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CONSOLIDAMENTO DEI GOVERNI LOCALI PER LA SICUREZZA URBANA: FORMAZIONE E PRATICHE Urbal_0-9_itaok 16-04-2007 11:01 Pagina 1

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Page 1: CONSOLIDAMENTO DEI GOVERNI LOCALI PER LA ...4 • Consolidamento dei governi locali per la sicurezza cittadina: formazione e pratiche PREFAZIONE V ent’anni fa alcuni sindaci europei

CONSOLIDAMENTODEI GOVERNI LOCALI

PER LA SICUREZZA URBANA:FORMAZIONE E PRATICHE

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Il progetto “Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana:formazione e pratiche” è stato realizzato da:REGIONE TOSCANA (ITALIA) - coordinatoreMUNICIPALIDAD DE ROSARIO (ARGENTINA)MUNICIPALIDAD DE SAN RAFAEL (ARGENTINA)PREFEITURA DE DIADEMA (BRASILE)PREFEITURA MUNICIPAL DO RIO DE JANEIRO (BRASILE)MUNICIPALIDAD DE QUILPUÉ (CILE)MUNICIPALIDAD DE VALPARAISO (CILE)ALCALDÍA DE BOGOTÁ, DC (COLOMBIA)MUNICIPALIDAD DE GUAYAQUIL (ECUADOR)ALCALDÍA METROPOLITANA DE QUITO (ECUADOR)AYUNTAMIENTO DE MADRID (SPAGNA)UNIVERSIDAD ALBERTO HURTADO - SANTIAGO (CILE)FORUM EUROPEO DE SEGURIDAD URBANA - PARIS (FRANCIA)ASSOCIAZIONE AMAPOLA - TORINO (ITALIA)

Hanno partecipato ai seminari di Santiago e Firenze:Roberto Arnaudo, Fernando Daniel Asegurado, Manuele Braghero,Elizabeth Cabezas, Claudio Alberto Canalis, Williams CorvalánRivera, Nicoletta Curti, Lucía Dammert, Regina Maria FilomenaDe Luca Miki, Ignacio Eissmann, Pablo Escudero Pérez, GuillermoFernández, Mario Fabián Gallart, Eleonora Guidi, Mario Hernández Lores, Liliana Herrera González, Juan José LópezAzcárate, Alejandra Lunecke, Michel Marcus, Laura Martin,Osvaldo Misso, Carlos Moraes Antunes, Rossana Moscatelli,Carla Napolano, Gustavo Paulsen, Romulo Peixôto Figueiredo,Pablo Ponce Cerda, Maria de Fátima Queiroz, María Inés Quintana Fuenzalida, Carlos Rangel, Andres Restrepo, AndrésFernando Roche Pesantes, Hector Santibáñez Frey, Aldo Alberto Sarmiento, Marco Seniga, Marco Sorrentino, José Sosa, Guillermo Stoltzman Concha, Luis Torres, Franz Vanderschueren, Elkin Velásquez, Mauricio Viñambres Adasme, José Gustavo Zuñiga Gebert.

Con il sostegno diUNIONE EUROPEA - PROGRAMMA URB-AL

Coordinamento editoriale:ROBERTO ARNAUDOLAURA MARTIN

Traduzioni:SARA BANI

Progetto grafico e impaginazione:

STEFANO LABATEANGELO CAMPO

Stampa:G. CANALE & C. S.P.A.

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INDICE

PREFAZIONE ....................................................................................................................................................................................4Freddy Thielemans

INTRODUZIONE ................................................................................................................................................................................. 6Manuele Braghero

CAPITOLO I • Basi concettuali della sicurezza .......................................................................... 10Juan Carlos Ruiz e Franz Vanderschueren

CAPITOLO II • Le professioni della sicurezza ............................................................................... 22Juan Carlos Ruiz e Franz Vanderschueren

CAPITOLO III • Analisi dell’offerta formativa ............................................................................... 34Laura Martin

CAPITOLO IV • Quali percorsi formativi per i tecnici della sicurezza urbana .. 46Roberto Arnaudo

ALLEGATI ....................................................................................................................................................................... 59

DOCUMENTO 1 • Governabilità e sicurezza urbana .................................................................... 60Elkin Velásquez

DOCUMENTO 2 • Gli osservatori sulla sicurezza nei comuni:le esperienze in America Latina e in Europa ...................................... 88Mario Hernández Lores

DOCUMENTO 3 • Le amministrazioni locali e la sicurezza cittadina:le esperienze in America Latina e in Europa ................................... 106Lucia Dammert y Carla Napolano

DOCUMENTO 4 • Prevenzione e giovani .................................................................................................. 128Franz Vanderschueren

CONCLUSIONI ....................................................................................................................................................................... 150Juan Carlos Ruiz e Franz Vanderschueren

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4 • Consolidamento dei governi locali per la sicurezza cittadina: formazione e pratiche

PREFAZIONE

Vent’anni fa alcuni sindaci europei si sono uniti per dare vita al Forum europeo perla sicurezza urbana (FESU). Negli anni la nostra organizzazione è diventata piùgrande ma la nostra volontà è rimasta intatta: rafforzare la sicurezza dei nostri

concittadini nel rispetto delle libertà democratiche.

Ancora oggi, quindi, la nostra azione si inserisce nel contesto della preoccupazio-ne dovuta a una deriva della sicurezza così come l’ha formulata Thomas Jefferson1. Abbia-mo bisogno di una sicurezza capace di perdurare nel tempo, come afferma il nostro Mani-festo2.

Un’alleanza tra sindaci di diversi paesi europei e non, che ha come obiettivo la si-curezza, è un’alleanza naturale, dato che quasi ovunque nel mondo l’eletto locale è ormaidiventato uno dei principali attori delle politiche di sicurezza.

Com’è ovvio che sia, noi sindaci non abbiamo sempre le stesse competenze, ancheall’interno di uno stesso continente. Ma in ogni caso è a noi che spesso i cittadini si rivol-gono per avere risposte all’insicurezza quotidiana che percepiscono o subiscono nel luogoin cui vivono. I cittadini ci spronano giustamente ad adattare le nostre modalità di azione ea inventarcene di nuove.

Per noi una revisione dei nostri metodi di azione, lo scambio di esperienze e la for-mazione di soggetti locali costituiscono efficaci strumenti di lavoro. Poco a poco, malgradole distanze, alcune pratiche simili (commissioni locali di sicurezza, Osservatori locali sullasicurezza, eccetera) possono finire per rafforzarsi a vicenda.

Quest’opera si inserisce nel contesto di un percorso di apprendimento reciproco.È il frutto di un progetto coordinato dalla Regione Toscana e cofinanziato dall’Unione Eu-ropea (programma Urb-Al). Presenta uno studio comparato delle competenze dei respon-sabili locali delle politiche di sicurezza urbana e prevede l’avvio di programmi di formazioneal riguardo3. Consentirà quindi a tutti di avanzare nella riflessione e nell’azione.

I partecipanti al progetto, provenienti dall’Europa e dall’America Latina, hannopresentato i loro lavori con la volontà di agire contemporaneamente sul piano locale e suquello globale per una maggiore sicurezza. Ci invitano a unirci a loro per costruire oggi neinostri quartieri, nelle nostre città e nei nostri continenti la sicurezza del domani.

1. “Una nazione che limita libertà in nome della sicurezza non otterrà nessuna delle due” Thomas Jefferson2. Manifesto del FESU, presentato alla conferenza di Saragozza, 4 novembre 2006 3. www.seguridadurbal-regionetoscana.net

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Sappiamo che purtroppo non esiste un rimedio miracoloso per l’insicurezza, e chenessuno ne ha il monopolio. Ecco perché, a qualsiasi livello, la ricerca della sicurezza devespingerci a unire le nostre forze per trovare nuove idee e pratiche sempre più efficaci perimparare gli uni dagli altri.

Oltre a favorire gli scambi transnazionali dobbiamo condividere tutti insieme la no-stra esperienza con i governi e le organizzazioni sovranazionali come l’Unione europea, ilConsiglio d’Europa o le Nazioni Unite. È questo uno dei contributi essenziali che il Fesuvuole offrire, con modestia e determinazione, alla riflessione e all’azione nel campo della si-curezza.

Cordialmente,

Freddy THIELEMANSPresidente del Forum Europeo per la Sicurezza Urbana

Sindaco di BruxellesGià membro del Parlamento Europeo

5Prefazione •

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INTRODUZIONE

L e istituzioni locali svolgono un ruolo di primo piano all’interno delle politiche disicurezza urbana. Sulla base di questo presupposto, all’interno degli enti locali si ècreato un ambito ad hoc per lo sviluppo di una serie di politiche pubbliche che ini-

zialmente non ricadevano sotto la competenza delle amministrazioni locali, e per le qualitali istituzioni non disponevano di personale specializzato in possesso di un profilo profes-sionale specifico e formalmente codificato. Si tratta quindi di una politica pubblica “nuova”,cresciuta e sviluppatasi negli ultimi venti anni.

Lo sviluppo delle politiche di sicurezza urbana – intese come politiche territoriali piani-ficate e realizzate dagli enti locali stessi – necessita, pertanto, di un processo di riorganiz-zazione interna, di attribuzione di competenze specifiche, di selezione del personale e diacquisizione di una serie di capacità mediante un processo formativo adeguato alle figurecoinvolte.

Nel corso degli anni, sia in Europa che in America Latina, si sono diffuse, ai vari livellidelle amministrazioni locali, figure professionali che si dedicano specificamente alle politi-che di sicurezza, talvolta definite “coordinatori”, in alcuni casi provenienti da altri settoridell’ente locale in questione, in particolare dall’ambito delle politiche sociali o dalla polizialocale. Queste figure, che svolgono una funzione relativamente nuova in un ambito nonsempre ben definito rispetto alle altre attività dell’ente pubblico in cui operano, sono coin-volte in un processo di professionalizzazione ancora ben lungi dall’essere codificato.

L’originalità e la relativa novità di queste politiche rendono ancora più rilevante la quali-tà delle persone che se ne occupano, ed in particolare di quelle che sono incaricate di diri-gerle e coordinarle. La buona qualità delle politiche dipende sempre da una miscela com-posta dalla corretta individuazione dei problemi, da progetti e programmi efficaci e dallabuona qualità delle persone che sono chiamate ad attuarli. E ciò e tanto più vero se si trat-ta di politiche complesse che si devono misurare con molti attori istituzionali e sociali.

Sono queste le considerazioni di fondo che hanno spinto la Regione Toscana a promuo-vere un progetto di scambio e confronto tra enti locali europei e latinoamericani, all’inter-no della Rete 14 del Programma Urbal, sul tema della formazione di chi, negli enti locali,detiene funzioni di coordinamento delle politiche di sicurezza urbana.

Il progetto - che ha coinvolto una pluralità di amministrazioni locali europee e latinoa-mericane e si è avvalso del contributo di alcune organizzazioni portatrici di competenzetecnico-scientifiche in materia di sicurezza urbana e di cui questo volume rappresenta il ri-sultato finale - si è posto l’obiettivo di confrontare esperienze provenienti da contesti traloro distanti, facendo interagire quell’insieme estremamente variegato di figure professio-nali che si occupano, nelle amministrazioni locali, di sicurezza urbana.

L’interazione tra questi soggetti - rappresentanti di enti locali, università, e ONG - è sta-ta orientata alla ricostruzione dei bisogni formativi di queste figure e alla definizione delle

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condizioni necessarie per l’elaborazione di percorsi qualificati di formazione portatori dieffettiva crescita professionale e di rafforzamento delle politiche locali di sicurezza urbana.

Ma affrontare con un approccio maturo il tema della “professionalizzazione” degliesperti in politiche di sicurezza in termini di scambio e confronto di esperienze ha significa-to, fin dall’inizio del nostro lavoro, affrontare comparativamente il tema generale della com-plessità delle politiche di sicurezza all’interno degli enti locali e nei differenti specifici con-testi.

Questo lavoro ha confermato infatti come tale complessità sia riferita sia alle cause deifenomeni che all’eterogeneità e alla trasversalità delle interconnessioni tra di essi, ma an-che alle possibilità di influenza reciproca dei vari soggetti coinvolti: una complessità cherende più difficile approdare a definizioni univoche sulla natura delle politiche di sicurezza,sia a livello concettuale che a livello metodologico e organizzativo.

Come è emerso nel corso del nostro lavoro, questa eterogeneità delle politiche di sicu-rezza cittadina comporta alcuni inevitabili problemi nell’elaborazione di percorsi formativirivolti alle tante figure professionali che, all’interno degli enti locali, hanno a che fare, confunzioni dirigenziali, con le politiche di sicurezza urbana.

Anche se la trasversalità delle politiche di sicurezza urbana deve rimanere l’obiettivo pri-mario dei percorsi professionali, non possiamo dimenticare che qualsiasi figura professio-nale deve avere ben chiaro il proprio oggetto intellettuale e le proprie funzioni all’internodell’organizzazione. Il problema, pertanto, è capire in quale misura le politiche di sicurezzaurbana sono un settore di fatto indeterminato rispetto ad altre politiche, e in quale misura iresponsabili di questo settore devono essere in possesso di una formazione specifica, inmodo che il loro profilo non vada a sovrapporsi a quello di altre figure e settori delle politi-che pubbliche.

Il nostro lavoro ci ha portato quindi a tentare di rispondere – nel rispetto delle differen-ze tra i vari contesti analizzati – a domande come le seguenti:

� Qual è l’ambito formativo distintivo per la figura dell’“esperto” in sicurezza? Crimi-nologia, sociologia, psicologia…?

� Qual è la specificità del suo ambito operativo? Quali sono le competenze che carat-terizzano questa figura professionale?

� Com’è possibile definire un profilo professionale riferito ad un ambito d’azione chenon è demarcato con chiarezza e si sovrappone ad altri ambiti?

� Com’è possibile fare in modo che un dirigente o coordinatore per la sicurezza godadi legittimità all’interno del proprio ente locale, se il compito che svolge, proprioperché innovativo, multidimensionale e indefinito, è percepito come “fastidioso” da-gli esperti tradizionali (del diritto, della polizia o della pubblica amministrazione)?

� È possibile individuare una serie di requisiti di formazione comuni, adatti a diversicontesti geografici e trasversali ai vari modelli e alle molteplici e variegate necessitàlocali?

Tentando di rispondere a queste domande, il nostro progetto ha cercato di identificarecome ambito operativo specifico del tecnico della sicurezza urbana non solo il caleidosco-pio di attività in cui possono concretizzarsi, di volta in volta, le politiche di sicurezza, maanche e soprattutto l’inserimento delle politiche e degli interventi messi in campo dall’am-ministrazione locale in un quadro precedentemente definito dal medesimo ente a livello

7Introduzione •

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politico – un quadro che includa sia gli obiettivi specifici in materia di sicurezza urbana chela dimensione valoriale, in termini di diritti e libertà democratiche, con cui le politiche di si-curezza urbana finiscono necessariamente per avere a che fare.

Il “tecnico” (o per meglio dire, trattandosi di figure professionali diversificate, i “tecni-ci”) della sicurezza urbana, sono venuti definendosi come figure dalle competenze compo-site, focalizzate su alcune discipline e temi specifici, ma con alcune esigenze professionali, equindi formative, che rimandano alle funzioni di coordinamento delle politiche di sicurezza,intese nella loro trasversalità e pervasività rispetto ai tradizionali “settori” con i quali sonoorganizzate le politiche degli enti.

Sviluppare politiche integrate di sicurezza significa infatti dotarsi di un approccio di la-voro che “rompa” la settorializzazione organizzativa e di competenze delle amministrazionilocali e promuova l’integrazione delle politiche come capacità di riconfigurare l’interventopubblico secondo obiettivi condivisi e perseguiti trasversalmente.

Significa, per altro verso, poter disporre di competenze che rendano efficace l’interazio-ne dei soggetti/attori coinvolti dai problemi di sicurezza urbana e le istituzioni incaricate diaffrontarli. Significa, dal nostro punto di vista, non cessare mai di tener conto delle implica-zioni che le politiche di sicurezza hanno, sempre e in qualsiasi contesto, sul piano dei dirit-ti umani, delle libertà di cittadinanza e delle differenze di genere.

Il lavoro dei tecnici delle politiche di sicurezza presuppone, pertanto, l’adozione di unapproccio operativo specifico sui temi e i problemi del governo locale, ma anche – e so-prattutto – la capacità di inserire efficacemente la dimensione della sicurezza nel quadropiù ampio composto dalle politiche e dall’azione degli enti locali, dalla loro relazione conaltre istituzioni e con i cittadini, e dalla loro relazione con i fondamentali valori di libertàdemocratica e con il rispetto dei diritti di tutti i cittadini.

I tecnici delle politiche di sicurezza urbana dovrebbero quindi poter disporre di percor-si formativi che tengano conto di questi aspetti e comprendano, in un insieme coerente, gliambiti di competenza tecnica relativi ai temi specifici della sicurezza e della prevenzione, egli ambiti di competenze gestionali, relazionali e valoriali che costituiscono il nucleo fonda-mentale della loro azione concreta all’interno dell’ente.

Nella prospettiva posta da queste considerazioni di carattere generale, il tecnico di sicu-rezza urbana tenderà a costruirsi una sua propria competenza professionale non solo sul ri-conoscimento della trasversalità delle questioni in gioco, ma soprattutto su un modo speci-fico di pensare la sua pratica.

Il punto nodale è quindi quello della costruzione di un sapere professionale orienta-to alla costruzione condivisa di strategie e metodologie di sicurezza urbana che coinvol-gano una pluralità di attori istituzionali e sociali e di integrazione e coordinamento dellepolitiche.

Questo orientamento spinge verso la costruzione culturale di una più stretta ed efficaceintersezione e interazione tra le forme della progettualità locale e le modalità di costruzio-ne di politiche davvero integrate di sicurezza urbana. Tale interconnessione dipende larga-mente dalla capacità di innescare un sostanziale processo di cambiamento e riorganizza-zione della pubblica amministrazione, consentendo al soggetto pubblico di tentare di svol-gere un’azione realmente innovativa nella elaborazione dei processi di policies, nelle formedi sollecitatore delle diverse e frammentate progettualità presenti e di facilitatore di co-struzione di visioni condivise di convivenza urbana.

8 • Consolidamento dei governi locali per la sicurezza cittadina: formazione e pratiche

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Il presente volume contiene i prodotti elaborati nel corso del progetto “Consolidamen-to dei governi locali per la sicurezza cittadina: formazione e pratiche”.

Il progetto promosso dalla regione Toscana, sostenuto dalla Commissione Europea al-l’interno della Rete 14 del programma Urb-Al, ha coinvolto le città di Rosario e San Rafael(Argentina), Diadema e Rio de Janeiro (Brasile), Quilpue e Valparaiso (Cile), Bogotà (Co-lombia), Guayaquil e Quito (Ecuador), Madrid (Spagna) e altri soggetti come l’Università Al-berto Hurtado (Cile), il Forum Europeo per la Sicurezza Urbana, l’Associazione Amapola inun’attività di ricerca e scambio culminata in due seminari transnazionali tenutisi a Santiagodal 28 giugno al 1° luglio 2006 e a Firenze dal 28 al 31 ottobre dello stesso anno.

Nel corso di questa attività di confronto e riflessione sui temi del progetto, sono statielaborati i saggi presenti in questo volume, scritto a più mani e articolato in due parti: unreport organico che ha l’ambizione di offrire alcune linee guida per la progettazione di pro-poste formative per dirigenti delle amministrazioni locali e, in allegato, alcuni saggi temati-ci che affrontano, dal punto di vista formativo, alcuni temi specifici ritenuti particolarmentecentrali per lo sviluppo di politiche locali e integrate di sicurezza urbana.

E’ stato un lavoro complesso, reso ancora più difficile dalla diversità socio istituzionaletra i diversi partner. Lavorarci ha rappresentato per tutti una sfida che ha comportato unanno molto intenso di elaborazione, ricerca, scambio di esperienze e informazioni. Ne èscaturito questo volume e vorrei cogliere questa occasione per ringraziare tutti coloro chehanno lavorato a questo progetto con una dedizione straordinaria che neppure i mondialidi calcio ha potuto intaccare. Lo chiudiamo in stampa con la consapevolezza che sarebbeutile che questo lavoro continuasse in futuro.

Firenze, dicembre 2006

Manuele BragheroProject Manager

9Introduzione •

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Capitolo 1.

Basi concettuali

della sicurezzaJuan Carlos Ruiz e Franz Vanderschueren

Università Alberto HurtadoSantiago - Cile

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1. PREMESSA

Nell’affrontare una discussione sulla sicurezza e sulle diverse dimensioni di questoconcetto che sono state oggetto di studio in questo ultimo periodo (sicurezzapubblica, umana, urbana, cittadina, privata) è necessario definire con chiarezza i

limiti dell’analisi. I significati più comuni del termine sicurezza sono legati al rispetto dell’in-tegrità fisica e alla paura che essa sia violata, all’interno del proprio domicilio, nel proprioquartiere, nei luoghi di passaggio e, in termini generali, nella città in cui si vive.

“L’espressione ‘sicurezza urbana’ significa, fondamentalmente, non avere paura diun’aggressione violenta, essere consapevoli che la propria integrità fisica sarà rispetta-ta e, soprattutto, poter godere dell’intimità della propria casa senza paura di subirerapine, o circolare tranquillamente per strada senza temere furti o aggressioni. La sicu-rezza, quindi, sarebbe intesa come un costrutto culturale ed implicherebbe una sorta diuguaglianza della vita sociale, un ambito liberamente condiviso da tutti” (Arriagada, 1999).

Tuttavia, questa definizione di sicurezza si scontra con una realtà contraddistinta da va-rie forme di violenza. Ai reati comuni (furto e rapina) si sommano:

� la violenza intrafamiliare, oggi considerata intollerabile� la violenza della criminalità organizzata e la tratta di esseri umani, fenomeni che tra-

valicano i confini statali� la violenza “nello spazio di prossimità” (furti, rapine, truffe, violenza sessuale), ossia

la delinquenza tipica delle città o dei quartieri, che è quella che spaventa maggior-mente

� la violenza giovanile, sulla quale esistono dati contraddittori circa la sua evoluzione eil rapporto che la lega al traffico e all’abuso di stupefacenti. Da notare inoltre che suquesto tema si sviluppano risposte penali molto differenziate nei due continenti,dovute – tra l’altro – alle diverse età in cui si acquisisce l’imputabilità penale

� i reati informatici

Inoltre, occorre tenere in considerazione anche: le forme di violenza minimizzate, comead esempio la violenza sulle strade, le cui vittime sono principalmente giovani; la violenzasul posto di lavoro, dovuta principalmente ai rischi imposti ai lavoratori; lo sfruttamento dellavoro minorile, che impedisce lo sviluppo individuale dei bambini.

Tuttavia, a prescindere dalle diverse espressioni della violenza e della loro iper-mediatiz-zazione, per i cittadini la sicurezza non consiste semplicemente nell’assenza di aggressionio nel non avere paura, perché la sicurezza intesa come valore implica la certezza di essererispettati, in quanto individui, nella propria integrità fisica, psicologica e sociale.

La sicurezza è, innanzitutto, il contesto sine qua non all’interno del quale è possibile svilup-pare le capacità umane, la libertà, la solidarietà, la creatività. La sicurezza non riguarda soltan-to la vita dei singoli individui, ma anche quella della società, delle città, e lo sviluppo persona-le e sociale di ogni individuo o gruppo appartenente a una determinata società.

11Capitolo 1. • Base concettuale della sicurezza •

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La sicurezza comporta inoltre il diritto, da parte degli individui e delle comunità, di rag-giungere una qualità della vita consona alla dignità dei cittadini. È un bene comune che lenostre società devono perseguire. In quanto bene comune, la sicurezza è soggetta ad unaserie di minacce nella società contemporanea, a causa della complessità sociale che le isti-tuzioni, la società civile, gli enti privati e gli individui sono chiamati a combattere.

2. SICUREZZA COME BENE COMUNE

La sicurezza, intesa come valore, è uno dei pilastri fondamentali della società, e costi-tuisce la base della libertà e dell’uguaglianza per lo sviluppo pieno ed equo di ogni

individuo. In questa accezione, la sicurezza non è soltanto un valore giuridico, normativo opolitico, ma anche sociale, dato che rappresenta il fondamento del bene comune delle so-cietà, la base che consente lo sviluppo equo e paritario di tutti coloro che ne fanno parte.

Attualmente, la sicurezza è messa a rischio da quattro aspetti:

SICUREZZA E LIBERTÀ DI TUTTI

La sicurezza e la libertà sono diritti fondamentali il cui esercizio permette lo sviluppo inte-grale delle persone e dei popoli nel loro insieme. Entrambi questi valori costituiscono parteintegrante del bene comune delle società e, a loro volta, sono interdipendenti: infatti, l’assen-za di sicurezza spesso si ripercuote negativamente sulla libertà. Questa è la situazione in cuisi trovano a vivere quotidianamente le persone più povere: dall’inizio degli anni novanta, pra-ticamente in ogni regione del mondo, la sicurezza è diventata una richiesta fondamentale so-prattutto dei settori più svantaggiati. Tali settori si sentono meno sicuri rispetto ad altri grup-pi sociali, e questa condizione minaccia la loro libertà, il loro futuro e quello delle loro fami-glie, e, al tempo stesso, mette a dura prova ogni giorno le loro capacità ed il loro capitale so-ciale. Ecco perché la sicurezza e la libertà sono valori importanti per tutti i membri di una so-cietà, non solo per determinati gruppi o segmenti. Inoltre, l’insicurezza non è soltantol’espressione di un “rischio paese” più elevato che scoraggia gli investimenti. La percezione diinsicurezza colpisce alcuni aspetti fondamentali della vita dei cittadini: i rischi che corrono gliindividui e le loro famiglie, il consolidamento e lo sviluppo del loro capitale sociale e, in ultimaanalisi, anche l’ambiente sociale ed il diritto dei cittadini di vivere come propria la città.

D’altra parte, la sicurezza e la libertà vengono talvolta presentate come valori in con-trapposizione. Gli Stati a volte giustificano la limitazione dei diritti e delle libertà dei citta-dini in nome della sicurezza, in particolare se si sentono minacciati dal terrorismo. Tuttavia,questi valori non sono in contraddizione, bensì complementari. Un essere umano non puòsentirsi libero se non si sente sicuro: sono due facce della stessa medaglia.

Lo Stato deve pertanto garantire sia la sicurezza materiale dei cittadini, rafforzando loStato sociale, sia la loro sicurezza giuridica, garantendo la democrazia e lo Stato di diritto.Sono i presupposti necessari per il pieno sviluppo della libertà.

SICUREZZA E GENERE

Così come è necessario riconoscere la sicurezza come un valore fondante per l’eserciziodella libertà umana, è altresì opportuno ammettere che tale valore si concretizza in manieraasimmetrica per gli uomini e le donne. Nella sfera privata, le donne sono vittime di violenza

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1• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

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molto più spesso degli uomini, pertanto occorre riconoscere l’esistenza di una violenza digenere. Con il termine genere si intende un costrutto simbolico che fa riferimento all’insiemedegli attributi socioculturali riconosciuti alle persone sulla base del loro sesso, e che tra-sformano le differenze sessuali in disuguaglianza sociale. La differenza di genere non è untratto biologico, ma un costrutto mentale e socioculturale che si è sviluppato nel corso del-la storia; pertanto, genere non è un sinonimo di sesso.

La violenza di genere costituisce una delle più frequenti violazioni dei diritti umani ed èlegata al rapporto non paritetico tra gli uomini (che spesso sono gli aggressori) e le donne(spesso vittime). Si tratta di un fenomeno che causa danni irreparabili alle donne che lo su-biscono. Secondo la Banca mondiale, a questo tipo di violenza si deve la perdita del cinqueper cento dei giorni di vita complessivi delle donne, soprattutto nella fascia d’età compresatra 14 e 49 anni. Il Rapporto Mondiale sulla violenza e la salute del 2002, elaborato dall’Or-ganizzazione Panamericana della Sanità (OPS) e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS) afferma che, sulla base di indagini realizzate a livello internazionale, una percentua-le dal 10% al 69% delle donne dichiara di essere stata aggredita fisicamente almeno unavolta nella propria vita.

Tuttavia, la violenza di genere non viene perpetrata soltanto in ambito privato o do-mestico, ma anche nella vita pubblica e nelle città; essa rappresenta, nei confronti delladonna che la subisce, una violazione del diritto di cittadinanza e delle pari opportunitànel godimento del valore della sicurezza, di partecipazione alla vita pubblica, di sfrutta-mento delle possibilità offerte dalla città e di possibilità di contribuire allo sviluppo lo-cale e nazionale. Malgrado le dimensioni del fenomeno e la sua rilevanza per la vita dimolte donne, la questione non gode di grande visibilità nelle politiche di sicurezza citta-dine e statali. Se la cittadinanza delle donne si esprime solo sulla carta, senza basarsi suuna vera sicurezza, la violenza che le colpisce sia in ambito privato che in ambito pubbli-co si trasforma in un ostacolo ai loro diritti, impedendone l’esercizio; erode i loro spazied impedisce alle donne di godere delle loro libertà e possibilità di vivere la città. Laprospettiva di genere non rappresenta una visione apocalittica della città, né vuole con-siderare le donne soltanto come “vittime” nella vita urbana: al contrario, essa rappresen-ta un approccio che, nascendo dalle lotte per i diritti della donna, consente di evidenzia-re le ingiustizie esistenti, di sollevare il dubbio che le città siano pensate e organizzate amisura d’uomo (maschio) e di pretendere cambiamenti che permettano alle donne di vi-vere meglio, in una società più giusta ed equa.

In questo contesto è importante sottolineare che l’adozione di una prospettiva digenere deve puntare ad una sicurezza che sia uguale per tutte le persone. Per raggiun-gere questo obiettivo occorre elaborare politiche che, partendo appunto da una pro-spettiva di genere, tengano in considerazione le differenti esigenze di sicurezza degliuomini e delle donne, poiché è diverso pianificare misure e strategie di sicurezza per unuomo o per una donna.

SICUREZZA E GIOVANI

Affrontare la questione giovanile in una prospettiva di sicurezza, significa valorizzare idiritti umani dei giovani e sottolineare l’importanza del capitale umano che rappresentanoper il futuro di ogni società. Qualsiasi definizione del concetto di gioventù implica il ricono-scimento della fase giovanile come il periodo in cui si verifica con maggiore intensità l’inte-razione tra le tendenze individuali, le conquiste psicosociali, gli obiettivi socialmente dispo-nibili e i punti di forza e di debolezza dell’ambiente circostante.

13Capitolo 1. • Base concettuale della sicurezza •

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In questo contesto bisogna considerare la giovinezza come una tappa ad alto rischiospecifico, ma non con uno sguardo “adultocentrico”, ossia per i pericoli che i giovani po-trebbero comportare agli altri, bensì concentrandosi sugli elementi che costituiscono unaminaccia allo sviluppo stesso dei giovani, perché alcuni comportamenti a rischio potrebbe-ro atrofizzare il loro sviluppo umano. Con “comportamenti a rischio” si intendono gli atteg-giamenti che compromettono determinati aspetti dello sviluppo psicosociale o persino lasopravvivenza dell’individuo giovane. Tali comportamenti sono influenzati da molteplici fat-tori presenti all’interno della società o dell’ambiente più prossimo: la famiglia, la scuola, ilgruppo, il quartiere.

In questa prospettiva, i giovani a rischio sono quelli coinvolti in comportamenti antiso-ciali, che fanno abuso di stupefacenti, che sono coinvolti in episodi di violenza o delin-quenza causati da decisioni individuali o da processi di emarginazione. Per affrontare que-sta situazione è necessario concentrarsi sulla prevenzione sociale, attraverso una serie diservizi urbani di sicurezza.

SICUREZZA E MINORANZE

La presenza di minoranze, siano esse etniche, religiose o sessuali, si trasforma spesso infonte di conflitti nella misura in cui il gruppo minoritario mette in discussione interessi con-solidati o prassi ritenute naturali nell’ambiente in cui essi sono inseriti, oppure rivendica lavalidità di norme e pratiche culturali diverse. Per ottenere la coesione e l’integrazione socia-le è necessario risolvere questi conflitti, che si esprimono non solo come conflitti di grup-po, ma anche come piccoli scontri quotidiani tra singoli individui.

La capacità di gestire adeguatamente il versante “sicurezza” dei problemi delle minoran-ze nella vita urbana rappresenta un indice della volontà politico-sociale di creare una so-cietà basata sull’integrazione e il rispetto dei diritti umani. Le modalità per realizzare tuttociò passano non solo attraverso la comprensione e il rispetto delle esigenze delle minoran-ze, ma anche attraverso il necessario coinvolgimento di tali minoranze negli organismi de-putati alla gestione della sicurezza, non soltanto nel campo del sistema della giustizia pe-nale, ma anche delle organizzazioni di quartiere o scolastiche.

3. SICUREZZA COME DIRITTO

Nelle società contemporanee è necessario garantire il diritto alla sicurezza inteso co-me diritto umano che deve essere tutelato, e che nasce da un concetto di sicurezza

intesa come valore. Il diritto alla sicurezza è una colonna portante di qualsiasi contratto so-ciale tra gli individui e lo Stato, e la sua violazione rappresenta un ostacolo all’esercizio ba-silare del diritto alla cittadinanza nelle società democratiche.

DIRITTO ALLA CITTÀ

Con il nuovo secolo e il consolidamento della globalizzazione e dell’inurbamento ge-nerale della società è nata una nuova generazione di diritti, i cosiddetti Diritti UmaniEmergenti, legati ad aspetti sociali, culturali ed economici, al diritto al benessere e alla si-curezza.

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Uno di questi diritti, definiti “diritti complessi di quarta generazione”, è il diritto alla città. Ildiritto alla città parte dal tradizionale concetto del miglioramento della qualità della vitadegli individui, finora circoscritto all’ambito dell’abitazione e del quartiere, e lo amplia finoad abbracciare la qualità della vita a livello di città e di ambiente rurale circostante, visti co-me un meccanismo di protezione della popolazione che vive in città o in regioni caratteriz-zate da rapidi processi di inurbamento. Sebbene questa tendenza all’inurbamento non siacompletamente nuova in America Latina o in Europa, l’idea di concepire lo spazio urbanocome un ambiente che garantisca diritti e necessità specifiche è relativamente recente. Neè un esempio la Carta Mondiale del Diritto alla Città, prodotto collettivo di un gruppo dimovimenti sociali, Ong e studiosi nell’ambito del Forum Sociale Mondiale, un documentoche mira a tutelare diritti specifici all’interno dello spazio urbano. Con questo documentosi discute e si accetta per la prima volta la sfida collettiva di costruire un modello sostenibi-le di società e di vita urbana.

In questo contesto emerge la richiesta di sicurezza intesa come diritto urbano di cui sipuò pretendere il rispetto. Infatti, la città, grazie al suo patrimonio collettivo ed ai suoi spa-zi pubblici, è il luogo dell’interesse pubblico, della diversità, l’ambito in cui avviene l’incon-tro sociale, culturale e politico. Una città che non offre spazi pubblici per lo sviluppo del-l’attività umana limita e intacca la creatività e lo sviluppo dei suoi abitanti, delle sue asso-ciazioni e del suo capitale sociale, e vanifica il proprio potenziale di promozione dello svi-luppo integrale degli individui. È per questa ragione che il diritto alla sicurezza è stretta-mente legato all’esistenza di servizi urbani di sicurezza uguali per tutti. Il diritto alla sicurez-za non significa assenza di rischio, bensì accettazione della diversità e dell’altro, ed educa-zione all’accettazione delle differenze tra generazioni, generi, etnie, comportamenti sessua-li o religiosi. Pertanto, sicurezza urbana significa creare spazi pubblici di incontro, spaziadeguati alle legittime necessità di ogni gruppo specifico, necessità in continua evoluzionenel corso del tempo. Questo tipo di sicurezza, che prevede che tutti gli uomini e tutte ledonne siano veramente padroni della città, ha un significato molto più ampio del semplicediritto all’integrità fisica ed alla protezione della proprietà privata. Ovviamente questiaspetti esistono sempre, ma in più si richiedono spazi pubblici adeguati per tutti. La man-canza di questi spazi, così come il loro diffuso degrado, fa sì che le città, invece di essereambienti di aggregazione e ludici (e non solo di passaggio) al servizio degli abitanti e delleloro associazioni, si trasformino in ambienti in cui prevale il sentimento di insicurezza, interre di nessuno senza senso e senza significato per gli individui, zone in cui domina la leg-ge del più forte.

DIRITTO ALLA SICUREZZA

Il diritto alla sicurezza consiste nel piacere di vivere in un ambiente in cui i diritti umanivengono rispettati, sia da parte degli altri individui, sia da parte dello Stato. Ciò non signi-fica semplicemente assenza di violenza, ma piuttosto la capacità di gestirla attraversoun’educazione collettiva permanente e soprattutto attraverso forme di prevenzione chepermettano di ridurre le cause di violenza e rieducare coloro che si trovano in condizioni divulnerabilità.

La sicurezza deve permeare ogni ambiente, dal più intimo e domestico fino all’intera cit-tà, passando per la propria zona di residenza, il quartiere, il comune.

Quando viene violato il diritto alla sicurezza all’interno delle mura domestiche, le vittimesono solitamente donne e bambini; in casa si crea un clima di sfiducia e il diritto all’emanci-

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pazione e allo sviluppo personale dei suoi abitanti viene parzialmente negato. Inoltre, co-me dimostrato da diverse ricerche condotte tra gli strati meno abbienti della popolazione,la violenza domestica paralizza la solidarietà familiare e impedisce ai membri della famigliasia di utilizzare i servizi che l’ambiente offre, sia di sentire come propria sfera pubblica.

Quando invece viene violato il diritto alla sicurezza nei luoghi pubblici, si diffonde unsentimento di paura tra coloro che abitualmente li frequentano e tra gli abitanti della zona,paura che, a sua volta, determina il progressivo abbandono del luogo da parte dei suoi oc-cupanti naturali e l’appropriazione, in via esclusiva, dello spazio in questione da parte di ungruppo dominante a livello locale, ad esempio delinquenti, bande o gruppi di spacciatori.Questa situazione si verifica in particolare in contesti di emarginazione sociale, in cui la vio-lenza e l’insicurezza sono presenti in maniera più diffusa, generando un circolo vizioso didisomogeneità dello spazio, assenza di scambio e assenza di possibilità di dare un sensoalla vita urbana. Ne conseguono la frammentazione e l’isolamento degli spazi pubblici, chein questo modo diventano pericolosi.

In questo contesto, il diritto alla sicurezza è un bene pubblico strettamente vincolato adaltre dimensioni sociali. Non si tratta di una richiesta o di una politica isolata. Il cittadinoche invoca sicurezza chiede, parallelamente, politiche urbane e politiche sociali di integra-zione. La sicurezza è un diritto che racchiude una serie di richieste sociali di fronte al rischioe, allo stesso tempo, è trasversale alle richieste sociali. Coloro che desiderano politiche diistruzione, della casa o dei trasporti richiedono che, all’interno di tali politiche, sia contem-plata anche la sicurezza.

Oltre ad essere trasversale alle varie politiche, poi, la domanda di sicurezza è un’esigen-za collettiva, non solo individuale. Il cittadino richiede sicurezza per sé e per la propria fa-miglia, ma anche qualità della vita negli spazi pubblici, che si tratti di strade, piazze, tra-sporti, scuole, negozi, parchi, cinema, eccetera. Chiede soprattutto che la città o lo spaziopubblico o il quartiere in cui vive siano sicuri. In questi luoghi il cittadino pretende qualitàdella vita e non solo garanzie contro i ladri o la delinquenza comune. Chiede che gli am-bienti siano gradevoli e funzionali, che siano spazi che abbiano un significato in termini divita cittadina.

Quando si viola sistematicamente il diritto alla sicurezza, come di fatto avviene in moltecittà e quartieri in diverse parti del mondo, le città vengono viste come spazi in cui la vio-lenza è un elemento quotidiano, e a volte si crea una percezione pubblica errata che identi-fica la città con la violenza, generando una relazione di sinonimia tra i due termini.

4. LA SICUREZZA CONTEMPORANEA E LA COMPLESSITÀDELLA GOVERNABILITÀ

La sicurezza rappresenta una sfida estremamente importante, ed è un elemento su cuisi misura il grado di sviluppo delle società democratiche. I legami tra sicurezza e go-

vernabilità, tra sicurezza e sostenibilità o tra sicurezza e cittadinanza costituiscono nodicruciali per il modello di sviluppo attuale e per le opportunità che tale sviluppo può offrireai membri di una determinata società.

Nel contesto delle minacce alla sicurezza che caratterizzano le società contemporanee,è fondamentale il ruolo svolto dalla cittadinanza nelle politiche pubbliche in generale, enelle politiche di sicurezza in particolare. La sicurezza non è più un diritto che deve esseretutelato soltanto dallo Stato: anche i cittadini sono chiamati a partecipare alla difesa e alla

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promozione di questo diritto, pertanto è impossibile concepire la sicurezza senza i cittadinie senza una politica trasversale che la inserisca all’interno di questioni importanti quali lagiustizia, l’integrazione sociale o i servizi urbani.

SICUREZZA E GOVERNABILITÀ

Al giorno d’oggi la sicurezza è considerata la base della legittimità dei governi demo-cratici. Questa definizione va oltre il concetto tradizionale dello Stato-nazione weberianodetentore del “monopolio della violenza legittima nell’ambito territoriale”. La governabili-tà prevede la partecipazione dei cittadini all’elaborazione e all’applicazione delle politichepubbliche, e la cittadinanza, la società civile e il settore privato emergono come nuovisoggetti politici e sociali, sfidando lo Stato nel suo ruolo di garante unico del bene comu-ne. La partecipazione dei cittadini attraverso partnership volte alla coproduzione della si-curezza (mediante formule come “Comune sicuro”, “Città più sicure”, “Contratti di sicurez-za” tra comuni e Stato, “Polizia di quartiere o locale”, “Consigli municipali per la sicurezza”,“Servizi privati di sicurezza”, eccetera) denota appunto l’esigenza di coprodurre la sicurez-za, tendenza che già ha iniziato ad imporsi in diverse regioni. La sicurezza oggi viene sem-pre più spesso percepita come una responsabilità di tutti, e non solo del sistema giudizia-rio penale.

Le difficoltà sollevate da questo nuovo fenomeno sono duplici. Da una parte, questa re-altà, nella sua doppia accezione di fatto concreto e di concetto mentale, convive con mo-delli di applicazione e di concezione della sicurezza di cui lo Stato centrale è il solo garante.Dall’altra, le nuove forme di sicurezza emerse a livello locale sono ancora piuttosto speri-mentali, pionieristiche e non consolidate, e non godono di un consenso generalizzato. Citroviamo quindi in una fase di transizione, di passaggio da una sicurezza che è il frutto delpotere esercitato in via esclusiva dallo Stato centrale ad una sicurezza in cui lo Stato conti-nua ad essere un protagonista del processo di regolamentazione, ma con un ruolo di pri-mus inter pares in materia di produzione della sicurezza, visto che, in un’ottica di coprodu-zione, molte responsabilità vengono trasferite agli enti locali e ripartite tra comuni, societàcivile e organismi statali. Inoltre, il diffuso ricorso alla creazione di sistemi di sicurezza pri-vati, spesso connotati da una forte carica ideologica o commerciale, tende a ridurre unaparte sostanziale della questione sicurezza alla protezione della proprietà privata, in parti-colar modo degli strati più abbienti e del settore commerciale.

Un altro aspetto della relazione tra sicurezza e governabilità è dato dall’impatto della si-curezza sulla stabilità politica, visto che l’assenza di sicurezza incrina la legittimità delle au-torità locali e nazionali e minaccia la governabilità. È dimostrato che spesso il sentimento diinsicurezza – che si traduce in violenza e delinquenza – incide sulla vita quotidiana degli in-dividui, indebolendo il concetto stesso di appartenenza alla società e diffondendo tra i cit-tadini un senso di sfiducia circa le capacità dello Stato di garantire la loro sicurezza. Neconsegue il tentativo più o meno cosciente da parte dei cittadini di agire “adattandosi” allarealtà della delinquenza, soprattutto quando questa è organizzata, e di convivere con essa,o di diventare parzialmente complici della sua esistenza. I quartieri in cui avviene lo spacciodi stupefacenti rappresentano un esempio di questa realtà e delle varie modalità di tolle-ranza implicita, da parte degli abitanti e persino delle forze dell’ordine, verso le bande e igruppi violenti. Si consolida così un mondo fondato sul “ribaltamento” dei valori, in cui es-sere un abile ladro o un bravo spacciatore è giudicato positivamente al pari di essere un va-lido professionista o un lavoratore competente e onesto. In questo contesto, ottenere l’ac-cesso al consumo diventa l’unico criterio di valutazione dei comportamenti individuali e

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Page 18: CONSOLIDAMENTO DEI GOVERNI LOCALI PER LA ...4 • Consolidamento dei governi locali per la sicurezza cittadina: formazione e pratiche PREFAZIONE V ent’anni fa alcuni sindaci europei

collettivi.Infine, la percezione di insicurezza conduce spesso alla frammentazione sociale e urba-

na, segregando quartieri e spazi all’interno della città a causa dei problemi di violenza che licaratterizzano. Questa situazione si traduce nella costruzione di “gated communities” (co-munità chiuse) abitate dagli strati più abbienti della popolazione e nella “ghettizzazione”dei quartieri più poveri, una situazione che compromette la convivenza sociale.

SICUREZZA E SOSTENIBILITÀ

La sicurezza è un elemento centrale anche del concetto di sostenibilità, ossia la capa-cità delle società di riprodursi e perdurare nel tempo. La sostenibilità limita la crescitaeconomica rispetto al modello capitalistico attuale a causa dei problemi ambientali, inve-ce la sicurezza fa riferimento in particolare alla dimensione sociale e politica della sosteni-bilità. Da quest’ultimo aspetto nasce, a sua volta, il dibattito sulla sostenibilità nella suadimensione urbana, in particolare sui problemi legati alla disuguaglianza, all’emarginazio-ne e alla violenza. Questo concetto si regge su due pilastri: l’inurbamento sempre più in-tenso della popolazione mondiale, che spinge verso l’espansione territoriale delle città e ilconsumo delle risorse naturali, e la crescente importanza delle città in quanto “protagoni-ste della nostra era” e centri nevralgici delle attività economiche, politiche, sociali e cultu-rali del mondo. In questo contesto, gran parte delle città nei paesi in via di sviluppo – manon solo – si trovano ad affrontare enormi e molteplici sfide legate alla povertà, alla disu-guaglianza e alla violenza.

Per promuovere un modello urbano di sviluppo sostenibile è necessario integrare la si-curezza all’interno dei servizi urbani ma anche, come elemento trasversale, all’interno dellepolitiche e dei servizi settoriali e urbani.

Per questo è necessaria la partecipazione dei cittadini in quanto soggetti del loro stessosviluppo, integrando la solidarietà e il bene comune con la partecipazione. La partecipazio-ne dei cittadini e della società civile avviene soprattutto nell’ambito della prevenzione so-ciale, comunitaria e situazionale.

La diffusione di una cultura della sicurezza e della prevenzione della violenza costituisceuno dei principali obiettivi a lungo termine dei servizi urbani di sicurezza, se si desidera che lasicurezza diventi qualcosa di più di un semplice servizio di polizia tradizionale. Costruire lacultura della prevenzione significa, per una comunità, assimilare progressivamente l’istinto distudiare, di fronte ad un’intensificazione o ad un cambiamento del fenomeno della delinquen-za, le cause e le possibili reazioni collettive al fenomeno, invece di lasciarsi trasportare dallapaura o delegare alla polizia la responsabilità esclusiva. Questo obiettivo mira a sviluppare neicittadini un atteggiamento che passi dalla paura alla responsabilizzazione.

La partecipazione cittadina, resa possibile dalla cultura della prevenzione, riguarda an-che l’azione delle forze dell’ordine, con cui i cittadini sono chiamati a collaborare non tantoaumentando le denunce, bensì condividendo gli obiettivi e le attività considerate comeproprie della polizia. È questo il principio su cui si fonda la polizia locale, che nasce alloscopo di collaborare con la cittadinanza attraverso lo scambio e il consenso sugli obiettivi, icriteri d’azione e di intervento, le forme di cooperazione e di valutazione, l’articolazionequotidiana del lavoro proattivo e decentrato svolto insieme alle collettività locali. In que-st’ottica di cooperazione i cittadini non devono sostituire le forze di polizia con servizi disicurezza privata né prendere parte in prima persona alle attività di repressione proprie del-le forze dell’ordine (arresti, eccetera), bensì pianificare queste attività in collaborazione

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con le collettività locali, dopo che queste si sono appositamente organizzate e sono stateaddestrate a svolgere azioni simili. Inoltre, lo svolgimento di attività di polizia locale o diquartiere rafforza la prevenzione e migliora la qualità del lavoro delle forze dell’ordine.

In questa prospettiva si inseriscono anche i sistemi giudiziari deputati a garantire la si-curezza.

Ciò avviene attraverso due linee d’azione. Da una parte la giustizia di prossimità che per-mette, attraverso giudici anche non professionisti, di dirimere le questioni ed i conflitti quoti-diani che provocano tensioni nella vita sociale, avvelenano le relazioni e diffondono una sen-sazione di impunità a causa dell’impossibilità di risolverli da parte della giustizia ordinaria. Aquesto si aggiungono tutte le forme di mediazione insegnate nelle scuole, nelle aziende, nel-le associazioni locali e nelle famiglie per la risoluzione pacifica e civile dei conflitti.

Dall’altra parte, invece, si ha l’assimilazione di modelli di giustizia riparatrice come ri-sposta sistematica di fronte ai reati, modelli che enfatizzano la riparazione dei danni arre-cati alle vittime, alle comunità e ai delinquenti stessi. Questo approccio si fonda sul risarci-mento del danno causato e la partecipazione diretta dei soggetti coinvolti nelle attività diriparazione.

SICUREZZA UMANA

Nelle società contemporanee la sicurezza è stata definita in diversi modi da parte dellepolitiche pubbliche, utilizzando concetti che, per la loro eterogeneità, a volte provocanoconfusione.

La sicurezza umana nasce come un concetto integrale. Mentre la nozione di sicurezzanazionale utilizzata in epoche passate faceva riferimento alla sicurezza e alla difesa di unoStato-nazione, la sicurezza umana è riferita all’utente finale della sicurezza, l’essere umano.Pertanto, secondo il concetto di sicurezza umana non basta proteggere lo Stato per pro-teggere l’essere umano, ed è necessario prevedere meccanismi per tutelare l’essere umanodagli abusi commessi dallo Stato. La sicurezza umana prevede il pieno sviluppo delle perso-ne e prevede che l’accesso alla sicurezza sia un diritto di tutti gli abitanti, individui e comu-nità; tale diritto comprende il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile che possa miglio-rare la qualità della vita e le possibilità di integrazione e partecipazione sociale delle perso-ne, e che non sia valutato soltanto in base alla crescita della produzione. Con questo con-cetto si evidenzia che non è sufficiente l’aumento delle opportunità disponibili per gli indi-vidui, come ad esempio il reddito, la speranza di vita o l’istruzione, se gli individui non vivo-no in un ambiente sociale che permetta loro di accedervi e goderne appieno. Se non c’èpace sociale, equità, solidarietà, fiducia, le opportunità create dallo sviluppo cessano di es-sere tali, perchè non sono accessibili a tutti equamente, stabilmente e in maniera sicura.

La sicurezza umana mira inoltre a ridurre il senso di incertezza dell’individuo nella socie-tà contemporanea, una società caratterizzata da cambiamenti, dal dinamismo, dall’effimeroe dalla presenza strutturale del rischio. Le trasformazioni favorite dall’attuale modernizza-zione su scala mondiale hanno caricato di una nuova connotazione fenomeni antichi comela percezione di insicurezza, il rischio o la fiducia. La grande complessità che caratterizzaoggi il processo di costruzione di certezze e sicurezze deriva dai pericoli prodotti social-mente, che travalicano l’ambito tradizionale della giustizia penale e comportano un impat-to diverso che accentua il divario sociale, poiché la ricchezza si concentra negli strati piùelevati, mentre i rischi si condensano in quelli più bassi.

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SICUREZZA URBANA

“Sicurezza urbana” è il concetto utilizzato attualmente per riferirsi alla ricerca di unaprotezione contro il verificarsi di fatti violenti o di reati. Si differenzia dal concetto di sicu-rezza pubblica per la partecipazione di nuovi soggetti sociali alla sua produzione. Il concet-to di sicurezza pubblica è legato all’idea di monopolio statale in materia di sicurezza, mo-nopolio che si esprime attraverso le forze dell’ordine e i tribunali. Invece con il concetto disicurezza cittadina si sottintende che altre istituzioni locali e statali, e soprattutto i benefi-ciari stessi, ossia gli abitanti, le loro organizzazioni di quartiere e la società civile, svolganoun ruolo importante in questo senso.

Il coinvolgimento dei cittadini consente di parlare di sicurezza non più come di una que-stione ad appannaggio esclusivo delle istituzioni statali, ma come di un bene che è neces-sario produrre insieme, con la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti. Il termine copro-duzione fa riferimento ad un processo che permette a tutti gli organismi dello Stato centra-le e dell’amministrazione locale, così come alle organizzazioni della società civile, del setto-re privato e ai cittadini coinvolti, di partecipare in maniera responsabile alla costruzione diuna città più sicura ed affrontare efficacemente e in maniera coordinata i problemi legati aivari tipi di insicurezza. La coproduzione si basa sul presupposto che la sicurezza è una re-sponsabilità di tutti, non solo del sistema della giustizia penale. Questo presupposto, a suavolta, si fonda sul concetto di multicausalità della criminalità e dei comportamenti antiso-ciali, ma anche sulla necessità di una risposta multisettoriale coordinata e integrata.

La coproduzione richiede quindi che tutte le istituzioni e gli attori coinvolti si consideri-no non solo corresponsabili delle soluzioni ai problemi, ma anche elementi costitutivi deiproblemi stessi. Ciò implica, per le istituzioni, l’adozione di un atteggiamento di apertura amodifiche organizzative, e soprattutto un cambiamento di mentalità necessario per affron-tare adeguatamente i problemi.

Inoltre, un’effettiva coproduzione della sicurezza richiede di prestare una particolare at-tenzione al ruolo della comunità. Al centro di qualsiasi azione efficace di prevenzione dellacriminalità vi è infatti la collettività. Sono le persone che vivono, lavorano e giocano nellacollettività a capire meglio le risorse, i problemi, le esigenze specifiche e le capacità dellapropria regione. Le collettività devono essere pronte ad investire tempo ed esperienza, e idirigenti locali devono contribuire a mobilitare una serie di partner locali per affrontare iproblemi della criminalità e della violenza. Questo nuovo accento sulla sicurezza sollevadue grandi problemi, non ancora del tutto risolti. Da una parte implica la ricerca di meto-dologie e meccanismi adeguati per il coinvolgimento della comunità, e dall’altra richiedeche tale coinvolgimento sia ottenuto con il giusto tempismo: in altre parole, occorre capirein quali circostanze la comunità può svolgere un ruolo, e quali sono gli altri enti e organismichiamati ad affrontare il problema sicurezza.

Il coinvolgimento degli individui nelle politiche di sicurezza si pone tre obiettivi che èbene riconoscere. In primo luogo, la partecipazione punta a migliorare la difficile relazionetra la comunità e la polizia, nella speranza di consolidare un vincolo di collaborazione in cuila comunità partecipa alla prevenzione della delinquenza e sostiene l’operato delle forzedell’ordine, oppure in cui esiste una polizia locale che opera in stretta collaborazione conquella tradizionale. In secondo luogo, mira a rafforzare le reti sociali esistenti sperando chequeste contribuiscano, in futuro, a sviluppare e potenziare il capitale sociale. Infine, la par-tecipazione tende a consolidare il processo di decentramento, che conferisce ai governi lo-cali un ruolo sempre più attivo nell’elaborazione ed applicazione di politiche e strategie ur-bane di sicurezza.

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Nel momento in cui la comunità inizia a prendere parte attiva alla produzione della sicu-rezza, la cultura della prevenzione e le istanze formali diventano elementi fondamentali. Laprevenzione, nell’ambito della coproduzione della sicurezza, è stata definita come “la seriedi politiche, provvedimenti e tecniche esterna al sistema giudiziario penale volta alla ridu-zione di diverse classi di danni causati da atti definiti dallo Stato” (Van Dijk, 1990). Talistrategie si sono dimostrate efficaci ed efficienti per diminuire i reati. Il riconoscimento del-l’importanza della prevenzione è progredito di pari passo con lo sviluppo di quelle inter-pretazioni della violenza e dell’insicurezza che pongono l’accento sui fattori di rischio. Inquesto modo, le misure volte a prevenire l’incremento di tali fattori (ad esempio il consumodi alcolici o il possesso di armi) sono considerate un punto cardine nella riduzione non so-lo del crimine, ma anche della sensazione di insicurezza urbana.

21Capitolo 1. • Base concettuale della sicurezza •

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Capitolo 2.

Le professioni

della sicurezzaJuan Carlos Ruiz e Franz Vanderschueren

Università Alberto HurtadoSantiago - Cile

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23Capitolo 2. • Le professioni della sicurezza •

1. PROFESSIONALIZZAZIONE DEI RESPONSABILIDELLA SICUREZZA

L a sicurezza urbana è un elemento centrale nella qualità della vita e nella quotidia-nità degli abitanti di una città. La sicurezza non è più un diritto la cui tutela è affi-data unicamente allo Stato: i cittadini sono chiamati a partecipare in prima perso-

na alla difesa e alla promozione di questo diritto, pertanto è impossibile concepire la sicu-rezza senza i cittadini e senza una politica trasversale che la configuri come un servizio ur-bano legato a questioni fondamentali come la giustizia e l’integrazione sociale. A loro volta,le città sono soggetti chiave nel processo di produzione della sicurezza, attraverso la coo-perazione e il lavoro sinergico dei vari soggetti coinvolti.

In questo contesto, le amministrazioni cittadine responsabili della sicurezza urbana de-vono svolgere il loro lavoro in unione con tutti i soggetti che costituiscono la città e perse-guendo tutti gli obiettivi di buon governo della città stessa. La sicurezza diventa un prodot-to della collaborazione tra diversi attori e istituzioni basata su modalità democratiche digestione, in una serie di scenari in cui tali modalità vengono applicate e tenendo conto del-la molteplicità di interessi in gioco.

Un ingrediente fondamentale per raggiungere gli obiettivi di sicurezza urbana è ilcambiamento delle prassi di azione dei vari soggetti coinvolti nelle politiche, nelle stra-tegie e nei progetti di prevenzione relativi alla questione della sicurezza. È un cambia-mento che mira a favorire l’elaborazione e l’applicazione di politiche di prevenzione deifattori di insicurezza urbana, quali ad esempio la delinquenza, l’emarginazione di quar-tieri o comunità particolarmente vulnerabili, oppure l’atteggiamento di rifiuto verso unaparte della popolazione delle città. A loro volta, le politiche locali di sicurezza devonotendere a rafforzare la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti, siano essi sociali, eco-nomici o politici, per garantire che le dinamiche volte a tutelare la sicurezza godano diun consenso condiviso.

Per affrontare queste sfide, le strategie di sicurezza adottate a livello locale richiedonoprofessionisti capaci di metterle in atto, leader politici esperti in materia di sicurezza euna struttura di ruoli e reti che consentano di applicare con successo le misure di preven-zione. A volte gli sforzi profusi per le politiche di sicurezza sono carenti sotto alcuni degliaspetti appena menzionati: da un lato, l’applicazione pratica di un approccio preventivoalla sicurezza è spesso affidata a figure professionali diverse e concorrenti tra loro, cheoperano secondo linguaggi diversi e che sono caratterizzate da ambiti di specializzazionenon omogenei. Dall’altro, solitamente non vi è molta chiarezza, a livello locale, riguardo alruolo che ogni professionista deve svolgere per garantire il successo dell’attività di pre-venzione. È per queste ragioni che, nelle pagine seguenti, verranno illustrate le funzioni e icompiti da assegnare a ciascun livello di attuazione delle politiche di sicurezza e preven-zione su scala locale.

Si tratta di una descrizione che non pretende di essere esaustiva, e che si basa sulleprassi effettivamente adottate in diverse città in Europa e in America Latina ma anche in al-tre regioni. Nel campo dell’azione sociale, la coproduzione della sicurezza è una realtà di-namica ed in continua evoluzione, pertanto la descrizione che daremo dei diversi ruoli pro-fessionali è una fotografia della situazione attuale delle politiche locali. L’analisi di questeprassi solleva il problema di illustrare un processo in grado di guidare la trasformazione dei

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• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

profili professionali esistenti verso le necessità specifiche di ogni situazione e di ogni pro-fessionista ma, soprattutto, di guidare la creazione di gruppi di lavoro per erogare serviziurbani di sicurezza. La formazione dei professionisti della sicurezza deve prevedere un ag-giornamento delle competenze in materia di sicurezza locale di fronte ad un fenomenonuovo, in crescita ed inquietante. Per questo sono state individuate sei categorie o funzio-ni; per ognuna di esse viene fornita una descrizione delle caratteristiche, delle competenzee dei requisiti di formazione specifici. In questa descrizione verranno tralasciate le forzedell’ordine che, in molte aree, stanno subendo un processo di riforma che va nella direzio-ne della creazione di corpi di “polizia locale” o “polizia di quartiere” e di nuove forme di po-lizia municipale, non perché non siano importanti, ma perché richiederebbero una tratta-zione più approfondita in quanto settore specifico all’interno dell’analisi dell’evoluzionegenerale del sistema giudiziario penale.

2. RESPONSABILI POLITICI

L a prima figura professionale fondamentale e spesso decisiva nel processo di copro-duzione della sicurezza è quella dell’autorità locale in possesso di un mandato terri-

toriale specifico, che riveste un ruolo politico e sociale. Il responsabile politico locale, chesi tratti di un sindaco o di qualsiasi carica democraticamente eletta o nominata, deve guida-re l’applicazione delle politiche di sicurezza e prevenzione, integrandole nel proprio pro-getto politico ed attribuendo loro la giusta priorità nel proprio programma di governo. Perraggiungere questo obiettivo questa figura deve avere piena coscienza del suo ruolo nel-l’attuazione delle politiche di sicurezza. Una parte significativa del successo di tali politicherisiede nella volontà da parte del leader politico in questione di metterle in atto, un leaderche deve assumersi i costi del processo a breve termine e sfruttare al meglio i risultati otte-nuti nel medio e lungo periodo.

Il responsabile politico locale è anche la persona che deve relazionarsi con il governocentrale per definire risorse e/o programmi ad hoc; inoltre, deve collaborare con le forze dipolizia e il sistema giudiziario per garantire l’applicazione e il rispetto i diritti umani e indivi-duare un approccio comune di prevenzione. Ai leader politici locali spetta poi il compito dicollaborare con altri comuni o altre istituzioni, per creare partnership e scambiare prassioperative in grado di rafforzare le politiche di prevenzione.

Per svolgere al meglio le sue funzioni, il responsabile politico locale deve innanzituttoesercitare una leadership in grado di coagulare le risorse locali e la comunità intorno allapolitica. Inoltre, deve favorire il lavoro in rete tra vari attori locali; tali reti prendono solita-mente la forma di partnership.

Tra le competenze del politico locale devono figurare un’approfondita conoscenza delfunzionamento dell’amministrazione locale (del comune o dell’istituzione amministrativalocale) e una conoscenza di base delle politiche e delle prassi di prevenzione.

La sua formazione deve quindi incentrarsi su questo secondo elemento: strategie com-provate e buone pratiche di prevenzione e sicurezza. Inoltre, il leader politico deve esserein grado di gestire la dimensione intersettoriale della sicurezza e di costituire partnershipreali con le forze di polizia e i giudici. Saper operare secondo politiche di rete è fondamen-tale per la creazione e lo sviluppo delle partnership.

In condizioni ideali, il responsabile politico dovrebbe anche promuovere e sviluppa-re una politica di comunicazione volta a coordinare in maniera rapida ed efficiente le

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25Capitolo 2. • Le professioni della sicurezza •

politiche di sicurezza e a creare una percezione dei problemi di sicurezza in grado di ri-durre o controllare le paure. Un approccio del tipo “Gestione della Crisi” (vederel’esempio della città di Toronto) può rappresentare una politica molto utile per contra-stare sia la paura che la manipolazione dei mezzi di comunicazione e, allo stesso tempo,può rivelarsi un’efficace strategia di prevenzione e reazione in tempo reale di fronte asituazioni critiche.

3. ASSESSORI COMUNALI ALLA SICUREZZA

Gli assessori comunali alla sicurezza sono rappresentanti di diversi settori della comu-nità. Sono eletti dalla stessa comunità attraverso una votazione municipale o nomi-

nati dalle organizzazioni territoriali. Si tratta di soggetti politici deputati all’elaborazionedelle politiche di sicurezza e al loro inserimento all’interno della politica generale del co-mune; inoltre, queste persone valutano i progetti da attuare in funzione delle politiche ap-provate, e possono stimolare alleanze e raccogliere fondi per l’applicazione delle strategiee dei progetti politici di sicurezza.

Gli assessori comunali solitamente conoscono in maniera approfondita la realtà socialelocale e i problemi che l’amministrazione comunale è chiamata ad affrontare.

Per contribuire efficacemente ad una politica di sicurezza urbana locale, queste figuredevono soddisfare due requisiti. Da una parte, devono avere una conoscenza di base delleprassi di prevenzione e sicurezza e dei meccanismi del sistema di controllo (della polizia co-sì come della struttura giudiziaria); la formazione di questi soggetti deve perciò compren-dere competenze di base circa le prassi di prevenzione. Dall’altra, gli assessori devono es-sere consapevoli dei legami tra politiche di sicurezza e politiche comunali di integrazione,politiche sociali e politiche urbane.

La gestione della crisi a Toronto

L’équipe di sicurezza urbana della città di Toronto opera con una doppia struttura di lavoro arete. Una unità centrale definisce i grandi orientamenti generali e coordina a livello cittadinole attività di sostegno preventivo delle diverse zone della città (6 milioni di abitanti), mentresquadre locali di distretto operano come gruppo intersettoriale collegato all’unità centrale. La gestione della crisi avviene a livello di unità centrale. Questa procede attraverso l’analisi intempo reale dei fatti e delle notizie che hanno rilevanza e impatto sui media, contestualizzaogni evento che dia origine a una situazione di crisi (ad esempio l’assassinio di un membro diuna gang) e definisce le risposte immediate di appoggio alle vittime (famiglia, quartiere,scuola, ecc.) e di intervento preventivo locale attraverso l’operatore di zona. L’analisi dellacomunicazione e la definizione di risposte vengono condivise con la polizia, gli organi giudi-ziari e le squadre locali. Ciò ha un doppio effetto. Da un lato orienta l’emissione d’informazio-ne contestualizzata, senza lasciare spazio ai media per la manipolazione dell’opinione pubbli-ca, dall’altro mette in evidenza le risposte efficaci orientate alla situazione di emergenza e al-le sue cause profonde (ad esempio, la stigmatizzazione di giovani di comunità minoritarie ola crisi sociale in un determinato quartiere), che sono attuate in modo coordinato da partedel governo della città, dagli agenti che operano sul territorio, la polizia, il sistema giudiziarioe tutti gli attori coinvolti.

Fonte: Community Safety Secretariat, città di Toronto

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4. COORDINAMENTO GENERALE DI SICUREZZA

Per essere correttamente applicate, le politiche locali di sicurezza necessitano di uncoordinamento generale. I coordinatori sono una figura tecnica investita della fiducia

politica delle autorità locali, e il loro compito consiste nel dirigere le politiche di sicurezza ela loro applicazione, rendendo più dinamiche le attività svolte, supervisionandole e valutan-done i risultati ottenuti.

Tutte le analisi regionali concordano nel riconoscere che la funzione del “Manager dellaSicurezza” è fondamentale per il buon esito delle politiche atte a garantirla. Pertanto non sitratta di una figura professionale individuale, ma piuttosto di un gruppo di lavoro omoge-neo in grado di condurre e coordinare le azioni di prevenzione. In effetti è un errore identi-ficare questo ruolo con una persona sola, con una sorta di leader unico e carismatico. Sa-rebbe meglio concretizzarlo in una squadra dalla leadership forte, equilibrata in termini digenere e di responsabilità. Questo team di professionisti nasce dalla necessità di affronta-re creativamente e con nuove modalità operative l’insicurezza urbana causata, tra gli altrifattori, dalla piccola e media delinquenza, dalle nuove forme di emarginazione e trasgres-sione sociale, o dagli interventi urbani che hanno avuto effetti indesiderati. Una squadra si-mile deve avere una visione globale del processo della sicurezza e conoscere alla perfezio-ne le azioni concrete che vengono intraprese per poterle adeguatamente monitorare e perporre l’accento sulla trasversalità degli interventi di prevenzione.

Ecco alcuni requisiti minimi necessari per questo tipo di professionisti:

� impegno nei confronti della realtà locale e partecipazione attiva al processo di co-produzione della sicurezza

� capacità di gestione della complessa realtà urbana; conoscenza delle diversità checaratterizzano la città e dei soggetti che vi operano; abilità di coordinamento con ta-li soggetti grazie alla “cooperazione intelligente” con i diversi attori che si occupanodella questione della sicurezza

� conoscenza generale della sicurezza e delle diverse strategie preventive; conoscenzagenerale dei meccanismi della politica, con un approccio trasversale e integrale

� capacità di affrontare la complessità che caratterizza l’intervento sul territorio e lacoproduzione della sicurezza; attitudine al lavoro di squadra e di rete

La formazione professionale di questo gruppo di lavoro, così fondamentale per la sicu-rezza, deve articolarsi su assi pedagogici interdipendenti e coerenti con una prospettiva in-tegrata di sicurezza, e deve tenere conto di alcune questioni fondamentali, tra cui:

� comprensione delle sfide della sicurezza urbana� comprensione approfondita della città e visione interdisciplinare della questione

della sicurezza urbana� gestione degli strumenti locali di sicurezza� formazione degli attori presenti sul territorio urbano� responsabilizzazione dei cittadini e della società civile� applicazione di una prospettiva territoriale integrata della sicurezza� conoscenza della problematica della paura urbana� capacità di partecipare, animare e guidare organizzazioni comunitarie ed enti di

cooperazione

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27Capitolo 2. • Le professioni della sicurezza •

Inoltre è necessario che questi professionisti sviluppino le seguenti competenze: � consapevolezza del legame della questione sicurezza con altri aspetti della vita citta-

dina (ad esempio istruzione, trasporti, salute) � capacità di scambiare esperienze con altre realtà cittadine che abbiano adottato buone

pratiche� competenza in termini di gestione dei rapporti con le forze di polizia e la giustizia

Un altro ingrediente essenziale dei programmi di formazione è la competenza gestiona-le, che comprende, tra i vari aspetti:

� selezione dei componenti del gruppo di lavoro in funzione del genere e delle specia-lizzazioni

� direzione del lavoro di squadra� competenze ed esperienza nel campo dell’amministrazione comunale

5. RESPONSABILI DEI SERVIZI MUNICIPALI

Il coordinamento generale di sicurezza deve agire in maniera trasversale insieme ai variservizi locali in qualche modo legati alla questione della sicurezza, come ad esempio l’ur-

banistica, l’istruzione, la sanità, le organizzazioni comunitarie. Per questo anche i responsabi-li dei vari servizi municipali devono possedere un determinato profilo in materia di sicurezza,per recepire ed applicare le politiche di sicurezza e prevenzione, e controllare la maniera incui tali politiche vengono concretizzate all’interno delle proprie aree di competenza.

Per svolgere al meglio i propri compiti di sicurezza e prevenzione la figura in discussionedeve sapere come declinare la prevenzione all’interno del proprio settore di specializzazio-ne. È quindi indispensabile che i programmi di formazione siano strutturati in modo da for-nire una conoscenza generale delle attività di prevenzione e sicurezza ed insegnare comeapplicare questi concetti nei vari settori operativi.

6. COORDINATORE DI PROGETTI DI SICUREZZA

L e politiche locali di prevenzione e sicurezza si concretizzano in progetti specifici oaree di intervento quali ad esempio: la prevenzione dell’abuso di stupefacenti, i gio-

vani a rischio, i bambini di strada, la violenza domestica, la violenza nelle scuole, il reinseri-mento scolastico, il reinserimento di ex detenuti, eccetera.

I responsabili o i coordinatori di questi progetti devono guidare il progetto o la tematica diloro competenza, garantendo sia la qualità del lavoro dei professionisti e degli operatori che ri-cadono sotto la loro responsabilità, sia il funzionamento dell’intera rete con la quale collabora-no, rete che può includere altri progetti o aree di sicurezza, altre aree municipali, altre istituzio-ni locali, comunità o soggetti. Inoltre, questi professionisti devono costituire e selezionare ilproprio gruppo (o i propri gruppi) di lavoro, con particolare attenzione verso gli operatori cheagiscono direttamente sul campo. All’interno delle politiche di sicurezza, il ruolo dei responsa-bili o dei coordinatori di progetti di ampio respiro prevede i seguenti compiti: elaborazione didiagnosi settoriali, definizione e applicazione di strategie riferite alla propria area di competen-za, follow up costante, amministrazione e valutazione delle strategie applicate.

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Per svolgere i propri compiti, questa figura professionale necessita di:

� Approfondite competenze tecniche in fatto di sicurezza e prevenzione, ma anche distrumenti e obiettivi di diagnosi

� Conoscenza dettagliata del territorio in cui le strategie vengono messe in atto: ciòpresuppone una formazione che consenta di identificare rapidamente le caratteristi-che sociali dell’ambiente e le modalità per avvicinarsi ad esso

� Capacità di lavorare in gruppo, sia all’interno della propria area di competenza, siacon altre aree o progetti; doti di leadership e capacità di stimolare e motivare la pro-pria squadra

La formazione di queste figure professionali dovrà quindi incentrarsi sulle prassi di pre-venzione specifiche per le aree progettuali di loro competenza, ma anche sugli strumenti eobiettivi di diagnosi, sulla valutazione e sulle metodologie di lavoro di rete.

7. OPERATORI SUL CAMPO

Oggi nelle città lavora tutta una serie di operatori sociali le cui attività fanno capo a di-verse aree a seconda di determinati obiettivi, ad esempio la convivenza civile in un de-

terminato quartiere, la sanità, l’istruzione, la risoluzione dei conflitti. Queste figure hanno unacaratteristica in comune: rappresentano un tentativo di professionalizzare la relazione con lapopolazione, educando, aiutando o proteggendo i cittadini, ma anche svolgendo attività dimediazione per creare un ambiente sicuro (M. Marcus, 1999). Si tratta di figure professionalispesso atipiche rispetto ai tradizionali canoni lavorativi, che si moltiplicano con denominazio-ni diverse nelle città delle varie aree geografiche. Questa flessibilità nel profilo degli “operato-ri” rende più complicata la caratterizzazione dei requisiti necessari per la loro formazione edelle modalità di valutazione del loro operato. Anche i termini generici di “community worker”o di operatore o animatore di comunità non descrivono adeguatamente la molteplicità di si-tuazioni e di professionalità relativamente nuove che sono sorte in questo campo.

I progetti di sicurezza vengono messi in atto da operatori che, sul campo, stabilisconouna relazione tra i progetti e la popolazione obiettivo degli stessi. Queste figure professiona-li sono il volto visibile del progetto presso le comunità e nei territori in cui esso viene messoin atto, e sono i responsabili della realizzazione concreta dei progetti stessi. A loro volta, glioperatori trasmettono al comune o all’autorità locale le richieste emerse nella comunità o nelterritorio interessato, per migliorare le politiche e le strategie in corso d’opera.

È possibile distinguere a grandi linee tre tipi di operatori che traducono in pratica lestrategie e i progetti di prevenzione:

� Innanzitutto, l’operatore di “gruppi a rischio”, che lavora, ad esempio, con giovani a ri-schio, donne vittime di violenza domestica...

� Un secondo tipo di operatore è lo specialista in risoluzione dei conflitti, nel campo delle va-rie forme di giustizia alternativa (ad esempio, responsabile di giustizia riparatrice, media-tore in una comunità o in una scuola, o mediatore familiare) o come mediatore “temati-co”, che opera in un ambito solitamente conflittuale, ad esempio il personale incaricato dirisolvere i conflitti che nascono tra diversi gruppi nell’ambito dei trasporti pubblici

� Infine, il terzo gruppo di operatori comprende membri della stessa comunità che eser-citano funzioni di vigilanza e soprattutto di gestione delle crisi

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29Capitolo 2. • Le professioni della sicurezza •

OPERATORE DI GRUPPI A RISCHIO

Il primo tipo di operatori è quello che lavora insieme a una comunità o gruppo obiettivoconsiderato come vulnerabile. Questi “out-reach workers” (operatori di strada) operano innumerosi ambiti diversi, ma con conoscenze di base in materia di lavoro comunitario. Pos-sono essere operatori sociali, psicologi, antropologi, geografi, sociologi o educatori, istrui-ti ed competenti per il lavoro nelle comunità, in grado di ispirare fiducia nelle persone e direndere operativi i progetti. La loro formazione si incentrerà sulle prassi di prevenzione cheriguardano le tematiche specifiche di cui si occupano (ad esempio giovani, droga, violenzaintrafamiliare, terza età, gruppi etnici o minoranze).

Ecco alcuni esempi di questo tipo di operatori:

Spesso questi operatori non fanno capo a istituzioni municipali o statali, bensì a Ong,fondazioni o istituzioni ecclesiastiche specializzate in interventi nelle aree più critiche dellasocietà. Tra le difficoltà più frequenti che gli operatori di gruppi a rischio devono affrontaretroviamo la progressiva omogeneizzazione del linguaggio e delle prassi operative in funzio-ne degli obiettivi di sicurezza stabiliti dall’autorità locale o in collaborazione con questestesse istituzioni. Inoltre, gli enti a cui gli operatori fanno capo risentono spesso della di-scontinuità degli aiuti e delle risorse erogate dalle autorità statali o comunali.

Per queste ragioni, la loro formazione dovrebbe vertere, tra gli altri aspetti, sulle moda-lità di collaborazione con le autorità locali, con la giustizia e le forze di polizia.

Nome Luogo Scenario Conflitto Ostacolida risolvere

Educatoredi strada

“Lookingfor relevant jobpenalties fordrug–addicts”

Agenti dianimazioneurbana (Lesagents d’animationurbaine)

Operatorevincolatoa istituzioninon municipali

Torino

Amsterdam

La-Roche-sur-Yon

Puente Alto

Quartieri

Ufficiper l’impiego

Luoghi pubblici

Luoghi pubblici

Uso dellospazio pubblicoe conflittinelle comunità

Integrazione ditossicodipendenti

Consumodi alcolicida partedei giovaniin centro città

Reinserimentoprogressivodi bambinidi strada

Mancanza diun’identificazioneprofessionaleDifficoltàdi trasformaremodelli culturaliconsolidati

Divergenza diinteressi tral’obiettivo dellapena e l’offertadi lavoro

Discontinuità deifinanziamentimunicipali ostatali. Obiettivie linguaggidiversi da quellimunicipali

Fonte: FESU 1997 e osservazione diretta

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• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

Un altro problema di questo tipo di figure professionali è spesso costituito dalla setto-rializzazione degli approcci, come ad esempio nel caso degli educatori di strada incaricatidi realizzare progetti rivolti agli autori di graffiti e tag. A volte questi problemi vengono af-frontati solo da un punto di vista culturale (migliorare la qualità artistica o favorire l’espres-sione culturale giovanile), senza considerare ad esempio la dimensione conflittuale (dipin-gere sui muri di persone che dovranno poi provvedere a ripulirli a proprie spese) o l’appar-tenenza a una banda. Prendere coscienza della dimensione globale dei problemi è una par-te fondamentale della formazione degli operatori.

MEDIATORI

Il compito del mediatore comunitario consiste nell’adottare modalità pacifiche di risolu-zione dei conflitti basate sul consenso, a livello locale (mediatore comunitario) o su temispecifici (arbitro o mediatore di quartiere), tra lo Stato e i cittadini (ombudsman o difenso-re civico) oppure all’interno di un’istituzione (mediatore scolastico). Per portare a terminequesti compiti il mediatore necessita della fiducia e della legittimazione da parte delle per-sone in conflitto, affinché la soluzione proposta possa essere rispettata e concretamentemessa in atto, trasformandosi anche in una forma di apprendimento. Il mediatore può esse-re sia un membro della comunità in questione che un soggetto esterno che deve però go-dere della necessaria legittimazione. È importante sottolineare l’aspetto educativo di que-sta figura. Non si tratta semplicemente di una persona che funge da mediatore nei conflitti;può, come nel caso della città di Rosario, cercare mediatori diretti all’interno della comuni-tà, oppure insegnare forme alternative e pacifiche per risolvere i conflitti.

Gli assi portanti della formazione di queste figure sono, quindi: la giustizia riparativa, lamediazione, gli strumenti del lavoro nelle comunità e in ambiti conflittuali specifici. Inoltre,questi operatori devono saper gestire i problemi delle comunità, possedere competenzegiuridiche e saper collaborare con la giustizia e le forze di polizia.

Alcuni esempi di questa figura professionale provenienti dalle osservazioni realizzate dalFESU in Europa sono:

Nome Luogo Scenario Conflitto da Ostacolirisolvere

Les agentsd’ambiance

Assistentesociale neicommissariatidi polizia

Brunoy

Limoges

Trasportipubblici

Stazionidi polizia

Insicurezzae inciviltàda parte degliutenti deltrasportopubblico

Conflitti travittime,querelanti,delinquenti epolizianell’accessoequo alla legge

Incapacitàdi valutarel’impatto delproprio lavoro Assenza diqualsiasicontatto formalecon la polizia

Conflitti tra ilprofessionistae l’ufficialeresponsabile delcommissariato

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31Capitolo 2. • Le professioni della sicurezza •

Nome Luogo Scenario Conflitto Ostacolida risolvere

Neighbourhoodwatch

Young wardensin shoppingcentres(Giovani guardienei centricommerciali)

Night Patrols(Residenti cheorganizzanoronde disorveglianzanotturna)

Operatoridi crisi

Regno Unito

Haarlem

Haarlem

Durban(Sudafrica)

Quartiere

Centricommerciali

Le stradedi notte

Quartiere

Atti vandalici

Scontri, graffitie inciviltà

Insicurezza,scontri

La molteplicitàdi situazioni chevengono lorodenunciate daparte dei cittadini

Adattamentodella poliziaMiglioramentodell’immaginedell’operatorenei mezzi dicomunicazione

Le giovaniguardiepossono tornarea delinquere

I residenti sceltinon possiedonoparticolaricapacità per illavoroda svolgere

Accettazioneiniziale dellamediazioneda partedella comunità

Fuente: FESU 1997

OPERATORE INTERNO ALLA COMUNITÀ

Il terzo tipo di operatore è un membro della comunità che dirige le attività di prevenzionerealizzate dalla comunità stessa, attività che richiedono la partecipazione dei residenti, ungrande lavoro endogeno da parte dei residenti medesimi e un generale appoggio dall’esterno.

Come nel caso del mediatore, l’operatore interno alla comunità deve poter godere dimolta fiducia, rispetto e credibilità da parte dei residenti. Deve essere competente sui temiche tratta (conflitti tra residenti, comportamenti, bande, eccetera). Inoltre, deve acquisiregli strumenti fondamentali del lavoro comunitario, nonché una serie di competenze formaliin materia di strategie di prevenzione che gli permettano di svolgere adeguatamente il suoruolo nell’ambito della sicurezza urbana locale.

Ecco alcuni esempi di questa terza categoria di operatori:

Nome Luogo Scenario Conflitto da Ostacolirisolvere

Mediatoricomunitari

Barcellona Luoghi pubblici Uso dei luoghipubblici e deiservizi urbani

Fonte: FESU 1997

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8. TABELLA RIASSUNTIVA

PROFESSIONISTI DELLA SICUREZZA, COMPITI, COMPETENZE E REQUISITI DI FORMAZIONE

Funzione Caratteristiche Ruolo Competenze Bisognirichieste formativi

ResponsabilePolitico

Assessore perla Sicurezza

CoordinatoreGenerale

Direzionedelle politichemunicipali

Caricaeletta perrappresentareuna visionedella comunità

Gruppodi lavoroche dipendedal sindaco

Dirigerel’applicazionedelle politichedi sicurezzaa livello locale. Relazionarsicon diverseistituzioni,potere centrale,polizia, altrimunicipi.

Elaborazionedelle politichedi sicurezza. Valutazione dei progetti infunzione dellastrategiadi sicurezza. Ricercadi finanziamentiper l’attuazionedelle politiche. Verificadell’integrazionetra le politichedi sicurezza e lealtre politichemunicipali.

Coordinamentotecnico dellaamministrazionecentraledelle politichedi sicurezza.Esegue diagnosi,dirige lepolitiche, la loroapplicazione, illoro controllo e laloro valutazione.

Conoscenzaapprofonditadei meccanismimunicipali.Conoscenza dibase di prassidi prevenzione.Lavoro disquadrae di rete.Conoscenzadelle modalitàdi gestionedella paura

Conoscenzadei meccanismimunicipali. Conoscenzadelle modalitàoperativedella polizia.Conoscenzadelle modalitàdi prevenzione.

Conoscenzageneraledelle tecnichedi prevenzione. Lavorodi squadrae di rete.

Conoscenzadi base dellemodalità diprevenzione e disicurezza, nonchédei sistemi dicontrollo siadella polizia chedella giustizia.Politica dicomunicazioneche consenta digestire le crisi eridurreo controllarela paura.

Conoscenzadi base dellemodalità diprevenzione e disicurezza,nonchédei sistemidi controllo siadella polizia chedella giustizia

Approcciointegratoalla sicurezza. Articolazione ecoordinamentoall’interno eall’esternodel municipio. Gestioneesecutiva eamministrativadei gruppidi lavoro.

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33Capitolo 2. • Le professioni della sicurezza •

Funzione Caratteristiche Ruolo Competenze Bisognirichieste formativi

Coordinatoredi Progetti diampio respiro

Responsabilidei ServiziMunicipali

Operatorisul campo

DirezioneTecnicalavoro di rete

Responsabile diaree di lavorolegate al temasicurezza

Agisconosul campo.Stabilisconouna relazionetra i progetti ela popolazioneobiettivo.

Coordinamentodi progetto.Selezionee formazionedei gruppidi lavoro edegli operatori.

Coordinamentocon le politichedi sicurezza Imposizionedelle strategiedi sicurezzanelle propriearee operative.

Coinvolgimentodellapopolazioneobiettivo nelprogetto.

Conoscenzatecnicadella prevenzionee degli strumentidi diagnosi.Conoscenzadel territorioLavoro di squadra.Capacità diidentificare lecaratteristichesociali dellacomunità.

Conoscenzadelle strategiedi prevenzioneapplicate alproprio settoredi competenza. Fiducia elegittimazioneda parte dellacomunità.

Abilità socialeper il lavoronelle comunità. Capacità diattuare progettinelle comunità. Competenzae capacità diadattarsi allepolitichepubbliche(settore ONG).

Prevenzionespecificanelle areedel progetto. Tecnichedi diagnosi Metodologiedi lavorodi squadra

Conoscenzagenerale dellestrategie diprevenzione, inparticolareapplicatealla propriaarea di lavoro.

Modalità diprevenzionenegli ambitispecifici in cuioperano.Strumenti dilavoro nellecomunità,giustiziariparativa,mediazione.Apprenderea lavorarecon le autoritàpubbliche.

Fonte FESU 1997 e 1998

BIBLIOGRAFIA:

- Chambron, M. Marcus, M. y C. Tascon Mennetrier “Safety and security: new jobs for the new millen-nium.” Villier-le-Bel, Francia, Forum Europeo per la Sicurezza Urbana (FESU), 1997

- Lacombe, S. y I. Laplante, “Las profesiones de la seguridad.” FESU, 1998 - M. Marcus, Les métiers de la gouvernance en E. Heurgon y N. Stathopoulos (Edit.) Les métiers de la

ville, Editions l´aube, Paris 1999 pp. 102-104

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Capitolo 3.

Analisi dell’offertaformativa

Laura Martin

Associazione AmapolaTorino - Italia

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35Capitolo 3. • Analisi dell’offerta formativa •

1. PREMESSA

I l progetto Urb-Al prevedeva l’analisi delle figure professionali esistenti e operantinel campo della sicurezza cittadina e si poneva l’obiettivo di delineare, in termini ge-nerali, il tipo di formazione di cui tali figure hanno bisogno per svolgere al meglio i

loro compiti: pertanto, nella relazione finale del progetto non poteva mancare una brevepanoramica sulle iniziative di formazione in corso nei paesi che hanno preso parte all’espe-rienza internazionale qui presentata.

Naturalmente si tratta di una descrizione che non pretende di essere esaustiva, vistoche sarebbe impossibile raccogliere informazioni su tutte le attività formative esistenti inpaesi così vasti e complessi come quelli che partecipano a questo progetto; tuttavia, i datipresentati in questo capitolo hanno costituito la base per l’elaborazione della nostra pro-posta, in cui si è tentato di superare le apparenti criticità o lacune dell’offerta riscontratanei paesi di riferimento.

Il nucleo tematico principale del presente lavoro – e, di conseguenza, anche il criteriosu cui ci siamo basati nella selezione delle attività – è costituito dai corsi, master e specia-lizzazioni post-laurea incentrati sulla sicurezza cittadina o su alcuni dei suoi aspetti partico-lari, lasciando da parte i programmi di formazione – di qualsiasi tipo – dedicati esclusiva-mente a materie quali Criminologia, Sociologia, Sociologia urbana, Sociologia dei compor-tamenti devianti, Diritto penale eccetera, e anche i corsi di formazione impartiti ai diversicorpi di polizia nazionale o locale, fatta eccezione per i corsi di formazione organizzati inuna prospettiva di sicurezza cittadina, magari aperti anche ad altri tipi di utenti.

Il presente studio, pertanto, analizza l’offerta formativa a partire dai seguenti aspetti:

1. Continente (America Latina e Europa)2. Istituto che eroga i corsi di formazione3. Obiettivi dell’iniziativa formativa4. Soggetti a cui sono rivolti i corsi5. Contenuti del programma formativo (materie)

Per quanto riguarda i paesi che sono stati presi in considerazione, è opportuno puntua-lizzare che si è stabilito di analizzare l’offerta formativa di entrambi i continenti rappresen-tati nel progetto, ma non di tutti i paesi dei due continenti in questione. Inoltre, nell’analisiè stata inserita anche la Francia, paese che ospita il Forum Europeo sulla Sicurezza Urbana,partner della nostra iniziativa.

D’altro canto è utile ricordare che, ovviamente, nel presente lavoro viene illustratal’offerta formativa su cui siamo stati in grado di ottenere informazioni fino a questo mo-mento; in futuro sarà comunque possibile aggiungere dati relativi alle iniziative di forma-zione di altri paesi che fanno parte del progetto (l’Ecuador, ad esempio) o ampliarequelli già riportati.

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2. EUROPA

Il Forum Europeo sulla Sicurezza Urbana, organismo che riunisce vari governi locali eu-ropei con l’obiettivo di promuovere la prevenzione e il controllo della criminalità, ha

attivato, a partire dal marzo 2005, una Rete di Formazione sulla Sicurezza Urbana in Europa.Tale Rete si propone di superare le difficoltà che ostacolano lo sviluppo di diplomi europeimediante l’istituzione di un Master Europeo in sicurezza urbana organizzato dai partner dellaRete in collaborazione con alcuni enti impegnati nel settore della formazione e con alcuneuniversità.

Inoltre, una partnership formata dallo stesso Forum Europeo, dall’Università di Borgo-gna (Dipartimento di Sociologia), dal Gruppo Kheolis e dalla città di Digione ha attivato unMaster Professionale in “Management della sicurezza urbana in Francia e in Europa”.

Il corso si propone di:

� sviluppare un approccio multidisciplinare e sistematico per la sicurezza cittadina� sviluppare una prospettiva integrale e cooperativa per affrontare questo tema� delineare e rendere operativa la figura del “manager della sicurezza cittadina”

Il corso è rivolto a persone che già si occupano di sicurezza urbana (per le quali saràquindi un corso di formazione continua) sia in qualità di attività principale (presso i comu-ni o le altre istituzioni di governo locale in Francia, presso enti pubblici, privati o misti, inassociazioni eccetera), sia come attività complementare (ad esempio consulenti, docenti,ingegneri o architetti che operano nel campo della sicurezza). Il corso è aperto anche astudenti che abbiano frequentato un Master della durata minima di un anno nel campo del-le scienze sociali.

Il Master Professionale ha la durata di un anno e prevede una parte in aula e un periododi stage. Il programma si articola intorno a tre macro-moduli:

� “La città”: il modulo si propone di offrire una lettura multidisciplinare del fenomenourbano e della sua crisi relativa, inserendo la città nella sua dimensione storica, cul-turale, politica ed economica;

� “La sicurezza: un problema dello Stato e della società civile”: in questo modulo ven-gono illustrati i fondamenti e le condizioni per l’attuazione di una politica di sicurez-za partecipativa e democratica, anche attraverso la comparazione delle varie politi-che ed esperienze europee al riguardo;

� “Lo sviluppo e la gestione di un approccio integrale e partecipativo alla sicurezzacittadina”: il modulo è incentrato sulle modalità di coinvolgimento dei diversi attoriurbani, di coordinamento delle azioni intraprese e di sviluppo e organizzazione dellapartnership.

Sulla base dei dati di cui il progetto dispone, la Francia è senza dubbio il paese euro-peo in cui l’offerta formativa in materia di sicurezza cittadina è maggiormente sviluppata.Probabilmente ciò è dovuto al fatto che questo paese vanta una lunga tradizione inquanto a politiche di sicurezza cittadina (sia a livello locale che nazionale); parallelamen-te, anche la professionalizzazione degli operatori incaricati di applicare queste politicheè, di conseguenza, molto evoluta. Sebbene esista in Francia un ampio ventaglio di figureprofessionali che si occupano di sicurezza cittadina con punti di vista differenti e diversiruoli istituzionali, è evidente che il “coordinatore o responsabile per la sicurezza a livello

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37Capitolo 3. • Analisi dell’offerta formativa •

locale” appare come una figura a sé stante, a cui si vuole offrire una formazione specificae un percorso professionale ben definito.

L’offerta formativa francese è impartita da una serie di enti, tra i quali menzioniamo, atitolo esemplificativo, l’Institut National des Hautes Etudes de Sécurité (INHES) che, incollaborazione con l’Università René Descartes – Paris V sta sviluppando due diplomiuniversitari in materia di sicurezza. Il primo di essi si intitola “Politiche e dispositivi di sicu-rezza territoriale”, ed è quello che più esplicitamente mira a creare professionisti in que-sto campo; il corso si pone l’obiettivo di trasmettere competenze teoriche e pratichequalificate in materia di elaborazione, attuazione e sviluppo di progetti locali di sicurezzapubblica e prevenzione della delinquenza. In particolare, il diploma punta a migliorarel’efficacia e a potenziare lo sviluppo dei contratti locali di sicurezza (CLS), e si rivolge adirigenti dell’amministrazione pubblica territoriale, responsabili municipali della sicurez-za cittadina, dirigenti di grandi aziende del trasporto urbano (molto attive in Francia inquesto campo), eccetera. La durata del corso è di 156 ore, e il programma prevedeun’introduzione generale sui temi della città e delle politiche di coesione sociale, per poiconcentrarsi su aspetti più specifici, tra cui:

� riconoscere e sfruttare le risorse di una partnership interistituzionale� attivare, monitorare e valutare un programma locale di sicurezza� instaurare, gestire e saper adattare politiche di prevenzione e di pubblica sicurezza� gestire lo spazio urbano per favorire la sicurezza cittadina

Il secondo diploma universitario attivato dall’INHES in collaborazione con l’Universi-tà René Descartes – Paris V si intitola “Ingegneria dei rischi: sicurezza nelle aziende, nelleorganizzazioni e nelle collettività territoriali”, e si pone l’obiettivo di formare professionisticapaci di analizzare i rischi e i pericoli in generale, e di utilizzare gli strumenti di preven-zione e limitazione degli stessi, fornendo le competenze necessarie per la gestione dellecrisi. Il corso si rivolge sia a studenti che a professionisti e ha una durata di 430 ore, conuno stage di tre mesi. Il programma prevede l’insegnamento di competenze inerenti nonsolo il “rischio criminalità”, ma anche altri rischi, ad esempio quelli ambientali, del terri-torio o tecnologici.

Anche il Master organizzato dall’INHES in collaborazione con l’Université de tecno-logie di Troyes e intitolato “Ingegneria e management della sicurezza globale applicata” sibasa su un approccio simile. Il programma formativo si articola intorno a tre temi fon-damentali:

� sicurezza delle persone e dei beni� sicurezza degli spazi pubblici, economici e industriali� sicurezza dei sistemi, delle reti e delle infrastrutture

L’Università di Tolosa, tra gli altri corsi, offre un Diplôme d’Etudes Supérieures Spéciali-sées (DESS) in “Sicurezza, polizia e società”, della durata di un anno, e un Diplôme d’EtudesApprofondies (DEA) su “Autorità territoriali, politica e sicurezza interna”.

La Facoltà di Diritto e Scienze Politiche dell’Università di Diritto, Economia e Scienze diAix-Marseille, da parte sua, offre un DESS in «Lotta contro la delinquenza e la devianza», del-la durata di un anno.

In generale, questi master universitari sono rivolti sia a studenti laureati che desidera-

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no una qualifica più specifica, sia a professionisti già attivi nel settore che vogliono appro-fondire le proprie competenze in materia di criminalità e di prevenzione e gestione dellacriminalità.

Oltre a questi master universitari, che sono più strettamente rivolti ai professionisti in-caricati di mettere in atto progetti in materia di sicurezza, e che non rappresentano comun-que la totalità dell’offerta formativa francese, già di per sé molto ampia, vi sono in Franciaalcune istituzioni che offrono corsi di formazione non universitari, di breve durata (alcunigiorni) e destinati a personale tecnico o, in alcuni casi, a politici. Il sopraccitato istituto IN-HES organizza sessioni nazionali o regionali di studio per alti dirigenti pubblici nell’ambitodella pubblica sicurezza, professionisti, giudici, politici eccetera. Il Forum francese per la si-curezza urbana, da parte sua, organizza diverse giornate durante l’anno su vari temi, masempre inerenti alla gestione della sicurezza a livello locale. La prestigiosa Ecole Nationaled’Administration (ENA), oltre a un Master specializzato in gestione dei rischi sul territorio, cheaffronta il tema del rischio criminalità, offre anche, all’interno dei cicli di formazione specia-lizzata internazionale, un master incentrato su “Libertà pubbliche e sicurezza interna”.

Per quanto concerne la Spagna, disponiamo di informazioni circa un Corso superiore dispecializzazione in direzione della sicurezza cittadina a livello locale dell’Università Carlos III diMadrid, corso che dedica particolare attenzione alle competenze di gestione direttiva e di-rezione strategica dei futuri responsabili della sicurezza nelle città.

L’Università Autonoma di Barcellona, attraverso la Scuola di Prevenzione e Sicurezza In-tegrale, offre alcuni corsi in qualche modo legati al tema di cui ci occupiamo, anche se ge-neralmente questo legame non è immediato. Troviamo, quindi, una Laurea in Prevenzione esicurezza integrale che, articolata in tre corsi, fornisce competenze circa l’intera gamma dipericoli che minacciano la vita sociale, dai rischi coperti dalle assicurazioni fino al rischio diincendio, toccando anche il tema criminalità (ma senza dedicarsi esclusivamente a questoaspetto). Tra i corsi di formazione continua offerti dalla medesima Scuola troviamo, inoltre,un Corso postlaurea in Prevenzione dei rischi nelle comunità, mediazione e risoluzione dei conflit-ti e interventi collettivi per affrontare i rischi (violenza di genere eccetera).

L’Italia presenta una situazione che sta evolvendo in direzione di un’offerta formativapiù ampia. Per quanto riguarda il governo e le istituzioni, è opportuno menzionare l’espe-rienza della Regione Toscana che, fin dal 2002 (esperienza ripetuta nel biennio 2004-2005) e in collaborazione con le Università di Firenze, Pisa e Siena, organizza un’iniziativaformativa rivolta a dirigenti e funzionari delle amministrazioni locali regionali tra le cui re-sponsabilità figurino il coordinamento e/o lo sviluppo di politiche locali di sicurezza citta-dina. Il corso è suddiviso in tre aree tematiche: sociologia, criminologia e politiche pubbli-che, attorno alle quali si sviluppano tre macro-moduli didattici.

La Regione Emilia Romagna nel 1997 ha organizzato un primo corso per “Coordinatoridi politiche locali in materia di sicurezza urbana”, a cui hanno preso parte studenti prove-nienti dalla regione e da tutta Italia.

Il Forum italiano per la sicurezza urbana, nel 2004, ha organizzato un corso di formazio-ne migliorando e, sotto certi aspetti, ampliando il precedente corso offerto dalla Regione,ma basandosi, in definitiva, sui medesimi contenuti formativi. In realtà, questi corsi si sonoincentrati principalmente sulle competenze di tipo sociologico, giuridico, urbanistico escientifico-metodologico, evidenziando delle lacune in quanto agli aspetti legati al mana-gement e alla gestione di progetti, risorse e politiche. Attualmente il Forum, in collabora-zione con la Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” organizzaun Master in Management delle Politiche Integrate di Sicurezza, che fornisce agli studenti

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39Capitolo 3. • Analisi dell’offerta formativa •

competenze in materia di comunicazione, progettazione, gestione e valutazione dei pro-grammi, tecniche e strumenti di diagnosi e di prevenzione della criminalità quotidiana ur-bana e fenomeni simili. Il Master è rivolto a studenti laureati.

Per quanto concerne, invece, il panorama universitario, oltre alla già citata collaborazio-ne delle università toscane con la regione, menzioniamo l’Università Cattolica del SacroCuore di Milano, che organizza un Corso di Laurea Magistrale (specialistica) in Criminalità eSicurezza, della durata di due anni, che si propone di sviluppare capacità di analisi dei pro-blemi legati alla criminalità e alla percezione di insicurezza, e di formare professionisti ca-paci di scegliere gli strumenti più adatti per affrontare i problemi e valutarne l’impatto. Ilcorso è aperto a laureati in sociologia o discipline affini. La stessa università organizza, incollaborazione con la Regione Lombardia e Transcrime (Centro interuniversitario di ricer-ca) un Master Universitario in Sicurezza Urbana, della durata di un anno, che, oltre a con-templare uno stage presso istituzioni pubbliche e aziende private di grande rilievo naziona-le, si pone l’obiettivo specifico di sviluppare nei frequentanti competenze per lo sviluppo dinuove professionalità nella gestione di progetti di sicurezza urbana, e di consolidare quellegià esistenti nel settore. Il corso è rivolto non solo a laureati, ma anche al personale dellapubblica amministrazione e a dipendenti di aziende private tra le cui responsabilità figurinoprogetti di sicurezza.

Infine, l’Università di Modena e Reggio Emilia ha attivato un Master in Politiche della Sicu-rezza Urbana che si propone di formare specialisti in quest’ambito e si rivolge a laureati ita-liani e stranieri in Diritto, Scienze Politiche, Economia e Sociologia. Della durata di un anno,questo Master ha un orientamento prettamente scientifico, in cui scarseggiano le compe-tenze di carattere gestionale.

3. AMERICA LATINA

In Colombia la città di Bogotà, particolarmente attiva sul versante sicurezza, ha or-ganizzato nel periodo 1995-2003 un corso di formazione complementare rivolto

alla Polizia Metropolitana su “Convivenza e sicurezza cittadina”: si è trattato di una vera no-vità in Colombia, paese in cui le forze dell’ordine solitamente ricevono una formazione al-l’interno delle loro scuole. Tra i vari obiettivi, il corso di formazione e aggiornamento per imembri della polizia metropolitana si proponeva di “qualificare le competenze teoriche epratiche dei poliziotti in quanto persone, membri di una famiglia, cittadini e dipendentipubblici responsabili della formazione dei cittadini”; più in dettaglio, il progetto mirava a:a) rafforzare l’autostima dei partecipanti; b) sviluppare le abilità comunicative; c) pro-muovere la riflessione etica sull’azione delle forze di polizia; d) fornire elementi teorici,concettuali e metodologici volti a stimolare la percezione della sicurezza e della conviven-za come servizi pubblici e come costrutti sociali in contesti specifici. Le principali materiedi studio erano:

� diritti umani� gestione e soluzione dei conflitti� convivenza e sicurezza cittadina� polizia locale� valori universali e istituzionali� assistenza all’utente

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� etica della polizia� stato sociale e di diritto; Diritto di polizia� gestione pubblica applicata alla convivenza e alla sicurezza cittadina (coordinamen-

to interistituzionale, partecipazione della cittadinanza)

Il corso era rivolto ai membri della Polizia Nazionale (per i gradi di ufficiale, dirigente,sottufficiale e agente). In ogni periodo amministrativo è stato possibile formare oltre 5000persone, per un totale di 16.200 membri della Polizia Metropolitana.

Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, attraverso il Progetto Regionale diGovernabilità Locale per l’America Latina e in collaborazione con l’Università Externado deColombia ha svolto, nel mese di ottobre del 2006, un Diploma in Convivenza e Sicurezza Cit-tadina. Il corso si rivolge ai responsabili delle politiche pubbliche di convivenza cittadina dienti nazionali, regionali e locali di tutta l’America Latina, ma anche ai soci o ai dipendenti diorganizzazioni non governative, organizzazioni sociali, enti di cooperazione, e, in generale,a coloro che si occupano di organizzare, mettere in atto e valutare programmi e progetti diriduzione della criminalità e della violenza urbana. Concepito secondo un modello dinami-co che riunisce lezioni frontali tenute da esperti nazionali e internazionali e seminari di ana-lisi su casi specifici, questo Diploma si pone l’obiettivo fondamentale di offrire un program-ma accademico multidisciplinare che consenta agli studenti di disporre di strumenti dianalisi dei fenomeni della criminalità e della violenza nelle città, ma anche di individuare edelaborare politiche pubbliche volte a prevenire e ridurre tali fenomeni.

In Argentina l’Università Nazionale di Lanús offre un Corso di Laurea in Sicurezza cittadi-na, che abilita gli studenti all’esercizio della professione presso enti pubblici che si occupanodi sicurezza, ministeri nazionali e regionali, presso i dipartimenti municipali di Sicurezza, Giu-stizia e Governo e presso aziende private. I laureati acquisiscono competenze che consento-no loro di operare nel campo della diagnosi, della consulenza, della valutazione e dell’inse-gnamento. I contenuti didattici si articolano in 35 materie di insegnamento, andando a co-stituire un corso ricco e variegato di contenuti necessario per uno studente universitario.

Un altro Corso di Laurea in Sicurezza è erogato dall’Università di Morón, e comprendeuna molteplicità di materie che vanno dalla Criminalistica alla Sicurezza Privata, dalla Sicu-rezza Bancaria alla Ricerca Scientifica sul Luogo del Reato, dalla Sicurezza Industriale allaPolitica Criminale.

La Facoltà di Psicologia dell’Università di Aconcagua, invece, offre un Corso di Laurea inSicurezza Cittadina della durata di due anni, rivolto a persone già in possesso di una specia-lizzazione in Pubblica sicurezza conseguito presso una scuola o un istituto superiore di Po-lizia (istruzione di terzo livello). Il Piano di Studi mira a fornire ai laureati competenze diprevenzione e dissuasione del reato, indagine e repressione, gestione di situazioni quali ca-tastrofi, conflitti di massa ed emergenze sociali, progettazione di sistemi e programmi di si-curezza pubblica e privata, organizzazione e direzione di istituti pubblici o privati, direzionedi gruppi comunitari, partecipazione a progetti di ricerca e proposte di lavoro in materia dipolitica criminale, eccetera.

Nell’offerta didattica dell’Università del Salvador troviamo una Specializzazione in Ammini-strazione e Diritto della Pubblica Sicurezza. Per accedervi è necessario avere conseguito unaLaurea in Scienze Politiche, Amministrazione, Economia o Diritto. Se si è in possesso di un ti-tolo di studio diverso, è comunque possibile accedere al corso purché si dimostri di posse-dere un’esperienza professionale nel campo oggetto degli studi specializzati. Il piano di stu-di comprende le seguenti materie: Amministrazione della sicurezza, della sicurezza in luoghipubblici e informatica, Diritto della sicurezza cittadina, Fondamenti di pubblica sicurezza.

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41Capitolo 3. • Analisi dell’offerta formativa •

Infine, l’Università Cattolica di Salta offre un Diploma Post-Laurea in Sicurezza e risoluzio-ne dei conflitti della durata di 654 ore ripartite su due anni. Il corso è rivolto a professioni-sti universitari la cui carriera sia attinente alle tematiche affrontate (avvocati, laureati in si-curezza, scienze politiche, sociologia eccetera), ad ufficiali delle Forze Armate o di Sicurez-za, a dipendenti pubblici con responsabilità nei settori della sicurezza o della giustizia, maanche a tutti coloro che desiderano una qualifica che consenta di pianificare, attuare e va-lutare progetti di interesse istituzionale, nazionale, provinciale o municipale inerenti al te-ma sicurezza.

In Brasile il Comune di Diadema ha avviato, nel luglio del 2006, un Programma di Sicu-rezza e Istruzione aperto a tutti grazie all’istituzione di un Centro Multimediale; il program-ma si propone di approfondire la formazione e la qualificazione dei soggetti che si occupa-no di sicurezza tramite Internet. I Corsi sono sovvenzionati dalla Segreteria Nazionale diPubblica Sicurezza del Ministero della Giustizia (Senasp) e dall’Accademia Nazionale di Po-lizia, e vengono erogati con la collaborazione dell’Amministrazione Municipale. Si tratta didodici corsi, specificamente: “Preservazione del luogo del delitto”, “Violenza, criminalità eprevenzione”, “Salute o malattia”, “Ricerca e cattura”, “Lotta contro il riciclaggio di denaro”,“Formare i formatori”, “Uso delle informazioni”, “Uso progressivo della forza”, “Diritti uma-ni”, “Donne vittime di violenza”, “Traffico di esseri umani” (quest’ultimo in collaborazionecon l’Organizzazione Internazionale del Lavoro) e “Rafforzamento delle strategie di lottacontro la tratta di esseri umani finalizzata allo sfruttamento sessuale”.

Il Centro Studi sulla Criminalità e la Sicurezza Pubblica (CRISP) dell’Università Federaledi Minas Gerais organizza un corso per Analisti del crimine articolato in due moduli, Geoela-borazione e analisi del crimine e Uso delle statistiche descrittive nell’analisi dei reati, e uncorso di Prevenzione territoriale del crimine e della violenza (con la collaborazione del Gover-no dello Stato di Minas Gerais e del Progetto FicaVivo), volto ad offrire ai partecipanticompetenze teoriche e pratiche per la pianificazione, la gestione e il controllo di politiche eprogrammi locali di prevenzione del crimine e della violenza, con l’obiettivo di formare diri-genti locali esperti in quest’ambito. Quest’ultimo corso è riservato al personale della Se-greteria di Difesa Sociale dello stato di Minas Gerais e di diversi comuni del territorio diquesto stato. Inoltre, il CRISP eroga un Corso di specializzazione in studi sulla criminalità e lapubblica sicurezza per membri della polizia civile e militare, professionisti dell’amministra-zione pubblica, studenti di master e professionisti, strutturato in due moduli. Il primo pre-vede un approccio teorico ad una serie di temi: la giustizia penale, le varie prospettive so-ciologiche legate alla violenza e alle cause dei reati, i modelli organizzativi delle forze del-l’ordine all’estero, i meccanismi di controllo dell’attività delle forze dell’ordine, i diritti uma-ni, la polizia locale e la criminalità organizzata. Il secondo modulo è invece incentrato suaspetti legati alla ricerca in materia di criminalità.

L’ONG Viva Rio, sostenuta dall’Open Society Institute e in collaborazione con FUNAR(Argentina), CRISP (Brasile), FLACSO (Cile), MILENIO (Colombia) e INSYDE (Messico)sta organizzando un corso della durata di una settimana per membri delle forze dell’ordinedi diversi paesi dell’America Latina, il cui obiettivo consiste nella creazione di una rete disoggetti latinoamericani che possano partecipare e contribuire al dibattito sulla riformadelle forze di polizia. L’iniziativa è rivolta a poliziotti “in possesso di un titolo accademico odi livello universitario, autori di progetti o pubblicazioni inerenti all’attività professionale,che abbiano sviluppato prassi di polizia pubblicamente riconosciute come rilevanti e inpossesso di un ottimo curriculum professionale”. L’originalità del corso, tuttavia, sta nel re-

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quisito che ciascun candidato, al momento della presentazione della propria candidatura,sottoponga un “caso” che verrà successivamente analizzato durante il corso stesso. Per“caso” in questo contesto si intende un’esperienza che rappresenti uno “spunto di rifles-sione”: può trattarsi di iniziative dall’esito positivo, promettenti ma anche fallimentari osospese, purché innovative; sempre, però, nel rispetto dei principi democratici e dei dirit-ti umani.

Forse il paese dell’America Latina che offre maggiori possibilità in termini di formazionesui temi centrali del nostro progetto è il Cile.

L’Università Alberto Hurtado organizza un Diploma in Sicurezza Cittadina che mira adoffrire un quadro di riferimento concettuale e metodologico per lo sviluppo di una com-prensione integrale del fenomeno della delinquenza e delle condotte antisociali, e a svi-luppare un quadro strategico per l’intervento e la coproduzione della sicurezza; inoltre, ilcorso prevede l’applicazione delle prospettive e degli strumenti appena descritti a pro-blematiche concrete della realtà cilena. È rivolto a persone in possesso di un titolo pro-fessionale o accademico e/o con esperienza in materia di sicurezza cittadina, che vieneappurata mediante un colloquio con il Direttore del Programma. Articolato in quattro se-zioni, il programma di studi comprende: teorie criminologiche e sociologiche della delin-quenza e strumenti per la prevenzione e il controllo di questo fenomeno; politiche pub-bliche di sicurezza cittadina in Cile; nozioni sul funzionamento dell’ordinamento giudizia-rio penale (anche in relazione al tema centrale del corso di studio); convivenza e integra-zione sociale nella città. È previsto lo svolgimento di laboratori pratici a scelta dei fre-quentanti incentrati su temi specifici come la violenza intrafamiliare, la violenza nellescuole, la gestione dei luoghi pubblici, la prevenzione sociale della delinquenza giovanile,gli stupefacenti o i quartieri marginali.

Il Centro Studi sulla Sicurezza Cittadina dell’Università del Cile offre diverse proposteformative: un Diploma Post-Laurea in “Prevenzione e politiche pubbliche di sicurezza cittadina”,rivolto a professionisti e laureati che desiderano approfondire questo tema o che sono di-pendenti dell’amministrazione centrale o locale o delle forze dell’ordine, funzionari pubbli-ci, membri della Defensoría Penal Pública (ufficio pubblico di difesa penale), della Gendar-meria del Cile, ma anche del potere giudiziario, di ONG e istituzioni accademiche. Delladurata di 85 ore, il diploma si propone specificamente di analizzare la situazione dei reati inAmerica Latina e in Cile attraverso le principali concezioni criminologiche, illustrare le piùdiffuse metodologie di rilevazione dei dati relativi alla delittuosità, approfondire aspetti le-gati all’elaborazione, attuazione e valutazione delle politiche pubbliche di prevenzione econtrollo della criminalità e delle strategie preventive più efficaci. Il programma didatticodel corso è articolato in tre macro-moduli: “Fondamenti e metodologie di gestione nell’am-bito della sicurezza cittadina”, “Prevenzione e risposte sociali di fronte al reato” e “Il con-trollo della criminalità (polizia e processo penale)”.

Il Centro mette in atto, inoltre, il progetto di investimento regionale denominato “For-mazione per Programmi Comunali di Sicurezza Cittadina”, in virtù dell’accordo firmato tral’Istituto di Affari Pubblici dell’Università del Cile e il Governo Regionale della Regione Me-tropolitana di Santiago. L’obiettivo di questo progetto consiste nel rafforzare l’elaborazio-ne e l’implementazione di Programmi comunali di Sicurezza Cittadina come strategia inte-grale per affrontare questa problematica. Il CESC fornirà consulenza alle équipe tecniche di16 comuni della Regione Metropolitana nell’elaborazione di Diagnosi Locali e progetti co-munali di sicurezza cittadina, si occuperà della formazione delle équipe tecniche di 8 comu-ni sui temi legati all’azione locale in materia di sicurezza cittadina e per quanto concerne la

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43Capitolo 3. • Analisi dell’offerta formativa •

preparazione per partecipare al programma Comuna Segura Compromiso 100 (ComuneSicuro Impegno 100); infine, fornirà un servizio di consulenza alla sua controparte tecnica,la squadra di tecnici dell’Intendenza della Regione Metropolitana, per individuare le areeterritoriali su cui concentrare gli interventi di controllo e prevenzione della criminalità.Questa consulenza comprende l’elaborazione di misure di prevenzione e controllo dellacriminalità che dovranno essere messe in atto dal Governo Regionale in collaborazione coni municipi, i Carabinieri del Cile e il Ministero dell’Interno.

L’Università Tecnologica metropolitana offre un Master in Politiche pubbliche e sicurezzacittadina, che si propone di formare specialisti con un profilo scientifico e analitico, in gra-do di ideare e applicare politiche pubbliche di sicurezza cittadina. Il corso dura quattro se-mestri, e il curriculum formativo comprende materie legate alle teorie sulla delinquenza, al-la prevenzione dei reati e della violenza, alle politiche pubbliche in generale, alle politichesettoriali e di sicurezza cittadina, alla direzione politica e strategica e alla valutazione deiprogetti. Il Master è rivolto a persone in possesso di un titolo professionale o un titolo distudio accademico in qualsiasi disciplina.

La Facoltà di Architettura, Urbanistica e Paesaggio dell’Università Centrale del Cile or-ganizza un Diploma in Gestione e progettazione dello spazio pubblico per la sicurezza cittadina,rivolto in maniera particolare a professionisti, tecnici o accademici che si occupano della ri-qualificazione degli spazi pubblici, e della progettazione e messa in atto di programmi di ri-duzione della delinquenza urbana, oppure al personale degli enti locali responsabili dellapianificazione urbana. Il corso è della durata di 90 ore, e la didattica è organizzata secondotre moduli: fondamenti di diritto penale in Cile, strategie di prevenzione della criminalità inCile ed elaborazione di politiche per l’utilizzo degli spazi pubblici.

4. CONCLUSIONI

Dal presente lavoro di analisi emergono alcune conclusioni piuttosto evidenti.Analizzando in termini generali lo sviluppo che il tema “formazione” sta raggiun-

gendo in tutti i continenti, ci troviamo senza dubbio di fronte ad un grande fermento diiniziative in America Latina, soprattutto se si considera che il tema della sicurezza cittadi-na, in un’accezione più ampia rispetto ai concetti di sicurezza nazionale e difesa interna,in questa regione ha acquisito importanza in qualità di disciplina specifica solo in tempipiuttosto recenti, e comunque in un periodo successivo rispetto a quanto è accaduto inEuropa. Da un confronto generale con il Vecchio Continente, quindi, sebbene non sitratti di un compito facile, sembra che in America Latina il tema della formazione goda diuna maggiore vitalità. Le realtà che danno origine, in ciascun paese della regione, a que-sta proliferazione di attività formative sono estremamente variegate e legate ai diversicontesti economici, sociali e culturali di ciascun paese. Tuttavia è opportuno evidenziarequella che forse è la principale caratteristica che differenzia la situazione latinoamerica-na da quella europea: vari organismi internazionali, regionali o mondiali (la Banca Intera-mericana dello Sviluppo, l’ONU attraverso il Programma delle Nazioni Unite per lo Svi-luppo, eccetera) già da tempo stanno investendo risorse proprie nel campo della sicu-rezza cittadina; in questo modo, stanno spingendo le varie realtà locali ad adottare poli-tiche e, conseguentemente, ad erogare programmi di formazione istituzionali rivolti alpersonale incaricato di metterle in atto.

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• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

In Europa (limitatamente ai paesi che hanno preso parte al progetto, come già abbiamopuntualizzato nella premessa) è la Francia il paese in cui l’offerta formativa è maggiormentesviluppata già da tempo. Si nota comunque un’evoluzione positiva in Italia, dove, in seguitoalla riforma universitaria, alcune università hanno organizzato master specifici sul tema del-la sicurezza, e dove anche alcune amministrazioni regionali si stanno attivando con iniziati-ve in quest’ambito.

Per quanto concerne le istituzioni che erogano i corsi di formazione qui catalogati, si rile-va che in America Latina gli organismi attivi in questo senso sono le università (private o sta-tali). L’offerta, pertanto, si articola in corsi di laurea, diplomi o master (con netta preponde-ranza di questi ultimi). Non mancano corsi realizzati con la collaborazione di altre istituzioni(ad esempio si veda l’esperienza di Bogotà, o, sempre in Colombia, il Diploma dell’Universi-tà Externado organizzato con la collaborazione del Programma delle Nazioni Unite per loSviluppo – Progetto Regionale di Governabilità Locale per l’America Latina); inoltre, vi sonoseminari organizzati da ONG o enti simili (ad esempio Viva Rio in Brasile, Funar in Argentinaeccetera). La dimensione universitaria rimane, ad ogni modo, quella prevalente.

In Europa la situazione è più variegata, sebbene l’università rivesta un ruolo importanteanche in questo caso. Accanto all’offerta accademica (particolarmente ricca in Francia, co-me si è potuto notare, e, in misura minore, in Italia) si rileva la presenza di organismi nazio-nali o internazionali che, in maniera autonoma o in collaborazione con le università, hannosviluppato iniziative formative. In questo senso citiamo l’esempio del Forum europeo per lasicurezza urbana che, tra le varie attività che svolge, agisce come catalizzatore della colla-borazione tra i vari paesi del continente per svariati progetti nel settore della sicurezza; a li-vello di paese, è opportuno menzionare l’azione dei vari Forum nazionali per la sicurezzaurbana, o di realtà come l’Istituto INHES in Francia, che dipende dal Ministero dell’Interno.Diversamente da quanto accade in America Latina, è possibile notare una maggiore pre-senza degli organismi di governo locale in qualità di organizzatori delle varie iniziative for-mative, soprattutto in Italia.

La preponderanza o meno delle istituzioni universitarie influisce, tra gli altri aspetti, sultipo di formazione che si eroga. In effetti, l’offerta universitaria è prevalentemente costitui-ta da Corsi di Laurea, Diplomi e Master (si nota l’assenza, in entrambi i continenti, di dotto-rati di ricerca in materia), mentre gli altri organismi offrono principalmente seminari o gior-nate di studio. Ad ogni modo è interessante sottolineare che, in generale, l’offerta formati-va è rivolta a soggetti in possesso di un titolo universitario (ovviamente, non nel caso diCorsi di Laurea) o affine, con un vasta esperienza nel settore o che, comunque, possegga-no un livello di istruzione sufficiente.

Nella maggior parte dei casi analizzati, e fatta eccezione per i Corsi di Laurea, la for-mazione è caratterizzata dalla “specializzazione”: in altre parole, presuppone un percor-so lavorativo pregresso nel campo, oppure un titolo accademico che abbia fornito le ba-si teoriche necessarie alla comprensione dei temi specifici affrontati in questo livello distudi superiore.

Per quanto concerne i contenuti delle iniziative di formazione, in generale, in molti deicasi analizzati predomina il profilo scientifico-accademico non immediatamente professio-nalizzante. Anche nel caso dei Master o dei Diplomi ci troviamo in molti casi di fronte a untipo di formazione che, fondamentalmente, riproduce molti dei contenuti didattici dei cor-si di laurea, e replica anche il metodo accademico basato sulla lezione frontale. Pertanto, sitratta di una formazione specialistica nel senso di un approfondimento dei contenuti di ba-se (sociologia, diritto penale, criminologia, eccetera), ma non nel senso di un insegnamen-

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to di competenze e tecniche immediatamente spendibili sul lavoro. Una formazione, in de-finitiva, che non può prescindere da una predisposizione preliminare del profilo professio-nale che attraverso di essa si desidera rafforzare, e che quindi è rivolta a un pubblico ampioe variegato: dallo studente che desidera proseguire gli studi universitari (futuri dottori di ri-cerca) al professionista responsabile dell’attuazione delle politiche pubbliche di sicurezza econvivenza.

Malgrado ciò, in numerosi casi, il programma di studi comprende materie, discipline ocompetenze strettamente legate al tema della sicurezza dei cittadini (ad esempio, statisticadella delittuosità, diagnosi locale della sicurezza, tecniche di prevenzione, gestione delle ri-sorse e dei progetti, eccetera) che invece risultano molto più spendibili nella pratica. Nonmancano, inoltre, master o diplomi incentrati su discipline che l’operatore può applicareconcretamente nella sua professione, e in cui il profilo strettamente accademico riveste unruolo secondario oppure è del tutto assente. In questi ultimi casi, quindi, le figure profes-sionali a cui si rivolgono le iniziative di formazione sono più nitide e specifiche, più legate algenere di professionalità che l’ambito della sicurezza cittadina offre sia in Europa che inAmerica Latina.

45Capitolo 3. • Analisi dell’offerta formativa •

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Capitolo 4.

Quali percorsiformativi

per i tecnicidella sicurezza

urbana

Roberto Arnaudo

Associazione AmapolaTorino - Italia

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47Capitolo 4. • Quali percorsi formativi per i tecnici della sicurezza urbana •

1. PREMESSA

L’obiettivo di questo capitolo è fornire, all’interno del quadro concettuale e valoria-le precedentemente esplicitato, un sostegno metodologico a tutti coloro che so-no impegnati, a vario titolo, nella progettazione di percorsi formativi in materia di

sicurezza urbana rivolti a personale dirigente della pubblica amministrazione. Queste note non hanno un intento prescrittivo, ma lo scopo di individuare gli elementi im-

portanti, da un punto di vista sia valoriale che tecnico, a partire dai quali ideare percorsi for-mativi in ambito di sicurezza urbana e, conseguentemente, fornire una serie di suggerimentied esemplificazioni su come affrontare l’elaborazione di proposte formative a livello locale.

Per elementi portanti intendiamo quegli aspetti, valoriali e tecnici, che costituiscono ilnucleo essenziale e caratterizzante delle competenze che un tecnico che abbia funzioni di-rigenti di politiche di sicurezza urbana negli enti locali deve avere. Competenze e riferimen-ti valoriali che, fondandone la sua professionalità, ne rafforzino il profilo e la possibilitàd’azione all’interno dell’ente locale.

L’obiettivo finale è quindi quello di predisporre uno strumento in grado non solo di for-nire un efficace sostegno agli operatori coinvolti, ma anche di contribuire a consolidareuna cultura della formazione tecnica superiore sul tema della sicurezza urbana che si fondisu una riflessione coerente e che costituisca il presupposto per offerte formative non im-brigliate da estemporanee istanze locali o strutturate in incoerenti sommatorie di moduli esaperi.

2. LA DEFINIZIONE DELLA FIGURA PROFESSIONALE

L’analisi dei fabbisogni professionali rappresenta la fase di maggiore criticità nel pro-cesso di elaborazione del percorso formativo. Tale azione riveste un ruolo strategico

nel processo di costruzione delle politiche formative, costituendo un passaggio obbligatoper la definizione di un’offerta coerente con i bisogni.

L’analisi dei fabbisogni costituisce solitamente il momento iniziale del processo di ela-borazione dell’offerta formativa, momento che svolge la funzione di fornire dati e informa-zioni necessarie alla progettazione dei percorsi.

L’analisi dei fabbisogni professionali viene effettuata con l’obiettivo di identificare le ri-chieste di professionalità specifiche riconducibili a determinate figure e di rendere possibi-le una progettazione formativa che tenga conto dell’evoluzione dei contesti in termini dicompetenze e professionalità che mutano.

L’attività seminariale svolta dal nostro progetto ha messo in evidenza come esistanomolteplici figure, con nomi e funzioni differenti, che esercitano un ruolo tecnico-politico diresponsabili delle politiche di sicurezza delle città.

In alcune città sono presenti figure con funzione di coordinamento e gestione delle po-litiche di sicurezza dell’ente. Esse possono essere indicate in diversi modi: coordinatori, se-gretari tecnici, “encargados de seguridad” o altro.

In altre città la figura del coordinatore non è presente e le competenze relative alle poli-tiche di sicurezza ricadono su più settori e uffici dell’amministrazione e quindi su più figureorganizzative.

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Sia nel primo che nel secondo caso esistono comunque all’interno degli enti comunali mol-teplici figure che detengono funzioni dirigenziali in materia di sicurezza urbana, come i dirigen-ti di polizia municipale, i responabili di programmi specifici, gli “encargados de trabajo interco-munales”, i dirigenti dei vari settori di politiche che hanno a che fare con il tema della sicurezzaurbana (politiche sociali, politiche educative, politiche di riqualificazione urbana, ecc.).

Peraltro quello che emerge dai seminari e dall’inchiesta realizzati nel corso del nostroprogetto è che, i bisogni professionali rilevati comprendono un insieme di funzioni di ge-stione e coordinamento intersettoriale e interistituzionale, di conoscenze tecnico-scientifi-che specifiche, di capacità di lavoro in équipe, di competenze in ambito comunicativo. Perqueste ragioni chi ha responsabilità di direzione in ambito di sicurezza urbana dovrebbedetenere competenze non solo per i molteplici aspetti che costituisco l’area strettamentesecuritaria, ma anche per i diversi temi che, pur rigardando la sicurezza dei cittadini, travali-cando su altri ambiti delle politiche sociali e urbane come l’educazione, la vivibilità, la qua-lificazione urbana, i trasporti, l’assistenza socio-sanitari.

Stiamo parlando quindi di una famiglia di figure polivalenti, che hanno a che fare consaperi plurimi che operano in contesti che richiedono grande flessibilità e adattabilità a si-tuazioni complesse sia dal punto di vista della domanda di sicurezza a cui si cerca di ri-spondere dal punto di vista organizzativo e istituzionale. Figure che debbono avere forte-mente a che fare con la progettazione complessa, l’implementazione e la valutazione deiprogrammi e progetti, l’integrazione strategica di interventi e politiche, il coordinamentointersettoriale, la cooperazione interistituzionale, il coinvolgimento di settori locali.

3. ANALISI DELL’OFFERTA FORMATIVA ESISTENTE

Dopo aver delineato il profilo dei fabbisogni professionali, il secondo step per la co-struzione di percorsi formativi coerenti è quello di verificare se le professionalità in-

dividuate dall’analisi settoriale non siano già soddisfatte dall’offerta formativa esistente aquesto livello.

La panoramica dell’offerta formativa tra i paesi coinvolti nel nostro progetto, contenutanel capitolo 3, evidenzia, senza pretese di esaustività, alcune criticità presenti nel panora-ma della formazione tecnico-specialistica sul tema della politiche di sicurezza urbana. L’of-ferta formativa esistente:

� pare avere un carattere prevalentemente accademico e non direttamente professio-nalizzante

� si basa soprattutto su metodologie formative tradizionali, prevalentemente basatesu lezioni frontali

� è rivolta a un pubblico non omogeneo, numeroso e variegato� non ha quasi mai la specifica finalità di rafforzare profili professionali definiti� non si fonda su una valutazione e scomposizione delle competenze dei profili pro-

fessionali a cui ci si rivolge� si struttura per moduli e discipline senza dirette finalità operative� non si pone l’obiettivo di rafforzare le competenze organizzative, gestionali e com-

portamentali� non sembra avere riferimenti centrali ed espliciti a una dimensione valoriale della tu-

tela democratica dei diritti e delle libertà dei cittadini

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49Capitolo 4. • Quali percorsi formativi per i tecnici della sicurezza urbana •

Questo sommario quadro d’insieme - che abbiamo elaborato a titolo esemplificativodi un’attività di ricerca dell’offerta formativa che riteniamo indispensabile per l’elabora-zione di proposte innovative - ci pone di fronte ai limiti complessivi della formazioneprofessionale in materia di sicurezza urbana che appare complessivamente disorganica eframmentaria e sostanzialmente non funzionale al rafforzamento delle competenze diquella famiglia di figure professionali di dirigenti delle amministrazioni locali a cui faccia-mo riferimento.

4. INDIVIDUAZIONE DELLE FIGURE PROFESSIONALI

Dopo aver definito i profili professionali di riferimento e esaminato l’offerta formativaesistente il passo successivo nell’elaborazione di percorsi formativi coerenti in ma-

teria di sicurezza urbana conduce alla scomposizione della figura professionale in una seriedi competenze che la caratterizzano, che potranno essere quindi tradotte in obiettivi for-mativi. In questo modo è possibile passare dal piano dell’analisi della figura professionale alpiano della strutturazione del percorso formativo.

In questi anni si sono sviluppati diversi approcci teorici, modelli e metodologie di inter-vento sulle competenze professionali e si è assistito ad una evoluzione del concetto stessodi competenza. Una di queste elaborazioni definisce le competenze professionali come l’in-sieme di saperi tecnici, ossia di saperi legati ad una determinata attività professionale, di ca-pacità di azione, cioè di capacità di risolvere creativamente e autonomamente le situazionidi lavoro non prevedibili e poco strutturate, e di capacità contestuali, che rendono l’indivi-duo in grado di adattare la propria competenza all’evoluzione del contesto professionale esociale.

Le competenze sono state anche definite anche come skill in context ponendo l’accentosul nesso tra le conoscenze e capacità dell’individuo e il contesto in cui vengono esercitate.In quest’ottica le competenze costituiscono il risultato di un continuo processo di costru-zione operato dalla persona in relazione all’ambiente. Per tale ragione le competenze sonocaratterizzate da una continua dinamicità, e per questo dovrebbero essere oggetto di unacontinua “manutenzione”.

Se escludiamo dal discorso le competenze di base che vanno considerate un presuppo-sto dato in percorsi formativi di livello superiore, si possono individuare due tipologie dicompetenze: le competenze tecnico-professionali costituite dai saperi e dalle tecniche funzio-nali alle attività operative e le competenze trasversali relative ai comportamenti professionalinon legati a saperi specifici dell’ambito sicuritario, ma a capacità comunicative, gestionali,relazionali, di problem solving, di negoziazione, necessarie per far sì che il sapere tecnico sitraduca in una prestazione lavorativa efficace.

Nella costruzione di percorsi formativi per dirigenti di politiche di sicurezza va quindioperata una scomposizione che identifichi:

� le competenze strettamente legate al tema della sicurezza dei cittadini così come sipresenta in ciascun contesto territoriale

� le competenze legate ad ambiti contigui e intersecanti il tema della sicurezza dei cit-tadini così come si presenta in ciascun contesto territoriale

� le competenze trasversali (manageriali e comportamentali) non legate ai saperi spe-cifici della sicurezza urbana intesa integrazione di politiche, interventi e soggetti inuna logica di governance

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Come evidenziato dalle attività di inchiesta svolte dal nostro progetto, l’ambito dellepolitiche di sicurezza urbana fanno riferimento ad una molteplicità di saperi tecnico-pro-fessionali che a loro volta fanno riferimento a molte discipline scientifiche.

Nella costruzione di specifici percorsi formativi la definizione di questi saperi non puòche essere aderente con i bisogni professionali derivanti dalle domande di sicurezza a livel-lo locale e con gli specifici profili professionali che si intendono formare tra i tanti che rien-trano nell’insieme delle figure tecnico-dirigenziali che si occupano di sicurezza urbana.

A figure professionali differenti (comandante di polizia locale, coordinatore delle politi-che di sicurezza, responsabile di progetto, dirigente nel settore delle politiche sociali, ecc.)corrisponderanno, in termini di saperi e tecniche, bisogni formativi parzialmente differenti.D’altra parte saperi e tecniche dovranno essere aderenti a particolari istanze locali che im-pongano come prioritari alcuni ambiti delle politiche di sicurezza rispetto ad altri.

A semplice titolo esemplificativo si può fare riferimento, senza alcuna ambizione diesaustività, ad alcuni macro-ambiti particolarmente rilevanti e tendenzialmente universali aidifferenti contesti e figure professionali:

� tecniche di ricerca sociale e di valutazione di politiche e interventi� competenze di progettazione e implementazione di progetti complessi� saperi e tecniche di conoscenza relativi all’ambito della prevenzione situazionale� saperi e tecniche relativi al problema delle prevenzione della devianza e della crimi-

nalità intesa nelle sue differenti accezioni: re-inserimento del reo e riduzione dellarecidiva, prevenzione della violenza inter-famigliare, prevenzione della devianza gio-vanile, ecc.

� saperi e tecniche relativi alla qualificazione urbana e della gestione degli spazi pub-blici

� saperi relativi a grandi fenomeni sociali connessi con la sicurezza urbana, come l’im-migrazione, la condizione della donna e le problematiche relative alla condizionegiovanile

Date le premesse che sono state poste, la definizione di dettaglio delle figure professio-nali non potrà quindi non avere una valenza plurisettoriale della figure professionali che de-riva da una delle loro caratteristiche specifiche: l’essere figure professionali specifiche(aderenti ad uno specifico settore e/o all’interno di quel settore di una specifica area tecni-ca di attività) e, al contempo, figure la cui capacità d’azione travalica in più aree di unostesso settore e/o in più settori.

Ma l’aspetto che ci pare di poter indicare come centrale e caratterizzante la competenzaprofessionale delle figure a cui facciamo riferimento, peraltro solitamente trascurata dal-l’offerta formativa esistente, riguarda la dimensione delle competenze trasversali e, in par-ticolare, le competenze di gestione della complessità organizzativa e amministrativa che lepolitiche di sicurezza urbana sembrano detenere più di altri ambiti delle politiche dell’entelocale.

Con il termine complessità si intende sia la causa dei fenomeni, sia la gamma e la trasver-salità delle interconnessioni o la possibilità di influenze reciproche dei diversi soggetticoinvolti.

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51Capitolo 4. • Quali percorsi formativi per i tecnici della sicurezza urbana •

La complessità rende più difficile stabilire definizioni univoche sulla natura delle politi-che di sicurezza, su diversi piani:

� sul piano epistemologico (nell’ambito del sapere) si può formulare l’ipotesi secondocui la sicurezza urbana è un campo del sapere che abbraccia diverse altre disciplinescientifiche (criminologia, sociologia, psicologia, urbanistica...), con una forte predi-sposizione all’azione pratica, ecc.

� sul piano cognitivo (dell’oggetto cognitivo specifico) le politiche di sicurezza riguar-dano macro-fenomeni diversi tra loro che a loro volta si riferiscono a una pluralità dicause, locali e globali, che prevedono il coinvolgimento di una grande molteplicità dielementi

� sul piano metodologico (della tecnologia operativa) le politiche di sicurezza abbrac-ciano diversi possibili approcci che “invadono” altri settori delle politiche pubbliche(in particolare le politiche socio-assistenziali, educative, di riqualificazione urbana),le funzioni di controllo (formale, informale, situazionale) del territorio e delle istitu-zioni citate

� sul piano organizzativo (delle competenze degli enti preposti a livello locale, regio-nale e nazionale) le politiche di sicurezza dipendono dal contesto istituzionale enormativo in cui sono inserite

Queste considerazioni di carattere generale permettono di identificare come campospecifico di azione del tecnico di sicurezza urbana non solo il caleidoscopio delle attività incui le politiche di sicurezza di volta in volta si possono concretizzare, ma anche l’integrazio-ne delle politiche e degli interventi dell’ente in un contesto che è l’ente stesso a definire sulpiano politico, con obiettivi specifici in materia di sicurezza urbana.

Il “tecnico” della sicurezza urbana dovrebbe costruire una sua competenza professiona-le, non solo per ottenere conoscenze specifiche sui problemi di sicurezza urbana e sulla di-versità empirica dei suoi compiti (ovvero in base a un criterio meramente amministrativo edi consuetudine), ma anche e soprattutto in rapporto a un modo specifico di pensare lasua azione pratica. In questo modo il suo sarebbe un approccio al sistema che, a partire daun contesto dato che definisce la finalità e le strategie delle politiche di sicurezza dell’ente,possa mirare al coordinamento di politiche e interventi che non siano una semplice sommadelle parti.

Sviluppare politiche integrate di sicurezza significa avvalersi di un’organizzazione e diuna prassi di lavoro in grado di evitare la settorializzazione delle competenze e delle profes-sionalità interne ed esterne alle amministrazioni locali. L’integrazione si definisce sostan-zialmente come la capacità di uscire dal proprio ambito per riflettere sul senso delle rispet-tive pratiche rispetto a obiettivi comuni e trasversali.

È un metodo applicabile anche ad altri aspetti delle attività delle amministrazioni locali,ma acquista maggiore valore in riferimento alla sicurezza urbana per ciò che in genere essacomporta sulla qualità di vita e sullo sviluppo della democrazia e del rispetto dei diritti fon-damentali.

In materia di sicurezza urbana l’integrazione comprende, in un’ottica di governance,più livelli:

� l’integrazione delle competenze nelle istituzioni pubbliche� l’integrazione organizzativa all’interno dell’apparato burocratico-amministrativo del-

l’ente locale

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� l’integrazione degli interventi� la partecipazione degli attori locali� la collaborazione con le forze di polizia e con l’apparato giudiziario (tenendo sempre

presenti le diverse competenze e responsabilità)

Il metodo/tecnica di lavoro sulla sicurezza si considera tale se riesce a concentrare l’in-terazione dei soggetti/attori sociali coinvolti nei problemi e le istituzioni responsabili dellaloro risoluzione, facendo leva sulle energie prodotte attraverso l’azione comune e globale ditutti gli attori.

Il tecnico delle politiche di sicurezza potrebbe quindi affiancare alla conoscenza specifi-ca della sicurezza urbana una serie di competenze metodologiche riferite al lavoro in rete,alla ri-definizione degli approcci e degli ambiti disciplinari in funzione dell’obiettivo sicu-rezza, al coordinamento/integrazione di attori e politiche su un punto di vista specifico.

Ogni punto di vista porta un diverso contributo, con modalità di osservazione, tecnichee obiettivi diversi. Chi ha funzioni dirigenziali nell’ambito delle politiche sulla sicurezza do-vrebbe quindi agire in una prospettiva operativa specifica rispetto alle questioni e ai pro-blemi dell’amministrazione locale, ma anche – e soprattutto – saper inserire realmente ladimensione della sicurezza nel contesto più ampio di politiche e interventi degli enti localie del loro rapporto con altre istituzioni e con i cittadini.

5. COMPETENZE PROFESSIONALIE OBIETTIVI FORMATIVI

Progettare il percorso partendo proprio dalla descrizione del ruolo e delle competen-ze professionali è certamente la modalità che rende più immediata ed efficace la tra-

duzione in chiave formativa dei bisogni individuati.La scomposizione in singole competenze professionali consente in primo luogo di

strutturare l’intero percorso formativo con modalità flessibili e modulari. Inoltre gli obietti-vi formativi vanno orientati all’acquisizione di competenze che devono poter essere spesein contesti lavorativi differenziati e questo è possibile se la progettazione formativa fa rife-rimento alla figura professionale in modo non rigido.

Questa considerazione valida per qualsiasi percorso formativo si voglia progettare, valetanto più nell’ambito delle politiche di sicurezza entro le quali, come è stato detto, nonpossibile individuare una figura specifica che opera entro cornici rigidamente determinate,bensì semmai una famiglia di figure che operano in ambiti differenti dell’amministrazione,ma che hanno tutti a che fare con il problema di contribuire alla costruzione di politichestrategicamente unitarie e coerenti, integrando la pluralità degli approcci, culture e inter-venti esistenti e dei settori ed enti competenti. Le competenze individuate devono averequindi, sia per quanto riguarda la componente tecnico-professionale che per quanto ri-guarda la componente trasversale/gestionale, una forte componente contestualizzata, le-gata cioè al contesto territoriale in cui si esplicano. Per questo, i momenti di formazioneteorica hanno continui richiami nell’attività pratica sul campo, in modo da attivare un pro-cesso di apprendimento che parte dall’esperienza concreta, utilizzando criteri di ricercaper la soluzione pratica delle singole situazioni problematiche.

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53Capitolo 4. • Quali percorsi formativi per i tecnici della sicurezza urbana •

Ogni modulo formativo, ogni competenza acquisita dovrà essere posta sempre in chiaraconnessione con le altre programmate secondo una valutazione di centralità rispetto allafigura professionale che si intende formare, in modo da garantire coerenza all’intero per-corso formativo. I moduli devono rispondere ad una duplice finalità: essere fortemente ar-ticolati per consentire una flessibilità di fruizione; mantenere però sempre correlati i diver-si elementi con le competenze finali previste, evitando di inseguire un astratto obiettivo diesaustività e di strutturarsi secondo una giustapposizione di parti non connesse tra loro.

Una volta definita la figura professionale ed individuati i macro-obiettivi formativi, è ne-cessario in primo luogo specificare i criteri di progettazione. Precisare alcune scelte di fon-do che guidano e influenzano tutte le operazioni successive. In concreto, come viene illu-strato nei punti seguenti, si tratta di prendere posizione esplicita su tre questioni: il rappor-to integralità e funzionalità, il rapporto flessibilità e rigidità, il rapporto specializzazione egeneralizzazione.

Il rapporto integralità e funzionalità: riguarda la necessità di trovare un punto di equili-brio tra le esigenze di integralità (completezza, compattezza, consistenza del piano forma-tivo) e quelle di funzionalità (efficacia, adeguatezza, utilità dell’intervento) evitando dicommettere alcuni errori frequenti:

� proporre percorsi con un alto contenuto teorico e applicativo trascurando la dimen-sione pratica

� appiattire la proposta formativa sulle esigenze immediate o funzionali ad un ristrettosettore/territorio

� ricercare un’irraggiungibile completezza dell’offerta senza individuare una scala dipriorità coerente con i bisogni formativi individuati

Il rapporto flessibilità e rigidità: riguarda l’opportunità di mantenere un certo livello diflessibilità progettando i percorsi formativi in modo mirato per rispondere alle richieste disicurezza del contesto territoriale, senza rinunciare a un certo grado di stabilità e unitarietàfocalizzato sugli elementi trasversali e valoriali della formazione: la dimensione gestionale equella dei diritti e delle libertà dei cittadini.

Il rapporto specializzazione e generalizzazione: va rilevato che, mentre è diffusa la convin-zione che un percorso formativo superiore debba essere un percorso di alta specializzazio-ne, circoscritto a un ambito di azione limitato, siamo di fronte, in questo campo a compe-tenze plurime ma non necessariamente specialistiche. In particolare, come è stato sottoli-neato, le competenze delle figure professionali a cui ci si riferisce sono composte in manie-ra significativa da competenze direzionali, a-specifiche e “generali” e da saperi tecnico-pro-fessionali molteplici e sarebbe quindi un errore, dal nostro punto di vista, focalizzare la for-mazione solamente su ambiti ad alto, ma ristretto, livello di specializzazione.

Rimane centrale l’esigenza di dare coerenza alla proposta formativa. Data la complessi-tà e trasversalità del tema, si corre facilmente il rischio di elaborare ‘progetti-bricolage’, pri-vi di identità e frammentati. Nella strutturazione del progetto didattico in moduli vanno in-dividuati e tenuti fermi i criteri orientativi scelti che, come abbiamo visto, dipendono inparte dalla specifica figura che si fa a formare, dalle specificità del contesto territoriale, daalcune competenze di base trasversali e riferite alla dimensione gestionale e dal presidiodel contenuto democratico dell’idea di sicurezza che si vuole veicolare.

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Una considerazione può essere aggiunta per quanto riguarda la scelta delle metodolo-gie. Le fasi iniziali del percorso formativo possono anche adottare una metodologia tradi-zionale, tendenzialmente, in quest’ambito sono da privilegiare le metodologie attive e inte-rattive:

� gli incontri informali esperti e tecnici� il coinvolgimento diretto dei partecipanti nella co-costruzione di alcuni momenti

formativi� il lavoro di équipe, con particolare attenzione agli aspetti organizzativi e gestionali� l’analisi di progetti e politiche proposti come casi di studio� il lavoro laboratoriale su progetti/situazioni complesse

6. LA VALUTAZIONE DI UN PROGETTO DI FORMAZIONE

Va sottolineato anche che una delle condizioni che permettono l’elaborazione di of-ferte formative efficaci è che i progetti formativi dovrebbero essere oggetto di atti-

vità di valutazione che permetta di acquisire dati relativi ai suoi risultati, in funzione di unacontinua ri-taratura dell’offerta.

L’attività valutativa è particolarmente importante in ambiti, come quello della sicurezzaurbana, in cui gli elementi di complessità sono particolarmente significativi, sia per quantoriguarda l’individuazione dei profili e dei bisogni, sia per quanto riguarda l’identificazionedegli obiettivi formativi.

Considerando l’intervento formativo come un’attività che si caratterizza per essere co-struita intorno ad un sistema di obiettivi, la valutazione assume il significato di criterio digiudizio sul raggiungimento di questi, e quindi sull’efficacia dell’azione formativa. In questaottica, l’azione valutativa diviene un processo parallelo alla formazione, un mezzo per inter-venire sull’iter formativo evidenziandone i punti di forza e di debolezza e permettendo intal modo di migliorare il processo di perseguimento degli obiettivi.

La valutazione costituisce, quindi, il “banco di prova” dell’intero processo di progetta-zione e realizzazione delle azioni formative. Le operazioni che la caratterizzano sono finaliz-zate all’esigenza di cogliere tutti gli elementi che consentono di:

� verificare se i risultati conseguiti in sede di realizzazione possono essere consideratisoddisfacenti in rapporto alle aspettative

� riconsiderare analiticamente l’intero processo, ai fini di una ridefinizione degli ele-menti deboli

La valutazione si configura come un sistema per controllare, confrontando i risultati ot-tenuti con gli obiettivi, le varie fasi del processo formativo. In quest’ottica, la valutazioneprocede in parallelo all’intervento formativo, producendo un processo di feed-back.

In questo senso, la valutazione diviene la premessa essenziale ad ogni fase decisionaledel percorso formativo, sul piano didattico, su quello organizzativo-gestionale, su quellorelativo agli esiti.

Va evidenziato il carattere organico del processo valutativo per quanto attiene ai sog-getti, agli strumenti, alle finalità che entrano in gioco nelle diverse fasi del percorso forma-tivo. Tale organicità dovrà necessariamente informare di sé la logica della progettazioneesecutiva delle attività formative.

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55Capitolo 4. • Quali percorsi formativi per i tecnici della sicurezza urbana •

7. IPOTESI DI ATTIVITÀ FORMATIVESULLA SICUREZZA CITTADINA

Tenendo in considerazione tutti gli aspetti finora elencati, sembra opportuno formu-lare un piano di formazione, considerandolo come il primo passo di un percorso

verso la specializzazione. In altre parole, il corso o piano di formazione dovrebbe riferirsi aun’intera famiglia di profili professionali che, pur senza essere esaustiva, copra le figureprincipali e più importanti esistenti nel settore.

In seguito ulteriori sviluppi di questi percorsi professionalizzanti dovranno essere pro-gettati in stretto legame con i contesti urbani – e quindi tenendo presenti le variabili socia-li e istituzionali dei territori interessati – dove saranno implementate politiche relative allasicurezza dei cittadini.

Il piano formativo che andremo a delineare di seguito potrà essere ulteriormente arric-chito dalla progettazione di altre attività più focalizzate e specifiche.

Se l’obiettivo del piano o del corso di fromazione di cui stiamo parlando consiste nellaformazione specialistica di un ampio numero di possibili figure professionali qualificate perlavorare nel campo della sicurezza cittadina, i due punti – tra loro collegati – che dobbiamoapprofondire sono: il profilo professionale di base necessario per accedere al corso e il mi-nimo comune denominatore delle competenze riguardanti tutti i profili professionali esi-stenti nell’ambito della sicurezza cittadina.

La soluzione del primo problema è forse la più facile dato che comporta una libera de-cisione a proposito della ampiezza e dell’intensità del corso. In ogni caso sarebbe oppor-tuno delimitare il campo – anche per chiarire che si tratta di una formazione specialistica,e non scolastica – in senso verticale, escludendo chi ha un titolo di studio inferiore aquello universitario. In senso orizzontale, quindi, sembra altrettanto opportuno escluderesoggetti in possesso di titoli di studio troppo specialistici come ingegneri, medici, agrari,matematici, eccetera. In altre parole, l’accesso al corso dovrebbe essere riservato a sog-getti in possesso di titoli universitari in psicologia, sociologia, antropologia, economia,urbanistica (architettura, giurisprudenza). È quindi ovvio che i partecipanti dovranno ave-re una preparazione media o alta in materie come il diritto pubblico, metodologia di ricer-ca, macroeconomia, eccetera.

In ogni caso è chiaro che, dato che l’importante non è il titolo di studio di per sé,quanto le conoscenze effettivamente acquisite, il parametro che abbiamo descrittoprima deve essere applicato con una buona dose di elasticità, sia per quanto riguar-da soggetti in possesso di conoscenze equivalenti o superiori sulla base della loroesperienza o di altre attività di formazione, sia per soggetti che, per quanto in pos-sesso dei titoli di studio indicati, presentino lacune in alcuni ambiti considerati fon-damentali.

Infine – su questo punto – sarebbe opportuno che la progettazione dettagliata del cor-so o piano di formazione e i requisiti di accesso siano definiti analiticamente (così comesembra consigliare l’esperieza dei master che oggi sono impartiti in diversi paesi), esplici-tando le conoscenze di base che si danno per assunte per i soggetti in possesso di titoliuniversitari come quelli citati in precedenza.

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CA

PITO

LO4

• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

Più complesso è il secondo punto (le competenze minime inerenti ai diversi profili pro-fessionali esistenti in questo campo) e, per evitare un’analisi delle abilità di ogni figura, in-dicheremo il livello minimo di conoscenze e di capacità che si presumono utili per l’interagamma dei profili professionali esistenti in materia di sicurezza cittadina.

Verticalmente è possibile delimitare la questione escludendo le figure professionali sen-za alcun livello di responsabiilità nella gestione dei progetti. Orizzontalmente, invece, po-tremmo escludere i profili la cui attività, per quanto legata all’ambito della sicurezza, non siconcentri esplicitamente su di essa (per esempio: gli urbanisti o gli architetti a capo di unpiano di riqualificazione urbana).

Per tutte queste ragioni il piano di formazione non può non considerare – almeno – le se-guenti voci o dimensioni, che potrebbero essere considerati come macromoduli formativi:

� competenze di project management, date le responsabilità di gestione/integrazionedi progetti (elemento fondamentale), di gestione del personale, delle risorse econo-miche, eccetera

� competenze in materia di sicurezza cittadina in senso stretto: la definizione dellaquestione, le riflessioni attuali, il dibattito sulle politiche penali e sui fenomeni di de-viazione, i diversi modelli possibili di intervento, gli strumenti applicati, eccetera

� competenze legate al contesto spaziale e sociale in cui si collocano le politiche dellasicurezza, ovvero, la città: la discussione sulla dimensione urbana, le caratteristichedella città nei diversi contesti regionali (la città latinoamericana, per esempio, o eu-ropea, o statunitense, eccetera), la discussione sulla dimensione “globale” e “locale”e la sua influenza sulla città, l’amministrazione del territorio, gli strumenti di governodella città nei diversi contesti, eccetera

� competenze relative a tre grandi fenomeni sociali legati, in un modo o nell’altro, allasicurezza: le migrazioni, e tutto ciò che esse comportano in termini di rapporti traculture diverse, di emarginazione di un nuovo gruppo sociale, di nuove paure; lacondizione della donna, oggi chiamata alla difficile assunzione di nuovi ruoli sociali e,allo stesso tempo, principale vittima di reati di strada e di violenze sessuali e dome-stiche; i giovani, i cui processi di socializzazione – già difficili di per sé – sembranodiventare sempre più complessi nelle società odierne, in cui il livello di strutturazio-ne si traduce spesso in un’impermeabilità all’innovazione, al passaggio generaziona-le, alle pari opportunità

� competenze in materia di diritti umani, legati alla sicurezza cittadina per diversi mo-tivi: perché la politica di sicurezza è in ultima istanza un’articolazione della questio-ne dei diritti umani se consideriamo il diritto di tutti i cittadini alla salvaguardia dellasicurezza personale; perché le politiche di sicurezza si dovrebbero sviluppare senzadanneggiare i diritti fondamentali dei soggetti coinvolti, che si tratti di autori di rea-ti o delle loro vittime; perché le diverse interpretazioni della questione della sicurez-za possono dare luogo a politiche democratiche o invece a politiche generali di ca-rattere puramente repressivo o autoritario

Gli argomenti che abbiamo toccato non devono essere considerati come passi da com-piere in successione e neanche come argomenti separati da delegare a un insegnamentospecialistico e settoriale. Al contrario, dovrebbero considerarsi come conoscenze da im-partire in lezioni o esperienze trasversali o da diverse discipline. Perciò raccomandiamo che

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nella definizione dettagliata dei corsi si guardi più all’alunno che al docente, più alla forma-zione che alla riproduzione meccanica di conoscenze.

In questo senso sembrano fondamentali tre osservazioni di tipo didattico: in primo luo-go sarebbe opportuno che il corso preveda una figura di riferimento responsabile del pro-cesso di formazione, assicurando un reale coordinamento tra tutti i docenti; in secondoluogo si dovrà fare un ricorso limitato alle lezioni tradizionali (frontali), cercando piuttostodi privilegiare la creazione di gruppi di lavoro, di ricerca, di riflessione e di analisi tra glistessi partecipanti; infine, sembra opportuno prevedere stages, organizzati in modo rigoro-so – ovvero con obiettivi chiari e condivisi, con l’obbligo di presentare una relazione sullostage, eccetera – in organismi che lavorano sulla sicurezza cittadina.

BIBLIOGRAFIA:

- AA.VV., Linee guida per la progettazione di percorsi formativi IFTS, ISFOL, Roma, 1999.- Ajello A. (a cura di). La competenza, Bologna, il Mulino, 2002.- Beltrani M., “L’epistemologia della complessità e i suoi riflessi in campo educativo”, in Verifiche, dicembre

1996.- Bocchi G., Cerutti M. (a cura di) La sfida della complessità, Milano, Feltrinelli, 1988.- Bruner J., La mente a più dimensioni, Editori Laterza, Nuova edizione, 2003.- Callari-Galli M, Cambi F., Cerutti M., Formare alla complessità, Roma, Carocci, 2003.- Canevaro A., Perticari P., Né tuttologi, né specialisti, in S. Manghi (a cura di), “Attraverso - Bateson., Eco-

logia della mente e relazioni sociali, Piacenza, Anabasi, 1995.- D.A. Schön, Il professionista riflessivo: per una nuova epistemologia della pratica professionale, Bari, Dedalo,

1993.- Quaglino G.P., Fare formazione, Il Mulino, Bologna, 1985.- Quaglino G. P., Carozzi G. P., Il processo di formazione, Franco Angeli, Milano, 1989- Quaglino G.P., Il processo di formazione. Dall’analisi dei bisogni alla valutazione dei risultati, Milano, Raffa-

ello Cortina Editore, 2003- Quaglino G.P. La vita organizzativa. Difese, collusioni e ostilità nelle relazioni di lavoro, Milano, Raffaello

Cortina Editore, 2004.

57Capitolo 4. • Quali percorsi formativi per i tecnici della sicurezza urbana •

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Allegati

DOCUMENTO 1 • La Governance della sicurezza urbanaElkin Velásquez

DOCUMENTO 2 • Gli osservatori sulla sicurezzanei comuni e le politichedi sicurezzaMario Hernández Lores

DOCUMENTO 3 • Le amministrazioni localie la sicurezza urbana:esperienze in America Latinae in EuropaLucia Dammert e Carla Napolano

DOCUMENTO 4 • Prevenzione e giovani Franz Vanderschueren

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Documento 1.

La Governancedella sicurezza urbana

UNA PROPOSTA OPERATIVA1

Elkin Velásquez

Comune di Bogotà, DC - Colombia

1. Il documento di lavoro è il risultato parziale del progetto di ricerca sulla Governabilità territoriale svilup-pato dall’autore nel Cids dell’Universidad Externado della Colombia. Questa versione è stata presentata alseminario internazionale “Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e prati-che”, organizzato il 30 ottobre 2006 a Firenze, dalla regione Toscana e dalla Red 14 di Urb-Al sulla sicurez-za urbana nella città.

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1. INTRODUZIONE

La sicurezza è una delle principali preoccupazioni dei cittadini. Negli ultimi anni di-versi eventi hanno messo la sicurezza al centro del dibattito in molte città di tutto ilmondo, un fatto confermato anche dai sondaggi di opinione. Nelle città dei paesi

ricchi il terrorismo e la paura del rischio e del conflitto fanno aumentare la preoccupazioneper la sicurezza. Nei paesi in via di sviluppo la disuguaglianza socio-economica e la perditadi credibilità delle istituzioni incidono sulla richiesta di sicurezza da parte dei cittadini.

Di fronte a una crescente richiesta da parte della cittadinanza, lo Stato è visibilmente indifficoltà a dare una risposta efficace a tutte le variabili dell’insicurezza. A ciò va aggiuntoche negli ultimi trent’anni gli specialisti dell’amministrazione pubblica e dello Stato hannodecantato le lodi della riduzione degli interventi da parte dello Stato. Ma uno Stato di di-mensioni sempre più ridotte, in termini relativi o assoluti, deve affrontare enormi difficoltàper rispondere a una richiesta di sicurezza sempre più pressante: è impossibile dare una ri-sposta adeguata a tutti i problemi legati alla sicurezza. Negli ultimi decenni la risposta del-lo Stato ai problemi di sicurezza si è scontrata con diversi limiti.

D’altro canto la politica pubblica è cambiata negli ultimi anni; la comunità ha comincia-to a chiedere di essere coinvolta nelle decisioni che la riguardano e nella loro applicazione.Le misure adottate per andare verso una democrazia deliberativa o partecipativa nel di-scorso e nella norma, e a volte anche nella pratica, stanno portando ulteriori cambiamentinelle modalità di gestione della cosa pubblica. La comparsa di molti altri attori ha creato ipresupposti per una maggiore ingerenza nelle questioni pubbliche, e la sicurezza non èun’eccezione in questo senso. Sono nati attori sociali ed economici che chiedono o a cui èchiesto di partecipare alle questioni relative alla sicurezza. Inoltre, nella suddivisione delleresponsabilità all’interno degli Stati, le amministrazioni locali sono diventate soggetti ne-cessari della politica pubblica di sicurezza cittadina.

La situazione è diventata più complessa ed è nato il bisogno di strumenti e prassi peragevolare un intervento coordinato dei diversi soggetti coinvolti e per rispondere in ultimaanalisi al cittadino che desidera semplicemente che i problemi che lo affliggono siano presiin considerazione. È una situazione che richiede nuovi metodi di regolamentazione e di ne-goziazione della cosa pubblica, ed è proprio in questo contesto che hanno fatto la lorocomparsa i concetti di governabilità e governance.

Questo documento presenta in modo sintetico e in una versione preliminare quella chepotrebbe essere definita come la governance della sicurezza, ma non una qualsiasi gover-nance e neanche una qualsiasi sicurezza. Al centro del nostro interesse è il problema dellagovernance nel territorio e la sicurezza nelle città: la sicurezza urbana, meglio definita in al-cuni paesi come sicurezza cittadina.

61Documento 1. • La Governance della sicurezza cittadina •

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In questa sede prendiamo in esame gli elementi fondamentali che dovrebbero permet-tere ai soggetti interessati alle problematiche di sicurezza urbana, da un punto di vista ana-litico o in una logica operativa e gestionale, di gestire la governance della città. Sono ele-menti considerati fondamentali dagli operatori che si occupano della sicurezza cittadina alivello locale. Con la loro presentazione si vogliono fornire gli strumenti di base che devonofare parte dei processi di formazione degli attori locali di sicurezza, nell’ambito del proget-to della rete 14 di Urbal “Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: forma-zione e pratiche”.

Le prime due parti del documento affrontano la questione del concetto di governance(in spagnolo assimilabile a due concetti: governabilidad e gobernanza) e della sua appli-cazione. Nella parte finale si affronta brevemente il problema di come rendere operativauna governance della sicurezza, intesa come logica di comprensione dei problemi, e diquali strumenti siano necessari a costruire tale governance. Nei commenti finali si pro-pongono possibili strade da esplorare nella ricerca e nella pratica della governabilitàdella sicurezza.

2. GOVERNANCE E GOVERNABILITÀ:UN APPROCCIO AI CONCETTI

G overnabilidad (governabilità) e gobernanza (governance) sono le parole usate inspagnolo come equivalenti di governance (inglese) e di gouvernance (francese). La

radice di governance risale al latino “gubernare” che significa pilotare, in riferimento allequestioni pubbliche. Era una parola usata in Inghilterra e in Francia nel XIV e XV secolo aindicare l’arte di governare. Le accezioni della fine del XX secolo fanno la loro comparsacon l’organizzazione mondiale “Trilateral Commission” composta da imprese e governi oc-cidentali (Stati Uniti, Giappone e l’allora Comunità economica europea) e mettono in rela-zione per la prima volta il concetto di governance e le risposte a quella che sarebbe statauna delle questioni più importanti degli anni successivi: l’aumento delle richieste espressedalla società a fronte di possibilità finanziarie e istituzionali costanti quando non, in alcunicasi, in diminuzione (Croizier, et al, 1975).

Questo documento non punta a ripercorrere in profondità tutta la letteratura sulla go-vernance, ma piuttosto a fare un breve excursus su un concetto che più avanti sarà utile peraffrontare la questione della sicurezza. Sono molti gli autori e le agenzie che negli ultimianni hanno ampiamente affrontato la questione (Pnus, 1997; Banca mondiale, 2001; Prats,2001; Kooiman, 1993).

Come indicato dalla maggior parte dei riferimenti, si tratta di un concetto polisemicoper cui esistono tante definizioni quanti sono gli autori. Il concetto presenta problemi dicoerenza interna in quanto all’oggetto e all’approccio scelto e di coerenza esterna perchénon necessariamente il concetto in questione riesce a distinguersi da altri concetti. Un’ul-teriore difficoltà è costituita dal fatto che in politica il termine governabilità può essereusato per indicare molte circostanze e problematiche.

Il dibattito su questi concetti rimane aperto. Come afferma Suarez (2002) “i concettiche gli autori associano alla nozione di governabilità saranno diversi, controversi e basati su pre-

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• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

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63Documento 1. • La Governance della sicurezza cittadina •

messe, approcci e prospettive diversi, per cui la ricerca di un concetto ‘univoco’ di governabilitànon sarà utile ai fini dell’analisi”.

Esistono diverse concezioni della governance. Alcune si concentrano sull’analisi della ge-stione del potere da parte delle élite; altri approcci puntano a legare più strettamente lasocietà civile e gli interlocutori dello Stato, enfatizzando le nozioni di “cittadinanza” e “de-mocrazia”.

In ogni caso è possibile distinguere quattro grandi ambiti in cui si fa un diverso uso delconcetto di governabilità e di governance: la Corporate governance, l’ambito delle relazioniinternazionali, la Good governance e un ultimo ambito chiamato Modern governance.

La Corporate governance è un termine usato soprattutto nel settore privato che indica laricerca di una risposta ai problemi dovuti alla mancanza di coordinamento e ai costi delletransazioni informali (corruzione, cultura corporativa, eccetera) che incidono negativamen-te sullo svolgimento e sulla produttività di un’organizzazione. Ad adottare questa prospet-tiva sono stati lavori come quelli di North (1990) e Williamson (1985).

La governabilità nell’ambito delle relazioni internazionali si è concentrata sulla creazio-ne di sistemi di regole volti a risolvere problemi tra gli Stati senza contare sull’autorità diuno Stato. Diversi lavori come quello di Rosenau & Czempliel (1992) o quello di Hufty(2001) hanno già esposto i principi e le implicazioni di questo modello di governabilitàsenza Stato.

La Good governance, detta in spagnolo anche “buen gobierno” (buon governo) o “buenagobernabilidad” (buona governabilità), è stato un concetto utilizzato soprattutto dagli or-ganismi multilaterali (Barraza, 1996; Pnud, 1997) a indicare un modello di buone praticheamministrative rispetto al quale si misurano i diversi paesi per poi prescrivere o consigliarespecifiche azioni di sviluppo.

Infine si inseriscono nell’ambito della Modern governance i lavori che si sono occupati,principalmente a partire dalla sfera delle scienze politiche, dei nuovi meccanismi di regola-mentazione della cosa pubblica, nati in seguito a fenomeni come la globalizzazione e l’evo-luzione dello Stato e della democrazia verso il decentramento, la partecipazione cittadina,eccetera, un fenomeno che ha portato alla nascita di nuove reti di attori strategici nellaconcezione della cosa pubblica. Per risolvere le difficoltà poste da queste nuove realtà del-la cosa pubblica, che necessariamente portano a un sovraccarico di richieste sociali a fron-te della diminuzione delle capacità dello Stato, si è usato il termine governance. In questalogica, la governance studia la capacità di un sistema politico di amministrarsi (Kooiman,1993, 2005).

Recentemente un articolo di Revesz (2006) sintetizza la differenza che con il tempo si èimposta tra i concetti di governabilità e di governance (figura 1). La governabilità si riferi-sce agli adattamenti e ai processi in atto nello Stato e nella Pubblica amministrazione permigliorare il loro rapporto (verticale) con la cittadinanza e i processi decisionali. La gover-nance consisterebbe invece fondamentalmente nel miglioramento del rapporto orizzontaletra una pluralità di attori pubblici e privati, per agevolare i processi di decisione, di gestionee di sviluppo dell’ambito pubblico e collettivo, sulla base di un rapporto caratterizzato dal-l’integrazione e dall’interdipendenza.

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• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

Figura 1. Schema concettuale della governabilità e della governance (adattato da Revesz, 2006).

Infine l’analisi di diverse fonti consente di stabilire alcuni punti di partenza per l’applica-zione del concetto:

1. In qualsiasi società e in qualsiasi epoca esistono dei processi di governance, persinoin assenza di uno Stato

2. La governance sorge in presenza di conflitti presenti o futuri

3. Non esiste un modello universale di governance

4. I processi di governance possono essere suddivisi in elementi costitutivi che posso-no essere studiati o elaborati con una metodologia adeguata.

5. Per lo Stato e per la Pubblica amministrazione il concetto di governance comporta losviluppo di nuove competenze e capacità, a partire da una prospettiva integrale esettoriale.

3. ALLA RICERCA DELL’OPERATIVITÀDEL CONCETTO DI GOVERNANCE

L’ enorme interesse del concetto di governance è dovuto alla sua possibile applicazionesul piano operativo per studiare una situazione di ingovernabilità o per proporre

metodi di azione per sviluppare la governabilità o la governance in un territorio o in un am-bito specifico.

Alcune concezioni della governabilità (Tomassini, 1994; Rojas, 1994; Coppedge, 1994)sottolineano il rapporto che lega la cittadinanza alle decisioni prese su questioni pubbliche.Per chi invece il concetto di governabilità è legato “all’esercizio del governo e alle condizioni percui questa funzione può essere svolta con efficienza, legittimità e sostegno da parte della società”(Rojas, 1994), il fattore chiave per la governabilità risiede nell’istituzionalità politica delloStato, nello sviluppo del sistema politico, della cultura civica, dei rapporti tra economia epolitica nonché delle modalità, dell’efficienza e dell’accettazione delle politiche pubbliche.

Governabilità

Amministrazione

Cittadinanza

Relazione rispetto alla gerarchia

Governanza

Pluralità degli attori

soggetti pubblici e privati

Relazione rispetto aintegrazione e interdipendenza

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65Documento 1. • La Governance della sicurezza cittadina •

Nell’ambito di queste concezioni sono stati sviluppati sistemi di indicatori e di misura-zione che presuppongono una situazione “modello” e cercano di stabilire la distanza traquesto “modello” e la situazione di un determinato settore o territorio. Suarez (2002) fanotare come questi modelli prescrittivi stabiliscano una serie di fattori di preoccupazionerelativi alla buona governabilità che si concretizzano in misurazioni di efficienza, prevedibi-lità, onestà, trasparenza e responsabilità (accountability) della struttura amministrativa.Compaiono anche in secondo luogo le preoccupazioni relative alle condizioni necessarie, epiù ampie delle prime, perché lo Stato possa gestire la società nel suo insieme, aumentan-do l’efficienza del potere esecutivo. In terzo luogo, Suarez (2002) parla della necessità diarrivare a un processo di partecipazione politica consensuale perché l’amministrazionepossa adempiere legittimamente, con efficienza e stabilità alle sue funzioni principali, in uncontesto di dialogo continuo e profondo tra l’amministrazione, la società civile e il settoreprivato.

A fronte dei modelli prescrittivi, quelli delle organizzazioni internazionali sembrano piùestesi. In particolare esistono degli indicatori elaborati dalla Banca mondiale (Kaufmann, eal, 2006) o dal Pnud (2005) che prevedono un paragone preliminare tra territori e caldeg-giano l’uso di lavori tipo “survey” in un determinato territorio per sapere “quanto si allonta-nino” da una governabilità modello. Meno chiara è la possibilità di applicare tali modelli al-l’analisi della problematica integrata della governabilità o per costruire soluzioni specifichedi governabilità.

Dal canto suo Menéndez-Carrión (1991) segnala che “bisogna anche pensare alla gover-nabilità come a una questione relativa alla produzione di potere” e a “come la gente comune pos-sa accedere alla elaborazione di meccanismi e dispositivi di (a) controllo delle amministrazioni edei suoi rappresentanti e (b) di regolamentazione quotidiana della loro convivenza”.

Uno degli aspetti centrali dell’applicazione del concetto è la responsabilità (accountabi-lity) delle amministrazioni e dei loro rappresentanti; la governabilità intesa come gestione,accesso e produzione del potere ci porta ad affrontare la questione della responsabilitàpolitica e il dilemma di come integrare nei processi politici dei meccanismi volti ad attivarela responsabilità delle amministrazioni di fronte alla cittadinanza.

Come concretizzare il concetto di governance?

In primo luogo è necessario concordare una concezione della governance, in mododa poi renderla operativa. In questa logica, e considerando le concezioni della “moderngovernance” indicate nel capitolo precedente, facciamo qui riferimento a un paio di de-finizioni. La prima è quella di Le Galés (1995), secondo cui “la governance è un dispositi-vo di negoziazione e cooperazione tra una pluralità di soggetti della società civile, del setto-re economico, del mercato e dello Stato”. La seconda definizione è quella di Hufty(2006a), che afferma che “la governance è l’insieme dei processi collettivi che determinacome si prendono le decisioni in una società e come si elaborano norme sociali in rapporto aquestioni pubbliche”.

Entrambe le nozioni fanno riferimento alla presenza di diversi soggetti, pubblici e priva-ti, che stabiliscono tra loro rapporti di negoziazione e di cooperazione su questioni pubbli-che. In genere queste negoziazioni e i rapporti di cooperazione dipendono da conflitti sor-ti in ambito pubblico. A partire da queste definizioni, nel caso in cui si debba analizzare una

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determinata situazione settoriale o territoriale, bisogna affrontare i seguenti punti: 1) laconflittualità, 2) gli attori strategici, 3) gli spazi o i nodi di conflittualità, 4) le regoleche reggono i rapporti tra attori e 5) le dinamiche che determinano la conflittualitànel tempo. Questi elementi sono legati tra loro come indicato nello schema della figura 2.Hufty (2006a) ha già affrontato questa riflessione e ha elaborato un quadro analitico del-la governance che è costituito da cinque unità di analisi: della problematica, degli attori,dei punti nodali, delle norme e dei processi.

Figura 2. Un quadro operativo per la governabilità e la governance

Secondo la logica della figura 2, per analizzare la situazione della governance la proble-matica va inizialmente definita in termini di conflittualità. È necessario riconoscere i con-flitti esistenti nei rapporti formali o informali tra soggetti, e accettare la situazione che de-termina la mancanza di governabilità o di governance, le condizioni oggettive o soggettiveche definiscono il conflitto, la disarmonia del rapporto, le disfunzioni o le contraddizioniesistenti.

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• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

1.La conflittualitào la problematica

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Din

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ica c

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flit

tuale

4. Regole formalie informali

AB C D

3. spazioconflittuale

2. Mappa degli attori

HG

FB EA

DC

La Esap-Scuola superiore per la Pubblica amministrazione e la Fundación Buen Gobierno (Esap& Fundación Buen Gobierno, 2004) propongono una serie di condizioni per riconoscere la con-flittualità (Quadro 1.)

Condizioni oggettive

Conoscenza reale degli altri attori strategiciOggetti che interessano i diversi attori

Movimento simultaneo (nel tempo) e all’in-terno di uno stesso spazio sociale verso glioggetti di interesse

Azioni tendenti a limitare, neutralizzare o eli-minare possibilità di accesso dell’“altro” al-l’oggetto di interesse comune

Percezione dell’“altro” o degli “altri” comesoggetti contrari o controparti

Percezione di oggetti di interesse comune co-me indivisibili o ad accesso escludente

Percezione del movimento della parte contra-ria verso l’obiettivo di interesse comune comeuna minaccia nei confronti dei propri bisogni

Condizioni soggettivedella conflittualità

Segue �

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67Documento 1. • La Governance della sicurezza cittadina •

Per identificare e riconoscere la conflittualità si può ricorrere a un metodo basato sugliaspetti della proposta precedente. Altri tre elementi sono importanti per caratterizzare laconflittualità: la sua espressione territoriale, l’influenza sui flussi e sulle dinamiche socialinonché sui processi decisionali.

In rapporto agli attori, bisogna riconoscere in quale misura essi siano strategici al-l’interno del processo decisionale. Prats (2001) definisce gli attori strategici come indi-vidui, organizzazioni o gruppi “con risorse di potere sufficienti a impedire o a turbare il fun-zionamento delle regole o dei processi decisionali e la risoluzione di conflitti collettivi”. In pri-mo luogo, come propone Hufty (2006b), bisogna riconoscere gli individui o i gruppiinteressati in quanto potenzialmente coinvolti. Gli attori strategici possono essere col-piti nei loro mezzi di sussistenza, possono perdere o guadagnare risorse nonché incide-re sui processi negoziali. Gli attori strategici hannocaratteristiche, risorse e interessi specifici estabiliscono tra di loro rapporti di diversotipo. L’analisi deve servire a identificarequesti elementi.

In un contesto di governabilità inambito territoriale e considerandoil rapporto degli attori con le que-stioni pubbliche, Kübler & Hei-nelt (2002) propongono unaclassificazione in diversi seg-menti sulla base del loro interes-se nell’intermediazione e del-l’apertura o della chiusura dellereti (Figura 3).

Quadro 1. Condizioni per riconoscere la conflittualità (adattato da Esap & Fundación Buen Gobier-no, 2004)

Condizioni oggettive

Scontro e reazione concreta ad azioni intra-prese da un altro soggetto per limitare, neu-tralizzare o eliminare le sue possibilità di ac-cesso all’oggetto di interesse

Cambiamenti concreti delle circostanze ini-ziali in conseguenza di azioni dell’“altro”

Cambiamento delle circostanze iniziali in cuiversava l’“altro” attraverso azioni personali

Sfiducia verso i gesti o le proposte dell’“altro”Sentimento di ostilità o disprezzo per l’azionedi altri soggetti

Sensazione di essere colpiti dalle azionidell’“altro”

Stimolo grazie ai “problemi” causati all’altro

Condizioni soggettivedella conflittualità

Figura 3. Segmenti della governabilitàterritoriale e grado di apertura (tratto da Kübler& Heinelt 2002)

Parliamentaryand

governmentalinstitutions

func

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• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

In funzione di questa classifica gli attori rispondono a diversi modelli decisionali(tavola 1).

Tavola 1. Segmenti divisi sulla base dell’interesse nell’intermediazione, modelli decisionali, tipi di attori ecaratteristiche della cittadinanza (tratto da Kübler & Heinelt, 2002).

Gli spazi relazionali o di conflittualità costituiscono il contenitore dei rapporti tra idiversi soggetti: è in questo ambito che avvengono le interazioni tra gli attori strategici.Questi spazi relazionali possono essere territori propriamente detti quando si tratta di rap-porti e problematiche generali estesi a una giurisdizione o a una determinata parte del ter-ritorio. Possono essere anche altri tipi di scenari fisici o virtuali nel caso di rapporti precisie regolati tra attori strategici (per esempio un comitato, un’assemblea direttiva, una riunio-ne, un tavolo negoziale, una corporazione pubblica, eccetera). In questo ambito si cerca diidentificare e caratterizzare gli spazi di conflittualità, i soggetti che vi prendono parte, i lororapporti e le regole formali o informali che li determinano, la loro importanza sulle decisio-ni riguardanti la cosa pubblica. In questo spazio di conflittualità esiste la possibilità di unanegoziazione e di una produzione di regole.

Le regole che reggono i rapporti tra soggetti possono essere formali e informali. Sipuò trattare di regole procedurali (del funzionamento del bene pubblico), ma anchepuntuali o istituzionalizzanti (robuste). Sono in ogni caso delle regole del gioco al cen-tro della governance. Per Hufty (2006b) si tratta degli “accordi tra soggetti (che) costi-

Segment Types of Characteristicsof interest Decision modes (collettive) of citizenshipintermediation actors

Territorial interestintermediation.

Administrativeinterestintermediation.

Functional interestintermediation.

Civic interestintermediation.

Majority decisions(in parliaments/councilsor by referenda).

Hierarchialadministrativeinterventions.

Bargaining/political exchange.

Arguing.

Parties.

Local and regionalauthirities, quangos

Corporate actors(associations,chambers,professionalrepresentation,trade unions).

Civil society actors(citizen initiatives,social movements,NGOs).

Vote.

Voice (includingprotest,direct actions).

Right to organise/toform/join a colletive/corporate actor.

Voice (includingprotest,direct actions).

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69Documento 1. • La Governance della sicurezza cittadina •

tuiscono una determinata istituzionalità, composta da diverse norme...che orientano le deci-sioni e/o i comportamenti dei suoi attori. Le norme assumono un doppio ruolo (sic) nell’ana-lisi della governance: orientano il comportamento dei soggetti e sono modificate dall’azionecollettiva”. Una norma rappresenta un’aspettativa su ciò che si considera un comporta-mento adeguato in una società; in altre parole, presuppone sia un valore, sia una pre-scrizione.

Secondo Hufty le norme possono essere di tre tipi, che a loro volta rimandano a diversilivelli di analisi:

� In primo luogo le meta-norme si riferiscono a premesse o principi che orientano ilcontratto sociale in senso ampio, definendone criteri e valori strutturali

� In secondo luogo, le norme costitutive definiscono i meccanismi organizzativi e isti-tuzionali relativi al funzionamento settoriale dell’oggetto o dello scenario analizzato

� In terzo luogo, le “norme regolative” sono quelle che stabiliscono i comportamentiappropriati dal punto di vista della società, ciò che ognuno deve o può fare

Per affrontare il cambiamento delle norme sociali Hufty propone uno schema per divi-dere le fasi del processo di produzione delle norme, per analizzarne i diversi livelli e ricono-scere i rapporti reciproci di condizionamento.

Infine è necessario studiare le dinamiche che determinano la conflittualità nel tem-po. Per un settore specifico o un determinato territorio è possibile identificare gli stadi at-traverso cui passa nel tempo il sistema di rapporti tra attori, l’evoluzione di tali rapporti, icambiamenti nel posizionamento degli attori, la grandezza e l’intensità dei conflitti, la suc-cessione di spazi di conflittualità e i cambiamenti nelle regole del gioco, formali e informali,procedurali o strutturali. In altre parole si deve fare riferimento alla dimensione storica del-la governabilità e della governance, fenomeni che non sono esclusivamente lineari e posso-no comprendere fasi di stallo, di trattativa, di aggiustamento, eccetera. Queste dinamichecomportano diversi spazi di conflittualità e attraverso la loro lettura è possibile determinaree spiegare le regole prodotte nel tempo.

I processi di governance dipendono da tutta una serie di stadi attraversati da un sistema.Con la loro analisi è possibile identificare la sequenza dell’evoluzione di tali processi e an-che, per un oggetto specifico o uno scenario di rapporti, i fattori che possono portare alcambiamento. Analizzare i processi di cambiamento equivale a identificare il modello dievoluzione degli spazi e i nodi dei rapporti o i conflitti, le trame di interazione tra attori e illoro rapporto con i cambiamenti nelle regole del gioco. Per Hufty (2006a) è necessario in-trodurre il concetto di storicità dei modelli di governance.

4. SICUREZZA URBANA: PERCHÉ IL RAPPORTOCON LA GOVERNANCE?

Diversi autori hanno affrontato per quanto parzialmente la questione della gover-nabilità della sicurezza. I cambiamenti nella strutturazione della cosa pubblica

riguardano anche l’ambito della sicurezza in generale e di quella cittadina e urbana inparticolare. La comparsa di nuove richieste sociali, di nuovi soggetti informati e capaci

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• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

di intervenire nell’ambito della sicurezza e, d’altro canto, la relativa stabilità della capa-cità di risposta dello Stato hanno portato alla nascita di nuovi metodi di azione e di in-tervento. La tradizione della sicurezza urbana come ambito di potere discrezionale del-lo Stato e la tradizionale triade polizia-giustizia-sistema penitenziario hanno comincia-to a cedere il passo di fronte ad altri metodi di intervento di nuovi attori nella lottacontro i reati e la costruzione della sicurezza cittadina. Come esempio in questo sensosi può citare:

� la vertiginosa crescita della sicurezza privata� la crescente richiesta di sicurezza dei cittadini e al contempo una loro maggiore ini-

ziativa in merito, che ha portato a una più profonda partecipazione cittadina alle de-cisioni e alle azioni relative a questo ambito

� il cambiamento progressivo da una concezione di sicurezza intesa come serviziopubblico a quella di sicurezza intesa come bene pubblico, che ha comportato comeconseguenza il bisogno di coinvolgere attori non tradizionali dello Stato (agenziesociali ed economiche), soggetti del settore privato e soggetti sociali per una co-produzione di sicurezza

� i processi di decentramento che hanno portato le amministrazioni locali ad assume-re sempre più competenze in materia

� i processi di globalizzazione, che hanno globalizzato anche il crimine e i reati sottra-endoli in molti casi alle sole giurisdizioni nazionali

� i rapporti sempre più stretti tra la polizia e la comunità in materia di cooperazione ecoproduzione di sicurezza, oltre che di controllo sociale sull’azione della polizia

Di fronte a questi fenomeni gli Stati hanno cominciato a creare spazi per metodi “nonverticali” di sviluppo delle politiche pubbliche di sicurezza. Si è reso necessario affrontarela questione della sicurezza da una prospettiva più orizzontale e attraverso l’integrazione dinuovi meccanismi di negoziazione e interazione tra gli attori tradizionali della sicurezza e inuovi attori (pubblici, privati e sociali). Si potrebbe affermare che, contro il tradizionaleschema verticale e discrezionale, si sta facendo strada uno schema trasversale della politi-ca pubblica di sicurezza cittadina. Oggi si potrebbe parlare di sicurezza trasversale.

Ma questo sviluppo di nuovi strumenti “trasversali” o “orizzontali” di politica pubblicain sicurezza cittadina non è avvenuto senza conflitti e inconvenienti. Perciò è necessarioconcepire la sicurezza cittadina in una prospettiva di governabilità e di governance. Sem-bra pertanto rendersi necessaria la creazione di un rapporto tra governabilità e sicurezzaurbana.

Secondo le definizioni di governabilità e di governance applicate sopra, e considerandole difficoltà già accennate per precisare la definizione e persino l’applicazione operativa ditali concetti, è possibile parlare di “una governabilità e una governance della sicurezza cittadi-na” in riferimento ai dispositivi di negoziazione e di cooperazione tra la pluralità di at-tori della società civile, del settore economico e del mercato, così come dello Stato,per agevolare e condurre processi collettivi che determinano come si prendono deci-sioni in una determinata società e come si elaborano norme sociali in rapporto allasicurezza cittadina.

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Diversi autori hanno già affrontato seppur parzialmente il rapporto tra governabilità esicurezza cittadina. Cox per esempio considera la sicurezza cittadina come un obiettivo eun indicatore della governabilità democratica e in questo senso lo ritiene un elemento fon-damentale della vita democratica.

Autori come Krahmann (2003) e Fuentes & Fuentes (2006) si sono occupati degliaspetti globali della governabilità e della sicurezza, principalmente in una prospettivainternazionale e prendendo in considerazione aspetti più tradizionali della difesa e del-la sicurezza nazionale. Invece altri autori (Selmini, 2005; De Maillard, 2005, Roche,2005) si sono già occupati della governabilità della sicurezza cittadina nell’ambito delnuovo quadro di rapporti politici e istituzionali esistente tra i diversi livelli dello Stato(nazionale, regionale, locale) per la costruzione della politica pubblica, una situazioneche ha presentato diversi inconvenienti (Gorgeon et al., 2000). Altri autori hanno af-frontato la questione direttamente da un punto di vista territoriale, studiando la logicadella costruzione di una governabilità della sicurezza a livello locale (Crawford, 1997;Hope, 2005) e più specificamente nella città (Petrella & Vanderschueren, 2003). Shaw(2001) analizza direttamente il ruolo dei governi locali nella sicurezza cittadina, mentrealtri lavori (Dammert, 2005, Edwards & Hughes, 2002; Hughes, 2002, Lagrange,2002; Sherman, 1997; Stenson, 2002) affrontano concretamente le problematiche re-lative alla partecipazione della comunità alla produzione di sicurezza, non senza segna-lare le difficoltà delle “alleanze” (partnership) tra la società civile e gli interlocutori del-lo Stato (Paquin).

In una pubblicazione del Cipc (Centro internazionale di prevenzione della criminalità)Sansfaçon (2004) elabora una riflessione sulla governabilità sostenibile della sicurezza cit-tadina. Sansfaçon constata come negli ultimi anni ci siano stati alcuni sviluppi nell’imple-mentazione dei modelli collettivi di azione per la sicurezza cittadina in ambito locale: istan-ze locali di auditing, piani locali di azione sviluppati con un contributo collettivo, partecipa-zione degli attori all’implementazione della politica pubblica e valutazione cittadina di taliazioni. La governabilità della sicurezza sul piano locale dovrebbe svilupparsi in tre ambitispecifici:

� sviluppo del “capitale di governabilità locale”, ovvero la possibilità per le organizza-zioni della società civile di accedere a risorse finanziarie e alle conoscenze per raf-forzare la loro legittimità e autonomia

� sviluppo del “capitale normativo” delle comunità, soprattutto attraverso l’insegna-mento e il rafforzamento dell’uso degli strumenti di auditing, monitoraggio e con-sultazione dell’agire pubblico. In questo modo è possibile migliorare il livello deldibattito sulle priorità e la pertinenza dei metodi di intervento in materia di pre-venzione

� rafforzamento del ruolo delle amministrazioni locali in materia di sicurezza cittadi-na. Oltre alla possibilità di assumere maggiori responsabilità nella gestione dellaerogazione di servizi locali e oltre ad aumentare la capacità finanziaria di tale ero-gazione, è necessario che l’amministrazione locale riesca a evitare squilibri in ma-teria di sicurezza cittadina e ad assicurare l’equità di accesso di tutti i cittadini al-la sicurezza

71Documento 1. • La Governance della sicurezza cittadina •

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• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

5. L’OPERATIVITÀ DELLA GOVERNANCEDELLA SICUREZZA CITTADINA

Come si è visto, il concetto di governabilità della sicurezza cittadina è già stato oggettodi interesse da parte di diversi autori a partire da diverse prospettive. Cox (senza data),considerando la sicurezza cittadina come un obiettivo e un indicatore della governabilitàdemocratica, conformemente a una concezione di tipo prescrittivo, pone la necessità dielaborare una comprensione teorico-concettuale e una concretizzazione istituzionale e so-ciale sulla base di tre ambiti. Questo autore, cercando di avvicinarsi a una situazione idealedi governabilità democratica, propone di lavorare sui seguenti ambiti:

� ambito di governo e dell’istituzionalità, a livello centrale e locale� ambito della giustizia (penale, civile; centrale e locale; formale e alternativa) in mo-

do da assicurare un accesso paritario a tutta la cittadinanza � ambito della comunità, privilegiando l’organizzazione e la cooperazione cittadina

nella politica pubblica

Non è tuttavia possibile affermare che esiste già uno schema metodologico in grado diabbordare questa tematica in modo sistematico e operativo in una logica di comprensionedel problema e di intervento per costruire o sviluppare una situazione di governabilità nel-l’ambito della sicurezza cittadina.

Sulla base dell’approccio metodologico fin qui presentato per la concretizzazione deiconcetti di governabilità e governance, si propone in questo documento un quadro analiticodella governabilità della sicurezza cittadina in ambito locale. Si presenta altresì un approc-cio preliminare riguardo a cosa significa costruire la governabilità della sicurezza cittadinaattraverso diverse azioni e strumenti.

In accordo con il quadro operativo presentato nella figura 2, per affrontare la governa-bilità della sicurezza cittadina bisogna tenere in considerazione i punti seguenti:

1. l’analisi della conflittualità nel processo decisionale in materia di sicurezza citta-dina

2. una mappatura degli attori strategici della sicurezza cittadina 3. gli spazi o nodi conflittuali tra attori strategici che incidono sui processi decisiona-

li o sulla situazione della sicurezza 4. le regole che reggono il rapporti tra attori della sicurezza cittadina5. le dinamiche che determinano la conflittualità e il problema della governabilità

nel tempo

È importante chiarire che, in una logica di strutturazione della politica pubblica di sicu-rezza cittadina, la governabilità della stessa non riguarda tanto gli aspetti prettamente tec-nici dei diversi tipi di intervento in materia di prevenzione e di coercizione, ma piuttosto iprocessi di negoziazione e di interrelazione tra gli attori strategici della politica.

Di seguito si stabiliscono per ogni punto di analisi della governabilità alcune premesse eriflessioni metodologiche per la sua applicazione pratica.

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5.1 ANALISI DELLA CONFLITTUALITÀ NEL PROCESSO DECISIONALE SU QUESTIONI DI SI-CUREZZA URBANA

L’insicurezza cittadina è un fenomeno dovuto a diverse cause e dalle molte sfaccettatu-re. Intervengono diversi attori nel problema e c’è bisogno, in una logica contemporanea disicurezza trasversale, di considerare le diverse interazioni tra attori pubblici, privati e socia-li. Da qui l’importanza di definire bene la problematica e di mettere in risalto le conflit-tualità e i nodi principali nel processo decisionale. Ovviamente, trattandosi di una co-struzione sociale, è auspicabile che ogni attore sviluppi una percezione diversa del proble-ma. Da qui la necessità di ricorrere nella metodologia di lavoro a uno schema di analisi diopinioni di gruppi di attori.

È inoltre necessario chiarire che, parlando di governabilità e governance, il problemanon è il risultato della sicurezza di per sé, ma piuttosto (ceteris paribus) gli ostacoli che ledinamiche tra soggetti pongono nel tentativo di ottenere tali risultati. In altre parole, le ci-fre della sicurezza, i successi della polizia o i progetti di prevenzione sociale risultano menointeressanti rispetto all’organizzazione degli attori, ai loro rapporti procedurali (regole delgioco) o strutturali (accesso al bene pubblico). Si tratta di affrontare il problema con do-mande del tipo: “Perché ha funzionato?” o “Perché non ha funzionato?”.

Identificare e pensare le conflittualità intorno alle triade Società-Economia-Stato puòrivelarsi utile. In materia di sicurezza le conflittualità possono essere analizzate, seppur inmodo non esaustivo, nei seguenti ambiti:

73Documento 1. • La Governance della sicurezza cittadina •

Segue �

Ambito Conflittualità che colpisce la co-produzionedella sicurezza cittadina

Società

Economia

Disuguaglianza nell’accesso alla sicurezzaConflitti tra attori socialiProblemi di convivenzaRivalità etnicheEsclusione di gruppiDifficoltà di integrazione socialeCultura mafiosaDiffidenza socialeSradicamentoCultura dell’aggressivitàDestrutturazione della famigliaCapitale sociale deboleControllo sociale e autoregolamentazione deboliDemagogia sull’argomento insicurezzaMancanza di accordi su questioni fondamentali

Interessi sovrapposti: es. Commercio formale vs commercio informaleInfluenza di settori economiciProliferazione e deregolamentazione della sicurezza privataPossibilità di risorse per la corruzioneDisponibilità di beni illegali

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• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

Ambito Conflittualità che colpisce la co-produzionedella sicurezza cittadina

Stato

Società -Stato

Economia -Stato

Società -Economia

Società –Economia –Stato

Anomia o illegittimitàDiscontinuità nella politica pubblicaDebolezza dello Stato nell’assumersi responsabilità minime (monopoliodella forza, amministrazione della giustizia, monopolio della riscossionetributaria)Accordi istituzionali inappropriati (concezione delle forze dell’ordine, spazidi coordinamento, eccetera)Cattive relazioni tra esecutivo e legislativoInsufficiente istituzionalità della giustiziaDebolezza nelle capacità (tecniche, finanziarie, politiche) dell’Amministra-zione di assumersi compiti relativi alla sicurezzaProblemi di leadershipDifficoltà nel coordinamentoDistribuzione di competenze inappropriata o inesistenteRapporti non sinergici: polizia-amministrazione-giustiziaRapporti non sinergici: governo nazionale-governo regionale-governolocaleDifficoltà di pianificazione urbana e della sicurezza

Regole non chiare o discredito della protesta socialeDifficoltà di attribuzione delle responsabilitàAssenza di partecipazione cittadinaAssenza di cooperazione cittadinaAgenzie dello Stato non preparate alla partecipazioneMancanza di chiarezza dei documentiGiustizia fai da teSfiducia nelle istituzioniLegittimità delle istituzioniMancanza di regole del gioco chiare

Alta capacità di lobby degli interessi privatiPropensione alla protezione del settore privatoMancanza di coordinamento tra sicurezza pubblica e sicurezza privataRischio di corruzioneScaricamento della responsabilità pubblica sugli attori economiciMancanza di regole del gioco chiare

Manzcanza di armonia e concorrenzaSfiduciaAbuso di posizioni privilegiate

Distacco dal contratto socialeAssenza di regole del gioco chiareMancanza di spazi per l’articolazione, il coordinamento, la negoziazioneDiffidenzaProblemi di comunicazione delle azioni pubbliche

Tavola 2. Elenco non esaustivo delle conflittualità che riguardano la sicurezza urbana viste dal puntodi vista dei rapporti Economia-Società-Stato

Una volta individuate le conflittualità più importanti bisogna procedere a una caratteriz-zazione in termini di espressione territoriale, influsso sui flussi e sulle dinamiche socialinonché sui processi decisionali. Il lavoro svolto da Esap e dalla Fundación Buen Gobierno(2004, quadro 2, tavola 4) può essere di ispirazione per una proposta di caratterizzazionedi conflitti che incidono sul processo decisionale relativo alla sicurezza urbana.

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75Documento 1. • La Governance della sicurezza cittadina •

Paraistituzionale InfrastataleStato-

Dimensionesocietà

Piano

Fattori problematici

Aree problematiche

Situazioni problematiche

Problemi concreti

Agenti e agenzie coinvolti

Conflitti definiti

Periodicità

Isolato

Sporadico

Ricorrente

Permanente

Focalizzato

Locale

Regionale

Nazionale

Violenza fisicaAzioni di pressionesenza forza fisica

Mediazione istituzionale

Misti

Economico

Politico

Sociale

Sicurezza cittadina

Sicurezza nazionale e/o difesa

Misti

Locale

Distrettuale

Regionale

Nazionale

Bassa

Medio-bassa

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• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

Paraistituzionale InfrastataleStato-

Dimensionesocietà

Fattori di gestione del conflitto

Basso

Medio

Alto

Basso

Medio

Alto

Basso

Medio

Alto

Basso

Medio

Alto

Reg

ion

ale

Mu

nicip

ale

Pro

vin

ciale

Nazio

nale

Cap

acità di accesso

ai fattori d

i gestio

ne

a) Dimensione: indica quale fonte di conflittualità è presa in considerazione nell’analisi

b) Piani di relazione: indicano in rapporto a quali campi generali di problematica di inserisco-no le conflittualità da affrontare per ogni dimensione

c) Fattori di problematica: scorporano e identificano i punti nodali che originano alcune “areeproblematiche” per ogni dimensione

d) Aree problematiche: si riferiscono ai contesti in cui si si verificano situazioni problemati-che su ogni dimensione

e) Situazioni problematiche: segnalano meccanismi, reti, sistemi, condizioni, livelli, circo-stanze o modelli che generano le conflittualità da affrontare in ogni dimensione

f) Problemi concreti: si specificano ed enumerano i fatti anomali, le disfunzioni e le contrad-dizioni che nascono dalle situazioni problematiche

g) Agenti e agenzie colpite: identifica gli attori e i soggetti (sociali, economici o istituzionali)che sono coinvolti in ogni problema, già completamente definito

h) Conflitti definiti: esulano dall’universo dei “problemi concreti” solo quelle situazioni identi-ficabili come conflitti

i) Caratterizzazione di conflitti: organizza i conflitti per periodi storici utili all’analisi e stabili-sce e qualifica la frequenza di ogni conflitto, la sua estensione territoriale, i mezzi diespressione dello stesso, l’ambito di impatto e l’intensità. Consente di osservarne l’evolu-zione e la tendenza.

� Frequenza: isolato, sporadico, ricorrente, permanente� Localizzazione: puntuale, locale, regionale, nazionale� Mezzi di espressione: violenza fisica, azioni di pressione senza forza fisica, mediazione

istituzionale, misti� Tipo di impatto: economico, sociale, politico, sulla sicurezza cittadina, sulla sicurezza na-

zionale e/o sulla difesa, misto� Estensione dell’impatto territoriale: locale, provinciale, regionale e nazionale� Intensità: bassa, medio bassa, media, medio alta, alta.

Segue �

Tavola 3. Schema modello per la caratterizzazione di conflitti e dei loro fattori di gestione (tratto daEsap & Fundación Buen Gobierno 2004)

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77Documento 1. • La Governance della sicurezza cittadina •

Quadro 2. Voci dello schema modello per la caratterizzazione di conflitti e dei loro fattori di gestioneusati dalla Scuola superiore di amministrazione pubblica e dalla Fundación Buen Gobierno per l’analisidella conflittualità territoriale in Colombia (Esap e Fundación Buen Gobierno, 2004)

Pubblici Internazionali

Nazionali

Rappresentanzediplomatiche

Presidenzadella Repubblica

Azione SocialeUfficiodi reinserimento

Ufficiodi assistenzaper gli sfollati

Tipo di attore Espressioni dell’attore

Segue �

j) Fattori di gestione: identificano gli elementi da cui dipende la gestione di ciascuno dei con-flitti individuati all’interno di ogni dimensione.

k) Accesso ai fattori di gestione: si qualifica la capacità di accesso di ogni istanza territorialeai fattori determinanti per la gestione di ogni conflitto. Questa voce considera i livelli co-munali, provinciali, regionali e nazionali, così come tre gradi: basso, medio e alto.

5.2 MAPPATURA DEGLI ATTORI STRATEGICI DELLA SICUREZZA URBANA

La mappatura degli attori è con ogni probabilità la fase più importante dell’analisi dellagovernabilità della sicurezza urbana. Dalla conoscenza profonda delle caratteristiche diogni attore individuale o istituzionale dipende non solo la comprensione dei problemi digovernabilità esistenti, ma anche la progettazione, l’applicazione e la fattibilità delle solu-zioni di governabilità e governance.

Hufty (2006b) propone di prendere in considerazione i seguenti aspetti per caratteriz-zare ogni attore:

� categoria o livello formale (organizzazioni dello Stato nazionale, provinciale, comu-nale, organizzazioni non governative)

� status (formale-informale / visibile-invisibile)� convinzioni o ideologie e mappe mentali� modi di espressione e azione� visibilità� capacità organizzativa e solidità interna (in rapporto alla coerenza o coesione come

gruppo o attore sociale e politico)� nucleo di responsabilità o funzioni formali e reali nascoste� spazio di intervento sul sistema� posizionamento (oppositore o facilitatore) rispetto al programma o alla politica in

questione

A partire dalla proposta di Hufty è possibile costruire uno schema modello di caratterizzazio-ne degli attori della sicurezza urbana comprendente i soggetti minimi della sicurezza urbana.

Una prima mappatura generale degli attori della sicurezza cittadina a Bogotá, per esem-pio, dovrebbe partire dal seguente elenco:

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Provinciali

Ministerodella Difesa

Sovrintendenzaper la vigilanzaprivata

Difensoredel cittadino

Sistemapenitenziario

Parlamentari

Alte Cortidel settoredella giustizia

Presidenzadella provincia

Poliziametropolitana

Direzionedi sezionedella procura

Consiglioprovinciale

Direzione dellapolizia nazionale

Comandodell’esercitonazionale

Segreteriadi governo(sottosegretariatoper la Convivenzae la sicurezza,sottosegretariatoagli affari locali;SUIVD)

Dipartimentoamministrativoper lo Stato sociale

Fondo di Venditepopolari

Segreteriaall’istruzioneSegreteriaalla sanità

Stazionidi polizia

Carceri

Tribunali e giudici

Comuni localiCommissariatiCentri diassistenzaper le vittime(CAVIDES)Amministratorilocalidella sicurezza

Centro operativolocaleCommissariatifamiliari

Scuole e comunitàeducativa

Centridi AssistenzaImmediata (CAI)

Unità di rispostaimmediata

Consigli locali

Tipo di attore Espressioni dell’attore

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79Documento 1. • La Governance della sicurezza cittadina •

Privati

Sociali

Regionali

Locali

Amministrazionedel dipartimentodi Cundinamarca

JAL – Assembleedi amministratorilocali

Sindaco locale

Cameradi commerciodi Bogotá

FENALCO – BogotáFederazionenazionaledi commercianti

ANDI - Associazionenazionaleindustriali

Fondazioni private

Sicurezza privata

Assemblee diazione comunale

Organizzazionisociali

Partiti politici

ONG nazionali

ONG internazionali

Chiesa

Universitàe centri di ricerca

Segreteriadi governodi Cundinamarca

Associazioni localio settorialidi commerciantio industriali

Associazionidi quartiere

Organizzazionialleate

Comuni vicini

Compagnie disicurezza privata

Fronti localidi sicurezza

Parrocchiee sacerdoti

Tipo di attore Espressioni dell’attore

Si tratta di un elenco ampio che può variare nella sua applicazione a seconda delle deci-sioni specifiche sulla sicurezza urbana. Questo elenco deve stabilire le sue priorità in baseal momento, alla questione o al conflitto preso in esame. Le proposte di Kübler & Heinelt(2002) di segmentare secondo l’interesse nell’intermediazione i metodi di decisione e lecaratteristiche di cittadinanza di questi attori, così come si è discusso in precedenza, pos-sono portare a una migliore comprensione del posizionamento in gruppi rispetto a unaconflittualità specifica della sicurezza urbana.

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Oltre a individuare gli attori strategici è necessario analizzare i rapporti che li legano. Èanche in funzione di questi rapporti tra attori che si possono definire aspetti importantidella governabilità. A partire dall’analisi dei rapporti tra gli attori pertinenti, bisogna pro-porne una differenziazione basata sul potere di ingerenza del singolo soggetto. Questo po-tere dipenderà dalle risorse economiche, culturali e simboliche dell’attore, dalla sua volon-tà e capacità di usare queste risorse, dalla loro concreta possibilità di utilizzo, dai rapportistrategici con gli altri attori e dall’impatto della loro azione. Una classificazione secondoquesti aspetti può basarsi su una mappatura grafica dei rapporti tra attori (vedi figura 2),che deve illustrare fondamentalmente il grado di dipendenza tra di loro. Bisogna quindiidentificare la dipendenza o l’indipendenza degli attori nei loro rapporti.

Un’analisi così caratterizzata serve a definire poi un’azione per rafforzare la governabili-tà e la governance degli attori strategici, distinguendoli da altri che potrebbero essere inseguito, a seconda della loro influenza, importanti o rilevanti e necessari o secondari.

5.3 SPAZI O NODI RELAZIONALI E CONFLITTUALITÀ TRA ATTORI STRATEGICI CHE INCI-DONO SUI PROCESSI DECISIONALI O SULLA SITUAZIONE DELLA SICUREZZA

Per la sicurezza urbana vanno presi in considerazione almeno tre tipi di spazi relazionali:il territorio, gli spazi di coordinamento dell’azione e quelli di dibattito politico.

Il territorio costituisce il contenitore centrale dei rapporti tra gli attori della sicurezza.Questi attori, nei territori sovralocali, locali o sublocali (prendendo come punto di riferimen-to la città) interagiscono in funzione delle regole esistenti e della congiuntura. Quest’ultimopunto è particolarmente vero nel caso della sicurezza urbana. È quindi necessario analizzarele dinamiche degli attori nel territorio locale o urbano per capire come le relazioni che li le-gano siano sensibili alle dinamiche concrete della sicurezza. Molti fenomeni di insicurezzanon sono circoscritti all’ambito locale o a quello della città ma rispondono piuttosto a logi-che regionali, nazionali e persino internazionali. Ciò comporta nuove modalità di reazione edi relazione con soggetti che stanno al di sopra del territorio di intervento. Ci sono casi,piuttosto comuni nell’ambito della sicurezza urbana, in cui molte competenze e responsabili-tà in materia spettano persino a istanze regionali o nazionali. C’è quindi bisogno di analizza-re la struttura e la dinamica relazionale tra soggetti locali, regionali, nazionali e a volte inter-nazionali per conoscere le possibilità di intervento nell’ambito della governabilità.

Inoltre a scala più ravvicinata è possibile constatare che i problemi di sicurezza possonocambiare da un luogo all’altro, o che le logiche del reato o della convivenza possono diver-sificarsi persino all’interno della stessa città. In questa logica, la territorializzazione dellapolitica pubblica di sicurezza urbana, che si adatta alle specificità di ogni territorio, subisceanche l’influsso dei cambiamenti nei rapporti e nei pesi dei soggetti strategici da un territo-rio all’altro. È normale che un determinato attore sia strategico in un territorio e risulti inve-ce secondario in un altro territorio della stessa città.

Gli scenari fisici o virtuali per il coordinamento o la assunzione di decisioni sono spessospazi formali come comitati, assemblee direttive o tavoli di lavoro. In termini generali si pre-sentano come il risultato di trattative precedenti e delle regole nate dalla negoziazione.Questo tipo di spazi formali è fondamentale per la negoziazione della politica pubblica abreve termine. È sempre qui che fanno la loro comparsa in tempi brevi le difficoltà o le pec-

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81Documento 1. • La Governance della sicurezza cittadina •

che del sistema quando queste si presentano. Ma allo stesso tempo sono gli spazi su cui èpiù facile intervenire e avere risposte veloci dal sistema. È quindi una buona idea tenereconto dell’elenco di questi spazi e capire le regole di relazione e i conflitti esistenti all’inter-no di ognuno di essi, nonché le caratteristiche dei soggetti coinvolti. Uno stesso attore puòessere secondario in uno spazio relazionale e essere invece strategico in un altro spazio.

Il terzo tipo di spazio, quello dell’arena politica, è complesso e tuttavia determinanteper la definizione delle politiche di sicurezza cittadina. È uno spazio complesso perché ne-gli ultimi anni la sicurezza è diventata una delle questioni più facilmente strumentalizzabilinel dibattito politico ed elettorale. Inoltre, in un’epoca in cui ad avere il sopravvento sonola comunicazione e l’immagine e in cui è estremamente facile manipolare le paure e le pas-sioni, la sicurezza diventa uno degli argomenti preferiti dei politici in campagna elettorale eanche delle forze di opposizione. Parlare di sicurezza sembra un dovere nato dalla profondasensibilità espressa dall’opinione pubblica a questo riguardo.

Barcellona può essere un esempio di governabilità della sicurezza cittadina. Negli anniottanta questa città è riuscita a rispondere a una situazione di insicurezza percepita dai cit-tadini e a costruire al contempo un certo consenso intorno a una concezione della sicurez-za. L’amministrazione di un determinato colore politico ha consentito la partecipazione dialtri schieramenti politici non solo alla gestione, ma anche alla realizzazione di uno stru-mento di consenso sociale e politico sulla strategia di sicurezza presentata nel rapportoSocías (comune di Barcellona, 1983). Questo rapporto risponde abbastanza bene alla lo-gica del Libro bianco sulla sicurezza urbana, uno strumento da privilegiare nella definizionedelle regole del gioco informali a lungo termine per un territorio con la partecipazione didiversi attori politici. Una città come Bogotá ha intrapreso la strada del Libro Bianco (Velá-squez, 2006a), strada che, per inciso, richiede una grande forza politica e una forte lea-dership da parte di chi è al governo.

È d’altronde necessario sottolineare che questi spazi di relazione e conflitto sono alcentro della problematica della governabilità e della sicurezza e su di loro spesso si gioca ilfuturo della sicurezza di un territorio. Dalla gestione appropriata e strategica che gli vienedata dipende anche la costruzione di una maggiore governabilità.

5.4 REGOLE CHE REGGONO LA RELAZIONE TRA GLI ATTORI DELLA SICUREZZA URBANA

Per quanto riguarda le regole che reggono i rapporti tra gli attori della sicurezza cittadi-na, appare necessario farne un inventario e un’analisi a varie scale:

A livello di meta-norme esistono dei principi costituzionali che reggono la concezionedella sicurezza urbana in un determinato territorio. In molti paesi dell’America Latina, peresempio, sussiste ancora uno “spirito di sicurezza nazionale” nella concezione della sicu-rezza cittadina. Fuentes & Fuentes (2005) sottolinea la situazione comparativa in AmericaLatina, affermando nelle sue conclusioni che “si osserva con preoccupazione la possibile ‘mili-tarizzazione’ della sicurezza pubblica in un contesto di richiesta di ‘mano dura’ in molti paesi del-la regione. Inoltre è da sottolineare il fatto che nella maggior parte dei paesi latinoamericani lapolizia presenta caratteristiche militari nel suo addestramento e formazione”. Allo stesso modo,il Cede dell’Universidad de Los Andes di Bogotá dimostra la difficoltà riscontrata dalla for-za pubblica nell’identificare chiaramente la differenza tra sicurezza nazionale e la sicurezzaurbana (Beltrán, 2006, com. verbale).

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Come norme costitutive che definiscono i meccanismi organizzativi e istituzionali relati-vi alla sicurezza cittadina abbiamo:

� le norme costituzionali, le leggi e i codici penali (da un punto di vista contenutisticoe procedurale) e di altri tipi che regolano la sicurezza cittadina riguardo ai reati pe-nali in un paese o una regione specifica

� le norme locali di convivenza

Un elenco preliminare di queste norme che sono più o meno stabili nel tempo per i pae-si dell’America Latina è accessibile attraverso la Banca dati delle Americhe dell’Università diGeorgetown, nel suo capitolo su Democrazia e sicurezza cittadina.

A livello del funzionamento dei rapporti tra i diversi soggetti bisogna prendere in consi-derazione le norme, formali o informali, che regolano la loro interazione e partecipazione adiversi spazi di rapporti formali (comitati, tavoli di lavoro, eccetera). I protocolli di azionesono fondamentali per il funzionamento degli attori della sicurezza. È altresì importanteprendere in esame le regole non formali che determinano le rispettive culture istituzionalidi attori come la polizia, la giustizia, la procura, eccetera. Queste culture istituzionali di so-lito sono determinanti per garantire la stabilità o procedere verso una situazione di gover-nabilità determinata.

Infine, e in modo più esteso, sono da analizzare le propensioni della comunità all’auto-controllo in un momento determinato. A Bogotá l’ex sindaco Antanas Mockus (1995-97 e2001-03) ha sostenuto che “l’esercizio sistematico della violenza al di fuori delle regole stabi-lite dal monopolio statale circa il suo uso legittimo o l’esercizio della corruzione crescono e si raf-forzano proprio perché diventano comportamenti culturalmente accettati in certi contesti. Si fi-nisce così per tollerare comportamenti chiaramente illegali e spesso moralmente censurabili”(Mockus, 2002). Mockus è stato l’artefice della “cultura cittadina” che in dieci anni è di-ventata una risorsa fondamentale per Bogotá.

Dall’analisi di questo universo di norme è importante dedurre, secondo Hufty (2006a),almeno tre punti:

� in che modo sono state formulate, trasmesse, ricevute e interpretate queste norme� quali sono le loro conseguenze� quali sono i processi di istituzionalizzazione

Inoltre è bene conoscere il rischio legato a un’eccessiva presenza di norme e alla lorocomparsa. È quindi importante mettere in guardia sulle debolezze che derivano anche dal-la definizione di nuove regole, quando per esempio i diversi attori non sono pronti ad ac-cettarle.

5.5 DINAMICHE CHE DETERMINANO LA CONFLITTUALITÀ E IL PROBLEMA DELLA GOVER-NANCE NEL TEMPO

Per l’analisi della sicurezza urbana in un determinato territorio è importante conoscerele fasi o gli stadi che essa ha attraversato nel tempo e che hanno portato alla situazione diconflittualità o di governabilità del momento analizzato. Come si è detto, non si può non

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prendere in considerazione anche una dimensione storica della governabilità. È quindi im-portante conoscere, rispetto alle conflittualità individuate, agli attori strategici e agli scena-ri relazionali, la loro evoluzione e i loro cambiamenti. Sono altresì importanti i cambiamentinelle norme, nelle regole del gioco e negli accordi di coordinamento e negoziazione trasoggetti. È probabile che queste evoluzioni siano articolate anche rispetto ai cambiamentinella situazione della sicurezza urbana, cambiamenti di tipo progressivo o improvviso per-ché dovuti a un evento.

6. COMMENTI FINALI: LE SFIDE CHE COMPORTAL’APPLICAZIONE OPERATIVA IL CONCETTODI GOVERNANCE DELLA SICUREZZA CITTADINA

La governance della sicurezza può essere intesa come governabilità e come governancevera e propria, rispettivamente nel senso verticale e orizzontale indicato da Revezs (2006).Esse presentano un interesse indiscutibile, anche se in questi commenti finali preferiamofare riferimento al più ampio concetto iniziale di governance.

La situazione della sicurezza urbana in un determinato territorio può migliorare moltose la governance funziona bene. Ma è chiaro che, di fronte alla presenza di fenomeni mute-voli e dinamici, non ci si può aspettare che questo nuovo concetto sia una panacea o unasoluzione per tutti i mali. Partendo da questo presupposto è possibile riconoscere, comelo dimostrano i fatti, che la situazione della sicurezza in molti luoghi è cambiata in positi-vo grazie ad accordi appropriati di governance. I fatti dimostrano anche che altrove il de-terioramento della sicurezza è dovuto a conflittualità sorte tra attori strategici più che aglistessi reati.

Entrambe le situazioni testimoniano l’importanza del concetto di governance. Non èd’altronde superfluo ricordare che, così come accade per altre questioni pubbliche, an-che per le politiche pubbliche di sicurezza è vero, come affermano diversi autori, che sonocambiati i meccanismi di regolamentazione della cosa pubblica e che è quindi necessarioadattarsi.

Questa riflessione metodologica ripercorre il concetto di governance e la sua applicazio-ne al campo della sicurezza urbana nelle sue accezioni di governabilità e governance.L’obiettivo è fare una proposta operativa, rispondendo a quella che appare come la più im-portante delle preoccupazioni dei cittadini, almeno in questo caso. Bisogna anche sottoli-neare che non si tratta di ripercorrere strade già battute da altri autori. Anche se continua-no a esserci divergenze sugli approcci, è anche vero che alcuni autori hanno cominciato afare ricorso, per altre problematiche, all’applicazione concreta di questi concetti. Hufty(2006a, 2006b), Esap-Fundación Buen Gobierno (2004) e Kübler & Heinelt (2002) nesono un esempio. Questo documento si poggia su alcuni di questi autori per strutturareuna proposta metodologica, sommandovi alcuni suoi contributi.

Rimane nelle mani del lettore un documento iniziale che permette di capire che il pas-saggio dal discorso all’applicazione operativa non è necessariamente breve e che richiedeanche importanti sforzi tecnici e metodologici. Questo schema metodologico è già appli-cato a Bogotá, città a cui sono stati riconosciuti importanti progressi nella sicurezza urba-

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na. Tali progressi, secondo l’ipotesi formulata da Velásquez (2006b) trovano la loro mag-giore spiegazione nel miglioramento della governabilità attraverso uno schema chiamato di“governabilità non formalizzata”.

A partire da qui è allora necessario capire come applicare lo schema metodologico pro-posto in diversi contesti. Così facendo si rende possibile non solo la sua applicazione perla comprensione della situazione di governabilità in un ambito determinato, ma anche e so-prattutto la sua applicazione per lo sviluppo di condizioni di governance della sicurezza ur-bana. Non c’è bisogno di ripetere, come si è fatto in precedenza, che non deve trattarsi maidi uno schema metodologico che abbia pretese di universalità e che la sua applicazione adiversi contesti deve partire dalla lettura iniziale della situazione specifica nel territorio da-to. Non si aspira dunque allo sviluppo di indicatori che rappresentino un modello ideale digovernance della sicurezza urbana a cui tutti debbano avvicinarsi. In questo senso, in mate-ria di governance della sicurezza urbana è possibile riprendere la concezione stabilita per leproblematiche della governabilità territoriale secondo cui “bisogna trattare in modo diversociò che è diverso” (Velásquez, 2004).

In questa fase iniziale della proposta metodologica è importante farsi diverse domande.Qual è il ruolo che spetta alla governance o alla governabilità nella strutturazione della sicu-rezza urbana? È chiaro che la governance della sicurezza non equivale all’insieme di azioniche tradizionalmente si affrontano quando si fa riferimento alla sicurezza urbana (azioni diprevenzione e di coercizione).

Come determinare l’avversione o la tolleranza al rischio che può avere una società inun determinato momento, la facilità o la difficoltà per costruire una situazione di gover-nance? È vero che la percezione di insicurezza incide indubbiamente sulla richiesta dei cit-tadini di sicurezza e ovviamente aumenta la pressione sui governi. Qual è l’effetto della si-tuazione congiunturale sugli schemi di governance che rispondono a una concezione alungo termine?

Come stabilire nuovi schemi di adattamento dell’amministrazione pubblica rispetto allesfide poste dalla governabilità e dalla governance, e le sfide della “sicurezza trasversale”? Sitratta di sfide che riguardano lo Stato e il come rendere operativa la governance. È fonda-mentale poi approfondire la risposta che uno schema di riforma dello Stato deve dare aquesta domanda.

Anche se lo schema metodologico non ha pretese di universalità, come arrivare a para-gonare la governance della sicurezza tra territori? Si tratta forse di uno dei possibili para-dossi della governance. Anche se è chiaro che ogni territorio costruisce il suo schema di go-vernabilità, non è meno vero che esiste un interesse a paragonare sistematicamente ciò cheaccade da un posto all’altro. I risultati di questa riflessione potranno portare in seguito auna sorta di osservatorio della governabilità della sicurezza urbana.

Anche se sono molte le domande possibili, come si può costruire una cultura della go-vernance? Si tratta di una domanda che trova risposta nello scambio di esperienze dellacreazione di reti e della formazione degli agenti di sicurezza. Elaborare e applicare un qua-dro metodologico per rendere operativa la governance della sicurezza è un passo fonda-mentale per avanzare nella formazione di attori della sicurezza urbana in possesso di que-sta visione.

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Infine si possono aggiungere tre punti all’analisi della governabilità della sicurezza: laquestione della comprensione della corresponsabilità (longitudinale e trasversale; verticalee orizzontale) che fa parte dell’applicazione operativa delle norme e regole del gioco neglispazi di rapporti e conflitti; la governabilità e il suo rapporto con la dinamica politica a lun-go e breve termine, che porta a immaginare nuovi schemi di accordo e consenso su que-stioni cruciali e affascinanti per il dibattito politico, come quello della sicurezza. Le propo-ste deontologiche fatte in questo senso, attraverso strumenti come i Libri Bianchi, meritanoun maggiore sviluppo e un’istituzionalizzazione. E in materia di prevenzione del rischio diun uso demagogico della sicurezza, uno degli “antidoti” sembra essere proprio l’elabora-zione di schemi appropriati di misurazione della sicurezza.

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Documento 2.

Gli osservatorisulla sicurezzanei Comuni e

le politichedi sicurezzaMario Hernández Lores

Comune di Madrid - Spagna

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1. PRESENTAZIONE

Il progetto “Consolidación de los gobiernos locales en seguridad ciudadana: for-mación y prácticas” ha come obiettivo la definizione dei profili professionali el’elaborazione di un programma formativo per i responsabili locali della sicurezza

cittadina in diverse città europee e dell’America Latina1 in particolare per quanto concernela formazione di “manager” o coordinatori per la sicurezza cittadina di ogni comune.

Per qualificare in maniera appropriata un coordinatore per la sicurezza, sarebbe suffi-ciente basarsi su un qualsiasi corso di laurea in discipline organizzative (psicologia, socio-logia, gestione aziendale, eccetera) ed applicarne le metodologie standard. In altre parole,basterebbe definire il profilo professionale del coordinatore, quindi stilare il program-ma didattico per la formazione su tutti gli aspetti di cui esso si compone, infine elaborareun compendio di prassi per lo sviluppo delle abilità necessarie perché questa figura pro-fessionale possa espletare le proprie funzioni in maniera efficace.

A grandi linee il metodo è perfettamente definito e sarebbe facile applicarlo, con ragio-nevoli possibilità di successo, se si trattasse di definire il profilo del coordinatore di un co-mune in concreto.

La difficoltà più grande, che rende questo progetto una sfida quasi titanica, sorge nelmomento in cui si cerca di elaborare un unico modello valevole per comuni diversi, lontanie soprattutto caratterizzati da definizioni concettuali eterogenee.

Come avremo modo di discutere più dettagliatamente in seguito, il compito del coordi-natore per la sicurezza consiste fondamentalmente nell’elaborazione e supervisione del-le “politiche di sicurezza”, politiche da sviluppare con il sostegno di diverse realtà. Una diesse sarà, senza dubbio, l’Osservatorio sulla sicurezza (o qualsiasi struttura dalle funzionianaloghe). Pertanto è naturale che la definizione degli obiettivi, dei compiti, delle strutture,dei metodi e dei mezzi che caratterizzano un “Osservatorio sulla sicurezza” dipenda, inevi-tabilmente, dalla definizione del coordinatore stesso in ogni comune.

Quindi, anche se esula dai propositi del presente documento, è opportuno illustrarebrevemente alcuni concetti controversi che ostacolano l’auspicabile unificazione a livellointernazionale del profilo del coordinatore per la sicurezza.

2. IL CONCETTO DI SICUREZZA

L a ricerca della sicurezza è una costante della vita quotidiana dell’uomo, fin dall’iniziodella storia. La paura di essere divorato dai predatori o aggredito dai suoi simili, la

preoccupazione per il pasto del giorno successivo, il timore di essere colpito da un fulmine,il terrore di scatenare l’ira degli dèi hanno sempre reso l’uomo prigioniero dell’incertezza,costringendolo ad agire d’anticipo per evitare i rischi appena citati e molti altri.

89Documento 2. • Gli osservatori sulla sicurezza nei comuni e le politiche di sicurezza •

1. http://www.seguridadurbal-regionetoscana.net/index2.php?IDpage=133&lang=ita

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Oggi siamo fortunatamente consapevoli del fatto che la sicurezza assoluta non esiste,ma le società si differenziano a seconda del grado di rischio che riescono a tollerare. Co-sì come esistono individui disposti a mettere a rischio la propria vita “per un pugno di dol-lari”, esistono anche società capaci di vivere tranquillamente in un ambiente a rischio cheper altre società sarebbe inaccettabile. È ovvio che il lavoro di coordinamento della sicurez-za è completamente diverso nelle due tipologie di società appena descritte.

Inoltre, il lavoro del coordinatore è diverso se questi si fa carico della sicurezza intesa insenso generico, ossia riferito a ogni tipo di rischio (incendi, traffico, sanità, protezione ci-vile, ordine pubblico, eccetera) come avviene tipicamente nei piccoli comuni, o soltanto diun aspetto specifico del tema sicurezza (ad esempio la sicurezza cittadina), con approcciotipico delle grandi città.

Anche il modello di Stato può influenzare le attività e la figura del coordinatore: adesempio, la Corea del Nord talvolta concentra la sua attenzione sulle minacce provenientidall’estero e trascura quelle interne.

D’altra parte, decidere di dare priorità alla sicurezza a scapito della libertà (o vicever-sa) comporta importanti ripercussioni sul modello operativo del coordinatore, per nonparlare di quando questo aspetto e quello precedentemente descritto si influenzano a vi-cenda, come è possibile che accada e come di fatto a volte avviene.

Esistono città dove la maggior parte del territorio è costituito da quartieri residenzialiprivati in cui la sicurezza privata prevale sulla sicurezza pubblica, e ne esistono altre in cuila sicurezza privata non esiste. È evidente che il modello di sicurezza e di conseguenza ilruolo del coordinatore saranno diversi in questi due tipi di città.

Inoltre, non vi è dubbio che il coordinatore agirà in maniera diversa nel momento in cuidovrà decidere se dare priorità alla sicurezza oggettiva o se invece scommettere sulla si-curezza soggettiva.

3. IL MODELLO TERRITORIALE DI SICUREZZA

L a gestione delle forze di polizia può costituire una buona parte delle attività delcoordinatore; tuttavia, esistono varie possibilità di articolazione del rapporto tra po-

lizia e comune, ragion per cui il lavoro del responsabile della sicurezza è estremamente di-versificato.

Esistono comuni che non hanno alcuna autorità sulle forze dell’ordine: in questi comu-ni, la gestione della sicurezza da parte delle autorità comunali dovrà necessariamenteorientarsi verso i modelli di prevenzione primaria e i rapporti con le forze di polizia regio-nali o statali.

Vi sono invece comuni in cui la polizia locale ha un ruolo di primaria importanza, e l’atti-vità svolta in questo settore può arrivare a dare fama mondiale alla persona che se ne occu-pa. La notorietà (nel bene e nel male) di William Braton e Rudolph Giuliani è di fatto legataalla gestione della polizia di New York, e la loro strategia di gestione della sicurezza urbanaè stata incentrata principalmente sull’attività delle forze di polizia.

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• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

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Esistono infine modelli intermedi di gestione territoriale delle forze di polizia: ad esem-pio, la Corea del Sud si è posta l’obiettivo di creare una polizia locale agli ordini del sindacoma dotata di una struttura statale, e anche in Francia esisteva un ordinamento simile fino al1941, anno in cui i corpi di polizia locale sono stati unificati per formare la Polizia Nazionale.

Un altro modello intermedio è riscontrabile attualmente in Spagna, in cui sia le poliziestatali che quelle locali hanno competenze in materia di sicurezza urbana e in cui l’obiettivoè che le seconde acquistino un ruolo sempre crescente. Anche la Francia si sta muovendonella stessa direzione, e in entrambi i paesi si rilevano importanti momenti di protagonismodei corpi di polizia municipali quando è necessaria una maggiore “vicinanza” della poliziarispetto al cittadino o una maggiore efficacia per contrastare la delinquenza che si muove eagisce nelle periferie urbane.

4. DIVERSI MODELLI AMMINISTRATIVI DEL TERRITORIO

Anche l’ordinamento territoriale e amministrativo della città, un aspetto strettamentelegato a quanto esposto nel paragrafo precedente, comporta ripercussioni sull’atti-

vità di gestione del coordinatore per la sicurezza.

Una grande città come Mosca, con una sola autorità comunale, si trova ad affrontareproblemi di coordinamento diversi rispetto all’area metropolitana di Santiago del Cile, det-ta “Gran Santiago”2, in cui si contano 36 sindaci.

L’approccio sarà ancora diverso in una grande città caratterizzata da una sola autoritàcomunale, da numerose suddivisioni amministrative e da un’area metropolitana compostada agglomerati di medie dimensioni (Madrid, ad esempio, conta oltre tre milioni di abitan-ti, è suddivisa in 21 distretti e la sua area metropolitana comprende una decina di agglo-merati urbani, indipendenti dal punto di vista amministrativo, ognuno dei quali conta circa125.000 abitanti).

La differenza sarà persino più marcata per città isolate di medie dimensioni, come adesempio Las Vegas, o per città che contano pochi abitanti.

5. LE COMPETENZE DELL’AUTORITÀ MUNICIPALEIN MATERIA DI SICUREZZA

Il concetto tradizionale di lotta alla criminalità fa perno su due pilastri, la prevenzionee la repressione; anche in questo campo si riscontrano notevoli differenze circa le

competenze dei sindaci e dei coordinatori per la sicurezza.

Nella tabella seguente sono riportati nove ipotetici ambiti d’azione in materia di pre-venzione dei reati, classificati secondo le due principali categorizzazioni teoriche del-l’attività di prevenzione. Questo modello può diventare più complesso con l’introduzione

91Documento 2. • Gli osservatori sulla sicurezza nei comuni e le politiche di sicurezza •

2. http://es.wikipedia.org/wiki/Santiago_de_Chile

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di una quarta categoria sull’asse orizzontale (la “prevenzione punitiva” descritta da diversiautori) e con un terzo asse, che mi sento di proporre, per operare un’ulteriore distinzionetra l’attività di prevenzione nei confronti dell’individuo e nei confronti della società.

Tuttavia non è il caso di dilungarsi qui in elucubrazioni teoriche, dato che l’obiettivo delpresente lavoro consiste nel descrivere l’ampio ventaglio di possibilità di intervento a di-sposizione del responsabile della sicurezza di un Comune, anche per quanto riguarda le al-ternative di competenza in materia di prevenzione.

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• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

3. Fonti: Lucia Dammert, “Asociación gobierno local - comunidad en la prevención del delito”, pag. 57 http://www.urbalvalparaiso.cl/p4_urbalred14/site/artic/20031119/asocfile/libro_ciudad_y_seguridad.pdfManuel Alvarez Sobredo, “Prevención situacional y análisis de seguridad en espacios públicos”. Rivista Ciencia Policial n° 38.Cuerpo Nacional de Policía (Spagna).Eduardo Raldúa Martín, “La vía policial hasta la prevención comunitaria”. Rivista Ciencia Policial nº 38. Cuerpo Nacional de Po-licía (Spagna).

PrimariaRivolta alle radicisociali del reato

SecondariaRivolta a gruppio spazi a rischio

TerziariaRivolta

al delinquenteo alla vittima perevitare la recidiva

SocialeRiduzione dei fattori

di rischio

Alcuni provvedimenti non sono originariamente concepiti per prevenire i reati (l’istruzione obbliga-toria, il reddito minimo di inserimento…), ma incidono direttamente sulla loro prevenzione

ComunitariaCoinvolgimentodella comunità

SituazionaleRiduzione

delle opportunitàdi commettere reati

(Obiettivi pocoredditizi; difficoltà

o pericolositàper il delinquente)

• Istruzioneobbligatoria.

• Politichea sostegnodell’occupazione

• Campagnesulla sicurezza.

• Reddito minimodi inserimento

• Programmidi riabilitazionedi tossicodipendenti

• Provvedimentidi allontanamento

• Club o associazionisportivee culturali

• Assembleedi quartiereper lariqualificazionedi spazi

• Polizia comunitaria

• “Vigilanzadi quartiere”

• Mediazione

• Lavoriper la comunità

• Controllodelle armi

• Urbanistica

• Dissuasione.

• Sicurezza privata

• Centri diaccoglienza perdonne maltrattate

• Braccialettielettronici

Alcuni esempi di misure concrete di prevenzione dei reati sulla basedelle due principali classificazioni teoriche3

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L’autorità municipale dispone inoltre di varie possibilità di intervento (sebbene limitate)in materia di repressione del reato, secondo il modello del “continuum penale” (legisla-zione � arresto � processo � riabilitazione/carcere).

Nell’ambito della legislazione penale le possibilità del comune sono senza dubbio limi-tate, dato che l’autorità municipale fa parte del potere esecutivo e le leggi generalmentevengono prodotte dal potere legislativo. È comunque vero che in numerose occasioni l’au-torità municipale viene indirettamente investita di questo potere, per mezzo di ordinanze,bandi o altre disposizioni di natura amministrativa che hanno spesso dimostrato una gran-de efficacia per la prevenzione e la repressione per diversi tipi di infrazioni.

Per l’amministrazione comunale, le maggiori possibilità di intervento si hanno nell’ambi-to della gestione delle forze di polizia. Tuttavia, anche su questo aspetto si riscontranomarcate differenze circa il numero di agenti disponibili4 o le competenze ad essi attribuite.Esistono corpi di polizia municipale che si dedicano esclusivamente a compiti burocratici,altri che si sobbarcano parte delle responsabilità in materia di sicurezza cittadina e altri an-cora che se ne occupano in via esclusiva.

In merito alle ultime due componenti del continuum penale, l’autorità municipale non hagrandi competenze. In ambito giudiziario, la separazione dei poteri impone di scindere tri-bunali e amministrazione locale, e anche in materia di carceri vige da sempre una separazio-ne; su quest’ultimo aspetto, però, tutto è possibile, dal momento che la gestione dei peni-tenziari, in alcuni Stati, sta passando in mano ai privati.

In sintesi, l’intreccio tra le variabili illustrate nei paragrafi precedenti fa sì che il numerodi modelli operativi dei coordinatori locali della sicurezza tenda all’infinito, rendendoestremamente difficile delineare un modello operativo unico.

Se gli Osservatori sulla sicurezza sono strutture di sostegno alla figura del coordinatore,ne consegue che anche i modelli organizzativi e gli obiettivi di queste strutture tenderannoall’infinito.

6. GLI OSSERVATORI SULLA SICUREZZA

Attualmente stanno nascendo numerosi “organi di studio” legati alla questione dellasicurezza. Le denominazioni utilizzate sono solitamente molto varie, ma in generale

tendono a contenere il termine “istituto” quando l’oggetto di studio è costituito dalla sicu-rezza in senso globale o nazionale, come ad esempio nel caso dell’I.E.P., l’Istituto di Studisulla Polizia del Corpo Nazionale di Polizia spagnolo, o l’INHES in Francia (acronimo chesta per Istituto Nazionale di Alti Studi sulla Sicurezza).

Il termine “Osservatorio” appare invece quando si studiano questioni tematiche o terri-toriali più ristrette: abbiamo così l’“Osservatorio sulla sicurezza” del Comune di Madrid ol’“Osservatorio sulla Violenza” della Segreteria del Governo della Colombia.

Si trovano inoltre, in misura minore, strutture denominate “Centri”, anche se dotate del-le stesse caratteristiche degli Osservatori: ne sono un esempio il “Centro di Analisi e Pro-

93Documento 2. • Gli osservatori sulla sicurezza nei comuni e le politiche di sicurezza •

4. Ad esempio, in molte città non esiste nessun corpo di polizia municipale; in Francia sono solo sei le città che dispon-gono di un numero di agenti superiore a 100; Madrid ne conta circa 7000, mentre a New York ci sono 37.000 agenti.

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spettiva” della Guardia Civile spagnola, il “Centro Regina Sofia per lo Studio della Violen-za”, anch’esso in Spagna, o il WODC (acronimo che sta per Centro di Ricerca e Documen-tazione) in Olanda.

Esiste poi una molteplicità di strutture contraddistinte da denominazioni e compiti ete-rogenei, ma con un obiettivo in comune: “conoscere la sicurezza urbana”. Si tratta distrutture pubbliche, private o miste, come il prestigioso RSD (Research and Statistics Di-rectorate) del Ministero degli Interni britannico.

Infine esistono strutture di natura più accademica, come l’“Istituto Interuniversitario diCriminologia dell’Andalusia” in Spagna o il “Programma di Sicurezza e Cittadinanza” dellaFacoltà Latinoamericana di Scienze Sociali.

A livello pratico, quest’ultimo paragrafo consente di definire uno degli obiettivi, o forseuno degli assiomi di funzionamento, di qualsiasi osservatorio “comunale” sulla sicurezza:

Il principale obiettivo di qualsiasi Osservatorio comunale sulla sicurezza non è dedi-carsi alla ricerca di base, bensì alla ricerca operativa, che consenta di approntare solu-zioni concrete ai problemi di convivenza urbana in materia di sicurezza. Ciò non significache non ci debba essere una collaborazione efficace e completa con il mondo accademi-co. Al contrario, si potrebbe affermare che è inevitabile che si crei una simbiosi tra que-sti due aspetti per raggiungere gli obiettivi prefissati, ma in nessun momento si può per-dere di vista che lo scopo del lavoro deve essere l’orientamento delle attività deiservizi pubblici. I rapporti finali di qualsiasi osservatorio devono essere un modello dirigore scientifico e di semplicità espositiva. In altre parole, i rapporti devono essere allostesso tempo rigorosi e operativi.

7. IL COORDINATORE PER LA SICUREZZA E IL RAPPORTODI SUBORDINAZIONE NEI CONFRONTI DELLA POLITICA

Come già abbiamo visto, gli incarichi, gli obiettivi, le strutture di qualsiasi Osservatoriosono in parte (e solo in parte) subordinate alla figura del coordinatore per la sicurezza.

Questo rapporto di subordinazione è duplice: da una parte c’è una componente “politi-ca”, determinata dal programma del partito politico al quale appartiene il “coordinatore perla sicurezza”; dall’altra c’è una componente “funzionale”, stabilita dalle funzioni del coordi-natore stesso e dalle politiche di sicurezza cittadina che sono state pianificate.

LA SUBORDINAZIONE POLITICA

Attualmente, in misura più o meno accentuata, il gioco dell’alternanza democratica nel-l’amministrazione di qualsiasi comune del nostro ambito geografico implica che i governan-ti vengano nominati per volontà popolare e, di conseguenza, possano essere sostituiti inqualsiasi momento su decisione della sovranità popolare che inizialmente ha concesso lorola sua fiducia.

Ne deriva un altro assioma, proposto da Rosmary Barberet5: per durare nel tempo, gliistituti e i loro rapporti devono prevedere sia la complessità della realtà sociale che l’alter-nanza dei partiti.

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LA SUBORDINAZIONE FUNZIONALE

Questo aspetto del rapporto di subordinazione è forse il più significativo e determinan-te, perché gli Osservatori, in quanto strutture di sostegno alla figura del coordinatore, do-vranno adattare tutti i loro parametri alle funzioni che questi dovrà espletare.

Una volta appurato che i possibili profili della figura del coordinatore sono infiniti, datele diverse concezioni, legislazioni e competenze che costituiscono la sua identità, è possi-bile affermare che anche gli Osservatori possono assumere una molteplicità di forme e in-carichi.

In definitiva, l’operato dell’Osservatorio è subordinato alla “politica di sicurezza”stabilita dal coordinatore, dal sindaco o dalla commissione incaricata di elaborarla.È ovvio che tra le varie funzioni dell’Osservatorio c’è anche quella di rilevare e classificarein ordine di importanza le richieste e le necessità dei cittadini, che in ultima analisi si ri-percuotono in maniera determinante sull’elaborazione delle stesse “politiche di sicurez-za”. È anche evidente che l’Osservatorio è chiamato a monitorare l’evoluzione e l’efficaciadi qualsiasi provvedimento in materia di prevenzione, di operato delle forze di polizia, diurbanistica, eccetera; questo aspetto è particolarmente importante visto che, in materiadi sicurezza, come è stato affermato durante la Conferenza Internazionale sulla Sicurezza,le Droghe e la Prevenzione della Delinquenza nelle Città (Parigi 1991), “È necessario ... cheil 10% dei nuovi crediti assegnati alla prevenzione sia applicato alla valutazione dei programmiin quest’ambito”6.

In conclusione, è opportuno ribadire che la figura del coordinatore e la sua politica disicurezza determinano in buona percentuale l’identità di un Osservatorio, e che tale figu-ra non può essere definita con precisione a causa della molteplicità di variabili che necompongono il profilo. La definizione approssimativa di questa figura professionale costi-tuisce uno degli obiettivi del progetto “Consolidación de los gobiernos locales en se-guridad ciudadana: formación y prácticas”, ma non del presente documento, anche sein questa sede è possibile abbozzare quella che in futuro potrebbe diventare una descri-zione più definitiva: “Il coordinatore per la sicurezza non deve essere necessariamente inpossesso di un titolo accademico specifico (sociologo, psicologo, avvocato, criminologo...) madeve avere seguito un percorso formativo interdisciplinare ampio e deve possedere una perfettaconoscenza dei meccanismi di gestione della “cosa pubblica”, senza mai dimenticare che questafigura deve poter contare sull’appoggio e sulla collaborazione delle più alte gerarchie dell’am-ministrazione comunale”.

In questa prospettiva, l’Osservatorio diventa una delle principali strutture di sostegno alcoordinatore e, nelle proprie attività, deve trovare un nuovo equilibrio. Rosmary Barberetpotrebbe affermare, in questo caso, che: una parte significativa degli sforzi di un Osserva-torio deve mirare alla credibilità, la rispettabilità e il rigore dei lavori; un’altra, estremamen-te importante, alla presentazione di lavori utili e semplici per i “politici”; nella maggior par-te dei casi, i rapporti di un Osservatorio dovranno contemplare entrambi gli aspetti.

95Documento 2. • Gli osservatori sulla sicurezza nei comuni e le politiche di sicurezza •

5. Rosmary Barberet :”Institutos de Estudios Criminales de carácter gubernamental en otros países”. Conferenza Na-zionale sulla Criminologia “Violencia y Sociedad”. Salamanca 2004.

6. Manuel Alvarez Sobredo. “Prevención situacional y análisis de seguridad en espacios públicos”. Rivista Ciencia Policial nº38. Cuerpo Nacional de Policía (Spagna).

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8. L’OGGETTO DI STUDIO DEGLI OSSERVATORI

È ovvio che l’oggetto di studio di un “Osservatorio sulla sicurezza” deve essere la sicu-rezza. Tuttavia, la sicurezza è una questione che presenta tante sfaccettature quanti

obiettivi, visto che il concetto di sicurezza, come abbiamo visto, è molto vasto, e talvolta gliobiettivi più immediati delle politiche di sicurezza finiscono per assorbire tutte le energie diun Osservatorio, come accade per gli omicidi e la violenza in alcune città dell’America Latina.

A Madrid si è deciso di concentrare l’attività dell’Osservatorio sulla sicurezza cittadina,trattandosi del problema che preoccupa maggiormente i cittadini nell’ambiente che li cir-conda più da vicino. Il concetto di sicurezza urbana è inteso sia oggettivamente che sog-gettivamente, e viene definito, secondo una prospettiva più spicciola, come “assenza di rea-ti”, e secondo una prospettiva più tecnica (si veda ad esempio l’eccellente articolo di J.L.Carro) come “la protezione delle persone e delle proprietà di fronte ad azioni violente o aggres-sioni, situazioni di pericolo o calamità pubbliche”.7

Chiaramente la definizione tecnica è più ampia, dato che, oltre a tutte le minacce legatealla criminalità, prevede altre minacce legate alle catastrofi, al traffico stradale, alla sanità,eccetera.

In questo senso è opportuno precisare che il Comune di Madrid offre diversi servizi diprotezione del cittadino, servizi che dipendono tutti dallo stesso assessorato (vedere il se-guente organigramma)8.

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• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

7. J.L. Carro Fernández-Valmayor. “Sobre los conceptos de orden público, seguridad ciudadana y seguridad pública”.POLICIA Y SOCIEDAD. Dirección General de la Policía. Madrid. Spagna 1989.

8. http://www.munimadrid.es/Principal/ayuntamiento/organigrama/pdf/SeguridadYServiciosComunidad.pdf

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È possibile notare come sia sempre lo stesso assessorato a erogare servizi di protezionein caso di catastrofi (Protezione Civile e Vigili del Fuoco) ed emergenze sanitarie (SAMUR),a dirigere il traffico stradale e a occuparsi di sicurezza per mezzo del Coordinamento Gene-rale di Sicurezza.

È proprio dall’assessorato che dipende l’Osservatorio per la Sicurezza di Madrid, ed èper questa ragione che l’attività dell’Osservatorio è prevalentemente orientata alla prote-zione dei cittadini di fronte ai reati penali. In questo senso, è bene non dimenticare che ilCoordinamento è direttamente legato anche alla Polizia municipale di Madrid.

Ciò non significa, comunque, che l’Osservatorio non si occupi degli altri rischi e timoridei cittadini; tuttavia, l’organico della Polizia municipale (circa 7.000 agenti) rapportato al-la popolazione della città di Madrid (3.150.000 abitanti) permette e nel contempo richie-de un organo specializzato in quest’ambito. Inoltre, l’Osservatorio non può permettersi diignorare l’operato delle altre istituzioni municipali che si occupano di aspetti strettamentelegati alla questione della sicurezza. Esistono quindi meccanismi di coordinamento e di stu-dio per aspetti che ricadono sotto la competenza di altri assessorati, ad esempio i servizisociali, l’urbanistica, la partecipazione cittadina, eccetera.

In conclusione di questa disamina sull’“oggetto di studio degli Osservatori”, sembra op-portuno trascrivere alcuni brani tratti dalla memoria per la modifica dell’organizzazionee della struttura dell’Assessorato alla Sicurezza e Servizi alla Comunità del Comunedi Madrid per integrare al suo interno l’Osservatorio sulla Sicurezza. Il primo paragrafo fariferimento agli “Studi sulla sicurezza nella prospettiva del Coordinamento Generale diSicurezza”, e recita:

“All’Assessorato alla Sicurezza e Servizi alla Comunità sono state attribuite tutte lecompetenze in materia di sicurezza ai sensi del Decreto del 14 giugno 2003 (Allegato VIII) chedefinisce l’organizzazione dei Servizi Amministrativi del Comune di Madrid.

Il Coordinamento Generale di Sicurezza si delinea come l’Organo più adatto alla gestio-ne della Sicurezza tra le competenze generali della Giunta comunale, sia per attribuzione esplici-ta che per incarichi delegati o che possono essere delegati in qualsiasi momento ai sensi dell’Ac-cordo del 27 luglio (Allegato IX). Segnatamente, con l’Art. 7.1.a vengono assegnate al Coordi-namento Generale di Sicurezza le seguenti funzioni: “Organizzare e dirigere il Corpo di PoliziaMunicipale, proponendo ed eseguendo i piani operativi […]” In altre parole, viene attribuita aquesto organo la gestione del Corpo di Polizia per quanto concerne le migliori modalità per la tu-tela della pubblica sicurezza, oltre ad altri aspetti che riguardano, in generale, le risorse necessa-rie per l’ottenimento dei fini che questa forza di Polizia è chiamata a perseguire in ogni momento.

Nelle organizzazioni moderne la gestione, intesa come assunzione di decisioni e assegna-zione di risorse (sia strumentali che umane), deve essere svolta sulla base di informazioni massi-mamente attendibili, se non di natura sperimentale o empirica. È per questo che si impone la ne-cessità di annoverare, tra le realtà che fanno capo al Coordinamento Generale di Sicurezza,un’istituzione che fornisca le necessarie informazioni offrendo le massime garanzie al riguardo,giacché la sicurezza è un ambito della realtà sociale di difficile percezione “prima facie” e richie-de uno studio sistematico della sua eziologia ed evoluzione, allo scopo di intervenire in manieraproattiva o preventiva, posto che in quest’ambito è pressoché impossibile risarcire il danno a po-steriori.

È per questo che emerge la necessità di disporre di informazioni adeguate, che consenta-no di definire le politiche di sicurezza, conoscere le richieste dei cittadini, sviluppare analisi stati-stiche degli eventi e apprendere il parere dell’opinione pubblica sulle questioni attinenti alla sicu-

97Documento 2. • Gli osservatori sulla sicurezza nei comuni e le politiche di sicurezza •

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rezza. I risultati di tali lavori sono importanti elementi di giudizio che permettono, insieme con al-tri dati forniti dai servizi preposti, di dirigere e di assumere decisioni, in altre parole, di gestirel’Organizzazione delle Forze di Polizia e la sicurezza con la minore arbitrarietà possibile.

Pertanto, è importante disporre di un organismo di studio in grado di fornire le informa-zioni necessarie in termini operativi in aree sensibili e specialistiche come l’analisi demoscopica,necessaria per adattare in maniera efficiente i servizi pubblici alle reali esigenze dei cittadini.

È risaputo che conoscere la realtà sociale è un compito complesso. Per gli specialisti ènecessario distinguere tra la realtà e la percezione della realtà, due dimensioni più eterogenee diciò che potrebbe sembrare in apparenza. La gestione dei fenomeni sociali richiede di consideraresia la realtà oggettiva che la percezione di tale realtà. La letteratura sociologica ammette il clas-sico assioma secondo cui quando un oggetto è percepito come reale, allora è reale in tutte le sueconseguenze; in altre parole, la percezione della realtà costituisce la realtà autentica per la vitapolitica e sociale: ne consegue l’importanza attribuita all’opinione dei cittadini, sia in ambitofunzionale che politico”.

Il secondo paragrafo fa riferimento alle “Competenze specifiche”, e recita: “L’Osservatorio sulla Sicurezza condivide la medesima finalità e gli obiettivi dell’Os-

servatorio sulla Città9, oltre ad occuparsi, nel proprio campo, dello sviluppo di tecniche e meto-dologie specifiche di ricerca sul fenomeno sociale del reato. Quest’ambito di studio non è ancorasufficientemente sviluppato e, com’è noto, l’orientamento scientifico degli studi sociali si è con-centrato più su “macroaree” che su aree locali, in cui, a causa del minor numero di fenomeni og-getto di studio, l’elaborazione di teorie su base statistica si fa meno attendibile.

Pur nella consapevolezza di questi limiti, qualsiasi organo di studio come l’Osservatoriosulla Sicurezza è utile per contribuire allo sviluppo della ricerca sociale in un campo come quellodella sicurezza, un elemento talmente significativo tra i fattori che determinano la qualità dellavita odierna che le autorità locali non possono non promuoverlo attivamente. L’Osservatorio sul-la Sicurezza elegge quale suo ambito operativo specializzato lo studio dei reati, della vittimizza-zione, dell’analisi statistica, della percezione della sicurezza e della previsione di comportamentied eventi che hanno ripercussioni sull’ordine pubblico e la convivenza armonica. In questo vastocampo di studio rientra, inoltre, tutto ciò che da alcuni illustri autori è stato definito ‘Società delRischio’.

L’ambito della sicurezza condivide con la sanità, l’istruzione, il lavoro ed altre aree di attivitàpubblica le stesse tecniche e gli stessi metodi di ricerca mutuati dalle scienze sociali, ma da qual-che anno sta sviluppando un orientamento specifico e individuale per quanto riguarda l’elabo-razione delle ricerche (al di là della criminologia sociale), l’analisi dei dati e le tecniche di pro-iezione.

Un’istituzione amministrativa delle dimensioni del Comune di Madrid può e certamente devecontribuire allo sviluppo scientifico, dedicando ai settori specifici della ricerca e dello sviluppol’attenzione individuale che meritano. Questo approccio, che consente a determinate aree ammi-nistrative di collaborare alle iniziative delle Università esattamente come avviene per le miglioriaziende private, è una novità non solo nel nostro paese, ma in tutti i paesi più sviluppati, e nelmedio termine si rivelerà un approccio molto fruttuoso. D’altra parte, un’amministrazione chefornisce servizi ed è aperta ai cittadini non può non cercare le migliori risorse per soddisfare levere esigenze della società, con le formule più efficaci e più comode per i cittadini. In questo mo-do, l’erogazione dei servizi di sicurezza si inserisce in una prospettiva talmente concreta da defi-nire i problemi in funzione delle soluzioni ogni volta che le tecniche e i procedimenti di erogazionedi questi servizi non si basano sulle tradizioni o le prassi consuetudinarie, ma sull’innovazione che

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9. Organismo di livello amministrativo più elevato, di cui si parlerà successivamente.

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nasce dalla ricerca applicata e non dalla semplice epistemologia. In questo modo è possibile con-tribuire veramente al dialogo tra l’Impresa-Amministrazione e l’Università, propulsore di quel-l’unione tra ricerca, sviluppo e innovazione che l’Università da sola, soprattutto in Spagna, non èin grado di stimolare”.

9. STRUTTURA DELL’OSSERVATORIO

Per raggiungere gli obiettivi prefissati, l’Osservatorio sulla Sicurezza di Madrid ha sceltodi creare tre suddivisioni amministrative definite Unità, coordinate e permeabili tra loro.

La prima è l’Unità di Documentazione, chiamata a ottenere i documenti necessari peraggiornare le competenze e i dati da utilizzare per le analisi e le ricerche, sia quelle interneche quelle commissionate all’esterno.

Questa Unità è responsabile della realizzazione di pubblicazioni periodiche, libri, conve-gni, siti Internet o qualsiasi strumento di divulgazione dei lavori di “libera diffusione” pro-dotti dall’Osservatorio. Inoltre, è importante ricordare che, in quanto struttura di sostegnoal Coordinatore Generale e in stretta relazione con il Corpo di Polizia Municipale, l’Osser-vatorio produce anche altri documenti a circolazione più ristretta.

Le attività principali dei membri di questa Unità sono la catalogazione di fonti aperte,l’acquisizione di libri, la sottoscrizione di abbonamenti a riviste specializzate, la consulta-zione di siti Internet, la compilazione di basi di dati, eccetera. In determinate occasioniquesta Unità si occuperà, inoltre, della collaborazione con realtà esterne per l’acquisizionedi basi di dati o applicazioni informatiche volte a migliorare i diversi fondi documentali dalpunto di vista qualitativo e quantitativo.

La seconda suddivisione è l’Unità di Relazioni, che si occupa dei rapporti dell’Osserva-torio con l’ambiente sia interno che esterno. Tali rapporti sono basati sul principio che loscambio di informazioni con altri organismi simili a livello nazionale e internazionale con-sente, come vedremo più avanti, lo sviluppo degli obiettivi dell’Osservatorio e una maggio-re precisione nelle ricerche.

Attività quali l’organizzazione di seminari, lo scambio di informazioni operative, la divul-gazione delle conclusioni degli studi o la raccolta di buone pratiche sono possibili soltantose si può fare affidamento su collaborazioni esterne. Tuttavia, anche le relazioni interne so-no importanti, in un’istituzione complessa come il Comune di Madrid, per rendere possibi-le la gestione economica, tecnica e materiale delle risorse del comune. Questa Unità con-sente di sveltire una fitta serie di attività, dalla stampa delle pubblicazioni periodiche al co-ordinamento delle sale conferenza, passando per lo scambio di informazioni formali o irapporti con le organizzazioni dei cittadini. Ma è soprattutto l’Osservatorio sulla Città, dicui parleremo più diffusamente in seguito, a giustificare l’esistenza di questa Unità.

La terza suddivisione è l’Unità di Ricerca, che si occupa di realizzare gli studi necessari perfornire un adeguato servizio di consulenza, in particolare al Coordinatore per la Sicurezza (maanche alla Giunta Comunale), su tutte le questioni legate alla sicurezza cittadina. Questa è l’Uni-tà più tecnica, il cui compito consiste nell’eseguire le ricerche condotte dall’Osservatorio stesso enel supervisionare la qualità dei lavori commissionati ad altri enti o imprese esistenti sul mercato.

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Com’è possibile notare, si è optato per un modello organizzativo interno semplice, conl’intenzione di commissionare ad enti esterni gran parte del carico di lavoro, sulla base del-l’urgenza dei lavori commissionati e della dotazione di bilancio disponibile. Ciò significache non si è cercato di replicare né il modello di altri grandi istituti in cui tutti i lavori tecni-ci vengono svolti dal personale interno, né quello dell’RSD del Ministero degli Interni bri-tannico, che si avvale della collaborazione di 400 ricercatori esterni.

Oltre a quanto già illustrato, è opportuno soffermarsi su una struttura di livello supe-riore all’Osservatorio per la Sicurezza che si è recentemente sviluppata dal punto di vistaamministrativo: l’Osservatorio sulla Città. In un mondo complesso come quello in cuiviviamo, i servizi di base per la cittadinanza (la sicurezza, la convivenza, la sanità, i tra-sporti, l’urbanistica…) non sono divisibili in compartimenti stagni. La questione dellasicurezza si compone, come abbiamo visto, di diverse sfaccettature (la sicurezza urbana,il traffico, la gestione delle catastrofi eccetera) ma è legata anche ad altri fattori, che de-finiscono la qualità della vita in una determinata città. La demografia, l’urbanistica, l’eco-nomia, l’istruzione e la cultura fanno parte di una rete interdipendente in cui, come neivasi comunicanti, qualsiasi alterazione di un aspetto finisce per ripercuotersi su tuttol’insieme. L’Osservatorio sulla Città raccoglie e analizza tutte le informazioni generate daidiversi organi municipali di studio con competenze su una materia specifica, e allostesso tempo svolge un ruolo da intermediario tra queste strutture consentendo loscambio di dati e relazioni.

Un utile strumento di cui si avvalgono l’Osservatorio sulla Città e i reparti qualità diogni direzione generale del Comune di Madrid è costituito dalle cosiddette “Carte di Servi-zio”. Questo strumento si basa sul presupposto che i cittadini “…rappresentano il fulcro del-l’attività amministrativa, per il diritto fondamentale di ogni cittadino di essere informato circa iservizi erogati, la qualità di questi servizi e i diversi canali di partecipazione agli stessi”. Tutto ciòavviene “sulla base di determinati obiettivi segnalati e di alcuni indicatori che riflettano il lo-ro grado di raggiungimento, sempre tenendo come punto di riferimento le aspettative dei cittadi-ni nei confronti dei servizi offerti, giudicando la loro efficacia”.

L’Osservatorio sulla Sicurezza deve conoscere tutte le istanze che prevedono il ricorsoalle Carte di Servizio per la propria area di competenza, ma anche dei servizi che si trovanoin stretta relazione con la questione della sicurezza.

10. LA FUNZIONE FORMATIVA DEGLI OSSERVATORISULLA SICUREZZA

Quando si sostiene che “i rapporti di qualsiasi Osservatorio devono essere un modello dirigore scientifico e di semplicità espositiva”, si fa riferimento a due delle caratteristiche

che meglio definiscono qualsiasi dispositivo informativo che punti all’eccellenza. In altreparole, le relazioni prodotte, oltre a fornire soluzioni a problemi specifici, si trasformanoautomaticamente in eccellenti meccanismi formativi.

Ciò è senza dubbio evidente, almeno in parte. Tuttavia, affinché i rapporti degli Osser-vatori si trasformino veramente in materiale didattico, c’è bisogno di un ingrediente ag-giuntivo: la diffusione.

Se i rapporti stilati arrivassero soltanto alle alte gerarchie, probabilmente alcuni proble-

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mi verrebbero risolti, ma non verrebbe trasmessa nessuna esperienza, che invece potrebbeessere generalizzabile per altri progetti presenti o futuri. È importante non dimenticare chela persona che ricopre la carica di coordinatore per la sicurezza, per le dinamiche proprie diquesto ruolo, sarà sostituita in un futuro più o meno prossimo, per cui il suo successore,chiunque egli sia, dovrà accumulare competenze per quando arriverà il suo momento. Ed’altra parte è necessario che anche le autorità di livello inferiore, soprattutto nelle grandicittà, siano messe al corrente dei problemi e delle soluzioni applicate in un determinatomomento.

Solo attraverso la diffusione delle competenze acquisite (ovviamente con qualche riser-va relativamente alle materie più delicate) sarà possibile raggiungere gli obiettivi illustratinel paragrafo precedente. I meccanismi di diffusione delle esperienze e delle conclusionipossono essere di varia natura, e l’Osservatorio sulla Sicurezza di Madrid è pronto persviluppare, e di fatto già sta sviluppando, una serie di strumenti per la divulgazione dellecompetenze. Ne citiamo alcuni:

Giornate della Sicurezza, dedicate alla formazione dei gradi superiori e intermedi del-la Polizia Locale di Madrid e dei vari dipartimenti di sostegno al Coordinamento Generaledi Sicurezza. Un giorno al mese vengono invitati uno o più rappresentanti di organismi in-ternazionali, nazionali o locali che si occupano di sicurezza per tenere conferenze o lezionifrontali. Fino ad ora hanno preso parte a queste iniziative diversi rappresentanti di istituzio-ni quali l’EUROPOL, l’INTERPOL, la NATO, la REPER, l’FBI, la Gendarmeria francese, la Poli-zia Nazionale francese e la Polizia belga. Nei prossimi mesi è prevista la presenza di rappre-sentanti della Polizia italiana, tedesca, quella di New York e quella di Miami; nel frattempo sistanno prendendo contatti per interventi futuri.

Pubblicazioni. Tutti gli atti delle conferenze appena menzionate (insieme ad altre ini-ziative a cui si farà cenno successivamente) sono stati pubblicati, per lo più in volume. Inol-tre, a questi eventi è già stato riservato un adeguato spazio su una pagina del sito Internetdell’Osservatorio, al momento in fase di progettazione. L’obiettivo di queste attività è con-sentire a tutte le persone interessate di accedere a questi materiali.

Un altro strumento di diffusione delle informazioni è una pubblicazione bimestrale inti-tolata Osservazioni sulla Sicurezza, per mezzo della quale l’Osservatorio sulla Sicurezzaha la possibilità di divulgare dottrine, correnti di pensiero e opinioni, ma anche dati situa-zionali relativi a diversi aspetti della sicurezza. Anche questo bollettino sarà pubblicato sulsito Internet.

L’Osservatorio non rinuncia, poi, ad organizzare seminari e a pubblicarne gli atti. “Ur-banistica e sicurezza” e “Risposta delle città al terrorismo” sono due delle tematiche cheverranno sviluppate con questa formula nei prossimi mesi.

Un’altra modalità di diffusione di contenuti formativi è la pubblicazione cartacea edelettronica delle relazioni elaborate dall’Osservatorio e di quelle commissionate ad entitàesterne.

Altri strumenti spesso utilizzati sono la partecipazione a conferenze, la firma di ac-cordi e la collaborazione con altre istituzioni quali ad esempio università, scuole per for-ze di polizia nazionale, regionale o locale, fondazioni eccetera. È importante ribadire che laformazione mirata all’“abilitazione di pubblici dipendenti incaricati di fare rispettare la leg-ge” è regolamentata e coordinata in Europa attraverso l’“Accademia Europea di Polizia”, eche in Spagna esistono diversi istituti di formazione dei corpi di polizia statali (Corpo Na-zionale di Polizia e Guardia Civile) e regionali (diverse accademie regionali di formazione dicorpi di polizia regionali e locali). Tutti questi istituti presentano un programma di studi

101Documento 2. • Gli osservatori sulla sicurezza nei comuni e le politiche di sicurezza •

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standardizzato e conferiscono titoli di studio riconosciuti dalle autorità accademiche spa-gnole. Anche il Comune di Madrid ha un Centro Integrale di Formazione in materia di Sicu-rezza ed Emergenze. L’Osservatorio sulla Sicurezza di Madrid collabora con gli istituti pre-cedentemente menzionati, per scambiare informazioni e perfezionare le competenze cheintegrano il profilo dei diversi professionisti coinvolti.

Inoltre, non può mancare la partecipazione a programmi internazionali come quello checi ha consentito di prendere parte ai seminari di Santiago e Firenze del progetto “Conso-lidación de los gobiernos locales en seguridad ciudadana: formación y prácticas”.

Riassumendo, l’Osservatorio sulla Sicurezza di Madrid, come qualsiasi altro organo uffi-ciale dalle funzioni analoghe, profonde innumerevoli sforzi per diffondere le esperienze ac-quisite e contribuire alla formazione dei vari professionisti della sicurezza.

11. FINANZIAMENTI E RISORSE

I mezzi per l’espletamento delle funzioni dell’Osservatorio vengono coperti in largaparte dalle risorse provenienti da una vasta sovrastruttura amministrativa come quel-

la del Comune di Madrid, che fornisce i mezzi necessari all’Osservatorio così come ad altriorganismi municipali. È grazie al Comune di Madrid che è possibile disporre di vaste basi didati, reti informatiche, programmi di analisi, computer, stampa e divulgazione dei risultatidelle ricerche, sale conferenze, eccetera.

Tutti i responsabili di centri di ricerca sulla sicurezza cittadina desidererebbero avere unorganico di ricercatori paragonabile a quello dell’RSD britannico o dell’INHES francese, maciò non è sempre possibile e talvolta non è neanche raccomandabile. Per questo motivo ènecessario commissionare alcune ricerche ad istituti terzi.

Un esempio paradigmatico che consente di comprendere meglio questa esigenza è co-stituito dagli ampi sondaggi di opinione necessari per conoscere le inquietudini dei cittadi-ni in materia di sicurezza. È evidente che né il comune, né nessun altro organismo ufficialespecializzato può disporre di una rete di intervistatori fissi e adeguatamente specializzati.In questi casi si ricorre alla poco raccomandabile alternativa di assumere personale interi-nale inesperto, oppure ci si rivolge a società esterne che dispongano di un organico com-petente. Lo stesso avviene per molte altre ricerche che necessitano di ricercatori specializ-zati. Ovviamente, ciò comporta la necessità di disporre di finanziamenti adeguati per com-missionare questi servizi.

Altri finanziamenti possono provenire da fonti interne, esterne o miste.

In un mondo in cui i rischi interni ed esterni che la cittadinanza corre emergono con unaforza sempre più crescente, qualsiasi struttura in grado di diagnosticare, prevenire ed alle-viare il timore causato da tali rischi deve poter disporre di finanziamenti adeguati da partedelle autorità pubbliche che gestiscono le risorse della comunità. In questo senso, è benenon dimenticare che la sicurezza cittadina è il principale problema contro cui puntano il di-to i cittadini delle grandi città europee. È quindi evidente che le risorse della pubblica am-ministrazione devono costituire la principale fonte di finanziamento, ma non l’unica.

Non è possibile rinunciare alle sovvenzioni che provengono da fondazioni o aziende

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con interessi comuni, anche se questo significa che i responsabili dei centri di studio devo-no dedicare parte del loro tempo al reperimento di fondi. Per esempio, è sufficiente consi-derare le ripercussioni della sicurezza cittadina sull’attrattività turistica di un paese. I grandiconsorzi del settore turistico non manifesteranno reticenze se verranno chiamati a collabo-rare a progetti che possono migliorare la sicurezza in aree più o meno vaste. Ma questo è,come si diceva poco sopra, solo un esempio: sono molte, infatti, le categorie interessate amigliorare la qualità della vita e la ricchezza delle città, e indubbiamente la sicurezza cittadi-na è uno degli elementi che maggiormente incidono su entrambi questi aspetti.

Un’altra fonte esterna di finanziamento è rappresentata dai vari programmi internazio-nali: in quest’ambito emerge in particolar modo l’Unione Europea, con programmi qualiURBAL, DAFNE, OISIN, ODISEO, eccetera, che hanno stanziato ingenti somme per realiz-zare studi e incontri su materie legate al tema della sicurezza cittadina.

Inoltre, è possibile utilizzare i fondi destinati a programmi, progetti e studi cofinanziaticon altri organismi esterni con i quali siano state sviluppate opportune partnership. In que-sto modo, con uno sforzo congiunto è possibile raggiungere obiettivi comuni che per unsolo organismo sarebbero inaccessibili.

12. LE PARTNERSHIP

Se la globalizzazione ha messo in evidenza qualcosa (senza volere esprimere giudizi dimerito) è l’interdipendenza delle diverse società umane, a prescindere dalle coordi-

nate geografiche in cui esse si trovano. In quanto sistemi aperti, le società hanno bisognodi un continuo scambio di energia o di informazioni per continuare a vivere. Allo stessomodo, indipendentemente dalle alleanze necessarie per ottenere i fondi a cui si è fatto cen-no nel paragrafo precedente, lo scambio di informazioni è fondamentale per poter raggiun-gere i livelli di conoscenza che costituiscono l’oggetto degli Osservatori sulla Sicurezza.

Tale oggetto di studi può essere provvisoriamente definito come la conoscenza dellarealtà sociale legata al tema della sicurezza. Di conseguenza, è necessario disporre di unadeguato modello di quantificazione, dato che “ciò che non può essere misurato nonesiste”. Ovviamente non si deve cadere nel riduzionismo quantitativista: è infatti possibi-le ottenere moltissime informazioni pratiche senza misurare alcunché, ma è anche veroche la capacità di quantificare è molto utile nell’acquisizione e nella trasmissione dellaconoscenza.

Una volta giustificata la necessità di adottare un approccio quantitativo, è opportunostabilire un vincolo tra la capacità di misurazione e le partnership. La misurazione consi-ste nel confronto tra due realtà. Si misura una persona quando l’altezza di questa personaviene confrontata con l’altezza di un’asta suddivisa in centimetri. Senza questo tipo di pa-ragone è impossibile stabilire se la persona in questione è molto alta o molto bassa; invece,una volta misurata, possiamo confrontarla con qualunque altra persona, anche se questa sitrova dall’altra parte del pianeta.

Per sapere se e quanto una società è sicura, e soprattutto per essere in grado di in-tervenire di conseguenza e correggere le eventuali disfunzioni, occorre poterla paragonarecon altre per mezzo di unità di misura standardizzate.

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A volte, come un bambino che sta crescendo, la società deve essere confrontata con séstessa, per determinare se l’evoluzione in corso è più o meno positiva e, eventualmente,per stabilire l’efficacia delle misure preventive o repressive adottate in un determinato mo-mento.

Altre volte, sempre come un bambino che sta crescendo, la società deve essere parago-nata ad altre società che presentano caratteristiche simili, per poter determinare se lo svi-luppo della società in questione sia anomalo o adeguato.

Per raggiungere questi obiettivi è necessario poter contare su partnership forti, e nonsolo per scambiare informazioni, cosa già di per sé piuttosto difficoltosa: è necessario pertrovare un accordo sull’adeguatezza delle misurazioni, perché se i confronti vengono effet-tuati partendo da strumenti non equilibrati non si ottengono informazioni, ma disinforma-zione.

La maggiore difficoltà nel confronto tra le realtà criminali di diversi paesi risiede nelladiversità dei codici penali da paese a paese. In generale si tende a confrontare solo i rea-ti penali più gravi perché questi sono più o meno simili in tutti i paesi, e si tralasciano le in-frazioni più lievi (le contravvenzioni), tra cui quelle amministrative. Per molto tempo la Fin-landia è apparsa come un paese con un elevatissimo tasso di criminalità, ma ciò era dovutoal fatto che le violazioni del codice della strada erano considerate reati e incluse tra i datistatistici della delittuosità.

In altri momenti si è considerato l’omicidio come un indice significativo della criminalitàdi un paese, visto che la definizione di omicidio è piuttosto simile in tutti i paesi. Controogni pronostico, in Olanda e in Spagna furono rilevati tassi inaspettatamente elevati diomicidi; in seguito, tuttavia, si scoprì che questi due paesi computavano nella “contabilitàcriminale” anche i tentati omicidi oltre a quelli effettivamente consumati, mentre in altripaesi venivano considerati solo questi ultimi. Una volta corretto l’errore è stato possibileridimensionare il clima di allarme che già aveva iniziato a diffondersi.

Com’è facile immaginare, la difficoltà e lo sforzo di unificare i vari criteri sono diretta-mente proporzionali al numero di paesi coinvolti nelle partnership. Tuttavia, questi sforzisarebbero ripagati nel caso in cui venisse raggiunto un minimo di accordo operativo.

In questo senso è opportuno menzionare due importanti iniziative. La prima ha vistoprotagonista l’Istituto per gli Studi di Polizia spagnolo, sovvenzionato da fondi dell’UnioneEuropea e dal programma OISIN. Questa iniziativa è culminata nel seminario internazionalesvoltosi a Palma di Maiorca nel 1999, un evento che ha ottenuto un ottimo risultato teori-co10 ma scarsi effetti pratici, dato che non è stato possibile dare continuità ai lavori nono-stante fosse stata proposta una seconda edizione del seminario.

La seconda iniziativa internazionale è coordinata dall’INTERPOL; si tratta di un progettopiù complesso, ancora in corso, che ha il merito di avere raggiunto un certo livello di omo-geneità anche se a costo di limitare il numero di reati analizzati. Purtroppo, però, a causa

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10. Si veda “Estadísticas de Criminalidad en la Unión Europea”. Editado por Fundación de la Policía Española,Madrid 2002.

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dell’interpretazione faziosa dei dati e dello scarso rigore di alcuni paesi, i dati raccolti ven-gono tenuti sempre meno in considerazione, e la loro diffusione è limitata.

Sarebbe poi opportuno menzionare altre iniziative di raccolta di dati, ad esempio quellarealizzata dall’RSD del Ministero degli Interni britannico o quella intitolata “European Sour-cebook of Crime and Criminal Justice Statistics”, della quale fanno parte l’RSD e il WODOColandese.

Tuttavia, l’impegno di un Osservatorio non si deve concentrare unicamente in attività diraccolta di statistiche più o meno affidabili sulla criminalità. Tra i numerosi aspetti che do-vrebbero essere analizzati dalle varie partnership tra Osservatori sulla sicurezza ne menzio-niamo alcuni a titolo esemplificativo: la definizione di obiettivi, i parametri covarianti perti-nenti alla criminalità e alla sicurezza, gli indici e indicatori più appropriati, per non parlaredei contenuti e della metodologia dei sondaggi sulla vittimizzazione.

13. CONCLUSIONI

Sia la formazione che l’attività professionale stessa dei coordinatori per la sicurezzapossono essere basate o su interventi che prendono spunto da intuizioni, o su ele-

menti concreti forniti da strutture di sostegno. Ovviamente è auspicabile scegliere la se-conda opzione, ed è chiaro che gli Osservatori sulla sicurezza e le loro partnership conistituti analoghi o con le università possono svolgere un ruolo di vitale importanzanell’orientamento dell’attività direttiva dei coordinatori per la sicurezza, e anche dialtri servizi pubblici comunali.

105Documento 2. • Gli osservatori sulla sicurezza nei comuni e le politiche di sicurezza •

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Documento 3.

Le amministrazioni localie la sicurezza urbana:

esperienzein America Latina

e in Europa

Lucía Dammert (FLACSO)

Carla Napolano (FESU)

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1. INTRODUZIONE

L’aumento della violenza è un fenomeno che si sta verificando praticamente ovun-que nel mondo. Nonostante essa si presenti in maniera diversa e con una diversaintensità, tutti concordano nel riconoscere che l’aumento della violenza abbia un

impatto negativo. La violenza è un fenomeno dai tanti volti e dalle molteplici sfaccettature,ragion per cui effettuare un’analisi comparativa al riguardo, anche all’interno di una stessaregione del mondo, non sembra essere un compito facilmente realizzabile.

Ciò nonostante un’osservazione in chiave comparativa della violenza (soprattuttodi quella di stampo criminale) e delle risposte che le amministrazioni locali stanno dando èuno strumento utile per trarre insegnamento dagli esempi di buone e cattive pratiche fino-ra applicate.

Il presente articolo affronta la questione della sicurezza e analizza le risposte forni-te sul piano locale all’interno di due contesti che potrebbero essere considerati molto di-versi tra loro, ovvero l’Europa e l’America Latina.

L’America Latina è al secondo posto nella classifica dei paesi più violenti al mondo(WHO, 2002), mentre la maggior parte delle città europee deve affrontare principalmenteproblemi legati alla convivenza cittadina e alla violenza di stampo non criminale. Per questaragione dal confronto di crimini o reati come l’omicidio, i furti, i sequestri e altri simili non èpossibile fare un’analisi integrale del problema; l’osservazione rimane parziale, limitata alleproblematiche della regione latinoamericana. Allo stesso modo, la questione migratoria e iproblemi di convivenza ad essa associati rivestono una grande importanza nelle principalicittà europee, mentre in America Latina il loro impatto è limitato.

Alla base dei problemi che affliggono entrambe le sponde dell’Atlantico c’è unmodello di sviluppo in cui la violenza, purtroppo, è diventata in molti casi un meccani-smo di risoluzione dei conflitti. In altre parole, questioni che prima erano risolte attraver-so la cooperazione, il coinvolgimento o il conflitto non violento, ormai spesso prevedo-no un uso notevole di forza simbolica e reale. Un’altra deplorevole costante è costituitadalla presenza di “nemici” chiaramente definiti, che sono identificati come “colpevoli”dei problemi che si verificano nei nostri paesi. In America Latina sono i giovani violenti, icosiddetti “mareros” o “pandilleros”, a essere indicati e condannati come criminali. InEuropa questo ruolo è attribuito ai migranti, che sono considerati da buona parte dellapopolazione come violenti e criminali. In entrambi i casi parliamo di giovani con scarsepossibilità di integrazione, strumenti limitati di socializzazione e un forte tasso di abban-dono familiare, accompagnato da un basso grado di istruzione e formazione professio-nale.

Il presente lavoro si apre con una definizione concettuale di quei fenomeni a cuispesso si fa riferimento nell’affrontare il problema della sicurezza senza darne però unadescrizione esaustiva. In secondo luogo si presenta una breve diagnosi della situazionedella sicurezza cittadina in America Latina e in Europa, per poter così identificare gli ele-menti comuni e le differenze tra i due contesti. In seguito, sulla base dell’analisi di unsondaggio che ha coinvolto venti amministrazioni comunali dell’America Latina, si de-scrive brevemente il ruolo e la capacità di azione delle amministrazioni locali in AmericaLatina. Infine saranno presentate alcune raccomandazioni e sfide da affrontare per svol-gere un’analisi comparativa della violenza e delle buone pratiche sviluppate sul piano lo-cale in entrambi i contesti.

107Documento 3. • Le amministrazioni locali e la sicurezza cittadina: Esperienze in America Latina e in Europa •

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• Consolidamento dei governi locali per la sicurezza urbana: formazione e pratiche

2. DEFINIZIONI PRELIMINARI

Pur essendo uno dei problemi sociali più importanti, quello della violenza è ancheuno dei problemi meno compresi. Uno dei possibili motivi di questa debolezza sta

nel fatto che la violenza viene spiegata e intesa attraverso i mezzi di comunicazione chepossono trasmettere un’immagine distorta della realtà, proponendo inoltre soluzioni che sidimostrano alla fin fine poco utili per ridurre il tasso di criminalità.

È chiaro che le prospettive teoriche utilizzate per analizzare questo fenomeno dipendo-no dall’idea che si ha della violenza e di come si può agire al riguardo. Il senso comune,purtroppo, è strettamente legato a prospettive teoriche che sottolineano la componenteindividuale del fenomeno della violenza e che puntano alla sua repressione, senza discuter-ne le radici sociali.

Nonostante la violenza sia un fenomeno complesso che copre talmente tante tipologiee categorie da rendere impossibile la formulazione di una teoria in grado di spiegare tuttele forme di comportamento violento, è necessario spiegare perché le principali categorierelative a questa questione sono svuotate di contenuto. L’esistenza di diversi orientamentispecialistici sulla violenza ha portato a una gestione inadeguata di queste categorie, percui c’è la tendenza a confondere il conflitto con la violenza, la violenza con la criminalità, ela criminalità con la sensazione di insicurezza. La mancanza di chiarezza nell’uso di questitermini comporta gravi conseguenze sull’analisi sociale e ha importanti implicazioni nellaformulazione e nell’applicazione delle politiche pubbliche.

Ecco perché per analizzare la violenza urbana è necessario studiare le città intese comeun ambiente di relazioni e di conflitti sociali permanenti, dovuti alla diversità delle personee degli interessi che la popolano (Carrión, 1998). In questo senso è importante sottolinea-re che il conflitto è insito nella città, per cui eliminare il conflitto sarebbe possibile soltantoattraverso l’imposizione autoritaria di un unico sguardo e di un’unica interpretazione dellarealtà.

Nonostante la città sia un luogo in cui i conflitti acquistano più forza, questo non signi-fica necessariamente che essa sia anche un territorio in cui la violenza è destinata a ripro-dursi, perché i conflitti non sempre comportano risposte violente. Partendo da una defini-zione di violenza come “uso, o minaccia d’uso, della forza fisica o psicologica con l’inten-zione di fare del male in modo ricorrente o come modalità di risoluzione dei conflitti” (Ar-riagada, 1999), si possono identificare molteplici violenze che possono essere raggruppa-te secondo diversi fattori, primo tra tutti lo spazio geografico in cui hanno luogo (Búvinic eMorrison, 1999).

Quest’ultima caratteristica è di fondamentale importanza in America Latina, un conti-nente con un elevato grado di urbanizzazione e in cui si è osservato un aumento esplosivodella violenza praticamente in tutte le sue dimensioni. In particolare in Argentina la fortepercentuale di urbanizzazione, il riferimento continuo a episodi di violenza sui mezzi di co-municazione (Concha, 1994), il deterioramento visibile delle condizioni di vita di una note-vole percentuale degli abitanti e la crescita sostenuta del tasso di criminalità sono fattoriche hanno messo il problema della violenza urbana al centro del dibattito politico.

In Europa diversi studi comparativi dimostrano che nel periodo 1996-2000 i reati sonoaumentati del 17% in Belgio, del 15% in Austria, del 13% in Portogallo e hanno subitoun’importante diminuzione in Irlanda e in Germania con un calo rispettivamente del 22% edel 6% (Buffet, 2002).

Lo studio di Buffet (2002) mette in luce alcuni modelli di comportamento violento inEuropa tra cui il furto, che rappresenta oltre la metà dei reati denunciati alle autorità. Sitratta di un reato che non prevede l’uso diretto della violenza fisica contro la vittima e che

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si consuma principalmente nei luoghi pubblici (cfr. pp. 15-16). Inoltre, l’aumento dei flussimigratori dall’Africa e dall’America Latina negli ultimi cinque anni ha ulteriormente compli-cato il rapporto tra i residenti indigeni e i migranti rispetto alle questioni generali di convi-venza cittadina.

La complessità della questione e la sua multidimensionalità hanno reso difficile l’elabo-razione di diagnosi e di analisi che consentano di avere uno sguardo d’insieme sui problemiesistenti. Ciò nonostante, è possibile evidenziare alcune caratteristiche presenti in AmericaLatina: si tratta di un fenomeno nuovo in termini di grandezza; il fenomeno si è diversificatocon la comparsa di nuove modalità come il traffico di droga, il sequestro di persona perpe-trato per strada e le azioni di bande organizzate; comporta la nascita di nuovi soggetti chevanno oltre la violenza comune, come nel caso dei sicari in Colombia; tocca tutti gli ambitidella vita urbana. Invece in Europa si tratta piuttosto di un fenomeno latente, limitato so-prattutto a settori specifici della popolazione che commettono reati contro la proprietàcon un uso limitato della violenza; a tutto ciò si va ad aggiungere un forte senso di sfiduciae la segregazione della popolazione migrante.

Questa sensazione generalizzata di insicurezza incide sulla crescita frammentaria dellecittà, sulle modalità di interazione sociale, sull’uso degli spazi pubblici e sull’impiego dellasicurezza privata. Ecco quindi che nelle città si verificano fenomeni quali la perdita di spazipubblici e civici, lo sviluppo di comportamenti sociali individualistici, la comparsa di unsenso di angoscia, l’emarginazione, la paura e la diffusione dell’urbanizzazione privata(chiusa) che aumenta la segregazione sociale e spaziale (Caldera, 2000). La città perde al-lora la sua forza di socializzazione, trasformandosi in un campo di battaglia tra due gruppiemarginati e chiusi (Rotker, 2002). Nonostante sia innegabile il legame tra violenza e città,non è possibile, a partire da tale contesto, fornire una chiara definizione della violenza. Sicrea quindi un circolo vizioso in cui i processi di sviluppo urbano sono colpiti dalla presen-za della violenza e viceversa.

LA VIOLENZA URBANA

Sono gli anni Novanta il decennio in cui la criminalità diventa il principale problema ur-bano in America Latina. Nonostante nella maggior parte dei paesi si fossero verificati pro-cessi di natura violenta nel corso degli anni Ottanta, essi erano rimasti legati principalmen-te ai conflitti politici.

Una delle caratteristiche principali del problema della criminalità è la sua “urbanizzazio-ne”, nel senso che la criminalità si presenta in maniera più chiara nelle grandi città e nei cen-tri di media grandezza della regione. In questo senso bisogna tenere presente che l’Ameri-ca Latina e la zona dei Caraibi costituiscono la regione in via di sviluppo più urbanizzata delmondo, con una popolazione urbana che è arrivata al 75% nell’anno 2000 (Cepal, 2000).Le percentuali sono comunque ancora più alte in paesi come l’Argentina, in cui i dati uffi-ciali stimano che oltre il 90% della popolazione risieda all’interno delle città. Le principalicittà della regione hanno pertanto registrato indici critici nell’ultimo decennio, periodo incui la regione è diventata la seconda area più violenta al mondo.

Un’analisi comparativa indica che l’America Latina e i Caraibi hanno raggiunto nel 1990un tasso regionale di 22,9 omicidi per centomila abitanti, ovvero oltre il doppio del datomedio mondiale di 10,7 (Búvinic e Morrison, 1999).

Oltre ai dati ufficiali già analizzati, ne esistono altri che confermano che l’America au-strale è al secondo posto tra le regioni con la più alta percentuale di popolazione vittima diun reato (68%). Il dato più interessante in questo senso riguarda la percentuale di popola-

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zione che è stata vittima di una rapina (31%), un dato notevolmente al di sopra della mediamondiale (19%) e dell’America del Nord che si è collocata al terzo posto (22%).

Le differenze all’interno della regione latinoamericana meritano un’analisi particolareperché si riscontrano non solo a livello nazionale, ma anche all’interno di ogni paese. Adesempio, i tassi di omicidio nella regione variano da 117 per centomila abitanti in un paesecome El Salvador, a 1,8 per centomila abitanti in Cile. Tali differenze sono fondamentali an-che nell’analisi paese per paese, dato che è possibile riscontrare realtà complesse in cittàdove di fatto si concentra la criminalità. Anche se il tasso di omicidi è utile per confrontarea livello nazionale e regionale la situazione dell’uso estremo della violenza, vale la pena se-gnalare che in alcuni paesi considerati sicuri all’inizio degli anni Novanta è stato rilevato unaumento elevato e costante dei reati denunciati (sia contro le persone, sia contro la pro-prietà).

Nel prendere in esame il numero delle denunce è importante sottolineare che il loro au-mento può essere spiegato attraverso due fattori divergenti. Una prima interpretazione po-ne l’accento sul fatto che questa tendenza dimostra un aumento della criminalità e quindidei reati effettivamente commessi; la seconda spiegazione, invece, sottolinea l’aumento deilivelli di denuncia, che equivarrebbero a una diminuzione del dato dei reati non denunciati.Praticamente in nessun paese della regione è stato possibile determinare un’interpretazio-ne univoca di questa variazione. Tuttavia è possibile affermare che la consistenza dell’au-mento numerico delle denunce non può semplicemente riflettere un aumento della fiduciadella popolazione, per cui è evidente la presenza di un aumento dei comportamenti delit-tuosi.

Un altro fenomeno interessante riguarda la “geografia del reato” che agli inizi del de-cennio scorso si concentrava nelle capitali di ogni paese, ma che ha cominciato a muoversianche verso le città di medie dimensioni. Nel caso del Cile, ad esempio, la percentuale deireati contro la proprietà nel 2002 mostra che l’incidenza del problema in sei regioni delpaese si attesta al di sopra della situazione della regione metropolitana di Santiago. Lostesso vale per l’Europa, dove la questione della sicurezza si pone non solo in città comeParigi o Londra, ma va a colpire anche città più piccole (Ministero degli Interni, 2004).Questa diagnosi dimostra che è necessario affrontare il problema della violenza urbana subase permanente e ai diversi livelli amministrativi, due prospettive che saranno analizzate diseguito.

PROBLEMI DI CONVIVENZA

I conflitti all’interno della città sono un processo prevedibile e senz’altro inevitabile. Lapresenza di molteplici attori con interessi, opinioni, culture e tradizioni differenti comportaun chiaro aumento della conflittualità sociale. Ciò nonostante, la presenza di diversi sog-getti non dovrebbe essere necessariamente collegata alla violenza. Purtroppo in gran partedelle nostre città la risposta al conflitto è data generalmente dalla violenza simbolica o rea-le. La chiusura di spazi pubblici, la nascita del fenomeno della vigilanza privata nonché lapresenza di spazi pubblici ad accesso ristretto sulla base di determinate caratteristiche in-dividuali sono indubbiamente una dimostrazione della violenza simbolica che si verificaquotidianamente all’interno della città.

È d’altronde possibile notare la presenza di una violenza reale, con casi estremi di lin-ciaggio nei confronti di chi è considerato violento o pericoloso, o probabilmente coinvoltoin un’azione delittuosa. Inoltre si presentano casi di violenze quotidiane, ad esempio neiluoghi con una forte concentrazione di popolazione migrante, dove lo scontro culturale in-

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111Documento 3. • Le amministrazioni locali e la sicurezza cittadina: Esperienze in America Latina e in Europa •

nesca meccanismi di scontro quasi ogni giorno. Una delle alternative per ridurre questi li-velli di conflitto risiede nello sviluppo di iniziative di partecipazione comunitaria, una parte-cipazione che ormai ha assunto un ruolo di primo piano nelle politiche pubbliche di sicu-rezza. Questa situazione è dovuta principalmente alla forte tendenza all’aumento dei reatidenunciati, alla violenza impiegata, al timore dei cittadini e all’apparente difficoltà da partedei governi nell’affrontare tali problemi. In questo senso le politiche partecipative cercanodi stimolare il sostegno dei cittadini e di aumentare la legittimità delle istituzioni preposteal controllo e alla prevenzione della criminalità.

In tale contesto, gli assi portanti delle politiche pubbliche volte a ridurre la violenza so-no stati oggetto di una revisione e la comunità ha assunto un ruolo centrale in questo sen-so. Conseguentemente è avvenuto un cambiamento del paradigma della sicurezza pubbli-ca, trasformato in sicurezza democratica o sicurezza urbana, e che si è tradotto in terminipratici nella ricerca di una maggiore partecipazione alle politiche di sicurezza da parte del-la comunità e in un miglioramento del rapporto tra cittadinanza e la polizia.

Naturalmente la serietà di questo impegno presenta variazioni da paese a paese. In al-cuni casi, l’importanza della partecipazione è rimasta un concetto retorico a uso e consumodei politici e degli amministratori pubblici mentre in altri casi sono state formulate strategiedi partecipazione che cercano realmente di coinvolgere la popolazione.

È importante tenere presente gli obiettivi che storicamente sono stati alla base dellepolitiche di partecipazione cittadina: in primo luogo, il miglioramento del rapporto ormaideteriorato tra la comunità e la polizia, con la speranza di collaborare per la prevenzionedella criminalità. In secondo luogo, il rafforzamento delle reti sociali esistenti, nella convin-zione che questo consentirebbe lo sviluppo e il consolidamento del capitale sociale1 loca-le e che, a sua volta, diverrebbe una strategia chiave di prevenzione della violenza. Infine, lepolitiche di partecipazione tendono a consolidare il processo di decentramento, conferen-do alle amministrazioni locali un ruolo sempre più attivo nella formulazione e nell’applica-zione di tali strategie o politiche.

CONTROLLO E PREVENZIONE

Tradizionalmente il problema della criminalità è stato affrontato mediante politiche dicontrollo e repressione. A cominciare dagli anni Ottanta, tuttavia, la prevenzione diventa larisposta al crimine in paesi come Canada, Usa, Francia e Inghilterra (Sozzo, 2000). Questocambiamento ha portato a un approfondimento del dibattito in ambito accademico non-ché ad alcuni cambiamenti in merito alla formulazione delle politiche pubbliche di preven-zione che sono emerse negli ultimi dieci anni (Crawford, 1998). In ogni caso è evidente chenonostante lo sviluppo della prevenzione come alternativa, in America Latina, e in manieraspecifica in Cile, sono ancora le politiche di controllo a predominare nella regione.

Spesso nel discorso politico prevenzione e controllo sono presentate come due posi-zioni contrapposte; la prima è caratterizzata dal garantismo e dalla ricerca di soluzioni a

1. Anche se esistono diverse interpretazioni del concetto di capitale sociale, in questo lavoro si fa riferimento alla defini-zione proposta da Putnam (1993), secondo cui il capitale sociale è costituito da istituzioni, relazioni e norme che determina-no la qualità e la quantità delle interazioni sociali. Vari studi hanno sottolineato questo concetto e la sua relazione con i reati;ad esempio in un recente studio si giunge alla conclusione che “le comunità con livelli scarsi o assenti di capitale sociale po-trebbero essere più esposte alla violenza” (BID, 1999). Per ulteriori approfondimenti cfr. Durston, 2000; Fajnzylber, 1997.

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problemi come l’emarginazione, la povertà e la disuguaglianza economica; la seconda, co-siddetta della mano dura, è caratterizzata da un’attribuzione di maggiori poteri alle forze dipolizia, da una maggiore dotazione di armi e dalla costruzione di carceri. Questa dicotomia,che pure si presenta nella maggior parte dei dibattiti pubblici, rappresenta senz’altro unasemplificazione delle modalità di intervento della politica pubblica. In altre parole, le politi-che attivate nella maggior parte dei paesi della regione presenta una sovrapposizione tra idue paradigmi, una situazione che si presta anche a confermare la necessità di misure dicontrollo nei casi in cui l’azione preventiva risulti chiaramente insufficiente.

Al di là di quanto discusso finora, è necessario sottolineare che la violenza e la crimina-lità sono fenomeni sociali complessi che non possono essere affrontati con un’unica stra-tegia di politica pubblica, ma che richiedono un programma di iniziative mirate alle diver-se cause in gioco. Nel parlare di fattori legati all’aumento della violenza e della criminalitàsi riscontrano approcci che mettono l’accento sull’importanza di alcuni di questi fattori ri-spetto ad altri, ma in molti riconoscono la necessità di una strategia combinata per rag-giungere effetti concreti e sostenibili nel tempo. Come si è già detto, tuttavia, al di là diquesto apparente consenso sulla necessità di applicare politiche diverse tra loro, il dibat-tito politico nel corso degli ultimi dieci anni si è concentrato su un’apparente contrappo-sizione tra politiche di maggiore controllo e repressione e quelle che puntano alla preven-zione.

Le iniziative incentrate sul controllo e sulla prevenzione fanno leva sulle azioni del si-stema della giustizia penale, che punta a individuare il soggetto che ha commesso un rea-to e a utilizzare i meccanismi legali per stabilirne la responsabilità penale. In termini gene-rali, le istituzioni responsabili del controllo sono le forze di polizia e il sistema giudiziario.La polizia ha la facoltà di utilizzare la forza dello Stato come uno degli strumenti principa-li nel controllo della criminalità (Skolnick, 1966, p. 1), mettendo la società democratica difronte al dilemma di un potenziale uso della forza che si traduce in una violazione dei di-ritti umani2.

A sua volta, il sistema giudiziario ha il compito di determinare le responsabilità penalidegli imputati di un reato e di comminare le relative pene. Paradossalmente, in gran partedella regione la giustizia appare oggi sprovvista di legittimità sociale e nell’immaginario col-lettivo si è radicata la sensazione che essa non sia uguale per tutti e che i delinquenti nonvengano puniti. In Cile la situazione non è diversa; studi recenti confermano che i tribunaligodono di scarsa fiducia da parte della cittadinanza (Dammert e Lunecke, 2002).

Le politiche di controllo comprendono una serie di iniziative che vanno dal migliora-mento del servizio delle forze di polizia, inteso come un maggiore pattugliamento e unamaggiore rapidità di reazione nel caso di richieste dei cittadini, fino a proposte legislativedi inasprimento delle sanzioni contro i criminali o che mirano a limitare i benefici di cuigode, in certe condizioni, la popolazione carceraria. Queste iniziative hanno l’obiettivo diridurre il tasso di criminalità attraverso interventi come l’arresto, la dissuasione e la neu-tralizzazione dei delinquenti, sottolineando la capacità dello Stato di circoscrivere questiproblemi.

Dall’altro lato, esistono politiche a carattere preventivo, orientate a incidere su quei fat-tori che potenzialmente potrebbero indurre gli individui a utilizzare la violenza o a commet-

2. In Cile questi casi sono meno frequenti rispetto a quelli indicati in altri paesi della regione, pur restando sempre presenti.

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113Documento 3. • Le amministrazioni locali e la sicurezza cittadina: Esperienze in America Latina e in Europa •

tere reati. Queste politiche coinvolgono nuovi attori e creano altri scenari di intervento,che comportano nuove complessità e dimensioni che saranno analizzate di seguito. In ognicaso, l’intenzione non è qui tanto dimostrare che questi approcci (controllo e prevenzione)costituiscono una dicotomia, ma piuttosto che possono funzionare in maniera complemen-tare. La prevenzione, quindi, non necessariamente deve essere identificata attraverso le so-luzioni proposte ma piuttosto attraverso gli effetti che essa avrà sui comportamenti futuri(Sherman, 1998).

Nonostante l’importanza della prevenzione nel dibattito sulla criminalità, sono pochi glistudi che affrontano la complessità insita nella sua analisi concettuale e nel suo rapportocon la comunità. Nel presente lavoro ci si è proposti di esporre le principali caratteristichedi questi concetti, i diversi approcci e prospettive di analisi e i modi di impiego per la pre-parazione e l’implementazione di politiche pubbliche sulla sicurezza.

3. ELEMENTI DEL CONTESTO LATINOAMERICANO

L’aumento della delinquenza in America Latina è diventato una delle principali preoc-cupazioni dei cittadini verso la metà degli anni Novanta. Prima la presenza di governi

militari o di guerre civili interne in diversi paesi della regione aveva relegato la questionedella delinquenza a un secondo piano. Ciò nonostante, una volta conclusi i conflitti interninei paesi dell’America Centrale e con il ritorno della democrazia nell’America del Sud, ladelinquenza è diventata un ostacolo fondamentale ai processi di consolidamento democra-tico e di governabilità.

All’interno dell’America Latina convivono importanti diversità, con paesi che pre-sentano i tassi di omicidio più alti al mondo (Honduras, El Salvador e Colombia) e altriche si collocano all’estremo opposto (Costa Rica, Cile, Uruguay). Anche i sistemi digoverno sono molto diversi, per cui ci sono paesi caratterizzati da un sistema di gover-no federale e altri con sistema unitario, diversità che incidono sulla definizione dellepolitiche di sicurezza.

Nonostante le differenze esistenti è importante definire un quadro comune che consen-ta di avanzare nella proposta di politiche pubbliche che tengano in considerazione i pro-blemi esistenti e che definiscano i meccanismi di risoluzione degli stessi. Di seguito sonopresentati nove lementi considerati fondamentali al riguardo.

MANCANZA DI UN SISTEMA DI GIUSTIZIA PENALE

L’espressione “sistema della giustizia penale” è utilizzata spesso nel contesto europeoper indicare la presenza di un coordinamento reale tra le diverse istituzioni che si occupa-no del problema della criminalità attraverso l’adozione di una prospettiva comune. In altreparole, si presuppone l’esistenza di una politica criminale specifica in grado di stabilireobiettivi, traguardi e, ovviamente, strumenti di verifica di tali punti d’arrivo. Ad esempio, sela preoccupazione principale della politica di governo riguarda il problema del consumoeccessivo di alcolici, allora tutti gli organismi interessati si attivano per fare di questo puntouna priorità. Le forze di polizia, pertanto, dovrebbero concentrare i servizi di pattugliamen-to per ridurre il numero di incidenti provocati dallo stato di ebbrezza del conducente, ipubblici ministeri dovrebbero agire in maniera più incisiva per questi casi e si dovrebberomettere a punto dei programmi di disintossicazione all’interno delle prigioni o altri pro-grammi alternativi.

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In America Latina, purtroppo, questo sistema risulta poco diffuso. Al contrario, nellamaggior parte dei paesi, anche a livello locale, la sensazione è che le istituzioni adottinoiniziative isolate. Molte istituzioni procedono addirittura in maniera contraddittoria, con unconseguente spreco evidente di risorse pubbliche, dando come se non bastasse un’imma-gine di mancanza di coordinamento a chi si dedica ad attività illecite. Questa situazione siconcretizza soprattutto nella definizione delle politiche di intervento da parte dei pubbliciministeri e delle forze di polizia, non sempre coordinati tra loro. I paesi della regione chepossono contare su forze di polizia municipali affrontano una sfida ancora maggiore, per-ché si rende necessario un coordinamento più stretto e capillare tra attori che dipendonoda diverse istanze. Infine, nel caso dei tre paesi federali (Argentina, Brasile e Messico) si ri-scontrano gravi problemi nella conformazione del sistema della giustizia penale, anche al-l’interno degli stati che costituiscono la nazione.

SFIDUCIA NEI CONFRONTI DELLA POLIZIA E DELLA GIUSTIZIA

I dati comparativi forniti da Latinobarometro assieme a vari sondaggi nazionali dimo-strano che la giustizia e la polizia godono di una fiducia limitata da parte dei cittadini.Probabilmente con la sola eccezione del Cile, quasi tutte le istituzioni di polizia sonoconsiderate inefficienti, burocratiche, corrotte e violente. Al di là delle diversità presentinella regione è possibile affermare che uno dei principali fattori che limita il lavoro delleforze di polizia nella prevenzione dei reati risiede nella cooperazione limitata da partedella cittadinanza. La sfiducia aumenta per il costante verificarsi di casi di corruzione incui i principali soggetti coinvolti sono membri della polizia, un fenomeno che si aggravaquando si tratta di crimini, soprattutto sequestri, estorsioni e furti, compiuti con la com-plicità della polizia o da suoi membri.

Un altro problema all’ordine del giorno riguarda l’uso della tortura, della violenzagratuita o, com’è stato definito con un eufemismo, del cosiddetto “grilletto facile” daparte delle forze di polizia. Si tratta di un problema grave in alcuni paesi, nei quali permancanza di preparazione e di un reale addestramento, o per una definizione istituzio-nale, gli agenti ricorrono comunemente all’uso della forza letale per risolvere i problemi.

Anche per la giustizia il bilancio è negativo, o molto negativo, in termini di fiducia daparte dei cittadini. La metafora della “porta girevole” nasce per spiegare il fatto che lagiustizia è lenta, burocratica e soprattutto morbida con i criminali. La sensazione che icriminali siano trattenuti dalla polizia e subito rilasciati è diffusa in quasi tutti i paesi del-la regione, seppur con diversa intensità. Ecco perché la percezione di uno Stato di dirit-to minato da una crisi di legittimità della giustizia non risulta sbagliata, ma appare piut-tosto come una realtà tangibile all’interno della regione. Anche in quei paesi in cui esi-stono percorsi di riforma delle procedure penali, con l’applicazione di meccanismi piùaperti che prevedono processi pubblici e orali, la presenza di pubblici ministeri più qua-lificati nel processo di indagine e il supporto legale ai delinquenti, la valutazione dellagiustizia resta negativa. Vale la pena sottolineare che si tratta di opinioni generali sulleistituzioni, una percezione che migliora quando i sondaggi includono domande sulla fi-ducia nei confronti degli attori che operano in queste istituzioni sul campo. È interessan-te notare come la cittadinanza abbia nei confronti della polizia un’opinione negativa, chediventa però positiva nei confronti della persona che vede lavorare nel proprio contesto.

Infine, pur in presenza di un senso di sfiducia generalizzato, l’appartenenza a diversigruppi socioeconomici gioca un ruolo importante. In questo senso, i settori più ab-bienti tendono a non fidarsi della polizia come istituzione, ma sono meno critici verso

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l’inefficienza del servizio. Questo dato può essere letto alla luce della presenza di unnotevole servizio di vigilanza privato, che diventa l’altro attore preposto a utilizzare laforza in certi settori della città. Si tratta di servizi che dispongono del doppio, quandonon di più, del personale rispetto alle istituzioni di polizia, praticamente in tutti i paesidella regione.

MANO DURA E INEFFICIENTE

La risposta principale dei paesi latinoamericani di fronte all’aumento della criminalitàè stata l’inasprimento delle pene contro chi si è reso colpevole di un reato. In particola-re i reati legati alla droga hanno ricevuto una particolare attenzione da parte dei governiche hanno stabilito pene che superano i tre anni di reclusione anche nel caso di una pri-ma condanna. Ironicamente, la metafora della “mano dura” in ambito legislativo si scon-tra con la mano inefficiente della giustizia, istituzione che in quasi tutti i paesi della re-gione è sull’orlo del collasso per l’enorme quantità dei processi in corso, fattore che nerallenta notevolmente il funzionamento. Ciò incide sulla percezione da parte della vitti-ma del reato e dell’accusato, in quanto i lunghi tempi processuali creano profonde incer-tezze sul risultato finale, nonché sull’imparzialità del processo.

A questo si deve aggiungere il fatto che nella regione esiste un numero considerevo-le di detenuti in attesa di giudizio che a volte devono aspettare anni prima di ottenereuna risposta in merito al loro processo. Nel caso fossero condannati, gran parte dellapena potrebbe già essere stata scontata, ma in caso di innocenza il danno subito risul-ta totalmente irreparabile. Sicuramente la convinzione diffusa sull’utilità di leggi più se-vere e punitive deve fare i conti con la letteratura internazionale, nella quale è dimo-strato che in molti casi misure alternative al carcere sono molto più efficaci per ottene-re il successivo reinserimento nella società. È chiaro che nella maggior parte dei paesila richiesta dei cittadini è che le leggi approvate siano poi applicate in maniera efficien-te, invece di far accumulare processi che diventano impossibili da gestire con sistemigiudiziari burocratici.

POLIZIA E CORRUZIONE

Sono molte le interpretazioni che possono essere fornite per spiegare i livelli genera-lizzati (in alcuni casi) o individuali (in altri) di corruzione delle forze di polizia. Un ele-mento importante da tenere in considerazione è la quasi totale assenza di protezionesociale di alcuni membri della polizia, che oltre a ricevere uno stipendio basso non si ve-dono garantiti servizi sanitari, di istruzione o relativi alla casa in modo da poter migliora-re la qualità della vita delle loro famiglie e allontanarsi dai quartieri in cui opera la delin-quenza.

In molti paesi, paradossalmente, la polizia vive negli stessi luoghi in cui abitano i cri-minali (spesso hanno addirittura legami parentali), rendendo molto probabile un rap-porto di azione, comunicazione e coordinamento tra loro. Detto questo, non tutti i poli-ziotti mal pagati cadono nella corruzione. Sono però necessari studi più approfonditiche consentano di individuare quali sono gli elementi legati alla protezione dei funziona-ri di polizia che porterebbero a una diminuzione dei livelli di corruzione.

Un altro elemento fondamentale per comprendere i processi di corruzione è l’aumen-to della criminalità organizzata e del suo potere economico. Solo per fare alcuni esempi,

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la presenza di reti internazionali dedite al traffico di droga, armi e persone e il conse-guente movimento di milioni di dollari fa sì che la polizia diventi una preda maggiormen-te esposta a questo tipo di tentazioni. In alcuni paesi è risaputo che le sanzioni stradalisono pagate in “sigarette” o con “contributi alla polizia”. Così come la conosciamo, lacorruzione di basso livello ha un impatto diretto sulla percezione della cittadinanza, datoche va a deteriorare i valori comuni e le regole generali di convivenza. La corruzione si ri-scontra anche a livelli più alti. Anche se a volte è molto meno percepita dalla cittadinan-za, non è per questo trascurabile.

Un altro fattore che determina la corruzione generalizzata della polizia è la mancanzadi meccanismi efficaci di controllo interno ed esterno. La maggior parte delle istituzioni,pur avendo creato una sorta di protocollo da seguire per le questioni interne nel corsodegli ultimi anni, continua ad agire in maniera discrezionale, applicando pene limitate epraticamente senza ricorrere ad alcun tipo di interventi disciplinari nei confronti dei po-liziotti di alto grado. Inoltre le istituzioni della società civile che si occupano di questeazioni hanno visto diminuire il loro potere di sensibilizzazione oppure hanno cominciatoa occuparsi di altre questioni.

UNIVERSITÀ DEL CRIMINE

Si può affermare che le carceri presenti nella regione versino in uno stato di crisi tal-volta terminale. Istituti penitenziari con una capacità di seicento posti nei quali risiedo-no 2400 reclusi non sono semplicemente un incubo, ma una realtà molto più diffusa diquanto si pensi. L’aumento della popolazione penitenziaria ha senz’altro creato graviproblemi di abitabilità, soprattutto in relazione alla densità, o per meglio dire al so-vraffollamento delle carceri, alla mancanza di servizi di base e, in alcuni casi, alla violazio-ne di diritti umani fondamentali. Sono situazioni che non contribuiscono al processo direinserimento degli ex detenuti nella società. È una questione, questa, totalmente igno-rata, visto e considerato che i sistemi penitenziari in America Latina che investono signi-ficativamente nel reinserimento non sono molti, volendo essere ottimisti, dato che larealtà dei fatti consentirebbe quasi di affermare che nessun paese si sta davvero impe-gnando in questo senso.

Ecco che si è avverata la profezia secondo cui le carceri sono diventate delle univer-sità del crimine, in cui le condizioni esistenti favoriscono lo scambio di conoscenze suimeccanismi di sviluppo criminale e sull’uso della violenza come unica modalità di risolu-zione dei conflitti. È una situazione che chiama in causa le politiche che prevedono ilcarcere anche per i delinquenti con un’esperienza limitata o per chi si è macchiato direati minori, che avranno momenti di socializzazione con altri criminali fra cui ad esem-pio assassini o stupratori. Per cui, fintanto che il sistema di detenzione non sarà cambia-to, i giovani che vengono incarcerati per furto saranno messi in libertà dopo aver acqui-sito conoscenze su come compiere un sequestro.

Inoltre gran parte dei paesi registra un aumento significativo di donne arrestateper aver commesso reati di microtraffico di stupefacenti. A quanto pare sono le ca-renze sociali, il loro nuovo ruolo di capofamiglia, la disoccupazione e molti altri glielementi in gioco che spingono alcune donne a dedicarsi allo sviluppo di una piccolao media impresa sui generis. L’intera famiglia in questo modo è coinvolta in un proces-so illecito di vendita di stupefacenti che ha un profondo impatto sui bambini. Questasituazione peggiora nel momento in cui queste donne sono arrestate e portate in car-cere, limitando ulteriormente la capacità della famiglia coinvolta di provvedere al pro-

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prio sostentamento nei termini della legalità e impedendo l’accesso di queste donnea progetti di reinserimento sociale e riabilitazione con il coinvolgimento dei figli o deiparenti più stretti.

La globalizzazione del crimine comporta inoltre, tra le sue tante conseguenze, anchela presenza di cittadini di diversi paesi che possono conoscersi in alcuni istituti peniten-ziari. Ad esempio, i colombiani nelle carceri dell’Ecuador o i peruviani in quelle del Cilerappresentano una percentuale significativa della popolazione carceraria, ma in molti ca-si i sistemi internazionali non comunicano tra loro, per cui non se ne conoscono i prece-denti. Inoltre nel processo di convivenza si creano sottogruppi nazionali che possonocontribuire all’insorgenza di scontri all’interno dei sistemi chiusi.

Quanto descritto ha portato in alcuni paesi a situazioni paradossali, in cui le carcerisono letteralmente amministrate dai reclusi, che trattano con l’amministrazione per otte-nere certi vantaggi o per mantenere il controllo all’interno degli spazi di reclusione. Èsuperfluo sottolineare che molti dei crimini che sono perpetrati nelle principali città del-l’America Latina sono progettati, coordinati e realizzati attraverso gli ordini ricevuti dalcarcere. Pertanto, date le pessime condizioni di vita, le carceri non solo sono diventateun luogo di formazione e di addestramento della delinquenza, ma anche veri e proprispazi di organizzazione operativa.

POLITICA E SICUREZZA

All’interno della regione una delle responsabilità più complesse ricade senz’altro suiresponsabili della sicurezza cittadina. È questo uno dei temi al centro del dibattito poli-tico, dell’attenzione del pubblico e con pochi risultati visibili a breve termine. La situa-zione è tale per cui i responsabili della questione sicurezza diventano esperti di gestionedella politica più che della sicurezza. Per questo si mettono in moto campagne di comu-nicazione e strategie politiche legate a quello che la popolazione vuole sentire (nuoveleggi, più poliziotti e pene esemplari). Indubbiamente la questione della sicurezza ha bi-sogno di essere gestita politicamente, ma non può essere dimenticata anche la compo-nente tecnica, che può consentire di individuare, ad esempio, il numero di agenti neces-sari per ridurre i reati.

Detto questo, la questione della sicurezza emerge nell’agenda pubblica della regionein due circostanze chiaramente identificabili. Anzitutto, ciò accade quando si verifica unfatto che ha forti ripercussioni sulla sensibilità dell’opinione pubblica, come un omicidio,un sequestro o un fatto simile, che riceve una forte copertura dai mezzi di comunicazio-ne e che spinge la popolazione a protestare o a manifestare la propria preoccupazionenei confronti della sicurezza. In secondo luogo, la questione si ripropone nel corso dellecampagne elettorali. Fatte salve poche eccezioni, i periodi elettorali sono segnati dallapresenza di un forte dibattito sui meccanismi per frenare la delinquenza e le buone pra-tiche che possono essere sviluppate. Ecco apparire allora riferimenti a diversi termini, fracui tolleranza zero, sul modello di New York, sistema Compstat, sul modello di Barcello-na, con i quali si indica esplicitamente che si è a conoscenza di cosa si deve fare, e che leconoscenze di cui si è in possesso godono del sostegno tecnico internazionale.

Non è possibile quindi parlare di sicurezza senza evidenziarne una componente es-senzialmente politica, per cui le forze contendenti offrono una percezione che poi di-venta realtà, amplificando quindi il problema o viceversa. La politica può svolgere unruolo positivo, ad esempio, per raggiungere un accordo nazionale sugli orientamentifondamentali della politica criminale. Ciò limiterebbe un’eventuale azione contraria da

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parte di uno dei poteri dello Stato, ma potrebbe anche avere ripercussioni negative. Sa-rebbe pertanto necessario stabilire dei meccanismi di formazione professionale di risor-se umane già qualificate a livello tecnico, in modo da fornire le informazioni necessarieaffinché le decisioni politiche siano frutto di conoscenze fondate.

MANCANZA DI INFORMAZIONI

La qualità delle informazioni ufficiali sulla delinquenza dipende dai dati raccolti daimembri della polizia nel corso delle loro attività quotidiane. In assenza di dotazioni tec-nologiche minime, in mancanza di un riconoscimento dell’importanza della sistematizza-zione dei dati raccolti e tanto meno dell’assoluta necessità di non utilizzarli a fini politi-ci, è possibile che le informazioni raccolte non servano a conoscere la realtà. Diventafondamentale, quindi, spiegare quanto sia importante per la polizia migliorare la qualitàdelle informazioni di cui dispone, non tanto in termini di indicatori di successo, quantopiuttosto come metodo per prevenire e controllare meglio la delinquenza. I sondaggisulla vittimizzazione risultano estremamente utili per riuscire a leggere la realtà criminaledi un determinato territorio, ma si tratta di studi che sono stati condotti solamente in al-cuni paesi o in alcune città, poiché implicano uno sforzo economico considerevole. Para-dossalmente, nella maggioranza dei paesi in cui sono stati condotti questi studi le ban-che dati non sono rese pubbliche e si conoscono soltanto i risultati presentati dalle au-torità.

Il controllo delle informazioni costituisce in molti settori una particolare forma di po-tere. Nel campo della sicurezza le informazioni sono un elemento chiave per l’elabora-zione delle politiche, l’identificazione dei problemi e dei casi di inefficienza. Ciò nono-stante, come è già stato ricordato, l’inesistenza nella pratica di un sistema unico che sioccupi della questione è indicata anche dalla presenza di diversi spazi di raccolta e ana-lisi delle informazioni ufficiali. Ironicamente, in alcuni paesi della regione il problema nonconsiste tanto nel trovare una fonte ufficiale, quanto piuttosto nel decidere quale dellefonti si avvicini maggiormente alla verità. Tutto ciò va ad aumentare l’incertezza della po-polazione, che riconosce un certo grado di precarietà o, addirittura, di mancanza di re-sponsabilità nel modo in cui la questione viene affrontata dalle istituzioni.

Infine, in molti paesi i diversi poteri dello Stato si lanciano reciproche accuse rispettoai problemi di sicurezza, uno scontro che mette in conflitto soprattutto le forze dell’ordi-ne da una parte (che sostengono di arrestare i criminali per poi farli rimettere in libertàdai giudici), e i giudici dall’altra (che dal canto loro affermano che gli arresti effettuatidalla polizia non sono accompagnati da rapporti contenenti prove sufficienti a formula-re una condanna).

LA BANALIZZAZIONE DELLA VIOLENZA: IL RUOLO DEI MEZZI DI COMUNICAZIONE

L’aumento della copertura della violenza dei mezzi di comunicazione nonché la pre-senza nei contenuti dei programmi, soprattutto televisivi, di azioni e comportamenti vio-lenti sono una costante in tutti i paesi della regione. Non solo si è registrato un amentodella copertura dei mezzi di comunicazione, ma sono anche stati creati mezzi di comuni-cazione espressamente dedicati a questo tipo di fatti. Una prova ne è la gamma di rivistededicate esclusivamente ai casi polizieschi e al mondo dello spettacolo, nonché l’appari-zione di programmi televisivi che mostrano vere e proprie operazioni di polizia.

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Molti autori sostengono quindi che i mezzi di comunicazione presentano un’immagi-ne distorta della delinquenza, esagerando la frequenza e la preponderanza dei criminiviolenti rispetto ad altri tipi di reati. Si tratta di una situazione che è correlata anche allapresenza di interessi economici, politici e, molte volte, anche ideologici dei mezzi di co-municazione, che definiscono le loro strategie di azione sulla base di questi elementi. Aldi là delle ragioni per cui la violenza si è radicata nella comunicazione quotidiana, è ne-cessario riflettere sulle implicazioni che tale presenza comporta. Le principali ipotesi so-stengono che la presenza della violenza sui mezzi di comunicazione abbia tre impatti: as-suefazione, ripetizione e paura.

L’assuefazione implica che l’esposizione prolungata alla violenza trasmessa dai mezzidi comunicazione possa portare a una mancanza di sensibilità emotiva dei soggetti ri-spetto alla violenza del mondo reale e alle vittime della stessa. In questo senso, avveni-menti che in altre circostanze avrebbero indignato la popolazione vengono consideraticome fatti ordinari. Un esempio è la copertura data dai mezzi di comunicazione ai seque-stri in Argentina e in Brasile, alle registrazioni in diretta di casi di abusi da parte della po-lizia e dai linciaggi popolari di delinquenti.

In secondo luogo, il riferimento ripetuto a fatti violenti può innescarne la ripetizione.Questa ipotesi è stata avanzata specialmente nei casi di violenza presso alcuni istitutiscolastici degli Stati Uniti, casi in cui le dinamiche sembrano emulare certi programmi te-levisivi e/o videogiochi. In questo senso, la spettacolarizzazione dei fatti violenti può ge-nerare un falso “fascino” del delinquente che ottiene i suoi cinque minuti di celebrità ap-parendo alla televisione.

Infine, la presenza della violenza sui mezzi di comunicazione è considerata un ele-mento fondamentale nella generale percezione di insicurezza della popolazione. All’ini-zio, i mezzi di comunicazione costituivano uno strumento importante per illustrare il di-vario esistente tra i crimini denunciati e i livelli di insicurezza riscontrati tra la popolazio-ne. Tuttavia, nella letteratura internazionale si possono riscontrare prove divergenti chenon consentono né di avallare, né di confutare questa ipotesi.

UNA SOCIETÀ AUTORITARIA

L’aumento dell’insicurezza, assieme alla sensazione di impunità che vivono i cittadininella regione, ha avuto come conseguenza un inasprimento del discorso autoritario. Adesempio, la richiesta più frequente è quella di una presenza maggiore della polizia, se-guita dall’inasprimento delle pene per chi commette un reato e, al terzo posto, dall’au-mento della capienza delle carceri. In questo modo, pur essendoci un apparente con-senso sulle cause profonde della delinquenza, collegate a un’evidente mancanza di op-portunità che molti giovani nei nostri paesi devono affrontare, e quindi sull’importanzadelle misure preventive, si sollecitano risposte rapide e di controllo. Come è già statosegnalato, la maggioranza dei governi della regione ha dato ascolto alla richiesta dei cit-tadini e le misure intraprese sono associate al concetto di “mano dura”. Il bilancio dellapolizia è stato notevolmente ampliato per aumentarne dotazioni e infrastrutture, mentrele leggi sono state rese più severe, con la presenza di paesi che hanno ormai abbassatol’età imputabile a dieci anni e in cui la popolazione carceraria ha subito una crescitaesponenziale.

La situazione può assumere toni ancora più drammatici che si riflettono sull’aumentodei casi di giustizia personale, linciaggio e processi popolari che avvengono nella regio-ne. La sensazione di impunità e la stanchezza di fronte ai ripetuti reati subiti sono gli

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Page 120: CONSOLIDAMENTO DEI GOVERNI LOCALI PER LA ...4 • Consolidamento dei governi locali per la sicurezza cittadina: formazione e pratiche PREFAZIONE V ent’anni fa alcuni sindaci europei

elementi che emergono chiaramente in quei paesi in cui il linciaggio è diventato il meto-do più efficace da parte della cittadinanza per ridurre la criminalità. Indubbiamente que-sti meccanismi mostrano una debolezza dello Stato di diritto, oltre che una violazionedei diritti umani della persona coinvolta, che si trova a essere messa sotto processo dauna massa non necessariamente interessata alle prove. Non si tratta di una situazioneisolata nella regione, al contrario: la si può riscontrare in ogni parte del continente, percui deve essere affrontata attraverso misure ferme per evitare un ulteriore sgretolamentodei valori di convivenza democratica.

4. ELEMENTI DELL’ESPERIENZA EUROPEA

Gli europei convivono con una forte sensazione di insicurezza (Marcuse e Buffet,2004), come è emerso nella maggior parte dei periodi di campagna elettorale,

quando la questione dell’insicurezza è stata al centro dell’agenda politica. È una situa-zione che mette in luce la crisi delle politiche di integrazione sviluppate nella maggioran-za dei paesi europei, poiché sono i migranti ad essere considerati colpevoli dell’insicu-rezza. Questa situazione deve essere inserita in un contesto in cui alcune aree presenta-no livelli di violenza molto più alti rispetto ad altre. Ad esempio, tra il 1990 e il 2000 lacriminalità si è mantenuta stabile, quando non ha addirittura registrato una diminuzionenei paesi dell’Europa occidentale, a differenza dei paesi dell’Europa dell’est dove c’è sta-to un aumento significativo (Marcuse e Buffet, 2004).

Uno dei punti principali nell’attuale problematica europea è legato ai problema dellaconvivenza cittadina, in particolare negli spazi pubblici. Sono molte le questioni che in-cidono fortemente sulla percezione dell’insicurezza da parte della popolazione, che sen-te che la propria cultura e le stesse basi delle proprie tradizioni sono minacciate da unnuovo modo di vivere nella città. Ad esempio, l’uso degli spazi pubblici da parte deigruppi migranti ha una connotazione ludica e strumentale; sono spazi e momenti speci-fici che sono via via “conquistati” dalla nuova popolazione della città. Parallelamente, icittadini “di lungo corso” sentono che il loro spazio è minacciato, lo considerano invasoe quindi insicuro quando non addirittura sporco.

La violenza domestica è un altro dei punti che genera forti preoccupazioni nell’oriz-zonte europeo. Nel corso degli ultimi anni, il verificarsi quotidiano di fatti di estrema vio-lenza nelle principali città europee ha messo in primo piano tale problema. Si tratta diuna situazione che è rimasta invisibile per molti anni e che adesso entra prepotentemen-te in scena, anche a causa del ruolo dei mezzi di comunicazione nella diffusione di questiepisodi. Al di là della loro spettacolarizzazione e copertura mediatica, l’emergere dellaviolenza domestica come preoccupazione di carattere pubblico è un elemento che favo-risce l’inclusione di questo problema nell’agenda pubblica europea e mondiale.

Per quanto riguarda le risposte politiche sviluppate negli ultimi decenni in Europa,sono quattro gli elementi essenziali da evidenziare: innanzitutto, il ruolo primario del-le amministrazioni locali nella definizione delle politiche di prevenzione e controllo. Iresponsabili locali della sicurezza hanno fatto notevoli progressi nel porsi come attoricentrali nella definizione e applicazione delle politiche di prevenzione (Wyvekens,2004). Il secondo elemento interessa la componente preventiva di tali iniziative cherappresenta una buona percentuale sul totale. Questo dato indica il riconoscimentodella prevenzione come strategia efficiente ed efficace nella riduzione della criminalitàe della violenza. Il terzo elemento riguarda l’importanza della partecipazione dei citta-dini a queste iniziative. Praticamente in tutte le città analizzate si riscontrano iniziative

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di accordi o associazioni che legano gli enti pubblici (specialmente a livello locale) aicittadini. Infine, tutte le analisi condotte nel continente europeo mettono l’accentosulla necessità di un processo parallelo di ammodernamento e professionalizzazionedelle forze di polizia.

5. LA SITUAZIONE DELLE AMMINISTRAZIONI LOCALIIN AMERICA LATINA

Nel corso degli anni Ottanta le amministrazioni locali hanno vissuto due processi im-portanti: la democratizzazione e il decentramento dello Stato, processi che hanno

dato un nuovo valore al loro ruolo nella formulazione e nell’applicazione prativa delle poli-tiche pubbliche. Ciò nonostante, gli stessi limiti di questi processi, il deficit di risorse uma-ne qualificate e di risorse finanziarie nonché la mancata erogazione di servizi fondamentalialla popolazione le hanno rese vere protagoniste della gestione.

Oltre a questo, in gran parte dei paesi dell’America Latina alle amministrazioni localimanca una vera e propria tradizione di gestione delle questioni legate alla violenza e allacriminalità. Le amministrazioni locali si dedicano principalmente ad altre questioni come ladestinazione di uso del territorio, l’edilizia, la circolazione, il controllo ambientale e la con-cessione di licenze per attività e imprese. In questo senso, a partire dagli anni Novanta, unadelle maggiori sfide delle amministrazioni comunali delle città in America Latina è stata af-frontare un problema locale di stampo globale come la sensazione di insicurezza e la crimi-nalità.

Nonostante il debole legame di natura storica che sussiste rispetto a questo problema,l’aumento della criminalità e della paura ha creato una forte richiesta di politiche locali effi-caci. In molti casi questa richiesta sociale rappresenta il tentativo di mettere in piedi un rap-porto tra la società civile e lo Stato nella ricerca di proposte a breve, medio e lungo termi-ne, per migliorare la qualità della vita dei cittadini. Pur esistendo un interesse nei confrontidi politiche multisettoriali e trasversali in grado di articolare le diverse iniziative legate alcontrollo e alla prevenzione della criminalità, l’esperienza recente dimostra l’esistenza di unampio ventaglio di iniziative più che altro a carattere spettacolare e prive di coordinamentocon altri settori dello Stato (Dammert, 2001).

La violenza criminale in America Latina deve essere affrontata di concerto tra il governonazionale e le amministrazioni locali. I problemi presenti in determinati centri, quartieri olocalità si possono definire con maggior precisione a questo livello di governo, con un pro-cesso di forte partecipazione della cittadinanza. Il primo passo da fare è identificare i fatto-ri di produzione di violenza. Molti ricercatori indicano diversi fattori, tra cui le divisioni etni-che o comunitarie, le richieste di democratizzazione da parte di settori politicamente attivi,la forza e la portata crescenti della criminalità organizzata nel mondo in via di sviluppo (do-ve il potere delle organizzazioni a delinquere supera chiaramente quello delle autorità loca-li), la facilità con cui è possibile disporre di strumenti di violenza e il carattere distruttivodella violenza stessa. Ciò nonostante, uno dei fattori centrali rimane l’aumento della po-vertà e dell’emarginazione nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, anche se questarelazione tra povertà e criminalità non è diretta, bensì mediata dal carattere della società ci-vile e, soprattutto, della dimensione del capitale sociale di cui questa dispone. Il capitale so-ciale può essere inteso come l’insieme di norme e reti sociali che favoriscono le azioni so-ciali e, in questo modo, tendono a migliorare l’efficienza del funzionamento sociale (Put-nam, 1993). Il capitale sociale facilita l’azione coordinata tra individui e gruppi, miglioral’efficienza delle transazioni sociali e offre un grado di cooperazione e solidarietà sociale in

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grado di ammortizzare gli effetti più pesanti delle crisi economiche sulla popolazione. Ana-lizzando i diversi fattori e le relazioni che li uniscono si riesce a comprendere perché la pre-venzione del reato non sia solamente un problema legislativo o delle autorità governativeresponsabili della questione, ma che dovrebbe invece coinvolgere la società nel suo insie-me.

L’acuirsi della violenza criminale ha comportato la comparsa e lo sviluppo di nuovi attoriche cercano di partecipare alla messa a punto e all’applicazione di politiche pubbliche cheridimensionino il problema. Le amministrazioni locali, pur profilandosi come ambito naturaleper lo sviluppo di queste politiche di prevenzione, non godono di una tradizione politicaconsolidata e detengono uno scarso potere nell’interazione politica. Come se non bastasse,la compartecipazione delle amministrazioni locali alla prevenzione della violenza criminale èostacolata dalla presenza di dicotomie legate principalmente alla partecipazione di certi set-tori o istituzioni, come le forze di polizia, alle misure attuate. Nonostante questo dibattitoentri in gioco nella definizione degli interventi che le amministrazioni locali sono tenute aproporre di fronte alla violenza criminale, si tratta di dicotomie false, in quanto è chiaro cheper ottenere una politica efficace è necessario poter contare sulla partecipazione dei diversigruppi sociali, nonché delle istituzioni preposte al controllo della criminalità.

Pertanto è necessario sottolineare che la formulazione di politiche locali di prevenzionedeve basarsi su un coordinamento costante con le istituzioni responsabili del controllo,con i governi nazionali e le amministrazioni provinciali, nonché con le organizzazioni nongovernative. Riassumendo, le azioni che possono essere intraprese nell’ambito di un’ammi-nistrazione locale possono essere di tre tipi (Sozzo, 1999): a) creazione di istanze di di-battito politico; b) produzione di conoscenze e c) creazione di istanze operative.

Nell’esperienza argentina particolare attenzione è stata rivolta al primo tipo di azione,ovvero allo sviluppo di dibattiti politici sui potenziali interventi per ridurre l’aumento dellacriminalità e l’insicurezza dei cittadini. Dare tanta priorità al dibattito politico comportauna riduzione della produzione di conoscenze a livello locale e provinciale. È chiaro che glisforzi per analizzare il problema rispondono a interessi isolati e, in molti casi, scollegati traloro. Ecco perché il terzo tipo di azione, cioè l’intervento diretto, si concentra sulle politi-che di controllo che non richiedono un dialogo sociale.

Si può affermare, pertanto, che in America Latina l’applicazione pratica di politiche diprevenzione della violenza criminale si trova in una fase iniziale, con programmi in cui emer-ge la necessità di organizzazione comunitaria. È in questo ambito che sono nati i comitati diprevenzione del crimine in quasi tutti i paesi europei e in alcuni paesi dell’America Latina(Vandershueren, 1997). Ad esempio, la città di Cali, in Colombia, rappresenta uno dei casipiù interessanti in cui questa prassi di gestione locale con la partecipazione dei cittadini haottenuto buoni risultati. Il programma Desepaz è riuscito a coinvolgere gli attori sociali piùimportanti della città e della comunità in generale, e ha avuto un impatto notevole sul tassodi criminalità negli ultimi anni.

A seguito del successo ottenuto da queste iniziative di prevenzione si è resa evidente lanecessità di rafforzare il ruolo delle amministrazioni locali nel tema in questione. In questosenso si devono sostenere le misure di prevenzione applicate a livello locale, siano esse mi-sure concrete a breve termine nei confronti di gruppi vulnerabili, o misure a lungo termineper cui è necessario l’intervento delle autorità provinciali e nazionali per conseguirne gliobiettivi.

Nel cercare di ridurre la violenza criminale è necessario partire dal presupposto che laprevenzione è una responsabilità di tutti i cittadini, per cui i leader politici sono tenuti a da-re impulso allo sviluppo di azioni comunitarie. Tra i programmi di prevenzione e i programmisociali esiste una relazione diretta. Ad esempio, i programmi speciali rivolti a gruppi a ri-

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Page 123: CONSOLIDAMENTO DEI GOVERNI LOCALI PER LA ...4 • Consolidamento dei governi locali per la sicurezza cittadina: formazione e pratiche PREFAZIONE V ent’anni fa alcuni sindaci europei

schio, alcuni dei quali possono essere particolarmente esposti alla violenza criminale, sonocruciali per una prevenzione a lungo termine. I programmi di reinserimento dei bambini distrada messi a punto in Messico dall’Unicef e dalle Ong dimostrano come l’appoggio delleautorità locali sia una condizione sine qua non per ottenere risultati positivi in questo tipodi iniziative (Vandershueren, 1997).

Infine, le amministrazioni locali hanno bisogno del sostegno dei governi per lo sviluppodi ricerche e di analisi delle informazioni sulle cause della violenza criminale, sul coordina-mento tra gli attori coinvolti, sull’organizzazione degli investimenti e del lavoro con le forzedi polizia e le autorità giudiziarie. In tal senso è necessario coinvolgere la polizia in questiprogetti, attraverso la protezione della popolazione più a rischio, come i bambini e le don-ne che subiscono abusi. Questo presuppone che le forze di polizia siano vicine alla gente,che non siano esclusivamente un elemento di repressione, ma che siano disposte a risolve-re i problemi assieme ai cittadini.

D’altro canto, le autorità giudiziarie giocano un ruolo chiave nella prevenzione della cri-minalità, nella protezione delle vittime e nella formazione dei cittadini. Al fine di ottenere ilrisultato desiderato, tuttavia, la giustizia deve poter essere accessibile per il comune citta-dino, quindi le nuove forme di mediazione penale, giustizia locale e conciliazione devonoessere viste in un’ottica di aumento della sua efficacia. Sono stati sviluppati esperimenti diquesto tipo di innovazioni nella gestione della giustizia in varie parti del mondo, con risul-tati diversi. Per la maggior parte dei casi, comunque, il ricorso a una giustizia locale chepreveda nuove prospettive di partecipazione locale è incoraggiante nell’ottica di ridurre laviolenza criminale.

Dai risultati di un questionario sottoposto a venti amministrazioni locali in America Lati-na sono emerse cinque situazioni trasversali che sicuramente incidono su come è gestita lasicurezza nella regione. Vale la pena sottolineare che le amministrazioni considerate nellostudio non rappresentano, né per numero, né per dimensione, il quadro generale delle am-ministrazioni locali nella regione. Al contrario, la situazione di precarietà in cui versa il “set-tore” sicurezza nelle amministrazioni locali è tale che il campione di città da inserire nellostudio è stato scelto tra quelle realtà che già erano conosciute precedentemente a livellopersonale o istituzionale, pertanto le risposte ottenute non possono essere utilizzate pertrarre deduzioni di alcun genere.

In questo senso, nella maggioranza dei casi i dati confermano i risultati dell’analisi con-dotta con i partner del progetto. Di seguito si presentano i quattro elementi che emergonocon maggior vigore:

MANCANZA DI STABILITÀ E PERMANENZA ISTITUZIONALE

Nella maggioranza delle amministrazioni locali consultate, la scelta del responsabile del-l’area sicurezza dipende quasi esclusivamente dal sindaco, con livelli di competenza variabi-li rispetto al tema in questione e un’altrettanto variabile durata dell’incarico. Inoltre, sonopochi i casi in cui ci si può avvalere di un gruppo di lavoro che garantisca continuità alle ini-ziative sviluppate e che vada al di là dei cambiamenti delle autorità in carica. Questa situa-zione purtroppo implica una costante modifica delle iniziative che vengono sviluppate, e siverificano casi in cui i cambiamenti prevedono una ristrutturazione completa della politica,o altri dove le riforme sono più superficiali, come la definizione di un nuovo nome per lostesso programma.

In molti dei casi presi in esame è stato inoltre evidenziato un processo costante di adegua-mento istituzionale del “settore”, con il cambiamento di dipartimenti di diverse aree, tra cui la

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difesa civile, il personale e l’amministrazione. Si tratta di una situazione complessa, in quantola presenza o meno all’interno dell’organigramma municipale incide sulla definizione del bilan-cio e delle risorse umane. Paradossalmente, nella maggior parte dei casi presi in esame, il “set-tore” sicurezza dipende direttamente dal sindaco. Una situazione, questa, che crea ancor piùdisagio nel rapporto che si stabilisce con gli altri settori municipali, che percepiscono come lapersona responsabile della sicurezza assuma forti poteri all’interno dell’istituzione.

FORTE POLITICIZZAZIONE DEL PROBLEMA

La mancanza di stabilità istituzionale è direttamente collegata agli alti gradi di politiciz-zazione della gestione del problema in questione. In effetti, la difficoltà evidenziata nellaraccolta di informazioni è collegata all’incapacità degli attori intermedi di prendere decisio-ni in merito alla diffusione di informazioni generalmente considerate pubbliche. In un certosenso si è creato un alone di riserbo sulle informazioni, soprattutto per il timore che se nefaccia un uso politico.

Un altro aspetto interessante è la presenza di un buon numero di poliziotti e militari incongedo a capo di aree di sicurezza locale, situazione legata alla necessità di mostrare una“mano dura” sulla questione. Paradossalmente, la competenza di queste persone molte vol-te si allontana dal vero obiettivo delle amministrazioni locali rispetto al problema: la pre-venzione dei reati.

GLI INIZI DI UNO SVILUPPO DI INIZIATIVE DI CONTROLLO

In numerose amministrazioni locali si registra la presenza di iniziative a favore dello svi-luppo di forze di polizia locali, meccanismi di vigilanza o simili, per mostrare una grande ca-pacità di controllo dei reati. Anche nei casi in cui le amministrazioni locali non dispongonodi risorse legali per sviluppare queste iniziative, le stesse sono comunque considerate. Adesempio, alla polizia sono affiancati ispettori comunali per alcuni compiti amministrativi oanche per lo sviluppo di attività di prevenzione e controllo. Questa proliferazione di poli-ziotti municipali è un potenziale problema, in quanto i livelli di formazione e dotazione so-no nettamente inferiori rispetto alle forze di polizia nazionali.

Inoltre, questo tipo di controllo può andare in senso contrario alle iniziative di preven-zione che sono sviluppate da anni nelle amministrazioni locali. Ciò è dovuto al fatto che iprincipali risultati delle iniziative di prevenzione si danno sul lungo periodo, con impatti li-mitati sui mezzi di comunicazione, mentre la presenza più numerosa di poliziotti, comitati disicurezza e altri elementi dissuasivi tende a generare una maggiore percezione di interven-to da parte dei responsabili dell’amministrazione comunale.

MOLTE QUESTIONI E POCHE RISORSE

La sovrapposizione di attività e temi nel settore della sicurezza è un altro degli elementiche accomuna le amministrazioni locali in America Latina. In certi casi, voci quali la difesacivile, l’organizzazione di eventi, lo sport e gli interventi sociali si trovano raccolti sotto l’e-gida della sicurezza cittadina. In questo modo, la dispersione degli interventi e dei compiticollegati alla sicurezza crea un’ulteriore pressione per avere azioni visibili e con un chiaroimpatto politico.

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Emerge però, a questo proposito, anche la necessità di rivedere i bilanci locali definitinell’ambito in discussione. Nella maggior parte dei casi presi in esame, all’area della sicu-rezza sono assegnate poche risorse di bilancio, spesso dipendenti da eccedenze nel bilan-cio normale, per poter sviluppare iniziative locali. In molti casi, le amministrazioni locali of-frono grandi contributi economici alle forze di polizia nazionali o federali, per aumentarnela presenza e quindi la forza di dissuasione. Questa collaborazione economica, tuttavia,non implica possibilità di controllo sull’uso e l’utilità di queste forze, dato che nella mag-gioranza dei paesi i sindaci mantengono nei loro confronti solo un rapporto sporadico enon definito ai sensi di legge.

6. CONCLUSIONI

La violenza rappresenta uno dei maggiori problemi urbani in tutto il mondo. Pur nonessendo un problema nuovo, negli ultimi decenni è aumentato, mostrando una gene-

ralizzazione e una diversificazione dai notevoli impatti sociali, culturali, politici ed economi-ci. Pur essendo un fenomeno mondiale, bisogna sottolineare che negli Stati Uniti e in Euro-pa la situazione assume un carattere evidente all’inizio degli anni Ottanta, mentre in Ameri-ca Latina emerge con maggior vigore negli anni Novanta.

A fronte di tutto questo, attualmente una delle maggiori preoccupazioni esistenti è pro-prio la sicurezza, in particolare quella cittadina. In altri termini, la questione riguarda il pro-blema della criminalità urbana, nonché il timore dei cittadini che trova espressione soprat-tutto nella percezione di un aumento della probabilità di essere vittima di un reato. I risul-tati del Latinobarometro riferiti al 2003 mostrano che la popolazione in diversi paesi del-l’America Latina ritiene che la delinquenza e la droga rientrino tra le principali priorità pub-bliche. Allo stesso modo, diverse analisi dimostrano che la questione della sicurezza è unapriorità dell’agenda politica, come evidenziato, ad esempio, in uno studio condotto dalleNazioni Unite su 135 città nei cinque continenti, dal quale è emerso che l’insicurezza si col-loca al terzo posto nell’elenco delle preoccupazioni dei sindaci.

Nonostante la priorità data alla questione all’interno dell’agenda pubblica e politica,purtroppo si tratta di un tema di cui si conosce ancora poco in America Latina. Non si trat-ta solo di una scarsa conoscenza delle cause e delle caratteristiche del fenomeno, ma an-che dei meccanismi politici che possono essere impiegati al fine di ridurne l’intensità. Oltrea questo, gli studi comparativi a livello nazionale e regionale si limitano ulteriormente aproblematiche specifiche, inibendo così lo scambio delle conoscenze, nonché delle prassiche risultano essere positive (e negative) nella prevenzione e nel controllo della violenza.

Questo significa che è necessario confrontare regioni e paesi al fine di ottenere un qua-dro più completo e, soprattutto, per affrontare la violenza nell’ambito transnazionale dovesi sta sviluppando. Questo approccio è conforme a quello di Der Ghougassian (1999) nel-l’indicare che l’esistenza di un ambito di integrazione sovranazionale, che funziona come unterreno comune per le operazioni criminose, genera anche notevoli potenzialità per la coo-perazione internazionale a livello di sicurezza cittadina. È necessario, tuttavia, porre l’ac-cento sulla necessità di prospettive che consentano di confrontare diverse realtà, senzaperò che un caso specifico diventi metro di misura di altri; bisogna piuttosto partire dalconfronto per andare alla ricerca di similitudini, sinergie e differenze. Non si tratta neppuredi approfondire casi che si esauriscono in se stessi, ma di considerare piani trasversali checonsentano di conoscere il fenomeno nella sua dimensione globale e trarne esperienzecondivisibili.

125Documento 3. • Le amministrazioni locali e la sicurezza cittadina: Esperienze in America Latina e in Europa •

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Nel presente lavoro sono illustrate situazioni con diversi gradi di somiglianza e differen-za tra i vari contesti latinoamericani ed europei. È evidente però che la violenza e in parti-colare la criminalità devono essere affrontate integralmente, con un’ampia partecipazioneda parte delle amministrazioni locali e della cittadinanza. Inoltre, nel presente articolo si di-mostra la necessità di approfondimenti a partire dall’analisi comparativa della situazionedella violenza tra l’America Latina e l’Europa, nonché a partire dalle politiche pubbliche diprevenzione e di controllo.

La situazione latinoamericana presenta punte estreme nell’uso della violenza e del cri-mine, in un contesto in cui non esiste lo Stato sociale, dove oltre duecento milioni di per-sone sopravvivono quotidianamente in gravi condizioni di povertà. D’altra parte, in Europale condizioni di vita sono diverse e l’arrivo di enormi ondate di migranti negli ultimi diecianni ha messo in discussione la percezione della sicurezza da parte della cittadinanza.

In altre parole, la revisione delle politiche di sicurezza cittadina in entrambi i contesti ri-chiede un approccio di più ampio respiro, all’interno del quale poter affrontare con sguar-do critico le basi stesse che reggono questi processi.

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127Documento 3. • Le amministrazioni locali e la sicurezza cittadina: Esperienze in America Latina e in Europa •

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Documento 4.

Prevenzione e giovaniFranz Vanderschueren

Università Alberto HurtadoSantiago - Cile

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1. INTRODUZIONE

Nella maggior parte dei casi le azioni di prevenzione sociale sono indirizzate aigiovani, in particolare a quelli di sesso maschile considerati “a rischio”. Ciò avvie-ne per tre ragioni principali: perché i giovani, statisticamente, sono sia i princi-

pali autori – fatta eccezione per i casi di violenza domestica e per i “reati dei colletti bian-chi” –, sia le principali vittime di violenza; perché da giovani si è più esposti allo sviluppo dicomportamenti a rischio; perché è nell’età giovanile che è più facile cambiare la personalitàdi un individuo. Pertanto, la formazione dei soggetti e degli attori della società civile che sioccupano di sicurezza in chiave preventiva deve prevedere una preparazione specifica allagestione e alla messa in atto di programmi di prevenzione per i giovani.

Tenendo in considerazione questa esigenza, nel presente documento si cercheranno didefinire gli aspetti, gli approcci e le prassi generalmente adottate nei confronti dei giovani eche potrebbero rivelarsi utili nel processo di formazione di chi si occupa di prevenzione;così facendo si cercherà di evitare il duplice rischio di una formazione limitata esclusiva-mente alla dimensione istituzionale o basata su un’eccessiva specializzazione in “tecnichedi prevenzione”.

In questo documento verrà analizzata la problematica della prevenzione giovanile so-prattutto sulla base dell’esperienza latinoamericana, sebbene molte osservazioni siano ap-plicabili anche al contesto europeo.

Verranno trattati diversi punti. In primo luogo, la relazione tra giovani e rischio e i comu-ni metodi di prevenzione, con una particolare enfasi su un approccio fondato sul concettodi capitale sociale, che è quello che attribuisce un maggiore respiro all’azione preventiva esoprattutto perché incoraggia la partecipazione dei giovani stessi. Successivamente saran-no illustrati i diversi ambiti di intervento in materia di prevenzione giovanile. Per ciascun ca-pitolo saranno evidenziate le implicazioni per la formazione dei professionisti della sicurez-za urbana o cittadina.

2. GIOVANI E RISCHIO

La fase giovanile è il periodo in cui c’è una maggiore interazione tra le tendenze indi-viduali, i progressi psicosociali, gli obiettivi socialmente disponibili e i punti di forza

e di debolezza dell’ambiente circostante (Krauskopf, 1999). Senza entrare in un dibattitosui limiti di età che circoscrivono il concetto di “giovinezza”, limiti che d’altronde cambia-no da paese a paese, è comunque possibile identificare due periodi fondamentali dell’etàgiovanile.

Il primo è quello dell’adolescenza, che va dall’età della pubertà, circa 12 anni, momentoche segna la rottura con l’infanzia, fino all’età in cui si entra nel mondo dei giovani adulti.L’adolescenza è un periodo di formazione fisica, intellettuale, affettiva ed etica, ma è ancheun periodo di cambiamento e di rottura, caratterizzato dalla ricerca della propria identità.Durante l’adolescenza, i principali fattori di socializzazione sono la famiglia (seppur in mo-do sempre meno accentuato rispetto all’infanzia), la scuola e soprattutto il gruppo di coe-tanei. Di fatto, come dimostrato da diverse ricerche basate sulla meta-analisi, nella decisio-

129Documento 4. • Prevenzioni e giovani •

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ne di compiere atti di violenza o di assumere comportamenti illegali o incivili l’influenza deipropri pari prevale su qualsiasi altra (Blatier, 2002).

Il secondo periodo corrisponde alla fase della gioventù adulta, ed è caratterizzato dauna duplice ricerca: quella dell’ingresso sul mercato del lavoro, sia direttamente che attra-verso percorsi di studio o di formazione professionale, e quella della costruzione della pro-pria famiglia. Questa fase si estende più o meno fino ai 25 anni, l’età (approssimativa) incui si forma una famiglia. In questo secondo periodo, la famiglia di origine continua a svol-gere un ruolo di sostegno ma si trasforma soprattutto in una sorta di rete di protezione checonsente al giovane di avere una casa, finanziarsi gli studi e sostentarsi durante la ricerca diun lavoro, una fase che a volte può protrarsi a lungo. La funzione educativa della scuola vascemando, in quanto essa diventa più una fonte di qualificazione professionale che unospazio di socializzazione. Nella formazione, nell’impiego e nella qualità del tempo libero,così come nel lavoro, prevale l’influenza del gruppo dei pari. Ma a condizionare la vita delgiovane adulto sono soprattutto le prospettive di accesso al mercato del lavoro e del rag-giungimento di un equilibrio affettivo nella relazione con potenziali partner.

Qualsiasi definizione di “giovani a rischio” deve prendere in considerazione anche lapresenza strutturale del rischio nella società moderna. In questo senso, il processo di mo-dernizzazione e lo sviluppo tecnologico hanno fatto sì che i giovani attualmente siano mol-to più esposti alla ridefinizione dei modelli di consumo che hanno esacerbato le differenzenell’accesso alle opportunità e nelle condizioni di vita tra i gruppi che sono favoriti da unpunto di vista socioeconomico e quelli che non lo sono. I vantaggi dello sviluppo tecnolo-gico non si ridistribuiscono alla stessa maniera tra i giovani di tutti gli strati sociali, con unaconseguente polarizzazione socioeconomica all’interno della società di un paese (Beck,1998). Parallelamente, le società contemporanee si trovano ad affrontare numerosi rischiin conseguenza dei processi di modernizzazione: i “pericoli stabiliti e prodotti socialmente”vanno oltre il tema sicurezza e comportano “un impatto differenziato che acuisce il divariosociale”, dato che la ricchezza si concentra “negli strati più alti, mentre i rischi si accumula-no negli strati più bassi” (Beck, 1998).

Ciò significa che, sebbene tutti i giovani si trovino ad affrontare i rischi della societàmoderna, esistono gruppi di giovani che, per tutta una serie di fattori, sono maggiormenteesposti a sviluppare comportamenti a rischio rispetto ad altri.

I comportamenti a rischio sono quelli che compromettono determinati aspettidello sviluppo psicosociale o la sopravvivenza stessa della persona giovane. Su questicomportamenti incidono diversi fattori presenti nella società e nell’ambiente che circondail giovane (famiglia, scuola, gruppo dei pari e quartiere).

In questa prospettiva, i giovani a rischio sono quelli che subiscono l’influsso di fat-tori che possono compromettere lo sviluppo del loro ciclo vitale e inficiare aspettidel loro sviluppo psicosociale, come ad esempio il coinvolgimento in comportamentiantisociali, o in atti di violenza o di delinquenza derivati da diversi circuiti a rischio.Durante l’adolescenza e la giovinezza i comportamenti specifici che minacciano determina-ti gruppi di giovani sono molto legati tra loro. Quando un giovane entra a far parte di unodi questi gruppi viene esposto a una serie di rischi aggiuntivi di diversa origine, che contri-buiscono a determinare la partecipazione del giovane ad atti di violenza o di delinquenza(Krauskopf, 2003).

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3. LE CAUSE DELLA VIOLENZA

3.1 La violenza nelle istituzioni di socializzazione

LA FAMIGLIA

La famiglia e le istituzioni statali sono spazi in cui i bambini, le bambine e gli/le adole-scenti vivono situazioni di violenza (http://www.unicef.org). La violenza domestica

(per mano di familiari o conoscenti delle vittime) e la violenza istituzionale (che colpiscead esempio nelle scuole, sul luogo di lavoro e nei penitenziari) sono le principali espressio-ni di questo fenomeno.

La violenza legata ai giovani, inoltre, si concretizza in modalità diverse a seconda delterritorio, colpendo con maggiore forza le comunità economicamente più svantaggiate chevivono in condizioni di emarginazione urbana. I quartieri più poveri e marginali delle cittàsono un campanello d’allarme delle dinamiche perverse che, da secoli, sono alla base diquesti processi in quasi tutti i paesi dell’America Latina (Rodríguez E., 2005) e nelle perife-rie urbane europee in crisi.

Da una parte, la violenza domestica colpisce giovani e adolescenti che sono regolar-mente testimoni di scene di violenza tra gli adulti con cui convivono; dall’altra, i giovani egli adolescenti sono essi stessi vittime della violenza perpetrata dagli adulti, una violenzasia fisica che psicologica. In quest’ambito, un problema particolarmente spinoso è quellodella violenza sessuale. Sebbene non esistano dati paragonabili elaborati sulla base di mo-delli identici (campioni e tipi di domande analoghi, ad esempio), le ricerche disponibili in-dicano che “in media, il 22% delle donne e il 15% degli uomini in America Latina dichiara diavere subito almeno un episodio di violenza sessuale prima dei 17 anni” (Rodríguez E., 2005),senza differenze significative in quanto a gruppo etnico di appartenenza, livello di istruzio-ne, status socioeconomico, religione, eccetera.

LE SCUOLE

La violenza colpisce anche gli ambiti istituzionali, come ad esempio le scuole, dove laviolenza simbolica si manifesta per mezzo di aggressioni verbali, psicologiche o fisiche, e

131Documento 4. • Prevenzioni e giovani •

La formazione necessaria per affrontare il rischio

La formazione dei soggetti che si occupano di prevenzione deve insegnare a considerare il ri-schio con un approccio non adultocentrico, e ad interpretare l’impatto dei comportamenti arischio o delle situazioni di rischio sullo sviluppo psicosociale dei giovani nella fase specificadel ciclo vitale che questi stanno vivendo. Inoltre, deve insegnare a tenere in considerazione l’impatto dei fattori causali di rischio sullavita individuale di ciascun giovane, ma allo stesso tempo a riconoscere l’influenza dei circuitia rischio creati dalla società.Infine, deve mettere gli operatori in grado di valutare il diverso impatto del rischio a secondadelle condizioni sociali di ciascun gruppo, nella consapevolezza che i rischi hanno un impattopiù forte su coloro che vivono in condizioni socioeconomiche svantaggiate.

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attraverso la precarietà del dialogo tra alunni e insegnanti. Parallelamente, in queste istitu-zioni si evidenziano prassi che tendono a riprodurre le disuguaglianze, a rafforzare le discri-minazioni e i meccanismi di emarginazione. D’altra parte, il processo di comprensione e as-similazione delle risposte a questo tipo di violenza da parte degli insegnanti e del sistemaeducativo in generale è solo agli inizi. Nelle città in cui la copertura scolastica è vicina al100% (come avviene in Europa e in alcuni paesi latinoamericani) si verifica una trasposizio-ne in ambito scolastico di quella che in passato era la violenza nelle strade: un cambiamen-to che impone di affrontare con urgenza il problema.

Allo stesso modo, l’ambiente favorevole alla criminalità dei settori più marginali entraanche nelle scuole, e all’interno dell’ambiente scolastico si replica la violenza dell’ambientecircostante. Spesso le condizioni carenti in cui versa la scuola pubblica non consentono diaffrontare le problematiche degli adolescenti e dei giovani a rischio. In questo modo la vio-lenza nelle scuole testimonia il clima all’interno degli istituti stessi e la crisi del ruolo di so-cializzazione che la scuola dovrebbe espletare. Inoltre è opportuno considerare che l’istru-zione ricevuta dai giovani che si trovano in condizioni svantaggiate a causa della posizionesociale delle proprie famiglie è scadente, un fattore che ostacola le loro opportunità di mo-bilità sociale. A tutto ciò si aggiunge, in America Latina, il perdurare, in molti paesi, dei pro-blemi legati all’abbandono scolastico, in particolare per quanto riguarda l’istruzione mediae superiore. In America Latina si calcola che il 30% dei bambini a 14 anni non ha ancoraterminato il ciclo di istruzione primaria e, al raggiungimento di questa età, molti di essi so-no costretti a iniziare a lavorare (Rodríguez Vignoli, 2005). L’abbandono scolastico si pre-senta quindi come una conseguenza delle disuguaglianze presenti nelle società latinoame-ricane e, allo stesso tempo, come un possibile fattore di rischio.

Accanto a questo tipo di violenza scolastica, i giovani prendono parte alla violenza chesi manifesta in maniera specifica nei luoghi scolastici e che è retta da logiche e codici tipicidi questo ambiente. Giochi violenti, bullismo e rivalità tra diversi gruppi sono le espressionitipiche della violenza nelle scuole.

CENTRI RIEDUCATIVI E ABUSO DI AUTORITÀ

Tra gli spazi istituzionali in cui i giovani vivono situazioni di violenza occorre ricordare lestrutture di accoglienza per “minori” e i penitenziari, un fenomeno a proposito del qualeesiste una scarsa documentazione in America Latina nonostante i dati emersi da diversistudi (Cisalva, 2005). Inoltre abbondano le denunce contro la polizia, colpevole di eviden-ti fenomeni di abuso d’ufficio che vanno dal maltrattamento di adolescenti e di giovani sor-presi in strada in “atteggiamenti sospetti” (raggruppati agli angoli delle strade, ascoltandomusica o consumando alcolici, con “segni” tipici come tatuaggi o orecchini, eccetera) finoall’omicidio di coloro che oppongono resistenza agli ordini della polizia o semplicementenon sono in grado di dimostrare la loro innocenza (invertendo il principio giuridico secon-do il quale ogni persona è innocente fino a quando viene dimostrata la sua colpevolezza)(Rodríguez, 2005). Il “delit de faciès” (atteggiamento di sospetto dovuto all’aspetto fisicodella persona) europeo fa parte di questo tipo di situazioni a rischio innescate dalle discri-minazioni da parte delle forze dell’ordine. “Gli attacchi della polizia verso i giovani e la ‘puliziasociale’ sono espressioni di questo tipo di stereotipi che contribuiscono ad esacerbare la spiraledi violenza, instillando nei giovani antagonismo e sfiducia nei confronti delle autorità” (Cisalva2005).

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LA CONCATENAZIONE DI CAUSE

Le situazioni di rischio appena descritte costituiscono fattori che si rafforzano l’un l’al-tro. Tuttavia esistono dati emersi da studi comparativi che illustrano il peso relativo di cia-scuna di queste cause, come specificato di seguito.

3.2. Ambienti che generano violenza e loro impatto

È inoltre importante ricordare che la violenza si esprime con forza anche nella comunità,soprattutto tra coloro che subiscono con più forza fenomeni di emarginazione sociale. Co-sì, le comunità1 povere si trovano quotidianamente a dovere affrontare diverse situazioni diviolenza estrema, a cui si fa ricorso per “risolvere” qualsiasi controversia o conflitto.

LA RISPOSTA DEI GIOVANI ALLA VIOLENZA DELL’AMBIENTE CIRCOSTANTE

Spesso i giovani reagiscono alle forme di violenza istituzionale e ambientale raggrup-pandosi in bande violente.

Il fallimento completo o parziale della socializzazione in ambito familiare, scolastico odi quartiere conduce spesso alla formazione di gruppi più o meno violenti che riflettonoil grado di emarginazione sociale e urbana dell’ambiente circostante. “Le condizioni di pri-vazione socioeconomica che colpiscono i giovani che entrano a far parte di bande si riflettono

133Documento 4. • Prevenzioni e giovani •

Concatenazione di fattori causali

“Gli studi realizzati sulla delinquenza minorile hanno consentito di individuare vari fattori ... Èpossibile identificare i principali agenti criminogeni ambientali e classificarli a seconda del lo-ro impatto sulla delinquenza. In primo luogo si rileva la presenza di altre condotte marginali o antisociali, ossia la frequen-tazione di delinquenti e l’adozione di altre forme di condotta antisociale. Secondariamente,troviamo la reazione sociale negativa, soprattutto di natura informale. In terzo luogo, lascuola e i suoi problemi, che possono acuire il disadattamento. Quindi, il cattivo utilizzo deltempo libero, seguito dall’assenza di controllo da parte della famiglia. Infine, le condizionieconomiche svantaggiate.Secondo gli studi longitudinali che hanno rilevato il concatenamento di fattori, i primi dueelementi (di socializzazione), ossia la famiglia e l’ambiente socioeconomico, si uniscono percreare condizioni favorevoli ma non sufficienti per l’insorgenza di condotte antisociali. La re-lazione con la scuola e l’utilizzo del tempo libero possono imprimere un’accelerazione al pro-cesso. L’altro fattore, la presenza di un gruppo di pari dediti alla delinquenza, può essere l’e-lemento scatenante del passaggio all’atto delittuoso. Gli effetti dei vari fattori sono cumulati-vi. Con il tempo cambia l’importanza relativa di ciascuno di essi, e la famiglia perde influen-za, a favore di quella del gruppo dei pari e del disadattamento scolastico ... ”

Fuente: C. Blatier, La délinquance des mineurs. L´enfant et le droit.Presses universitaires de Grenoble, 2002 pp.186

1. La comunità è qui intesa in senso geografico, come sinonimo di collettività locale o quartiere.

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meglio nelle condizioni ambientali della comunità in cui vivono. L’emarginazione sociale edeconomica di cui sono vittima i giovani non si riflette solo nelle difficoltà delle loro famiglie didare loro un’istruzione di qualità e di creare opportunità lavorative per il loro futuro, ma an-che, e in forma più evidente, nelle condizioni di abbandono sociale in cui spesso versano le co-munità o i quartieri in cui vivono i giovani che entrano a far parte delle bande (...). Le bandedi delinquenti prosperano nei quartieri o nelle aree in cui la povertà si traduce in servizi socia-li inesistenti o di scarsa qualità ... Si tratta di comunità marginali ed emarginate, che si anni-dano nelle estreme periferie delle città particolarmente vulnerabili, e che vivono al margine deivantaggi consentiti dallo sviluppo economico urbano” (Cruz, 2005). In questo modo, quan-do i giovani si trovano ad affrontare un sistema che nega loro l’accesso alle risorse, essiricorrono alla formazione dei propri gruppi di riferimento “anti-sistema” per ottenerlo.Quando appaiono con forza determinati fattori di rischio, le bande diventano un surro-gato della famiglia, della scuola e anche del mercato del lavoro, che viene percepito co-me disfunzionale. Il fenomeno delle bande ha acquisito una particolare rilevanza in alcu-ni paesi europei (Malcolm Klein et al., 2001) e dell’America Latina (Concha Eastman A..,2005 e Gaborit, 2005), ma si sta estendendo a tutti i paesi, assumendo, di volta in vol-ta, caratteristiche diverse.

IL RISCHIO DELLA DROGA

Nell’ambito della comunità è inoltre possibile identificare situazioni di violenza gio-vanile legate al consumo e al traffico di stupefacenti, in particolare in quartieri impoveri-ti e rimasti al margine dello sviluppo. È in questi casi che la droga e la violenza rappre-sentano problematiche interdipendenti e collegate all’instaurazione della violenza comeparte della cultura, all’accettazione dell’illegalità e all’atteggiamento di rifiuto di una par-te della popolazione. La massima espressione di questo fenomeno è costituita dalla pre-senza di un traffico di stupefacenti a livello locale, che a volte viene definito “criminalitànon organizzata” (Lunecke e Eissmann, 2005). Nel contesto latinoamericano, alcune ri-cerche sulla realtà brasiliana hanno individuato un legame tra la violenza giovanile, l’ele-vato numero di casi di decesso in cui sono coinvolti dei giovani (come vittime o comeautori) e l’espansione delle reti del traffico di droga, in associazione con l’aumento delconsumo di stupefacenti. Allo stesso modo, alcuni studi condotti in Colombia mostranoche la violenza è direttamente legata al problema del traffico di sostanze stupefacenti(Abad, 2003). In questo senso occorre sottolineare che non è la povertà la causa prin-cipale delle problematiche sociali legate a droga e violenza. Le cause profonde di questofenomeno devono essere spiegate attraverso il riferimento a processi multidimensionalie multicausali. In altre parole, il fenomeno nasce in un contesto di depressione causatodai processi di emarginazione sociale che hanno colpito vasti settori della popolazione,principalmente giovani, in cui si verificano fatti di violenza legati al consumo e al trafficodi droga. In casi simili il traffico di stupefacenti (strettamente legato, quando vede coin-volti i giovani, al consumo di queste sostanze) offre un’alternativa di sopravvivenza e, avolte, di relativo arricchimento per i giovani che hanno scarse probabilità di inserirsi inmaniera soddisfacente nel mercato del lavoro. I processi di emarginazione sociale chehanno colpito questi giovani li hanno costretti a vivere senza un’effettiva capacità di rea-zione alle dinamiche dell’ambiente che li circonda. È in un simile scenario che emergonocon forza sia la violenza che la droga. La violenza è un prodotto dell’emarginazione so-ciale o di altri processi individuali o collettivi, ed è strettamente legata alle attività crimi-nali. La droga, invece, è un fattore che non dipende direttamente dai processi di emargi-

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nazione sociale, e si associa principalmente al consumo e al traffico illegale di sostanzestupefacenti, non necessariamente, almeno all’inizio, nel contesto di una rete organizza-ta. La relazione tra queste due fenomeni dà corpo al binomio droga-violenza e ne deter-mina il rafforzamento attraverso l’aggregazione di strada. I principali mezzi di diffusionedella droga associata alla violenza sono i gruppi di pari, facili prede degli spacciatori lo-cali che delegano ai giovani (con tanto di pagamenti regolari e fornendo loro delle armi)l’incarico di esercitare sul quartiere un controllo funzionale alle loro attività, approfittan-dosi del fatto che “molti di questi giovani, che esercitano un controllo sugli angoli di questiquartieri, non studiano né lavorano, e quindi finiscono per trascorrere la maggior parte delproprio tempo per strada, conversando o litigando con gli altri, consumando alcolici e droga,e a volte partecipando ad attività microcriminali” (Saravi, 2004). Questo binomio si con-cretizza soprattutto nello spaccio di droga a livello locale, massima espressione dellacultura dell’illegalità e della pratica della violenza, e costituisce una delle principali cau-se della condanna sociale. L’elevato consumo di stupefacenti, a sua volta, è un riflessodegli ingenti volumi di sostanze disponibili e del fatto che lo spaccio e il consumo didroga (entrambe attività illegali) in luoghi pubblici siano percepiti come attività normali(Lunecke e Eissman, 2005).

Inoltre è possibile rilevare situazioni di violenza anche in ambito lavorativo: un esem-pio è costituito dalle più abiette forme di sfruttamento del lavoro minorile come la schia-vitù o lo sfruttamento sessuale di minori, su cui la OIL sta lavorando alacremente, o ilcontinuo arruolamento di interi eserciti di bambini e adolescenti nelle fila di gruppi ar-mati in conflitto tra loro (i “bambini soldato” in paesi come la Colombia). Questo feno-meno deve essere contestualizzato in regioni in cui si registrano alti tassi di disoccupa-zione giovanile e in cui persino i giovani che lavorano vengono sottoposti a condizionilavorative e salariali inferiori rispetto agli adulti (Banca Interamericana di Sviluppo,2003). Quindi, per la maggior parte dei giovani, il mercato del lavoro e l’inserimento nelmondo del lavoro (anche sottoforma di disoccupazione e di lavoro precario o mal paga-to) sono fonte di grande vulnerabilità in termini sociali e criminali. Su questo punto, al-cuni studi della Banca Interamericana di Sviluppo mostrano che in diversi paesi della re-gione il tasso di disoccupazione giovanile è il triplo rispetto a quello degli adulti (BancaInteramericana di Sviluppo, 2003).

135Documento 4. • Prevenzioni e giovani •

Multicausalità e formazione

Per la formazione dei soggetti preposti alla prevenzione, la multicausalità impone di:

a) Preparare i soggetti a riconoscere le molteplici cause dei comportamenti a rischio odella delinquenza giovanile, e la relazione tra tali cause e il contesto locale.

b) Affrontare questi molteplici aspetti con un approccio integrale a livello locale. Limitarela prevenzione negli angusti confini di un progetto che si concentra su un solo fattore(la famiglia, la scuola..) rischia di avere un effetto limitato.

c) Considerare l’abuso di droga come un problema sanitario, come richiesto dai giovanistessi in un Libro Bianco dell’UE (“Secondo i giovani, la tossicodipendenza dovrebbeessere considerata una patologia e non un reato, ed essere trattata di conseguenza”),ma allo stesso tempo considerare il rischio derivato dall’impatto delle reti del traffico didroga sui quartieri vulnerabili.

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4. DIVERSE PROSPETTIVE SULLA VIOLENZA GIOVANILE

Anche se nelle attività di prevenzione sociale rivolte ai giovani ha avuto un ruolo pre-ponderante la prospettiva del rischio, poco a poco sono emersi altri approcci com-

plementari, che comportano requisiti di formazione diversi per chi si occupa di prevenzione.

4.1 L’importanza di un approccio urbano

La violenza dei giovani e sui giovani è un problema che interessa soprattutto le città, sia peril tasso di urbanizzazione molto elevato dell’America Latina (> 70%) e dell’Europa (> 80%), siaperché è nelle città che nascono o arrivano gran parte dei fenomeni di emarginazione sociale.

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Approccio urbano e formazione

L’approccio urbano mette in evidenza l’importanza di collegare le politiche di prevenzione al-la totalità delle di politiche urbane in atto nelle città, diverse a seconda dei luoghi e delle cir-costanze.Attraverso i programmi di formazione, i responsabili della sicurezza e i soggetti che si occu-pano di prevenzione in generale devono apprendere ad elaborare progetti e programmi diprevenzione collegandoli al contesto urbano specifico e agli altri servizi urbani erogati in cia-scuna città.In questo senso, i responsabili della sicurezza a qualsiasi livello sono soprattutto fornitori diservizi urbani e di politiche di integrazione sociale urbana.Uno dei temi principali all’interno di questo approccio è l’individuazione e lo sviluppo di spaziurbani per i giovani, che spesso sono percepiti come minacciosi dagli adulti, ad esempio luo-ghi di svago, aree in cui sia consentito realizzare graffiti, luoghi per gli artisti di strada, ecce-tera.Questo approccio, inoltre, impone di non ignorare i “bambini e giovani di strada”, che lavora-no o vivono in strada e costituiscono una popolazione errante, stagionale o permanente, cheutilizza i servizi urbani soltanto in maniera sporadica. L’esempio della città di Monterrey, cheorganizza due volte all’anno una giornata per questa popolazione giovanile “di strada e instrada” assume quindi un valore simbolico, ma anche reale, perché permette di prendereconsapevolezza delle loro necessità e avvia un difficile processo di (re)inserimento, dando ilvia, allo stesso tempo, alla riconciliazione tra questi giovani e il resto della popolazione, non-ché un processo reale di destigmatizzazione. Infine, un approccio urbano consente di identificare, consolidare e rafforzare gli attori localiche dovrebbero prendere parte al processo di coproduzione della sicurezza mediante attivitàintersettoriali che coinvolgono i servizi pubblici e privati, la società civile e le comunità.La coproduzione richiede che i soggetti statali coinvolti siano pronti a lavorare in squadra. Ciòrichiede una formazione specifica volta a distruggere l’atteggiamento limitato alla sola affer-mazione delle identità istituzionali; in questo senso, la funzione di “coordinamento delle atti-vità” significa che il personale coinvolto in questi compiti è abituato al lavoro di gruppo.Per mettere in pratica la costruzione della sicurezza nelle città è necessario porre l’accentosulle comunità. “La collettività è al centro di tutte le azioni efficaci di prevenzione della crimi-nalità. Sono le persone che vivono, lavorano e giocano nella collettività coloro che sanno me-glio comprendere le risorse, i problemi, le necessità specifiche e le capacità della regione incui vivono... Le collettività devono essere pronte a investire tempo ed esperienza, e i dirigen-ti locali devono contribuire a mobilitare una gamma completa di partner locali per affrontarei problemi della criminalità e della violenza. Il successo dei progetti di prevenzione del crimi-ne per mezzo dello sviluppo sociale si basa sulla partecipazione attiva di tutti i partner nell’e-laborazione, esecuzione e valutazione dei progetti stessi” (Marcus, 2004). Nei programmi diformazione destinati ai coproduttori della sicurezza deve essere presente questo obiettivo.

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L’approccio urbano permette di decodificare la città e riconoscere i contesti in cui vivono idiversi gruppi di giovani. Per i gruppi giovanili dei settori abbienti, il rischio è legato al consu-mo di droghe (lecite o meno), al pericolo degli incidenti d’auto (che rappresentano la primacausa di morte per i giovani tra i 15 e i 24 anni in diversi paesi europei), all’influenza di un am-biente di discriminazione o di possibile corruzione che presenta valori e atteggiamenti chenon hanno nulla a che vedere con la solidarietà, necessaria invece per un progetto di città ba-sata sull’integrazione. Invece per i giovani dei settori di estrema povertà la lotta per la soprav-vivenza è una realtà quotidiana, e la famiglia o la scuola spesso non riescono se non in manie-ra limitata ad alleviare questa situazione. Tra i giovani dei settori impoveriti o destrutturati, il ri-schio per gli uomini è quello di ricadere nel “reato amatoriale” (Kessler, 2004) o di esseremaggiormente coinvolti in attività illegali, in particolare nel traffico di droga; per le donne, in-vece, i rischi maggiori sono legati alle gravidanze precoci, che limitano le possibilità di svilup-po personale, e lo sfruttamento sessuale, che spesso assume le sembianze di tratta di esseriumani.

L’approccio urbano consente di entrare nei quartieri e di comprendere il significato che es-si rivestono per gli abitanti e i giovani, facilitando la comprensione dei conflitti interni, di ge-nere, generazionali, di integrazione sociale, di inserimento nel mercato del lavoro, di accesso alconsumo o ai servizi, di valori, di controllo reale del territorio (traffico di droga, dominio loca-le, polizia, accesso ai servizi) o di controllo simbolico (bande, graffiti). “Il quartiere è come unascatola nera la cui analisi può rivelare nuovi aspetti della vulnerabilità sociale” (Rodríguez E.,2005). Solo attraverso la comprensione delle relazioni sociali e della dinamica interna ai quar-tieri è possibile spiegare perché zone caratterizzate dallo stesso livello socioeconomico in al-cuni casi sono territori soggetti al dominio incontrastato dell’illegalità, mentre in altri casi di-ventano teatro di sforzi collettivi e individuali per la mobilità sociale e l’integrazione.

La prospettiva urbana permette poi di inquadrare i diversi approcci che caratterizzano iprogrammi rivolti ai giovani a rischio in America Latina. Le politiche pubbliche sono state tra-dizionalmente dominate dalla prospettiva del rischio, assumendo spesso una dimensione“adultocentrica” (in altre parole, il rischio è percepito come un pericolo per il mondo adultopiù che come un ostacolo allo sviluppo dei giovani stessi dovuto ai loro comportamenti).

Questo approccio ha dato vita a risposte che insistono sull’inserimento dei processi diemarginazione sociale tra le cause della violenza in contesti lacerati e deteriorati dal punto divista economico, sociale e culturale, con ripercussioni sugli adolescenti e sui giovani. Ognunadi queste dimensioni può essere percepita soltanto nel contesto urbano e nella relazione coni quartieri in cui i giovani si incontrano. In questo senso, il quartiere può compensare le caren-ze di socializzazione e di integrazione della famiglia e della scuola. Anche il quartiere, però,può diventare un fattore di emarginazione, a seconda dell’organizzazione del quartiere stesso.Tale organizzazione dipende da una parte dalla maniera in cui si presentano le relazioni socialiall’interno del quartiere e, dall’altra, dalle caratteristiche fisiche e sociali e dall’area geograficain cui si trova.

4.2. L’approccio del capitale sociale

Un approccio diverso ma complementare a quello del rischio si centra sulla necessità disviluppare il capitale sociale dei giovani e sui loro diritti, in particolare sul diritto di parteci-pare ai processi decisionali che li riguardano. Questa prospettiva verte principalmente sui

137Documento 4. • Prevenzioni e giovani •

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seguenti punti: la comprensione delle inquietudini dei giovani, specialmente se questi sisentono emarginati; il diritto dei giovani ad utilizzare lo spazio pubblico, esattamente comegli altri membri della comunità; la partecipazione dei giovani, che garantisce che i program-mi e gli interventi realizzati rispondano ai loro effettivi interessi; la capacità di impegno deigiovani e la loro comprensione del meccanismo di funzionamento dei servizi.

Il concetto di capitale sociale è legato a quello di relazioni sociali, in considerazione delfatto che le organizzazioni sociali si evolvono e sono realtà flessibili e sensibili alle condizio-ni dell’ambiente circostante, e che per questo sono in grado di creare, stimolare o aumen-tare il capitale sociale (Arriagada, Miranda, 2003). Il capitale sociale rimanda alle reti so-ciali, alle relazioni di fiducia e alle istituzioni che costituiscono un determinato tessuto so-ciale e, in ultima analisi, al modo in cui gli individui e/o le comunità si inseriscono e parteci-pano a tali strutture, e a come questo tipo di inserimento si traduce nella creazione di op-portunità per l’azione individuale o collettiva.

In questo contesto, il concetto di capitale sociale indica i vantaggi e le opportunità of-ferti alla gente, i benefici nati dall’abilità di creare e sostenere associazioni volontarie e retidi collaborazione. Quando si relazionano tra loro, le persone mettono in gioco valori e nor-me, regole morali e culturali che sono frutto della formazione della loro personalità in de-terminati contesti, ed è proprio queste relazioni che costituiscono il capitale sociale. Allostesso modo, le risorse ottenute attraverso tali legami costituiscono valori, conoscenze ecompetenze che contribuiscono alla convivenza, al rafforzamento della solidarietà e all’in-tegrazione sociale.

L’approccio del capitale sociale porta a considerare il ciclo di vita giovanile sottolinean-do i processi di integrazione dei giovani, come ad esempio il lavoro, l’istruzione e la cittadi-nanza. In questo modo è possibile percepire il giovane con le sue capacità e abilità sociali eindividuali, in relazione con altri soggetti sociali, siano essi amici o adulti, nel loro contestourbano. È quindi possibile combinare la dimensione individuale, che comprende vari aspet-ti dello sviluppo personale (gestione del rischio, percezione della propria efficacia, con-dotte prosociali, presa di coscienza delle proprie forze, gestione dei legami e del sostegnosociale, creatività), con la dimensione collettiva, ovvero con i meccanismi di sostegno so-ciale a cui si appoggiano i giovani per realizzare i propri progetti di vita attraverso l’istitu-zionalità locale e/o della comunità, i legami sociali e della comunità, l’ambiente familiare, iservizi pubblici, eccetera.

Una delle maggiori difficoltà riscontrate in varie città è la scarsa partecipazione dei giovanistessi quando, di fatto, si sa che il loro coinvolgimento è una condizione sine qua non per ilbuon esito dei progetti. La ragione principale di questa lacuna è da ricercare nella dimensioneadultocentrica di molti programmi, che identificano i giovani come semplici destinatari delleazioni, e non come soggetti attivi dello svolgimento delle azioni stesse. Non viene riconosciu-to il contributo che i giovani possono apportare per risolvere problemi che affliggono lorostessi e la società nel suo insieme. Per cambiare questo atteggiamento ed instaurare una rela-zione di empatia con i giovani è necessario comprendere la percezione che i giovani hannodella loro stessa situazione, che spesso hanno una sensazione di emarginazione e di conflittogenerazionale, perché le percezioni dei problemi sono diverse a seconda delle diverse fasced’età e del genere dei soggetti coinvolti. In vari casi, l’emarginazione dei giovani nei quartieriostacola la creazione di legami e di reti all’interno delle comunità, fatta eccezione per quelliche si stringono nelle istituzioni perverse (Moser e Mc Ilwaine; 2000).

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D’altra parte l’analisi delle varie esperienze realizzate in diversi paesi latinoamericani(Costa Rica, Colombia, El Salvador, Cile, Brasile, Messico, eccetera) in fatto di politiche peri giovani dimostra che è fondamentale evitarne l’isolamento sociale, inserendoli in dinami-che più ampie soprattutto in termini di partecipazione ed esercizio dei diritti, in una pro-spettiva cittadina. In questo senso, non basta puntare all’”emancipazione” dei giovani, sequesto processo non avviene in una prospettiva integrale concepita come costruzione del-la cittadinanza. Sotto questo punto di vista è particolarmente utile coinvolgere i giovani, inmaniera dinamica e concreta, in iniziative più ampie (bilancio partecipativo, controllo so-ciale delle politiche pubbliche, organizzazioni comunitarie eccetera), ma anche elaborareprogrammi che accompagnino il “ciclo di vita” delle persone in tutte le politiche pubblichepertinenti.

Se include la prospettiva di capitale sociale, l’approccio urbano colloca i giovani al cen-tro delle priorità partendo dalla difesa e dallo sviluppo dei diritti e della partecipazione: ciòdovrebbe rafforzare le comunità locali.

In questa prospettiva, per una prevenzione efficace è necessario:� Coinvolgere attivamente i giovani nell’elaborazione e nell’attuazione dei programmi � Concentrare l’attenzione sui loro punti di forza, e non sui punti deboli� Creare spazi di partecipazione e ricreativi� Rafforzare i loro processi identitari (Shaw, 2001)

È possibile sintetizzare le premesse su cui si basa questo approccio di partecipazionedei giovani in due punti: la necessità di comprendere i punti di vista e le inquietudini deigiovani, specialmente se si sentono vittime di violenza oppure emarginati, e la necessitàdell’appoggio e della partecipazione dei giovani, per essere sicuri che gli interventi corri-spondano ai loro reali interessi.

Questa prospettiva riconosce ai giovani il diritto di utilizzare lo spazio pubblico come glialtri membri della comunità, e valorizza la grande energia, il tempo e l’impegno dei giovani.Inoltre tiene in considerazione la particolare percezione dei giovani circa i meccanismi difunzionamento dei servizi urbani o dei servizi destinati ai giovani stessi.

139Documento 4. • Prevenzioni e giovani •

Condizioni per la costruzione di una identità giovanile

� Espressione delle loro capacità di iniziativa� Apprendimento di strategie di anticipazione dei risultati � Apprendimento di modalità di gestione delle conseguenze � Sviluppo di abilità decisionali e di trattativa� Esistenza di opportunità per mettere in pratica metodologie di risoluzione dei proble-

mi e di assistenza reciproca.

Fonte: Krauskopf, “Dimensiones críticas en la participación social de las juventudes”.Revisione del documento “Participación y desarrollo social en la adolescencia”.

Costa Rica, 1999. 15- 34

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Il lavoro svolto dalla CEPAL nel 2003 ha contribuito a stimolare il dibattito su questi te-mi e a sistematizzare alcune esperienze particolarmente indicative realizzate in diversi pae-si della regione2, tra le quali emerge l’esperienza argentina, resa possibile dal Programma diRafforzamento dello Sviluppo Giovanile voluto dalla Segreteria per lo Sviluppo Sociale ar-gentina nel 1994. Questo programma si è concentrato in particolar modo sul rafforzamen-to della partecipazione dei giovani alla progettazione stessa del programma, ed è andato aldi là della semplice prevenzione: il progetto era rivolto a giovani a rischio e in quattro anniha consentito di qualificare oltre 30.000 persone, creando reti regionali con la partecipa-zione di organizzazioni comunitarie e aprendo fondi regionali con budget e risorse locali(Arriagada, I. e Miranda, F., 2003). Ma l’obiettivo più importante che questo progetto haraggiunto è stato il rafforzamento delle organizzazioni giovanili dei settori più a rischio.

Un altro progetto particolarmente interessante in questa prospettiva è la Casa dellaCultura di Almirante Brown (1999), nell’area metropolitana di Buenos Aires, che ha costi-tuito uno spazio municipale di partecipazione e creazione di legami tra diverse associazionigiovanili della città, caratterizzata da elevati livelli di emarginazione e di violenza. Questoprogetto culturale è stato disegnato sulla base delle necessità e delle aspirazioni della co-munità locale, con un’aggregazione tra organizzazioni giovanili che hanno elaborato e rea-lizzato attività culturali per tutta la cittadinanza. Grazie a questo programma è stato possi-bile veicolare e indirizzare le attività giovanili, ma anche le necessità ricreative dei giovani disettori altamente vulnerabili (Arriagada, I. e Miranda, F., 2003).

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2. Irma Arraigada e Francisca Miranda hanno catalogato esperienze e ricerche condotte in America Latina sul tema delcapitale sociale dei giovani e delle giovani.

Formazione in una prospettiva di capitale sociale

La prospettiva che considera il capitale sociale come l’asse centrale della prevenzione obbli-ga a preparare i soggetti preposti alla sicurezza e alla prevenzione a un tipo di lavoro che ri-chiede la partecipazione dei giovani stessi. Questo approccio significa andare oltre la sem-plice prospettiva di articolare l’offerta pubblica di programmi rivolti alla gioventù: si trattainvece di riconoscere la piena cittadinanza dei giovani, abbandonando la percezione dei gio-vani solo come segmento a rischio. Inoltre, la formazione deve insegnare a valorizzare lepotenzialità e le capacità dei giovani stessi in ambito culturale, socioeconomico, ma anchedi controllo e di educazione alla pace e alla non violenza.

Questo approccio richiede soprattutto la capacità di mettere da parte l’atteggiamento di ri-fiuto dei giovani come causa della percezione di insicurezza, riconoscendo che, ad esempio,i graffitisti, gli skater, gli artisti di strada, i membri di bande, gli ultrà, i punk, gli esperti dihip hop o di capoeira sono figure portatrici di una cultura, a volte ambigua, con le quali glieducatori dovrebbero instaurare un dialogo per comprendere il potenziale culturale di talicomportamenti. È importante che i programmi di formazione insegnino ad interpretare po-sitivamente le manifestazioni culturali proprie delle generazioni giovani, per affrontare il te-ma della violenza giovanile rispettando i diritti dei giovani.

La formazione deve poi insegnare a decodificare le espressioni culturali giovanili: ad esem-pio, vedere nella cultura del rolling degli “skater” la messa in discussione della città delleautomobili; nell’hip hop o nella capoeira un’alternativa alla droga; nei graffiti la ricerca diuno spazio culturale o sociale proprio; nella violenza scolastica il riflesso della violenza so-ciale contemporanea e del malessere all’interno della scuola.

segue �

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5. I PRINCIPALI CONTENUTI DI UNA PREVENZIONE RIVOLTAAI GIOVANI

Tra le varie espressioni di comportamento a rischio che l’azione di prevenzione deveaffrontare a partire dalle prospettive analizzate ve ne sono alcune paradigmatiche,

che si riscontrano nella maggior parte delle città delle due regioni geografiche considerate;pertanto, è opportuno che coloro che si occupano di prevenzione le conoscano in manieraapprofondita.

5.1. Bande giovanili

“Una banda di giovani è un’associazione volontaria di pari, uniti da interessi comuni,guidata da una leadership e strutturata secondo un’organizzazione interna, che agisce col-lettivamente esercitando attività anche illegali per ottenere uno o più obiettivi unitamenteal controllo di un territorio, una struttura o un settore economico” (Miller W.B.,1992).

In entrambe le regioni considerate le bande si esprimono secondo modalità che vannodalla semplice associazione di giovani che trascorrono insieme il tempo libero impegnati inattività collettive di vario genere e non necessariamente illegali o violente, passando per lemaras (gang) dell’America centrale la cui principale attività ha carattere criminoso e violen-to, fino agli ultrà o agli hooligan che rivendicano, servendosi dei simboli dello sport, il con-trollo di un territorio, e si rendono colpevoli di atti di violenza nei confronti di altri gruppi odi chi non condivide i loro orientamenti.

141Documento 4. • Prevenzioni e giovani •

La conoscenza e l’uso dei supporti audiovisivi che giovani utilizzano come mezzi di appren-dimento è un ingrediente essenziale dei programmi formativi rivolti agli educatori coprodut-tori della sicurezza.

L’esigenza di partecipazione reale si estende non solo agli elementi socioculturali della gio-ventù, ma anche alla necessità spirituale di dare un significato alla vita. In questo senso èindicativa l’esperienza della città di Toronto, in cui la squadra municipale di sicurezza hamesso in atto con successo un programma per giovani ad alto rischio, generalmente in con-flitto con la legge. Con questi giovani è stato realizzato un video in cui ognuno interpreta lapropria vita e la propria ricerca spirituale. Ogni partecipante interroga gli altri per capirequal è, per loro, il senso della vita e quali sono gli ostacoli alla loro realizzazione, analizza econfronta i risultati, permette agli altri di giudicare il proprio ruolo, che viene filmato e quin-di esaminato insieme. Il risultato è dato da una serie di spunti di riflessione, ma anche dalcoinvolgimento dei beneficiari nella ricerca del senso individuale e collettivo della vita.

Un altro requisito indispensabile delle attività formative rivolte ai responsabili della sicurez-za è lo sviluppo delle capacità di risoluzione dei conflitti intergenerazionali. Imparare a rico-noscere le potenziali linee di lavoro che facilitano la collaborazione intergenerazionale è fon-damentale per l’integrazione sociale dei giovani e per incoraggiare gli adulti ad abbandona-re progressivamente l’atteggiamento di rifiuto.

I coproduttori della sicurezza devono essere in grado di lavorare con docenti, forze dell’ordi-ne, giudici, dipendenti pubblici, enti locali e responsabili della politica locale, per far lorocomprendere e per analizzare insieme a loro le potenzialità dei giovani, e per intervenire diconseguenza.

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Le ricerche (Concha-Eastman e Santa Cruz, 2001; Cerbino, 2002, Malcolm Klein, 2001,Gaborit, 2005) realizzate su bande di qualsiasi tipo hanno mostrato che i fattori principaliche stanno alla base di questo fenomeno vanno ricercati nella famiglia, nella scuola e nella co-munità. Le bande violente tendono a nascere soprattutto tra i giovani socialmente emarginatiper i quali la scuola e la famiglia non funzionano. Il “gruppo dei pari” assume le funzioni di unacomunità affettiva e si trasforma in un punto di riferimento per i membri della banda. Nel casospecifico dell’America Centrale, l’effetto delle migrazioni3 (Moser e Mc Illwaine, 2004) nelcontesto seguito a un conflitto e l’impatto dei metodi adottati per controllare le bande posso-no contribuire a dare ragione del loro grado di violenza (Rodgers, 2003).

I gruppi di giovani che danno vita a organizzazioni strutturate o bande minorili vengonopercepiti dagli adulti come associazioni che incrementano il rischio di delinquenza. Da unaparte, è vero che queste organizzazioni hanno un effetto a cascata sulla varietà di compor-tamenti antisociali dei giovani. Dall’altra parte, però, l’impatto delle bande sulla percezione– motivata o soggettiva – di insicurezza urbana modifica, a sua volta, l’ambiente sociale,rendendo un quartiere “emarginato” o “a rischio”.

Gli adolescenti, invece, non percepiscono la banda in maniera negativa, bensì come unanormale espressione della ricerca di identità. Di fatto, l’organizzazione dei giovani in gruppipiù o meno strutturati o flessibili corrisponde a una tappa della crescita degli adolescenti,e queste organizzazioni non sono necessariamente violente. I membri delle bande non so-no diversi da molti altri giovani: vanno a scuola, svolgono qualche lavoretto occasionale,vanno a passeggio e dedicano al gruppo solo una parte del loro tempo libero. “Ciò che rap-presenta un vero problema sociale non è tanto il fatto in sé di essere parte di una banda, ma ilmodo di ‘essere banda’, i valori che stanno alla base della banda e che devono essere condivi-si se si desidera esserne membro a pieno titolo e, soprattutto, gli atteggiamenti, le abitudini e leazioni poco raccomandabili dei suoi membri” (Santa Cruz e Concha- Eastman, 2001).

Per affrontare il problema delle bande violente è fondamentale essere capaci di diagnosti-care il “percorso della violenza” (Santa Cruz e Concha Eastman, 2001). Si tratta di riconosce-re come cambia quello che, inizialmente, è l’impatto della conflittualità familiare, quando simanifesta nell’ambiente scolastico per poi passare all’abbandono scolastico, al tempo libero,alla ricerca di un utile economico, concretizzandosi in aggressioni fisiche ad altre persone o, inalcuni casi, in reati più gravi come l’omicidio, la rapina, la violenza sessuale, le lesioni. È impor-tante capire quali sono i fattori che agevolano il passaggio da una tappa all’altra.

In secondo luogo, un intervento appropriato presuppone la conoscenza del quadro po-litico, istituzionale e giuridico nel quale le bande possono evolvere e trasformarsi. In altreparole, le politiche pubbliche di un determinato paese o città possono facilitare o impedirel’evoluzione delle bande e delle condizioni che ne consentono la nascita o lo sviluppo. Lepolitiche nate in seguito ai conflitti in alcuni paesi dell’America Centrale lo dimostrano.

In terzo luogo, affrontare questo fenomeno significa comprendere il contesto socioeco-nomico in cui esso si manifesta. Fatta eccezione per i casi di totale inserimento nel mondodella delinquenza propriamente detta, che normalmente implicano la presenza di una lea-

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3. Ad esempio l’espulsione, da parte degli Stati Uniti, di giovani figli di immigrati centroamericani che facevano parte dialcune gang di Los Angeles e che hanno trasferito le loro attività in El Salvador o in Honduras.

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dership adulta, le bande giovanili coesistono in maniera ambigua ma pacifica con l’ambien-te circostante, costituito sia dalle famiglie di provenienza, sia dai servizi pubblici o privatiche operano nelle zone in cui le bande agiscono. Spesso le caratteristiche delle bande ri-flettono quelle dell’ambiente. Più l’ambiente in cui vivono è violento ed emarginato, più lebande sono violente e in conflitto con i valori della società. Pertanto, un’azione che nonabbracci anche l’ambiente – come destinatario e come partecipante attivo dei progetti –va a discapito delle probabilità di successo dell’azione stessa. “Le condizioni di privazione so-cioeconomica che colpiscono i giovani che entrano a far parte di una banda si riflettono soprat-tutto nelle condizioni ambientali della comunità in cui vivono. L’emarginazione sociale ed econo-mica di cui sono vittima i giovani non si riflette solo nelle difficoltà delle loro famiglie di dare loroun’istruzione di qualità e di creare opportunità lavorative per il loro futuro, ma anche, e in formapiù evidente, nelle condizioni di abbandono sociale in cui spesso versano le comunità o i quartie-ri in cui vivono i giovani che entrano a far parte delle bande” (Cruz, 2005).

Gli interventi devono necessariamente tenere in considerazione i livelli di sviluppo delle ban-de e dei loro affiliati. In maniera schematica è possibile individuare quattro livelli di intervento.

Innanzitutto, l’azione rivolta alla periferia della banda. Esistono esempi non sistematiz-zati di questo tipo di intervento, in particolare da parte della polizia locale in Ecuador e inColombia, realizzati sulla base del modello operativo della polizia canadese, che concentrasu questi giovani gli interventi delle comunità, in collaborazione con le organizzazioni loca-li. Si tratta di forme di prevenzione primaria.

Il secondo tipo di intervento (prevenzione secondaria) si rivolge direttamente al gruppoquando alcuni membri si dedicano ad azioni illegali (spaccio, piccoli furti) o al consumo didroga, oppure agiscono sporadicamente come “ultrà”. In questi casi sono stati messi in at-to due tipi di interventi.

Uno di essi mira a separare i leader dal resto del gruppo. Neutralizzare il leader consen-te di concentrarsi sul reinserimento degli altri membri. In alcuni casi ciò avviene attraversooperatori che agiscono come intermediari tra il programma di intervento e i membri dellabanda (caso degli Usa).

Una variante di questo tipo di intervento consiste non nel cercare di provocare frattureall’interno della banda, ma nel trasformare quest’ultima in un’attività socialmente positiva.

143Documento 4. • Prevenzioni e giovani •

Formazione e bande

La formazione dei coproduttori della sicurezza impone di capire a fondo cos’è una banda,qual è il suo significato per i giovani e qual è il suo impatto sulla realtà locale. La formazione deve abilitare i responsabili alla sicurezza urbana ad analizzare sia i fattoricontestuali che sottendono i gruppi violenti, sia le possibilità di lavorare su questi fattoriper modificare la realtà in cui la banda è immersa, se necessario, partendo dal presuppo-sto che il rischio non risiede nella banda stessa, ma nel modo di vivere e di esprimersi del-la banda.Trasformare una banda in un’attività socialmente utile sembra una formula promettente incontesti in cui esiste una strategia di sicurezza urbana, e dovrebbe diventare materia diformazione, così come dovrebbero diventarlo le modalità di mediazione tra bande diversee il lavoro sui quartieri e le famiglie che costituiscono l’ambiente sociale che circonda lebande.

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Questo modello è stato applicato con successo nella città di Monterrey a partire dal 2000; siè lavorato con diverse bande per trasformarle in gruppi dediti a lavori socialmente utili, adesempio il riciclaggio dei rifiuti, le attività di intrattenimento in occasione di festività, oppurel’organizzazione di attività destinate alla comunità. Quest’ultimo caso richiede il coinvolgi-mento delle autorità locali, la mobilitazione di risorse e operatori specializzati, nonché la par-tecipazione attiva della comunità, che deve essere solidale con gli obiettivi del programma.

Da questo modello si apprende una lezione fondamentale: la principale condizione peril successo è la collaborazione con le famiglie di origine dei destinatari del progetto; i risul-tati ottenuti sono stati estremamente positivi con la maggioranza delle bande, fatta ecce-zione per quelle già troppo coinvolte in attività criminali.

Un terzo tipo di intervento consiste nel limitare i danni legati ai conflitti tra bande, chesono tra le prime cause di lesioni e decessi. Ciò è possibile attraverso attività di mediazionecondotte dalla polizia o da altri membri delle comunità. Questo modello è stato applicatocon successo in alcune città colombiane4.

Mentre le altre tipologie di bande giovanili richiedono azioni di prevenzione primaria osecondaria, gli interventi rivolti ai gruppi criminali rientrano nell’ambito della prevenzioneterziaria e devono essere affrontati in una prospettiva globale. Richiedono uno strettocoordinamento con la polizia, i giudici e i servizi di reinserimento; parallelamente, necessi-tano della collaborazione con le comunità locali nella misura in cui i gruppi criminali nasco-no dove il capitale sociale delle comunità è più carente (Gaborit, 2005).

5.2. Giovani in conflitto con la legge

La costante criminalizzazione dei giovani giustifica spesso, agli occhi dei governi e deimezzi di comunicazione, l’enfasi sull’ordine pubblico, l’accanimento continuo e la persecu-zione da parte delle forze di polizia. Tuttavia esistono due tipi di prassi particolarmente dif-fuse di prevenzione terziaria: i programmi di riabilitazione e le forme di giustizia alternativa,che stanno sperimentando una lenta evoluzione.

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4. Gli scontri per il “controllo del territorio” sono quelli che hanno causato il maggior numero di incidenti mortali.

Il lavoro sulle bande a Monterrey

Il modello di Monterrey si pone un duplice obiettivo: di formazione e di inserimento, ovepossibile, dell’intera banda nel mercato del lavoro. L’intervento si articola in diverse fasi: siidentificano delle bande e si apre un dialogo con ognuna di esse, quindi si fa una diagnosidei vari quartieri d’origine; successivamente si passa alla formulazione di un programma apartire dalle aree di interesse del gruppo (un anno). In seguito si elabora un piano di lavorosulla base di un programma concordato con gli enti pubblici e privati coinvolti, che viene poimesso in atto mediante attività culturali e di supporto alle comunità, in costante dialogo coni membri della banda. Infine si esegue una valutazione dei risultati ottenuti.

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RIABILITAZIONE

La riabilitazione mira a ridurre i fattori di rischio individuali e familiari a cui sono esposti i gio-vani e a prevenire la recidiva per mezzo di strategie che prevedono l’analisi del livello di rischiodel delinquente, dal quale dipende il grado di intensità dell’intervento. Sono state sviluppatemetodologie di lavoro partecipative e attive nelle quali prevale l’approccio operativo multimo-dale, volto ad agire su molteplici problemi e a potenziare le abilità sociali dell’individuo (Giller,Haggel; Rutter; 2000). Si utilizzano metodi focalizzati sull’azione pratica e basati sulla fiducia esulle relazioni tra gli operatori dei progetti di riabilitazione e i giovani delinquenti.

Due importanti elementi di supporto sono la terapia sociologica, che consente di lavorare,con metodologie attive e partecipative e cercando di dare un senso alla vita, su quei fattori cheincidono direttamente sul comportamento violento, e il coinvolgimento dei genitori nella riabi-litazione dei giovani delinquenti (Patterson, 1992), ove le condizioni familiari lo permettano.

MODELLI DI GIUSTIZIA ALTERNATIVA

L’approccio punitivo tradizionale mira ad aumentare i costi dell’atto criminale. Tuttavia, nonesiste nessuna prova dell’impatto deterrente sui giovani delinquenti delle misure punitive sullarecidiva (Farrington, 1997). Inoltre, l’inflessibilità di queste misure impedisce di trattare il feno-meno in tutta la sua complessità. Di fronte a questa situazione sono stati messi in atto numero-si modelli alternativi di giustizia rivolta agli adolescenti, per evitare che i giovani entrino in con-tatto con il sistema giudiziario ordinario quando non sono ancora sufficientemente maturi, equindi impedire che questo contatto precoce provochi in loro effetti negativi.

In America Latina, il Modello Comunitario di Giustizia Alternativa che ha riscosso maggioresuccesso riunisce in sé diversi aspetti: la supervisione sui delinquenti, la partecipazione a unprogramma ricreativo e di lavoro, ma anche il sostegno per la risoluzione delle tensioni in ambi-to familiare, l’aspetto della riabilitazione e quello punitivo. L’efficacia di questo modello dipen-de dalla collaborazione con i genitori dei giovani, dall’esistenza di programmi di reinserimentosociale per la fase successiva al trattamento, e dall’attenzione verso i fattori di rischio specificidegli adolescenti. Anche in Europa sono stati condotti esperimenti simili, come ad esempio iprogetti chiamati “Youth offending teams” o le forme di giustizia locale in Gran Bretagna. Questeforme di giustizia si basano sulla collaborazione di vari servizi pubblici locali, e sull’accettazionedel principio che il servizio che si trova nella migliore posizione per offrire una risposta adegua-ta al caso si assume il compito di agire in nome dell’intera partnership (Marcus, 2004).

I programmi più promettenti sono ispirati al modello di Giustizia Riparatrice, che per-mette l’incontro tra il delinquente e la vittima e impone una riparazione diretta. Questo ap-proccio si basa principalmente sull’idea generale che può essere utile al giovane reo capiremeglio le conseguenze personali e sociali dei suoi atti criminali.

5.3. Giovani in conflitto con la legge e consumo di droga

In materia di delinquenza giovanile e abuso di stupefacenti, alcuni modelli si sono dimostra-ti particolarmente utili grazie ai buoni risultati ottenuti. Tra questi, un modello pionieristico èquello dei Tribunali della Droga. Si tratta di tribunali specializzati nella trattazione di casi civili o

145Documento 4. • Prevenzioni e giovani •

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penali che hanno a che vedere con il consumo problematico di alcool o stupefacenti. In alter-nativa alla pena detentiva, il giovane reo segue un iter curativo e di reinserimento. I tribunalidella droga coniugano la vigilanza sul sistema giudiziario con le capacità terapeutiche dei servi-zi antidroga, ma presuppongono l’esistenza di strutture di riabilitazione specializzate che pos-sano contare sul sostegno della comunità: una situazione che non sempre si verifica nella realtà.

5.4. Giovani, traffico di stupefacenti e quartieri a rischio

Tutte le strategie mirate a ridurre la vulnerabilità dei giovani nei quartieri marginali ne-cessitano di una prospettiva a lungo termine, che parta da una diagnosi adeguata dellarealtà e che consenta di comprendere il processo di penetrazione del traffico di stupefa-centi e la sua relazione con la comunità e con i giovani. Le reti del traffico di droga permea-no le relazioni sociali che sostengono la comunità e intaccano i rapporti di solidarietà in-terna. Il traffico di droga non trova terreno fertile indistintamente in tutti i quartieri poveri,ma attecchisce solo nei quartieri in cui si verificano due condizioni: il deterioramento deltessuto umano e urbano e la presenza di luoghi strategici (vicinanza di una via di comuni-cazione importante, facile accesso e tutela dell’anonimato della clientela) per lo smercio didroga a settori abbienti della società (Universidad A. Hurtado, 2004).

Pertanto, la ricerca di risposte deve comprendere un’analisi approfondita dei rapportitra la delinquenza, le reti del traffico di stupefacenti e il tessuto sociale e culturale del con-testo in cui esse si inseriscono. Ciò significa intendere il traffico di droga e le sue conse-guenze come un’espressione di violenza che spesso coesiste sia con una cultura diffusadell’aggressione nelle relazioni quotidiane, sia con un crescente livello di consumo di droganella società, le cui conseguenze sono più visibili in questi quartieri piuttosto che in altri.

Per fronteggiare una simile situazione, la strategia operativa deve essere globale e compren-dere soluzioni economiche, sociali e culturali. La prospettiva territoriale e la specificità sono prio-rità assolute: è infatti in ambito locale che devono essere elaborate le risposte. In questo senso, ilproblema di fondo è la necessità di mettere in atto il “disarmo fisico ma anche culturale della vio-lenza”, evitando di concentrarsi solo ed esclusivamente sul contrasto del traffico di stupefacenti.In altre parole, insieme all’indispensabile partecipazione delle forze dell’ordine (che devono ne-cessariamente coordinarsi con altre attività di prevenzione sociale), in questi casi è imprescindi-

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Gli ingredienti del successo negli interventi su giovani e droga

� La formazione professionale deve essere incentrata su mestieri di utilità pratica immediatae diretta per la vita quotidiana dei giovani e delle giovani partecipanti, nella consapevolezzache si tratta di percorsi di andata e ritorno, costellati di ostacoli da affrontare e superare;

� Occorre una formazione sociale in termini di valori e competenze necessarie nella vitadi tutti i giorni;

� All’addestramento deve affiancarsi una pratica lavorativa reale, che possa essere unafonte di reddito per i giovani e le giovani;

� Per un migliore esito di questi programmi è necessaria una forte empatia tra i giovanie gli istruttori, in modo che questi ultimi possano rappresentare un “punto di riferi-mento” sotto molti aspetti;

� Promuovere le forme di praticantato “da giovane a giovane”, sviluppare capacità di leader-ship, formare altri giovani che, a loro volta, svolgeranno un ruolo attivo nelle attività di for-mazione, e sostenere i processi di gruppo piuttosto che quelli individuali (UNICEF 2004).

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bile un’analisi collettiva dei valori e dei comportamenti che conducono alla violenza e che creanoun terreno “culturalmente” fertile per la nascita e successiva crescita del traffico di stupefacenti.Inoltre è fondamentale affrontare i problemi della violenza intrafamiliare, la violenza nelle scuole,le rapine, l’alcolismo, le piccole, onnipresenti “mafie” locali, i clientelismi di potere, ma anche laviolenza istituzionale nei confronti di questi quartieri e la loro perenne discriminazione.

6. LA VIOLENZA NELLE SCUOLE

L’analisi delle esperienze più promettenti della regione in materia di prevenzione dellaviolenza scolastica dimostra che i migliori risultati si ottengono in presenza delle se-

guenti condizioni: i giovani e le comunità si “appropriano” degli istituti scolastici (li sento-no come propri) e li difendono invece di attaccarli; le scuole diventano “amichevoli”, gene-rando sinergie che incentivano il ritorno di coloro che hanno smesso di frequentarle; ven-gono offerti strumenti di “educazione alla vita” e si creano intensi rapporti di “empatia” trai soggetti coinvolti nel processo educativo.

Inoltre, l’esperienza insegna che il primo passo da compiere per limitare la violenza negliistituti di istruzione è la rivalutazione del loro ruolo di socializzazione e di principale soggettoattivo per l’integrazione dei giovani a rischio. “Per le sue capacità di regolamentare l’interazio-ne tra pari, la scuola è il migliore contesto per la prevenzione della delinquenza nell’adole-scenza” (Cusson, 2002). In questo senso hanno avuto successo i modelli di scuola efficace,caratterizzati principalmente dalla coesione e dalla solidarietà di un gruppo di educatori so-stenuto da una leadership forte e motivante. Questo gruppo deve possedere le competenze eil dinamismo necessari per risolvere i problemi man mano che emergono, per identificarli, ana-lizzarli, individuare soluzioni appropriate e mobilitare le energie richieste. Oltre a ciò, l’inseri-mento nei programmi formativi tradizionali di alcuni meccanismi di risoluzione pacifica deiconflitti attraverso metodi all’avanguardia come la mediazione è utile per educare i giovani, di-mostrando loro che esistono strumenti alternativi alla violenza per risolvere le controversie.

PORRE L’ACCENTO SULLA SCUOLA

Questo modello di intervento mira a migliorare l’organizzazione interna della scuola mediantela creazione e l’applicazione di norme condivise, attuate in maniera omogenea ed elaborate insie-me alla comunità scolastica. Per dare legittimità alle norme spesso è necessario attraversare unafase di creazione comunitaria delle norme stesse, all’interno della scuola, insieme ai genitori e aglialunni. Anche per questo è necessaria una formazione specifica degli insegnanti per affrontare laviolenza: non è sufficiente avere un corpo docente competente nelle rispettive materie di inse-gnamento, occorre un addestramento specifico su come reagire di fronte a casi di violenza ricor-rente o grave. Un’altra linea operativa all’interno degli istituti di istruzione è la prevenzione situa-zionale, all’interno della quale emerge l’importanza dell’equilibrio della composizione delle classidi alunni. Il fattore principale è sempre costituito dal numero di alunni per classe.

PORRE L’ACCENTO SUGLI ALUNNI A RISCHIO

Un secondo modello di intervento si concentra sugli alunni a rischio attraverso il monitoraggioe l’analisi delle loro condizioni sociali e psicologiche. In questo contesto è possibile individuare

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programmi educativi rivolti ai genitori, con interventi a domicilio volti ad insegnare ai genitori agestire le varie situazioni, interventi per sviluppare le attitudini dei bambini e programmi di ar-ricchimento intellettuale precoce. Esistono inoltre programmi che si concentrano su questo ti-po di alunni, ma che prevedono azioni realizzate in gruppo e l’offerta di un curriculum accade-mico valido. L’adozione di metodi pedagogici appropriati, insieme a una gestione strategicadelle classi e al coinvolgimento di personale assistente di sostegno, può dare ottimi risultati.

PORRE L’ACCENTO SULLA COPRODUZIONE CON L’AMBIENTE CIRCOSTANTE

Esistono infine programmi rivolti all’ambiente che gravita attorno alla scuola, e che insisto-no su diversi aspetti:

� La percezione della scuola come parte della comunità, e l’invito ai residenti a parte-cipare alle attività della scuola;

� La creazione di relazioni con il settore privato e i professionisti locali;� L’importanza del clima all’interno delle scuole, senza che questo aspetto sia limitato

unicamente alla sicurezza fisica;� L’adozione di un modello di coalizione (partnership) per la soluzione dei problemi; � L’applicazione di strategie multi-settoriali, partendo dal presupposto che un inter-

vento è più efficace se affronta tutti i fattori di rischio (Shaw, M. 2001).

Le scuole “alternative” rappresentano un elemento di supporto nei quartieri più emarginatio “vulnerabili”. Oltre a classi speciali all’interno delle scuole, esistono scuole o istituti diistruzione alternativi che, per gli alunni a rischio e le loro famiglie, rappresentano spazi diaccesso a una serie di servizi: in questo modo, la scuola diventa l’elemento di coordina-mento di tutte le partnership create a livello locale. Parallelamente, per quanto concerne ilcontrollo sulla diffusione delle armi nelle scuole, esistono strategie operative basate sullacoproduzione della sicurezza invece che sull’azione esclusiva delle forze dell’ordine. Questestrategie coinvolgono la comunità (e anche la polizia locale) in tutto il quartiere, e possonodavvero cambiare i comportamenti delle persone. Il possesso di armi non è un problemadella scuola, è soprattutto un problema dell’ambiente, e come tale deve essere trattato.

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Conclusioni

Juan Carlos Ruiz e Franz Vanderschueren

Università Alberto HurtadoSantiago - Cile

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1. INTRODUZIONE

I risultati dei seminari, dei dibattiti e dei sondaggi dimostrano che, nelle diverse cittàdi entrambi i continenti rappresentate in questo progetto, è unanimemente ricono-sciuta l’importanza della formazione per rafforzare le attività in materia di sicurezza

urbana. Si tratta di un dato significativo per le città che, negli ultimi dieci anni, hanno otte-nuto maggiori successi sul fronte della sicurezza in America Latina, come ad esempio Bogo-tà, Diadema o Rosario, ma lo è anche per un’istituzione di grande esperienza come il ForumEuropeo per la Sicurezza Urbana (FESU), che, anche dopo diversi anni di successi nell’am-bito della prevenzione e della lotta alla criminalità, riconosce la formazione come necessitàpermanente dei soggetti responsabili della sicurezza locale. Circa questo aspetto non vi so-no divergenze tra le varie città, anzi: i risultati delle ricerche condotte in entrambe le regio-ni del progetto insistono proprio sull’importanza della formazione continua. Puntare su untipo di formazione che abiliti al lavoro diretto sul campo sembra una strategia fondamenta-le sia per formare coproduttori della sicurezza competenti, sia per creare una “massa criti-ca” sulla questione della sicurezza all’interno delle varie città.

I sondaggi e le ricerche testimoniano che oggi esiste un’ampia offerta didattica, prevalen-temente universitaria, sulla questione che in America Latina è definita “seguridad ciudadana”e in Europa “sicurezza urbana”. Questa offerta formativa negli ultimi anni si è molto sviluppata,con la nascita di corsi e percorsi accademici postlaurea in entrambi i continenti. Si tratta di untipo di formazione che prende spunto dalla riflessione e dall’analisi accademica sul modo diaffrontare la questione sicurezza in una prospettiva di coproduzione, in cui i soggetti principa-li sono le comunità, il sistema della giustizia penale e i sistemi di sicurezza privati. Sebbenequesto tipo di formazione offra strumenti validi sia per i soggetti pubblici che per quelli priva-ti coinvolti nella coproduzione della sicurezza sul campo, ad esempio i coordinatori comunaliper la sicurezza, ma anche i dipendenti pubblici e il personale accademico, si tratta comunquedi una formazione caratterizzata da un approccio più teorico che pratico, che generalmentenon consente di acquisire strumenti e prospettive immediatamente applicabili nell’azionequotidiana. La formazione accademica non deve necessariamente essere pensata in funzionedi profili professionali specifici, perché mira all’acquisizione di competenze culturali e non al-l’azione quotidiana. Nonostante l’indubbia utilità dell’approccio accademico, che contribui-sce a comprendere meglio i fenomeni dell’insicurezza e della prevenzione, una formazione diquesto tipo non appare come imprescindibile per il buon esito di un programma di coprodu-zione della sicurezza a livello locale. Infatti, i soggetti quotidianamente impegnati nelle attivitàdi coproduzione della sicurezza richiedono prevalentemente una formazione pratica.

Questa richiesta di formazione assume forme diverse a seconda dei profili dei vari attori chesi occupano di sicurezza, che vanno dai poliziotti tradizionali agli operatori di strada intesi intutte le diverse espressioni, passando per la polizia locale o di quartiere, i coordinatori munici-pali per la sicurezza, gli assessori comunali, i sindaci, i mediatori, i formatori dei mediatori e glioperatori che sostengono le popolazioni o i settori sociali maggiormente vulnerabili. Più chechiedere un insieme di contenuti specifici per ciascuno dei profili in questione, prevale, in lineagenerale, la necessità di una formazione che abbracci due aspetti: il primo riguarda gli elementifondamentali della sicurezza da un punto di vista etico e sociale, a prescindere dal profilo pro-fessionale di coloro che se ne occupano; il secondo è quello che concerne l’ambito gestionale,aspetto che interessa soprattutto i “manager” della sicurezza, per lo più coordinatori territorialiper la sicurezza, ma che riguarda da vicino tutti i soggetti coinvolti.

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2. GLI “ASSI” ETICI E SOCIALI DELLA FORMAZIONE

I l concetto di “assi” della sicurezza fa riferimento innanzitutto ai presupposti etici dellavoro in materia di sicurezza, in particolare ai diritti umani in senso ampio, includendo

anche i diritti umani di seconda generazione che rappresentano un aspetto fondamentaledi ogni attività di coproduzione della sicurezza.

Un secondo presupposto fondamentale è quello della politica di genere, che impone diguardare attraverso la lente della prospettiva di genere tutti i programmi di sicurezza, e diaffrontare la prevenzione contro la violenza intrafamiliare allo stesso modo in cui si affron-ta la prevenzione dei reati comuni contro la proprietà.

Il terzo asse riguarda la prevenzione, e in particolare la prevenzione sociale, che viene vi-sta come una dimensione fondamentale, un’esigenza di coesione sociale ma anche una po-litica sostenibile. In particolare, questa dimensione è fondamentale per combattere la ten-tazione di ricorrere in via esclusiva alla prevenzione situazionale o all’azione di controllo erepressione, oppure al rafforzamento dei sistemi di sicurezza privati.

La formazione o la qualificazione dei vari coproduttori della sicurezza o dei servizi che colla-borano con tali soggetti non può permettersi di prescindere da nessuno di questi tre aspetti.

È inoltre necessario che questi assi vengano tradotti in pratica concreta, soprattutto difronte ai gruppi obiettivo ai quali è destinata l’azione di coproduzione della sicurezza.

L’ASSE ETICO E LA PREVENZIONE RIVOLTA AI GIOVANI

In primo luogo è importante occuparsi della prevenzione rivolta ai giovani “a rischio”,che rappresentano il principale gruppo obiettivo dell’azione di prevenzione nelle comunitàurbane preoccupate per la questione della sicurezza. Osservando la situazione dalla pro-spettiva dei diritti umani, i giovani a rischio sono quelli che si trovano ad affrontare fattoriche potrebbero compromettere lo sviluppo del loro ciclo vitale e della loro evoluzione psi-cosociale: si tratta di fattori come, ad esempio, il coinvolgimento in comportamenti antiso-ciali, la violenza o la delinquenza, che si verificano a causa della presenza di diversi circuiti arischio. I comportamenti a rischio adottati dai giovani sono quelli che compromettono de-terminati aspetti del loro sviluppo psicosociale o addirittura la sopravvivenza della personagiovane. Tali comportamenti subiscono l’influenza di svariati fattori presenti nella società enell’ambiente che circonda il giovane (famiglia, scuola, gruppo dei pari, quartiere).

Attraverso le attività di formazione, i soggetti che si occupano di prevenzione devonoapprendere a considerare il rischio da una prospettiva che non sia adultocentrica, e ad in-terpretare l’impatto dei comportamenti a rischio o delle situazioni di rischio sullo sviluppopsicosociale dei giovani nella fase specifica del ciclo vitale che questi stanno vivendo. Èfondamentale differenziare le attività di prevenzione rivolte ai bambini (prevenzione preco-ce) da quelle rivolte agli adolescenti o ai giovani adulti, perché queste età sono caratteriz-zate da tratti specifici che occorre tenere presenti. L’attività formativa deve insegnare aconsiderare l’impatto dei fattori causali di rischio sulla vita individuale di ciascun giovane,ma allo stesso tempo a riconoscere l’influenza dei circuiti a rischio creati dalla società. Infi-ne, la formazione deve fornire gli strumenti per valutare il diverso impatto del rischio a se-conda delle condizioni sociali di ciascun gruppo, con la consapevolezza che i rischi fanno

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sentire maggiormente i loro effetti su coloro che vivono in condizioni socioeconomichesvantaggiate. Queste prospettive consentono di evitare di cadere nell’errore piuttosto dif-fuso di concepire i giovani come un soggetto unico facendo di tutta l’erba un fascio: un at-teggiamento che porta rapidamente alla stigmatizzazione dell’intero “blocco”.

Un altro aspetto fondamentale, confermato dall’esperienza positiva di molte città che han-no messo in atto progetti di prevenzione, è che la partecipazione dei giovani costituisce unagaranzia del successo dei programmi ad essi rivolti. Per ottenere questo obiettivo, una strate-gia promettente sembra essere l’articolazione dell’attività di prevenzione intorno al concettodi capitale sociale. Ciò implica riconoscere la piena cittadinanza dei giovani, evitando di consi-derarli semplicemente un gruppo a rischio. Infine, è necessario che le attività di formazione in-segnino a comprendere le potenzialità e le capacità dei giovani stessi in ambito culturale e so-cioeconomico, ma anche di controllo e di educazione alla pace e alla non violenza.

Un approccio che tenda a valorizzare il capitale sociale giovanile consente di dare un’inter-pretazione positiva delle manifestazioni culturali proprie delle giovani generazioni e, in ultimaanalisi, di affrontare il tema della violenza giovanile rispettando, comunque, i diritti dei giovani.Attraverso i programmi di formazione, i soggetti preposti alla sicurezza devono apprendere adecodificare le espressioni culturali giovanili in quanto, appunto, espressioni e spazi culturali,sociali e a volte spirituali caratteristici dei giovani. Parallelamente, la conoscenza e l’uso deisupporti audiovisivi che i giovani utilizzano come mezzi di apprendimento è un ingrediente es-senziale dei programmi formativi rivolti agli educatori coproduttori della sicurezza.

I coproduttori della sicurezza devono essere in grado di lavorare con docenti, forze dell’ordi-ne, giudici, dipendenti pubblici, enti locali e responsabili della politica locale, per fargli compren-dere e per analizzare insieme a loro le potenzialità dei giovani, e per intervenire di conseguenza.

Un altro requisito di formazione in questo senso è lo sviluppo delle capacità di risolu-zione dei conflitti intergenerazionali. Imparare a riconoscere le potenziali linee di lavoro cheagevolano la collaborazione intergenerazionale è fondamentale per l’integrazione socialedei giovani e per incoraggiare gli adulti ad abbandonare progressivamente il loro atteggia-mento di rifiuto.

ASSE ETICO E GENERE

Le donne, intese come gruppo demografico, sono più vulnerabili degli uomini in terminidi sicurezza, e non soltanto per la possibilità di subire aggressioni in luoghi pubblici o permano di uno sconosciuto. A queste forme di violenza infatti occorre aggiungere gli abusi ela violenza di genere, ossia l’esercizio asimmetrico del potere e il senso di insicurezza dovu-ti solo al fatto di essere donna. Questa situazione comprende un insieme di prassi che van-no dalla violenza verbale all’omicidio.

Dal punto di vista dei diritti umani è necessario proteggere e rendere reale il diritto allavita, alla sicurezza e all’integrità in maniera esplicita, a partire dall’ambito domestico. Que-sta prospettiva impone di affrontare con urgenza il problema della violenza di genere, per-ché attualmente è impossibile immaginare la democrazia o la pace senza risolvere le que-stioni legate alla disuguaglianza e all’oppressione, a qualsiasi livello esse si riscontrino.

Le diverse tipologie di professionisti della sicurezza devono pertanto ricevere una for-

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mazione etica che tenga conto della prospettiva di genere. Il manager o coordinatore ge-nerale per la sicurezza deve apprendere ad utilizzare una prospettiva di genere nell’analisidella sicurezza locale, ma anche a considerare i molteplici aspetti della violenza di genere.Per ottenere questo obiettivo occorre fare in modo che la violenza di genere venga perce-pita come un fattore di rischio e una potenziale fonte di reati. Inoltre, è necessario che laviolenza di genere sia considerata una violazione del diritto alla sicurezza e allo sviluppopersonale delle donne che la subiscono. In questo senso sembra opportuno fornire ai sog-getti deputati alla prevenzione e ai “manager” della sicurezza, anche mediante esercitazionipratiche, competenze di pianificazione per politiche in grado di rispecchiare la diversa con-cezione e la diversa percezione della sicurezza che hanno le donne rispetto agli uomini, maanche competenze in fatto di politiche di prevenzione che non ignorino le molteplici formeculturalmente legittimate di famiglia. Infine occorre contestualizzare questo tipo di forma-zione in modo da poter analizzare gli ostacoli culturali locali alla parità di genere.

Un secondo aspetto su cui è opportuno che i responsabili della sicurezza (e in partico-lare i coordinatori locali) acquisiscano un’adeguata formazione è la partecipazione delledonne, e specialmente delle vittime della violenza di genere, all’elaborazione delle politicheriferite a questo aspetto della sicurezza. È necessario rendere più accessibili i processi divalutazione delle politiche, per apportare modifiche che consentano alle persone che subi-scono questo tipo di violenza di avere più voce in capitolo. Anche in questo senso è neces-sario delineare un tipo di formazione che fornisca le adeguate competenze in fatto di assi-stenza alle vittime della violenza, per evitare che le donne subiscano un’ulteriore forma diviolenza nel momento in cui si rivolgono alle istituzioni pubbliche per chiedere aiuto. Unatteggiamento di rispetto e di fiducia delle istituzioni pubbliche nei confronti delle donneche vi ricorrono può generare processi di accoglienza più efficaci.

Per quanto riguarda i responsabili della prevenzione, è necessario sensibilizzarli sullaviolenza di genere: per fare questo occorre innanzitutto comprendere e prevenire la violen-za di genere, partendo da una prospettiva che tenga conto delle cause socioculturali e psi-cologiche di questo fenomeno. Inoltre occorre fornire agli educatori una serie di modelliche prevedano le conseguenze della violenza all’interno delle strategie di prevenzione, nonsolo per le donne che la subiscono, ma anche per le vittime indirette, ad esempio i figli.

In secondo luogo, la formazione deve incentrarsi su un’analisi critica dei ruoli sociocultura-li attribuiti a ciascun genere in ogni società, e proporre un cambiamento culturale che consen-ta di abbandonare le prassi lesive dei diritti della donna per passare a comportamenti basatisul rispetto dell’individualità, a prescindere dal genere delle persone. Come sostiene Cabezas(2006), “Le norme culturali e le aspettative circa i comportamenti delle donne e degli uomini deter-minano la nascita di miti che perpetuano la violenza e negano l’assistenza alle vittime”.

ASSE ETICO, PENE ALTERNATIVE E REINSERIMENTO DI EX DETENUTI

Le prassi di prevenzione, soprattutto terziarie, subiscono una lenta evoluzione nei co-muni e nei paesi che da anni hanno adottato prospettive coerenti di prevenzione. Di fatto sipassa da un sistema della giustizia penale (polizia, giustizia e carceri) tradizionalmenteconcepito come l’unica o la principale modalità sanzionatoria a forme alternative di pena,ad una pluralità di processi preventivi di mediazione (dalla mediazione nelle scuole a quellanei quartieri o territoriale passando per la mediazione familiare e nei conflitti aziendali) e al

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concetto di giustizia riparatrice. In altre parole, si crea progressivamente un insieme diprassi per valorizzare le vittime (attraverso la riparazione), i soggetti (attraverso la media-zione) e anche gli attori (attraverso pene alternative). Sebbene ancora in nuce, queste pras-si si sono rivelate una sorprendente fonte di proposte creative e, laddove si sono consoli-date, hanno dato ottimi risultati.

I soggetti che si occupano di sicurezza e soprattutto i coordinatori comunali devono ri-cevere un’adeguata formazione in materia. Senza la pretesa di essere specialisti, devonocomunque essere consapevoli del potenziale di queste prassi così come della necessità diun’opportuna preparazione e del sostegno della comunità, elementi fondamentali per po-ter agire. La formazione in questo campo avviene soprattutto grazie ai contatti e agli scam-bi con altre esperienze nazionali e internazionali, e successivamente adattando tali espe-rienze al contesto locale. L’obiettivo di questo tipo di formazione consiste nell’agevolare ildialogo tra coloro che si occupano di prevenzione e gli agenti afferenti al sistema giudizia-rio penale.

3. FORMAZIONE IN AMBITO GESTIONALE

DALLA MULTICAUSALITÀ ALL’APPROCCIO INTEGRATO

In materia di gestione dell’azione preventiva, attraverso l’attività formativa i soggetti de-putati alla prevenzione devono apprendere a riconoscere la multicausalità nel proprio con-testo locale, ossia a riconoscere le molteplici cause dei comportamenti antisociali o a ri-schio, e la loro relazione con il contesto locale. Ciò consentirebbe di affrontare questiaspetti eterogenei con un approccio integrato a livello locale, superando le prospettive chesi concentrano su un solo fattore (la famiglia, la scuola..) e che rischiano di dare vita a in-terventi troppo limitati rispetto alla complessità del fenomeno.

Una formazione improntata ad una prospettiva di multicausalità deve tendere a:� sviluppare un approccio multidisciplinare e sistematico per la sicurezza cittadina;� sviluppare una prospettiva integrato e cooperativa per affrontare questo tema;� delineare e rendere operativa la figura del “manager della sicurezza urbana”.

APPROCCIO URBANO

L’approccio urbano pone l’accento sull’importanza di vincolare le politiche di preven-zione alla totalità delle politiche urbane in atto nelle città, diverse a seconda dei luoghi edelle circostanze.

“La città” deve essere l’oggetto di un modulo che offra una lettura multidisciplinare delfenomeno urbano e della sua crisi, inserendo la città nella sua dimensione storica, cultura-le, politica ed economica.

Attraverso le attività di formazione, i responsabili della sicurezza e i soggetti che si occu-pano di prevenzione in generale devono apprendere ad elaborare progetti e programmi diprevenzione collegandoli al contesto urbano specifico e agli altri servizi urbani erogati inciascuna città. In questo senso, i soggetti preposti alla sicurezza a qualsiasi livello sono so-prattutto fornitori di servizi urbani e di politiche di integrazione sociale urbana.

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Un approccio urbano consente inoltre di identificare, consolidare e rafforzare gli attori lo-cali, che dovrebbero prendere parte al processo di coproduzione della sicurezza mediante at-tività intersettoriali che coinvolgano i servizi pubblici e privati, la società civile e le comunità.

Una delle questioni principali da affrontare in un approccio urbano è l’individuazione, laprotezione e lo sviluppo di spazi urbani per i diversi segmenti sociali (giovani, bambini, donne,anziani, immigrati, spazi comuni, eccetera). Questo approccio, inoltre, impone di non ignorarei “bambini e giovani di strada”, che lavorano o vivono in strada e la cosiddetta popolazione er-rante, stagionale o permanente, che utilizza i servizi urbani soltanto in maniera sporadica.

PARTECIPAZIONE DELLA COLLETTIVITÀ LOCALE

All’atto pratico, la costruzione della sicurezza nelle città richiede una maggiore attenzio-ne verso la comunità. “La collettività è al centro di tutte le azioni efficaci di prevenzione del-la criminalità. ... Il successo dei progetti di prevenzione del crimine per mezzo dello svilup-po sociale si basa sulla partecipazione attiva di tutti i partner all’elaborazione, esecuzione evalutazione dei progetti stessi” (Marcus, 2004).

Questo obiettivo deve essere inserito nei programmi di formazione rivolti ai coprodut-tori della sicurezza, e richiede una serie di competenze di gestione partecipativa applicabi-li a diversi tipi di comunità.

DALLA DIAGNOSI ALL’OSSERVATORIO

Una delle maggiori difficoltà per chi si occupa di sicurezza sta nell’avere una visionechiara di ciò che succede realmente. Non è facile ottenere dati affidabili sulla delinquenzareale, né discernere la percezione di insicurezza dalla vittimizzazione oggettiva. Una dellecaratteristiche del lavoro dei tecnici della sicurezza è la gestione di questi due aspetti, lapercezione e la realtà, entrambi difficilmente quantificabili e in continua evoluzione.

È per questi motivi che si ricorre a diverse metodologie di diagnosi: diagnosi partecipati-va a livello locale, consulenza, sondaggi sulla vittimizzazione e studi longitudinali. L’aspettopiù importante della formazione dei tecnici che si occupano di sicurezza è la capacità di do-minare alla perfezione gli elementi basilari di questo lavoro: sapere come realizzare una dia-gnosi, e quale sia il tipo di diagnosi più appropriato. Conoscere e sapere applicare le variemetodologie di diagnosi a realtà diverse come un quartiere in crisi, un comune dalla popola-zione eterogenea, un gruppo umano particolarmente a rischio, un intenso fenomeno dispaccio di droga, oppure a situazioni caratterizzate dalla delinquenza giovanile o dalla vio-lenza intrafamiliare è parte integrante del bagaglio di competenze dei tecnici della sicurezza.

Il lavoro di diagnosi non può mai dirsi definitivamente concluso: deve essere periodica-mente aggiornato. A questo scopo, diverse città particolarmente grandi o dinamiche hannocreato appositi Osservatori che rappresentano un modo di istituzionalizzare le diagnosi ope-rative. Tali Osservatori facilitano l’elaborazione dei dati e consentono di adattarli al contestolocale sulla base delle esigenze dell’amministrazione politica della città, dei tecnici che si oc-cupano di sicurezza e delle richieste della popolazione stessa. Gli Osservatori si pongonol’obiettivo di conoscere la realtà sociale inerente alla questione della sicurezza. In questo sen-so il tecnico della sicurezza, esattamente come la popolazione, deve poter fare affidamento su

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Osservatori rigorosi o su diagnosi aggiornate. Parte della formazione continua passa per l’uti-lizzo di questi strumenti. Disporre di un Osservatorio semplifica considerevolmente il lavoro,non solo perché grazie ad esso è possibile aggiornare costantemente i dati relativi alla realtàsociale, ma anche perché un Osservatorio consente di effettuare confronti che vanno oltrel’ambito cittadino o statale e che offrono parametri di misurazione estremamente utili.

I CONTENUTI SPECIFICI DELLA FORMAZIONE IN AMBITO GESTIONALE

Oltre alle conoscenze di base relative agli approcci precedentemente citati, per lavorarenell’ambito della sicurezza sono necessarie abilità professionali legate allo specifico settoredi intervento, ma anche competenze trasversali alle diverse aree coinvolte: capacità di ge-stione, attitudine alla mediazione e capacità di risoluzione dei conflitti.

Il coordinatore per la sicurezza non deve necessariamente essere in possesso di un tito-lo accademico specifico, ma di una formazione multidisciplinare molto vasta, e deve saperegestire perfettamente la cosa pubblica. Per questa figura professionale sono indispensabilialcune competenze di carattere generale:

� saper valutare gli interventi e le politiche sociali� essere in grado di elaborare e attuare progetti complessi� possedere conoscenze di base in materia di prevenzione situazionale� conoscere tecniche di prevenzione della criminalità, reinserimento di ex detenuti,

prevenzione della violenza intrafamiliare, prevenzione della delinquenza giovanile� possedere conoscenze in materia di gestione degli spazi urbani

Oltre a possedere competenze di carattere generale, chi si occupa di sicurezza deve es-sere in grado di metterle in relazione e applicarle ad un determinato contesto. Tali abilità direlazione e contestualizzazione devono essere costantemente aggiornate in una prospetti-va di formazione continua degli addetti alla sicurezza.

Sono inoltre necessarie competenze tecniche e capacità di intervento, vale a dire, bisognasapere risolvere autonomamente situazioni a volte impreviste o conflittuali. Le attività formati-ve, pertanto, devono insegnare a gestire la complessità organizzativa e amministrativa, una ca-ratteristica tipica delle politiche di sicurezza a causa della multicausalità e dell’intersettorialitàdei soggetti e delle istituzioni coinvolte. In effetti, le politiche di sicurezza spesso toccanoaspetti attinenti ad altre politiche, ad esempio le politiche sociali, urbane o di controllo, e in-vadono il campo di una molteplicità di istituzioni che non si occupano esclusivamente di sicu-rezza. D’altra parte, la dimensione intersettoriale è spesso inquadrata in confini istituzionali li-mitanti che definiscono le competenze di ciascuno dei soggetti coinvolti. In questo senso, laspecificità dei “tecnici” della sicurezza consiste nell’essere in grado di sviluppare politiche dicoordinamento e di intervento che vadano oltre la semplice somma delle parti; ciò implical’adozione di prassi operative in contrasto con la settorializzazione delle competenze e delleprofessionalità interne ed esterne all’amministrazione locale. L’integrazione si definisce so-stanzialmente come la capacità di uscire dal proprio ambito individuale e riflettere sul signifi-cato delle rispettive prassi in relazione a obiettivi comuni e trasversali.

Il lavoro del “tecnico” della sicurezza consiste quindi nel saper integrare in maniera efficacela dimensione sicurezza in un quadro più ampio di politiche e interventi realizzati dagli enti lo-

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cali, e nell’essere in grado mettere in relazione il tema sicurezza con altre le istituzioni e con icittadini. Ciò implica sapere armonizzare un approccio integrale con l’efficacia, agevolare laflessibilità che consente di adattarsi al contesto locale e disporre di un quadro formativo suf-ficientemente ampio (“generalista”), senza mirare ad una specializzazione eccessiva.

LA PROSPETTIVA DELLA GOVERNABILITÀ

Una prospettiva fondamentale nella gestione della sicurezza urbana è il rapporto tra lasicurezza, le decisioni politiche e la guida politica in termini di governance (Velásquez,2006). È con la trattativa, l’intersettorialità e le partnership tra soggetti pubblici e privatiche la gestione della sicurezza può superare la prova del tempo. Pertanto, i programmi diformazione destinati ai diversi soggetti che si occupano di sicurezza devono annoverarecompetenze in materia di negoziazione, coordinamento, impegno e creazione di partner-ship volte all’elaborazione e attuazione delle politiche di sicurezza.

La prospettiva della governabilità e della governance pone l’accento sulla trattativa, ildialogo e la cooperazione necessari per elaborare le politiche attuate, e non sulle decisionitecniche o sui risultati specifici di tali politiche in termini di enfasi sulla prevenzione o sulcontrollo. Affinché i processi di governance siano efficaci è necessario che i soggetti pre-posti alla sicurezza ricevano un’adeguata formazione circa i seguenti cinque aspetti: (1) laConflittualità; (2) i Soggetti strategici; (3) gli Spazi di relazione; (4) le Regole che governa-no l’interazione tra i diversi Soggetti, e (5) le Dinamiche che determinano la Conflittualità.

La Conflittualità fa riferimento alle situazioni soggettive e oggettive che sono fonte diconflitti sulla gestione della sicurezza. Pertanto, è necessario erogare programmi di forma-zione che contemplino tali situazioni. Tra le condizioni oggettive è possibile individuare, adesempio, gli interessi dei diversi soggetti, il grado di conoscenza reciproca o la capacità dimodificare le circostanze del dibattito. Tra le condizioni soggettive menzioniamo: la perce-zione dell’“altro” come avversario, la percezione degli altri e delle loro azioni come minacceal proprio interesse, la percezione degli oggetti comuni come indivisibili o ad accessoescludente, eccetera. In definitiva è necessario fornire strumenti tecnici che consentano distabilire quali conflitti devono essere risolti durante il processo di pianificazione e imple-mentazione di politiche di sicurezza a livello locale.

Per quanto concerne i Soggetti strategici, occorrono strumenti che permettano di distin-guere in quale misura ciascuno di essi è strategico all’interno del processo decisionale. In que-sto senso è necessario insegnare ai professionisti della sicurezza ad adottare modalità opera-tive di rete, e fornire loro competenze relative ai poteri economici, politici e simbolici che po-trebbero agevolare o, al contrario, ostacolare l’applicazione delle politiche di sicurezza.

L’aspetto degli Spazi di relazione fa riferimento ai contesti in cui ognuno dei vari Sog-getti strategici opera: aree specifiche come un comune o una città, oppure ambiti in cui siconcretizza il potere decisionale, come ministeri, consigli o commissioni. È all’interno diquesti spazi di relazione che la conflittualità determina il tipo di trattative o di mediazioniche avverranno, o le regole che verranno fissate, pertanto è necessario che gli attori coin-volti apprendano a elaborare una pianificazione strategica.

Le Regole che reggono le relazioni tra i diversi Soggetti nascono all’interno dei contesticoncreti in cui vengono discusse le politiche di sicurezza, e costituiscono un quadro di rife-

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rimento generale per la gestione e l’azione in materia di sicurezza. Tali regole possono es-sere di natura formale (normative, leggi) o informale (accordi), procedurale o strutturale,per citare solo qualche esempio, e sono l’asse centrale di una buona governance: maggioreè il grado di accettazione e di legittimità delle regole, migliori saranno il dialogo e la coope-razione durante il processo di pianificazione e implementazione delle politiche di sicurezza.

Infine, le Dinamiche che determinano la Conflittualità si riferiscono ai diversi modi eprocessi secondo cui i soggetti si relazionano tra loro, e alla variabilità di questi modi eprocessi nel tempo. Si riferiscono inoltre alla dimensione storica della governabilità, una di-mensione non necessariamente lineare che può attraversare fasi successive di stallo, tratta-tiva, adattamento e accordo; pertanto è necessario che, attraverso la formazione, i sogget-ti coinvolti sviluppino abilità di trattativa e competenze circa le varie forme di trattativa.

Sulla base di quanto appena illustrato, la governance della sicurezza si riferisce in ultimaanalisi ai dispositivi di trattativa e cooperazione tra i diversi soggetti e gli “stakeholder” coin-volti, allo scopo di agevolare e indirizzare i processi collettivi che stabiliscono come prenderele decisioni e come applicare le politiche di sicurezza in una determinata città o società. Se-condo l’opinione di Velásquez (2006), tali processi devono progredire in tre ambiti:

� sviluppare l’accesso alla governabilità locale, in altre parole, insegnare ai soggettidella società civile quali sono le varie modalità di accesso alle risorse finanziarie e al-le competenze in materia di sicurezza;

� sviluppare il capitale normativo, sensibilizzando da una parte i cittadini alla parteci-pazione attiva e, dall’altra, la comunità e i responsabili della sicurezza a rendere con-to delle politiche di sicurezza;

� rafforzare il ruolo dei governi locali nelle politiche di sicurezza, concentrandosi sul-l’importanza della prevenzione e della pianificazione di interventi a livello comunale.

RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Il presente lavoro, frutto di una partnership tra città europee e latinoamericane sostenu-ta da diverse istituzioni, si è incentrato sulla formazione. Inizialmente si pensava di riuscirea delineare nei dettagli un percorso formativo unico e comune; tuttavia, l’esperienza deipartner stessi e delle città intervistate, insieme all’apporto di diverse associazioni tra cui ilFESU, ha portato alla conclusione che i profili “tecnici” a cui si rivolge la formazione in ma-teria di sicurezza sono molteplici ed eterogenei, e che anche la formazione, per rimanere le-gata al contesto in cui va applicata, deve necessariamente diversificarsi. Le attività di forma-zione presentano, tuttavia, alcuni tratti in comune: sono i cosiddetti assi portanti, che ri-spondono fondamentalmente a due prospettive, gli assi etici e la necessità di fornire com-petenze in ambito gestionale. Si è cercato di evidenziare in modo particolare i principi checonsentono a una città, un gruppo di città o un paese di progettare il tipo di formazionepiù adatto alle sue necessità e l’aggiornamento continuo di questa formazione. Tali principivengono illustrati nei vari testi nati dalle riflessioni dei partner del progetto.

In futuro sarebbe interessante applicare concretamente questi principi a uno o vari pro-grammi di formazione, partendo dalla risposta a due domande: 1) a quali professionistidella sicurezza si rivolge questa formazione? e 2) in quale contesto avviene tale formazio-ne? Si tratta di un esperimento che varrebbe la pena di realizzare in città caratterizzate daun percorso già progredito e di successo e in altre con minore esperienza in merito.

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Si ringrazia tutti coloro che hanno collaborato per la buona riuscita dell’opera.

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