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D appunti: IL PICCHIO E LA CIVETTA. D corsivo: IL SOG- GETTO E LA MASCHERA. D po- litica: QUANDO LE TROMBE DI GERICO SUONERANNO PER I « DANNATI DELLA TERRA ». D società: OLTRE LO STATO E IL MERCATO. D fede. CON GLI « ULTIMI » PER RITROVARE UN NUOVO GUSTO DI VIVERE. D associazione: LO SPAZIO LIBERO DELLE COSCIENZE « IN PIEDI ». D taccuino culturale trentino. 3 o 1 982

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D appunti: IL PICCHIO E LA

CIVETTA. D corsivo: IL SOG-

GETTO E LA MASCHERA. D po-

litica: QUANDO LE TROMBE DI

GERICO SUONERANNO PER I

« DANNATI DELLA TERRA ». D

società: OLTRE LO STATO E IL

MERCATO. D fede. CON GLI

« ULTIMI » PER RITROVARE UN

NUOVO GUSTO DI VIVERE. D

associazione: LO SPAZIO LIBERO

DELLE COSCIENZE « IN PIEDI ».

D taccuino culturale trentino.

3 o1 982

I L M A R G I N Emensile dell'associazione culturaleOscar A. Romero

Direttore resp.: LUCIANO AZZOLINIDirettore: PAOLO GHEZZIGrafico: PAOLO FAES

Una copia, L. 1.000 - un arretrato,L. 2.000 - abbonamento annuo,L. 10.000 - abbonamento sosteni-tore, da L. 20.000 in su - prezziper l'estero: una copia, L. 2.000abbonamento annuo, L. 20.000.I versamenti vanno effettuati sulc.c.p. n. 14/9339 intestato a « IIMargine », Trento.

Autorizzazione Tribunale di Trenton. 326 del 10.1.1981.

Redazione e amministrazione:« II Margine », via Suffragio 39,38100 Trento

Stampa: Tipografia Argentarium,via Giardini 36, 38100 Trento.

Il Margine n. 3 - anno IImarzo 1982

Il picchio e la civetta p. 3

II soggetto e la maschera p. 9

Quando le trombe di Gericosuoneranno per i « dannati del-la terra » p. 12

Oltre lo Stato e il Mercato p, 18

Con gli « ultimi » per ritrovareun nuovo gusto di vivere p. 21

Lo spazio libero delle coscienze« in piedi » p. 28

Taccuino culturale trentino p. 33

PRIMA DI LEGGERE QUESTO NUMERO

Per intanto era arrivata la primavera.Il Margine proseguiva la sua storia e tutti speravano che gli abbo-namenti, vecchi e nuovi, continuassero ad arrivare. Non occorrevafacessero rumore, era sufficiente un costante, insistente, tenace, pic-colo « flusso ».Anche il mondo proseguiva la sua corsa e la Chiesa intrecciava iltempo della liturgia con quello degli uomini e delle stagioni. La « qua-resima », il tempo del deserto, era prossimo a finire.A tutti, buona Pasqua.Il 24 marzo abbiamo ricordato Oscar A. Romero nel secondo anni-versario della sua morte. Sul prossimo numero comparirà una breveriflessione.Ancora una volta « II Margine » è in vendita a Trento presso: « Di-sertori », vìa s. Vigilie; « Paoli ne », via Belenzanl »; «Artigianelli»,corso 3 Novembre. A Rovereto presso l'edicola « Kìnger ».

Il n. 3/1982 è stato chiuso in tipografìa il 29 marzo 1982.

Il picchio e la civettadialogo immaginario * tra un venticinquenne non ancora sconfìttoed un amico stanco

II tentativo di spiegare le nostre « facce », il nostro vivere quotidiano eli con-trasti, paure, incertezze e pare bisogni profondi. Il resoconto fedele di discorsigià noti. Invece dette neutre analisi sociali e delle vecchie teorie, la formadialagica. Nell'altalena di battute si contrappongono due gomitoli di pensiero,che giorno dopo giorno si aggrovigliano nella realtà ed insieme si dipananodentro ciascuno.

Stanno il picchio e la civetta appoggiati alla balaustra di un ponte.Grava d'intorno un pacato silenzio, mentre la luna dissemina le sueombre vaghe. « Dolce e chiara è la notte e senza vento »: potrebbeessere aprile.

— civetta: « / giorni, le cose, i volti ammantati di grigio mi pesanoopprimenti. Non rimane che subire l'assurdo quotidiano, sognandovarchi di felicità ».— picchio: « Perché allora seguiti a vivere, se l'esistenza ti gravaaddosso e ti schiaccia di grigio? »,— civetta: « Vale la pena solo nell'attesa di parentesi di bellezzapiena e significati profondi. Sono attimi rari che riscattano, con laloro grandezza, l'apatico dormiveglia dei doveri quotidiani ».— picchio: « Questo è l'annuncio che tu lanci all'uomo, che arran-ca a fatica lungo il cammino della storia? Questo il tuo messaggiodi liberazione? »,— civetta: « Codesto solo oggi possiamo dirci, ciò che non siamo,ciò che non vogliamo — per il resto attendiamo un tempo più av-vincente, urlando rabbiosi contro le situazioni in cui l'oppressionedella vita .si -fa più dura ».

raccolto — in esclusiva — da Fabrizio Mattevi e Paolo Ghezzi.

— picchio: « Ma chi mai ti da il diritto di attendere? Chi ha fattopromesse che permettono di sperare ciascuno immobile nel propriocantuccio? ».— civetta: « E' una scommessa assurda nel tempo che ha da ve-nire. La rivoluzione non si può progettare e costruire, ma solo in-vocare. Essa ormai rimane una visione meravigliosa ».

« Dici: per noi va male. Il baio cresce. Le forze scemano... Che cosa fer-rato ora, falso, di qitél che abbiamo detto? Qualcosa o tutto? Su chi con-tiamo ancora? » (B. Brecht).

— picchio: « Ma in questa lunga attesa nulla si muove ed intantoil deserto cresce. Mentre tu ti crogioli di leggende, il male, il dolore,l'ingiustizia s'impadroniscono del mondo degli uomini. Davanti altribunale della storia sei da condannare: collaborazionista con ilnemico, questo l'inappellabile verdetto »*.— civetta: « E' la tragica realtà dell'uomo, il suo destino. Altro nonmi riesce di dire. Solo mi è rimasto un tremendo silenzio ».— picchio: « Tu, dunque, non sei padrone della tua povera vita? ».— civetta: « No! La realtà è più forte e ad essa la mia vita sog-giace. Chiamalo sistema o storia o destino, fa lo stesso ».— picchio: « E tu dì nulla sei responsabile? ».— civetta: « Ha forse colpa la ruota dell'ingranaggio, se la mac-china stritola la speranza? Io posso soltanto conservare il sogno diun tempo diverso. Un'altra vita meriteremmo ».— picchio: « Ma tra la vita e gli ideali non sta alcun rapporto, al-cun contatto? ».— civetta: «Povera cosa sono i miei tentativi di "jare". Sempredi nuovo io soccombo. Ho rinunciato a questa vanità ».— picchio: « Non è forse vigliaccheria la tua? ».— civetta: « Cosa dunque mi è dato di poter -fare? ».— picchio: « Tue sono le parole pronunciate; tue le azioni compiu-te. A te appartengono decisioni, scelte, volontà; da te vengono spe-ranze e promesse; a te spettano coerenza e testimonianza ».— civetta: « Tu dimentichi i condizionamenti infiniti che tarlanola nostra libertà e la chiudono nelle solide gabbie dei pregiudizi ».

« Oggi C.aìno noti ucciderà Abele sul nostro campo,né Adamo vacillerà sotto la luna velata...oggi la pecorella smarrita è riportala all'ovilee il freddo, sulla via dell'avvoltoio, si fa più temperalo1'intiriztito albatros non deve temere la tempestai torturali non conosceranno l'allarmeperché tutti sono liberi ovunque dalla propria paura » (M. Lowry).

— picchio: « Basta! Non è più tempo di giustificare i nostri falli-menti, di credere alle nostre ipocrisie, di spiegare le nostre man-canze. Dobbiamo avere il coraggio, finalmente, di prendere posizionedi fronte alle possibilità. Dobbiamo rischiare di rispondere ai que-siti di sempre, anche a costo di sbagliare, di essere smentiti dal do-mani. Il tempo stringe: lasciamoci compromettere dal mondo ».— civetta: « Cosa pensi mai di concludere con questo bel volon-tarismo? ».

— picchio: « Voglio solo smettere di rincorrere chimere per rav-vivare il grigio della mia pochezza, di arrabbattarmi con i mulinia vento per avere l'illusione di combattere. Nulla ci è dato in regalo.Non possiamo vantare alcun diritto od ipoteca. Già sappiamo cheil tutto non ci è concesso, ma, pure, il poco è possibile ed è pos-sibile a partire da noi e dal nostro lavoro ».— civetta: « Non stai forse, anche tu, ipocrita, lanciando proclamial vento? ».

— picchio: « II mio è solo un invito alla " vitalità ". Sono stufodella noia proclamata ad ogni dove. La tua petulante insoddisfa-zione mi ha stancato. La vita merita più entusiasmo. Abbiamo daritrovare l'arcobaleno anche tra il grigiore delle metropoli. Occor-rono maggiore attenzione ed interesse anche per le cose minime:fatti, incontri, situazioni. Muoverci tra le dune della vita con l'emo-zione dell'esploratore ».

« Mi sono accoccolato vicino ai miei panni sudici di guerra e come unbeduino mi sono chinato a ricevere il sole »(G. Ungaretti).

— civetta: « Belle, certo, le tue immagini, ma vuote. Che cosainfatti può alimentare questo entusiasmo? Dove stanno i colori di~m parli? Quale bussola usa e quali mappe consulta il tuo espio-

itore? ».

incuirotore? »,

— picchio: « Ma quegli ideali, che tu dici di sognare, sono dunquedeliri inconcludenti oppure hanno una loro forza? Non è sufficientechiacchierarli stentatamente nell'intimità di pochi amici, essi hannovalore solo se coinvolti nelle nostre giornate. Non basta più credere,si ha da vivere ciò che si crede.Noi siamo nel mondo e non possiamo uscirne. Non esistono saled'attesa. Ogni attesa diffonde imbarazzo ed incertezza tra i presenti.Abbiamo da stare nel mondo come padroni di casa: pronti semprea dare il benvenuto ad ogni nuovo arrivato; attenti a non trascu-rare i primi venuti ».

« Voi mi dite " La vita è difficile a sopportarsi ". Allora perché avreste quel-l'orgoglio al mattino e quella remissività la sera? La vita è difficile a soppor-tarsi: ma non fatemi i delicati! Siamo pur tutti quanti graziosi asini e asine

da soma. Che abbiamo in comune col bocciolo dì rosa che trema perché sulsuo corpo si è posata una goccia di rugiada? E' vero: amiamo la vita nonperché siamo abituati alla vita, ma perché siamo abituati ad amare ».

(F. Nietzsche)

— civetta: « Quindi la nostra angoscia è solo compiacimento? Lasi può cancellare con un colpo di spugna? ».— picchio: « No, non è come tu dici. L'angoscia è inestinguibile:è il nostro sentirci stranieri in un cosmo senza fine, che pure intu-iamo fino ai confini estremi delle galassie e per questa immensitàci opprime. Ma consolarsi con l'angoscia no, e neppure prenderla aprestito, come alibi, dai poeti maledetti di cui le antologie rigur-gitano ».— civetta: « Ma questo tuo sforzo ostinato non rimane in balìadella solitudine? ».— picchio: « La solitudine è non sperare più, è sfuggire agli altrispaventati di noi stessi, è inorridire e crogiolarsi del vuoto di cuiabbiamo riempito il nostro tempo ».— civetta: « Tu credi si possa incontrare gli altri e condividerecon loro? ».— pichio: « L'intera nostra esistenza è costellata da innumerevoliincontri, non ci è concesso di evitare questa fitta trama. Da sempresiamo tra gli altri, invischiati a loro, confusi in una folla di piccoliprogetti che si toccano l'un l'altro. Non possiamo sfuggire questarete di rapporti: soltanto ci è concesso di subirla rassegnati ed in-differenti, ovvero di accettarla con disponibilità. Vivere capaci discavare nel profondo degli accadimenti, di udire la voce di chi cista attorno, per scoprire le ricchezze segrete del cuore, le inaspet-tate risorse dell'animo, mio e di tutti; attenti a sentirsi com-presi ecom-prendere chi ci sta a fianco, uniti nel medesimo corso di fiume,e raccattare così quell'enigmatico senso dell'esistenza che ci acco-muna ».— civetta: « E l'inestirpabile egoismo dell'uomo è svanito nel nul-la? ».— picchio: « Non voglio fare lo struzzo, ma neppure rassegnarmia comode filosofie. Se l'uomo non sa liberarsi dal male, altrettantoirrimediabilmente brama il bene. Lui sta sospeso tra questi dueestremi e nessuna potenza arcana può spostare, se pur di un cen-timetro, l'ago della bilancia, ma solo la sua coscienza. Riconoscerelo strapotere del male non significa rinunciare al bene. Non è que-sto un astruso sillogismo della logica, ma piuttosto quel varco disperanza cìie prima tu invocavi ».

« D'un tratto gridò che non era il destino se il mondo soffriva, e la luce del

sole strappava bestemmie: era l'uomo, colpevole. Almeno potercene andare, farla libera fame, rispondere no a una vita che adopera amore e pietà, la fa-miglia, il pezzette di terra, a legarci le mani » (C. Pavese).

— civetta: « Prediche solenni le tue, amico, sugli slanci del cuore.'Ma intanto, forse proprio ora, lontano di qui, uomini dalle divisegrigioverdi e gli scarponi chiodati affilano la ghigliottina per i con-tadini ed i loro figli. Che cosa opponi al deserto che cresce di cuiproprio tu parlavi? ».— picchio: « Credi forse che non sia sceso in piazza anch'io? Cre-di che non abbia firmato gli appelli? Credi che non preghi perchécessi la follia? E pensi che questo ci assolva? Che ci possiamo di-scolpare? Stabilendo esattamente chi è l'oppresso e chi l'oppresso-re? Chiedendo la punizione dei mandanti? Anche questo, certo! Manon solo, pure il discreto praticare la giustizia, il silenzioso disar-marsi, il quotidiano condividere, il non sprecare come regola di vita,per non insidiare la rabbia dei poveri.Gli ideali solo sognati sfumano come ombre confuse nel dormive-glia. Essi resistono solo se coltivati e praticati, a poco a poco, co-stantemente. Questi sono gli slanci di cui ti dicevo. Inventare unostile di vita e costruirlo, perché convinti che a noi spetta cambiare,II resto sono lusinghe da mercante ».— civetta: « Ecco qui l'ultimò dei piccoli missionarii ».— picchio: « Per una volta metti da parte il sarcasmo, che è l'uni-ca tua difesa: la tua ironia viene dalla disperazione ».— civetta: « Può darsi sia ironia, ma essa viene dalla consapevo-lezza della forza bruta del mondo, a cui nessuno può scappare,lo almeno non pecco di orgogliosa superbia, non credo di esseretanto astuto da sfuggire al dovere del consumo ».— picchio: « Ricadi di nuovo nel tuo vizio di sempre: relegare ilbene e il male ai grandi sistemi: la rivoluzione, le masse, il sistemasociale, il consumismo; annullarti nell'anonimato di oscure potenze;tu attendi la rivoluzione ed intanto ti concedi, vittima innocente,alle angherie del grande nemico, il sistema. Ma che cos'è il sistemase non la resa da parte di tutti alle leggi del " si fa " e del " sidice "? Il sistema si rafforza della nostra rassegnazione ad esso. Edallora il nemico non è in primo luogo dentro di noi? La rivolta vafatta contro noi stessi. Non da soli, ma insieme; in nome di quellaNotizia che proclamava la Città Nuova degli uguali, dei fratelli, del-l'uomo e della donna l'uno all'altro liberi: non del proprietario edell'inquilino, del fabbricante d'armi e della carne da macello, del-l'uomo libero e dello schiavo, del ruffiano e della sgualdrina ».— civetta: « E quando tutto questo? ».

— picchio: « Ora e mai: ora perché quel futuro esiste solo inquanto noi già lo intravvediarno e ci crediamo, perché la speranzaviene dal nostro presente; mai perché non ci sarà concesso di ve-dere pascolare il lupo con l'agnello; perché la perfetta felicità ci èproibita.Vedi, amico, quel futuro non è una lontana utopia da sognare in-sieme, ma sta qui tra le mie mani, come creta da lavorare ».

« Possa tu rivoltarti / nella tomba / nuovo mondo / c'è odio nei tuoi occhi /l'ho visto prima / progettando la distrazione / dietro la porta chiusa achiave / sei stato tu il vigliacco che ha sparato l'ultimo colpo? / Possa tumarcire / nella tua tomba / nuovo mondo» (Strawbs).

— civetta: «Ma allora anche tu ammetti che i nostri tentativi so-no destinati a fallire che su di essi cade, inesorabile, la morte e listronca. La morte è signora del mondo ed ammanta le nostre cose,si staglia crudele all'orizzonte della storia.E noi, stupidi, ci illudiamo... ».— picchio: « Non ricordi nemmeno le canzoni che cantavi:"Bisogna vincere la morte, quella che non si fa vedere, che vienesenza far rumore, che non si fa aprir le porte, che non fa mai vestirdi nero... quella nascosta nella mia noia, nella tua noia, nelle pa-role che ci diciamo senza capire nemmeno quel che vogliam dire ".Questa è la morte che terno, questa la fine che mi inorridisce, nonil cuore che si spezza, nemmeno il cancro che corrode lentamente.E' il tumore del silenzio che mi spaventa. La morte è il " capire "mutile di chi non vuole sperare. Il tuo destino ».

La civetta, battendo le ali, sì dilegua nella notte tacendo il suo verso.

« La speranza è la decisione militante dì vivere con la certezza che noi nonabbiamo esplorato tutti i possibili se non tentiamo l'impossibile » (Garaudy).

Appunti su un carnevale « diverso »

11 soggetto e la mascheradi SILVANO ZUCAL

// carnevale è passato. Ma forse non è inutile ritornarvi per riflettere.Talora sono infatti queste manifestazioni solo apparentemente epi-dermiche a manifestare segnali nuovi e interessanti per capire l'evo-luzione sociale. Ebbene il carnevale '82 è stato un carnevale « diver-so ». Anzitutto per il numero. In maschera ci siamo andati quasitutti... Non succedeva da gualche anno e c'è chi già ripropone lavecchia lagna del « riflusso ».Perché tutti in maschera? Perché le vie erano piene, gonfie di questafollia scelta e voluta? Perché il travestimento? Sono domande chemi urgevano dentro, passando per le vie cittadine, ma anche veden-do a scuola (uno dei pochi luoghi di aggregazione giovanile soprav-vissuti, paradossalmente...) questo gioco ritrovato. Il gioco del ma-scheramento, del cambiar faccia e aspetto, dell'immaginare una real-tà diversa per se stessi.Vorrei evitare subito il sospetto del moralista invecchialo che sivolge a guardare il mondo e lo giudica con saccenza perché è ormaiincapace di ridere, di scherzare, di guardare alla vita anche consensibilità Indica. La tentazione è -forte per la mia generazione, ca-rica di criticismo politico e di intellettualismi -forzati. Ma credo nonsia pretestuoso pensare, con animo aperto, anche al carnevale edalle maschere. Soprattutto quando essi, carnevale e maschere, siimpongono quasi con sottile violenza.Ebbene, riflettendo sul carnevale dovrei subito uscire con un'espres-sione di sapore strano: non dovrebbe esserci, eppur c'è. Non do-vrebbe esserci perché tutto ciò che motivava il carnevale è morto.Il carnevale era il momento Indico che precedeva il momento me-ditativo della quaresima. Era la -follia collettiva che precedeva ladimensione di introspezione e di ripensamento che il periodo pre-pasquale suggeriva. Ma queste realtà appartengono al passato. Laquaresima vale per la ristretta comunità dei credenti. Fra carnevalee quaresima non c'è più cesura da quando i segni del sacro si van-

no diradando nella consapevolezza collettiva. I recuperi che si fan-no del carnevale così come storicamente si disegnava assumono unvalore folkloristico, se non addirittura mercantile e turistico. Per-ché allora il carnevale impazzisce se non esiste più la quaresima?Perché si cerca un appiglio estetico alla vita, quando scompare o sìsmarrisce il riferimento etico e religioso? Il bello è che questo ri-nascimento del carnevale e del mascheramento si da proprio quan-do la secolarizzazione è più accentuata, dal momento che non *o-no solamente venuti meno i tradizionali riferimenti religiosi, maanche le grandi ideologie laiche, le ideologie politiche abbracciatecon devozione rituale, se non con fanatica adesione, segnano il passo.Ricordo gli anni '70 con la loro accentuata diffidenza verso questecose. Ma ricordo anche una passeggiata in piazza Maggiore a Bolo-gna, al tempo della dura rivolta del '77, quando protestare diventa-va improvvisamente, nella dissoluzione di ogni -fiducia verso istitu-zioni e partiti, fare il girotondo in piazza... Studenti, giovani, -face-vano la rivoluzione perché si mantovano d'edera, si tatuavano e gio-cavano in piazza. Era già un segnale... Un mio amico, sornione, com-mentava che in tutto ciò si riscopriva una repressa dimensione delgioco, di quel gioco che da adolescenti cittadini si era messo daparte o prematuramente abbandonato. In realtà c'era questo mac'era qualcosa di più. Ed è quel di più che ci rivela anche il car-nevale di quest'anno. Il carnevale è morto, la maschera no, la ma-schera trionfa. Ed è un trionfo inevitabile. Nell'età in cui più dif-ficile ed aspro diventa il controllo di meccanismi sociali sempre piùestranei se non nemici, quale altro spazio di creatività può restaree quale originalità si può gridare?Questo è il meccanismo perverso del mascheramento. Vn meccani-smo sempre più ambiguo (e l'ambiguità accentuata era la carta diidentità delle maschere di quest'anno) per nascondersi, per mutarsi,per dire un disperato bisogno di autenticità.Tutti in giro, vestiti e mascherati al di fuori, in un'esteriorità soloapparentemente giocosa, ma dentro tutt'altro che in maschera. Que-sto diaframma, solo apparentemente richiuso era in realtà il segnaleinquietante... Tristi Pierrot, tutti quanti, alla ricerca di esperienzevere...Ma l'ambiguità non è solo nella maschera, è anche nella risposta.La società mercantile sa infatti assorbire e macinare tutto. Anchela domanda, di mascheramento e di apparente espressione ludica.Pensate a. Venezia e al suo carnevale commerciale e ai suoi disperatiavventori. Ore in treno, ore per prendere un vaporetto, ore di calcafaticosa e opprimente... Eppure il più grande assembramento diquest'anno non è per protestare per la Polonia o per il Salvador, èper il carnevale. Vn carnevale allucinato, descrìtto acutamente da

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quel cronista che raccontava la passeggiata mattutina dei genitoriveneziani con bambini e mascherine, costretti a depistare tra tanti,troppi giovani in sacco a pelo con qualche siringa qua e là e con unacre profumo di tristezza. Poco lontano, il ministro De Michelis,profeta dei nuovi assetti delle partecipazioni industriali di stato, da-va una festa mascherata ininterrotto di tre giorni come nei vecchisalotti borghesi del '700 di Venezia lugubre e decadente.Sì, ritorna la maschera e trionfa l'effimero. Rannicchiato ad osser-vare ho ripensato ad una splendida sequenza di Ermanno Olmi nelsuo film su Degasperi. Vn Degasperi giovane, di giovedì grasso chevede le maschere infittire, l'anno precedente la prima guerra. Nonsi accorgevano della catastrofe, pensava... Al solito tango e tarallucci,mentre il bisogno di verità resta senza risposta.Il bisogno della maschera ha dunque due facce: l'illusione di unaeffimera creatività e la consonanza con una società che ci vuolemaschere.Ben venga l'allegria, ben venga un poco di spensieratezza; ne abbia-mo tutti bisogno. Ma quando esse sono la polvere colorata sottocui si nasconde molta, troppa tristezza, ebbene è di questa che cidobbiamo occupare.Perché la stanchezza che ci avvolge e ci incupisce non merita ma-schere, non merita paurose fughe e vili dinieghi.Essa è il segno di un vuoto profondo e rivelatore, che emerge den-tro la vita sociale.Dei tristi Pierrot non dobbiamo considerare la foggia e l'aspetto,ma dovremo piegarci sulla loro stanchezza dì vivere. Nessun mora-lismo dunque. Ma guardiamo dietro le maschere e non solo allemaschere.Riunire quel diaframma è un compito anche del nostro coraggio edella nostra testimonianza dì vita. Non per abolire le maschere maperché esse siano solo quello che sono, stracci che hanno l'onoredi un giorno. Non vorremmo che fossero gli stracci veri indossatiper una vita. •

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Il panorama internazionale dentro e fuori i blocchi

Quando le trombe di Gerico ^suoneranno per i "dannati della terra

di PAOLO GIUNTELLA

Passato sotto gamba per il prevalere delle notizie provenienti dal campo(Polonia, Salvador) a Madrid si è consumato un funerale: il cadavereè quello dell'Atto di Helsinki. La famosa carta firmata alla prima Con-ferenza per la sicurezza europea che era diventata un punto di riferi-mento per i dissidenti sovietici e cecoslovacchi impegnati nella difesadei loro diritti umani e civili con la rivendicazione di un « atto » sot-toscritto dai governi dei loro paesi, e che era stata invocata anche daipolacchi all'inizio del loro autunno d'oro dell'80, è stata in realtà com-pletamente disattesa ad Est. Ma i governi occidentali, e soprattutto quel-lo americano che a Madrid hanno ripetutamente accusato l'Urss dellepalesi violazioni della carta e dello spirito di Helsinki, a loro volta nonsono credibili per il gulag centro-americano.Chi paventava il duro arretramento delle condizioni politiche dell'Ameri-ca Latina dopo l'elezione dello scadente cow boy in celluloide RonaldReagan a presidente degli Stati Uniti, è stato servito. La testimonianzadiretta di Juan Fabio Terra, presidente del Partito Democratico cristianouruguayano (fuori legge nel suo paese) e di Luis A. Resck, leader inesilio del PDC del Paraguay, a Roma il 20 febbraio, conferma la radicalesvolta dopo la timida presa di distanze di Jimmy Carter. Tutti i regimidella cosidetta « sicurezza nazionale » sono stati rapidamente rafforzatidall'elezione di Reagan, del resto sostenuta (anche da comitati elettoraliespliciti durante la campagna per la Casa Bianca) da tutte le « grandifamiglie » di tutti i paesi latino-americani a gestione militare e da tuttele oligarchie economiche e sociali che sostengono quei regimi.In pochi anni è tramontata la politica della distensione ed è tornata pre-potente alla ribalta la logica della spartizione in zone di influenza. Unasvolta che non solo « congela » Yalta, ma anzi ne rappresenta la suaespansione non scritta. E nelle zone non tacitamente definite le due su-perpotenze si affrontano in modo indiretto, lasciando che i popoli senzadiritto e senza voce facciano da comparse e controfigure del conflitto.

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L'astuzia sovietica dell'« autoinvnsione »

Cosa è cambiato in questi anni? In Unione Sovietica, a fronte di unacrisi economica cronica che soltanto la potenza militare e l'impero co-loniale riescono a nascondere o rinviare, la gerontocrazia al potere spen-de i suoi ultimi anni di vita nel prestigio effimero di un potere nomi-nale che in realtà invece è completamente in mano alla grande burocra-zia militare. Nazionalismo, patriottismo, militarismo, le vere gambe chetengono in piedi il colosso ideologico non più creduto (soprattutto neipaesi satelliti dell'Est europeo), hanno determinato una forte ripresa dipolitica egemonica in Africa, di sicurezza di frontiera in Asia (Afganistan,Cambogia) e di contenimento difensivo in Europa (SS 20 e SS 21). L'in-cidente polacco non poteva essere sopportato, soprattutto per i suoi rì-schi « esemplari » (non tanto sul piano delle capacità di contagio ideolo-gico di Solidarnosc, fenomeno che affonda le sue radici in uno specificonazionale difficilmente ripetibile) nei paesi dell'Est. Poteva trasformarsiin un pericoloso tallone d'Achille a questa nuova sistemazione sovieticadopo le perdite dell'Egitto in Medio Oriente e dopo la rottura con la Cinain Estremo Oriente. Così la macchina repressiva prima o poi è scattatae con la dovuta intelligenza, dopo la lezione dell'Afganistan: auto-inva-sione militare polacca. Una soluzione eccellente e « innovativa » nelladiplomazia sovietica, perché fondata sull'estremo utilizzo dell'esercito,unica istituzione ancora rispettata tra quelle del regime. Ma d'ora innan-zi definitivamente screditata. L'« auto-invasione » è stata una scelta divera intelligenza, perché in questo modo ha depotenziato definitivamentele velleità dì metter bocca dall'Occidente. Troppi interessi commercialie economici, troppi crediti con la Polonia delle banche occidentali, troppiinteressi commerciali ed economici in Unione Sovietica per arrivare ascelte di grave rottura. L'autoinvasione ha tolto le castagne dal fuocosoprattutto alla Germania Federale, ma anche agli Stati Uniti. Il boxerReagan si è limitato a ringhiare, poi ad abbaiare. Le sanzioni, si sa,sono una pura formalità. Del resto, da almeno dieci anni non siamo« in sanzioni » anche con il Sud Africa? E chi mai se n'è accorto. Anzi.Le importazioni da quel paese e le esportazioni da quel paese sono cer-tamente aumentate.Paradossalmente in questo i due grandi della terra hanno ragione: lospirito della guerra fredda, rivissuto con qualche attenuazione, conservala pace. Almeno tra i due. Trasferisce le tensioni nei paesi terzi, in que-sti biblici punti caldi divenuti « terra di nessuno », rafforza il bipolari-smo. Non ascoltate anche voi questo sinistro silenzio cinese? Dopo averabbaiato per l'Afganistan, dopo averle prese nella passeggiata e fuga inVietnam, il Pechinese è stato zitto per la Polonia, nonostante tutti iflirts con certi leaders reazionari europei. Che l'effetto Walesa possa ser-vire a Mosca e a Pechino per una riavvicinamento « soft » senza inci-denza sui rapporti tra Pechino e Washington?

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Africa e Asia sullo sfondo...

L'Africa, la terra di maggiore conquista dell'Unione Sovietica è ridottaad un immenso continente di partiti unici e cuadilli incerti. Restanoquasi completamente soli i grandi leaders umanisti cristiani Julius K.Nyerere (Tanzania) e Kenneth O. Kuanda (Zambia), entrambi però allaguida di partiti sostanzialmente unici, e Robert Mugabe, anch'egli av-viato al modello del partito unico. Per contro i gravissimi problemi ^elSudan del Sud, dell'Ógaden, dell'Uganda dopo la guerra di liberazionecontro Amin e la successiva cacciata di Lule con il ritorno di MiltonObote ancora in balìa di una situazione incerta, di soldati sbandati, ingrave crisi di stabilità politica oltre che di risorse alimentari, la repres-sione etiope in Eritrea, hanno creato in tutto l'Est Africa un vero e pro-prio popolo di profughi, quasi tre milioni e mezzo di persone divisi indiverse zone, solo in parte nei campi di accoglienza. Ai focolai tradizio-nali si aggiunge così il confronto tra le due superpotenze e tra i dueblocchi, tra sorveglianza politico-militare sovietica e interessi economicidell'Europa occidentale.In Asia cresce il gigante Giappone, interessato ad una influenza di tipoessenzialmente mercantile sul continente e alla penetrazione massicciasui mercati occidentali. La Cina sì avvia ad un nuovo corso di buonirapporti sia con l'Ovest (in funzione antì-sovietica e di rapporti econo-mico-commerciali e di scambio tecnologico) sia con l'Est. Di qui il lento,controllato, riawicinamento all'Unione Sovietica, la moderata adesioneal « golpe » di Jaruzelski. Il Vietnam di ortodossa confessione sovietica(in funzione anticinese) si avvia a consolidare una sua vocazione egemo-nica antica sui paesi confinanti. Instabilità e regimi autoritari contrad-distinguono i paesi (sufficientemente corrotti) asiatici di collocazione oc-cidentale, mentre la variabile indipendente Iran sembra assestarsi nel-l'orbita sovietica. Solo così può infatti frenare lo stillicidio interno deimujaidim di sinistra e la resistenza kurda, tradizionalmente aiutati daisovietici nel periodo dello Scià. Ma in quell'area lo scontro di interessieconomico-politico-strategici delle due superpotenze è ancora aperto. El'Iran è un caso che rende provvisoria ogni evoluzione iraniana.La situazione di Afganistan e Turchia è nota. Qui, davvero, sembra pre-valere in modo netto la logica di Yalta. Mentre nel Medio Oriente, dovesi assiste alla cadaverizzazione progressiva del Libano, le variabili possono essere molte e persine imprevedibili. Gli Stati Uniti sembrano es-sere sempre più prigionieri d'Israele e sempre meno convinti dell'aiutopolitico sin qui espresso. Ma sono quasi in un « cui de sac » perché purdisapprovando le ultime mosse israeliane, sono impotenti di fronte allapolitica eli Begin. Anche per ragioni interne (il peso economico politicodegli ambienti ebraici americani).L'Europa è depotenziata dalla crisi economica e dalla frammentazionedelle politiche estere dei diversi « poli » (Francia, Germania, Gran Bre-tagna) e dagli interessi economici dei diversi paesi. Una sottile voganeutralista si interseca con le tradizionali correnti filo-americane e l'Ost-politik socialdemocratica tedesca non sempre coincide con gli interessi

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di altri « poli » e paesi della Cee. Mai terra più vocazionalmente chia-mata alla mediazione tra le due superpotenze e ad un ruolo originalenel contesto internazionale, è stata così depotenziata come capacità diiniziativa. Con il rischio crescente di una omologazione di metodi e ruo-li delle multinazionali euro-occidentali ai metodi e ruoli delle multina-zionali nordamericane. Con il rischio di pratiche non diverse nei paesilatino-americani.

Multinazionali e « grandi famìglie »:il neocolonialismo latino-americano

In America Latina è in atto uno scontro storico tra le vecchie oligarchiee i fronti politici progressisti d'opposizione politica o armata. Interessistrategici e politici statunitensi si intrecciano con i rigurgiti dei potentatioligarchici più tradizonali. Miopìe delle « grandi famiglie » sudamericanee centro-americane, si intrecciano con le miopie strategiche statunitensie con la « sindrome » Cuba-sovversione del più arcaico anti-comunismoideologico. Ma, certo, è in atto anche qui, dal Salvador al Guatemala,dall'Argentina al Cile, al Brasile, da Panama alla Bolivia, un confrontoindiretto senza esclusione di colpi tra Usa e Urss. E la realtà è un« gulag » profondo. Massacri, eccidi, assassinii di sindacalisti, preti, suo-re, catechisti, militanti d'opposizione anche moderati, la pratica diffusa,sino ai confini dell'immaginazione, della tortura e delle « sparizioni ».La storia emblematica del Salvador (cinquant'anni di dittatura militaree di dominio delle 14 grandi famiglie) o del Nicaragua (dove la tradi-zione sandinista nasce dalla sconfitta della rivoluzione « liberale » ad ope-ra degli americani negli ultimi anni 20 e si conserva come patrimonio« underground » sotto il susseguirsi di dittature sino al terrificante regi-me di Somoza) possono essere assunte come storie esemplari del rap-porto coloniale tra America Centrale (e più complessivamente tra Ame-rica Latina) e Usa. Il colonialismo americano si è espresso soprattuttoattraverso le multinazionali private ed oggi si esprime, in America Cen-trale, anche per motivi di sicurezza strategica e politica. Dopo Cuba gliStati Uniti considerano l'America Centrale, e per estensione tutto il sub-continente latino americano, come terre cuscinetto rispetto al potenziale« accerchiamento » sovietico. Alla stessa stregua del ruolo strategico chel'Urss affida alla cintura dei paesi dell'Est europeo e alle regioni musul-mane e alla Mongolia in Asia.Il problema vero, dunque, che si pone oggi, di fronte a questo foscopanorama internazionale è come uscire dall'impasse delle zone di influenza delle due potestà imperiali. Non c'è dubbio che dopo la libera-zione filo-sovietica (e non filo-cinese) del Vietnam, dopo l'invasione del-l'Afganistan, il tripolarismo « Usa-Urss-Cina » degli anni di Nixon, è en-trato in crisi a vantaggio della restaurazione dell'antico bipolarismoUsa-Urss. Arsenali militari e tecnologia sofisticata hanno accentuato, ilritorno bipolare e non è casuale la contesa sugli euromissili. In questo

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contesto le uniche variabili sono infatti rappresentate, su un terreno nonmilitare bensì economicc-industriale-tecnologico, dal Giappone e, in mo-do secondario, dalle due Germanie.Come uscire dunque. La prima amara osservazione che viene da fare èche la capacità di autoliberazione dei popoli, nell'età nucleare, è forte-mente diminuita rispetto a cento anni fa, all'età dei risorgimenti nazio-nali. L'equilibrio atomico congela i blocchi. Soltanto nei territori di « con-fine » tra i blocchi (i casi Egitto e Iran) sono tollerabili dei mutamentidi schieramento. *L'altro elemento inquietante è la crisi delle classi dirigenti nei paesi in-dustrializzati e in particolare nelle due super-potenze. Crisi di leadership,crisi eh" immaginazione politica, di fantasia di governo, scarsissima ca-pacità di inventare un nuovo futuro. Da questo punto di vista rispettoall'età di Kennedy e Krusciov (che era poi anche l'età di De Gaulle, diPapa Giovanni e dì La Pira) c'è una radicale e progressiva caduta diimmaginazione politica internazionale. E il ritorno alla logica delle in-fluenze è drammaticamente marcato. Taluni effetti moderativi (se nonrestaurativi) della conferenza di Puebla rispetto a Medeìlin e al pontifi-cato montiniano, si cominciano ad avvertire nelle Chiese latino-americanedove le posizioni aperte diventano minoritarie. Era minoranza Remeròin Salvaclor; è minoranza il suo successore (per altro più cauto) Riveray Damas. La conferenza episcopale del Guatemala è divisa. I vescovi ar-gentini sono abbastanza conservatori, sembra isolato Silva Henriquez inCile. La Chiesa trainante brasiliana, a sua volta, rischia di essere «iso-lata » nel contesto continentale. I gesuiti, che in America Centrale hannoavuto un ruolo determinante, e hanno pagato un altissimo prezzo dimartiri, dì sacerdoti e missionari torturati o espulsi, rischiano di vedermutare la linea complessiva della Compagnia ai vertici. E questo muta-mento, sia pure non ancora definito e definitivo, può depotenziare ilmovimento di liberazione d'ispirazione cristiana e l'alternativa nonviolentaa vantaggio di una radicalizzazione della guerriglia senza esiti realmen-te nuovi.

Solidarietà, resistenza Mori-violenta, preghiera

Come uscire. Determinante sarebbe la conoscenza reale delle tendenzeemergenti o sotterranee del gruppo dirigente sovietico e della sua buro-crazia militare. Probabilmente soltanto un mutamento, un'apertura inter-na all'Unione Sovietica potrebbe (sia pure determinando condizioni da« polveriera » nell'Est europeo) determinare lo sblocco della situazionesoprattutto in assenza di un ruolo propulsivo di mediazione dell'Europa.Giacché quanto accade negli Stati Uniti, anche a livello di ricambio diLeadership politica, è legato alle maggiori o minori chiusure sovieliche.Certo negli Stati Uniti, dopo questi tetri anni di piombo della presidenzaReagan, sarebbe indispensabile (anche se non risolutivo per l'AmericaLatina) un radicale mutamento di leadership. Jnsomma dovremmo tutti

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mobilitarci, persine con le preghiere (le trombe di Gerico di La Pira)per le prossime elezioni americane.Quali altri alternative? Forse resta la speranza nella «conversione» de-gli uomini e nella forza dello Spirito Santo. Variabile politica e auten-tico realismo di cui troppo spesso ci dimentichiamo. La forza delletrombe di Gerico (la preghiera) non è così impolitica come sorridendosì può a prima vista pensare. Soprattutto nell'età della paura nuclearee della crisi delle democrazie di massa e dei nuovi dispotismi. Per que-sto, molto più di quanto non sembri, la frontiera ecclesiale è delicata ecentrale. Tenuto anche conto che tra vent'anni la maggioranza dei cat-tolici sarà terzomondista.Cari amici, vi sembrerà paradossale, ma oggi lavorare per la pace e peruna meno oscura politica internazionale, chiede due impegni, su duefrontiere. Un duro lavoro dì competenza e di ricerca scientifica sullafrontiera della cooperazione internazionale (con l'acculturazione telema-tìco-informatica che questo comporta) e una ripresa della preghiera edella riflessione profonda e della divulgazione popolare, teologica. Il checomporta una forte non rassegnazione, Io studio delle lingue per esserepiù collegati con altri movimenti in tutti i paesi, e un atteggiamentospirituale di consolidarietà con tutti gli eventi e con tutti i martiri del-la terra. Per operare sulle opinioni pubbliche: a livello di informazionediffusa, e a livello di opinione pubblica cristiana perché la comunitàcristiana nel mondo diventi tuia comunità mondiale di obiettori di co-scienza, di resistenti nonviolenti, di pedagoghi della liberazione. E perquesto occorre lavorare per fare un po' di pulizìa rispetto ai « cui desac » « ideologici » rinascenti anche in area cattolica e non solo in Italia(tornano certe aspre parole d'ordine anticomuniste e certe ambigue tesi« nazionaliste » preoccupanti), ma anche di fronte ai soli languori senti-mentali e provvisori, ai meri moralismi, falsamente spirituali. Riscoprireil senso « politico » della preghiera e della conversione (le trombe di Ge-rico) non deve essere confusionismo o cretinismo evangelico ma la scel-ta di una spiritualità virile, energica, forte da tradurre in laicità politicanon arruffona e micro-partecipativa, ma capace di fermentazione demo-cratica senza confini. •

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Le prospettive della « terza dimensione »

Oltre lo Stato e il Mercatodi LUCIANO IMPERADORI

Di fronte agli insuccessi e alle contraddizioni dei sistemi conosciuti,si è parlato e si parla ancora oggi di « terza via » significando conessa un'alternativa sia ai modelli capitalìstici che ai modelli di so-cialismo come si sono concretizzati nel mondo.In realtà la « terza via » è un po' come l'araba fenice: di fronte allacrisi dei sistemi noti, molti la auspicano, ma nessuno sa dove sia.Più opportuno mi sembra invece rovesciare il problema, come fa ilsociologo Ardigò, e partire, anziché da modelli ideologici, da osser-vazioni sulla struttxira dei comportamenti delle persone nell'attualesocietà.Nasce così il discorso sulla « terza dimensione », una dimensione cioèche più che sostituirsi, si affianca alle altre.La terza dimensione è stata definita infatti dal sociologo Ardigòcome quello spazio che esiste fra il mercato e lo Stato.Una dimensione dove le azioni delle persone non hanno necessaria-mente e immediatamente delle contropartite.Nella logica di mercato infatti la contropartita è il denaro mentrein quella dello Stato assistenziale è il consenso politico.Ma la crisi della società consumistica, anche là dove è giunta all'a-pice, dimostra come le contropartite materiali, l'edonismo, il soddi-sfacimento dei piaceri personali, non sono sufficienti al riempimentodella vita umana. Nascono allora i vuoti, le frustrazioni, le alienazio-ni e tutti i « mali » dell'uomo moderno.Infatti l'essere umano vive soprattutto nella misura in cui è capacedi dare, oltre che di ricevere, quando cioè si sente parte di un pro-cesso creativo più grande di lui, un « banco di lavoro » al quale egh*da il suo quotidiano contributo (Laborern exercens).Per converso anche l'Ente Pubblico, lo Stato, ma anche la Provincia,il Comprensorio, il Comune, come compratori di consenso, sono inevidente crisi. II modello assistenziale ha prodotto dei danni tali sultessuto sociale da trasformarne non solo la struttura, ma ancor piùprofondamente la cultura.

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II corporativismo, il rivendicazionismo a tutti i livelli non sono altroche l'espressione manifesta del prezzo sempre più alto e quindi del-la mercificazione del consenso.Si scatena allora la contrapposizione e quindi la lotta fra gruppi so-ciali (ben altra cosa rispetto alla lotta di classe!) per spartirsi unatorta che diventa sempre più piccola a causa del limite fisico postoalle risorse energetiche rinnovabili.Ma anche qui, il raggiungimento di un obiettivo, sia un contratto,uno stipendio, una pensione privilegiata, scatena immediatamenteuna rincorsa al rialzo perché la propria condizione sociale non vie-ne misurata di per sé, ma sempre in confronto con qualcun altro.Un equilibrio che, fra una rincorsa e l'altra diventa necessariamen-te instabile perché non mira all'eguaglianza come frutto della giu-stizia sociale, ma è causa di giungle retributive e normative. Gorrieridel resto lo ha messo in luce molto bene.E non sono tanto le diversità salariali a far nascere le differenze,ma soprattutto la normativa: gli orari, la pensione anticipata doposoli quindici anni di lavoro, le prestazioni gratuite per i dipendentidel tal o del talaltro ente, la possibilità di fare dell'assenteismo unanorma di lavoro, eccetera.Quando viene il tempo in cui bisogna stringere i cordoni della borsa,e operare i tagli di bilancio perché, come si è detto, le risorse nonsono infinite, allora il consenso ottenuto con l'elargizione assisten-ziale viene necessariamente meno.La politica dei sacrifìci non è oggi una scelta per un modello di-verso di vita e di lavoro, frutto di un consenso ragionato, ma piut-tosto una imposizione autoritaria. Quindi come tale a soffrirne so-no sempre i più deboli, i più indifesi.Se poi rapportate sul piano internazionale, queste riflessioni svelanola volontà di potenza che sta dietro alla drammatica corsa agli ar-mamenti.

Una produzione creativa di valori d'uso

Orizzonte catastrofico quindi?No! In parallelo alla crisi della dimensione mercato e della dimen-sione Stato si sviluppano nuovi comportamenti che non mirano aduna contropartita se non di gratificazione sociale. Lo si capisce damolti segni positivi, da molte novità, che, a ben guardare, non sonotali, anzi alcune di esse pensavamo di averle relegate in soffitta. Ac-canto ai nuovi impegni in campo ecologico e del servizio civile, ri-spuntano il volontariato, le bande, ]e filodrammatiche, le marce non

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competitive, le mostre d'altri tempi, e in qualche paese persine glioratori. E nel campo produttivo ecco che si rifa spazio la produzionedi mercé come valore d'uso e non come valore di scambio. Si tornaalle attività vernacolari come dice Illich nel numero 3 del 1981 delMargine. Basta leggere certi annunci nelle riviste, specializzate enon, per capirlo. Quelli che una volta erano hobby stanno diven-tando vere e proprie professioni: secondo lavoro molto spesso piùimportante e più gratificante del primo. •>Viene così appagato il bisogno di partecipazione, di identificazionee di riconoscimento sociale, di creatività che si dimostra per la per-sona altrettanto importante, se non più importante, dei bisognielementari.Ed è anche giusto che il concetto di bisogno (vedi anche la AgnesHeller) non sia un fatto legato ad una dimensione esclusivamentemateriale, ma che per l'uomo abbia una valenza soprattutto psicolo-gica e sociale.E ciò vale in genere per tutte le nazioni industrializzate, sia dell'Estcome dell'Ovest. In esse man mano che i problemi della sopravvi-venza fisica, per milioni di persone sono stati superati, sono venutia galla i problemi della sopravvivenza culturale. L'appiattimento cul-turale e l'isolamento familiare prodotto dal mezzo televisivo hannoacutizzato questo aspetto. Certamente per il Terzo mondo, per lastragrande maggioranza dell'umanità che ancora soffre la fame ildiscorso è molto diverso, ma è indissolubilmente legato al primo.Le nazioni in via di sviluppo rimarranno in questa condizione finoa che non si attuerà un profondo cambiamento culturale nelle na-zioni « ricche »!Occorre cioè che a livello di massa si accetti e si costruisca una pro-spettiva di un mondo a basso profilo energetico, ma ad elevato pro-filo culturale che utilizzi appieno le risorse e le potenzialità umane,risorse che in primo luogo sono nell'uomo stesso come « essere so-ciale ».A questo punto occorre esaminare anche lo spazio operativo chetale realtà di terza dimensione può trovare anche per consolidarsimeglio.La cooperazione a questo proposito mi sembra una proposta inte-ressante. •

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II documento della CEI del 23 ottobre

Con gli M ultimi" per ritrovareun nuovo gusto di vivere

di MICHELE NICOLETTI

La bellezza sembra essere ormai attributo esclusivo dei frammenti scin-tillanti di epoche antiche, rinvenuti per caso. Oggetti, pensieri, esperien-ze, sofisticate e raffinate, giudicate belle perché inafferrabili, comunquefuori dal tempo, possedute solo dal ricordo e dalla nostalgia. Che ci pos-sano essere poi delle cose anche buone oltre che belle, è possibile, madel tutto secondario. Raro, se non da escludersi, che le cose innanzituttobuone siano anche belle. L'intima unità di bellezza e bontà, percepita egustata da altre epoche, ha lasciato il passo al conflitto tra estetica edetica, in cui noi uomini di oggi finiamo per smarrire noi stessi e le cose,più che trovarci e ritrovare.Ma è questa unità che ricerchiamo.E' con questo spirito che qui ripercorriamo il documento che il 23 ot-tobre scorso il Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italia-na ha scritto sul tema « La Chiesa italiana e le prospettive del paese ».Perché in questo documento la profonda ispirazione teologica e spiritualesi traduce in una forma linguistica nuova e ricca di fascino per un testoecclesiastico: piena di umiltà, di discrezione, di autocritica, di delicatez-za, di speranza.Perché è un documento profondamente consapevole della nuova condi-zione storica della Chiesa italiana e al tempo stesso deciso a non percor-rere nostalgici disegni di « riconquista » del mondo. Una Chiesa fortesolo « della croce del Signore Gesù Cristo », là dove l'assoluta povertàannuncia la liberazione e la risurrezione.

Capire il momento e affrontare la crisi

II documento è animato dalla prima all'ultima riga da una profonda« teologia della speranza nella storia », da una convinzione e una fiduciaradicata che la storia dell'uomo è l'orizzonte in cui la salvezza si mani-festa e cammina, in cui la liberazione sì annuncia possibile e comincia-li luogo della speranza di cui l'uomo ha bisogno, non è indicato dai Ve-

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scovi nella ruga dalla storia, nel ricordo nostalgico del passato, ma nel« futuro » del Paese.Tutto questo non è secondario. La cultura della crisi, il nichilismo quo-tidiano, ha logorato profondamente ogni fiducia e ogni speranza nel tem-po, nella possibilità di un cambiamento, e la parola « domani », la parola« futuro » che in altri tempi portava con sé la pienezza della vita, appareoggi sgualcita, vuota, priva di significato e risonanza. Rigiocare se stessinel futuro, e non in un futuro astratto, ma nel futuro concreto di questopaese, non è un atto pienamente consolatorio o semplicisticamente otti-mistico; nasconde in sé la certezza teologica che il mondo non è conse-gnato al nulla, alla distruzione o al non-senso, che il Regno di Dio èdavvero cominciato e continuamente ci aspetta oltre questo oggi. Laconsapevolezza radicale della crisi non produce un atteggiamento apoca-littico, non porta a un giudizio di non-senso nella storia, né si rifugianella memoria di epoche felici del passato, spalanca invece le porte deltempo, e indica nell'impegno per il futuro la possibilità dì una vita dì-versa.Un secondo elemento che attraversa tutto il documento, strettamente col-legato al primo, è il senso di condivisione profonda da parte della Chiesanei confronti delle vicende del paese. Non si tratta di solidarietà o dipreoccupazione espressa dall'esterno, ma è invece un riconoscersi partedi un unico mondo, di un'unica storia, portatori delle stesse responsabi-lità e delle stesse speranze degli altri uomini. Lo stile di profonda umil-tà, di costante autocritica con cui i Vescovi si rivolgono al Paese, non èun semplice fatto formale, nasce invece dalla consapevolezza di chi sadi non avere soluzioni magìche da proporre, ma solo un cammino diricerca che sappia superare errori comuni: « Le persistenti difficoltà cheanche l'Italia sperimenta oggi non sono frutto di fatalità. Sono invecesegno che il vertiginoso cambiamento delle condizioni di vita ci è larga-mente sfuggito di nano, e che tutti siamo stati in qualche modo ina-dempienti » (n. 3),La crisi del paese non nasce a causa di oscure forze del destino, di unaperversa meccanicità delle cose. Essa nasce da responsabilità umaneprecise che hanno costruito strutture e relazioni oggi ingovernabili eresesi autonome dalla guida e dal controllo dell'uomo. Non si trattaperò solo di un problema di ordine o di anarchia di un'organizzazionesociale in crisi, ciò che interroga e che impone di cambiare sono « lesituazioni degli emarginati, che il nostro sistema di vita ignora e perfinocoltiva » (n. 5).Il segno drammatico della crisi non è individuato nella disorganizzazio-ne, nella « scristianizzazione », nella caduta dell'autorità o in altro, il se-gno che occorre cambiare, che non si può non cambiare è dato dal fattoche questo sistema ormai produce « fisiologicamente » emarginazione. Nonè più possibile illudersi che la povertà sia una situazione non ancorarisolta dallo sviluppo e dal progresso: è questo tipo di progresso checrea nuova povertà, che toglie dignità a intere categorie di persone.

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Occorre un « nuovo cambiamento sociale »

E' questa la coscienza nuova della Chiesa italiana: occorre un « nuovocambiamento sociale », lo sviluppo dell'attuale ordine sociale non por-terà ad una risoluzione dei problemi, ma perpetuerà e incrementerà lesituazioni di emarginazione. E' da questa consapevolezza che nasce lascelta di campo, la scelta dell'interlocutore che la Chiesa indica a se stes-sa e a tutto il Paese. « Bisogna decidere di ripartire dagli "ultimi " » {n. 4).Scegliere gli "ultimi" non vuoi dire scegliere un nuovo oggetto di at-tenzione e di intervento pastorale e sociale, non vuoi dire occuparsi deipoveri o degli emarginati. Significa più profondamente affermare che ilsoggetto della liberazione storica dalla crisi attuale sono gli " ultimi ",« chi ancora chiede il riconoscimento effettivo della propria persona edella propria famiglia », « la gente tuttora priva dell'essenziale: la salute,la casa, il lavoro, il salario familiare, l'accesso alla cultura, la parteci-pazione » (n. 4).E' essenziale cogliere la novità di questa posizione che è in qualche mo-do la chiave di lettura di tutto il documento, che altrimenti rischia divenire ignorato oppure interpretato con categorie tradizionali. Il docu-mento analizzato non è il frutto di una Chiesa da sempre ininoritaria,avversata dal potere politico, preoccupata delle condizioni di oppressionein cui vive il proprio popolo: si tratta della Chiesa italiana, mia Chiesache negli ultimi trentacinque anni ha visto la propria vicenda storicaintrecciarsi variamente con le for^e politiche di governo, che ha operatoper anni in un paese a larghissima maggioranza dì fede e di costumi« cristiani » insomma una Chiesa fino a qualche tempo fa maggioritaria,che era abituata a concepire l'impegno dei cristiani nella storia nella« forma » del governo della società, per la quale gli « ultimi » erano ipoveri da promuovere ed emancipare, l'oggetto della propria missionespirituale e temporale.La prospettiva che emerge dal documento è piuttosto quella di una Chie-sa ormai minoritaria e fuori dai processi decisionali del paese. In que-sta situazione di povertà riscopre la propria missione di oggi sotto unanuova luce e indica una strada d'uscita dalla crisi e il soggetto di questaliberazione: « con gli " ultimi " e con gli emarginati, potremo tutti recu-perare un genere diverso di vita. Demoliremo, innanzitutto, gli idoli checi siamo costruite (...). Riscopriremo poi i valori del bene comune (...).Ritroveremo fiducia nel progettare insieme il domani (...). E avremo laforza di affrontare i sacrifici necessari, con un nuovo gusto di vivere » (n. 6).E' la stessa visione della promozione umana che viene in qualche modoad assumere un significato nuovo: l'uomo sfruttato, offeso, povero, emar-ginato non è più l'oggetto privilegiato dell'opera di promozione di altriuomini, ma diviene il soggetto della propria liberazione e l'operatore del-la liberazione di tutti, diviene la misura reale delT« umanità » di unasocietà.Sbaglierebbe chi interpretasse questa scelta come la scelta di una « fa-zione » del paese, come una scelta per la divisione. E' invece la sceltaper la realtà popolare del paese, di ogni estrazione, cultura e schieramen-

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to, che oggi rischia di essere manipolata dall'industria culturale, esauto-rata dalle elìtes al potere, lasciata nella disoccupazione e nella precarietàdei gruppi economici dominanti. « Ripartire dagli ultimi » significa cer-care una soluzione alla crisi che sìa una soluzione di tutti e per tutti,in cui tutti trovino posto, e non una via d'uscita per i pochi già privi-legiati fatta passare sulla testa di tutti.« II Paese non crescerà, se non insieme. Ha bisogno di ritrovare il sensoautentico dello Stato, della cosa comune, del progetto per il futtijp »(n. 8). « II Paese non può dare deleghe in bianco a nessuno: ha bisognoe ha ìl dovere di partecipare » (n. 9). « II Paese chiede di lavorare » (n.10). Crescere insieme, partecipare, lavorare costituiscono diritti fondamen-tali della gente che non possono non essere rispettati. Ma rispettarli si-gnifica nella crisi attuale operare per un profondo cambiamento sociale.E' interessante notare come il documento prenda le parti della gente: èa questa che le situazioni, le strutture, l'autorità devono adeguarsi, e nonviceversa.

Chiesa e cristiani a servizio del paese

Questa mutata situazione impone alla Chiesa una conversione continua:ripartire dagli ultimi richiede una comunità ecclesiale che viva nell'ac-coglienza degli ultimi, facendo risuonare la Parola che Dio ha detto perloro nelle proprie liturgie, nelle proprie comunità, nel proprio servizioagli uomini e alla storia.Il capitolo del documento dei Vescovi che descrive lo stile di presenzadella Chiesa nella società, inizia, prima ancora che riaffermando il pri-mato della missione spirituale della Chiesa nel mondo, raccomandandol'atteggiamento di umiltà, di condivisione, di coerenza al proprio inse-gnamento.Offrire una speranza agli uomini, ed una speranza nel futuro concretodel loro paese, impedisce una chiusura dei cristiani « nelle società o nelprivato ». Ma con altrettanta forza e decisione si esclude anche una pre-senza di «contrapposizione», di concorrenza, di privilegio.Di nuovo viene ribadita la volontà di non costruire una storia parallela,di non voler condannare la storia del mondo, ma al contrario di sentirsidentro dì essa impegnati per la sua liberazione, pieni di affetto e di soliclarietà. « Non si abbia paura di noi » si legge nel documento, quasi adinvitare ad abbassare le difese che la cultura dell'uomo sembra volermettere avanti per proteggersi dalle « insidie » della religione.Di fronte alla crisi del paese la Chiesa non vuole presentarsi come lacittadella arroccata, come il rifugio securizzante, bensì come « la casa,l'esperienza e lo strumento di comunione di tutti i cristiani». «Non sitratta di serrare le fila per far fronte al mondo»: l'unità dei cristianinon è uno strumento di difesa nei confronti del mondo, è invece il se-gno concreto, l'esperienza reale della possibilità autentica di una vitadiversa per tutti gli uomini.

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La presenza della Chiesa di cui la società ha bisogno è innanzitutto unapresenza « religiosa » di comunità vive, ricche di amore e d'accoglienza,coerenti e pure fino alla radicalità, libere da ogni compromesso monda-no, esplicite nel loro annuncio della verità del Cristo, ponte nella caritàe nell'assistenza ad ogni realtà di povertà.Ma accanto a questa rinnovata presenza « religiosa » della Chiesa, è ur-gente una presenza di laici cristiani nel « mondo vasto e complicatodella politica, della realtà sociale, dell'economia, della cultura, della vitainternazionale; e ancora, della famiglia, dell'educazione, delle professioni,del lavoro, della sofferenza » (n. 22).Tutto questo richiede alla Chiesa un forte impegno pedagogico e forma-tivo ad una fede che sappia farsi storia quotidiana, vissuta in coerenzacon l'insegnamento evangelico e nella comunione ecclesiale, capace dìanimare « le competenze umane dell'analisi, del confronto, della medita-zione e della progettazione » (n. 25).

Nel lavoro, nella cultura, nelle istituzioni

Questo stile di presenza, ecclesiale e laicale, è profondamente in sintoniae in continuità con le linee teologiche conciliari e post-conciliari, e ricon-ferma, nelle mutate condizioni dell'oggi, la giustezza dell'intuizione chestava all'origine della cosiddetta « scelta religiosa », ciò di cui il paeseoggi ha bisogno è di un'autentica, profonda e rinnovata presenza reli-giosa che sappia testimoniare ed educare ad una fede che sia speranzae liberazione nella storia. I settori privilegiati per l'esercizio di questapresenza sono tre: il lavoro, la cultura e la comunicazione sociale, leistituzioni pubbliche.E' interessante notare come in questi tre settori riemerga la consape-volezza della necessità di andare alle radici della realtà senza fermarsia richiami solo moralistici o sovrastrutturalì.Nel campo del lavoro di fronte al fallimento dei modelli del capitalismoliberale e del socialismo « scientifico », si afferma la necessità di una « pro-fonda trasformazione », di un cambiamento radicale fondato su questitre princìpi: « il primato dell'uomo sul lavoro; il primato del lavoro nelcapitale e nei mezzi di produzione; il primato della destinazione univer-sale dei beni sulla proprietà privata » (n. 26).Nel campo della cultura l'impegno dei cristiani e della Chiesa stessa nonè volto tanto ad un'analisi e un discernimento delle diverse correnti an-tropologiche o ideologiche, a capire cioè cosa c'è di positivo e di nega-tivo dentro la mentalità emergente, dentro le nuove proposte culturali;quanto piuttosto si tratta di elaborare una cultura capace, non di porsicome un progetto o un'interpretazione contrapposta o parallela alle altre,ma di esprimere e valorizzare l'umanità stessa dell'uomo, di affinare edesplicare « le molteplici sue capacità di far uso dei beni, di lavorare, difare oggetti, di formare costumi, di praticare la religione, di esprimersi,di sviluppare scienza ed arte: in una parola di dare valore alla propria

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esistenza (cfr. GS.53) » (n, 29). E' importante sottolineare che questo con-cetto di cultura come « tutto ciò che valorizza l'esistenza dell'uomo », incui la Chiesa stessa deve impegnarsi, testimonia una sensibilità partico-lare riguardo al momento presente. Ciò che sta di fronte alla Chiesa nonè più l'uomo con le sue elaborazioni culturali autonome e auto sufficientiche pretendono di dare ragione di ogni realtà, che domandano, che cri-ticano, che mettono in discussione, ma che comunque esprimono vita-lità e ricerca; ciò che sta di fronte alla Chiesa è un uomo senza più do-mande, annichilito nella sua capacità autonoma di fare cultura a caUsadella manipolazione e della narcosi dei consumi, ormai Impotente e sfi-duciato sul senso stesso della propria esistenza. Fare cultura significaperciò oggi in primo luogo per i cristiani ridare significato, valore e gu-sto all'esistenza dell'uomo in quanto tale.Nel campo delle istituzioni pubbliche, infine, l'impegno primario dei cri-stiani (« non spetta ordinariamente alla comunità cristiana operare scel-te politiche ») è quello della presenza. Anche a questo livello va chiaritoche non si tratta di una presenza « in quanto cristiani », in concorrenzao in contrapposizione ad altri. Si tratta di una presenza che è doveredi tutti, perché le istituzioni realmente possano essere espressive dellavolontà popolare.La presenza a cui i cristiani sono chiamati non è quella di chi portaentro le situazioni un progetto preordinato da realizzare, ma di chi vuo-le innanzitutto rifondare le istituzioni pubbliche, cioè restituirle alla pro-pria funzione originaria, far sì che esse rappresentino e interpretino ilpaese.

Sulla via di Francesco

L'intera presenza della Chiesa nella società italiana è racchiusa dunquenel criterio teologico iniziale della « speranza nella storia » e della « con-divisione con il mondo », criterio espresso nella conclusione elei documen-to in cui i Vescovi invitano, sull'esempio di san Francesco, ad una testi-monianza « di Chiesa e di cristiani che amano il Paese e il mondo, e chedi nessun'altra sapienza e potenza possono vantarsi, se non della crocedel Signore Gesù Cristo, vita e speranza ultima per la famiglia umana »« Amare il Paese e il mondo » significa impegnarsi dentro di essi noncon un proprio progetto da realizzare, ma nel desiderio di restituirli alproprio ordine creaturale, a ciò per cui erano stati pensati e voluti.La Chiesa non ha da « cristianizzare » il mondo dall'esterno ma da restituirlo a se stesso, alla propria intima vocazione e per questo la suamissione nella società si deve qualificare come religiosa, formativa e dianimazione.« Religiosa » perché rivelatrice del senso ultimo del mondo, a formativa »perché educatrice degli uomini a vivere nel mondo alla luce di questarivelazione che, nello svelare il significato divino, invita a cercare i si-gnificati umani, « di animazione » perché intenta ad evitare ogni cristal-

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lizzazione della storia e della realtà su di sé, a svegliare dal torpore del-la rassegnazione, a restituire fiato, anima, spirito, voglia di vivere di fron-te alla disperazione e alla crisi.« Animare » la realtà non significa sostituirsi ad essa o ai suoi protago-nisti, ma vuoi dire proprio « svegliare », ridare fiato e vita alle cose ealle persone perché esse prendano in mano la realtà, restituire a cia-scuno, agli « ultimi » in particolare, la loro soggettività, il diritto di deci-dere sul proprio destino e sul destino di tutti.La tendenza di alcune comunità e di alcuni cristiani di fronte alla crisiattuale è quella di ritirarsi dalla storia complessiva per ritagliarsi alcunisettori di intervento: finita l'epoca della politica, si ripara nel prepolitico,nel campo della elaborazione culturale, in quello dei servizi sociali, nelvolontariato, oppure nella spiritualità pura, disincarnata, nell'intimismodei rapporti personali, o ancora si sogna la riconquista del mondo at-traverso la contrapposizione ad esso.Ma il disegno che c'è proposto dal documento, e di cui davvero la socie-tà italiana ha bisogno, è un disegno umile eppure complessivo, non set-toriale né moralistico, ma teso ad incidere alla radice della realtà del-l'uomo di oggi, ad offrirgli una speranza concreta nel suo futuro storico.

DUE APPUNTAMENTI IMPORTANTI

II 15 e 16 maggio prossimi, a Firenze, «II Margine» organizza un incontronazionale di studio e di confronti aperto a tutte le piccole « testate » sorelle(fogli, riviste, ciclostilati, ecc.) cha si muovono nell'area cattolico-democratica,dentro/attraverso/dopo di essa.

All'incontro hanno assicurato la presenza come relatori: Achille Ardigò («Co-municazione di massa e comunicazione conviviale»), Nuccio Fava, e altri.Per informazioni rivolgersi a: «II Margine», via Suffragio 39, 38100 TRENTO.

Dal 26 al 31 agosto a Campitello di Passa (TH) si terrà la seconda scuola diformazione politica della Lega Democratica.

Relatori — come sempre — Scoppola, Ardigò, Pedrazzi, Gaietti, Giumella;canti, vino, e tutto il resto.

Per informazioni rivolgersi a: Lega Democratica, Scuola dì Formazione, viaFarini 17, ROMA - tei. 06/4741348.

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ASSOCIAZIONE

L'assemblea dell'Associazione O. Romero

Lo spazio liberodelle coscienze «in piedi»

di VINCENZO PASSERINI

Cercherò di tracciare brevemente ciò che abbiamo fatto in questotempo, Ì problemi emersi, i lati positivi. Un bilancio vero e proprioè difficile. Non siamo un consiglio di amministrazione, non abbiamodelle cose da contare alla fine per vedere se a qualcosa è servito ilnostro lavoro.Certo, qualcosa sotto gli occhi di concreto l'abbiamo: incontri, con-vegni, la rivista. Ma sfugge a ciascuno di noi il risultato di tuttoquesto. « Quando si legge, non si impara qualcosa: si diventa qual-cosa », diceva Goethe. E così credo che anche noi per questo nostrolavoro possiamo dire di essere diventati qualcosa più che di averimparato qualcosa. Un tessuto di amicizie si è consolidato o costrui-to, uno scambio di idee c'è stato. Una cosa è certa malgrado tuttele obiezioni che ciascuno facilmente potrebbe individuare a propo-sito del lavoro svolto: quello che abbiamo fatto insieme è stato fat-to nella direzione giusta, E su questa è necessario continuare. Cre-do che anche per noi valga quello che vale per chi si inoltra nelcosiddetto mondo del sapere: quando si comincia a sapere qualcosaci si accorge di sapere davvero tanto poco. Così noi: quando si co-mincia a fare qualcosa ci si accorge che molto di più, che megliobisognerebbe fare.

Una parentesi per ricordare velocemente gli appuntamenti più im-portanti dell'attività svolta. Ritorniamo all'inverno-primavera dell'81con gli incontri su Habermas e Ardigò, sul problema della droga,sugli anziani, su Pasolini, il 1° anniversario di Romero, la situazio-ne nel Nicaragua, l'Incontro giusto un anno fa dell'assemblea dei so-ci, dove si parlò in un clima non proprio idilliaco dei referendum,il convegno estivo di Terzolas, gli incontri con Prodi, Schiera e Ruf-filli sulla crisi delle istituzioni, gli incontri sull'emarginazione, lapartecipazione alla marcia della pace, il convegno su « personalismoe nichilismo » a Segonzano. E poi tanti altri incontri tra di noi.

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Quindi la pubblicazione del « Margine », certamente l'impegno piùgroso dell'associazione.Dopotutto, dunque, una certa intensa attività c'è stata ed è giustoricordarcelo perché se è vero che non saremo noi con queste no-stre cose, l'associazione e la rivista a cambiare il mondo, lo sarannotanto meno qtielli che passano la vita davanti alla TV.10 ho anche risfogliato i dodici numeri del « Margine » e li ho ri-trovati vivi, non oggetti di carta che invecchiano da un sorgere delsole all'altro, ma vivi, della vita di chi vi ha scritto, perché non ciritroviamo dentro tanto la nostra cultura ma una parte della nostravita.Sono partito volutamente dal rilevare alcuni aspetti positivi di que-sto nostro lavoro nell'associazione e nella rivista, perché credo chedobbiamo anche smetterla con gli eccessi dì autoanalisi critiche. Dei« bisogna », dei « si dovrebbe » siamo tutti un po' stanchi. Accettia-mola davvero questa nostra condizione di poveri diavoli e non per-diamo la virtù di gioire di quel poco che sì riesce a fare. Di appelli,di esigenze, di sogni frustrati siamo tutti stanchi. Se in qualcosacrediamo, buttiamoci dentro spendiamoci per quello che possiamoe accettiamo il buono e il meno buono che ne viene.Dopotutto non è facile inventare; costruire qualcosa di nuovo, qual-cosa che non c'era. Questo l'abbiamo fatto. E se qualcuno pensavache il nuovo si potesse costruire per il solo fatto che sì era decisodi costruirlo, è stato inevitabilmente smentito, non poteva che uscir-ne deluso. Il nuovo costa fatica costruirlo. Ecco, se un limite c'è darilevare, è che dopotutto ci siamo mossi un po' troppo giovanilisti-camente, come un gruppo giovanile, uno di quei gruppi (e non sose ce ne siano ancora) in cui bastava ritrovarsi, mettere insiemele idee e annunciarle al mondo, un mondo per definizione vecchioe superato, per sentirsi protagonisti del « nuovo ». Ma almeno aduna certa età si ha la sensazione di essere tutti dei Cristoforo Co-lombo. L'America è una scoperta per chi la vede per la prima volta.11 nuovo lo si costruisce con lo studio, serio, rigoroso, con il con-fronto aperto, costante, lo si costruisce nell'impatto con la realtàche scuote i pensieri e li costringe ad imboccare altre strade, stra-de mai percorse. Senza intenso e profondo lavoro culturale non sipuò ambire a costruire il nuovo, perché, come diceva don Milaniche il nuovo l'ha costruito con 365 giorni di scuola all'anno, « nellibero sviluppo della loro personalità le rondini costruiscono il nidouguale da millenni ». Credo che dovremmo cercare insieme i modigiusti e il ritmo giusto per fare di questa nostra esperienza un qual-cosa di significativo. E le premesse non mancano: le intelligenze, lesensibilità, le volontà ci sono.

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Abbiamo tentato a Terzolas, in settembre, di delineare un organicoitinerario di formazione culturale, ma è riuscito solo in parte, an-che perché troppa carne al fuoco abbiamo messo in quell'itinerario.Credo che l'esperienza positiva del convegno filosofia) di Segonzano,induca a proseguire nella strada della valorizzazione delle forze in-terne all'associazione, nei vari campi, non solo in quello filosofico;a puntare seriamente sulla specializzazione di ciascuno su temi par-ticolari, a definire lavori di gruppo seriamente impostati e con obfct-tivi a breve termine. Certo, senza tante pretese di organicità, datala variegata composizione dell'associazione, ma con il costante obiet-tivo di valorizzare tutte le energie, potenziarle, migliorarle, crearecanali di incontro su problemi specifici fra i componenti l'associa-zione. Certo, si può sempre fare la conferenza, invitare qualcuno,ma ormai è tempo di pensare a noi come creatori di qualcosa, nonsolo consumatori. Il problema del metodo diventa dunque decisivo,tanto quanto quello dei contenuti e dei fini del nostro lavoro. Per-ché se no le esigenze restano esigenze, le aspirazioni, aspirazioni.Problemi di metodo, dunque, ma senza dimenticare chi siamo eperché lavoriamo in questa associazione, in questa rivista. Ognuno,ciascuno di noi è un problema di definizione: figurarsi un gruppo.Ciascuno di noi se dovesse dare a un altro un'immagine compiutadi se stesso dovrebbe rinunciare a un nome con qualche aggettivoe cominciare invece una lunga serie di proposizioni. Una volta ba-stava dirsi cattolico, comunista, conservatore o progressista, ateo ocredente, tomista, marxista, e via così, e già queste definizioni siportavano dietro, necessariamente, una serie di ulteriori definizioniche determinavano i contorni, in modo abbastanza preciso, del mo-do in cui uno faceva cultura, politica, di cosa uno sperava, credeva,di come si comportava di fronte alla realtà. Adesso è tutto un po'più complesso, soprattutto per chi, come noi, cerca di definirsi nontanto in contrapposizione a qualcosa o a qualcuno, ma per qualcosadi positivo.Che cosa siamo o cerchiamo di essere?Persone, in gran parte cristiani credenti, che si sono costruite unospazio in cui esprimersi come persone al di fuori di logiche ideo-logiche, di partito, di interessi, di schieramenti; consapevoli che lavita della gente nella sua forma sociale ha bisogno dei partiti maanche di una cultura e di una politica che non siano legate alle con-tingenti battaglie per il consenso e il potere; persone libere, critichenon per partito preso, ma con la passione di chi partecipa sincera-mente a quello che succede, consapevoli della durezza della realtà,dei nostri limiti, delle fragilità personali e generazionali, consape-voli del peso della storia, dell'economia, della politica nella vita de-gli uomini, ma qhc credono che l'uomo ha sempre la possibilità di

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decidere, di scegliere, di cambiare; persone capaci di indignarsi, du-ri e inflessibili sulle cose importanti, disposti alla mediazione sullecose secondarie; che credono nel ruolo della cultura ma anche nel-la necessità di vivere ed essere con la gente, quella che non scrive,non pubblica, non fa cultura e che pur ne ha tante di cose da in-segnare sulla vita e sugli uomini; persone incapaci di fare a menodella politica, ma spesso di questa stanche; persone non mediocri,non alla ricerca delle pallide composizioni dei contrasti, ma liberee decise e capaci di sbagliare anche; insofferenti delle presunzioniintegraliste, dei clericalismi, insofferenti dei laìcismi, quelli che aspet-tano lo svuotarsi delle chiese come il momento in cui le tenebreavranno abbandonato finalmente il mondo e non si rendono contoinvece che è invece l'uomo che si svuota, si impoverisce; personeattente ai problemi concreti e quotidiani ma anche alle analisi diciviltà, alle linee di fondo su cui camminano le nostre quotidianità;persone attente a cogliere quello che di positivo c'è intorno, a gioireinsieme della vita, ma non stupidamente ottimisti e consapevoli in-vece di tutta la tragedia che c'è nel creato; persone che non vo-gliono accodarsi alle mode di turno, che non sentono un dovereandare in maschera a Venezia; che diffidano dei diktat delle egemo-nie culturali, che credono sia finito il tempo in cui si deve direquello che si dice e si deve fare quello che si fa; che guardano alcambiare delle cose senza nostalgia per il passato ma con un pro-fondo senso della storia, del passato che ognuno e insieme ci por-tiamo vicino, ci portiamo dentro, e che non si supera con un attodi volontà ma con la fatica del paziente costruire; persone che nonvogliono dimenticare la storia proprio per non ripeterla, ma nem-meno ricordarla troppo per finire con l'essere di essa prigionieri.In definitiva, delle coscienze, soprattutto. Coscienze libere, respon-sabili, creative.Lo spazio della nostra associazione deve essere quello della coscien-za libera, dell'esercizio della critica e del giudizio responsabili e se-ri sì, ma chiari, limpidi, sinceri. Uno spazio libero è un lusso, oggi.Un privilegio. Lo dobbiamo valorizzare bene questo privilegio. Siamofortunati perché possiamo esprimerci senza paura di far saltaregiunte o coalizioni, di favorire alleanze, di influenzare consigli di am-ministrazione: da questo punto di vista siamo perfettamente inutilie siamo felici di questa inutilità. Inutili ai fini di un qualsiasì pro-getto politico. Non è questo un cercare di salvarsi la coscienza abuon mercato; è che un po' tutti, credo, abbiamo bisogno della li-bertà come dell'aria. E se guardiamo con stima e ammirazione aquelli che si impegnano nei partiti e che sono anche tra di noi,nella nostra associazione, crediamo anche che sia necessario cercareil modo di esprimere idee, giudizi, cultura senza vederli mercificati,

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al soldo dei vecchi e nuovi poteri, E con Bernanos diciamo che « laprostituzione delle idee è diventata in tutto il mondo un'istituzionedi stato ».Ogni tanto c'è bisogno di sperimentare l'esaltante improduttività del-la cultura e della coscienza. Anche se questo porta a restringerel'area degli interlocutori, a un certo isolamento, ad essere appuntoconsiderati « inutili » da molti che magari lavorano per l'utile pub-blico. E ancora con Bernanos diciamo: « La mia opinione ha ftn-portanza solo per alcuni amici. E perciò io la esprimo tanto libe-ramente ».Questo gusto della verità, della libertà della coscienza, dovrebbe es-sere il fondamento del nostro stare insieme, il cemento della no-stra diversità, del nostro orientamento politico diverso, del nostrodiverso modo di vivere e cercare la fede, delle nostre differenti com-petenze culturali e professionali. Su questo fondamento dovrebbeinnestarsi tutto il resto: la ricerca, lo studio, il confronto culturalee politico, il nostro incontrarci nell'amicizia. Sarebbe tanto, sarebbequalcosa di grande, se il lavoro nell'associazione e nella rivista riu-scisse a rafforzarci in questo desiderio di sentirci persone e nonconsumatori; non tanto aderenti a qualcosa, iscritti a qualcosa, an-che questo, sì, ma dopo: prima e soprattutto persone, esseri in piedi.

DIRETTIVO E PROGRAMMI DEL L'ASSOCI AZIONE

11 21 marzo si è tenuta a Trento l'assemblea dell'Associazione culturale OscarA. Romero per tracciare un bilancio dell'attivila e per Individuare le linee ope-rativa di quella futura. I lavori sono stati introdotti dalla relazione di VincenzoPasserini, qui riportata, in cui è possibile ritrovare il senso e i contenuti dellavoro svolto.In quella occasione è stato anche rinnovato il direttivo dell'associazione, dierisulta ora cosi composto: Vincenzo Passerini (presidente), Giovanni Kessler(segretario). Silvano Zucal e Maria Cslestina Antonacci (coadiutori). PaoloDalpiaz (amministratore). Paolo Ghezzì (direttore de «11 Margine»),Per il futuro sono slati fissati i seguenti incontri:— 6 aprila: «La riforma della scuola secondaria superiore» [a cura di

Silvano Zucal);— 4 maggio e 18 maggio: a II piano urbanistico provinciale» (a cura del

gruppo sulla crisi delle Istituzioni).Sono inoltre in preparazione due incontri — organizzati con altri movimenti —sulla situazione nell'America Centrale e su) progetto di riforma della leggesull'obiezione di coscienza.

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TACCUINO CULTURALE TRENTINO

(a cura di MARIA TERESA PONTARA)

II segno • indica gli appuntamenti che a parere della redazione si presentano particolar-mente significativi ed interessanti.

FEDE E CULTURA RELIGIOSA

27 aprile ore 18:

29 aprile ore 18:

11 punto sull'Ecumenismo in Italia, conferenza del pastoreRenzo Bertalot (valdese) e della prof.ssa Maria Vingianl(cattolica)e/o Centro Cleslo-Rosmlni - Rovereto, via Stoppani 1

La 5 plaghe della Santa Chiesa d! A. Rosminl, rei. prof. AlfecValle di Torinoe/o Centro Clesio-Rosmìni - Rovereto, via Stoppani 1

STORIA, FILOSOFIA E SCIENZE UMANE,

16 aprile ore 16:

23 aprile ore 16:

28 aprile ore 16:

7 maggio ore 16:

13 maggio ore 16:

SCIENZE NATURALI

Husserl a la crisi della ragione, rei. prof. Franco Volpi del-l'Università di Padovae/o Centro Rosmìni - Trento, largo Carducci 24

Linguaggio e realtà In Wlttgensteln, rei. prof. Michele Lenocldell'Università Cattolica d! Milanoe/o Centro Rosmini - Trento, largo Carducci 24

Logica e discorso scientifico, rei. prof. Giuliano Dibernardoda!'Università di Trentoe/o Centro Rosmrni - Trento, largo Carducci 24

Contraddlltorielà e sensatezza, aspetti filosofie] e linguistici,rei. prof. Eddo Rigotti dell'Università Cattolica di Milanoe/o Centro Rosmini - Trento, largo Carducci 24

II problema della verità In Heidegger, rei. prof. Franco Chie-reghin dell'Università di Padovae/o Centro Rosmini - Trento, largo Carducci 24

La Società di Scienze Naturali del Trentino organizza un ciclo di conferenze sul tema«Le Scienze Naturali e l'Archeologìa» che si terranno presso l'Aula Magna del MuseoTridentino di Scienze Naturali - Trento, via Calepina 14, Palazzo Sardegna.

2 aprile ore 17.30: Lo studio del rastl faunistici nella ricerca archeologica, rei.prof. Benedetto Sala dell'Università di Ferrara

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9 aprila ore 17.30:

16 aprile ore 17.30:

23 aprile ora 17.30:

30 aprile ore 17.30:

MUSICA

16 aprile ora 21:

17 aprile ore 20.30:

27 aprile ore 21 :

7 maggio ore 21 :

18 maggio ore 21 :

VARIE

II contributo delle ricerche botaniche alla conoscenza archeo-logica, rei. prof. Renato Nisbet dall'Università di Torino

La scienza della Terra nella ricerca archeologica, rei. prof.Mauro Cumaschi dei Civici Musei di Reggio Emilia

Tecniche e melodi della ricerca archeologica negli ambientiumidi e nella acque interne, rei. prof. Luigi Pezzati dellaSovr in tendenza del Piemonte

Problematica e attuali tendenze della Paleoantropologia, rei.prof. Bernardino Bagolini dal Museo Tridentìno di ScienzeNaturali

Flautista Emilie Galante - Pianista Lesila Howard, musichedi Chopin e Prokofìeve/o Sala della Filarmonica - Trento, via Verdi

Concerto di musica sacra coro e organo, musiche di Wrdor,Reger, Grieg, Mendelssohn, SCddeutscher Kammerchor Munchendiretto da Sigrid Schwab- Kunzmann, organizzato dal CentroB. Clesio e dal Centro per l'Ecumenismoe/o Basilica di s. Maria Maggiore - Trento, piazza s. M.Maggiore

Orchestra Haydn, dir. Hermann Michael « Invito alla danza »e/o Sala della Filarmonica - Trento, via Verdi

Orchestra Haydn, dir. Ettore Gracise/o Sala della Filarmonica - Trento, vìa Verdi

Orchestra Haydn, dir. Gabor Otvos - Boris Petrushansky,pianofortee/o Sala della Filarmonica - Trento, via Verdi

Ila Mostra del libro di narrativa per ragazzi a Voglio leggere: i libri a scuola »e/o Centro A. Rosmìni - Trento, largo Carducci 24, dal 15 marzo al 6 aprile

2 aprile ore 18:

21 aprile ore 20.30:

5 maggio ore 20.30:

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Esperienze e stimoli dell'autore di libri per ragazzi a contattocai suo pubblico, interviene la prof.ssa Sancirà Agnese Soligonle/o A. Rosmini - Trento, largo Carducci 24

Serata di arte e costume sul Kenya, rei. dott. Gian MariaRauzie/o Centro B. Clesio - Trento, via Barbacovi 4

Serata di arte e costume sull'Egitto, rei. dott. Gian MariaRauzie/o Centro B. Clesio - Trento, vio Barbacovi 4

«IL MARGINE»

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« E' già molto prendere piena coscienza che sono

necessarie nuove dirigenze sociali e che non tutto

è politica, non solo, rna che quando ci si mette

con impegno totale e responsabile a risolvere i

problemi reali tenendosi legati ad essi si fa qual-

che cosa che non solo aprirà le strade della nuo-

va politica ma che ha già oggi incidenza politica

perché immette nella realtà cose nuove con le qua-

li la vecchia politica dovrà fare i conti. (...) L'es-senziale è cominciare ».

{Felice Balbo, 1913-1964)

a II Margine» n. 3 - marzo 1982 - periodico mensile - anno II - Redaz, e amministraz.:38100 Trento, via Suffragio 39 - Spedizione in abb. postale gruppo 111/70 - L. 1.000