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gennaio-febbraio 2012 anno XLIII 1 animazione missionaria MISSIONARIE SECOLARI COMBONIANE Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamen- to Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Vicenza In caso di mancato recapito rinviare al mittente: “Ani- mazione Missionaria”, 36100 Vicenza CPO 6 novembre-dicembre 2015 anno XLVI Misericordiosi come il Padre (Lc 6,36) «Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi. Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità». Papa Francesco Misericordiae Vultus n. 15 Costruttori di muri o di ponti? L’Avvento si profila già all’orizzonte... Proviamo a coglierne il significato mettendoci di fronte alle sfide che la storia ci offre. L’ Avvento è il tempo dell’attesa di un Dio che si fa uomo, che si fa così piccolo da essere accolto solo dai piccoli e dai poveri. Il tempo presente si gio- ca tutto nell’accoglienza di questo Dio che, dopo es- sere entrato nella storia più di 2000 anni fa, continua a venire sulle strade del mondo in ogni uomo, donna, bambino. L’ha detto Lui stesso: “Chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me” (Mt 18,5). Si è identificato e chiede di essere ri- conosciuto in un bambino! Sta a dire nel più piccolo, quello che non conta. “Bambino” è sinonimo di ogni povero, emarginato, straniero, rifiutato, “scartato”, per usare il linguaggio di Papa Francesco, che è anche il linguaggio del Vangelo. Gesù stesso infatti si è ri- conosciuto in quella “pietra scartata” dai costruttori che è divenuta testata d’angolo (cfr Mc, 12,10); è ap- parso come straniero tra i suoi, considerato come una presenza estranea, pericolosa, da eliminare a causa del suo insegnamento e dei suoi gesti di acco- glienza nei confronti di coloro che erano ai margini della vita sociale e religiosa. Il pensiero va immediatamente alla sfida enorme che ci viene dall’emergenza “immigrazione”, che ci mette in crisi come singoli e come comunità umana. Siamo messi in questione innanzitutto come uomini, perché l’altro da accogliere è uguale a noi in dignità e diritti. Come discepoli di Gesù non possiamo evitare di chie- derci da che parte stiamo noi, in questo mondo in cui sono tutt’altre le voci che gridano più forte sul- l’onda della paura, del sospetto, del pregiudizio, del rifiuto, in cui ci si ostina a costruire muri anziché ponti. Ma perché è tanto difficile aprire la mente, il cuore, le mani all’accoglien- za e riconoscere in tutte queste per- sone che fuggono da situazioni di guerra, di ingiustizia, di povertà, degli uomini e delle donne come noi, che hanno lo stesso valore, lo stesso di- ritto di esistere e di trovare condizioni degne di una vita umana? Perché fac- ciamo così fatica a riconoscerci fratel- li? Siamo caduti nell’illusione che sia l’avere e il perseguimento del proprio benessere e sicurezza personale a sca- pito degli altri e del bene comune, a salvarci e a dare senso alla nostra esistenza. Così ci sentiamo minacciati ogni volta che qualcuno viene a chiederci di sedersi alla nostra mensa, di condividere con lui il pane della fraternità universale; abbiamo paura che ci porti via qualcosa, che diminuisca le no- stre possibilità di vita. È un individualismo che ci toglie il respiro e uccide la speranza di un futuro migliore per l’umanità, ci rende ciechi anche di fronte alle nuove opportunità che, attraverso queste sfide, la storia ci apre davanti. Per noi cristiani questo Avvento è il tempo propizio per misurarci proprio sugli atteggiamenti dell’acco- glienza e dell’apertura verso chi è più nel bisogno. Tutta l’umanità vive la grande attesa di una salvezza che risponda alle aspirazioni più profonde del cuore umano, dei singoli, dei popoli, dell’intero creato. Ge- sù ci indica una strada percorribile da tutti: quella del riconoscerci e accoglierci come fratelli. Ma bisogna scendere dal “trono” del nostro egoismo e farci pic- coli. E accogliendo i più piccoli dei nostri fratelli ci capiterà di incontrare Lui, il vero “atteso delle genti”. Anna Maria Menin 8 DICEMBRE 2015 20 NOVEMBRE 2016 ANNO SANTO DELLA MISERICORDIA

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gennaio-febbraio 2012anno XLIII1animazione missionaria

MISSIONARIESECOLARICOMBONIANE

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamen-to Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004n. 46) art. 1, comma 2, DCB VicenzaIn caso di mancato recapito rinviare al mittente: “Ani-mazione Missionaria”, 36100 Vicenza CPO

6 novembre-dicembre 2015 anno XLVI

Misericordiosi come il Padre (Lc 6,36)

«Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voceperché il loro grido si è affievolito e spentoa causa dell’indifferenza dei popoli ricchi.Non cadiamonell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelleprivati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto.Le nostre mani stringano le loro mani,e tiriamoli a noiperché sentano il caloredella nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità».

Papa FrancescoMisericordiae Vultus n. 15

Costruttori di muri o di ponti?L’Avvento si profila giàall’orizzonte... Proviamo acoglierne il significatomettendoci di fronte alle sfideche la storia ci offre.

L’Avvento è il tempo dell’attesa di un Dio che sifa uomo, che si fa così piccolo da essere accolto

solo dai piccoli e dai poveri. Il tempo presente si gio-ca tutto nell’accoglienza di questo Dio che, dopo es-sere entrato nella storia più di 2000 anni fa, continuaa venire sulle strade del mondo in ogni uomo, donna,bambino. L’ha detto Lui stesso: “Chi accoglierà unsolo bambino come questo nel mio nome, accoglieme” (Mt 18,5). Si è identificato e chiede di essere ri-conosciuto in un bambino! Sta a dire nel più piccolo,quello che non conta. “Bambino” è sinonimo di ognipovero, emarginato, straniero, rifiutato, “scartato”,per usare il linguaggio di Papa Francesco, che è ancheil linguaggio del Vangelo. Gesù stesso infatti si è ri-conosciuto in quella “pietra scartata” dai costruttoriche è divenuta testata d’angolo (cfr Mc, 12,10); è ap-parso come straniero tra i suoi, considerato comeuna presenza estranea, pericolosa, da eliminare acausa del suo insegnamento e dei suoi gesti di acco-glienza nei confronti di coloro che erano ai marginidella vita sociale e religiosa.Il pensiero va immediatamente alla sfida enorme checi viene dall’emergenza “immigrazione”, che ci mette

in crisi come singoli e come comunità umana. Siamomessi in questione innanzitutto come uomini, perchél’altro da accogliere è uguale a noi in dignità e diritti.Come discepoli di Gesù non possiamo evitare di chie-derci da che parte stiamo noi, in questo mondo incui sono tutt’altre le voci che gridano più forte sul-

l’onda della paura, del sospetto, delpregiudizio, del rifiuto, in cui ci siostina a costruire muri anziché ponti. Ma perché è tanto difficile aprire lamente, il cuore, le mani all’accoglien-za e riconoscere in tutte queste per-sone che fuggono da situazioni diguerra, di ingiustizia, di povertà, degliuomini e delle donne come noi, chehanno lo stesso valore, lo stesso di-ritto di esistere e di trovare condizionidegne di una vita umana? Perché fac-ciamo così fatica a riconoscerci fratel-li? Siamo caduti nell’illusione che sial’avere e il perseguimento del propriobenessere e sicurezza personale a sca-pito degli altri e del bene comune, a

salvarci e a dare senso alla nostra esistenza. Così cisentiamo minacciati ogni volta che qualcuno viene achiederci di sedersi alla nostra mensa, di condividerecon lui il pane della fraternità universale; abbiamopaura che ci porti via qualcosa, che diminuisca le no-stre possibilità di vita.È un individualismo che ci toglie il respiro e uccidela speranza di un futuro migliore per l’umanità, cirende ciechi anche di fronte alle nuove opportunitàche, attraverso queste sfide, la storia ci apre davanti.Per noi cristiani questo Avvento è il tempo propizioper misurarci proprio sugli atteggiamenti dell’acco-glienza e dell’apertura verso chi è più nel bisogno.Tutta l’umanità vive la grande attesa di una salvezzache risponda alle aspirazioni più profonde del cuoreumano, dei singoli, dei popoli, dell’intero creato. Ge-sù ci indica una strada percorribile da tutti: quella delriconoscerci e accoglierci come fratelli. Ma bisognascendere dal “trono” del nostro egoismo e farci pic-coli. E accogliendo i più piccoli dei nostri fratelli cicapiterà di incontrare Lui, il vero “atteso delle genti”.

Anna Maria Menin

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Perché in questo Anno Santodella Misericordia possiamo farel’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle piùdisparate periferie esistenziali.

Che il loro grido diventi il nostroe insieme possiamo spezzare labarriera dell’indifferenza.(Cfr. Misericordiae Vultus)

Intenzionidi preghiera

giovanianimazionemissionaria

Con questo slogan Papa Francesco ha radunato a Roma dal 15 al 19 settembre i giovani consacrati e consacrateprovenienti da ogni parte del mondo.

Svegliate il mondo!

generosità e di docilità nel lasciarsiguidare dal Signore per dare allaChiesa qualcosa di nuovo. Far me-moria del primo incontro e del pri-mo “sì” a Colui che sarebbe diven-tato l'unico vero motivo di vita, do-vrebbe darci entusiasmo, fiducia esostegno nei momenti di difficoltà.Nel secondo giorno ci siamo inter-rogati sul come la Vita Consacratapuò essere segno di “vicinanza” nelmondo di oggi. Come rimanere fe-deli al proprio carisma e camminarea fianco dell'uomo contemporaneoe come declinare una nuova missio-ne per il nostro tempo? La parola “profezia”, infine, ci ha pro-vocati sul come essere profeti, comeparlare in nome di Gesù all'uomod'oggi. In un mondo che si evolve

velocemente, in una Chiesa in cui larealtà della vita consacrata sta cam-biando volto, è necessario che Istitutie Congregazioni rinnovino la loropresenza, il loro operare e si apranoa nuove frontiere. Alla luce delle sfi-de attuali legate al degrado ambien-tale, ad un'economia sempre menoattenta all'uomo, ci siamo soffermati

anche sui nuovi stili di vita che ci in-terpellano sempre più. Nei tre pomeriggi, divisi in gruppi dicirca venti persone, dislocati in varipunti di Roma, abbiamo riflettuto econdiviso idee e pensieri sui vari ar-gomenti proposti. Sono stati mo-menti molto belli e interessanti incui è emersa la vita concreta di ognu-no con i propri interrogativi e sogni.Un altro momento centrale, insiemealla Messa, è stato l'incontro con Pa-pa Francesco. Con il suo stile incon-fondibile ci ha aiutato a riflettere ul-teriormente sulle parole memoria,vicinanza e profezia; ha ricordato atutti che la capacità di riscaldare icuori parlando di Gesù, non vienedai libri, ma da un rapporto intensocon Lui.

Le parole del Papa sono state pienedi speranza, di incoraggiamento edella consapevolezza che, insiemesiamo chiamati ad essere Chiesa e atrovare nuove strade per cammina-re nel mondo d'oggi con la certezzache Lui ci accompagna sempre.Momenti molto belli sono stateanche le serate in cui abbiamo

avuto modo di conoscere alcunerealtà concrete di una Chiesa chesi impegna a favore delle personedisagiate, che fa memoria dei pro-pri martiri, che partendo da atti-vità artistiche, fa emergere quelloche c'è nel profondo delle perso-ne. Abbiamo potuto gustare anchequalcosa del suo patrimonio dibellezza, come la Cappella Sistinache si è aperta ai nostri occhi e alnostro stupore attraverso una vi-sita guidata.Credo che questo incontro mi abbiadato la possibilità di vedere unaChiesa più dal suo interno, dallaparte – come scrivevo all'inizio –degli operai inviati dal Signore allasua messe. Ho visto persone chequotidianamente si impegnano per-ché il Vangelo arrivi fino ai confinidella terra e la dignità dell'uomonon sia solo una parola, ma una re-altà di vita.È stato bello condividere questasettimana con altri giovani consa-crati, tutti consapevoli che le diffi-coltà, le sfide e le opportunità dicambiamento non mancano. Abbia-mo respirato un'aria di fiducia ver-so la Chiesa anche come “istituzio-ne” che ha a cuore la nostra storiaed il nostro futuro, ma abbiamo an-cora più fiducia in Colui che ci haconvocati a vivere insieme questaesperienza.

Sofia

Eravamo circa 5000, provenien-ti da 126 paesi e appartenenti

a circa 800 tra Congregazioni e Isti-tuti. Siamo convenuti - ciascuno conla propria storia, alcuni con il pro-prio vestito particolare, altri in bor-ghese - tutti con il desiderio di ren-dere presenti Congregazioni o Isti-tuti di vita consacrata che, insieme,rappresentano gli operai chiamatidal Signore per la messe.Siamo arrivati a Roma con l’entusia-smo e la voglia di stare insieme, diconoscerci e di vivere una settimanadi riflessione e di preghiera, di gioiae di festa.Papa Francesco, con i suoi collabo-ratori, ha organizzato bene questegiornate proponendo un tema: “Vi-ta consacrata come memoria vici-nanza e profezia nella Chiesa d'og-gi”. Ci ha indicato anche un meto-do: la condivisione della propriaesperienza di vita partendo dalle ri-flessioni suggerite. L’incontro è iniziato con la veglia diinvocazione allo Spirito della primasera; è continuato nei tre giorni suc-cessivi con lo sviluppo del tema at-traverso le riflessioni proposte daalcune persone di rilievo della no-stra Chiesa, e si è concluso, il saba-to, con la celebrazione Eucaristicadi ringraziamento.“Fare memoria” è stata la riflessionedella prima mattina: cosa significaricordare la propria storia persona-le, quella dei propri Istituti, parten-do dai fondatori, dal loro slancio di

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animazionemissionaria

Donne che “hanno accompagnato i bimbipalestinesi alla scuola dei diritti di tutti,

hanno affiancato la lotta dei beduini, hanno in-trecciato dialoghi di pace, e hanno anche denun-ciato e combattuto la tratta dei migranti in Israe-le, consapevoli che la pace può camminare soloa fianco della giustizia”. Una storia di resistenza a un sistema folle, quellain Terra Santa: i bambini per andare a scuola era-no lanciati dai genitori attraverso una finestrelladi un muro alto 8 metri, e ripresi dall’altra partedalle suore. Dalle braccia di mamma e papà allebraccia delle maestre: atterraggio dolce, se nonfosse stato per i mitra puntati sui bambini. Mapoi anche quella finestrella, unico collegamentofra la Betania palestinese e quella israeliana, èstata chiusa, per sempre. Un anno scolastico, poiniente più braccia, niente più sorrisi, solo sepa-razione forzata. Qui il mondo vive le sue feritepiù gravi e purulente, con muri, filo spinato, re-ticolati, montagne di detriti, fossati, per tenereben separati due popoli, alimentando l’odio re-ciproco. Ma bisogna continuare a lavorare perabbattere quei muri, “fare breccia, per lasciarpassare la mano”.“Siamo state separate dai nostri bambini, dallecase dei cristiani, dalla chiesa di Lazzaro, Martae Maria, che era il senso della nostra presenzalì”, spiega suor Alicia. “In un solo giorno, senzamuoverci, abbiamo cambiato di Stato. Eravamosotto l’Autorità Palestinese, oggi siamo un quar-tiere arabo di Gerusalemme, sotto Israele, contutto quello che comporta anche dal punto divista dei servizi: rete, rifiuti, allacciamenti, tuttoé cambiato. Betania non è più il luogo romantico

Il 5 giugno, a Verona, il Premio “Ponti e non Muri2015” è stato consegnatoa suor Alicia Vacas Moro,

missionaria comboniana e,attraverso di lei, a tutte

le suore missionariecomboniane di Betania

(Gerusalemme), in quanto“donne che resistono a

fianco di un popolo”.

dove Gesù incontrava i suoi amici, è una delletante frontiere dalle quali passa il muro di sepa-razione, un modo per accaparrarsi la terra pale-stinese”. Ma non ci si può arrendere. E così le comboniane hanno preso in affitto daifrancescani un appartamento dalla parte palesti-nese e hanno ricominciato. “Ci siamo rese contoche non potevano essere gli altri a decidere dache parte doveva stare la comunità, ancora menopoteva farlo un muro, e quindi alcune di noi so-no passate dall’altra parte, scegliendo di viverenelle case dove abitano le famiglie cristiane, percondividere e sostenere questa presenza semprepiù esigua”.

E le brecce si sono create, e in varie direzioni.“In una situazione di conflitto non puoi stare so-lo da una parte, anche se ti verrebbe voglia. Maavvicinare gli israeliani non è facile. Solo nascedall’incontro personale, e non puoi farlo da sola.Perciò ci siamo rivolte alle associazioni israelianeche tutelano i diritti dei palestinesi, dove si tro-vano rabbini, e medici. Con loro abbiamo ap-prontato una clinica mobile per i Territori Occu-pati, in modo da portare servizi sanitari anchenei villaggi delle zone di conflitto e di tensione,anche nei posti più emblematici. E, assieme aiservizi sanitari, un messaggio di solidarietà”.Le comboniane hanno anche denunciato la retedi traffico di esseri umani: attraverso il Sinai lifanno arrivare sfiniti a Tel Aviv. “Arrivano congambe bucherellate dai proiettili, con ustioni esegni di tortura, e le donne chiedendo di abortirei figli della violenza”. “Come comboniane ci sia-mo chieste come restare da cristiane in questarealtà di conflitto, in una situazione costante diviolenza, come restare una presenza di riconci-liazione”, commenta suor Alicia. “Il rischio è la-sciarsi prendere dalla rabbia, dalla disperazione.Devi fare i salti mortali, ma è molto, molto arric-chente. Questo mosaico di popoli, culture, tra-dizioni, religioni, ti allarga il cuore”. Ed è unapresenza di riconciliazione.

Da www.famigliacristiana.it

Suor Alicia e i muri da abbattere

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Agenda biblica e missionaria2016L’agenda cambia nome

Per questa edizione ci siamo associateall’Agenda missionaria dell’EMI, editricedegli Istituti missionari presenti in Italia. L’agenda riporta: le principali indicazioniliturgiche, e un breve commento al vange-lo del giorno; la segnalazione delle Gior-nate internazionali e nazionali più signifi-cative; il ricordo di missionarie e missio-nari martiri italianidell’ultimo secolo, e dialcuni vescovi martiridell’Africa, dell’Asia edell’America Latina.

Formato: 16x11,5 cm Prezzo promozionale: € 7,00 più spese di spedizione

Può essere richiesta a:Centro Animazione MissionariaCarraia (LU) - tel. 0583.980158e-mail: [email protected]

Le Missionarie secolari combonianesono un Istituto secolare di dirittopontificio e vivono la spiritualità di mons. Daniele Comboni.Il loro fine specifico è la cooperazionemissionaria nell’animazione dellaChiesa locale e nel servizio in missione.

Sede centrale: 55012 Carraia (Lu), Via di Carraia 192, tel. 0583.980158e-mail: [email protected]

Sono presenti in Europa, America Latina, Africa.

Pubblicazione dell’Istituto SecolareMissionarie Comboniane. “Animazione Missionaria” c.p. 15136016 Thiene (VI), ccp 10681369

Direttore responsabile: Danilo Restiglian

Autorizzazione Tribunale di Vicenza n. 268 del 14/5/1971Poste Italiane s.p.a. - Sped. in Abb. Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Vicenza

Stampa: La Grafica e Stampa via dell’Economia 78 - 36100 VicenzaGrafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazioneVia Soldini 4 - 25124 Brescia

animazionemissionaria dal mondo

Un popolo, una lingua, la sua Bibbia. Tren-tacinque anni di lavoro paziente e costan-

te. Accadeva nel 2005. La Bibbia tseltal veniva uffi-cialmente consegnata al popolo tseltal (Messico).“Pensando a quel momento ancora mi commuovo”,dice padre Eugenio Manrer, sacerdote gesuita e an-tropologo, che insieme ad altri ha curato la tradu-zione della Bibbia. Il tseltal è una delle 50 lingue parlata in Messico dacirca due milioni di persone.Ci sono voluti quasi 35 anni di lavoro paziente el’impegno di tante persone. “I missionari gesuiti ar-rivarono nello Stato del Chiapas nel 1958 – dicepadre Manrer. – Era una zona che aveva avuto giàuna presenza missionaria grazie ai domenicani chevi arrivarono nel XVI secolo. Nel 1969, i padri Mar-donio e Ignacio Morales cominciarono l’avventuradella traduzione completa della Bibbia anche grazieall’appoggio e all’impulso del vescovo di allora delladiocesi di San Cristóbal de Las Casas, monsignorSamuel Ruiz. “Fin dall’inizio fu sottolineata l’im-portanza che fossero gli stessi ‘tseltales’ a tradurrela Bibbia. Noi ci dovevamo limitare ad accompa-gnarli”.

MESSICODio in “tseltal”

AFRICABenedict Daswa: il primo Beato sudafricano

Tshimangadzo Benedict Daswa, un laico, padre di famiglia, è stato proclamato, il 13 settembre2015, primo beato sudafricano. Fu ucciso nel 1990 a 43 anni, per essersi schierato contro le cre-

denze e le accuse di stregoneria, una pratica ancora diffusa in tanta parte dell’Africa. Mentre in Sudafricasi chiudeva la stagione dell’apartheid, continuava la battaglia contro il male, nel segno di una resistenzamite, ma tenace, che, come ha ricordato papa Francesco, rifiutava abitudini «mondane e pagane», la ri-cerca ossessiva di un capro espiatorio.Daswa intendeva liberare i propri connazionali dalla prigione della mente e del cuore, una prigioneamara quanto quella della segregazione razziale. Nato non cristiano, da giovane aveva chiesto il batte-

simo, era divenuto insegnante, si era sposato, si era offerto come collaboratoredella parrocchia divenendo catechista. Nel gennaio 1990, quando la regione rurale in cui vive, nel nord-est del Sudafrica,è sconvolta da nubifragi, fulmini si abbattono sui tetti delle capanne mandandoliin fiamme e i capi-villaggio chiamano uno sciamano perché individui il respon-sabile della maledizione, della stregoneria, Benedict reagisce. Discute con il vil-laggio, spiega che i fulmini sono un fenomeno naturale, avverte che ne andrà dimezzo qualche innocente, si rifiuta di pagare la quota per il compenso allo scia-mano: «La mia fede cristiana – dice – mi impedisce di partecipare a questa cacciaalle streghe». La sua è una battaglia per la vita, nel nome del Vangelo, che pagacara: il 2 febbraio 1990, mentre torna a casa in auto è vittima di un’imboscata.Una folla minacciosa, armata di pietre e bastoni, lo lincia.

La fede di Daswa – con la sua beatificazione – è divenuta esemplare per tanti africani e mette in luceun percorso che molti uomini e donne stanno vivendo o hanno vissuto, testimoni africani di umanitàe di giustizia. La sua beatificazione è un messaggio significativo e pieno di speranza a pochi mesi dallavisita di papa Francesco in Kenya, Uganda, Repubblica Centrafricana.

(www.comboni.org)

Abelino Guzman Jiménez, indigeno tseltal e tradut-tore della seconda versione del Nuovo Testamentoe dei Salmi dice: “Non pensavo di arrivare a tradurrela Parola di Dio, però quando cominciammo sentivodi essere un ponte tra me e i miei fratelli e le miesorelle tseltal”. Gilberto Moreno, traduttore dell’An-tico Testamento commenta: “Mi sono sentito comeun intermediario tra Dio e il mio popolo. Vedere lamia gente capire la Parola di Dio con semplicità dicuore e sentire le parole e capirle nella mia lingua,è stato un momento di grande gioia”.Questo lavoro ha aperto la strada a un’esigenza sem-pre più forte di diffondere le Scritture tra le variecomunità native. L’attuale vescovo di San Cristóbalde Las Casas, Felipe Arizmendi Esquivel, ha appenaannunciato la prossima pubblicazione di una ver-sione in un'altra lingua indigena, lo tzoltil, di Van-geli, Atti e Lettere, mentre una traduzione dell’An-tico Testamento è ormai in dirittura d’arrivo.Padre Maurer, missionario di 87 anni, di cui 42 tra-scorsi tra Città del Messico e le montagne del Chia-pas, conclude: “Quest’esperienza mi ha fatto com-prendere il significato della sfida missionaria. Evan-gelizzare vuol dire seminare la Parola in un popoloche vive in un habitat naturale e sociale. Noi mis-sionari dobbiamo custodire quel seme perché cre-sca e faccia frutti, il cui gusto, però, sarà in armoniacon quell’ambiente e quella cultura”.

(MISNA)

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