una pistola pronta ad essere scaricata, una spada nuda pronta a colpire, il fuoco acceso pronto a bruciare, i carnefici inferociti e infuriati nel maltrattarci. Ma essi sono di più lunga durata; essi sono continui. I tormenti dei carnefici durano poco tempo, in confronto di tutta la vita di un uomo che ha fatto i voti, per i quali egli si mortifica e si rinnega incessantemente con la distruzione di se stesso e della propria volontà».

653 Mt., XIX, 21.

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Ma, a proposito di distruzione, che fa chi ha pronunziato i voti? Offre a Dio l'olocausto di se stesso. Nei sacrifici dell'antica legge l'olocausto aveva questa caratteristica, di essere un sacrificio fatto a Dio, ma nel quale tutta la vittima era consumata dal fuoco e nulla era riservato né per il sacrificatore, né per colui che offriva il sacrificio. Orbene, una persona che fa i voti di povertà, castità, obbedienza da tutto a Dio, rinunziando alle ricchezze, piaceri e onori: è un olocausto perfetto, perché l'intelletto, signori, è sacrificato a Dio, come il proprio giudizio e la propria volontà.

Che aggiungeremo alle ragioni già esposte per ringraziare Dio della grazia fattaci di averci chiamato a tale stato, di essergli così consacrati per continuare la missione del suo Figliolo e degli apostoli? Un giorno infatti saremo seduti con Lui e con i suoi apostoli per giudicare il mondo: Sedebitis super sedes duodecim, iudicantes duodecim tribus Israel.654Dobbiamo viver con la speranza che dopo la morte, andando in paradiso, non assisteremo all'ultimo giudizio come colpevoli, ma come giudici di tutto il mondo: giudicheremo anche gli angeli, secondo il detto di S. Paolo: Nescitis quoniam angelos iudicabimus?655, se vivremo bene in questo stato.

Ma passiamo oltre ed osserviamo che cos'è questo stato a cui Dio ci ha chiamati. - E' un ordine religioso?- No, si tratta di sacerdoti secolari, che si mettono nello stato che Nostro Signore scelse per Sè, rinunziando alle ricchezze, agli onori, ai piaceri. - Voi dite, signore, che non è un ordine religioso, eppure viviamo come in un convento, e facciamo le medesime cose come i religiosi, o press'a poco, ed anche il voto di povertà, castità, obbedienza, come fanno essi. - Vi dico che non è un ordine religioso e che noi non siamo religiosi, perché soltanto i voti solenni costituiscono un ordine religioso e noi non abbiamo voti solenni. Perché i voti siano solenni occorrono tre cose essenziali e necessarie. 1° Bisogna che il superiore li accetti. Ora, questo noi non lo facciamo. Sebbene il superiore, o qualche altro da lui incaricato, sia presente e senta le parole pronunziate da colui che fa i voti, egli non dice e non risponde nulla; insomma, non li accetta, come si usa negli ordini religiosi. 2° I voti solenni sono stati proibiti da Innocenzo III, circa quattrocento anni fa, fuori dagli ordini approvati, come nei quattro ordini mendicanti, di S. Domenico, di S. Francesco e dei certosini, o che ne prendono le regole. Le nostre regole non sono prese né da quelle di S. Francesco, né da nessun altro ordine che sia nella Chiesa, ma sono regole particolari, giudicate opportune per il buon governo della congregazione. 3° Non basterebbe neppure seguire qualche regola come quella di S. Domenico anche se si fosse fatto voto di osservarla davanti ad un superiore, perché è necessario che v'intervenga la volontà del Papa. Dunque noi non facciamo voti solenni e, per conseguenza, non siamo religiosi.656 - Che intendete dunque per voto semplice? - Qualunque voto non compreso nell'ordinazione o nell'ordine religioso approvato. Quanto a noi, sebbene non siamo religiosi, apparteniamo tuttavia ad un ordine religioso, non di S. Francesco o di S. Domenico, ma di S. Pietro, e per maggior stabilità abbiamo aggiunto i voti di povertà, castità, obbedienza. Credete, signori, (parlo principalmente ai sacerdoti), che vi sia gran differenza tra noi e i religiosi? Siamo obbligati all'obbedienza e alla castità come loro e ne abbiamo fatto voto quando siamo stati ordinati: v'è soltanto in più la povertà, il cui voto è stato aggiunto a causa dalla passione e del desiderio delle ricchezze, molto maggiore negli ecclesiastici che nei secolari, quantunque non siano aggravati come loro, non avendo famiglia da mantenere, né figli cui provvedere. E' stato anzi notato che essi sono più

654 Mt;, XIX, 28.655 1 COR., VI,3.656 S. Vincenzo dice altrove (t. V, p. 320 e t. VII, p. 113 ed. Coste) che non è necessario fare i voti solenni per essere religiosi. L'espressione va qui al di là del suo pensiero, o il copista ha riportato male le sue parole? Comunque sia, è meglio agli scritti firmati dal suo nome, nei quali la questione è trattata ex professo, com'è il caso della lettera del 19 febbraio 1655 a Stefano Blatiron (t. V, p. 320 ed. Coste).

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duri verso i poveri ed hanno meno compassione per soccorrerli nei loro bisogni. L'esperienza dimostra che gli eredi dei sacerdoti e degli ecclesiastici che hanno accumulato moti denari, non ne godono a lungo; sono ricchezze maledette, che, di solito, portano disgrazia a coloro che ereditano. Un virtuoso decano, che aveva ottanta parrocchie da visitare, mi diceva: «Vedete, signor Vincenzo, una delle cose da me notate nelle mie visite è che gli eredi dei parroci che hanno accumulato molto denaro, non ne godono per molto tempo, ma deperiscono a vista d'occhio».

Sono state fatte quindici conferenze per vedere donde veniva lo stato miserando della Chiesa e degli ecclesiastici sì avidi di ricchezze e smaniosi di accumularne; e si è concluso che ciò ha origine dalla divisione dei beni ecclesiastici, che assegna a ciascuno la sua parte; perché, sul principio, tutto era in comune, e si dava ad ognuno soltanto quanto gli occorreva. Oh! come era florida la Chiesa in quel tempo e quanto erano virtuosi e perfetti gli ecclesiastici! Ebbene! non ci troviamo noi tutti, sacerdoti e fratelli, in questo stato? Siamo forniti di quanto ci abbisogna, senza che occorra mettere da parte denaro. Oh! felice e ricchissima povertà, mirabilmente e perfettamente praticata da Nostro Signore! Qui, cum esset dives, propter nos egenus factus est.657 Non aveva neppure una pietra dove riposare il capo; povero non soltanto in vita, ma anche in morte. E' spingere la povertà al sommo grado, morire nudo sopra la croce, senza nulla sulla persona all'infuori forse di qualche misero cencio, propter verenda. E noi vedremo questo spettacolo, Gesù confitto in croce, senza essere infervorati nella pratica di questa virtù?

- O signore, mi domanderete, noi che abbiamo fatto i voti di povertà, castità, obbedienza, pur non essendo, come voi dite, religiosi, avremo la ricompensa dei religiosi stessi? - Chi ne dubita? Non ve ne dirò le ragioni, ma mi servirò soltanto di un paragone per farvene vedere la verità e darvene la sicurezza. Sapete che i bambini si battezzano solennemente e qualche volta anche senza solennità. Che ricevono i bambini battezzati solennemente? Senza dubbio ricevono la grazia di Dio che da schiavi di Satana li rende figli di Dio ed eredi del paradiso. Che ricevono i bambini battezzati senza solennità? La stessa cosa degli altri. Le cerimonie che accompagnano il battesimo solenne non aggiungono nulla alle grazie ricevute dal bambino solennemente; e quello battezzato senza solennità partecipa alle medesime grazie dell'altro. Parimente, quantunque noi non facciamo voti solenni, riceviamo le medesime grazie che ricevono i religiosi professi o simili.

Ecco un altro paragone: quando un sacerdote dice la messa, dobbiamo credere e sapere che Gesù cristo stesso è il principale e sommo offerente del sacrificio; il sacerdote non e altri che il ministro di Nostro Signore, il quale se ne serve per fare esteriormente tale azione. Orbene, il chierico che serve il sacerdote e coloro che ascoltano la messa non partecipano, con il sacerdote, al sacrificio che offre e non offrono anch'essi con lui, come dice egli stesso nel suo Orate, frates, ut meum ac vestrum sacrificium acceptabile fiat apud Deum Patrem omnipotentem? Senza dubbio, vi partecipano, e più di lui, se sono provvisti di maggior carità. Actiones sunt suppositorum, le azioni sono personali. Non è la condizione di prete o di religioso che rende le azioni più gradite a Dio e più meritorie, ma bensì il grado di carità che hanno. Oh! che grande consolazione essere dell'ordine di S. Pietro! Abbiamo medesimi vantaggi e le medesime grazie dei religiosi, concesse dal Sommo Pontefice; infatti il Papa stesso si è degnato fare esaminare i voti della Compagnia, a causa di qualche difficoltà trovata da alcuni, da una assemblea di cardinali riunita per l'interpretazione del concilio di Trento. Egli li ha confermati, come ha confermato al Congregazione. Vedete, è il Papa, è un sant'uomo.

657 2 Cor., VIII, 9.

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Un buon dottore, il defunto signor Duval, mi diceva spesso che non riconosceva mai tanto la infallibilità del Papa quanto nell'approvazione degli Ordini della Chiesa di Dio e nella canonizzazione dei Santi.

Prego la Compagnia di ringraziare Dio per essere stata da Lui istituita, per la vocazione di ciascun membro di essa, per appartenere noi all'ordine di S. Pietro o piuttosto di Gesù Cristo. O mio Salvatore, voi avete aspettato 1600 anni per suscitare una Compagnia che facesse una professione espressa di continuare la missione che il Padre vostro vi aveva mandato a compiere sulla terra e che si serve dei medesimi mezzi dei quali vi serviste, facendo voto di povertà, castità, obbedienza. O mio Salvatore, io non vi ha mai ringraziato; lo faccio ora per tutti i presenti e assenti. Voi ci avete destinati a tal ministero nei vostri disegni, aiutateci a disimpegnarlo con la vostra santa grazia. Ma di chi vi servite, o Salvatore delle anime nostre, per la conversione del popolo e per continuare la vostra missione? Quanto siamo meschini! qual motivo di umiliazione per noi! O Signore, fateci la grazia di renderci degni di questo ufficio e della nostra vocazione, combattendo generosamente questo vizio della passione delle ricchezze, dei piaceri e degli onori, mediante la pratica della povertà, castità e obbedienza e con aver continuamente in mano il coltello della mortificazione, per riuscirvi sempre meglio e lasciarne l'esempio alla posterità. Vi supplichiamo, Signore, di accordarci questa grazia».

217. CONFERENZA DEL (14 NOVEMBRE 1659)658

SULLA POVERTA'(Regole comuni, cap. III, art. 1-2)

«Carissimi fratelli, le regole spiegate fin qui sono contenute nei due primi capitoli; ecco il terzo concernente la povertà:

Avendo Gesù Cristo, vero padrone di tutti i beni del mondo, abbracciato la povertà in modo tanto particolare da non avere dove riposare il capo, e messo coloro che lo seguivano nella sua missione, ossia i suoi apostoli e discepoli, nello stesso stato di povertà fino al punto di non aver nulla in proprio affinché, sbarazzati così da ogni vincolo, potessero meglio e più facilmente combattere e vincere la cupidigia delle ricchezze che devasta quasi tutto il mondo, ognuno cercherà, secondo la sua capacità, di imitare nella pratica di questa virtù, tenendo per fermo chela povertà sarà come una fortezza inespugnabile che, con l'aiuto divino, conserverà sempre la Congregazione.

2° E sebbene i nostri uffici nelle missioni, che devono farsi gratuitamente, non ci permettano di fare professione di assoluta povertà, ci studieremo tuttavia di osservarla con la volontà e l'affetto e, per quanto ci sarà possibile, effettivamente, soprattutto nelle cose che qui sono prescritte.

3° Tutti e ciascuno della Congregazione sapranno che, ad esempio dei primi cristiani, tutte le cose ci saranno comuni, e saranno distribuite ad ognuno dai superiori, ossia il vitto, le vesti, i libri, i mobili e qualsiasi altra cosa, secondo il bisogno particolare di ognuno. E affinché nulla si faccia contro la povertà che abbiamo abbracciata, nessuno potrà disporre dei beni della Congregazione, né usarne in nulla, senza il permesso del superiore.

Ecco, fratelli, i primi articoli di questo terzo capitolo sulla povertà. Faremo alcune brevi riflessioni sul motivo che abbiamo di lodar Dio e ringraziarlo per averci fatto la

658 Manoscritto delle Conferenze. Nel manoscritto questa conferenza non ha data; abbiamo detto più sopra nella conferenza precedente, i motivi che ci fanno scegliere quella che adottiamo.

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grazia di essere nello stato in cui fu Nostro Signore, il quale stimò tanto la povertà che la praticò per tutta la vita. Diremmo poi in che consiste, come deve intendersi il voto che ne facciamo, le difficoltà e obbiezioni che vi si incontrano e gli atti particolari che bisogna fare.

La prima riflessione da farsi (sta nella regola) è che Nostro Signore, sommo padrone, Creatore e legittimo possessore di tutte le ricchezze, scorto il grande disordine che l'avidità di dette ricchezze sparse sulla terra, volle rimediarvi praticando il contrario. Egli, che fu tanto povero da non avere dove riposare il capo, volle che gli apostoli e i discepoli ammessi nella sua Compagnia praticassero la medesima povertà; e così fecero i primi cristiani dei quali è detto che non avevano nulla in proprio, ma mettevano tutti i loro beni in comune. Nostro Signore dunque, vedendo i danni che lo spirito maligno aveva fatto nel mondo con il possesso delle ricchezze, che era causa della perdita di molti, volle combatterlo con un rimedio del tutto opposto, ossia con la pratica della povertà.

Per questo la regola raccomanda a noi di praticarla, a noi, chiamati da Nostro Signore a fare quello che Egli fece in questo mondo, a continuare la sua missione e ad affaticarci per la conversione delle anime. La Compagnia fin dal suo inizio, stimò che si doveva giungere a queto punto, alla pratica della povertà. Questa povera Compagnia, che non era nulla sul principio, giudicò fino d'allora, due o tre anni dopo, che la cosa migliore era imitare Nostro Signore in questo, nella pratica della povertà, castità, obbedienza, stabilità, e che ognuno poteva far voti privati, dopo aver pregato Dio a tale scopo e chiesto consiglio. Ora, per divina misericordia, ecco che abbiamo adottato questa pratica di combattere, prima di tutto, in noi, con la grazia di Dio, l'amore alle ricchezze, per poi ottenere, con la stessa grazia, la virtù contraria, ossia la santa povertà. Perciò, essendo chiamati a fare quello che Nostro Signore fece sulla terra, quale utilità avremmo, ditemi, servendoci di mezzi diversi da quelli che Egli prese per combattere i nemici della gloria del Padre suo, ossia i mondani e coloro che si lasciano trascinare dal desiderio e dalla bramosia delle ricchezze? Nostro Signore si è degnato metterci in questo stato mediante la povertà, quantunque ne fossimo indegni. Qual motivo di ringraziarlo, o mio Salvatore!

Basta per i motivi; tutti ne sanno più di me. Si fa rivivere nella Compagnia lo spirito dei primi cristiani, i quali non avevano nulla in proprio.

Diciamo un'altra parola. Non abbiamo ragione, vedendo che Nostro Signore, per renderci felici, non richiede altro che questo, di abbracciare la povertà, di praticare come Lui questa santa virtù? Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum coelorum;659 beati i poveri di spirito che hanno lasciato... non so che, ma lo hanno lasciato generosamente! Ad essi appartengono le ricchezze del cielo, il regno dei cieli: Ipsorum est regnum coelorum. Ancora una volta: Ipsorum est; a loro appartiene il cielo; a coloro che realmente, e non solo con lo spirito e con il cuore, hanno lasciato tutto, Nostro Signore dichiara che a loro appartiene il regno dei cieli. Inoltre, in che consiste il beneplacito di Dio? Egli vuole che coloro che l'amano, l'amino senza riserva. Chi dunque ha fatto voto di povertà, lasciando tutto, non si affanna più per nulla, non ha affetto più per nulla; è dunque costretto a rivolgere l'affetto e l'amore verso Dio, perché non è possibile vivere senza amare. Ora, non avendo più, per il voto di povertà, amore per i beni creati e terreni, l'avremo per i beni increati e per le cose celesti. Chi ha fatto voto di povertà non si cura più di nulla, né dei beni, né degli onori, né dei piaceri; e allora il cuore starà senza amare? No; è dunque necessario che diriga il suo amore a Dio. Perciò il voto di povertà non è altro che un mezzo supremo e perfetto di amare molto Dio. Mettiamo sempre in cima a tutto e facciamo tesoro di questa verità: che non lasciamo le ricchezze della terra se non per le ricchezze del cielo e che lasciamo delle

659 Mt., V, 3.

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bagatelle, delle ricchezze caduche e periture per averne delle eterne e permanenti. O mio Salvatore! qual felicità!

Ma in che consiste questa povertà? Ve ne sono due sorta: l'una si riferisce ai beni, alle case, terre, abiti, ecc. Ora, di questa, Nostro Signore a detto: Qui non renuntiat omnibus quae possidet non potest meus esse discipulus;660 e altrove: non est me dignus.661 Chi non rinunzia ai beni, sì, ai beni e agli abiti, non può essere mio discepolo in modo particolare e perfetto. Oh! fratelli, potremmo dirci davvero discepoli di Nostro Signore se non lasciamo tutto, se non rinunziamo a tutto, sì omnibus?

L'altra sorta di povertà è che si spinge molto più oltre, è di rinunziare non solo a tutto, ma anche a se stesso. Nostro Signore lo fece? Rinunziò al suo giudizio, al suo intelletto, alla sua volontà, ai suoi desideri, alle sue inclinazioni e ai suoi affetti? Sì, rinunziò al suo intelletto e al suo giudizio, come apparisce dalle sue parole: Mea doctrina non est mea, sed eius qui misit me.662 Lo ricevuta dal Padre mio; tutto, intelletto e giudizio, ho ricevuto dal Padre. Rinunzia alla dignità e qualità che aveva essendo uomo-Dio, sia quanto alla sua volontà, sia quanto al giudizio, dicendo: Non mea, sed tua voluntas fiat.663 Qual povertà rinunciare al proprio giudizio, alla propria volontà, agli affetti, ai desideri e inclinazioni degli uomini, dicendo: Ut iumentum factus sum apud te!664 Un giumento non ha nulla in proprio e appartiene interamente al suo padrone, senza giudizio né volontà propria. E' come se Nostro Signore dicesse:«Io non uso del mio intelletto, né del mio giudizio, né della mia volontà, né degli affetti comuni agli uomini; faccio come se non gli avessi». Se siamo veri figli di Dio, come Nostro Signore, dobbiamo giungere a rinunziare omnibus, e ad avere queste due sorta di povertà: primo, rinunziare a quello che possediamo; secondo, rinunziare a se stesso, al proprio giudizio, alla propria volontà, alle proprie inclinazioni, ai propri desideri ed affetti. Durus est hic sermo; sì, per la natura e per coloro che vivono sensualmente, ma non per quelli che praticano la virtù, che mirano alla perfezione e vogliono diventare uomini spirituali; questa sentenza della Scrittura è anzi per loro ben dolce.

La povertà che professiamo consiste dunque nel rinunziare a tutto; i santi credono che la persona, elevata alla grazia di una rinunzia totale, non ha diritto di desiderare la ricchezza, l'onore, il piacere di questo mondo, perché la sua ricchezza, il suo onore, il suo piacere è Dio. Farò qui una disgressione per spigarvi la rinunzia fatta nella Compagnia ai beni terreni, perché appartenendo noi sempre al clero secolare abbiamo pensato che era opportuno spiegare i qual modo facciamo tal voto di povertà, avendo alcuni detto che si poteva estorcere il permesso dal papa o dal superiore generale per far cessare il voto di povertà. Dopo aver molto riflettuto, dopo aver pregato Dio, consultato molte persone e tenuto varie adunanze, abbiamo mandato a supplicare a Roma il Santo Padre di approvare e confermare la spiegazione che avevamo stimato conveniente dare a questo voto. Ecco il Breve ottenuto. Ho pregato il signor Portail di farlo copiare, ma un po' troppo tardi, per colpa mia, non avendovi pensato prima. Me l'hanno portato ora. Ecco dunque il Breve. Osservate come cerchiamo di decidere tutto regolandoci secondo Dio. E siccome, in una materia di tale importanza, non bisogna trascurar nulla, cominceremo dal leggerlo in latino. Chi sa legger bene il latino di Roma? Prendiamo chi ne ha fatto la copia. Leggete.

Alexander Papa septimus ad futuram rei memoriam...Leggetelo in francese, per riguardo ai fratelli; non è ancora tradotto abbastanza

bene, né finito.

660 Lc., XIV, 33.661 Mt., X, 38.662 Gv., VII, 16.663 Lc., XXI, 42.664 Sal., LXXII, 23.

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Alessandro, Papa, settimo di tal nome...Ecco, dunque, fratelli miei come intendere il voto di povertà. Quanto ai beni coloro

che hanno possedimenti, terreni, case, rendite e benefizi semplici (perché,le parrocchie non possiamo tenerle), conservano la proprietà di detti beni, i quali rimangono agli individui della Compagnia per disporne a favore dei loro parenti, ma, però, non ne hanno l'uso; vi rinunziano con voto; si danno a Dio, essi e i loro beni, per servirsene in opere pie, come di ce il Breve. Si potranno soccorrere i parenti, secondo il loro bisogno.

Osservate quanto è mite questo voto. Lascia in qualche cosa a desiderare? Non è facile? Il fondo rimane ai parenti. L'uso dei beni non è dell'individuo; egli non ne ha bisogno, perché la Compagnia lo fornisce di quanto occorre; le rendite di detti beni servono ad opere pie pro arbitratu superioris, dice il Papa, ed i parenti saranno soccorsi se ne hanno bisogno. Che vi sembra, signori? Non è ragionevole? Ci siamo dati a Dio, ci siamo privati volontariamente di questi beni, vi abbiamo rinunziato; lo lascio giudicare a qualsiasi persona, se c'è nulla da ridire su questo. Possiamo desiderar di più, se la cosa, mandata a Roma, è stata ben esaminata, per ordine del Papa, da diversi cardinali incaricati di simili affari? Ecco il risultato e la conferma che abbiamo ricevuto. Se, per disgrazia, uno uscisse dalla Compagnia, con il permesso del Papa o del superiore generale, potrebbe riprendere i suoi possedimenti e i suoi benefici. Ecco come deve intendersi questo voto e questa rinunzia ai beni di fortuna. Poiché Dio ci ha chiamati a questo stato di povertà non nomine tenus, chiediamogli la grazia di averne lo spirito e di ben osservare il nostro voto.

O Salvatore! come parlare di questo, io che sono tanto miserabile, che ebbi altra volta un cavallo, una carrozza, che ho una camera, un letto con le cortine, un fratello che mi serve, io, dico, che ricevo tante cure da non mancar di nulla! Oh! quale scandalo do alla Compagnia con l'abuso che ho fatto del voto di povertà in tutte queste cose ed in altre simili! Ne chiedo perdono a Dio e alla Compagnia, e la prego di sopportarmi nella mia vecchiaia. Dio mi faccia la grazia di correggermi, almeno ora a questa età, e di strapparmi a tute queste cose per quanto mi sarà possibile. Alzatevi, fratelli. (Tutta la Compagnia si era messa in ginocchio mentre egli faceva questo atto di umiltà).

Vi ho detto, fratelli, che avremmo parlato degli atti della povertà e dei suoi caratteri, ma è troppo tardi, serbiamo questo soggetto per venerdì prossimo; parliamo soltanto di qualche obbiezione o difficoltà concernente l'osservanza di questo voto. Diremo soltanto la prima, ed è che tenendo le missioni in campagna e cercando di continuare quello che Nostro Signore fece quaggiù sulla terra, sembra che la Compagnia faccia qualche cosa di diverso mantenendosi da se stessa e non vivendo come quelli che hanno fatto e fanno professione reale e che ricevano dagli altri gli alimenti e quanto è necessario alla vita. E' vero che non dobbiamo ricever nulla, neppure una mela, un grappolo d'uva; ma la ragione, la vedete, la sapete: Quod gratis accepistis, gratis date. 665

Abbiamo ricevuto grazia da Dio per l'istruzione e la conversione dei popoli; non ci è costata nulla, guardiamoci perciò dal prendere qualche cosa. Abbiamo l'uso di fare tutti i giorni l'elemosina, non prendiamo nulla per le messe che ci fanno celebrare, contribuiamo un poco alla questua della confraternita della Carità. Tutto questo sembra contrario al voto di povertà. Perciò in missione dobbiamo conservare almeno lo spirito di povertà; ne abbiamo fatto professione e dobbiamo farlo apparire nella sobrietà e nella parsimonia del vitto e delle vesti ed avere preparationem animi di lasciare realmente tutto, se fosse conveniente il farlo. Ecco la prima difficoltà.

Sono le nove; bisogna finire e ritirarsi. Prego la Compagnia di lodare Dio e di ringraziarlo per averla chiamata ad uno stato di vita simile a quello del suo FIGLIOLO,

665 Mt., X, 8.

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degli apostoli e dei primi cristiani, i quali praticarono tanto bene la povertà da non avere nulla in proprio, ma omni erant illis communia.666 Ringraziamo dunque Dio Nostro Signore di averci messo in condizione di praticare la povertà. Ma come farlo degnamente? Bisognerebbe che Nostro Signore stesso fosse il Suo ringraziamento e c'infiammasse sempre più dell'amore a questo stato. O Salvatore! lascio un pensiero che mi viene. Prego i sacerdoti di dire la messa domani e i nostri fratelli di fare la comunione domenica in ringraziamento a Dio per averci ispirato di fare il voto di povertà e per supplicarlo di concederci la grazia di ben metterlo in pratica, nella speranza di esserne un giorno ricompensati abbondantemente in paradiso».

218; CONFERENZA DEL (21 NOVEMBRE 1659)667

SULLA POVERTA'(Regole comuni, cap. III, art. 3-10)

«Cari fratelli, continueremo stasera il capitolo terzo sulla povertà. Parlammo, la prima volta, dei due primi articoli: nel primo, della povertà in generale; nel secondo, che essendo in missione, non apparivamo in uno stato di povertà, perché non prendevamo nulla, mentre i poveri ricevano da altri il loro alimento e quanto occorre; facciamo l'elemosina e contribuiamo alla questua della Carità, e i poveri non danno nulla; non prendiamo retribuzioni per le messe, mentre i sacerdoti poveri le prendono. Sembra, dunque, che tutto vada contro lo stato di povertà. Eppure, non è così, perché, se non prendiamo nulla nelle missioni, è perché la Compagnia si è data a Dio, fino dall'origine, per eseguire gratuitamente tutte le funzioni delle missioni, basandosi sulle parole di Nostro Signore: Quod gratis accepistis, gratis date, 668 e vedendo che era il mezzo migliore per ricavare frutto tra le popolazioni, che dicono: «Questi signori sono uomini di Dio, perché non prendono nulla e sono disinteressati». In tal modo si conquistano facilmente a Dio. A causa di questo stato di povertà che abbiamo abbracciato per amor di Lui, dobbiamo essere contenti se in missione siamo talora male alloggiati, mal nutriti. Oh! quanto saremo allora fortunati di somigliare maggiormente a Nostro Signore povero che compì innumerevoli atti di grande povertà!

Quando ci mancherà quello di cui abbiamo più bisogno, allora appunto dobbiamo stimare lo stato di povertà! Questo basti per i due primi articoli di questo capitolo.

Ecco ora il terzo:Tutti i membri della Congregazione ed ognuno in particolare sapranno che, ad

esempio dei primi cristiani, tutte le cose ci saranno comuni, e saranno distribuite ad ognuno dai superiori, cioè il vitto, le vesti, i libri, i mobili e il resto, secondo il bisogno di ciascuno. e affinché nulla si faccia contro la povertà che abbiamo abbracciata, nessuno potrà disporre di questi beni della Congregazione, né usarli in nulla, senza il permesso del superiore.

Fratelli, dividerò quello che voglio dirvi in tre punti: nel primo, esporremo le ragioni di ringraziare Dio continuamente, per averci chiamato a questo stato di povertà; nel secondo, parleremo delle diverse specie di povertà e delle colpe che sono loro opposte; o Salvatore! troppe se ne commettono! Diremo, in un terzo punto, i mezzi per praticare la povertà; perché non dobbiamo contentarci di portarne il nome, ma dobbiamo farne le opere ed eseguirne gli atti nelle varie circostanze ed occasioni.

Diciamo dunque o piuttosto ridiciamo i motivi che ci obbligano a ringraziare Dio della grazia concessaci, per sua bontà infinità, chiamandoci ad uno stato di povertà.

666 At., IV, 32.667 Manoscritto delle Conferenze.Sulla scieta di questa data, che non è nel manoscritto, vedi Conf. 216, nota 1.668 Mt., X, 8.

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Farò come faceva Monsignor d'Alet,669che ripeteva un giorno, due giorni, tre giorni, quattro giorni, magari tutto l'avvento, quello che aveva detto e predicato al popolo, quando lo giudicava importante per la sua salvezza, per bene imprimerglielo nella mente. Illuminiamoci dunque con la luce stessa di cui fummo illuminati otto giorni fa sui nostri obblighi verso Dio e sul ringraziamento che dobbiamo continuamente porgergli per averci messo nello stato di povertà che il suo Figliuolo abbracciò per la nostra salvezza.

La prima cosa che Nostro Signore praticò venendo al mondo, fu la povertà; e la prima cosa che ci insegnò fu la medesima: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum caelorum;670perché Nostro Signore caepit facere e poi docere.671 La prima cosa che viene alle labbra è quella che occupa maggiormente il cuore. Poiché dunque Nostro Signore cominciava i suoi sermoni con queste parole: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum caelorum, è segno che aveva un grande amore per la povertà che la teneva in grande considerazione. Fratelli, se procuriamo di ben approfondire queste parole: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum caelorum, concepiremo una grande stima per questa santa virtù; e quelli che Dio ha chiamato a praticarla potranno dirgli, se parlasse loro d'inferno e di purgatorio: «Oh! mio Dio! che discorsi mi tenete, a me che ho cercato di abbracciare la povertà! Eh! non avete detto: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum caelorum?». Senza dubbio c'è qualche cosa di grande nella pratica di questa virtù, poiché le prime parole delle prediche di Nostro Signore furono: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum caelorum.

Abbiamo riflettuto su questa massima: Nemo potest esse meus discipulus, nisi renuntiaverit omnibus quae possidet?672 Noi desideriamo tutti essere discepoli di Nostro Signore. Ora, avete voi sentito, fin da quando foste chiamati al suo servizio, questo amore, questa affezione alla santa povertà? Per questo motivo, ci siamo dati a Dio per essere suoi discepoli, e non possiamo esserli senza di questo, senza abbracciare la povertà: se non si è fatto, non si può essere discepoli di Nostro Signore, come se si fosse fatto. Ma anche se non l'abbiamo fatto abbastanza puramente, abbastanza perfettamente, facciamolo ora e diamoci a Dio per praticare meglio che ci sia possibile la povertà. Se pensiamo che Nostro Signore, venendo sulla terra e volendo fare un nuovo mondo di persone dedicate al suo servizio, cominciò con dir loro: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum caelorum, bisogna pur credere che vi sia qualche cosa di grande nella povertà. Notate bene queste tre parole: Nemo nisi, omnibus. Non c'è nessuno al mondo che possa esser discepolo di Nostro Signore e al suo servizio, chiunque egli sia, nisi, a meno che non rinunzi, a che? Omnibus. E' vero che non è un comandamento, ma un consiglio per lo stato di perfezione quale gli apostoli abbracciarono. I primi cristiani conobbero questo felice stato, ne rimasero incantati e l'abbracciarono subito; e così furono tutti santi, e perché? Perché erano poveri. Omnia illis erant communia.673

Orsù, benediciamo Dio di averci chiamato a questo stato benedetto! Il Signore vuole che rinunziamo a tutto perché, facendolo, ci mettiamo nella necessità di amare Dio. Il cuore tende all'amore come la pietra tende al basso e il fuoco all'alto come a loro centro. Sant'Agostino dice che è una disgrazia non possedere un cuore amante. Dopo aver troppo amato le creature, egli amò Dio e Lo lodò per averlo distaccato dall'amore di esse. In pari modo, se Dio ci ha distaccato da tutti i beni, è perché l'amiamo con tutto il nostro cuore, con tutte le nostre forze, essendo Egli un Dio geloso, Deus zelotes. Vi

669 Nicola Pavillon.670 Mt., V, 3.671 At., I,1.672 Lc., XIV, 33.673 At., IV, 32.

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sono in Lui tante ragioni di essere amato; il suo grande amore, la sua amabilità! non si lamenta Egli forse di essere abbandonato, Lui che è la sorgente di acqua viva, per andare a cisterne screpolate che non possono contenere l'acqua e sono tutte fangose? Se Dio si degnasse concederci questo spirito di povertà, sì, questo spirito di povertà, oh! Come Lo ameremmo perfettamente! Aggiungiamo a questo la bontà di Dio che vuol ricompensare, sino da questa vita, la pratica di tal virtù. Tre evangelisti ne parlano: S. Matteo, XIX; S. Marco, X; S. Luca, XVIII. Il primo dice che chi lascerà padre e madre, ecc., riceverà in questo mondo il centuplo674; sì, in questo mondo. Da queste parole è nata, sul principio della Chiesa, Un'eresia detta dei Millenaristi; alcuni credevano che Nostro Signore sarebbe venuto in questo mondo dopo il giudizio universale, e con Lui, coloro che avevano lasciato tutto per amor suo e che vi sarebbero rimasti mille anni nel godimento di ogni piacere. Povera gente! Se fossero stati meglio istruiti, avrebbero saputo che queste parole non devono interpretarsi così, come voi sapete meglio di me, tanto da poterci far su delle prediche.

Tornando al nostro discorso, dirò che Nostro Signore non lascia di ricompensare qui, per sempre, coloro che hanno lasciato tutto per amor suo. Non vedete quanti lasciti ci sono stati già fatti, quanto Dio abbia provvisto a tutti i nostri bisogni e quante case ci dà per una o due che alcuni nostri confratelli hanno lasciato! Miserabile che sono! non parlo per me, io non sono altro che un povero porcaro, un villano; ma, quanto agli altri, alcuni sarebbero forse nei villaggi a far da vicari. Far da vicari! poveretti! Il signor vicario generale di Amiens mi scrive che molti vicari e parroci hanno perduto tutto, che il passaggio delle truppe devastò ogni cosa e supplica di aver pietà di loro. Vi abbiamo provveduto. Anche noi, dico, potevamo essere nelle medesime condizioni, ma Dio ce ne ha preservato chiamandoci nella Congregazione, dove abbiamo tutto quello che occorre, e non solo qui, ma anche nelle altre case, chi più, chi meno, in modo che ovunque uno di noi vada, in Bretagna, nel Poitou, in Guascogna, in Linguadoca, da per tutto trova la tavola apparecchiata, ed anche in Italia, fino a Roma. Queste case sono nostre; vi abbiamo diritto. Dio conferma ampiamente la verità di queste parole: Qui reliquerit patrem, ecc., centuplum accipiet in hac vita. Non è vero che riceviamo cento volte più di quello che abbiamo lasciato? Ahimè! che abbiamo lasciato? Non so che, ben poco. Quanto ai piaceri, ne parleremo un'altra volta.

Tre evangelisti parlano della povertà volontaria: S. Matteo, XIX; S. Marco, X; S. Luca, XVIII. S. Matteo dice: Omnis qui reliquerit domum vel fratres vel sorores aut patrem aut filios aut agros propter nomen meum, centuplum accipiet et vitam aeternam possidebit675. - S. Marco dice: Respondens Iesus ait: amen dico vobis, nemo est qui reliquerit domum aut fratres aut sorores aut patrem aut matrem aut filios aut agros propter me et propter Evangelium, qui non accipiat centies tantum, nunc in tempore hoc: domos et fratres et sorores et matres et filios et agros cum persecutionibus, et in saeculo futuro vitam aeternam676. - S. Luca: Amen dico vobis, nemo est qui reliquerit domum aut parentes aut fratres aut uxorem aut filios propter regnum Dei, et non recipiat multo plura in hoc tempore, et in saeculo venturo vitam aeternam677.

Osservate come Nostro Signore parla per mezzo di queti tre evangelisti: ogni persona, senza escluderne alcuna, omnis, oppure nemo est; non c'è nessuno al mondo che, avendo lasciato casa, parenti ecc., non riceva il centuplo, dice S. Matteo; e S. Marco aggiunge: in questo mondo, in tempore hoc ed anche cum persecutionibus, nonostante le persecuzioni che subivano i cristiani della Chiesa primitiva, nelle quali era loro tutto confiscato. S. Luca aggiunge multo plura, molte più cose di quelle che

674 Mt., 19, 29.675 Mt., 19, 29.676 Mc., 10, 29, 3O.677 Lc., 18, 29-30.

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avevano lasciato: riceveremo di più, per un padre, per una madre, cento volte tanto. La Compagnia non è per ciascuno di noi quanto un padre, una madre? Che può fare un padre od una madre, per un figlio, più che la Compagnia non faccia per ciascuno di noi? Ci nutre, ci veste, provvede a tutti i nostri bisogni. Non siamo gli uni per gli altri come fratelli, con altrettanto anzi maggior affetto e carità dei nostri fratelli carnali che di solito, non cercano altro che il loro ineresse.

Mettiamo la mano sulla coscienza ed esaminiamoci se Dio non mantiene a nostro riguardo, che abbiamo lasciato tutto per amore suo quello che ha promesso. Non siamo abbastanza ricompensati? Dio voglia che non sia questa la nostra ricompensa bensì Lui stesso e il godimento della sua essenza! Non abbiamo adunque ragioni bastanti per chiedere a Dio questo spirito di povertà a noi tanto vantaggioso? Se qualcuno fosse tanto miserabile da non sentire in cuore l'amore per la sua povertà, oh! quanto sarebbe da compiangere! Ma andiamo avanti; è già la mezza. Oh! quanto sono miserabili da tirare tanti in lungo mi limiterò a leggere gli articoli.

Articolo 3. Tutti... sapranno che... tutte le cose ci saranno comuni. Eccoci dunque in comunione di beni, come gli apostoli e i primi, cristiani: Omnia illis erant communnia; ma siccome vi sarebbe stato molto disordine se ognuno avesse potuto usufruire, a suo piacimento, di tali beni, gli apostoli stessi vi rimediarono sin da principio, distribuendoli a ciascuno secondo in bisogno; e dopo, vi attesero i diaconi. Così appunto, in comunità bene ordinata, bisogna che vi siano persone incaricate di provvedere alle necesità di ciascuno. Perciò, qui dentro ve n'è una in ogni categoria, per aver cura della povertà, ed incaricata di domandare a ciascuno, ogni otto giorni, quello di cui ha bisogno. Domandare a ciascuno se ha bisogno di qualche cosa, vedete se così si fa nelle case dei grandi signori! O mio Salvatore! Mi raccomando caldamente a coloro che hanno tale incarico di disimpegnarlo puntualmente.

Se durante la settimana, qualcuno avesse bisogno di una cosa, dovendo andare, per esempio, in campagna, e non potesse aspettare gli otto giorni, può e deve rivolgersi a chi è incaricato d'informarsi dei bisogni altrui, e non ad altri: e perciò nessuno deve andare alla sartoria, né alla calzoleria. Raccomando soprattutto di non chiedere al sarto tal mantello, tal veste, una tonaca di tale stoffa. Oh! Dio ce ne guardi! perché quanto sarebbe lontano dallo spirito di povertà! Se qualche cosa procurasse un vero incomodo, come il freddo ai freddolosi, e non si potesse aspettare gli otto giorni, si potrà e si dovrà rivolgersi soltanto a colui che è deputato a tale scopo. Quanto ai libri spetta al superiore distribuirli o farli distribuire. O mio Dio! qual colpa commetterebbe chi prendesse senza il permesso i libri che gli piacciono! Si approprierebbe di quello che è comune. Se ne avete bisogno, chiedeteli; e quando li avete letti, rendeteli; un'altro può averne bisogno quanto voi. Un tale intraprende un viaggio, va in missione, e, fattele le sue spese, gli rimane ancora un po' di denaro: se non ne rende conto, se non lo restituisce, e lo tiene per comprarsi qualche libro, va contro la povertà. In nome di Dio, fratelli, chi va in campagna, scriva le sue spese, e, al ritorno, ne renda conto e restituisca il denaro avanzato. Fedeltà in questo.

Articolo 4. Nessuno prenderà nulla senza che il superiore lo sappia o lo permetta e non sia pronto a lasciarlo subito appena il medesimo superiore glielo comandi o gli accenni di desiderarlo. Nessuno dunque avrà nulla, né qui né altrove, all'insaputa del superiore. Chi avesse denaro o libri farebbe male; peccherebbe contro la povertà a meno che il superiore lo permetta; oh! non abbia timore di permetterlo. Tre cose sono dunque raccomandate in questo articolo: 1° Non aver nulla all'insaputa del superiore; 2° Nulla senza il suo permesso; 3° Nulla che uno non sia pronto a lasciare al minimo cenno.

Articolo 5. Nessuno si servirà di cos cosa alcuna come propria; né darà o riceverà o impresterà, o prenderà in prestito né chiederà nulla da altri, senza la licenza del superiore. Donare qualche cosa è fare atto di proprietà; voi vi avete rinunziato.

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Ricevere qualche cosa per se è pure contro la povertà; non spetta ai poveri prestare o prendere in prestito, perché nessuno presta loro volentieri.

Articolo 6. Nessuno prenderà per se alcunché di quello che è destinato all'uso altrui o messo da parte per la comunità, o lasciato da altri; neppure libri. Avviene troppo spesso che quando uno va in campagna e lascia libri o altro nella sua camera, qualche confratello vi entra e prenda quello che gli piace. Deploriamo tali azioni, che sono cattive e contrarie all povertà. Spero che non avverranno mai più, altrimenti bisognerebbe scoprire tale persone e far loro fare penitenza. Mio Dio! ho gran motivo di temere che Dio mi punisca per non aver saputo impedire tali mancanze. Vi dirò ora, sebbene non sia il momento, che è proibito scrivere sui libri e farvi segni, poiché è un'azione che indica proprietà; bisognerebbe essere padroni e non li siamo. Nessuno darà inoltre agli altri quello che gli è dato per suo uso, senza il consenso del superiore. Nessuno, parimente, lascierà, per negligenza, perire né guastare queste cose. Oh! quanto male faremmo, mio Salvatore!

Articolo 7. Nessuno cercherà le cose superflue e rare. O maledetta curiosità! quanto male fai! E per le cose necessarie, ciascuno modererà le sue inclinazioni in modo che il vitto, la sua camera, il suo letto siano come conviene ad un povero, disposto in queste come in tutte le altre cose ad esperimentare qualche effetto della povertà, anzi tollerare volentieri che gli sia dato tutto quello che di peggio è nella casa. Oh! che bella pratica! o mio Salvatore, voi che avete sperimentato la povertà sino alla nudità, fateci la grazia di praticarla anche noi fino a questo punto.

Articolo 8. E affinché nulla in voi riveli la minima proprietà, le nostre camere non saranno chiuse in modo da non poterle aprire dal di fuori; e non vi saranno cassette, né altro di simile chiuso a chiave particolare, senza espressa licenza del superiore. Fratelli, dai gesuiti le camere sono chiuse con un semplice saliscendi; soltanto tre sono chiuse a chiave: quelle del superiore, del ministro e del procuratore, a causa delle cose importanti che vi si trovano. Dunque nessuna cassetta, valigia o chiavistello, ad eccezione delle stanze dove sono racchiuse le cose di valore della comunità.

Articolo 9. Chi andrà in un'altra casa non porterà seco cosa alcuna da quella da cui parte, senza il permesso del superiore. Perciò è contro la regola e contro la povertà portar sacchi o valigie piene di libri. «Ma, si dirà, questi libri, li ho comprati io». Rispondo: se li avete comprati con il denaro della comunità, questi libri appartengono alla comunità; se con i denari vostri, vi avete rinunciato; se con i denari dei vostri parenti, lo stesso. Non potete, né dovete dire: «Questo breviario è mio», perché ne avete l'uso soltanto. Nostro Signore andava di villaggio in villaggio senza sacco né bisaccia, ed anzi, sul principio, proibiva di avere due tuniche, tanto amava la povertà. Raccomando dunque, fratelli, di cercare d'imitarlo in questa povertà. Andando in un'altra casa, portate pure con voi i vostri scritti; alla buon'ora!, ciò è permesso in qualunque comunità ben regolata, ma non i libri. Ne troverete abbastanza da per tutto; non andrete in nessuna delle nostre case, grazie a Dio, che non ne troviate a sufficienza per comporre le prediche secondo il nostro metodo. Quanto ai libri che i membri di altre comunità ben regolate hanno nelle loro camere e che reputano necessarie per comporre, se vanno nelle campagne ecco come fanno: li consegnano al superiore o all'assistente, che li prende in custodia o li lascia nella camera stessa che chiude a chiavistello. Prego ognuno di comportarsi a questo modo.

Articolo 10. E perché possiamo peccare contro la virtù della povertà con il solo desiderio sregolato di possedere i beni temporali, ognuno starà diligentemente in guardia che questo male non s'impadronisca del suo cuore, anche rispetto ai benefici, che potrebbe ricercare con il pretesto di un bene spirituale da farsi. E pertanto non aspirerà ad alcun beneficio o dignità ecclesiastica, qualunque scusa possa addurre.

Dobbiamo contentarci di questo, per sta sera. Avevo preso qualche appunto; sopportatemi, ve ne prego, perché possa vedere se ho detto tutto».

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Lesse a bassa voce il suo foglio e quindi disse: «Ho detto tutto, Dio sia benedetto! Sono le nove suonate; bisogna ritirarci; non abbiamo il tempo di parlarvi dei mezzi di praticare questa santa povertà e di evitare le mancanze che ho enumerate.

Il primo mezzo, fratelli, è di darci a Dio, di offrirgli tutta la Compagnia, affinché Egli si degni di concederci la grazia di praticare questa santa povertà. Dobbiamo averla: 1° perché l'abbiamo promesso; 2° a causa di quello che di divino racchiude questa virtù; 3° perché da essa dipende il buon ordine della Compagnia. Se procuriamo di praticarla bene, la nostra posterità ne risentirà vantaggio, ne benedirà Dio e la praticherà egualmente. Non praticandola, nemmeno i nostri successori lo faranno, dimodoché ne saremo responsabili al giudizio di Dio, noi tutti, dico, se non facciamo quanto è possibile, con la parola e con l'esempio, perché la virtù della povertà sia in vigore tra noi.

O fratelli, quando andremo davanti a Dio con la bella veste della povertà, qual consolazione! Saremo causa che la nostra posterità si stabilisca in essa come in una fortezza; sì in una fortezza; perché è la pratica della povertà che conserva e fortifica le case e la Compagnia, come, invece, la proprietà le manda in rovina: l'esperienza non è che troppo sensibilmente funesta!

O mio Salvatore, si degni la vostra infinita bontà conservarci e farci progredire nella pratica di tal virtù! Siamo tutti padri di coloro che verranno dopo; generiamoli a queste pratiche. Oh! quanto saremo felici di avervi contribuito! Vi scongiuro, fratelli, di farlo con la parola e con l'esempio. Noi, sacerdoti, vi siamo obbligati più degli altri. Quando la Chiesa, sul principio, aveva questa pratica, i fedeli erano tutti santi; ma appena ebbero beni propri e gli ecclesiastici benefici particolari, il che avvenne sotto il papa S.Telesforo, tutto cominciò a deperire. Gli ecclesiastici d'ora non sono altro che l'ombra degli ecclesiastici di quei tempi felici e di quel secolo d'oro. Piaccia a Dio di concederci questa grazia e d'animarci tutti alla pratica della santa virtù della povertà, la quale, oltre la ricompensa temporale promessa, ci otterrà l'eterna!».

219. CONFERENZA DEL (28 NOVEMBRE 1659 678)SUL DESIDERIO DI AVERE BENEFICI(Regole comuni, cap. III, art.10)679

« E perché possiamo peccare contro la virtù della povertà con il solo desiderio sregolato di possedere i beni temporali, ognuno starà diligentemente in guardia che questo male non s'impadronisca del suo cuore, anche rispetto ai benefici, che potrebbe ricercare con il pretesto di un bene spirituale da farsi, pertanto non aspirerà ad alcun beneficio o dignità ecclesiastica, qualunque scusa possa addurre.

Dall'osservanza o dall'inosservanza di questa regola dipende il consolidamento della Compagnia o la sua totale rovina; questa è la prima ragione. E' evidente che se la Compagnia si permettesse di aspirare a benefizi, in poco tempo sarebbe deserta, e non sarebbe più che un perpetuo flusso e riflusso di persone che entrerebbero e uscirebbero. Potremmo allora paragonare la Compagnia ad un albergo, dove si passa una notte o due, due o tre anni, e poi si va altrove; ma la cosa peggiore è che l'ambizione troverebbe da pascersi più che nel mondo, e ognuno vi rappresenterebbe meglio la sua

678 Per il suo argomento questa conferenza è la continuazione di quella del 21 novembre. Perciò, sebbene non abbia data, crediamo poterle assegnare quella che abbiamo messa qui. 679 Manoscritti delle Conferenze. - Questa conferenza è stata riprodotta molto incompletamente, come attestano le numerose righe lasciate in bianco dal copista nel manoscritto.

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parte; perché con il pretesto della pietà, o di una buona riputazione ottenuta, riuscirebbe meglio nei suoi intenti.

In una parola, questa Compagnia non sarebbe più solida e permanente, come, per grazia di Dio, è ora, ma un accampamento mobile; non sarebbe una Compagnia di Dio, ma un ritiro di persone ambiziose con un piede nella Compagnia ed un altro nel mondo. Qual frutto potrebbe dare allora? Come fidarsi di tali persone che volterebbero le spalle alla minima mortificazione da subirsi, che oggi sono e domani non sono più, come l'esperienza lo dimostra nelle Compagnie dove la porta non è chiusa ai benefici, mentre invece, dov'è chiusa, le Compagnie sono fiorenti? Sant'Ignazio conosceva profondamente questa verità...

La seconda ragione è che aspiriamo ai benefizi o per ottenere maggior frutto nelle anime, o per vivere più a nostro comodo e sensualmente. Se vi aspiriamo per vivere più sensualmente, chi non vede che questa è una tentazione ed una cosa del tutto cattiva? Se è per ottenere maggior frutto nelle anime e conquistarle a Dio, l'inganno non è minore del precedente ed è tanto più da temersi, in quanto che sembra, a primo aspetto, ragionevole. Perché, scusatemi, volete avere un beneficio; forse volete esser parroco per dedicarvi maggiormente al prossimo? Guardiamo un poco. Che fanno i parroci di diverso da quello che facciamo noi? I parroci confessano i loro parrocchiani, e noi pure, ecc. E non solo abbiamo questo di comune con loro, ma abbiamo anche il vantaggio di non essere parroci di una sola parrocchia, perché Dio ci ha affidato la cura di tutte le anime. Inoltre, che farà un vescovo di più di quello che facciamo noi? Egli formerà i seminari ecclesiastici: vi sono già nella Compagnia; gli ordinandi, vi sono parimente, ecc. E anche questo è a nostro vantaggio perché essi si servono di noi per fare tutte queste cose; abbiamo perciò una parte tanto maggiore al bene che vi si fa, essendone noi la causa più prossima. Da questo possiamo giudicare l'inganno del diavolo, il quale spesso ci fa perdere la vocazione sotto questi speciosi pretesti. . .

La terza ragione è che i benefici a cui aspiriamo non si trovano tanto facilmente in questo secolo. L'esperienza ha mostrato a molti le difficoltà che s'incontrano; rimasero delusi nelle loro speranze e sono ora lo zimbello del mondo; sono considerati come persone che si sono lasciate ingannare, come fanciulli che si sono divertiti ad inseguire le farfalle, oppure come quelli che, correndo, vogliono raggiungere la loro ombra, vera immagine degli onori, ecc. Il demonio ci fa vedere meraviglie; ci immaginiamo, molto spesso, che tutto debba venirci dormendo e ci troviamo presi nella rete; tutto ci pare oro e argento, mentre, in realtà, non è altro che piombo. . .

La quarta ragione è che desiderare un benefizio (anche supposto che, trovandoci tuttora nel mondo, potessimo farlo senza pregiudizio della nostra vocazione),equivale ad esporsi ad un gran pericolo; è mettersi sulle spalle un grave carico, aver cura d'anime e di più cercar gli onori, dai quali ci lasciamo la fatica e non la preminenza annessa alle cariche e perciò la nostra vocazione è più sicura. . .

La quinta ragione è l'esempio dei santi e di persone eminenti, come sant'Ambrogio, san Martino, sant'Atanasio, i quali fuggivano le cariche che si volevano affidar loro con la stessa premura con cui i mondani cercano le dignità e gli onori. Ed è da notarsi che tali uffici non erano allora tanto pericolosi come ora; l'onore vi aveva ben poca parte, ma più grandi erano le croci e il martirio che spesso dovevano sopportare. Perché dunque non faremo quello, cui siamo obbligati dalle nostre regole, considerato che questi santi l'hanno pur fatto, non essendovi per nulla costretti ed avendo tutte le virtù, condizioni convenientissime a tali cariche? Abbiamo l'esempio del signor Pillé, il quale, in punto di morte si rammaricava d'essere stato parroco. . .

La sesta e più forte ragione è che avendo fatto voto di vivere e morire nella Compagnia, ed essendo questo incompatibile con il possesso di un beneficio, bisogna necessariamente rinunziarvi, se pur non si voglia rinunziare alla vocazione. Inoltre, è contro il voto di povertà. . .

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Mezzi per rimediare a questo inconveniente.

Il primo, dimenticare i parenti, spogliarsi dell'affetto pernicioso che ci fa desiderare i benefizi per migliorare, possedendoli, le loro condizioni; di solito è questa la causa di tale brighe...

Il secondo è di andarli a visitare il meno possibile e di non parlare con essi che di rado; perché le proposte dei benefici vengono ordinariamente dai parenti i quali, per un affetto sbagliato, ci spingono alla rovina. . .

Il terzo, avere una grande stima della propria vocazione, considerando che il beneficio più bello che possiamo avere, è di essere missionari, dicendo, come David: Elegi abiectus esse in domo Domini mei680, ecc.

Il quarto, non scriver mai, non ricever lettere, senza farle vedere al superiore; trattare meno che si può con i prelati, se non quando vi saremo mandati dai superiori; visite meno che sia possibile alle persone esterne e principalmente a quelle costituite in dignità. . .

Scoprire subito la tentazione al direttore, dicendogli anche i mezzi premeditati per riuscire nel nostro intento. . .

Infine, darsi risolutamente a Dio nella Compagnia, non guardando dietro a sé, non pensando né a parenti né ad amici, dicendo: Pater meus et mater mea dereliquerunt me, Domminus autem assumpsit me681. Deus pars hereditatis meae et calicis mei682, ecc.».

220. CONFERENZA DEL (5 DICEMBRE 1659683)SULLA POVERTA'684

«Ecco, cari fratelli, il quarto capitolo, sulla castità:Il Salvatore del mondo dimostrò evidentemente quanto gli premesse la castità e

quanto desiderasse istallarla nel cuore degli uomini, volendo passar sopra all'ordine da Lui stesso stabilito nella natura e nascere, per l'opera dello Spirito Santo, da una Vergine immacolata. Egli aveva un orrore tanto grande del vizio opposto che, sebbene abbia permesso di essere falsamente accusato delle colpe più enormi, per saziarsi di obbrobrio come bramava, tuttavia non si legge mai che nessuno, neppure i suoi maggiori nemici, l'abbiamo tacciato e neanche sospettato di quel vizio. Per conseguenza e sommamente necessario che la Congregazione abbia un singolare e ardentissimo desiderio di questa virtù e faccia sempre e in ogni luogo una speciale professione di praticarla perfettamente; e tanto più deve starci a cuore in quanto che i nostri esercizi della Missione ci obbligano strettamente a conversare quasi di continuo con i secolari dell'uno e dell'altro sesso. Perciò ciascuno si sforzerà di portarvi, dal canto suo, ogni cura, diligenza e precauzione possibile per conservare interamente la castità, tanto nel corpo, quanto nell'anima.

680Sal LXXXIII, 11.681 Sal XXVI, 10.682 Sal XV, 5.683 E' chiaro che questa conferenza fu tenuta poco dopo il 4 novembre 1659, giorno della partenza di Niccola Etienne per Nantes, ove doveva imbarcarsi per il Madagascar, dov'era destinato, o piuttosto poco dopo il 21 novembre, perché il santo parla, come di cosa già avvenuta, della cerimonia in uso in quel giorno tra i preti di S. Sulpizio. Quello che abbiamo detto più sopra, p. 839, nota 1, basta a spiegare perché adottiamo la data del 5 dicembre.684 Manoscritto delle Conferenze.

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Ora, affinché ciò possa farsi, con l'aiuto di Dio, ognuno custodirà gelosamente i suoi sensi, tanto interni quanto esterni; non parlerà mai da solo a sola con le donne, in luoghi e in tempi indebiti; si asterrà affatto dal parlare e scriver loro in termini troppo affettuosi, fosse anche in materia di devozione; non si avvicinerà troppo ad esse confessandole o parlando loro fuori di confessione; e starà bene attento a non presumere della sua castità.

Ed essendo l'intemperanza come la madre e la nutrice dell'impurità, ognuno sarà sobrio nel mangiare e, per quanto lo potrà, userà cibi comuni e innacquerà molto il vino.

Inoltre, ci persuaderemo tutti che non basta ai missionari d'eccellere in questa virtù, ma occorre anche far quanto è possibile, perché nessuno al mondo possa sospettare, sia pur minimamente, in alcuno dei nostri, il vizio opposto, perché il solo sospetto, sebbene molto infondato, nuocerebbe alla congregazione e ai suoi santi uffici, più di tutte le altre colpe che potessero falsamente imputarci, e non ricaveremmo che poco o punto frutto dalle nostre missioni. Perciò non ci contenteremo di usare i mezzi ordinari per prevenire o riparare questo male, ma adopereremo, se occorre, mezzi straordinari, come per esempio, tra gli altri, astenersi talvolta da alcune azioni, d'altronde lecite ed anche buone e sante; s'intende quando, a giudizio del superiore o direttore, queste cose sembrano dar luogo a temere un tal sospetto.

E perché l'oziosità è matrigna delle virtù, principalmente della castità, tutti fuggiranno talmente l'ozio, da poter esser trovati sempre utilmente occupati.

Fratelli, mi sembra che, prima di entrare nell'argomento odierno, debba dirvi qualche cosa che dimenticai l'altro giorno circa la povertà. Non mi spiegai forse abbastanza, a causa della mia poca intelligenza. Dicevo dunque che il voto di povertà che facciamo, non impedisce di conservare la proprietà e il dominio dei propri beni, quantunque non ne abbiamo l'uso, e aggiungevo che questi beni si lasciavano ai parenti o che ritornavano ad essi; ma dovevo dire invece, che possiamo lasciarli ai parenti o a qualcuno di loro che ne avesse più bisogno e per il quale si avesse maggior affetto, oppure destinarli ad opere pie; perché il Papa, spiegando il nostro voto di povertà, non è sceso ai particolari, e lasciandoci nello stato o nell'ordine del clero, intende che abbiamo la stessa facoltà dei preti secolari, di disporre dei nostri fondi con il permesso e il consenso del superiore. Ognuno ha dunque la libertà di far testamento e di disporre di quanto possiede, anche in opere pie.

Ne abbiamo avuto un esempio, nei giorni passati, nella persona del signor Etienne, prima del suo viaggio per il Madagascar. Avendo avuto, sino dall'infanzia, inclinazione a simili imprese, ha disposto del suo avere in due modi: ne ha lasciato una parte ai suoi fratelli, ossia a suo fratello maggiore e a suo cognato, a ciascuno in proporzione, secondo l'uso del paese, riservando per sé una pensione assai considerevole. Di più ha fatto una fondazione, non in favore della Compagnia, perché tal fondazione è destinata al bene pubblico e per un'opera pia, quantunque la Compagnia ne abbia l'amministrazione e sia obbligata a fornire tutti gli anni una somma per il mantenimento di quelli che lavorano nel Madagascar, finché quella Missione sussisterà, o, in caso diverso, altrove, per la conversione degl'infedeli. Egli ha fatto questo, dico, con il consenso dei parenti e dopo aver chiesto il parere a quattro dei più famosi avvocati di Parigi, che avevamo pregato di venir qui per sapere da loro se, dato il voto di povertà e visto il Breve del Papa che spiega il detto voto della Compagnia, poteva disporre in tal modo dei propri beni. Tutti hanno risposto unanimamente di sì.

Ecco dunque come ognuno abbia la libertà di lasciare il proprio avere ai parenti perché se lo dividano, oppure di disporne per testamento in favore di chi tra loro ne ha più bisogno, o di altri per i quali si avesse maggiore affetto, o di impiegarlo in opere pie.

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Un'altra cosa: ritorno sul fatto di andare nelle camere altrui per frugarvi, guardare i libri, le carte e prendere quello che piace, con la scusa che tutto quello che vi si trova è comune. Su questo punto non mi spiegai bene e non qualificai questa colpa come merita. La regola ci proibisce di avere le nostre camere chiuse a chiave e, in esse, alcunché chiuso a chiave . Sebbene il superiore, come dicemmo l'altro giorno, possa chiudere a chiave la propria camera, a causa delle carte importanti e delle lettere che vi sono, Dio mi ha fatto la grazia di non chiudere mai la mia sul principio e di non avervi alcuna cassa o stipetto che si chiudesse a chiave; da due o tre anni soltanto v'è nel tavolo un cassetto con la chiave, ma rimane quasi sempre aperto. E' vero parimente che la stanzetta, dove scendo per passarvi la giornata, si chiude a chiave quando andiamo a desinare e quando ci ritiriamo, ma perché vi sono carte importanti.

La Missione stabilì quest'uso per onorare uno stato per il quale Nostro Signore ebbe tanta stima; cioè, che tutto sia in comune e nessuno abbia qualche cosa particolare per sé. Ma la regola di non chiudere a chiave non è applicabile, se non nel caso che nessuno antri nelle camere e nei luoghi particolari a guardare, prendere, appropriarsi quello che è dentro. Per praticar meglio questa povertà, Nostro Signore stesso non aveva nulla in proprio, nemmeno una pietra dove posare la testa. E per esser meglio imitato, con maggior perfezione, non disse forse: «Nessuno può essere mio discepolo, se non rinunzia a tutto quello che possiede685»? Ciò s'intende, come spiegano i dottori della Chiesa, per i perfetti.

Le nostre camere, secondo la regola, come tutto quello che in esse si trova, non devono esser chiuse a chiave; questo vuol dire che quello che è dentro non è nostro, che noi non vi abbiamo attaccamento, che ci può essere preso o tolto, per onorare con questo stato e questa disposizione la santa virtù della povertà di Nostro Signore. Ed ecco che un uomo, senza badare a Dio che egli offende, alla sua coscienza che gli fa un continuo rimprovero, al prossimo che lo vede e che egli scandalizza, entra, in sua assenza, nella camera di un prete che è andato in campagna, e fruga da per tutto, guarda i libri, le carte, gli scritti, e prende quello che vuole; quell'uomo e tollerabile? Dobbiamo lasciarlo impunito? Prima di tutto, esso trasgredisce una regola; secondo, scandalizza quelli che lo vedono; terzo, distrugge da parte sua quello stato di povertà che Nostro Signore ama tanto; quarto, dà occasione a lamenti da parte di coloro che si vedono mancare qualche cosa, se non sono molto virtuosi e se Dio non dà loro la forza di sopportare tale perdita, e dà motivo a loro di dire che dovremmo avere le chiavi per chiudere le stanze, cosa che non si è mai fatta sino ad ora. Ecco che la Compagnia, in una simile circostanza, soffre uno scapito e corre il rischio di essere interamente distrutta, se non si rimedia a questo gran male e se si lascia questa colpa impunita.

Ho mandato dai gesuiti a domandare ad un anziano, il padre Haineuve, come si comportavano in simili casi. «Che fareste, gli dicemmo, ad uno dei vostri che fosse entrato in camera di un altro?» Egli rispose: «E', questa, cosa inaudita fra noi, non si è mai sentito dire che uno sia entrato nella camera di un altro; è contro la buona educazione, contro la regola, contro la coscienza». Le loro camere sono chiuse con un solo saliscendi, e dentro non c'è nulla sotto chiave.«Ma, s'insistette, padre, che fareste ad una persona che fosse entrata in una camera? Qual pena le infliggereste?» - «Si farebbe spogliare in pieno refettorio e prendere la disciplina davanti alla Compagnia».

In alcune città d'Italia, il sovrano proibisce di portare le armi durante la notte, e questa legge è osservata da tutti, ad eccezione di coloro che, avendo nemici, ottengono un permesso speciale. Ma sapete ciò che quei popoli potrebbero dire al loro sovrano? «Voi ci proibite di andare armati durante la notte; dal canto vostro, fate dunque in modo che possiamo vivere con sicurezza». E' giusto. Infatti, quel sovrano fa quanto è possibile, perché tutti possano andare di notte dovunque, senza pericolo. Qui ci potreste

685 Lc XIV, 33.

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dire la stessa cosa: «Voi ci proibite con la regola di chiudere le nostre camere, e c'imponete che dentro nulla sia sotto chiave; sia pure. Noi lo facciamo volentieri per praticare la povertà e il distacco da tutto, per amore di Nostro Signore; ma, però, provvedete che nessuno vi entri senza il permesso, vi frughi e prenda quello che gli piace». E' giusto e ragionevole, e non solo bisogna proibirlo espressamente, ma infliggere anche pene gravi ai trasgressori. I gesuiti giustamente lo fanno; hanno la penitenza di cui vi ho parlato. Penso al da farsi e, con l'aiuto di Dio, mi propongo di rimediarvi secondo coscienza. Mi sono venuti in mente molti mezzi che per ora non dirò; li considererò sempre meglio davanti a Dio, chiederò consiglio; ma, in nome di Dio, fratelli, diamoci alla sua divina Maestà per ben praticare questa regola. Prego la Compagnia, e chiedo a Dio di concederci la grazia di aver zelo e forza per non mancarvi mai, e per conoscere i mezzi e le punizioni di cui dobbiamo servirci contro i trasgressori: giacché non sarebbe conveniente averne fra noi, essendo questa casa la prima della Compagnia e dovendo servire di modello a tutte le altre. Tollerare un uomo che entra così nella camera di un altro, guarda e prende quello che vuole, sopporteremo questo atto? Lo lascio giudicare voi. Ah! prego Dio di rimediarvi e di dare zelo e forza ai superiori perché vi tengano mano forte, come ad una cosa di grandissima conseguenza per il buon ordine e la pace della Compagnia.

La terza cosa che non spiegai abbastanza è relativa agli oggetti che possiamo avere individualmente, che abbiamo portati qui dentro, comprati con il nostro danaro, o ricevuti dai nostri parenti, come un astuccio, libri, immagini. Sappiate che la proprietà non spetta alla persona in particolare la quale ne ha soltanto l'uso e deve essere disposta a lasciarla o disfarsene, secondo la volontà del superiore. Conosco una comunità i cui membri fanno tutti gli anni, per iscritto, la lista degli oggetti che hanno nella loro camera, e la presentano al superiore, perché giudichi quello che dev'essere conservato o tolto.

La quarta osservazione relativa, non alla proprietà, ma all'uso di certe cose che potrebbero aversi, si riferisce soltanto agli ufficiali e ai superiori. Essi non devono mai permettere che uno abbia qualche cosa di singolare nella sua camera, per esempio tappeti, quadri, ecc., oppure a tavola, come capponi, pernici ecc., come avviene in certe comunità, a veduta e saputa del superiore e degli altri. Ma nella Compagnia, povera Compagnia! oh! mai si permetta nulla di singolare, né nel vitto, né nel vestiario; ne eccettuo sempre i malati, oh! poveri malati! per l'assistenza dei quali bisognerebbe vendere perfino i calici della chiesa. Dio mi dette per loro una vera tenerezza e Lo prego di dare questo spirito alla Compagnia. Dunque nessuno deve avere singolarità.

-Ma, direte voi, abbiamo visto l'opposto nel signor Etienne, che aveva libri suoi particolari. - Rispondo primo che il voto non era stato ancora spiegato dal Papa; abbiamo ricevuto da poco il Breve. Quanto tempo è? Due o tre mesi. Io posso attestare che, quando riceveva il danaro, chiedeva sempre il permesso di comprar libri e non li dava mai agli altri senza la debita licenza.

Dunque non permettere mai nulla di singolare; ciò contristerebbe gli altri, darebbe luogo a gelosia, all'invidia e farebbe perdere la carità perché l'uniformità conserva la carità e l'amicizia che si deve praticare a vicenda.

-Ma, se venisse qui, per entrare nella Compagnia, una persona di famiglia signorile, non dovremmo permettere che avesse qualche tappeto o quadro in camera sua e in refettorio sempre qualcosa di straordinario? - No, Dio ce ne liberi! Quando si presentano non si dice forse loro: «Non pretendete aver tappeti, ecc.; provatevi bene per vedere se potete contentarvi di una vita ordinaria e seguire in tutto la comunità?». Facendo altrimenti, non si farebbe soltanto una breccia nella comunità, ma sarebbe un distruggerla interamente. Ringrazio Dio per esserci comportati in questo modo con chi, essendo tali, si sono presentati alla Compagnia, per la grazia fatta ad essi, e per aver messo in loro simili disposizioni.

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Sono quasi le nove. E' troppo tardi per incominciare l'argomento che ci eravamo proposti; è meglio fermarci qui.

O Salvatore del mondo, che ispiraste alla Compagnia, nella sua infanzia, quando non era composta se non di tre o quattro, il pensiero di andare a Montmartre (il miserabile che vi parla era allora indisposto), a raccomandarsi a Dio, per l'intercessione dei santi martiri, onde poter praticare la povertà, d'allora in poi tanto bene osservata da una gran parte della comunità, o Salvatore dell'anima mia, fateci la grazia di non desiderare e possedere altro che Voi. Tutto il clero non dice forse: Dominus pars hereditatis meae et calicis mei686 e non apparteniamo noi al clero? Con il battesimo, come cristiani, non abbiamo rinunziato alle pompe del mondo, le quali non sono altro, secondo i santi dottori, che i beni di quaggiù?

Non è molto, Monsignor vescovo coadiutore di Cahors687 mi fece l'onore di raccontarmi la consolazione provata assistendo ad una cerimonia fatta dai signori di S. Sulpizio, dal seminario e dai sacerdoti della parrocchia688, i quali, dopo aver cantata solennemente una Messa nella loro cappella privata ed avere ascoltato una predica, rivestiti della cotta, vennero gli uni dopo gli altri, e pronunziarono devotamente queste parole: Dominus pars hereditatis meae et calicis mei. Ne rimase tanto commosso, da non poterlo esprimere. Sui primordi della Chiesa, entrando a far parte di essa uno si spogliava delle sue ricchezze, non serbava nulla per sé e diceva: Dominus pars hereditatis meae et calicis mei. Si degni sua divina Maestà concederci la grazia di amare questo stato di povertà, di osservare esattamente la regola che ce lo raccomanda e di fare quanto ci è possibile per essere di esempio alla posterità nella pratica di questa santa virtù, tanto amata da Nostro Signore, e che Egli ricompenserà largamente».

221. CONFERENZA DEL (12 DICEMBRE 1659689)SULLA CASTITA'(Regole comuni, cap. IV)690

«Fratelli, venerdì scorso non feci altro che terminare quello che avevo omesso nella conferenza precedente intorno alla povertà, e sebbene leggessimo l'intero quarto capitolo sulla castità, non ne parlammo, per mancanza di tempo. Lo faremo dunque stasera e, per richiamarcelo alla memoria, ne ripeteremo la lettura.

Il Salvatore del mondo dimostrò evidentemente quanto gli premesse la castità e quanto desiderasse istallarla nel cuore degli uomini, volendo passar sopra all'ordine da Lui stesso stabilito nella natura e nascere, per l'opera dello Spirito Santo, da una Vergine immacolata. Egli aveva un orrore tanto grande del vizio opposto che, sebbene abbia permesso di essere falsamente accusato delle colpe più enormi, per saziarsi di obbrobrio come bramava, tuttavia non si legge mai che nessuno, neppure i suoi maggiori nemici, l'abbiano tacciato e neanche sospettato di quel vizio. Per conseguenza è sommamente necessario che la Congregazione abbia un singolare e ardentissimo desiderio di questa virtù e faccia sempre e in ogni luogo una speciale professione di praticarla perfettamente; e tanto più deve starci a cuore in quanto che i nostri esercizi

686 Sal XV, 5.687 Nicola Sevin, vescovo di Sarlat.688 Il 21 novembre, giorno della Presentazione della Madonna.689 Abbiamo visto più sopra, p. 839, nota 1, i motivi che ci fanno scegliere questa data. Nel manoscritto, la conferenza non ha data.690 Manoscritto delle Conferenze.

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della Missione ci obbligano strettamente a conversare quasi di continuo con i secolari dell'uno e dell'altro sesso. Perciò ciascuno si sforzerà di portarvi, dal canto suo, ogni cura, diligenza e precauzione possibile per conservare interamente la castità, tanto nel corpo, quanto nell'anima.

Ora, affinché ciò possa farsi, con l'aiuto di Dio, ognuno custodirà gelosamente i suoi sensi, tanto interni quanto esterni; non parlerà mai da solo a sola con le donne in luoghi e in tempo indebiti; si asterrà affatto dal parlare e scriver loro in termini troppo affettuosi, fosse anche in materia di devozione; non si avvicinerà troppo ad esse confessandole o parlando loro fuori di confessione; e starà bene attento a non presumere della sua castità.

Ed essendo l'intemperanza come la madre e la nutrice dell'impurità, ognuno sarà sobrio nel mangiare e, per quanto lo potrà, userà cibi comuni e innacquerà molto il vino.

Inoltre, ci persuaderemo che non basta ai missionari d'eccellere in questa virtù, ma occorre anche far quanto è possibile, perché nessuno al mondo possa sospettare, sia pur minimamente, in alcuno dei nostri il vizio opposto, perché il solo sospetto, sebbene molto infondato, nuocerebbe alla Congregazione e ai suoi santi uffici, più di tutte le altre colpe che potessero falsamente imputarci, e non ricaveremmo che poco o punto frutto dalle nostre missioni. Perciò non ci contenteremo di usare i mezzi ordinari per prevenire o riparare questo male, ma adopereremo, se occorre, mezzi straordinari, come per esempio, tra gli altri, astenersi talvolta da alcune azioni, d'altronde lecite ed anche buone e sante; s'intende quando, a giudizio del superiore o direttore, queste cose sembrano dar luogo a temere un tal sospetto.

E perché l'oziosità è matrigna delle virtù, principalmente della castità, tutti fuggiranno talmente l'ozio, da poter esser trovati sempre utilmente occupati.

Orsù, mettiamoci la berretta. Dobbiamo parlare della virtù della castità. Divideremo questo discorso in tre punti secondo il solito: nel primo esamineremo, aggiungendovi poco, i motivi contenuti nella regola e che ci obbligano a tenere in particolare venerazione la pratica della virtù della castità; nel secondo diremo che cos'è la castità e in che cosa dobbiamo principalmente praticarla; nel terzo punto esporremo i mezzi.

Quanto ai motivi, o Salvatore! chi non lisa? Non c'è bambino che non impari dal padre e dalla madre che è un peccato, e una gran peccato, fare atti impuri. O Salvatore! Voi che sapete i motivi che ci obbligano a praticare questa virtù, non solo in quanto alle azioni esterne, ma anche in quanto alla purezza interna, stampateli vivamente nella nostra mente, affinché possiamo praticare tal virtù. La castità, lo sapete, è comandata da Dio, come il vizio opposto a questa virtù è proibito. «Non sarai lussurioso né con il corpo, né con il consenso». Non è opportuno fermarsi su cose evidenti di per se stesse.

La nostra regola ci dà, per primo motivo, il grande orrore che Nostro Signore aveva per tutto quello che è contrario alla castità, tanto che, dovendo farsi uomo, non volle che avvenisse per via ordinaria, ma in modo straordinario, per opera dello Spirito Santo. Sua madre rimase vergine e fu sempre casta e lo Spirito Santo operò questa grande meraviglia.

O Signore! bisogna pur dire che vi sia qualche cosa di grande in questa virtù, poiché il Santo dei santi infranse l'ordine della natura per esser concepito e nascere in modo che denotava chiaramente qual gran conto facesse della castità!

Un secondo motivo, non meno importante, menzionato egualmente dalla regola, è che Nostro Signore, sia durante i trent'anni che visse in famiglia con il padre e con la madre, lavorando nella loro bottega (il che dette luogo di dire: Nonne hic est faber et fabri filius?) sia dopo averli lasciati per predicare il Vangelo con tanto successo che tutti lo seguivano, uomini e donne, sebbene conversasse con gli uni e con le altre, sebbene i suoi peggiori nemici lo calunniassero e lo ricoprissero di mille rimproveri e

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mille biasimi, chiamandolo seduttore, ubriaco, indemoniato, non permise mai che gli fosse rimproverato nulla contro la castità.

Ecco un gran motivo. O Salvatore, a Voi ci rivolgiamo per ottenere questa virtù così rara. La natura non giunge a tanto; ci suscita, invece, mille e mille tentazioni, immagini e fantasmi contrari ad essa. O Signore, fateci dunque la grazia, ve ne scongiuriamo, che né la Compagnia in generale, né alcuno dei suoi membri in particolare, né vicino né lontano, cada mai nel vizio contrario.

Nostro Signore va più oltre e dice che chi non lascia la moglie non è degno di Lui, tanto ama questa virtù. Infatti gli apostoli e i discepoli che erano ammogliati lasciarono la moglie per seguirlo, e le mogli lasciarono i mariti, e molti primi cristiani fecero lo stesso e non ebbero più comunicazione con le mogli per l'uso del matrimonio. Ma poco tempo dopo il demonio, nemico della castità, fece in modo che gli uomini non osservassero per lungo tempo questa risoluzione; il contatto continuo degli uni con le altre e la grande fragilità della natura spinsero alcuni ad atti contrari a tal virtù. Molti si ritirarono nel deserto della Libia e dell'Egitto, temendo di non poter conservare una castità perfetta nel mondo; e così i deserti si popolarono di persone che praticavano fedelmente questa virtù. Dal quel tempo furono fondati i monasteri per permettere di strapparsi ai peccati e ai piaceri del mondo e vivere castamente. O signori, solleviamo il nostro cuore a Dio per chiedergli ed ottenere che questa piccola e povera Compagnia non sia contaminata nel suo corpo e nei suoi membri. Che voglio dire in questo? Voglio dire per la Compagnia in generale e per ogni membro in particolare. Noi andiamo da per tutto a predicare la castità ed inculcarla al popolo. Oh! quanto è dunque importante averla grandissima in noi!

Ma in che consiste questa virtù? I bambini sono istruiti dai loro genitori della bruttezza del peccato opposto a questa virtù. Quanto è bella, dunque! Vi sono due o tre specie di castità: la castità coniugale, che modera gli affetti dei piaceri della carne; e quella che estirpa dal cuore tutti gli affetti impuri. Quest'ultima è una virtù segnalatissima e induce chi la pratica a vivere con gran purezza. La castità coniugale non si riferisce a noi, perché consiste nella moderazione dei piaceri della carne dai quali dobbiamo astenerci assolutamente. Parleremo dunque dell'altra. Essa esige che strappiamo dal cuore ogni affetto per le azioni impure, attaccamenti cattivi e il resto; non dirò di più, né in particolare, dei singoli atti. Oh! quanto è rara questa virtù e come il demonio cerca di farcela perdere! Dio qualche volta si compiace di provare le anime sante, permettendo che il demonio le tenti con cattivi pensieri, con cattive immagini o bruti fantasmi, anche in cose sante. Ho conosciuto un'anima religiosa che non aveva tentazioni di impurità e della carne se non quando si comunicava; mai, fuorché allora, era tentata e mai si comunicava senza risentire simili tentazioni. Guardate la malizia del demonio, di servirsi delle cose più sante per tentarci d'impurità. Dunque questa virtù consiste nello strappare dai nostri cuori, non solo dalla fantasia e dalla mente, ma dal cuore, l'affetto all'impurità. O Signore, aiutateci a strappare dal cuore il maledetto affetto all'impurità e dalla memoria il ricordo delle persone conosciute troppo familiarmente, con le quali, forse, abbiamo commesso qualche brutta azione! O Dio, strappate dai nostri cuori questo ricordo.

V'è la purezza del corpo e la purezza dello spirito. Chi ha la purezza del corpo non ha per questo la castità; è la purezza dello spirito che informa questa virtù e le dà la perfezione ed anche l'essenza; essa scaccia dal pensiero, dallo spirito, dalla memoria, dalla fantasia tutti i pensieri cattivi. In questo devono convergere tutti i nostri sforzi: strappare dal cuore, ecc., se vogliamo avere la castità che la regola esige da noi, ricordandoci che Nostro Signore, venendo al mondo, la stimò tanto che volle cambiare la natura delle cose e nascere da una vergine. Per merito di questa virtù è detto che i vergini accompagneranno sempre l'Agnello e canteranno cantici nuovi. Oh! quanto la

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Compagnia in generale e ogni suo membro in particolare deve stimare questa virtù e fare tutto il possibile per averla e perfezionarvisi sempre più!

Ma chi ci aiuterà? La custodia dei sensi; la regola lo dice. La custodia della vista. O vista pericolosa! Lasciare che gli occhi guardino qua e là ogni sorta di oggetti, oh! quanto male! David, quel sant'uomo, per aver guardato una donna, cade nel peccato opposto alla castità, e fa anche di peggio, perché a quello, a quel peccato ne aggiunge un altro, ossia l'omicidio; voi ne conoscete la storia.

L'udito, attenti all'udito! Voi che avete confessato in campagna ed anche in città, sapete che molte persone imparano che cos'è l'impurità vedendo ed ascoltando quei saltimbanchi, quegli istrioni che rappresentano azioni disoneste e tengono cattivi discorsi. Oh! sì, quanto è pericoloso!

Perciò attenti dunque alla custodia dei sensi: della vista, della vista, sì, dico, della vista, dell'udito come pure degli altri sensi esterni, del tatto; rendersi padroni dei proprii sensi per quanto è possibile. La vista, l'udito, il tatto.

Un altro mezzo è di non trovarsi mai soli con persone di diverso sesso, in luogo e tempo indebito (la regola lo dice) perché in quel luogo e in quel tempo il demonio risveglia la concupiscenza. Noi siamo uomini come gli altri, quindi attenzione! Non posso fare a meno di dirvi la grave mancanza che commettono coloro che parlano con una donna od una giovane sola nel piccolo parlatorio. Oh! quanto mi ha fatto pena sapere che qualcuno c'è stato e si è messo nel cantuccio più oscuro, mentre la persona con la quale parlava stava nel lato opposto, più alla luce, e questo per due o tre ore! E' un'esca troppo pericolosa.

Prego dunque la Compagnia di farvi attenzione. Quando abbiamo da parlare ad una donna che si trova in quel piccolo parlatorio, se non si conosce e alla quale si ha poco da dire, bisogna pregarla di uscire, parlarle in piedi, con testa scoperta e tagliar corto. Molti, in ragione del loro ufficio, sono obbligati a parlare a persone di quel sesso, ma li prego di procurare che ciò avvenga senza sedersi vicino ad esse, a meno che siano persone ragguardevoli e sia necessario rimanere lungamente per trattare di affari. Ahimé! quanto vi ho mancato! e vi manco ancora troppo. Ma Dio sa la pena che provo quando sono obbligato a parlar loro in questo modo. Comunque sia, la regola ci dice di non parlar mai da solo con una donna. Quindi esorto quel tal soggetto della Compagnia (perché ve n'è uno, non ne conosco altri che uno caduto in questa mancanza) a volersi correggere ed a farne oggetto della sua pratica, o, se vuole, ad astenersi, come penitenza, da simili conversazioni con questo sesso. Dio mi ha fatto qualche volta la grazia di pregare tali persone di uscire da quel piccolo parlatorio o studiolo, e, stando fuori, parlo loro e taglio corto con esse.

E' un gran pericolo per la castità anche mangiar molto e cibi delicati, e cercar mezzi di averli; oh! che gran male! ma sopratutto bere vino, troppo e puro. Perché non manifesterò la mia indignazione per gli inconvenienti capitati alla Compagnia a causa di coloro che hanno ecceduto in questo? Non c'è più nessuno che abusi, per grazia di Dio, ma noi dobbiamo darci alla sua divina Maestà per non ber più vino, o almeno, annacquarlo molto.

Volete che vi dica come ha fatto Monsignor di Cahors691, quel sant'uomo, quel gran servo di Dio, per non bere più vino? Perché egli beve solo acqua. Egli non pranza, ma la sera, dopo le sue visite, prediche ed altri uffici inerenti al suo ministero pastorale e episcopale, mangia un po' di pane, di legumi, di frutta e beve qualche bicchiere d'acqua, ecco tutto; e ciò da trent'anni, ed egli ora ne ha quasi settanta. Ecco come vi riuscì, da quanto mi fece l'onore di raccontarmi. Sebbene sul principio bevesse vino come un altro, giunse ad annacquarlo per metà, poi per due terzi, poi a non mettere altro che un po' di vino in molta acqua; continuò così a diminuire sempre più la quantità del vino,

691 Alano di Solminihac.

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tanto che la sua bevanda non era altro che acqua arrossata; dimodoché, divenuto quasi insensibile al gusto del vino, bevendone tanto poco che non valeva la pena di parlarne, si risolvette a non berne più affatto, il che ha osservato fedelmente.

Un altro mezzo per conservare la castità è di fuggire l'ozio, che è di per se stesso un gran male. Oh! come dobbiamo evitarlo con ogni cura! sopratutto le persone che con la loro condotta si sono rese incapaci ai ministeri perché, credetemi, quando il demonio trova una persona oziosa, oh! ha mano libera per tormentarla e tentarla del vizio contrario alla castità. Procurate, fratelli, di esser sempre occupati, e allora, se il diavolo vi tenta, l'occupazione diminuirà molto, almeno, la forza della sua tentazione.

Un altro mezzo ancora, ma che riguarda i confessori, è di non avvicinarsi troppo alle penitenti, perché, come vedete e sapete meglio di me, ogni cosa ha effluvi propri. Come questa lampada accesa manda i suoi raggi e le sue luci, così dalla testa, dal volto, dagli abiti, di queste penitenti escono certi effluvi che, mescolandosi con quelli che escono dai confessori, accendono la tentazione e fanno, se uno non vi sta ben attento, danni straordinari. Esorto dunque la Compagnia a non avvicinarsi alle penitenti, ma piuttosto a tenerle a distanza. Se alcuni, essendo duri d'orecchio, hanno fatto diversamente, o Salvatore! sappiamo che non era cosa da farsi. Prego i confessori a starci bene attenti ed a ben regolarsi su questo punto.

Una cosa che ci può molto nuocere è quando interroghiamo circa il sesto comandamento: «Non sarai lussurioso né con il corpo, né con il consenso», il domandare troppe cose. Non bisogna fare se non le domande strettamente necessarie. I confessori devono sapere quello che è necessario domandare ai penitenti su questo comandamento; non abbiamo ora il tempo di dirlo; sarà opportuno che in uno di questi giorni i confessori si adunino per conferirne insieme. Intanto diamoci a Dio per non interrogare in confessione se non quanto è necessario su questo comandamento, perché, oltrepassando i limiti, il diavolo non mancherà di scagliarci grandi tentazioni contro tal virtù, e i discorsi fatti o ascoltati torneranno forse alla nostra memoria, risveglieranno la concupiscenza e semineranno dolorose rovine.

Un altro mezzo per conservare la castità è di fuggire la conversazione con le religiose, anche con le più riformate. Prima della fondazione della Compagnia, Monsignor Vescovo di Ginevra, che avevamo l'onore di conoscere e di frequentare, ci obbligò di aver cura delle suore della Visitazione; eccoci impegnati, è una parola data; ma che fare? Sappiate, signori, che quelle conversazioni sono un filtro diabolico, perché noi siamo uomini e uomini come gli altri. Si prende questo impegno con la scusa della devozione; si comincia sempre di qui, e Dio sa a che cosa si va spesso a finire! E' contro il fine del nostro Istituto, che è di dedicarci alla povera gente di campagna. Non si possono servire due padroni. Raccomando dunque alla Compagnia di non accettar mai un incarico che costringa a dirigere, guidare e frequentare le monache o a conversare con esse. Vi dirò, in proposito, che sul principio della Compagnia fu tenuta una missione in un villaggio o borgata dov'erano alcune monache. Esse ci pregarono di far loro qualche predica e di ascoltare la loro confessione generale, come ascoltavamo quelle dei contadini. Così facemmo. V'era il buon signor de la Salle, al quale quelle monache scrissero più volte dopo il suo ritorno qui. Appena si accorse che in ciò v'era un certo attaccamento, il signor de la Salle, che era un uomo di molto buon senso, rispose che dovevano contentarsi di quello che aveva scritto loro ed anche detto quando si trovava là, che non aveva nulla da dire né da scrivere. Così dobbiamo fare, fuggendo tali cose come un tranello di Satana.

Un altro mezzo ancora consiste nel non scrivere mai espressioni troppo tenere: queste accendono il fuoco, attizzano gli affetti, e Dio sa quali!, invitano a rispondere con egual tenerezza, anzi con maggiore, perché nessuno vuol lasciarsi mai vincere. Per l'amor di Dio, vi raccomando, signori, di astenervi con le donne da ogni commercio personale ed epistolare. Credo che vi siano qui ancora una o due di quelle lettere, ma

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quali lettere! Le leggerò? E' meglio me ne astenga. Non ne derivò alcun male a colui cui sono indirizzate, ma a qual pericolo fu esposto!

Infine, un ultimo mezzo è di non avere affatto delle devote. - Ma Nostro Signore ne aveva. Egli conversava con loro e le visitava; anche gli apostoli ne ebbero, come pure tanti santi personaggi. - Eppure, oh! quanto è pericoloso! Bisogna temere per la Compagnia dove vi sono queste devote che lodano la buona direzione del confessore al quale aprono il loro cuore e la loro coscienza. Oh! quali legami! Guai alla Compagnia se tollera tali persone in questi luoghi! Quanto sono pericolose! Conosco un luogo in cui le donne sono talmente affettuose con i loro confessori, che non si può immaginare nulla più.

Come fare, dunque? 1° Custodire gelosamente i sensi; 2° non parlare a queste devote fuori della confessione, neppure in piedi in chiesa, e mai, dico mai, in casa loro né in casa nostra. Raccomandate loro di dirvi in confessione tutto quello che hanno da dirvi o avranno da dirvi e mai nulla fuor di lì. Oh! se Dio ci concedesse la grazia di rimaner fermi, di non parlare mai ad esse in piedi in chiesa, in portineria, in casa loro! Sono questi i mezzi per conservare la castità nella Compagnia. Che cosa non possiamo sperare da essa, qui e altrove, in Francia e nei paesi esteri, se usa tali precauzioni! Diversamente, Dio rivolgerà il suo sguardo di predilezione ad altre persone che Gli renderanno maggiori servigi e maggior gloria nelle missioni.

Orsù, signori, che faremo per osservare tale regola? I mezzi proposti serviranno a poco se non sono animati dallo spirito di Dio. Dobbiamo dunque chiederlo a Nostro Signore, e assai insistentemente, nelle nostre preghiere, e fare un proposito particolare di offrirci con tutto il cuore alla divina Maestà per conservarci e perfezionarci in questa virtù ed allontanarci dai vizi contrari. Se facciamo così e ci applicheremo qui all'acquisto, alla conservazione e allo sviluppo di questa virtù, ciò si propagherà dovunque. In tal modo la Compagnia si renderà tanto più gradita a Dio, che la guarderà con occhio di compiacenza ed avrà grazie nuove ed abbondanti da comunicarle. Ci conceda sua divina Maestà che questo avvenga!».