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Contrordine compagni. Renzi riduce la flessibilità in entrata e mantiene l'articolo 18. peggio della Fornero.TRANSCRIPT
1 ottobre 2014 a cura di Renato Brunetta
i dossier www.freefoundation.com
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929 CONTRORDINE COMPAGNI. RENZI
RIDUCE LA FLESSIBILITÀ IN ENTRATA E
MANTIENE L’ARTICOLO 18.
PEGGIO DELLA FORNERO
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Sulla riforma del mercato del lavoro è evidente la marcia
indietro fatta dal presidente Renzi;
Con l’ordine del giorno approvato dalla direzione del Pd il 29
settembre, cioè con l’introduzione, rispetto al testo originario
della delega cosiddetta «Jobs act» in discussione al Senato,
della previsione del reintegro per i licenziamenti disciplinari,
siamo tornati alla legge Fornero;
Se a ciò si aggiunge l’ulteriore previsione del contratto di lavoro
unico, in sostituzione delle 47 categorie oggi esistenti, che riduce
la flessibilità in entrata nel mondo del lavoro, la normativa è
addirittura peggiorata rispetto alla legge Fornero.
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EXECUTIVE SUMMARY
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Contrordine compagni, quindi. Renzi cede alla minoranza del
Partito democratico:
riduce la flessibilità in entrata;
lascia invariato l’articolo 18.
Forza Italia era con Renzi quando affermava di voler superare
l’articolo 18, con la previsione, in caso di licenziamento senza
giusta causa e giustificato motivo, solo di un indennizzo, ma se
Renzi, per tenere insieme il suo partito, fa marcia indietro, Forza
Italia non potrà che votare contro e denunciare l’imbroglio.
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EXECUTIVE SUMMARY
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Il problema non è solo italiano, perché la riforma del mercato
del lavoro l’aveva chiesta la Banca centrale europea e l’aveva
chiesta la Commissione europea;
Che credibilità (e relativo giudizio dei mercati finanziari sul
nostro debito pubblico) pensa di avere Renzi, se da un lato non
fa le riforme necessarie al paese, e dall’altro, come abbiamo
visto con la Nota di aggiornamento al Def, porta i conti pubblici
italiani fuori dal sentiero concordato con l’Europa,?
Riportiamo nel seguito due analisi del prof. Giuliano Cazzola,
pubblicata sul Garantista, e del prof. Tito Boeri, pubblicata su
Repubblica.
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EXECUTIVE SUMMARY
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Secondo Giuliano Cazzola, l’idea di mercato del lavoro che si
può intravvedere tra le fumisterie dell’articolo 4 del disegno di
legge delega Poletti (AS 1428), ora in aula a Palazzo
Madama, non corrisponde, per tanti aspetti, al pensiero di
Marco Biagi, il quale non pensava affatto di introdurre, nella
legge che porta il suo nome, tipologie flessibili in entrata, allo
scopo di consentire ai datori di aggirare, in uscita, la trappola
dell’articolo 18.
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18. PEGGIO DELLA FORNERO
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Biagi riteneva (anche per contrastare il lavoro sommerso) che la
frammentazione esistente nella realtà del mercato del lavoro
potesse essere affrontata in modo adeguato e pertinente - e
utile alle imprese e ai lavoratori - solo attraverso la previsione
di una gamma di contratti specifici mirati a regolare le diversità
dei rapporti di lavoro, anziché imporre loro, per via legislativa,
una sorta di reductio ad unum nell’ambito di un contratto a
tempo indeterminato sia pure meno oppressivo e poliziesco per
quanto riguarda la tutela del licenziamento.
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Contratti atipici che consentirono, pur in contesto di modesta
crescita, di incrementare di 3,5 milioni di unità il numero degli
occupati e di dimezzare la disoccupazione.
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L’attuale scontro sul disegno di legge Poletti si svolge tra 2
sinistre:
1. quella conservatrice;
2. quella riformista.
Ma il terreno di gioco è lo stesso: l’idea, sempre più fuori dalla
realtà, che la figura centrale e prevalente del mercato del
lavoro debba essere quella del dipendente assunto a tempo
indeterminato.
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A sinistra, conservatori e riformisti, accettano tutti tale dogma. Si
dividono su quale sia il modo migliore per realizzare tale
obiettivo:
forzando la vita quotidiana dentro i loro schemi ideologici
come vogliono continuare a fare i conservatori;
o incoraggiando i datori di lavoro ad assumere a tempo
indeterminato con incentivi economici e tutele più sostenibili in
tema di recesso.
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Renzi si è presentato in direzione PD annunciando che la
reintegra non resterà solo nel caso di licenziamento nullo o
discriminatorio, ma anche in quello di recesso per ragioni
disciplinari (ovvero di licenziamento per giustificato motivo
soggettivo), che costituisce poi la vera questione da affrontare,
perché è in tale tipologia dove viene in causa la crisi, spesso
insanabile, del rapporto tra il datore e il suo dipendente.
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Se le parole hanno un senso, quali sarebbero allora le novità
rispetto a quanto già previsto dalla legge Fornero, che ha
introdotto una nuova procedura solo nella fattispecie di
licenziamento economico?
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Renzi vuole mantenere l’articolo 18, quindi la rigidità in uscita,
mentre si schiera con la peggiore sinistra sul versante delle
flessibilità in entrata.
Sarà proprio questa la novità: nessun cambiamento sostanziale
dell’articolo 18 a fronte di una selezione - questa sì ideologica
dei contratti atipici.
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Anche l’economista Tito Boeri, dalle colonne di Repubblica,
spiega il concetto in un articolo dal titolo inequivocabile:
«Cambiare tutto senza cambiare nulla»;
Se oggi un datore di lavoro volesse denunciare un proprio
dipendente, spiega Boeri, può addurre sia ragioni di natura
disciplinare (legate al comportamento del lavoratore) che
economica (legate alla performance dell’impresa).
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Se il giudice ritiene che queste motivazioni siano
infondate (si parla di «manifesta insussistenza» nel caso
di licenziamenti economici), può imporre la reintegrazione del
lavoratore.
Si vuole ora mantenere questa possibilità per i soli licenziamenti
disciplinari. Ma il confine fra licenziamenti economici e
licenziamenti disciplinari è molto sottile.
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I datori di lavoro avranno, nel caso in cui questa
modifica entrasse in vigore, l’incentivo a perseguire solo la
strada dei licenziamenti economici, anche nel caso di
comportamenti opportunistici di un proprio dipendente,
dato che, almeno sulla carta i licenziamenti economici
costano di meno dei licenziamenti disciplinari.
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Mentre un lavoratore licenziato per ragioni economiche potrà
sempre far valere davanti al giudice il fatto che l’azienda
volesse in realtà punirlo per il proprio comportamento.
In questo caso, anche se il difetto del lavoratore fosse
documentabile, ma l’impresa avesse altri modi di «punire» il
lavoratore senza licenziarlo (ad esempio cambiando gli orari di
lavoro), il giudice potrà imporre all’azienda il reintegro del
dipendente.
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Si tratta perciò di una modifica marginale, del tipo di quella
imposta dalla Legge Fornero con il principio della «manifesta
insussistenza», che viene peraltro in questo caso introdotta solo
per i nuovi assunti, mentre la legge Fornero cambiava le regole
per tutti i lavoratori.
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Per quanto il legislatore possa definire con precisione
i licenziamenti disciplinari («la qualificazione specifica della
fattispecie» cui fa riferimento il testo approvato dalla direzione
del Pd), con questa mediazione si crea una forte asimmetria fra
licenziamenti illegittimi di diversa natura, aprendo lo spazio al
contenzioso.
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Nei paesi Ocse, la norma è quella di trattare tutti i licenziamenti
illegittimi allo stesso modo, indipendentemente dalle ragioni
inizialmente addotte dalle imprese.
Da noi, invece, si mettono paradossalmente in una posizione di
vantaggio i lavoratori coinvolti in un procedimento disciplinare
rispetto a quelli coinvolti in una crisi aziendale di cui non hanno
colpa alcuna.
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Gli incentivi sono perversi: per aumentare la produttività
bisognerebbe proprio scoraggiare i comportamenti
opportunistici.
A chi oggi deve creare lavoro in Italia importano 2 cose:
vuole essere rassicurato sui tatto che un eventuale errore nella
selezione dei candidati, inevitabile quando si assume per le
prestazioni più complesse richieste dalla stragrande
maggiorana dei nuovi lavori, questo errore fosse rimediabile
con costi certi e contenuti, tipo una compensazione monetaria
fissata per legge.
vuole essere sicuro che il dipendente si impegnerà a svolgere
sempre meglio le proprie mansioni «imparando facendo».
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Il Jobs Act uscito dalla direzione del Pd non cambia nulla
su questi due piani. Di più, non viene neanche a sanare la
contraddizione introdotta dal decreto Poletti che, permettendo
di fatto un periodo di prova di tre anni, scoraggia qualsiasi
assunzione a tempo indeterminato e la stessa conversione dei
contratti temporanei in contratti permanenti, come certificato dai
dati sulle comunicazioni obbligatorie raccolti dal ministero di
cui Poletti è titolare.
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