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II personaggio Liu Bolin presenta settanta fotografie al Complessodel Vittoriano di Roma. Dove la sfida, quasi impossibile, è riconoscerlotra città, paesaggi e monumenti. Non a caso lo chiamano: l'uomo invisibile
Cosìdsoa
n un mondo - dell'arte e nonsolo - dove "apparire" èfondamentale, c'è un uomoche ha scelto di sparire nellesue stesse opere. Il cinese Liu
Bolin, nato nel 1973 a Shandong,nella Cina orientale, con unsapiente lavoro di body-paintingsi mimetizza nel contesto allesue spalle: città, paesaggi,monumenti celebri. Nelle suefoto, che sono in realtà la sintesidi più linguaggi - pitturacompresa - distinguerlo non èfacile. Il grande pubblico loconosce per le sue campagnepubblicitarie: fotografato daAnnie Leibovitz, si èmimetizzato tra i ghiacci per unnoto marchio di moda di cui ètestimonial. Adesso la mostraLiuBolin. The invisible man alVittoriano di Roma (Ala Brasini,fino al primo luglio) raccogliesettanta scatti realizzati in diecianni (prodotta da Arthemisiacon la Galleria Boxart). Nellesette sezioni in cui è diviso ilpercorso, non può mancarel'Italia: La Scala, il Ponte diRialto, il Colosseo e la Reggia diCaserta compongono unpersonalissimo Grand Tour.
Come ha scelto i posti delnostro Paese in cui sparire?«Amo l'Italia. Qui il confronto conalcuni luoghi è inevitabile.Chiunque arrivi a Roma non puòfare a meno di imbattersi in CastelSant'Angelo, la Galleria Borghese,il Colosseo... Questi edificicostituiscono un'idea di storiadell'arte italiana tutta mia. Comeartisti non possiamo prescinderedal passato e dalla culturaclassica che nasconde l'essenzadell'essere umano. Accade qui inItalia come in Cina per la Grande
oorire
Muraglia o la Città Proibita».Lei era uno scultore. Decise
di cambiare modalità diespressione dopo che il suostudio fu demolito nel 2005con tutta l'area del suoquartiere per unariconversione urbanisticastabilita dal governo . Perchéha scelto di sparire?«Avevo studiato sculturaall'università, ma dopo ladistruzione del Suojia Village, ilposto in cui vivevo, ho capito chein quel momento si trattava di unmezzo espressivo troppo debole.Così ho pensato di far sparire ilmio corpo, lasciar parlare i luoghie le macerie per esprimere laprotesta e insieme riflettere sullacreatività dell'artista».
Come sceglie i luoghi per isuoi lavori?«Ho scelto soprattutto le rovine ele demolizioni come sfondo,quando mi sono nascosto nelleopere dedicate alle città. Neiprimi tempi, mettevo in risaltoanche gli slogan di protesta cheavevamo scritto nel villaggiodemolito. Ho sperimentato lasparizione nelle città dal 2005 aoggi. I temi in questi tredici annisono cambiati. Ma quello che miinteressa è denunciare undisagio, una crisi, un potenzialeproblema, mettere in discussionegli aspetti del mondo cosiddettocivilizzato. Applico lo stessometro ovunque. Per esempio aWall Street, dove mi sonomimetizzato nella statua del toro,o a Parigi, nella redazione dellarivista Charlie Hebdo».
Quanto tempo lavora a unasingola opera ? E come lerealizza tecnicamente?«Dipende dalla complessità dello
eciso
Osfondo. Mi aiuta sempre uno staffdi cinque-sei persone: unfotografo, un pittore, icameramen e un autista.Prepariamo vestiti, pigmenti equant'altro ci serve direttamentein macchina. L'autista ci porta sulluogo delle riprese. Prima discattare le foto, proteggo la miapelle e i capelli su cui verràapplicato il colore con unamaschera. La scelta dello sfondo èla cosa più importante: mi puòportare via anche un paio di mesi.Una volta che ho deciso, larealizzazione effettiva è veloce: lapiù lunga è durata sei-sette ore.Mi interessa la dialetticacontraddittoria che si crea tra gliuomini e lo sfondo in cui vivono,che è realizzato a sua volta dauomini. Il contesto in cui viviamo
rspesso ci limita, impedisce alnostro talento di esprimerci».
Ci sono stati lavori piùdifficili da realizzare o chel'hanno coinvolta di più dalpunto di vista emotivo?«Ci sono luoghi che, purtroppo,non ho potuto usare perché nonho ottenuto il permesso: questopuò essere l'aspetto più difficiledel mio lavoro. Per il resto, i postiche mi toccano il cuore hannomolte possibilità di diventareparte delle mie opere».
Pensa che gli artisti cinesiabbiano contribuito adiffondere tra il popolo cineseun'idea più ampia di libertà?«Oggi essere artisti in Cina è piùsemplice rispetto al passato. Ci sipuò esprimere artisticamente,
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realizzare il proprio sogno. Lagenerazione dei miei genitori,nati negli anni Cinquanta, alcontrario, ha sperimentato unalibertà culturale ed espressivadecisamente limitata».
L'arte è sempre politica?«Dalla nascita della RepubblicaPopolare a oggi, c'è stato undibattito molto acceso su questotema in Cina. L'arte e la politicasono difficilmente separabili.Tanto più se la politica è qualcosache respiri nell'aria. Il problema èche oggi i collezionisti cinesi, perragioni di mercato, guardanosoprattutto ai maestri occidentali:non acquistano arte cinese. E,dall'altra parte, le gallerie, i museie le istituzioni straniere sono piùinteressate agli artisti cinesi coninclinazione più spiccatamentepolitica. Il risultato è che la nuovacreatività degli artisti cinesi fafatica ad emergere all'estero».
Grazie ai nuovi media latendenza principale dell'uomocontemporaneo è di apparire,di lasciare un segno , quantomeno sul web . Pensa che lenuove tecnologie incidanonegativamente sulle nostreesperienze?«Tutt'altro. Penso che l'avvento diInternet, dei nuovi media edell'intelligenza artificiale sianoelementi importanti della nostraevoluzione. Come artisti sensibili,dovremmo cogliere i doni diquesta nuova era. Ogni epoca hasaputo utilizzare, anche nell'arte,la tecnologia del suo tempo».
Informazioni utili
L'esposizione apertafino al primo luglio
Liu Bolin. The invisible manfino al 1 luglio 2018Complesso dei Vittoriano,Ala Brasini, Romaa cura di Raffaele GavarroLa mostra è prodotta eorganizzata da Arthemisia incollaborazione con la GalleriaBoxart (con il patrocinio dellaRegione Lazio, Roma Capitale eFondazione Italia Cina)Orari: dal lunedì al giovedì 9.30 -19.30. Venerdì e sabato fino alle 22Domenica fino alle 20.30Biglietti: Intero €12,00Ridotto €10,00
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