conoscenza scientifica e teologia fra xiii e xiv secolo, di francesco fiorentino

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Un volume di vasta portata, che restituisce un quadro dettagliato (ma anche sintetico) della riflessione epistemologica nel Tardo Medioevo, nell’interazione tra pensiero scientifico e paradigma teologico.

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Il libroIl volume indaga un tipico plesso di temi epistemologici: la teoria della conoscenza scientifica, la sua natura, le sue condizioni, i suoi metodi, nonché i rapporti tra le scienze e tra queste ultime e la fede. Tale indagine viene condotta al di fuori del genere letterario deputato all’analisi di tali temi, ossia la tradizione dell’Organon aristotelico; essa viene piuttosto rivolta verso l’ambito teologico, con l’intento di studiare la teoria della scienza piuttosto che la teologia e il suo rapporto con la fede, come di consueto. Il saggio dunque assume un oggetto solito, ma lo studia sotto una diversa luce, che in definitiva rinnova l’oggetto stesso. Il volume si apre con l’analisi dei fondamenti greco-arabi, prosegue prendendo in considerazione le posizioni di numerosi maestri scolastici (da Tommaso d’Aquino ed Enrico di Gand fino a Guglielmo di Ockham e Giovanni di Mirecourt), per chiudersi con un lungo capitolo che sintetizza i risultati dell’indagine mettendoli in prospettiva con la Rivoluzione Scientifica. Il volume getta così una luce diversa sui rapporti, nel Tardo Medioevo, tra la teologia e la riflessione epistemologica, mostrando l’interazione e la sinergia tra i due ambiti più che l’antitesi o i possibili contrasti.

L’autoreFrancesco Fiorentino è dottore di ricerca in Cultura, Filosofia e Scienze dell’Età Tardo-antica, Medievale ed Umanistica, abilitato all’insegnamento universitario di seconda fascia in Storia della Filosofia. Da molti anni insegna Filosofia e Storia al Liceo Scientifico «Arcangelo Scacchi» di Bari.Il suo principale campo d’interesse scientifico comprende Giovanni Duns Scoto, Guglielmo d’Ockham, Raimondo Lullo e le relative tradizioni di pensiero, nonché la logica, la gnoseologia e l’epistemologia della Scolastica. Di recente ha pubblicato, presso l’editore Vrin, l’edizione critica di Giovanni di Reading, Scriptum in primum librum Sententiarum (Parigi 2011).

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Introduzione 7

Capitolo 1. I fondamenti 15

1. Il contributo di Alhazen 152. La teoria aristotelica della scienza 17

2.1. La ricezione degli Analytica Posteriora, p. 17 - 2.2. I principi e le conclusioni, p. 23 - 2.3. La deduzione sillogistica, p. 29 - 2.4. La de-monstratio ex causis, p. 32 - 2.5. La demonstratio ex suppositione finis, p. 37 - 2.6. Il soggetto della scienza, p. 39 - 2.7. La subalternazione delle scienze, p. 42 - 2.8. La definizione del soggetto, p. 47

3. Conclusioni 49

Capitolo 2. Da Tommaso d’Aquino a Gerardo di Bologna 52

1. Tommaso d’Aquino 522. Enrico di Gand 57

2.1. Le definizioni e le condizioni della scienza, p. 57 - 2.2. L’ordine e il discursus, p. 62 - 2.3. L’unità e la distinzione delle scienze, p. 66 - 2.4. La subalternazione delle scienze, p. 70

3. Tra Enrico e Scoto 724. Giovanni Duns Scoto 82

4.1. La scienza induttiva, p. 84 - 4.2. La scienza dimostrativa, p. 90 - 4.3. Il discursus, p. 92 - 4.4. La distinzione tra i concetti quidditati-vi e denominativi, p. 94 - 4.5. Il principio dell’ordine dei concetti, p. 96 - 4.6. Il soggetto della scienza, p. 99 - 4.7. La scienza astrattiva del viandante, p. 103

Indice del volume

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554 Indice del volume

5. Enrico di Harclay 1065.1. La definizione di scienza, p. 109 - 5.2. La discorsività, p. 109 - 5.3. La polemica con Tommaso d’Aquino ed Enrico di Gand, p. 116 - 5.4. La conoscenza astrattiva del viandante su Dio, p. 118 - 5.5. Il soggetto della scienza, p. 120

6. Gerardo di Bologna 1216.1. La scientificità della teologia, p. 121 - 6.2. La conoscenza astrattiva del viandante su Dio, p. 122

7. Conclusioni 129

Capitolo 3. La teoria della scienza in ambiente domenicano 141

1. Erveo di Nédellec 1411.1. La scienza e l’evidenza, p. 141 - 1.2. La critica a Scoto, p. 145

2. Giovanni di Napoli 1473. Durando di S. Porciano 148

3.1. La scientificità della teologia, p. 148 - 3.2. La subalternazione delle scienze, p. 149 - 3.3. Il soggetto della scienza, p. 152 - 3.4. La conoscen-za astrattiva su Dio, p. 153

4. Pietro della Palude 1595. Tommaso di Sutton 161

5.1. La necessità ed il procedimento sillogistico, p. 161 - 5.2. La scien-tificità della teologia, p. 163 - 5.3. La subalternazione delle scienze, p. 164

6. Conclusioni 165

Capitolo 4. La teoria della scienza in ambiente francescano 169

1. Ugo di Novocastro 1692. Guglielmo di Nottingham 172

2.1. La definizione di scienza, p. 173 - 2.2. I concetti quidditativi, de-nominativi ed il principio dell’ordine, p. 186 - 2.3. La subalternazione delle scienze, p. 189 - 2.4. Il soggetto della scienza, p. 190

3. Roberto di Cowton 1933.1. La critica delle opinioni, p. 193 - 3.2. Le condizioni e la definizione della scienza, p. 205

4. Guglielmo di Alnwick 2064.1. La teologia come scienza, p. 207 - 4.2. La scienza astrattiva del viandante su Dio, p. 219

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Indice del volume 555

5. Pietro Aureolo 2235.1. Le condizioni e la definizione della scienza, p. 223 - 5.2. L’unità della scienza, p. 236

6. Landolfo Caracciolo 2436.1. La conoscenza del viandante su Dio, p. 245 - 6.2. La conoscenza scientifica, p. 249 - 6.3. La diversità delle scienze, p. 252

7. Conclusioni 255

Capitolo 5. Giovanni di Reading e Guglielmo d’Ockham 264

1. La dimostrabilità dei concetti 2652. La possibilità della conoscenza scientifica 2833. La conoscenza di Dio 2924. La scienza deduttiva 2975. Due condizioni della scienza deduttiva 301

5.1. La necessità, p. 301 - 5.2. Il procedimento sillogistico e il ruolo dell’intelletto, p. 306

6. La scienza induttiva 3186.1. La conoscenza del viandante su Dio, p. 245 - 6.2. La conoscenza scientifica, p. 249 - 6.3. La diversità delle scienze, p. 252

7. Il soggetto e l’unità della scienza 3228. La delimitazione dei domini delle scienze 3389. Conclusioni 343

Capitolo 6. I francescani oxoniensi dopo Reading ed Ockham 355

1. Walter Chatton 3551.1. La definizione di scienza, p. 356 - 1.2. Il principio dell’ordine, p. 358 - 1.3. Il soggetto e l’unità della scienza, p. 359 - 1.4. La scienza del viandante su Dio, p. 360

2. Giovanni di Rodington 3612.1. L’onnipotenza divina e la conoscenza del viandante, p. 362 - 2.2. La definizione di scienza, p. 371 - 2.3. L’evidenza, p. 372

3. Adamo di Wodeham 3733.1. La definizione della scienza e la conoscenza del viandante su Dio, p. 375 - 3.2. Il soggetto della scienza, p. 379

4. Il ms. Oxford, Merton College, 284 3804.1. Le questioni collazionate, p. 384 - 4.2. La prima questione, p. 384 - 4.3. La seconda questione, p. 395

5. Conclusioni 427

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556 Indice del volume

Capitolo 7. I francescani parigini dopo Reading ed Ockham 436

1. Francesco d’Ascoli 4361.1. La scienza e l’evidenza, p. 437 - 1.2. Il soggetto della scienza, p. 440

2. Guglielmo di Rubione 4432.1. La conoscenza scientifica, p. 444 - 2.2. La continentia virtualis, p. 447

3. Francesco di Meyronne 4483.1. Le condizioni della scienza, p. 449 - 3.2. La conoscenza del vian-dante su Dio, p. 451

4. Giovanni di Bassoles 4534.1. Le condizioni e la definizione della scienza, p. 453 - 4.2. La cono-scenza del viandante su Dio, p. 455

5. Antonio Andrea 4586. Pietro di Navarra 459

6.1. La conoscenza astrattiva del viandante su Dio, p. 459 - 4.2. La definizione di scienza, p. 461

7. Pietro d’Aquila 4618. Conclusioni 463

Capitolo 8. Al di fuori dell’Ordine dei Minori 467

1. Paolo di Perugia 4661.1. L’evidenza e la scienza, p. 466 - 1.2. La conoscenza intuitiva e astrattiva, p. 470

2. Giovanni di Mirecourt 4713. Pietro Ceffons 4774. Conclusioni 478

Conclusioni generali 488

Appendix 1. Quadro sinottico delle tabulae quaestionum di M e O 498

Appendix 2. Anonymi Scriptum in primum librum Sententiarum 508

Bibliografia 515

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Conclusioni generali

Fare storia significa innanzi tutto ripercorrere la strada del tempo e dello spazio; questa strada non è unica ed univoca, ma plurale e serpeggiante. Dunque, è compito dello storico scegliere la strada da preferire con il minor grado possibile di arbitrarietà soggettiva ed allo scopo di ricostruire uno scenario il più possibile autentico.

La strada scelta dal presente volume poteva essere un’«autostrada del pensie-ro», ossia una via diritta ed immediata, con la quale lo storico decide di toccare solo i grandi «caselli» del pensiero, ossia gli autori tradizionalmente considerati come i più significativi. In questo caso la considerazione di Tommaso d’Aquino, Enrico di Gand, Duns Scoto e Guglielmo d’Ockham sarebbe stata sufficiente a disegnare un quadro macroscopico della questione della teoria della conoscenza scientifica tra i secoli XIII e XIV. Ma in questo modo non si sarebbe percepito il paesaggio, che può risultare meno significativo nei suoi singoli elementi, ma che nella sua totalità esprime e convalida le tendenze generali, le principali linee di forza del pensiero. Ad esempio, studiare Scoto senza gli scotisti o Ockham senza gli ockhamisti sarebbe come vedere il Colosseo senza Roma; questo è lecito, ma insoddisfacente.

Perciò, il presente volume ha adottato una visuale micro-scopica, osservando le teorie dell’Aquinate, del Gandavense, di Scoto e di Ockham e seguendone diligentemente lo sviluppo nelle relative tradizioni di pensiero. In questo mo-do i singoli autori più significativi assumono una fisionomia più precisa grazie all’individuazione dei debiti e dell’influenza rispetto al proprio contesto, con la conseguenza di fondare più saldamente le acquisizioni dello storico.

Data la particolare importanza dell’Aquinate e di Scoto, la scelta del conte-sto si è mossa secondo precise costellazioni di fonti, ricercate prevalentemente nell’Ordine dei Predicatori ed in quello dei Minori, ma senza alcun criterio pre-giudiziale, dal momento che una determinata tradizione di autori non può essere

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Conclusioni generali 489

segregata in un determinato Ordine, ma valica i confini religiosi, includendo una costellazione di autori di molteplice provenienza.

Ora si presentano i risultati della scelta operata in questo volume, risultati che mutano aspetto a seconda della precisione dello strumento, con il quale vengono osservati. Lo strumento qui impiegato permette di “zoomare” la scena, ossia di avanzare da una visuale macro-scopica ad una micro-scopica, dal più generale al meno generale.

***

A livello generalissimo lo studio delle costellazioni degli autori ha dimostrato quanto il presente volume ha ricercato fin da principio, ossia l’interazione del pensiero scientifico e del paradigma teologico. Vale a dire che il teologo non assume semplicemente strumenti epistemologici costruiti in altro ambito e per altro scopo; piuttosto tali strumenti si forgiano ed evolvono a contatto con la te-ologia e si ripercuotono sulla generale concezione della conoscenza scientifica.

Questo fenomeno comporta il tentativo di concordare in qualche modo l’ideale aristotelico della scienza dimostrativa e la teologia cristiana, la sentenza aristote-lica, per cui non si può credere nulla che non sia evidente o ricavato da qualcosa di evidente, e l’esigenza di riconoscere alla teologia uno statuto propriamente scientifico; il guadagno di questo tentativo non è solo la scientifizzazione della teologia – com’è ben noto –, ma anche una concezione epistemologica, generale ed adattata – come si è visto in questo volume.

Il punto d’avvio più sistematico di tale tentativo è rappresentato dall’Aquina-te, che ha l’esigenza di subalternare due scienze aventi lo stesso soggetto, ossia la teologia del viandante e la scienza del beato, e per fare questo accetta di forzare la teoria aristotelica della subalternazione, applicandola per analogia alla teolo-gia; questa forzatura produce due conseguenze discutibili, ossia la commistione di verità credute e dimostrate nella stessa scienza e la non-evidenza dei principi della scienza subalternata.

Il preludio prettamente epistemologico della Summa di Enrico di Gand attesta la raggiunta dignità della questione della teoria della conoscenza scientifica in ambito teologico. Tale preludio non si concentra più sulla sola subalternazione; ma affronta la stessa definizione della conoscenza scientifica, individuandone le condizioni, ossia la certezza ricavata dalla verità autentica e l’evidenza sia dei principi sia delle conclusioni e collocandosi a metà strada tra l’astrazione di mar-ca aristotelica e l’illuminazione d’ascendenza agostiniana. Tale preludio trova un immediato seguito nel Prologo dei Reportata Parisiensia di Scoto, che eredita molti contributi del Gandavense, privandoli tuttavia dell’impianto metafisico assicurato dall’ordine gerarchico dell’universo; in tale Prologo Scoto intende af-

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fermare la scientificità della teologia e per fare questo mette in campo una sofisti-cata strumentazione epistemologica, il cui principale guadagno è rappresentato dalla generazione della scienza deduttiva ed induttiva, generazione che inserisce di diritto Scoto agli albori della scienza sperimentale; tale strumentazione non include solo la definizione di scienza, che poggia sul più rigoroso ideale degli Analytica Posteriora, e le quattro condizioni, ma anche i concetti quidditativi e denominativi, il principio dell’ordine, la continentia virtualis e le conoscenze astrattiva ed intuitiva.

Tommaso e Scoto condizionano il dibattito a loro contemporaneo e successivo, ciascuno secondo le sue teorie caratteristiche: in ambiente domenicano si tratta inizialmente di piegare Aristotele all’Aquinate o di giustificare l’assenza della subalternazione tomista in Aristotele (Guglielmo Pietro di Godino e Giovan-ni di Parigi) e poi di restituire una interpretazione filologicamente corretta di Aristotele, elaborando una teoria della subalternazione, che non debba essere immediatamente applicabile alla teologia (Erveo di Nédellec, Durando di San Porziano, Tommaso di Sutton). Invece, in ambiente francescano si cerca di capire come adattare la rigorosa definizione scotista di scienza alle caratteristiche degli intelletti umano, angelico e divino ed alla dimostrazione dei fatti contingenti, finendo con il valorizzare l’esperienza e l’induzione.

Tale dibattito perviene ad uno stadio maturo nel dialogo oxoniense tra Giovan-ni di Reading e Guglielmo d’Ockham; entrambi attingono alle stesse fonti, ossia Aristotele, Alhazen, Grossatesta, Scoto e Pietro Aureolo, ed agli stessi contributi, ossia l’evidenza sperimentale di Guglielmo di Nottingham, l’opinione di Pietro di Sutton sui concetti ed il loro ordine, la definizione di scienza e la soluzione della discorsività di Enrico di Harclay, la necessitazione della scienza teologica di Tommaso di Sutton e la non-precedenza della conoscenza astrattiva rispetto a quella intuitiva secondo l’opinione di Durando con le obiezioni di Ugo di No-vocastro e Aureolo. Ma, mentre Ockham non si fa problema di affiancare alla deduzione sillogistica la conoscenza intuitiva sperimentale, condannando l’ide-ale aristotelico ad una lenta crisi, Reading conserva tale ideale, che rimonta in definitiva alla matematica, e si propone di adattarlo all’immediatezza degli intel-letti divino ed angelico, correndo il rischio di depotenziare tale ideale. Dunque, il pensiero scientifico si manifesta nella forma di una epistemologia aristotelica adattata in Reading, che intende rendere necessaria ogni verità teologica, e nel-le vesti della scienza sperimentale in Ockham, che enfatizza la presenza delle verità contingenti in materia teologica. Ma, una volta create, sia l’epistemologia readinghiana sia quella ockhamiana hanno una portata che oltrepassa lo stretto dominio della teologia.

L’interazione tra il paradigma teologico ed il pensiero scientifico non si arresta

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Conclusioni generali 491

in presenza di una deliberata separazione tra la filosofia e la teologia, separa-zione, che sottintende comunque una concezione epistemologica. Ad esempio, Goffredo di Fontaines, polemizzando sia con l’Aquinate sia con il Gandavense, qualifica la conoscenza scientifica alla luce di due condizioni, ossia la certezza e l’evidenza, influenzando Bernardo d’Alvernia, Giacomo di Thérines e Gugliel-mo di Ware; ma Goffredo applica la definizione di scienza primariamente alle scienze naturali e solo in grado diminuito alla teologia.

Bernardo discrimina due distinti spazi epistemologici, l’uno occupato dalla teologia e l’altro assegnato alle scienze naturali in grado superiore. Francesco d’Ascoli, volendo evitare di scientifizzare la teologia, la consegna al metodo in-duttivo a posteriori e quia, mentre le scienze umane procedono a priori, propter quid e per discursum, ossia secondo la scienza deduttiva forgiata da Scoto per la teologia.

***

Ora veniamo ad un livello meno generale, in cui la complessiva integrazione del pensiero scientifico e del paradigma teologico si frammenta in elementi storici più particolari; tali elementi possono essere interpretati per problemi o per tra-dizioni.

Il primo problema, ossia la compatibilità della successione della deduzio-ne sillogistica con gli intelletti intensivi, prende le mosse dall’Aquinate, che elimina tale successione in Dio. La soluzione gandavista consiste nell’ordine ontologico, che la deduzione sillogistica riflette a livello gnoseologico mediante l’ordine dei concetti intenzionalmente distinti della quiddità e dotati di verità in relazione alla posizione nell’ordine gerarchico del creato. Mentre l’atto dell’intel-letto divino è assolutamente semplice e simultaneo, l’intelletto angelico, seppure non assolutamente semplice, si accorge delle relazioni causali senza passare dalla causa all’effetto o dal principio alla conclusione. Sulla scorta di Enrico, Egidio Romano può aggiungere che l’angelo risale direttamente dal predicato alla definizione del soggetto.

Enrico di Harclay combina la solertia di matrice aristotelica e la vis distin-ctiva d’origine alhazeniana per accelerare la deduzione sillogistica e renderla impercettibile anche nel caso delle proposizioni immediate. Tale combinazione è sostituita da Tommaso di Sutton con la propinquitas, che aiuta l’intelletto del viandante a passare dai principi speciali a quelli generali, mentre nel caso degli altri intelletti Sutton recupera la visione semplice, proposta da Scoto.

Reading e Giovanni di Bassoles tentano di ridurre la mora durationis sulla scia di Harclay, mentre Ascoli impiega la sola solertia per produrre l’accelerazione; Francesco di Meyronnes ed Antonio Andrea rendono metafisica la successione,

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adottando la soluzione di Scoto nell’Ordinatio; a tale soluzione è orientato anche il contributo di Landolfo Caracciolo, allorché distingue tra l’intelletto divino, angelico ed umano.

Il secondo problema corrisponde alla subalternazione, riguardo alla quale la teoria tomista gioca un ruolo di assoluto rilievo sia all’interno sia all’ester-no dell’Ordine dei Predicatori, senza tuttavia oscurare completamente la teoria grossatestiana della superadditio passionis e quella scotista della continentia vir-tualis soprattutto nell’ambiente francescano. Ab origine la teoria tomista della subalternazione porta con sé un guadagno fondamentale di carattere epistemolo-gico, ossia la sottolineatura del criterio procedurale nell’identificazione del sog-getto della scienza, criterio conseguente alla duplicazione del soggetto teologico ed ereditato a vario titolo da Enrico di Gand, Egidio Romano, Pietro Aureolo e Adamo di Wodeham: il Gandavense abolisce la subalternazione tomista a favore della mendicatio; tale abolizione si riverbera in Scoto, che cancella ad un tem-po la subalternazione ed il criterio procedurale con la teoria della continentia virtualis; Erveo e Durando relativizzano la subalternazione ex parte scibilis ed ex parte scientis; ma Durando, simpatizzando con la teoria grossatestiana della superadditio passionis, reputa palliativa la dipendenza funzionale di Erveo e teorizza l’inserzione della parte nel tutto come forma perfetta di subalternazione, pur sapendo di non poter applicare tale forma alla teologia. Tommaso di Sutton formalizza una completa concatenazione delle scienze senza temere di seminare la discordia tra Aristotele e l’Aquinate.

La teoria grossatestiana riscuote un certo successo in ambito francescano (Guglielmo di Nottingham, Aureolo e Reading, che propone un atomismo epi-stemologico). La teoria scotista della continentia virtualis è sottoposta a severa critica da Ockham, che intende verificare empiricamente i rapporti tra causa ed effetto, principio e conclusione, soggetto e predicato; questo attacco è contra-stato da Reading, che sussume l’effetto nella proprietà del soggetto mediante un medio intrinseco. Alla luce della difesa readinghiana si può spiegare la reazione di Guglielmo di Rubione, che sposta l’attenzione sull’antecedenza del soggetto alle verità della scienza, influenzando Wodeham; egli assimila il soggetto della scienza ad un giudizio mentale.

Le maggiori tradizioni emerse nel presente volume sono lo scotismo e l’ockha-mismo. Il primo non può essere considerato senza il commento sentenziario di Harclay, confuso con Scoto agli occhi dei contemporanei. Infatti, Erveo e Du-rando inglobano la variante harcklaiana della volontà divina direttamente nel pensiero scotiano. Nei primi due decenni del secolo XIV le teorie scotiste sem-brano viaggiare senza Scoto, che non viene neppure menzionato. Ugo di Novoca-stro è eclettico, condensando apporti scotisti, tomisti e gandavisti; Guglielmo di

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Conclusioni generali 493

Nottingham trasmette alla successiva scuola francescana la definizione scotista di conoscenza scientifica, che Guglielmo sembra rinvenire nei Reportata Pari-siensia; ma desume la distinzione dei concetti quidditativi e denominativi ed il principio dell’ordine da Pietro di Sutton piuttosto che da Scoto; quello che ne risulta è un’affinità terminologica senza una sostanziale omogeneità di contenuti, dal momento che Nottingham, come Guglielmo d’Alnwick, deduce quia ed a posteriori il concetto quiditativo alla fine della deduzione sillogistica, che parte dai concetti delle creature.

Mentre a Parigi a partire da Landolfo Caracciolo Scoto inizia ad essere citato come un’autorità, ad Oxford subisce la feroce critica di Ockham, che punta l’attenzione sull’evidenza piuttosto che sulla scienza; ma lo scotismo riceve una certa fortuna in Walter Chatton, Giovanni di Rodington e Wodeham, soprattutto a proposito dei concetti, che acquistano un’esistenza autonoma per la sola con-cepibilità in quanto aliquid distinctum, ossia come un’individualità distinta dal nulla e da un’altra individualità, a prescindere dalle operazioni intellettuali. Tut-tavia, mentre ad Oxford il tema dei concetti si trova sovente affiancato da quello del principio di sostituibilità e dall’onnipotenza divina, a Parigi da Meyronnes a Pietro di Navarra tale principio è tenuto in scarsa considerazione a vantaggio dei concetti quidditativi e denominativi e del principio dell’ordine.

La scena intellettuale inglese degli anni ’20-’30 del Trecento è fortemente caratterizzata dall’ockhamismo, che si afferma in Wodeham e trionfa nell’anoni-mo autore di M, sospetto di tramandare una redazione tardiva dello Scriptum di Ockham. Il debito di Wodeham rispetto ad Ockham è chiaro e si manifesta nella definizione della scienza sulla base dell’Ethica Nicomachea, nella causazione sovrannaturale delle conoscenze intuitiva ed astrattiva e nelle tre conoscenze intuitiva semplice, intuitiva memorativa ed astrattiva. A Parigi l’ockhamismo sembra fare un timido ingresso con Guglielmo di Rubione riguardo alla defini-zione, al soggetto della scienza ed alla combinazione della deduzione sillogistica e dell’esperienza; per Rubione – come per Ockham – la verifica empirica e la considerazione formale della proprietà compongono il metodo scientifico. Ma è negli anni ’40 e nell’Ordine cistercense che l’ockhamismo, già arricchito con le mediazioni di Rodington e Wodeham, invade l’Università di Parigi e provoca effetti rivoluzionari sull’ideale aristotelico in forza della debordante onnipotenza divina.

Entrambe le tradizioni affondano le loro radici sull’autorità aristotelica, che esercita un forte condizionamento sia in positivo sia in negativo. Infatti, tale autorità si pone al centro delle interpretazioni domenicane della subalternazio-ne tomista. Inoltre, tale autorità con i Posteriora fonda la scienza rigorosamente

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494 Conoscenza scientifica e teologia fra XIII e XIV secolo

deduttiva, come quella di Scoto, e con l’Ethica apre la via alla scienza induttiva, come quella di Nottingham, Ockham e Wodeham.

L’ideale aristotelico di scienza deduttiva impregna così profondamente il pensiero scotista da indurre Scoto a modellare la sua teoria della causazione sovrannaturale della quiddità divina sulla conoscenza astrattiva, che attinge all’universale, e non sulla conoscenza intuitiva, che coglie il singolare in atto; ma, così facendo, Scoto si espone a diverse aporie teoriche, che rimangono aper-te alle soluzioni dei suoi successori immediati, ossia il fatto che la conoscenza astrattiva non viene preceduta dalla conoscenza intuitiva ed il fatto che l’oggetto conosciuto e la causa della conoscenza coincidono. La seconda aporia è arginata da Harclay, la cui variante della volontà è ripresa dalla successiva tradizione francescana oxoniense; Alnwick limita la formazione della scienza ad un proces-so che si esplica solo tra la volontà divina in quanto agente e l’intelletto umano in quanto paziente; Reading assegna una duplice funzione alla volontà come causa efficiente e termine della conoscenza.

La prima aporia conduce rapidamente a stabilire la non-precedenza della conoscenza intuitiva rispetto a quella astrattiva, sia in ambiente domenicano (Durando di San Porziano) sia in ambiente francescano (Aureolo, Giovanni di Bassoles, Alnwick, Reading, Ockham); Landolfo Caracciolo introduce la sua conoscenza media, che dà accesso al singolare assente.

Tuttavia, proprio Caracciolo a Parigi e Ockham ad Oxford, ponendo in simul-tanea la causazione sovrannaturale sia della conoscenza astrattiva sia di quella intuitiva, dimostrano la progressiva attenuazione del condizionamento aristoteli-co; esso si vede ampiamente ridimensionato ad Oxford sotto i colpi della scienza sperimentale di matrice ockhamista, mentre a Parigi rimane saldo riguardo alla scienza ed all’evidenza.

***

Ad un livello ancora meno generale si discriminano i singoli contributi che i teologi considerati hanno elaborato riguardo al concetto stesso di conoscenza scientifica. Ad esempio, Nottingham, influenzando Roberto di Cowton, nutre grande fiducia nella conoscenza scientifica che certifica l’intelletto umano, in sé incerto e fallibile; tale conoscenza riesce a creare una forma di scienza de-potenziata rispetto all’ideale aristotelico dei Posteriora, ma vicina alla scienza induttiva a posteriori e quia; tale scienza non si avvale dell’evidenza intrinseca di origine gandavista, ma di quella sperimentale, che riscuote il caloroso con-senso di Ockham; per lui, poiché la proprietà è realmente distinta dal soggetto, la connessione del soggetto con la proprietà va dimostrata attraverso un medio estrinseco e sottoposta alla verifica empirica; l’attitudine del soggetto non è un

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Conclusioni generali 495

concetto relativo distinto solo formalmente dal soggetto stesso, ma un concetto connotativo, che significa in seconda istanza una cosa realmente distinta dal soggetto.

Invece, per Reading, posta l’identità reale del soggetto e della proprietà, la loro connessione può essere dimostrata attraverso un medio intrinseco, ossia tramite la definizione del soggetto in modo deduttivo, a priori e propter quid; es-sendo inclusa in tale definizione, la proprietà esprime la relazione o l’attitudine potenziale del soggetto stesso senza richiedere alcuna verifica empirica.

Se in Reading e nella tradizione francescana parigina la definizione scotista di conoscenza scientifica finisce per trionfare, la questione della dimostrabilità dei fatti contingenti e singolari s’innesta nella tradizione aristotelica per produr-re contributi originali. Il primo di essi consiste nella dimostrazione albertino-tommasiana ex supposizione finis, che sfocia nel metodo per regressum, di cui Scoto offre un brillante esempio con le sue regole di generalizzazione. Ad un tempo Scoto formalizza sulla base dei Posteriora una rigorosa scienza deduttiva e fornisce una prima sistemazione della scienza sperimentale in virtù del pri-mato della contingenza, trasformando l’induzione dallo strumento aristotelico di astrazione dell’universale dal singolare al dispositivo di controllo e verifica delle proposizioni atomiche. In Reading ritroviamo il metodo per regressum, abbinato a quello puramente sperimentale; esso si serve della frequenza dei casi e delle propositiones in mente quiescentes per analizzare i dati grezzi dell’esperienza ed individuare la causa reale, dalla quale si avvia la deduzione sillogistica. Tali regole sono riprese da Wodeham al fine di conoscere in modo evidente la possi-bilità o la non-possibilità logica della specie e non del singolo individuo, la cui esistenza reale non è scientificamente indagata.

Il primato scotista della contingenza, da un lato, rafforza la necessità della verifica sperimentale delle connessioni di causa ed effetto e, dall’altro, garan-tisce la possibilità degli scenari contro-fattuali; essi disegnano il volto della scienza immaginaria, che abbiamo reperito in Francesco di Meyronnes e Wo-deham.

Cowton si rende conto che la reiterazione dell’esperienza è impossibile nel caso dei fatti miracolosi; Reading spiega ad Ockham che l’indimostrabilità di alcune proprietà rispetto ai relativi soggetti a priori non dipende dal fatto che le proprietà non ineriscono a tali soggetti propter quid, ma dalla latenza di alcune cause all’intelletto del viandante; per cui tali cause devono essere scoperte a posteriori per experientiam. Ockham si accorge di non poter esaminare per via d’esperienza tutti i casi possibili e fa ricorso a due regole di generalizzazione, estrinseche all’intelletto, e ad una regola di approssimazione, che si appella alla somiglianza per arrestare il ricorso infinito all’esperienza; tali regole consentono

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di guadagnare le conclusioni scientifiche, che tuttavia risultano solo probabili-stiche, come paventa lo Pseudo-Scoto.

Tale probabilismo va associato alla causazione sia della conoscenza intuitiva sia di quella astrattiva in forza dell’onnipotenza divina, alla non-evidenza delle proposizioni contingenti in materia teologica ed alla sottolineatura della dubita-bilità delle conclusioni scientifiche all’inizio del processo dimostrativo e rappre-senta un tratto caratterizzante della successiva tradizione dapprima oxoniense e poi parigina, incentrata sul tema dell’evidenza. In entrambe le tradizioni emerge una netta frattura tra lo stato mentale e quello extra-mentale della realtà a cau-sa dell’onnipotenza divina; ma, mentre nella tradizione oxoniense l’intervento divino agisce sullo stato mentale, innescando il problema dell’inganno divino, che ritornerà in Descartes, nella tradizione parigina tale intervento si esercita sullo stato extra-mentale, ingenerando il problema degli scenari contro-fattuali a scapito della costanza di natura.

Ad esempio, ad avviso di Chatton Dio può intervenire solo sullo stato mentale del viandante, che accetterebbe come evidente uno stato extramentale difforme da quanto crede essere vero. Rodington inizia ad intendere il principio di non-contradizione come il freno alla debordante onnipotenza divina, che, istallando un dubbio sistematico su ogni percezione e conoscenza, comincia ad assumere una valenza negativa.

Chatton e Wodeham concordano nel criticare Ockham, perché l’esperienza e la deduzione sillogistica non possono produrre la stessa scienza, che – a giudizio di Chatton – muta a seconda dell’uso delle procedure a priori o a posteriori, con la conseguente duplicazione dell’auto-evidenza e della dubitabilità; per cui i prin-cipi immediati diventano dimostrabili in quanto dubitabili a posteriori e conver-tibili in conseguenze, il cui antecedente significa la condizione di esistenza del soggetto del conseguente; tale esistenza deve essere verificata empiricamente. Ciò che ne risulta, è una nuova scienza, che non procede più dal più noto al meno noto alla maniera di Aristotele, ma dal più esplicito al meno esplicito.

In Wodeham la scienza si contraddistingue per un marcato mentalismo, per-ché essa equivale ad un atto intellettuale di assenso alla proposizione evidente in quanto conforme al sic esse, ossia ad un giudizio o stato mentale, che cor-risponde ad un contenuto epistemico di secondo livello; esso si riferisce solo indirettamente alla cosa extra-mentale. La sostituzione della cosa con l’oggetto conosciuto elimina qualsiasi frattura tra lo stato mentale e quello extra-mentale, ingigantendo il rischio dell’inganno divino ed il probabilismo, ratificato dal giu-dizio ipotetico.

Gli effetti del pensiero inglese di marca ockhamista a Parigi si avvertono fin da Paolo di Perugia, che restringe l’evidenza al solo primo principio e rende con-

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dizionale la necessità della proposizione. Tale pensiero esplode in Giovanni di Mirecourt, che, sottoponendo lo stato extra-mentale e non quello mentale all’in-tervento divino, non può ricorrere alla pura validità logica, ma deve affidarsi all’esperienza, introducendo un procedimento induttivo, che perviene al proba-bilismo ex supposizione, ossia a condizione di supporre la regolarità della natura.

La conseguenza più vistosa è una forte limitazione della certezza e dell’eviden-za; le scienze naturali e la teologia ne risultano profondamente ridimensionate a causa dell’inevidenza del principio di causalità e del processo all’infinito, non-ché per la supposizione di cause naturali ignote. Così l’ideale aristotelico entra in una crisi irreversibile, la cui responsabilità non sfugge in definitiva neppure alla stessa sentenza aristotelica condotta ai suoi estremi; è proprio tale sentenza a finire col ritorcersi contro la fisica aristotelica; essa ne riesce destabilizzata per una questione spiccatamente metodologica piuttosto che per l’osservazione della natura, che sarà tipica di Galileo Galilei e Francesco Bacone; essi avranno una concezione realista della scienza, che diverrà antagonista proprio rispetto al probabilismo ed all’ipoteticità della scienza sorta nel Trecento.