corporate governance e qualità dei codici etici · 2014. 6. 5. · codici etici, dall’altro lato...

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Università commerciale Luigi Bocconi Facoltà di Economia Corso di Laurea Magistrale in Amministrazione, Finanza Aziendale e Controllo Corporate Governance e Qualità dei Codici Etici: una indagine empirica nelle Società quotate italiane Relatore: Prof.ssa Emilia Piera Merlotti Controrelatore: Prof. Massimo Livatino Tesi di laurea magistrale di Roncoroni Giulia Anno accademico 2011/2012

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  • Università commerciale Luigi Bocconi

    Facoltà di Economia

    Corso di Laurea Magistrale in Amministrazione,

    Finanza Aziendale e Controllo

    Corporate Governance e Qualità

    dei Codici Etici:

    una indagine empirica nelle Società

    quotate italiane

    Relatore: Prof.ssa Emilia Piera Merlotti

    Controrelatore: Prof. Massimo Livatino

    Tesi di laurea magistrale di Roncoroni Giulia

    Anno accademico 2011/2012

  • Ringrazio la prof.ssa Merlotti per la disponibilità e il supporto in ogni fase

    del lavoro, e soprattutto per la pazienza dimostrata nel rispondere alle mie

    numerose mail.

    Ringrazio i miei genitori per avermi permesso ancora una volta di

    laurearmi, dandomi tutto il supporto di cui avevo bisogno e dimostrando

    sempre grande fiducia nelle mie scelte.

    Ringrazio Elisabetta per avermi accompagnata in tutti questi anni di

    università, e avermi sempre consigliata e ascoltata nelle piccole e nelle

    grandi cose.

    Ringrazio Francesco per l’amore e la fiducia infiniti che mi ha concesso in

    tutto questo tempo, dandomi la forza, anche senza saperlo, di affrontare

    ogni giorno con lo stesso entusiasmo.

  • Indice

    Introduzione .................................................................................... 1

    1. I codici etici .................................................................................. 3

    1.1 La Corporate Social Responsibility .............................................. 3

    1.2 La relazione fra CSR e codici etici ............................................... 6

    1.3 L’evoluzione dei codici etici ........................................................ 9

    1.4 I codici etici in Italia ................................................................ 15

    2. La letteratura sui codici etici ......................................................... 18

    2.1 Breve analisi generale della letteratura ...................................... 18

    2.2 Il focus sul tema della qualità ................................................. 29

    3. Il legame fra codici etici e Corporate Governance: le domande di

    ricerca ....................................................................................... 39

    3.1 La Corporate Governance ........................................................ 39

    3.2 La relazione fra CSR e Corporate Governance ............................ 42

    3.3 Il Consiglio di Amministrazione ................................................. 44

    3.4 Gli assetti proprietari .............................................................. 49

    4. Dati e metodologia della ricerca .................................................... 54

    4.1 Una misura della qualità dei codici etici ..................................... 54

    4.2 Il campione di riferimento ........................................................ 55

    4.3 Le variabili del modello ............................................................ 56

    4.4 Le fonti di riferimento ............................................................. 62

    5. Risultati ..................................................................................... 65

    5.1 Statistiche descrittive .............................................................. 65

    5.2 L’analisi di regressione ............................................................ 74

    6. Conclusioni ................................................................................. 78

    Bibliografia .................................................................................... 85

  • Indice delle Figure

    Figura 1: matrice elaborata da Robin et al. per classificare gli items

    presenti nei codici etici ................................................................. 32

    Figura 2: modello di etica d’impresa elaborato da Wood ...................... 35

    Figura 3: Distribuzione dello Score .................................................... 65

    Figura 4: Composizione del campione per industry .............................. 67

    Figura 5: Percentuale di amministratori indipendenti nel CdA ............... 68

    Figura 6: “Le quote rosa” ................................................................. 69

    Indice delle Tabelle

    Tabella 1: Descrizione delle variabili selezionate per la costruzione del

    modello ...................................................................................... 61

    Tabella 2: Analisi descrittiva delle variabili ......................................... 66

    Tabella 3: Analisi univariata ............................................................. 73

    Tabella 4: Analisi multivariata .......................................................... 77

  • 1

    Introduzione

    Nel corso degli ultimi decenni, la Corporate Social Responsibility (CSR), ed

    in particolare i codici etici in quanto sua componente imprescindibile, ha

    visto crescere il proprio ruolo in misura estremamente rilevante, sia

    all’interno dell’impianto normativo dei paesi occidentali che nella vita delle

    imprese. L’attenzione a queste tematiche è nata in parte come risposta

    alle diverse ondate di scandali societari che si sono susseguiti in tale

    periodo, a partire dalla corruzione dilagante emersa negli Stati Uniti negli

    anni ’70, fino ai crack finanziari degli anni ’90 e 2000, da Enron a Parmalat

    (Cressey e Moore, 1983; Benson, 1989; McCraw et al., 2009).

    La crescente diffusione fra le imprese e la rilevanza normativa dei codici

    etici hanno richiamato un notevole interesse per tale tematica anche

    all’interno del mondo accademico (Schwartz, 2002; Lugli et al., 2009).

    In particolare, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, un numero

    crescente di autori si è dedicato allo studio da un lato delle scelte operate

    dalle imprese in merito al contenuto ed ai processi di implementazione dei

    codici etici, dall’altro lato alla ricerca di una prova dell’efficacia di tali

    documenti nell’influenzare il comportamento dei dipendenti delle imprese

    che li adottano (Helin e Sandström, 2007; McDonald, 2009).

    Il fine ultimo degli studi appartenenti al primo filone dovrebbe essere la

    ricerca di un framework condiviso di valutazione della qualità dei codici

    etici, il quale, se costruito intorno ad indicatori almeno in parte

    quantitativi, consentirebbe di superare la mera descrizione dei codici

    adottati dalle imprese, permettendo invece di fare confronti il più oggettivi

    possibile fra di essi. Inoltre, una misura quantitativa della qualità dei

    codici etici costituirebbe anche una variabile, più specifica rispetto alla loro

    semplice adozione, da inserire negli studi intorno all’efficacia dei codici,

    per confrontarla con le diverse proxy di tale efficacia. Nonostante queste

  • 2

    considerazioni, pochi autori si sono dedicati alla ricerca di una misura della

    qualità dei codici etici, soprattutto se intesa in termini quantitativi.

    Un altro tema affrontato di rado dagli studi precedenti è indagare quali

    siano le determinanti che spingono un’impresa ad adottare un codice etico

    più o meno di qualità.

    Il presente studio ha cercato di legare uno score della qualità dei codici

    etici, elaborato integrando numerose caratteristiche del contenuto dei

    codici e dei programmi costruiti intorno ad essi, a diverse caratteristiche di

    Corporate Governance, concentrandosi in particolare su due aspetti: la

    composizione del Consiglio di Amministrazione (ossia, nello specifico, il

    grado di indipendenza, la CEO duality, ovvero la circostanza in cui le

    cariche di Presidente e Amministratore Delegato sono ricoperte dalla

    stessa persona, e la presenza di amministratori di genere femminile

    all’interno del Board) e gli Assetti Proprietari (in particolare, le imprese

    familiari e quelle che annoverano, fra i propri azionisti di riferimento, uno

    o più enti pubblici).

    I risultati dell’indagine, svolta per 241 società quotate italiane,

    confermano in parte le ipotesi formulate: si evidenzia, infatti, una

    relazione positiva fra la qualità dei codici etici e sia la CEO duality che la

    partecipazione azionaria di un ente pubblico. Non è stato, invece, possibile

    identificare un legame statistico con le altre variabili analizzate.

  • 3

    1. I codici etici

    1.1 La Corporate Social Responsibility

    Nonostante la crescente attenzione della società e delle imprese per le

    tematiche di responsabilità sociale, le opinioni a riguardo non sono

    concordanti. La domanda fondamentale che si pone la letteratura

    accademica è se le aziende debbano pensare soltanto agli obiettivi loro

    propri, generalmente di profitto/creazione di valore, le cui ricadute

    costituiscono già di per sé un contributo per la società in generale, oppure

    se il rispetto di principi etici, e quindi il perseguimento diretto di obiettivi

    con un valore sociale, debba essere fra i driver fondamentali che guidano

    le loro azioni, anche a scapito degli obiettivi economico-finanziari, in

    particolar modo se di breve periodo, propri del sistema imprenditoriale.

    Un celebre articolo di Milton Friedman1

    “there is one and only one social responsibility of business - to use

    its resources and engage in activities designed to increase its profits

    so long as it stays within the rules of the game, which is to say,

    engages in open and free competition without deception or fraud"

    (1970, pag. 6).

    costituisce probabilmente la più

    forte presa di posizione contro le pratiche di responsabilità sociale delle

    imprese, affermando che:

    La Commissione Europea ha definito, nel suo Libro Verde2

    1 Friedman M. (1970). The social responsibility of business is to increase its profits. The

    New York Times Magazine, 13 Settembre.

    del 2001, la

    Corporate Social Responsibility come:

    2 Commissione Europea (2001). Green paper: Promoting a european framework for

    corporate social responsibility.

  • 4

    “essentially a concept whereby companies decide voluntarily to

    contribute to a better society and a cleaner environment”

    (Commissione Europea, 2001, pag. 4).

    La stessa commissione precisa, inoltre, come la CSR sia anche

    diffusamente interpretata come l’integrazione su base volontaria

    dell’interesse per le tematiche sociali e ambientali all’interno delle

    operazioni di business e dell’interazione con gli stakeholder (Commissione

    Europea, 2001, pag. 6).

    La CSR è, quindi, un’attività volontaria, e non di mera compliance alle

    diverse forme di regolamentazione. Nonostante ciò, essa non costituisce

    esclusivamente un costo per le imprese che decidono di implementarla.

    Infatti, essa dovrebbe essere vista più come un investimento, in quanto

    sia l’attenzione verso un’ampia gamma di portatori di interesse, che il

    perseguimento di una sostenibilità in senso ampio (ambientale, sociale ed

    economica) consentono in prospettiva di ottenere vantaggi per l’impresa

    che implementa tali pratiche, attraverso canali di diversa natura, come i

    seguenti identificati da Perrini3

    • miglioramento di immagine e reputazione: una migliore relazione

    con i diversi portatori di interesse può essere un importante

    elemento di differenziazione rispetto ai concorrenti;

    :

    • miglioramento della gestione delle risorse umane: ambienti di lavoro

    più sicuri migliorano la produttività del personale e trattengono le

    risorse migliori;

    • gestione più efficiente delle risorse ambientali naturali:

    l’abbattimento dei consumi energetici si può tradurre in un risparmio

    economico immediato;

    3 Perrini F. (2006a). Corporate Social Responsibility: L'europa e lo sviluppo di imprese

    competitive e sostenibili. Economia & Management, 3, 11-17.

  • 5

    • gestione più efficace del rischio d’impresa: l’attenzione alla

    sostenibilità in senso ampio consente di ridurre alcuni rischi

    d’impresa, ad esempio relativi a disastri ambientali o incidenti sul

    lavoro, che possono avere un effetto devastante sulla sopravvivenza

    dell’impresa stessa;

    • miglioramento della gestione delle relazioni con le istituzioni

    finanziarie: la riduzione del rischio facilita l’accesso per l’impresa a

    risorse finanziarie a costi contenuti;

    • miglioramento dell’attrattività dell’impresa sul mercato finanziario: il

    peso del Socially Responsible Investing (SRI), ossia delle istituzioni

    che investono esclusivamente in imprese che rispettano determinati

    requisiti etici e di sostenibilità, è in rapida crescita, anche nel nostro

    paese (2006a, pag. 54).

    La letteratura è talvolta riuscita a dimostrare in modo empirico tale

    legame positivo fra pratiche di CSR e performance d’impresa, tuttavia in

    modo non univoco. La questione fondamentale ancora in sospeso è

    chiarire quale sia la direzione del legame causa-effetto. In un caso, infatti,

    sono la redditività e condizioni competitive favorevoli a consentire, alle

    imprese con maggiori risorse economiche e finanziarie, di investire, o

    “spendere”, anche in attività responsabili. Viceversa, è possibile, come

    sostiene Perrini4

    , che la CSR non sia un lusso che solo certe imprese

    possono permettersi, bensì sia “una strategia competitiva capace di

    generare profitti per l’azienda”, oltre che “esternalità positive per la

    società nella quale è inserita” (2006b, pag. 12).

    4 Perrini F. (2006b). Corporate Social Responsibility: Nuovi equilibri nella gestione

    d'impresa. Economia & Management, 2, 7-14.

  • 6

    1.2 La relazione fra CSR e codici etici

    All’interno della CSR rientrano molte pratiche differenti, tra cui:

    • la riduzione dell’impatto ambientale, ad esempio tramite

    l’abbattimento dei consumi energetici in fase di produzione o la

    scelta di materiali riciclati e/o riciclabili per i propri prodotti;

    • maggiore attenzione alla sicurezza ed al benessere dei propri

    lavoratori;

    • rispetto per la salute dei propri clienti;

    • trattamento equo dei propri fornitori;

    • promozione di comportamenti virtuosi fra tutti i soggetti

    appartenenti al proprio settore e lungo tutta la filiera produttiva.

    Nonostante le notevoli differenze esistenti fra le diverse pratiche di

    responsabilità sociale, difficilmente un’impresa potrà implementarle senza

    aver prima stabilito le regole, i valori e gli orientamenti di fondo, i quali

    devono allo stesso tempo indirizzare e legittimare il suo operato. Tale

    processo si realizza nel concreto nell’istituzione di codici etici d’impresa, i

    quali sono stati definiti da Confindustria5

    “documenti ufficiali dell’ente che contengono l’insieme dei diritti, dei

    doveri e delle responsabilità dell’ente nei confronti dei “portatori

    d’interesse” (dipendenti, fornitori, clienti, Pubblica Amministrazione,

    azionisti, mercato finanziario, ecc.)” (2008, pag. 26).

    come:

    La letteratura sui codici etici si fonda proprio sul presupposto che tali

    documenti siano la base per l’implementazione di pratiche di CSR efficaci.

    5 Confindustria (2008), Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione,

    gestione e controllo ex D.lgs. 231/2001.

  • 7

    In particolare, per Lugli et al.6

    Erwin

    “the code of ethics is one of the main tools

    for implementing CSR inside organisations and is an aprioristic way of

    determining whether organizations have recognised the need for ethical

    behavior and established a commitment to that need” (2009, pag. 34).

    7

    È evidente, quindi, come il ruolo dei codici etici nell’universo della

    responsabilità sociale d’impresa sia preponderante. Nonostante essi non

    costituiscano di per sé un’azione concreta che si traduce in un immediato

    beneficio per l’impresa e la società di riferimento, il loro ruolo è senz’altro

    di primo piano nel gettare le basi per una cultura d’impresa orientata

    all’etica e al rispetto di tutti gli stakeholder. I codici, infatti, non solo

    costituiscono un segnale, sia per i membri interni all’organizzazione che

    verso l’esterno, dell’impegno dell’impresa in tale ambito, essi fungono

    bensì da punto di riferimento per l’implementazione delle future pratiche

    concrete di CSR, sia attraverso la legittimazione della loro stessa

    esistenza, sia come supporto valoriale per la scelta delle diverse azioni

    intraprese.

    sottolinea, inoltre, come, fra gli altri vantaggi, “codes of conduct

    may lead to reputational benefits by functioning as a symbol of CSR

    awareness and engagement, thereby preserving and legitimating the

    company’s public image” (2011, pag. 536).

    Così come la CSR ha subito una fortissima crescita di interesse negli ultimi

    decenni, per molteplici ragioni che verranno descritte nel dettaglio nei

    paragrafi successivi, lo stesso vale per i codici etici. Berenbeim (2000), in

    6 Lugli E., Kocollari U., e Nigrisoli C. (2009). The codes of ethics of S&P/MIB italian

    companies: An investigation of their contents and the main factors that influence their

    adoption. Journal of Business Ethics, 84, 33-45. 7 Erwin P. M. (2011). Corporate codes of conduct: The effects of code content and quality

    on ethical performance. Journal of Business Ethics, 99, 535-548.

  • 8

    particolare, evidenzia tre tendenze in atto che dimostrano la crescente

    importanza dei codici etici:

    • sono documenti pubblici, quindi le imprese li considerano uno

    strumento di dialogo con gli stakeholder;

    • il coinvolgimento del Board nel loro sviluppo è crescente;

    • il focus dei codici è passato dalla mera compliance all’affermazione

    di requisiti etici essenziali per una “profitable business practice”.

    Il dibattito aperto più significativo a proposito dei codici etici riguarda la

    loro effettiva capacità di influenzare il comportamento delle persone e

    quindi delle organizzazioni che li hanno istituiti. In particolare, è possibile

    che le imprese adottino i codici etici per ragioni diverse dalla CSR, ossia

    per mera compliance alla normativa vigente, oppure esclusivamente come

    strumento di marketing, mettendo in atto quindi operazioni di window

    dressing (Kaptein e Schwartz, 2008).

    Helin e Sandström (2007) propongono un confronto interessante in tal

    senso: già nel 1924, Graves8

    Questo problema è stato riespresso in molte forme, ed è stato indagato

    sotto molteplici aspetti. Cowton e Thompson (2000) lo hanno riassunto in

    modo efficace sotto forma di domanda: “does a code actually make a

    difference?”.

    concludeva che i codici etici non sono

    “magici” e non possono da soli risolvere i problemi, ma possono

    contribuire in maniera sostanziale “to the cause of truth and honor in

    business relationship” (1924, pag. 59). Tuttavia, 80 anni più tardi, lo

    scandalo Enron è avvenuto in una società in cui tutti i dipendenti erano

    tenuti a sottoscrivere il codice etico.

    8 Graves W. B. (1924). Codes of ethics for business and commercial organization.

    International Journal of Ethics, 35(1), 41-59.

  • 9

    1.3 L’evoluzione dei codici etici

    I codici etici adottati dalle imprese hanno mosso i primi passi intorno al

    1900, in risposta alle riforme della fine del XIX secolo, ma la loro rilevanza

    e diffusione ha seguito, in particolar modo negli Stati Uniti, la spinta delle

    diverse ondate di scandali e frodi societarie, e le conseguenti innovazioni

    normative che si sono susseguite nel corso dell’ultimo secolo. Dapprima

    negli anni ’50, quando i codici si sono diffusi in particolar modo per

    includere i riferimenti alla normativa antitrust (Wiley, 1995), e poi negli

    anni ’70 e ’80 in seguito all’emersione di un sistema complesso e radicato

    di tangenti che vide coinvolte politica e imprese all’interno soprattutto dei

    settori farmaceutico e della difesa (Garegnani, 2008). In particolare,

    Cressey e Moore9 citano gli scandali che nel 1975 videro coinvolte circa

    500 grandi imprese USA in una rete globale di attività illegali. Anche

    Benson10

    Infine, gli scandali finanziari degli anni ’90 e 2000 (McCraw et al., 2009)

    diedero una ultima spinta decisiva alla diffusione e sviluppo dei citati

    documenti, anche in questo caso in parte grazie alle innovazioni

    normative.

    cita, come decisive per lo sviluppo dei codici etici, le indagini

    intorno alle tangenti pagate sia all’interno degli Stati Uniti che all’estero da

    parte di numerose imprese americane, e sottolinea come tali scandali

    portarono all’entrata in vigore nel 1977 del Foreign Corrupt Practices

    Control Act, normativa all’avanguardia nella lotta alla corruzione, ma

    soprattutto all’adozione, negli anni ’70 e ’80, di numerosi codici etici,

    spesso come diretta conseguenza della normativa.

    9 Cressey D. R., e Moore C. A. (1983). Managerial values and corporate codes of ethics.

    California Management Review, 25(4), 53-77.

    10 Benson, G. C. S. (1989). Codes of ethics. Journal of Business Ethics, 8, 305-319.

  • 10

    In particolare, gli USA hanno visto l’introduzione dei codici etici in diversi

    punti della legislazione, sia come documenti obbligatori che fortemente

    suggeriti. In primo luogo, si può citare come codice del secondo tipo

    quello previsto dalle Federal Sentencing Guidelines (istituite per la prima

    volta nel 1991 e aggiornate nel 2004), una normativa volta a

    regolamentare la responsabilità penale delle persone giuridiche.

    Secondo le Guidelines, la somma che deve essere elargita dalla società

    giudicata colpevole è stabilita dal giudice partendo da un importo base, il

    quale sarà poi moltiplicato per un “culpability score”. La base dipende dal

    reato commesso e dalle sue ricadute negative, mentre il fattore

    moltiplicativo è determinato a seconda della presenza di diversi elementi,

    ad esempio il coinvolgimento del top management nella commissione del

    reato, la collaborazione della società in seguito all’emersione del reato

    stesso e, particolarmente rilevante ai nostri fini, se la società possieda o

    meno un “effective program to prevent and detect violations of the law”11.

    Tale programma prevede, tra le altre cose, come esplicitato nello stesso

    commentario alla norma, che la società abbia stabilito “standards and

    procedures to prevent and detect criminal conduct”12

    Altri codici etici previsti dalla normativa statunitense sono quello

    introdotto dal regolamento della Securities Exchange Commission (SEC)

    , ovvero, in termini

    generali, un codice etico.

    13

    in attuazione del Sarbanes-Oxley Act14

    11 2010 Federal Sentencing Guidelines Manual, Chapter 8 paragraph C4.11.

    , il quale è rivolto al top

    12 2010 Federal Sentencing Guidelines Manual, Chapter 8 paragraph B2.1.b1.

    13 La US Securities and Exchange Commission (SEC) è una agenzia federale statunitense

    che ha la funzione di far rispettare le leggi federali sui valori mobiliari e di regolarne il

    mercato.

    14 Il Public Company Accounting Reform and Investor Protection Act del 2002,

    comunemente conosciuto come Sarbanes-Oxley Act, è una legge federale emanata dal

    http://it.wikipedia.org/wiki/Legge�

  • 11

    management delle società registrate presso la SEC stessa e la cui

    implementazione è prevista con la logica del comply or explain15, e quello

    previsto dalle regole di governance del New York Stock Exchange

    (NYSE)16. Inoltre, uscendo dal contesto statunitense, nel Regno Unito il

    Bribery Act17 prevede esimenti simili a quelli previsti dalle Federal

    Sentencing Guidelines nel caso in cui la società provi di avere

    implementato “adequate procedures designed to prevent persons […]

    from undertaking such conduct”18

    Tali interventi normativi, uniti ad una maggiore consapevolezza di utilizzo

    dello strumento, non solo hanno contribuito ulteriormente alla diffusione

    dei codici etici, ma hanno anche fatto sì che, negli ultimi decenni,

    aumentasse l’omogeneità esistente fra di essi. Tale omogeneità ha

    contribuito a sua volta al raggiungimento di una definizione maggiormente

    condivisa di codice etico, e di conseguenza a maggiori possibilità di

    confronto e sviluppo all’interno degli studi in tale campo.

    .

    Tale progressiva e costante crescita dell’importanza dei codici etici

    all’interno del mondo delle imprese ha spronato, a partire dagli anni ’80

    del secolo scorso, l’interesse degli accademici americani (ad esempio

    governo statunitense in seguito ai diversi scandali societari che hanno coinvolto imprese

    come Enron, la società di revisione Arthur Andersen, WorldCom e Tyco International.

    15 Nel dettaglio, la sezione 229.406.a del Sarbanes-Oxley Act riporta: “Disclose whether

    the registrant has adopted a code of ethics that applies to the registrant’s principal

    executive officer, principal financial officer, principal accounting officer or controller, or

    persons performing similar functions. If the registrant has not adopted such a code of

    ethics, explain why it has done so.”

    16 Il New York Stock Exchange (NYSE) è la borsa valori di New York.

    17 Il Bribery Act è una legge emanata nel 2010 dal Parlamento britannico per combattere

    la corruzione verso soggetti pubblici e privati.

    18 UK Bribery Act 2010, Section 7 paragraph 1.2.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Enron�http://it.wikipedia.org/wiki/Arthur_Andersen�http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=WorldCom&action=edit&redlink=1�http://it.wikipedia.org/wiki/Tyco_International�

  • 12

    Cressey e Moore, 1983; Mathews, 1987; Molander, 1987; Benson, 1989;

    Robin et al., 1989). Nonostante ciò, nelle prime fasi di studio, ovvero

    precedentemente all’interesse della legislazione americana verso tale

    ambito, la ricerca ha faticato a raggiungere una definizione condivisa di

    codice etico, da porre come base per le proprie analisi, a causa della

    confusione sulla precisa natura dei codici etici stessi (Kaptein e Schwartz,

    2008).

    In particolare, la scarsa omogeneità di forma e contenuto dei codici etici

    effettivamente esistenti ha precluso una precisa delimitazione del

    perimetro entro il quale un documento potesse definirsi un codice etico, e

    quindi del perimetro di studio. Infatti, non solo erano in uso (nella ricerca

    e nella prassi) numerose terminologie difformi fra loro (Kaptein e

    Schwartz, 2008), ma nei primi studi rientrano anche forme più semplici di

    ciò che sia attualmente considerato un codice etico, come ad esempio i

    “values statements” e i “corporate credo”.

    I primi sono una breve dichiarazione dei propri valori aziendali da parte

    delle imprese (Murphy, 1995), e sono una sorta di precursori dei codici

    etici veri e propri (Benson, 1989). I secondi, invece, sono leggermente più

    articolati e delineano la responsabilità etica dell’impresa verso i suoi

    stakeholder (Murphy, 1995). Wiley19

    aggiunge che “A corporate credo is

    probably the most general approach to managing corporate ethics” e che

    “The credo could be interpreted as a mission statement, not solely as a

    document about ethics” (1995, pag. 24). Entrambe le tipologie di

    documento saranno escluse dalle analisi nei contributi più recenti.

    È opportuno sottolineare come la definizione di codice etico influenzi non

    solo le possibilità di confronto fra studi diversi in termini di analisi del

    19 Wiley C. (1995). The ABC's of business ethics: Definitons, philosophies and

    implementation. Industrial Management, 37(1), 22-27.

  • 13

    contenuto dei codici, ma anche la ricerca empirica intorno alla loro

    efficacia. Infatti, come suggerito da Kaptein e Schwartz20

    Le già citate ondate di scandali di natura finanziaria che hanno coinvolto

    alcune delle maggiori società americane negli anni ’90 e 2000, hanno

    rinnovato l’interesse per il tema dei principi e dei codici etici in ambito

    accademico, spronando inoltre la ricerca di una definizione condivisa di

    codice etico.

    , gli studiosi

    tendono a ricercare risultati diversi in termini di efficacia dei codici

    nell’influenzare il comportamento dei dipendenti, a seconda che si

    definiscano i codici come descrizioni di valori e credenze, oppure come un

    set di regole e standard specifici.

    Una prima definizione di codice etico molto citata è quella utilizzata da

    Langlois e Schlegelmilch21

    “A statement setting down corporate principles, ethics, rules of

    conduct, codes of practice or company philosophy concerning

    responsibility to employees, shareholders, consumers, the

    environment or any other aspects of society external to the

    company” (1990, pag. 552).

    :

    In seguito, Kaptein e Schwartz22

    20 Kaptein M., e Schwartz M. S. (2008). The effectiveness of business codes: A critical

    examination of existing studies and the development of an integrated research model.

    Journal of Business Ethics, 77, 111-127.

    elaborarono ulteriormente il concetto

    formalizzando un’altra definizione anch’essa molto citata dagli studi

    successivi:

    21 Langlois C. C., e Schlegelmilch B. B. (1990). Do corporate codes of ethics reflect

    national character? evidence from europe and the United states. Journal of International

    Business Studies, 21(4), 519-539. 22 Vedi nota 20.

  • 14

    “A business code is a distinct and formal document containing a set

    of prescriptions developed by and for a company to guide present

    and future behavior on multiple issues of at least its managers and

    employees toward one another, the company, external stakeholders

    and/or society in general” (2008, pag. 113).

    Uno fra gli aspetti più studiati dei codici etici sono le motivazioni che

    spingono le imprese ad adottarli. Nonostante non esista un framework

    condiviso in tal senso, le motivazioni proposte dai diversi autori si

    sovrappongono ed integrano a vicenda.

    Ad esempio, secondo Molander (1987) i codici etici permettono di

    raggiungere tre distinti obiettivi:

    • eliminare o prevenire pratiche non etiche che possono danneggiare

    l’organizzazione;

    • stabilire la legittimità di azioni disciplinari in caso di violazioni;

    • aiutare gli individui a risolvere dilemmi etici.

    Carasco e Singh (2003) elencano invece 5 motivazioni, in alcuni aspetti

    riconducibili alle categorie di Molander:

    • migliorare la reputazione e l’immagine della società;

    • segnalare ad azionisti, attivisti e media che la società si è impegnata

    a tenere un comportamento etico;

    • creare una cultura d’impresa coesiva;

    • evitare multe, sanzioni e contenziosi;

    • incrementare le prospettive di sviluppo nei mercati emergenti.

    Infine, Mcdonald (2009), anziché proporre un elenco di motivazioni, ne

    individua tre livelli successivi, sulla base del livello di integrazione dei

    codici all’interno della strategia aziendale:

    • motivazioni semplicistiche: ad esempio l’imitazione di altre imprese;

  • 15

    • necessità strategiche: riduzione del rischio e gestione della

    reputazione;

    • riconoscimento del valore dell’accountability etica non solo verso gli

    azionisti ma verso tutti gli stakeholder.

    1.4 I codici etici in Italia

    Lo sviluppo in Italia dei codici etici ha ricevuto una spinta considerevole

    all’inizio degli anni ’90 (Garegnani, 2008), in seguito allo scandalo di

    “Tangentopoli”, che ha visto coinvolte numerose imprese di grande

    rilevanza, facendo sorgere non poche perplessità in merito al corretto

    funzionamento dell’intero sistema imprenditoriale.

    Dal punto di vista normativo, nessun provvedimento prevede

    espressamente che le imprese istituiscano un proprio codice etico, ma tale

    scelta è stata comunque fortemente condizionata dall’introduzione del

    D.Lgs. 231/2001, in certa misura ispirato alle Federal Sentencing

    Guidelines statunitensi descritte nel paragrafo precedente. Tale decreto,

    insieme alle sue molteplici integrazioni successive, introduce in primo

    luogo la responsabilità penale per i soggetti giuridici. In secondo luogo,

    esso prevede che l’ente non sia ritenuto responsabile del reato a

    condizione che sia stato in precedenza predisposto un idoneo Modello

    Organizzativo.

    Tale modello, così come definito dalla normativa vigente, non prevede

    espressamente il codice etico come una propria componente (come invece

    accade nel caso delle Federal Sentencing Guidelines e del codice etico

    istituito dalla SEC negli Stati Uniti), ma tale introduzione è invalsa nella

    prassi ed è soprattutto prevista dalle Linee Guida di Confindustria23

    23 Vedi nota 5.

    , le

  • 16

    quali, prima di delineare un framework di riferimento per l’elaborazione

    pratica di un codice etico aziendale, affermano come “L’adozione di

    principi etici rilevanti ai fini della prevenzione dei reati ex D. Lgs.

    231/2001 costituisce un elemento essenziale del sistema di controllo

    preventivo” (2008, pag. 26).

    Tali linee guida forniscono inoltre una definizione generale di codice etico,

    già citata nel secondo paragrafo, la quale è propeduetica all’introduzione

    delle sue funzioni. Infatti, secondo Confindustria, i codici “mirano a

    raccomandare, promuovere, o vietare determinati comportamenti, al di là

    ed indipendentemente da quanto previsto a livello normativo, e possono

    prevedere sanzioni proporzionate alla gravità delle eventuali infrazioni

    commesse” (2008, pag. 26).

    Il D.Lgs. 231/2001 ha, in conclusione, spinto le imprese all’adozione di un

    codice etico, facendo sì che la maggioranza delle grandi imprese italiane

    ne abbia adottato uno. Tale fenomeno ha spostato l’attenzione della

    ricerca accademica italiana dall’ambito della scelta, o opportunità, per le

    imprese di adottare un codice, alle caratteristiche che lo stesso dovrebbe

    avere, come ad esempio l’adattamento allo specifico contesto di

    riferimento, i meccanismi di implementazione ed i processi di formazione e

    comunicazione per il personale che dovrebbero accompagnare il codice

    stesso.

    Una nota specifica deve però essere fatta per le PMI italiane. Per la

    maggior parte di esse la situazione è differente: spesso, infatti, le PMI

    svolgono un ruolo sociale dovuto alla loro integrazione e interdipendenza

    reciproca con le comunità di appartenenza, e le pratiche di CSR che

    mettono in atto di conseguenza sono diffuse ma non formalizzate. Questo

    significa che spesso le PMI italiane non sono neppure consapevoli del ruolo

  • 17

    strategico delle loro azioni. La non formalizzazione implica, inoltre, che

    non sia stato istituito un codice etico vero e proprio.

    In conclusione, si può dire che, mentre i codici etici sono ormai

    ampiamente diffusi fra le grandi imprese italiane, in parte grazie

    all’incentivo del D.Lgs. 231/2001, per la maggior parte del tessuto

    industriale italiano, costituito da imprese di piccole e medie dimensioni, la

    situazione è ribaltata: nonostante il livello di CSR nella pratica non sia

    necessariamente inferiore, l’adozione di codici etici è ancora scarsamente

    applicata.

  • 18

    2. La letteratura sui codici etici

    2.1 Breve analisi generale della letteratura

    Al di là della già citata mancanza di una definizione condivisa di codice

    etico, la continua crescita ed evoluzione del loro ruolo ha

    progressivamente stimolato gli studi sul tema, i quali si sono focalizzati

    principalmente su due filoni (Helin e Sandström, 2007; McDonald, 2009):

    • la ricerca di una prova della reale ricaduta dei codici etici sui

    soggetti che li emettono, in termini di effettiva capacità di

    condizionare il comportamento all’interno delle organizzazioni24

    • l’analisi del contenuto dei codici etici stessi, confrontandoli sia

    all’interno del medesimo contesto nazionale

    ;

    25, che in ottica

    internazionale26; altri studi hanno invece mirato a costruire uno

    strumento di analisi senza effettuare direttamente una ricerca

    empirica27

    .

    Per quanto riguarda il primo filone, sono state proposte e sperimentate

    molteplici proxy dell’efficacia dei codici, anche se non si è riusciti ad

    identificare uno strumento almeno in parte condiviso.

    24 In particolare: Mathews (1987), Weaver (1995), Cleek e Leonard (1998), Cowton e

    Thompson (2000), Marnburg (2000), Schwartz (2001), Somers (2001), McKendall et al.

    (2002), Peterson (2002) e Singh (2006).

    25 Ad esempio, per gli USA: Cressey e Moore (1983), Benson (1989), Robin et al. (1989),

    McCraw et al. (2009) e Kaptein (2011); per il Canada: Lefebvre e Singh (1992),

    Schwartz (2002), Donker et al. (2008) e Singh (2011); per l’Italia: Lugli et al. (2009).

    26 È possibile citare in questo caso Farrell e Cobbin (1996), Wood (2000), Carasco e

    Singh (2003), Kaptein (2004) e Erwin (2011).

    27 In particolare: Molander (1987) e Gaumnitz e Lere (2004).

  • 19

    Molti autori utilizzano come variabile indipendente, su cui misurare

    l’efficacia, la mera esistenza di un codice etico o, più spesso, la

    consapevolezza dei dipendenti di tale esistenza all’interno

    dell’organizzazione. Ad esempio, Cleek e Leonard (1998) indagano,

    tramite la somministrazione di questionari a studenti di una business

    university statunitense, se l’esistenza di un codice modifichi il

    comportamento di fronte a dilemmi etici. Marnburg (2000), invece,

    utilizzando un campione casuale di professionisti norvegesi, correla

    l’esistenza di un codice all’atteggiamento delle persone verso una serie di

    tematiche etiche. Entrambi gli studi giungono a conclusioni negative in

    termini di efficacia del codice.

    Cowton e Thompson (2000) si concentrano su un codice del settore

    bancario, ossia una dichiarazione parte del programma UNEP28

    Somers (2001) studia il legame fra l’esistenza di un codice etico aziendale

    e professionale negli USA e il comportamento dei dipendenti, con risultati

    in parte positivi. In particolare, l’autore analizza tre componenti:

    volta a

    promuovere comportamenti che favoriscano la sostenibilità ambientale. Il

    loro obiettivo è verificare, tramite questionari, se le banche firmatarie

    utilizzino in misura maggiore i criteri ambientali all’interno del processo di

    concessione dei prestiti. I risultati di tale studio mostrano che,

    complessivamente, esiste una differenza, di segno atteso, fra banche

    firmatarie e non, ma tale differenza non è statisticamente significativa.

    • la misura in cui i dipendenti abbiano avuto conoscenza diretta di

    frodi finanziarie perpetrate negli ultimi 5 anni nelle organizzazioni in

    cui lavorano attualmente;

    28 Lo United Nations Environment Programme (UNEP) è un’agenzia speciale dell’ONU che

    combatte i cambiamenti climatici promuovendo la tutela dell’ambiente e l’uso

    sostenibile delle risorse naturali.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Cambiamento_climatico�http://it.wikipedia.org/wiki/Risorsa_naturale�

  • 20

    • la percezione dei valori organizzativi: ai dipendenti è chiesto di

    ordinare 4 possibili obiettivi sulla base dell’importanza attribuita loro

    all’interno dell’organizzazione di riferimento:

    − massimizzazione del profitto;

    − impegno in attività di volontariato e filantropia;

    − rispetto di leggi e regolamentazioni;

    − comportamento morale ed etico;

    • organizational commitment: misurato tramite la short form

    dell’Organizational Commitment Questionnaire29

    Infine, Peterson (2002) mira a verificare due diverse ipotesi fra loro

    legate. La prima è se ci sono differenze negli ethical climates (misurati

    tramite un questionario precedentemente sviluppato da Victor e Cullen

    .

    30)

    di imprese con e senza codici etici, con risultati significativamente positivi.

    La seconda domanda di ricerca è se la presenza di un codice etico influenzi

    la relazione tra ethical climate e ethical behavior, quest’ultimo misurato

    tramite il self-reported unethical behavior31

    29 L’Organizational Commitment Questionnaire è stato elaborato da Mowday et al. (1979)

    sulla base della definizione di commitment elaborata da Porter et al.: "strength of an

    individual's identification with and involvement in a particular organization" (1974, pag.

    604). In particolare, il concetto di commitment include:

    . In questo caso, Peterson

    • l’accettazione degli obiettivi e dei valori dell’organizzazione;

    • la volontà di compiere uno sforzo a favore dell’organizzazione;

    • il desiderio di rimanere membri dell’organizzazione. 30 Victor B., e Cullen J. B. (1987). A theory and measure of ethical climate in

    organizations. Research in Corporate Social Performance and Policy, 9, 51-71.

    Gli autori hanno elaborato un Ethical Climate Questionnaire (ECQ) basandosi sull’idea

    che l’ethical climate sia la percezione condivisa di cosa sia un corretto comportamento

    etico e di come le tematiche etiche dovrebbero essere gestite all’interno

    dell’organizzazione. 31 Tale metodologia consiste nel sottoporre agli intervistati alcune dilemmi etici e

    chiedere loro quale comportamento sceglierebbero di assumere in tale situazione.

  • 21

    osserva in primo luogo che, all’interno delle organizzazioni che hanno

    istituito un codice etico, si verifica un minor numero di comportamenti non

    etici; ed in secondo luogo, sebbene la ricerca confermi che tali codici

    riducono la relazione fra clima e comportamento etico, tale relazione è

    ancora presente. Di conseguenza, l’autore conclude che, nonostante

    l’indubbia utilità dei codici etici per migliorare il comportamento etico dei

    dipendenti, sia comunque necessario per le imprese indirizzare gli sforzi

    anche verso il miglioramento del clima etico.

    Altri studi utilizzano variabili più specifiche rispetto all’esistenza di un

    codice etico, ad esempio elementi legati al processo di creazione,

    implementazione e monitoraggio del codice stesso, oppure ad altre sue

    caratteristiche intrinseche.

    In particolare, Mathews (1987), nonostante egli sia uno dei precursori

    degli studi moderni sui codici etici, effettua un’analisi molto articolata.

    L’autore, infatti, esamina la relazione fra le violazioni riscontrate da

    quattro agenzie di regolamentazione statunitensi32

    32 In particolare:

    e la presenza di un

    codice etico e di alcune sue componenti più specifiche, ad esempio la

    trattazione di certe tematiche oppure la presenza di meccanismi di

    1. la Food and Drug Administration: agenzia del governo federale che si occupa di

    promuovere la salute pubblica regolamentando alimentari, tabacco, farmaci e altri

    presidi medici e prodotti veterinari;

    2. la Environmental Protection Agency: agenzia del governo federale che si occupa

    dell’implementazione della normativa volta alla protezione della salute e

    dell’ambiente;

    3. la National Highway Traffic Safety Administration: agenzia del Dipartimento dei

    Trasporti il cui obiettivo è la riduzione del numero e dell’impatto degli incidenti

    stradali;

    4. la Consumer Product Safety Commission: agenzia indipendente che regolamenta

    la vendita e la produzione di molteplici prodotti di largo consumo.

  • 22

    rinforzo o sanzionatori. Nonostante l’analisi statistica dia risultati in gran

    parte negativi, il lavoro di Mathews è particolarmente interessante anche

    perché egli parte dal presupposto che la relazione fra codici etici e

    violazioni riscontrate possa essere biunivoca. È quindi possibile che i codici

    etici influenzino il comportamento dei membri dell’organizzazione, così

    come l’emersione di violazioni commesse all’interno della società possa

    spronare la stessa all’adozione di un codice per prevenire in futuro il

    ripetersi di tali situazioni.

    Weaver (1995), invece, valuta l’impatto della presenza, all’interno dei

    codici etici di alcune università, di rationales (che possono appellarsi a

    motivazioni interne, come la reputazione e la tradizione

    dell’organizzazioni, oppure a legittimazioni esterne, come la normativa e i

    principi etici generali) e sanzioni esplicite su due diverse proxy, o, meglio,

    precondizioni, dell’efficacia dei codici. La prima è la content recall and

    comprehension, ossia la capacità dei membri di riconoscere, ricordare e

    capire i contenuti del codice etico. La seconda proxy è la justice perception

    all’interno dell’organizzazione, ossia in che modo i suoi membri vedono la

    qualità delle relazioni fra l’organizzazione nel suo complesso ed i suoi

    membri e di questi ultimi fra loro. I risultati dello studio indicano che la

    presenza dei rationales influenza alcuni aspetti della justice perception (in

    particolare la procedural ma non la distributive), ma non riesce a

    dimostrare l’impatto di rationales e sanzioni sulla content recall. Weaver

    avanza inoltre un’ipotesi interessante: se i codici hanno una funzione

    prevalentemente simbolica e non pratica, allora non è importante come

    sono fatti, e quindi se contengano o meno rationales e sanzioni, ma è

    rilevante soltanto la loro presenza.

    Schwartz (2001), invece, non fa analisi di tipo statistico, ma, utilizzando la

    tecnica delle interviste, indaga la relazione fra codici e comportamenti.

    Dopo aver effettuato un esame preliminare del livello di consapevolezza

  • 23

    fra i dipendenti degli standard etici del codice adottato dalla propria

    società, egli cerca di rispondere alle seguenti tre domande:

    1. se i codici abbiano una influenza di qualche genere sui

    comportamenti;

    2. quali sono le ragioni che spingono le persone ad agire o meno sulla

    base di quanto prescritto dai codici;

    3. in che modo i codici influenzano i comportamenti.

    McKendall et al. (2002) studiano, tramite una regressione statistica, il

    legame fra le violazioni registrate dall’Occupational Safety and Health

    Administration (OSHA)33

    Singh

    e numerose variabili dei programmi etici, tra cui

    esistenza, grado di sviluppo, contenuto e revisione dei codici, con risultati

    tuttavia negativi.

    34

    Più recentemente, lo stesso autore ha applicato una metodologia più

    strutturata per giungere allo stesso obiettivo, ovvero verificare l’efficacia

    valuta gli effetti di alcune variabili legate ai codici, quali varie

    caratteristiche della loro istituzione e implementazione, chiedendo

    direttamente agli intervistati di indicare nel questionario quali dei benefici

    proposti siano stati conseguiti tramite i programmi etici in essere, e se il

    codice sia stato effettivamente utilizzato per risolvere dilemmi etici

    emergenti. L’autore conclude che, in generale, “ethics has become an

    element of the corporate bottom line, either as an end in itself or as a

    means to better economic performance” (2006, pag. 134).

    33 L’Occupational Safety and Health Administration (OSHA) è un’organizzazione che fa

    parte dello United States Department of Labor e si occupa di sicurezza e salute negli

    ambienti di lavoro.

    34 Singh J. B. (2006). Ethics programs in canada's largest corporations. Business and

    Society Review, 111(2), 119-136.

  • 24

    dei codici etici adottati dalle imprese. In questo studio35, infatti, egli

    elabora delle variabili predefinite sia in termini di caratteristiche dei codici

    etici da indagare36

    • obiettivo del codice;

    , sia come proxy dell’efficacia dei codici stessi,

    quest’ultima misurata tramite la percezione del management in proposito.

    L’analisi statistica svolta in seguito con il metodo della regressione

    evidenzia un forte legame fra l’efficacia e 4 dei 5 fattori identificati:

    • implementazione del codice;

    • comunicazione ed enforcement del codice all’interno della società;

    • diffusione e comunicazione esterna del codice.

    Il quinto fattore, ovvero l’applicazione recente del codice etico ad un caso

    concreto, non è invece risultato significativo.

    Infine, anche Kaptein (2011) ha studiato l’efficacia dei codici etici, in

    questo caso misurata chiedendo ai dipendenti di alcune società di riportare

    il comportamento non etico osservato nei propri colleghi37

    • l’esistenza di un codice etico;

    . Come variabili

    indipendenti, l’autore ha identificato alcune caratteristiche dei codici etici

    e, più in generale, dei programmi implementati in tal senso dalle imprese:

    • la frequenza della comunicazione a proposito dei codici;

    • la qualità della comunicazione a proposito dei codici;

    • il contenuto dei codici; 35 Singh J. B. (2011). Determinants of the effectiveness of corporate codes of ethics: An

    empirical study. Journal of Business Ethics, 101, 385-395. 36 L’autore identifica in particolare 18 variabili, raggruppate in seguito alle interviste in 5

    macrofattori tramite la tecnica della factor analysis.

    37 L’autore preferisce inserire come variabile nel suo modello il comportamento osservato

    nei colleghi anziché il cosiddetto self-reported, utilizzato in altri studi in tale ambito, per

    attenuare l’effetto del social desiderability bias, ossia la tendenza dei partecipanti ad

    uno studio a rispondere nel modo che ritengono darà una migliore immagine di loro

    stessi.

  • 25

    • l’integrazione dei codici nell’organizzazione da parte del

    management.

    La relazione fra queste variabili e l’efficacia dei codici etici è stata indagata

    tramite una regressione gerarchica, il cui esito, in termini generali, è che

    la mera esistenza dei codici difficilmente spiega l’assenza di

    comportamenti non etici. Infatti, la significatività di questo legame

    scompare appena sono inserite nel modello altre variabili più specifiche. Le

    caratteristiche dei programmi etici che risultano quindi maggiormente

    rilevanti in termini di impatto sul comportamento dei dipendenti sono il

    contenuto dei codici, la qualità della comunicazione a proposito dei codici

    e l’integrazione dei codici nell’organizzazione da parte del management.

    Il secondo filone di studio, il quale si è focalizzato sul contenuto dei codici,

    può essere ulteriormente suddiviso al proprio interno fra gli autori che si

    sono limitati a descriverli (ad esempio analizzandone la struttura e la

    frequenza della presenza di certi temi), senza però esprimere un giudizio

    di merito, e quelli che hanno invece compiuto il passo ulteriore di valutare,

    implicitamente o esplicitamente, la qualità dei codici oggetto di indagine.

    Questi ultimi verranno approfonditi nello specifico all’interno del paragrafo

    successivo.

    Il contributo principale degli studi che si sono dedicati ad un’analisi

    descrittiva dei codici etici è quello di aver definito un framework, o,

    meglio, diversi framework di riferimento che, consolidandosi nel tempo,

    hanno consentito di effettuare successivamente studi più mirati e/o

    complessi su basi solide.

    Tra questi, è possibile citare in primo luogo Cressey e Moore38

    38 Vedi nota 9.

    i quali

    hanno esaminato i codici di 119 società U.S. con tre obiettivi: riassumerne

    il contenuto per avere un quadro d’insieme, evidenziare i principali

  • 26

    orientamenti di fondo sottostanti ai codici e infine capire se, e fino a che

    punto, i codici rispecchino le crescenti richieste etiche della società

    americana. L’analisi è stata svolta all’interno di tre campi di indagine:

    1. Policy areas: gli autori hanno classificato i temi trattati nei codici in

    tre categorie: conduct on behalf of the firm, conduct against the firm

    e integrity of books and records, applicando una scala di

    misurazione a quattro livelli del loro grado di integrazione all’interno

    dei codici stessi:

    a. not discussed;

    b. discussed;

    c. discussed in detail;

    d. emphasized.

    2. Authority: definite come “precepts, tenets, or principles that make a

    code’s policies seem ethical, morally necessary, or legitimate”

    (1983, pag. 59); in particolare, gli autori distinguono fra

    metaphysical e legal-political principles. I primi talvolta fanno

    riferimento a principi religiosi, ma più spesso è genericamente

    affermato il valore della virtù in sé stessa; il principio politico-legale

    più diffuso è invece il contratto sociale. Inoltre, tali principi sono più

    spesso interni al mondo degli affari piuttosto che fondati su fonti

    esterne di autorità.

    3. Compliance procedures: a loro volta catalogate in: controllo basato

    sulla sorveglianza, controllo basato sull’integrità del personale

    aziendale e controllo svolto da agenti esterni o agenzie.

    In seguito, Mathews (1987), nello studio già citato nel paragrafo

    precedente, ha ampliato tali categorie, identificando in primo luogo tre

    macrocategorie di analisi:

    • comportamenti e azioni trattati dal codice;

  • 27

    • procedure di enforcement;

    • sanzioni in caso di mancata compliance.

    Inoltre, l’autore ha classificato i codici etici sulla base del grado di

    inclusione al loro interno di 64 elementi differenti, applicando la medesima

    scala di misurazione introdotta da Cressey e Moore (1983). Gli elementi

    sono stati poi riassunti in 10 aree di interesse.

    Lefebvre e Singh (1992) partono anch’essi dagli elementi individuati dagli

    studi appena citati con alcune modifiche, in parte per adattarli al contesto

    canadese, giungendo all’identificazione di 4 distinte macrocategorie:

    • informazioni generali riportate nel codice;

    • tipologie di condotta trattate all’interno del codice;

    • procedure di enforcement e compliance;

    • sanzioni in caso di comportamento illecito.

    La stessa metodologia sarà in seguito replicata anche da Carasco e Singh

    (2003) per analizzare i codici etici delle 50 maggiori imprese

    transnazionali.

    Infine, anche Wood (2000) riprende le categorie già utilizzate da Lefebvre

    e Singh (1992). L’obiettivo in questo caso è compiere un confronto fra le

    risultanze della sua ricerca intorno ai codici di 83 società Australiane e

    quelle degli studi di Mathews (1987), che si era occupato di imprese

    americane, e di Lefebvre e Singh (1992), i quali avevano guardato al caso

    canadese.

    Benson (1989), invece, descrive i codici etici di 150 imprese statunitensi

    sulla base della presenza o meno al loro interno di 12 elementi,

    categorizzati in maniera differente rispetto ai casi precedenti: relazioni fra

    l’impresa e i suoi dipendenti, relazioni fra dipendenti, whistle blowing,

    impatto dell’impresa sull’ambiente, corruzione commerciale, informazioni

    privilegiate, altri conflitti d’interesse, regolamentazione antitrust,

  • 28

    informativa economico-finanziaria, relazioni con i consumatori, attività e

    contributi politici, utilizzo e enforcement dei codici. Dall’analisi di 155

    codici etici di società statunitensi, l’autore osserva come, in generale, essi

    abbiano per lo più uno stampo “legalistico”, volto quindi a soddisfare i

    diversi requisiti normativi, ad esempio le leggi anti-trust e contro la

    discriminazione, i regolamenti SEC contro l’insider trading.

    Infine, il contributo di Gaumnitz e Lere (2004) è significativo all’interno

    della letteratura sui codici etici in primo luogo in quanto propone una

    prospettiva di analisi radicalmente differente. Gli autori, infatti, spostano

    l’attenzione dalla presenza di determinati temi all’interno dei codici alla

    struttura interna dei codici stessi, identificando sei dimensioni, in parte

    quantitative, che permettono sia di descrivere i singoli codici che di

    effettuare confronti più oggettivi fra codici diversi per identificarne le

    principali differenze. Tali misure sono:

    • length: numero di affermazioni o paragrafi;

    • focus: numero di tematiche trattate;

    • level of detail: numero medio di affermazioni per tematica;

    • shape: descritta come thematic emphasis, è una sorta di varianza

    del numero di affermazioni per ciascuna tematica; in particolare, si

    distingue fra codici orizzontali o verticali: nel primo caso le

    affermazioni sono più o meno equamente distribuite fra le varie

    tematiche, nel secondo caso l’accento è posto su una o poche

    tematiche in particolare;

    • thematic content: è un termine descrittivo che, nei codici di tipo

    verticale, esplicita la tematica su cui è posta l’enfasi;

    • tone: l’obiettivo è descrivere la reazione emotiva suscitata dal

    codice, per distinguere soprattutto fra codici di tipo “legalistico” e

    codici “ispiratori”, una misura quantitativa suggerita in questo caso è

    la percentuale di frasi espresse in modo positivo.

  • 29

    Questo metodo è stato in seguito applicato empiricamente da McCraw et

    al. (2009) per studiare il grado di aderenza dei codici etici selezionati per

    l’indagine ai criteri stabiliti da SEC e NYSE per le società e AACSBI39

    È opportuno sottolineare come, nonostante il lavoro di Gaumnitz e Lere

    non sia volto ad indicare un modello di codice etico ideale, né ad

    esprimere giudizi di valore in merito alle caratteristiche teoricamente più

    idonee al raggiungimento delle finalità prefissate, la loro ricerca può

    essere considerata a pieno titolo un primo tentativo di elaborazione di

    misure “quantitative” dei codici etici, costituendo quindi un importante

    precedente per l’ampliamento dello spettro di analisi della ricerca

    accademica sulla qualità dei codici etici, ampliamento messo in atto nella

    pratica dagli studi richiamati di seguito.

    per le

    business schools. Lo studio è stato condotto dapprima classificando tali

    criteri sulla base delle dimensioni di thematic content e focus/themes, ed

    in seguito studiando il grado di diffusione delle tematiche così

    categorizzate all’interno dei codici raccolti.

    2.2 Il focus sul tema della qualità

    Tra gli autori che hanno fornito anche un giudizio di valore sulla qualità dei

    codici oggetto di indagine, è possibile effettuare una ulteriore distinzione

    tra coloro che hanno effettuato una analisi di tipo qualitativo (ad esempio

    valutando l’adeguatezza dei temi trattati e, soprattutto in seguito, del

    processo di creazione, implementazione e monitoraggio dei codici, talvolta

    reputato più rilevante dei codici stessi) e coloro che, invece, hanno cercato

    di individuare uno strumento di tipo quantitativo. Quest’ultimo non solo

    39 L’Association to advance Collegiate Schools of Business International (AACSBI), è

    un’organizzazione no-profit globale che riunisce gli istituti educativi, le aziende e le altre

    entità che si occupano di formazione manageriale.

  • 30

    consentirebbe di esprimere un giudizio in qualche modo il più oggettivo

    possibile sui singoli codici analizzati, con l’obiettivo di confrontarli fra loro

    su basi più solide, ma costituirebbe anche il punto di partenza per analisi

    ulteriori. In particolare, la possibilità di valutare l’efficacia dei codici etici,

    misurata con le diverse modalità già descritte nel paragrafo precedente,

    ponendola in relazione alla qualità degli stessi.

    Tra i primi si può citare Molander40

    “If a code is too general, it may be unclear as to when the code has

    been violated or how it is to be enforced. If it is too specific, it will

    lose flexibility and be inapplicable to a wide variety of situations,

    thus losing broad support and even encouraging people to believe

    anything not covered in the code is acceptable behavior” (1987,

    pag. 623-624).

    , il quale introduce il tema del dilemma

    inerente al disegno dei codici, ossia la tensione tra indicazioni specifico-

    pratiche e principi generali:

    Infatti, l’autore elabora uno schema di fondo in base al quale dovrebbero

    essere disegnati i codici etici di tutte le società. Dopo aver evidenziato

    l’importanza del preambolo nel sottolineare sia la legittimità degli obiettivi

    di profitto che i limiti che essi incontrano nelle aspettative e nei valori

    della società, Molander elenca tutte le tematiche che dovrebbero essere

    contenute in un codice e le classifica a seconda che esse siano da trattare

    in termini di precetti generali, di indicazioni pratiche specifiche e/o di

    riferimento alla normativa vigente.

    Il tema del dilemma inerente alla costruzione dei codici verrà poi

    riproposto frequentemente negli studi successivi, rappresentando, in

    effetti, uno degli ostacoli più rilevanti alla costruzione di un framework 40 Molander E. A. (1987). A paradigm for design, promulgation and enforcement of

    ethical codes. Journal of Business Ethics, 6, 619-631.

  • 31

    condiviso per la valutazione della qualità dei codici etici, sia in termini di

    comparazione con un possibile modello ideale, sia di confronto fra gli

    stessi codici.

    Ad esempio, Raiborn e Payne41

    indicano che un codice etico per essere

    efficace deve essere "comprehensive", ossia coprire "virtually any

    conduct" (1990, pag. 883). Tuttavia, Weaver (1995) sottolinea come tale

    obiettivo possa essere realizzato attraverso due modalità opposte, ossia

    attaverso codici estremamente dettagliati oppure estremamente generici.

    Robin et al. (1989) classificano gli items presenti nei codici in 30

    categorie, 24 delle quali successivamente raggruppate in tre distinti

    cluster:

    • be a dependable organization citizen;

    • don’t do anything unlawful or improper that will harm the

    organization;

    • be good to our customers.

    Gli items sono poi inseriti in una matrice composta da quattro celle sulla

    base del degree of guidance (little o very specific) e del type of guidance

    (value-based o rule-based), come mostrato nella Figura 1.

    Gli autori indicano poi esplicitamente che gli items ideali sono value-based

    e caratterizzati da una very specific guidance, ossia che forniscono

    indicazioni pratiche; non ne trovano però nessuno di questo tipo.

    41 Raiborn C. A., e Payne D. (1990). Corporate codes of conduct: A collective conscience

    and continuum. Journal of Business Ethics, 9, 879-889.

  • 32

    Figura 1: matrice elaborata da Robin et al. per classificare gli items

    presenti nei codici etici

    Le stesse metodologie saranno poi utilizzate da Farrell e Cobbin42

    • social and public implications are to be considered in making

    decisions;

    per

    verificare il reale grado di eticità dei codici. Questi autori identificano tre

    items con le caratteristiche qualitative suggerite da Robin et al. (1989), i

    quali sono però poco diffusi fra i codici esaminati:

    • the openness and public disclosure test is to be used for actions;

    • promises are to be kept (1996, pag. 53).

    42 Farrell B., e Cobbin D. (1996). A content analysis of codes of ethics in australian

    enterprises. Journal of Managerial Psychology, 11(1), 37-55.

  • 33

    Schwartz (2002), sebbene con un approccio di fondo simile al precedente,

    abbandona il focus sugli items per indagare invece i valori etici contenuti

    nei codici. L’autore aveva già identificato in precedenza (Schwartz, 1998)

    6 “morali universali” (trustworthiness, respect, responsibility, fairness,

    caring, citizenship), e in questo studio le applica al processo di sviluppo

    dei codici. L’autore conclude che, oltre a dover essere necessariamente

    presenti nel testo di un codice tutte e 6 le morali individuate, devono

    essere rispettate anche altre numerose condizioni che da esse discendono,

    sia in termini di contenuti dei codici che del loro processo di creazione,

    implementazione e monitoraggio.

    Kaptein43

    “the greater the frequency with which an issue is addressed the

    greater reason a company should have for not incorporating this

    issue in its business code” (2004, pag. 16).

    , prima di utilizzare lo schema di classificazione che era stato in

    precedenza proposto da Kaptein e Wempe (2002) per analizzare i codici

    delle 200 maggiori società a livello mondiale, riflette sul tema della qualità

    dei codici partendo da un punto di vista radicalmente differente dal

    precedente: la necessità o meno di includere un determinato item non è

    vista in funzione della sua aderenza ad un presunto valore universale,

    bensì della sua stessa diffusione. L’autore, infatti, parte dal presupposto

    che, se un tema è menzionato da numerosi codici, questo fatto sia una

    prova sufficiente per affermarne la rilevanza. Di conseguenza, egli afferma

    che, nonostante l’obbligo morale ad includere un elemento nei propri

    codici etici non sia direttamente proporzionale alla frequenza con cui tale

    elemento sia presente nei codici di altre società,

    43 Kaptein M. (2004). Business codes of multinational firms: What do they say? Journal of

    Business Ethics, 50, 13-31.

  • 34

    È inoltre possibile citare Lugli et al. (2009), i quali classificano i codici delle

    società italiane quotate sulla base di otto categorie elaborate a partire

    dalla letteratura precedente:

    • funzione esplicita del codice;

    • principi generali;

    • valori sociali;

    • relazioni con terze parti;

    • regole di condotta;

    • implementazione;

    • sanzioni;

    • regolamentazione.

    La qualità dei codici etici, intesa come impegno effettivo della società in

    termini etici, al di là del semplice disegno di un codice, è valutata dagli

    autori in funzione della coerenza interna fra le due tipologie principali di

    elementi identificabili all’interno dei codici, ossia, da un lato, i principi, i

    valori e gli stakeholder di riferimento, e, dall’altro lato, le categorie di

    regole che sono correlate a ciascuno di tali elementi “on a common-sense

    basis” (2009, pag. 43).

    Infine, alcuni studi hanno declinato la qualità dei codici etici su diverse

    componenti dei programmi etici, quali il loro processo di implementazione

    e comunicazione.

    Ad esempio, il lavoro di Kaptein44

    44 Kaptein M. (2011). Toward effective codes: Testing the relationship with unethical

    behavior. Journal of Business Ethics, 99, 233-251.

    già citato nella trattazione degli studi

    intorno all’efficacia dei codici etici, riporta, fra le variabili indagate, la

    qualità del contenuto dei codici etici e la qualità della comunicazione in

    proposito.

  • 35

    Inoltre, Wood (2002) fa un’analisi originale delle diverse componenti dei

    programmi etici, elaborando un modello dell’etica d’impresa fondata sul

    concetto di commitment. In particolare, le componenti individuate sono

    inserite nello schema rappresentato in Figura 2 sulla base di tre categorie:

    1 commitment verso e da parte di dipendenti e azionisti;

    2 commitment verso gli artefacts organizzativi con finalità etiche;

    3 commitment all’etica nel mercato di riferimento.

    Figura 2: modello di etica d’impresa elaborato da Wood

  • 36

    Inserendo all’interno di un questionario le variabili contenute in tale

    modello, Callaghan et al.45

    “Most companies have got their house in order by having nearly all

    of the window dressing that one should have, but the foundations

    may be shaky and when stressed they collapse because ethical

    principles are not embedded at the foundation stage of the business

    – the strategic planning stage that sets up the business and its goals

    and dictates its actions in the marketplace” (2012, pag. 27).

    hanno svolto una ricerca empirica per cercare

    di valutare la Code of Ethics Quality (CEQ) dei codici etici di alcune

    imprese australiane, canadesi e statunitensi. La conclusione generale degli

    autori è che le imprese parte del campione abbiano recepito e

    implementato tutti gli elementi necessari per la promozione di programmi

    etici che possano definirsi completi. Tuttavia, a tali programma manca un

    elemento fondamentale, ossia l’integrazione fra essi e la strategia

    aziendale. Più precisamente, si sottolinea che:

    Nel gruppo di studi che hanno invece tentato di identificare una misura

    quantitativa della qualità dei codici etici rientrano in particolare gli studi

    svolti da Donker et al. (2008) e Erwin (2011).

    Il primo indaga l’impatto della qualità del codice etico sul market-to-book

    value46

    45 Callaghan M., Wood G., Payan J., Singh J. B., e Svensson G. (2012). Code of ethics

    quality: An international comparison of corporate staff support and regulation in

    australia, canada and the united states. Business Ethics: A European Review, 21(1), 15-

    30.

    delle maggiori società canadesi. Per misurare tale qualità gli autori

    46 Il market-to-book-value, o price-to-book-value, è pari al rapporto fra il prezzo delle

    azioni ed il loro valore contabile. Un elevato valore di questo indicatore suggerisce che il

    mercato si aspetta una consistente creazione di valore tramite gli investimenti effettuati

    dalla società.

  • 37

    partono dai valori universali identificati da Schwartz47

    Erwin (2011), invece, allarga il concetto di qualità all’implementazione del

    codice oltre che al suo contenuto. La qualità in questo caso è quantificata

    dal voto emesso dall’Etisphere Institute

    e li integrano con

    altri elementi per elaborare un CV-Index, ossia un indice numerico

    costruito sommando 10 indicatori dummy, il cui valore è pari ad 1 o 0

    sulla base della menzione o meno dei seguenti valori all’interno del codice:

    accountability, courage, excellence, fairness, honesty, honor, respect,

    trust, integrity e responsibility. Gli autori riescono ad identificare una

    relazione positiva e significativa fra i valori delle società e la loro

    performance.

    48, ed è correlata dall’autore alla

    generale performance delle società in termini di Corporate Social

    Responsibility, così come risultante dal Covalence Ethical Rankings49

    47 Schwartz M. S. (2005). Universal moral values for corporate codes of ethics. Journal of

    Business Ethics, 59, 27-44.

    , un

    database che non indaga in prima persona l’eticità delle società, ma ne

    48 L’Etisphere Institute è un’organizzazione nata da Corpedia, una società di consulenza

    che fornisce servizi in ambito di compliance e responsabilità sociale delle imprese. Tale

    istituto pubblica periodicamente delle valutazioni sui codici etici delle società. Il suo

    metodo si basa sull’assegnazione di un punteggio (da A, massimo, ad F, minimo) alle

    seguenti 8 macrocategorie di analisi: Public Availability, Tone from the Top, Readability

    & Tone, Non-Retaliation & Reporting, Values & Commitments, Risk Topics,

    Comprehension Aids, Presentation & Style.

    Il dettaglio delle variabili considerate per ciascuna macrocategoria non è disponibile al

    pubblico, in quanto si tratta di una metodologia sviluppata e detenuta in esclusiva

    dall’Etisphere Institute, il quale divulga informazioni soltanto in merito alle

    macrocategorie sopra elencate.

    49 Covalence è un’organizzazione svizzera che fornisce, oltre al database Ethical

    Rankings, un EthicalQuote, ossia un giudizio sulla percezione esterna del loro grado di

    eticità, per 581 società multinazionali in 18 settori sulla base della loro performance

    etica, valutata tramite le notizie pubbliche ed altre fonti informative.

  • 38

    valuta la reputazione etica sulla base di valutazioni espresse da altri

    soggetti.

    I risultati dell’indagine portano l’autore a concludere che, nonostante i

    codici etici possano essere un driver fondamentale per la CSR, per le

    società che hanno già integrato in precedenza tali pratiche all’interno della

    cultura organizzativa, l’effetto dei codici etici può risultare ridonante.

    Questi due studi mostrano, in conclusione, come l’identificazione di un

    indicatore quantitativo che rappresenti in qualche modo la qualità dei

    codici etici abbia due importanti obiettivi.

    In primo luogo, elaborare uno strumento che consenta di confrontare fra

    loro in modo il più oggettivo possibile codici differenti.

    In seconda battuta, utilizzare questo indicatore per sviluppare analisi più

    complete, permettendo di utilizzare anche strumenti statistici oltre alla

    sola valutazione qualitativo-descrittiva. Ad esempio, è possibile effettuare

    un confronto fra paesi diversi, come nel caso del lavoro di Farrell e Cobbin

    (1996) e di Wood (2000), oppure mettere in relazione la qualità dei codici

    con altre caratteristiche dell’impresa o dell’ambiente di riferimento.

    Il presente lavoro si prefigge proprio questo obiettivo, ossia indagare il

    legame fra una misura della qualità dei codici etici, in particolare uno

    score calcolato sulla base di una metodologia descritta nel quarto capitolo,

    e diversi aspetti della Corporate Governance delle imprese che li hanno

    adottati, in termini sia di composizione del Consiglio di Amministrazione

    che di Assetti Proprietari.

  • 39

    3. Il legame fra codici etici e Corporate Governance: le

    domande di ricerca

    3.1 La Corporate Governance

    Nel 1992 un comitato presieduto da Adrian Cadbury pubblicò un

    documento50, meglio conosciuto come Cadbury Report, che è considerato

    l’origine dell’interesse sempre più diffuso di istituzioni e imprese per il

    tema della Corporate Governance. Tale documento, i cui contenuti hanno

    ispirato la redazione delle diverse forme di regolamentazione, obbligatorie

    e non, in tale ambito51

    “the system by which companies are directed and controlled”.

    , definisce la Corporate Governance nel seguente

    modo:

    50 Cadbury Committee. (1992). The financial aspects of corporate governance. Londra:

    Gee and Co. 51 In termini di regolamentazione obbligatoria, con riferimento al caso italiano è possibile

    citare, ad esempio, il Codice Civile ed il Testo Unico per la Finanza (TUF, ossia il D.Lgs.

    n. 58 del 24 febbraio 1998). Lo sforzo maggiore è stato comunque rivolto, nei paesi

    occidentali, all’istituzione di Codici di Autodisciplina, diversi fra loro ma comunque

    costruiti intorno a principi e buone prassi similari. Ad esempio, oltre al Cadbury Report

    britannico, aggiornato nel 2002, è possibile citare:

    • il Rapporto Vienot in Francia, redatto nel 1995 e aggiornato nel 1999;

    • il Rapporto Peters in Olanda, 1997;

    • il Rapporto Cardon in Belgio, 1998;

    • il Rapporto Olivencia in Spagna, 1998;

    • il Rapporto Hampel nel Regno Unito, 1998;

    • il Codice Preda (Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana, istituito nel 1999 e aggiornato nel 2002, 2006 e 2011).

  • 40

    Si evidenzia, quindi, come la Corporate Governance ruoti attorno a due

    tematiche fondamentali della vita d’impresa: la sua gestione ed il controllo

    degli organi preposti a tale compito (MacMillan et al., 2004).

    In termini generali, l’interesse intorno a questo tema nasce come risposta

    ai problemi posti dalla teoria dell’agenzia52

    In seguito, tale concetto è stato ampliato ed applicato a casi differenti da

    quello della tipica public company statunitense, fino a ricomprendere tutti i

    possibili conflitti fra i diversi stakeholder dell’impresa. Ad esempio, nel

    caso delle strutture proprietarie concentrate di tipo europeo, la Corporate

    Governance fornisce gli strumenti per gestire le divergenze di interessi fra

    azionisti di maggioranza e di minoranza, o fra azionisti e prestatori di

    risorse finanziarie.

    , ovvero come strumento di

    controllo dell’operato del management da parte degli azionisti (Zattoni,

    2006). Infatti, tale teoria affronta il tema della separazione fra proprietà e

    controllo, la quale genera divergenze fra gli obiettivi degli azionisti e quelli

    perseguiti dai soggetti preposti all’effettiva gestione dell’impresa. Per

    riallineare tali obiettivi, gli azionisti impiegano controlli di tipo interno,

    ossia, principalmente, i meccanismi di Corporate Governance ed i piani di

    incentivazione sulla base delle perfomance economico-finanziarie

    dell’impresa. Se tali controlli falliscono, è necessario applicarne di esterni,

    come ad esempio il mercato del controllo azionario (Davis et al., 1997).

    Più in generale, è possibile applicare tale concetto anche ai conflitti fra

    l’impresa e portatori d’interesse quali i dipendenti, i fornitori, i clienti e la

    comunità di appartenenza in senso ampio. Infatti, la Corporate

    Governance mira a sottolineare le responsabilità dell’impresa verso questi

    diversi stakeholder, sui quali essa ha notevole impatto, e dai quali,

    52 Jensen M. C., e Meckling W. H. (1976). Theory of the firm: Managerial behavior,

    agency costs and ownership structure. Journal of Financial Economics, 3(4), 305-360.

  • 41

    viceversa, essa dipende (MacMillan et al. 2004), in quanto le forniscono le

    risorse necessarie alla propria sopravvivenza, competitività e successo.

    A partire dagli anni ’90, si è diffusa una teoria alternativa a quella

    dell’agenzia, ossia la stewardship theory, la quale presenta un approccio

    radicalmente differente e che ha avuto origine da alcuni studi svolti

    nell’ambito della psicologia e della sociologia organizzative. Tale approccio

    parte da un presupposto contrario rispetto alla teoria dell’agenzia: gli

    obiettivi dei manager non sono fondamentalmente opportunistici e in

    contrasto con quelli degli azionisti, bensì essi desiderano svolgere al

    meglio il proprio lavoro ed essere buoni steward degli asset aziendali

    (Donaldson e Davis, 1991). Di conseguenza, secondo questa teoria, non

    sono i controlli di Governance a garantire che il management dell’impresa

    eserciti efficacemente il proprio compito, e quindi consentire il successo

    dell’impresa, bensì sono le strutture organizzative implementate (inclusi i

    controlli) ad impedire, se non adeguate, il raggiungimento degli obiettivi

    prefissati (Donaldson e Davis, 1991).

    Davis et al. (1997) hanno cercato di integrare la teoria dell’agenzia e della

    stewardship. Gli autori, partendo dal presupposto che un rapporto di

    stewardship comporta minori costi per entrambe le parti rispetto ad un

    rapporto di agenzia, si sono chiesti per quale ragione le relazioni non siano

    sempre basate sul primo modello. La risposta risiede nel livello di rischio

    che gli azionisti sono disposti ad assumersi: i costi di agenzia sono una

    sorta di assicurazione che gli azionisti versano per proteggersi dal rischio

    di comportamenti opportunistici da parte del management.

    Nell’ambito di un’accezione ampia della Corporate Governance, ovvero che

    comprenda la tutela degli interessi di tutti gli stakeholder, è possibile

  • 42

    delineare in termini generali gli strumenti e i meccanismi, sia interni che

    esterni, di cui essa si compone:

    • la normativa;

    • la struttura e il funzionamento del Consiglio di Amministrazione e

    degli altri organi di governo economico, in particolare l’Assemblea

    degli Azionisti (espressione diretta degli assetti proprietari

    dell’impresa) ed il Collegio Sindacale;

    • i sistemi di controllo interno;

    • i sistemi informativi;

    • i sistemi di ricompensa (Zattoni, 2006).

    3.2 La relazione fra CSR e Corporate Governance

    In termini generali, convivono in letteratura due teorie contrastanti

    intorno al legame fra responsabilità sociale d’impresa e Corporate

    Governance. Secondo la teoria dell’agenzia di Jensen e Meckling (1976), la

    CSR è una tipologia di overinvestment, in quanto essa è sfruttata dal

    management per acquisire potere e reputazione all’interno della società di

    riferimento. Di conseguenza, se esistono controlli adeguati sull’operato del

    management all’interno di un’impresa, le pratiche di CSR attuate

    dovrebbero essere minime.

    Al contrario, secondo la conflict resolution hypothesis, la CSR è utile per

    risolvere i conflitti fra l’impresa e i suoi stakeholder di riferimento, e, di

    conseguenza, una buona Corporate Governance si dovrebbe tradurre in

    maggiori pratiche di CSR. All’interno di questa seconda visione “positiva”

    del legame tra CSR e Corporate Governance, è possibile interpretare tale

  • 43

    legame secondo tre prospettive differenti, come suggerito da Jamali et

    al.53

    1. La Corporate Governance è un pilastro della CSR, ovvero la sua

    qualità è una precondizione affinché l’impresa possa mettere in atto

    pratiche di CSR efficaci e coerenti con la strategia aziendale.

    :

    2. La CSR è una dimensione della Corporate Governance, quest’ultima

    intesa in ampio, quindi fino a ricomprendere la responsabilità verso

    tutti gli stakeholder di riferimento dell’impresa, ai quali la CSR si

    rivolge primariamente.

    3. Corporate Governance e CSR fanno parte di uno stesso continuum,

    così come teorizzato da Bhimani e Soonawalla54

    , il quale conduce

    dalla mera compliance alle diverse normative di riferimento ad una

    visione strategica che consenta il rilancio della performance

    aziendale, attraverso un percorso composto da quattro passaggi

    intermedi: reporting economico-finanziario, Corporate Governance,

    CSR e, infine, creazione di valore per gli stakeholder.

    La letteratura in merito al legame fra codici etici e Corporate Governance

    è piuttosto scarsa, e prende in tali casi a riferimento, per le analisi di tipo

    empirico, la sola esistenza dei codici, anziché la loro qualità. Tuttavia,

    numerosi studi empirici hanno indagato la relazione fra la Corporate

    Governance ed altre componenti della strategia di CSR, come ad esempio

    il livello di filantropia (Wang e Coffey, 1992; Williams, 2003), o