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Criticità della combustione del legno trattato Responsabile scientifico dello Studio: prof. Marco Ragazzi 7/3/2016 F

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Page 1: Criticità della combustione del legno trattato · 2016. 10. 12. · 1 1 Premessa Il presente documento è stato prodotto1 nell’ambito dell’accordo di collaborazione tra Azienda

Criticità della combustione del

legno trattato

Responsabile scientifico dello Studio:

prof. Marco Ragazzi

7/3/2016 F

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I

Sommario

1 Premessa ................................................................................................................................................... 1

2 Introduzione .............................................................................................................................................. 1

3 Biomassa .................................................................................................................................................... 2

4 Biomassa legnosa ...................................................................................................................................... 3

4.1 Caratteristiche chimiche .................................................................................................................... 3

4.2 Caratteristiche fisiche ........................................................................................................................ 3

4.3 Caratteristiche energetiche ............................................................................................................... 3

5 Normativa .................................................................................................................................................. 4

5.1 Normativa italiana ............................................................................................................................. 4

5.1.1 Biomassa come combustibile .................................................................................................... 5

5.1.2 Biomassa come rifiuto ............................................................................................................... 6

5.1.3 Ceneri ......................................................................................................................................... 7

5.2 Normativa svizzera: un’interessante novità ...................................................................................... 8

6 Scarti e rifiuti dell’industria del legno........................................................................................................ 8

7 Legna trattata: aspetti ambientali ............................................................................................................. 9

8 La combustione della biomassa: aspetti ambientali ............................................................................... 10

8.1 Influenze delle caratteristiche della legna ....................................................................................... 11

8.2 Caratteristiche del particolato emesso e condizioni di combustione ............................................. 11

8.3 Influenza della modalità di campionamento sulla misura del particolato ...................................... 12

8.4 Emissioni di polveri ultrafini ............................................................................................................ 12

8.5 Aspetti tossicologici ......................................................................................................................... 12

8.6 Combustione della legna ed emissioni climalteranti ....................................................................... 15

9 Progetto Biomassa: studio comparativo sulla combustione di legna trattata con collanti organici non

clorurati e non trattata .................................................................................................................................... 16

9.1 Risultati ............................................................................................................................................ 17

10 Conclusioni .......................................................................................................................................... 18

11 Bibliografia ........................................................................................................................................... 19

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1 Premessa

Il presente documento è stato prodotto1 nell’ambito dell’accordo di collaborazione tra Azienda ULSS 20 di

Verona ed Università degli Studi di Trento (Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica) per

l'esecuzione del programma della Regione Veneto dal titolo "Programma di Riferimento Regionale di

Epidemiologia Ambientale", in merito alle attività previste con inizio nel 2015. I contenuti del presente

documento sono stati organizzati in modo da rendere la sua lettura indipendente dall’analogo documento

sulla legna vergine, prodotto nell’ambito del medesimo programma.

2 Introduzione

A livello mondiale si è assistito ad un crescente interesse verso le energie rinnovabili e il risparmio

energetico, per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, in contrasto ai cambiamenti

climatici (Ionescu et al., 2013; Ji et al., 2013). Tra le fonti rinnovabili, la biomassa legnosa vergine è

considerata come una sorgente di energia neutra di gas a effetto serra, pertanto, i governi hanno attuato

strategie per aumentare la sua diffusione tra le fonti primarie di energia a disposizione (Ghafghazi et al.,

2011; Lamers et al., 2014; Patrascu et al., 2014). In base alla provenienza, il legname può essere suddiviso

in due categorie: fonti primarie (legno vergine) e fonti secondarie (residui da industria, prime lavorazioni e

produzioni agro-industriali) (Girelli et al., 2012; Rada et al., 2009; Rada et al., 2012).

Su scala mondiale lo sfruttamento della biomassa è molto variabile tra le diverse aree geografiche: nel 2009

il range andava da un minimo di circa 1% (Giappone) fino a una quota massima superiore al 35% (India)

(Pye et al., 2004). Nell’Unione Europea (UE) l’incidenza delle biomasse è di decine di Mtep all’anno e la

domanda è in costante crescita fino a rappresentare una valida alternativa ai combustibili fossili tradizionali

sia in impianti di riscaldamento di piccola taglia, sia in impianti di cogenerazione e teleriscaldamento su

grosse scale, in particolar modo nei Paesi scandinavi, in Austria, in Svizzera, in Germania e nell’area baltica

(Pye et al., 2004). In questo quadro generale, emerge chiaramente un interesse comune verso un approccio

omogeneo e condiviso anche per il recupero di energia da legna trattata. Questa tematica è

particolarmente sentita in Italia poiché si stima che il settore legno-arredamento produce ogni anno circa

3,4 milioni di tonnellate di scarti legnosi, dei quali il 74% sono costituiti da legno vergine, mentre i restanti

sono scarti di legno trattato con colle e/o vernici di vario genere, anche contenenti sostanze

potenzialmente tossiche (ISPRA, 2010). L'industria del legno, da sempre, ha visto i rifiuti legnosi come

un’utile risorsa da avviare a successive operazioni di recupero energetico, spesso in impianti termici di

taglia medio-piccola (compresa tra qualche centinaio di kW e alcuni MW). Da sottolineare il fatto che, per

1 Con la collaborazione dell’Università dell’Insubria

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esigenze di mercato, tale settore industriale utilizza in larga parte pannelli preformati di vario tipo

(compensato, truciolare grezzo e rivestito, multistrato) che rientrano quindi nella categoria di legno trattato

(ARPAV Veneto e Provincia di Treviso, 2012).

La combustione dei residui di legno trattato rappresenta una potenziale fonte di inquinamento

atmosferico; infatti, oltre all’emissione dei tipici sottoprodotti dell’ossidazione del combustibile (NOX, SO2,

CO, CO2), è opportuno monitorare l’eventuale rilascio di sostanze di impatto ambientale come particolato

atmosferico (PM), metalli pesanti, microinquinanti organici, tra cui diossine e furani (Patrascu et al., 2014;

Rada et al., 2012). Il rischio aumenta nelle aziende medio-piccole, laddove si verificano scorrette modalità

gestionali di controllo della combustione a causa di un know-how insufficiente o di limitate risorse

economiche (ARPAV Veneto e Provincia di Treviso, 2012), o ancor più in piccoli forni a legna o in camini.

3 Biomassa

La definizione di biomassa è stata articolata in diversi modi nella letteratura scientifica. Tra i lavori recenti, è

interessante quello svolto da Ronchini (2010) del quale si riporteranno gli aspetti salienti. Con biomassa ci

si riferisce ad ogni materiale originato da organismi viventi attraverso l’attività fotosintetica delle piante

(direttamente o indirettamente); la biomassa può essere vista anche come la forma più sofisticata di

accumulo di energia solare, grazie alla conversione della CO2 atmosferica in materia organica.

Le biomasse combustibili sono associabili a coltivazioni dedicate, interventi selvicolturali, lavorazione

esclusivamente meccanica di legno verginee di prodotti agricoli. Una biomassa energeticamente valida è un

materiale organico utilizzabile come combustibile, direttamente o mediante trasformazioni

(termochimiche, biologiche o biochimiche finalizzate a migliorarne le proprietà energetiche).

In genere le biomasse, che solitamente si trovano disperse sul territorio, possono essere classificate nel

seguente modo:

a) biomassa vegetale; è questa la biomassa su cui si concentra il presente documento;

b) biomassa animale (ne sono un esempio i rifiuti del metabolismo e le deiezioni animali). La biomassa

può consistere in un’ampia varietà di forme (colture, sottoprodotti di colture, deiezioni, frazione

organica dei rifiuti, ecc.).

Si specifica che la legna da ardere è riferibile ad assortimenti e sottoprodotti forestali, residuali ottenuti da

interventi di gestione di specifiche aree, ecc. ; è dunque a questo tipo di biomassa che fa prevalentemente

riferimento il presente documento. Importante è infine l’aspetto temporale: le biomasse possono

considerarsi inesauribili nel tempo purché siano sfruttate con un ritmo coerente rispetto al rinnovamento

biologico.

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4 Biomassa legnosa

Le biomasse legnose sono quelle composte principalmente da lignina e cellulosa (sono dette anche ligno-

cellulosiche); esse possono provenire dal settore forestale, essere scarti delle industrie di trasformazione

del legno, potature, produzioni di colture legnose dedicate (Ronchini, 2010).

4.1 Caratteristiche chimiche

I principali polimeri che caratterizzano le biomasse forestali sono la cellulosa (conferisce al legno

resistenza), l’emicellulosa (si trova nella parete cellulare delle piante e dove la cellulosa lascia spazi liberi),

la lignina (conferisce rigidità). Una frazione del legno è invece costituita da composti inorganici che si

ritrovano come ceneri a fine combustione. Dipendono, tra le altre cose, dalla tipologia di terreno e dalla

specie arborea. Il legno è composto quasi interamente da carbonio (circa 50%), ossigeno (oltre il 40%),

idrogeno (intorno al 6%). Contiene basse quantità d’azoto, tracce di zolfo e di altri elementi minerali

(Ronchini, 2010). Evidentemente maggiore è il contenuto di carbonio ed idrogeno e maggiore è il potere

calorifico.

Quanto detto riguarda il legno in sé. Tale scenario cambia in caso di residui di legno trattato. I processi di

trattamento possono cambiare la composizione in ingresso ai sistemi di valorizzazione energetica, con

implicazioni potenzialmente non trascurabili in termini di maggiori e più impattanti emissioni.

4.2 Caratteristiche fisiche

Le caratteristiche fisiche del legno di maggiore interesse sono umidità, densità e massa volumica sterica.

L’umidità assume differenti valori in funzione della specie, dell’età, della parte della pianta considerata,

della stagione e del luogo di provenienza. La densità rappresenta il più semplice indicatore di qualità del

legno come combustibile dato che il potere calorifico è direttamente proporzionale ad essa. Tipica del

settore è la massa volumica sterica, usata per gli ammassi dei combustibili legnosi tal quali (come la legna

da ardere, il cippato e il pellet); tali ammassi presentano spazi vuoti in funzione di pezzatura e forma; è

espressa in peso per unità di volume stero (msr, metro stero riversato; msa, metro stero accatastato).

4.3 Caratteristiche energetiche

Il potere calorifico si definisce come la quantità di calore prodotta dalla combustione completa di un’unità

di peso di un combustibile e si esprime in kJ/kg, kJ/l o kJ/m3 a seconda dei casi. La determinazione del

potere calorifico avviene, a volume costante, mediante bomba calorimetrica e in questo caso si determina il

Potere Calorifico Superiore, PCS. Quando nella realtà impiantistica la combustione avviene a pressione

costante il vapor d’acqua, generatosi a partire dalla combustione dell’idrogeno e dall’acqua inizialmente

contenuta nel combustibile, non è condensato; ne consegue che in tali condizioni il calore di condensazione

non è recuperato e quindi ciò spiega la differenza di valore con il Potere Calorifico Inferiore, PCI.

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Il trattamento che il legno subisce nei processi industriali genera scarti che possono avere caratteristiche

energetiche alterate dall’aggiunta di additivi organici. In tal caso il contenuto energetico dipende dal livello

di trattamento che il legno ha subito. In generale l’incremento di energia potenzialmente disponibile dato

dagli additivi non compensa le problematiche tecnologiche ed economiche legate alla garanzia di un

impatto ambientale da combustione adeguatamente basso. Tuttavia alcuni scarti di legna trattata sono

inevitabili considerando i processi produttivi che li generano.

5 Normativa

5.1 Normativa italiana

Il legno trattato costituisce una fonte di recupero energetico di sicuro potenziale, in vista anche degli

obiettivi in termini di differenziazione delle risorse di energia entro il 2020 promossi dalla UE. Per rendere la

filiera legno trattato-energia sicura dal punto di vista degli impatti ambientali, la UE ha incentivato una

revisione delle normative nel settore del riutilizzo degli scarti di lavorazione della biomassa legnosa, che

hanno portato in Italia all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 155 del 3 aprile 2006 (D.Lgs.

152/2006).

In ambito nazionale, le materie inerenti ai rifiuti e alle emissioni gassose rilasciate in atmosfera, infatti, sono

disciplinate rispettivamente dalla parte IV e V del D.Lgs. 152/2006 e rispettivi aggiornamenti. Per essere

soggetti alle prescrizioni della parte V, gli impianti devono utilizzare esclusivamente i combustibili previsti

dall’allegato X della parte V. E' soggetta, invece, alla normativa vigente in materia di rifiuti la combustione

di materiali e sostanze che non sono conformi a tale allegato o che comunque costituiscono rifiuti ai sensi

della parte IV del presente decreto.

Tuttavia, la richiesta di autorizzazione alle emissioni in atmosfera, prevista nella parte V del decreto, deve

essere applicata a tutti gli stabilimenti che producono emissioni, fatto salvo per gli impianti di

incenerimento e coincenerimento, i cui valori limite e le prescrizioni sono stabiliti sulla base del decreto

legislativo n.133 del 11 maggio 2005, e dei piani regionali di qualità dell'aria e, per gli altri impianti di

trattamento termico dei rifiuti, sulla base degli articoli 270 e 271 del presente titolo.

Per la combustione degli scarti di legno, sono di fatto imposti vincoli alle emissioni confrontabili a quelle di

un inceneritore di rifiuti: la normativa risulta così molto restrittiva, considerato il fatto che mentre un

inceneritore lavora costantemente a regime, gli impianti che utilizzano gli scarti di legno con finalità di

recupero termico sono sottoposti al regime variabile delle chiamate dell'impianto. Diverse sono anche le

potenze termiche.

In sostanza, l’attuale definizione di “rifiuto” fornita dal D.Lgs 152/2006 garantisce la giusta funzione di

protezione ambientale, ma rischia di non distinguere più tra prodotti, materie prime secondarie,

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sottoprodotti e rifiuti con possibili conseguenze economiche sul regime di regolamentazione degli scambi

commerciali di queste categorie: lo scenario può essere quindi caratterizzato da interpretazioni non

omogenee tra gli enti locali preposti alla concessione delle necessarie autorizzazioni.

5.1.1 Biomassa come combustibile

L’allegato X della parte V del D.Lgs. 152/2006 riporta l’elenco dei combustibili che possono essere utilizzati

negli impianti di cui al titolo I e II della parte V. In sostanza, il titolo I si applica agli impianti (inclusi quelli

termici civili2 con potenza termica nominale uguale o superiore a 3 MW) e alle attività che producono

emissioni in atmosfera; mentre il titolo II disciplina gli impianti termici civili con potenza termica nominale

inferiore ai 3 MW.

All’interno dello stesso allegato poi, sono descritte le caratteristiche delle biomasse combustibili, fra cui:

1. Materiale vegetale prodotto da trattamento esclusivamente meccanico, lavaggio con acqua o

essiccazione di coltivazioni agricole non dedicate;

2. Materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica e dal trattamento con

aria, vapore o acqua anche surriscaldata di legno vergine e costituito da cortecce, segatura, trucioli,

chips, refili e tondelli di legno vergine, granulati e cascami di legno vergine, granulati e cascami di

sughero vergine, tondelli, non contaminati da inquinanti;

3. Materiale vegetale prodotto da trattamento esclusivamente meccanico, lavaggio con acqua o

essiccazione di prodotti agricoli.

È precisato inoltre che è un sottoprodotto e non un rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte

le seguenti condizioni:

la sostanza o l'oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante,

e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

è certo che la sostanza o l'oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo

di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

la sostanza o l'oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso

dalla normale pratica industriale;

l'ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i

requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non porterà

a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana.

2 Impianti termici civili: in base all’Art.283 è definito come un impianto termico la cui produzione di calore è esclusivamente

destinata, anche in edifici ad uso non residenziale, al riscaldamento o alla climatizzazione invernale o estiva di ambienti o al riscaldamento di acqua per usi igienici sanitari.

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Non vengono poi considerate rifiuto le materie fecali, paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale

agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzato in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di

energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in

pericolo la salute umana.

Dopo aver definito cosa può essere inteso come biomassa ai fini della parte V del D.Lgs. 152/2006, alla

parte II sezione 4 dell’allegato X della parte V del presente decreto, vengono riportate le possibili modalità

di conversione energetica del combustibile, ovvero attraverso la combustione diretta, pirolisi o

gassificazione. In aggiunta, vengono decretate le modalità di combustione in base alla tipologia di impianto,

allo scopo di assicurare le condizioni operative in modo tale da garantire il rispetto dei valori limite di

emissione.

Secondo il Decreto Ambientale 152 del 3 aprile 2006 i valori limite delle emissioni nei fumi durante la

combustione di biomasse solide sono i seguenti (per impianti nuovi o recentemente autorizzati dal 2002, i

valori di emissione vanno riferiti ad un tenore di ossigeno nell'effluente gassoso dell'11%):

- Per impianti superiori a 20MW il limite delle polveri totali è 30 mg/Nm3, quello per gli ossidi di azoto

(espressi come NO2) è 400 mg/Nm3;

- Per impianti tra 150 kW e 3 MW i limiti salgono rispettivamente a 100 e 500 mg/Nm3.

Si noti che non sono previste limitazioni con potenze termiche inferiori ai 35 kW. Inoltre, per le caldaie con

potenze comprese tra 35 e 150 kW la legge prevede delle limitazioni solo per i valori delle polveri totali

(200 mg/Nm3). Sarebbe invece opportuna la commercializzazione di caldaie vincolate a classi di qualità a

partire da impianti di piccola taglia.

5.1.2 Biomassa come rifiuto

Il materiale difforme dai requisiti elencati nel Paragrafo 5.1.1, sostanzialmente quello che ha subito un

qualsivoglia trattamento chimico, ai fini della regolamentazione attinente al recupero energetico rimane

collocato nell’universo “rifiuti”: il suo sfruttamento è disciplinato dal D.Lgs. 133/2005 (che recepisce la

Direttiva 2000/76/CE) e dal DM 05/02/98, così come modificato dal DM 186/2006.

Il D.Lgs. 133/2005 stabilisce le condizioni di esercizio, gli adempimenti amministrativi e i limiti di emissioni

per gli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti che sfruttano le tecniche di combustione,

gassificazione, pirolisi o altre tipologie di conversione, purché i gas prodotti siano inceneriti. L’Art. 3 del

D.Lgs. 133/2005 esclude dal campo di applicazione del presente decreto gli impianti che trattano

esclusivamente speciali categorie di rifiuti; restringendo il campo ai rifiuti di legno, ad eccezione di quelli

che possono contenere composti organici alogenati o metalli pesanti o quelli classificati pericolosi a seguito

di un trattamento protettivo o di rivestimento. Rientrano in particolare in tale eccezione i rifiuti di legno di

questo genere derivanti dai rifiuti edilizi e di demolizione.

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Resta poi in vigore il DM Ambiente del 1998 che fissa le condizioni secondo le quali le attività di recupero di

materia o di energia dai rifiuti non pericolosi sono ammesse a procedura semplificata che sostituisce sia

l’autorizzazione all’attività di recupero dei rifiuti, sia l’autorizzazione regionale prevista per le attività che

generano emissioni in atmosfera.

Le tipologie di rifiuti per cui è ammesso il ricorso alle procedure semplificate, sono:

Rifiuti della lavorazione del legno e affini non trattati, ovvero scarti anche in polvere a base

esclusivamente di legno vergine o sughero vergine o componenti di legno vergine;

Rifiuti della lavorazione del legno e affini trattati, cioè scarti e agglomerati anche in polvere a base

esclusivamente legnosa e vegetale contenenti un massimo di resine fenoliche dell’1% e privi di

impregnanti a base di olio di catrame o sali CCA, aventi inoltre le seguenti caratteristiche:

o Un contenuto massimo di resine urea - formaldeide o melanina - formaldeide o urea

melanina - formaldeide del 20% (come massa secca/massa secca di pannello);

o Un contenuto massimo di resina a base di difenilmetano diisocianato dell’8% (come massa

secca/massa secca di pannello);

o Un contenuto massimo di Cloro dello 0,9% in massa;

o Un contenuto massimo di additivi (solfato di ammonio, urea - esametilentetrammina) del

10% (come massa secca/massa secca di resina).

5.1.3 Ceneri

In generale, considerando l’insieme delle biomasse solide utilizzate negli impianti a biomassa, il

quantitativo delle ceneri è mediamente pari all’8% della biomassa utilizzata, con punte che vanno da un

massimo del 15% (lolla di riso) a un minimo del 1-2% (cippato di legno) (Berra, 2010).

La gestione delle ceneri da biomassa è disciplinata, in Italia, dal D. Lgs. n.22 del 5 febbraio 1997, in cui tali

ceneri sono definite rifiuti speciali non pericolosi e sono inserite nella categoria dei “Rifiuti inorganici

provenienti da processi termici”, distinguendo tra ceneri pesanti e ceneri leggere.

Il successivo DM 05/02/1998 disciplina le modalità di stoccaggio, trasporto, recupero e smaltimento dei

rifiuti non pericolosi. Le ceneri dalla combustione di biomasse (paglia, vinacce) ed affini, legno, pannelli,

fanghi di cartiere sono destinate al recupero se sono costituite principalmente da potassio, calcio, sodio e

loro composti, con PCDD in concentrazione non superiore a 2,5 ppb e PCB, PCT <25 ppm.

Le attività indicate dal suddetto decreto come terminale finale della filiera del recupero delle ceneri sono i

cementifici, le imprese di produzione di conglomerati cementizi e le industrie dei laterizi e dell’argilla

espansa. E’ possibile destinare le ceneri a compostaggio e alla produzione di fertilizzanti, mentre è vietato

un utilizzo diretto in agricoltura mediante spandimento di esse sul terreno.

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5.2 Normativa svizzera: un’interessante novità

È importante che il legno trattato, sporco o contaminato da sostanze estranee, non sia bruciato in piccoli

impianti di combustione ma solo in impianti a grande potenzialità ed adeguatamente attrezzati. La

normativa svizzera distingue la biomassa legnosa in legna da ardere (combustibile) e rifiuto, ciascuno dei

quali con specifici limiti di emissione in atmosfera, tecniche di controllo e monitoraggio degli inquinanti,

come previsto dall’Ordinanza contro l’inquinamento atmosferico (OIAt) aggiornata nel luglio 2010. Il testo

dell’Ordinanza, riportato di seguito, classifica il legno in quattro categorie di provenienza (UFAM, 2012):

1. Legna allo stato naturale: fra questi figurano ciocchi, rami secchi, pigne, mattonelle, pellet e pezzi

minuti, ma anche trucioli, segatura, polvere di levigatrice o corteccia proveniente dalle segherie.

Questo tipo di legna può essere bruciato solo nei piccoli forni a legna e nei caminetti.

2. Per scarti di legno si intende il legname inutilizzato proveniente dall’industria di lavorazione del

legno. Come per la prima categoria, anche gli scarti di legno fanno parte della legna da ardere. La

loro combustione è consentita tuttavia soltanto in impianti soggetti a misurazione periodica con

una potenza termica pari ad almeno 40 kW. Infatti gli scarti di legno spesso non si trovano allo stato

naturale, ma contengono resti di legno trattati con sostanze chimiche, per esempio parti di legno

laccato o pannelli truciolari. Una combustione conforme è imprescindibile per garantire che non

vengano emesse sostanze critiche.

3. Per legname di scarto si intende legno usato proveniente dalla demolizione, dalla ristrutturazione o

dal rinnovamento di edifici nonché da cantieri, imballaggi o mobili. Anche i pallet di legno

appartengono a questa categoria. Il legno di questo gruppo non è considerato legna da ardere, può

essere incenerito soltanto in impianti a combustione alimentati con legno usato e con una potenza

termica pari o superiore a 350 kW, che soggiacciono ai rispettivi valori limite di emissione.

4. Tutti gli altri materiali in legno che non possono essere assegnati a una delle prime tre categorie

sono considerati resti legnosi altamente contaminati, che devono essere inceneriti negli appositi

impianti di incenerimento di rifiuti urbani.

6 Scarti e rifiuti dell’industria del legno

L’industria del legno costituisce un settore complesso, con diversi comparti produttivi che generano scarti

di diversa tipologia, come sottolineato da una relazione dell’ISPRA (2010):

Scarti di legno vergine, costituiti da residui di legno naturale di varia pezzatura (segatura, trucioli,

cippato) provenienti da imprese che lavorano tronchi o tavole o elementi in legno massiccio

(segherie, carpenterie e falegnamerie, produzioni di imballaggi e di pannelli in legno compensato);

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Scarti di legno trattato, proveniente da imprese che producono o lavorano pannelli a base di legno,

produzione di mobili e arredamenti in legno e costituiti da residui di legno con presenza di colle e/o

prodotti vernicianti (compreso il polverino derivante dalla sagomatura e levigatura dei prodotti).

Si stima che le imprese del settore dell’industria del legno siano 88.000 (ISPRA, 2010) e forniscano

occupazione ad oltre 390.000 addetti. Tali aziende sono per lo più di piccole-medie dimensioni come

dimostrato dal fatto che quelle con un numero maggiore di 20 unità lavorative rappresentano solo il 3,2%

del totale.

Sempre da ISPRA (2010) è possibile individuare alcuni importanti dati statistici:

Il 56% del totale delle aziende produce legno e/o prodotti in legno impiegando il 44% della

manodopera del settore dell’industria del legno;

Il restante 44% delle aziende fabbrica mobili dando impiego al 56% della manodopera totale;

I residui generati dall’industria del legno e dei prodotti del legno sono quantificati secondo una

produzione di scarti di legno vergine variabile da 11,8 e 20,6 t/anno per ogni addetto;

I residui provenienti dall’industria della fabbricazione del mobile sono stimati secondo una

produzione variabile di legno trattato da 3,4 e 5,2 t/anno per addetto.

In Italia, ai fini energetici, salvo nel caso di impianti dotati di speciali tecnologie anti-inquinamento, possono

essere utilizzati solo i residui non trattati. La parte di residui legnosi destinata alla produzione di energia (se

all’interno dell’azienda, per il riscaldamento dei locali e nel processo produttivo) rappresenta una

percentuale variabile tra il 17 e il 65% (APAT, 2003). Il materiale vergine di scarto è di interesse anche per

utilizzi fuori azienda: produzione di pellets e briquettes, uso nelle centrali a biomassa, produzione di

pannelli (Riva et al., 2005).

7 Legna trattata: aspetti ambientali

La combustione di legna trattata, oltre alle emissioni di sostanze inquinanti tipiche della combustione del

legno, provoca anche una fuoriuscita significativa di metalli pesanti o diossina, suscettibili a entrare nella

catena alimentare. Riconoscere il legno trattato a volte non è semplice (UFAM, 2012):

Alcuni produttori di lacche che proteggono il legno promuovono i propri prodotti sulla scorta della

quasi totale invisibilità del materiale.

Nel caso del legno usato, trascorsi uno o due anni di esposizione alle intemperie è difficile

riconoscere con sicurezza se si tratti di legno non trattato o legno precedentemente trattato.

Secondo uno studio del 2005 che ha esaminato questa problematica in relazione al legname da

opera e da demolizione, la distinzione in base al colore o ad altre impressioni visive può indurre a

errori di giudizio (Solo-Gabriele et al., 2005).

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In uno studio commissionato dall’Ufficio Federale dell’Ambiente della Confederazione Svizzera (UFAM) del

2000 (Mohn et al., 2000) è stato esaminato legno di diverse categorie in relazione a:

tenore di metalli pesanti,

sostanze organiche per la protezione del legno

composti organo-alogenati

In tale contesto l’incenerimento del legno allo stato naturale è stato associato a rilasci di quantità esigue di

metalli pesanti e diossina. Al contrario, l’elevato tenore di inquinanti negli scarti di legno e nel legname di

scarto (nel caso specifico, scarti provenienti dalle falegnamerie con frammenti di pannello truciolare, legno

da cantiere assortito, imballaggi, legname da demolizione), provoca elevate emissioni di metalli pesanti e

diossina. In particolare, mentre la combustione di legno allo stato naturale provoca esigue emissioni di

diossina anche in impianti ad alimentazione manuale, tale valore aumenta fino a 1000 volte con la

combustione di legno laccato (Hasler et al., 1993; Nussbaumer, 2005).

8 La combustione della biomassa: aspetti ambientali

La combustione della biomassa può essere descritta suddividendo le diverse fasi che si sviluppano con il

progressivo aumento della temperatura (Faravelli et al., 2006): essiccamento, devolatilizzazione,

combustione in fase gassosa, combustione del residuo solido carbonioso (char). Tali fasi possono avvenire

simultaneamente in varie zone della camera di combustione (Galante, 2013). Il transitorio di avviamento e

le condizioni di basso carico sono particolarmente critici per le emissioni. È importante sottolineare che in

alcuni Paesi è obbligatorio dotare la caldaia di un serbatoio di stoccaggio dell’acqua calda per disaccoppiare

la richiesta dell’utenza, intermittente e non costante, dalle condizioni di funzionamento della caldaia

(Nussbaumer, 2010). Anche la fase finale della combustione è critica, con alte emissioni di materiale

particolato e monossido di carbonio; ciò dipende anche dalla tipica azione di chiusura della valvola dell’aria

per fare durare di più la combustione (Galante, 2013). Meno rilevante è in fase finale l’emissione di

idrocarburi, in quanto volatilizzati principalmente nelle fasi precedenti (Keltz et al., 2010). Altri inquinanti

derivano dalle sostanze contaminanti presenti nella biomassa (Nussbaumer, 2003). Gli ossidi di azoto

provengono generalmente da processi che coinvolgono l’azoto presente nel combustibile, per via delle

temperature non troppo elevate raggiunte in fase di combustione. L’azoto è intorno allo 0,5% in peso del

combustibile, riferito alla sostanza secca (Galante, 2013). Questo aspetto ne smorza le emissioni (prima di

qualunque eventuale trattamento) rispetto ad altri combustibili.

È chiaro che considerate le peculiarità della combustione della biomassa legnosa, l’introduzione di legno

trattato in impianti a bassa tecnologia non può essere permessa.

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8.1 Influenze delle caratteristiche della legna

Le caratteristiche del combustibile in relazione a quantità e qualità delle emissioni sono state oggetto di

numerosi studi (Hays et al., 2003; Purvis et al., 2000; McDonald et al., 2000); una sintesi si può trovare in

Galante (2013); diversi studi hanno approfondito il ruolo dell’umidità con riferimento alle emissioni; ad

esempio Hays et al. (2003) hanno individuato una correlazione lineare tra umidità e massa di PM2.5 emessa,

risultati confermati da Gras et al. (2002). Grazie alla stagionatura di 2 anni in Europa centrale si ottengono

valori di umidità inferiori al 10% (Schmidl et al., 2011), prossimi al minimo di umidità che la legna può

raggiungere con tale pratica: di conseguenza molti degli studi realizzati in tali aree usano legna molto secca,

a differenza per esempio degli Stati Uniti dove si utilizzano essenze più umide. In letteratura sono

disponibili alcune ricerche che hanno confrontato le emissioni di varie essenze legnose (Faravelli et al.,

2006, Fine et al., 2001, Fine et al., 2002, Schmidl et al., 2007); tuttavia non è semplice correlare i tipi di

legna a specifici livelli emissivi.

Questa variabilità di comportamento emissivo delle biomasse può creare una situazione per cui le

variazioni di emissioni di inquinanti, dovute all’instabilità del processo di combustione, possono essere

superiori a quelle associabili a trattamenti semplificati le quali però possono far classificare il legno trattato

come rifiuto.

8.2 Caratteristiche del particolato emesso e condizioni di combustione

Le emissioni di polveri sono maggiori in fase di avvio dell’impianto. Negli impianti tradizionali si registrano

anche concentrazioni di un ordine di grandezza superiore a quelle della combustione a regime

(Nussbaumer et al., 2008). Per l’80-90% il particolato è composto da particelle fini con diametro inferiore a

2,5 μm (Ehrlich et al., 2007; EEA, 2010). In letteratura alcune fonti (Bolling et al., 2009) classificano il

particolato in: particolato inorganico (costituito da sali), fuliggine (chiamata soot in inglese) e composti

organici semivolatili. La loro presenza varia in funzione delle condizioni di combustione: eccesso d‘aria e

concentrazione di monossido di carbonio (Nussbaumer et al., 2010).

Il particolato inorganico, per la maggior parte composto da sali, è la componente prevalente nel particolato

emesso a regime dagli apparecchi automatici più moderni (stufe e caldaie a pellet), dove si realizzano

condizioni di combustione completa. La fuliggine è l’emissione tipica delle condizioni di cattiva combustione

(cattiva miscelazione o carenza di aria) a temperatura sufficientemente elevata, accompagnata da alti livelli

di emissioni di monossido di carbonio, ed è essenzialmente costituita da carbonio elementare in forma

grafitica (Galante, 2013). Questa frazione del particolato è chiamata anche ‘black carbon’ ed ha un

importante ruolo per i suoi effetti climalteranti. I composti organici semivolatili sono presenti soprattutto in

fase di avvio e di spegnimento dell’impianto: in questi casi la sostanza organica volatilizzata non è

completamente combusta per cui si formano prodotti carboniosi organici condensabili (COC).

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L’utilizzo di legno trattato può modificare la generazione del particolato in emissione in quanto il

trattamento subito può favorire il trascinamento di particelle nei fumi.

8.3 Influenza della modalità di campionamento sulla misura del particolato

Il contributo delle sostanze condensabili al particolato misurato è influenzato dalle condizioni di

campionamento: il passaggio di stato dalla fase gassosa alla fase particolata dipende infatti dalla

temperatura e dalla pressione parziale delle specie semivolatili coinvolte (Galante, 2013). In ambito

europeo la norma tecnica specifica, ratificata anche in Italia (UNI CEN/TS 15833), riporta alcune

metodologie di misura sulla base di norme nazionali e quindi non è univoca. Si distinguono comunque due

principali approcci: il campionamento a caldo (mediante filtri preriscaldati, non misura le particelle

organiche condensabili) e il campionamento a diluzione a freddo (su filtro dal flusso diluito mediante tunnel

di diluizione, comprende le particelle derivanti dal materiale organico condensabile). È stato dimostrato

(Nussbaumer et al., 2008) come la differenza tra i diversi metodi risulta essere più marcata per i piccoli

impianti di combustione, che generano elevate emissioni della frazione condensabile a causa delle

condizioni di funzionamento non ottimali. Addirittura, nelle condizioni reali meno favorevoli, le emissioni

misurate a freddo possono essere fino a un ordine di grandezza in più rispetto a quelle a caldo.

8.4 Emissioni di polveri ultrafini

Negli ultimi anni sono state numerose le ricerche su impianti per riscaldamento civile a biomassa di piccola

potenzialità (Cernuschi et al., 2010; Ozgen et al., 2012). Tali studi hanno dimostrato che esiste un

contributo significativo di polveri ultrafini, inferiori a 100 nm, al numero totale di particelle emesse. Si fa

riferimento al numero e non alla massa in quanto per diametri così piccoli la massa perde di significato

anche se considerata nel complesso delle polveri ultrafini presenti in un campione. Confrontando la

combustione di pellet in un impianto a tecnologia avanzata e quella di ciocchi di legna in un caminetto

chiuso, il fattore di emissione in termini di numero di particelle per kg di legna è simile, ma è

particolarmente differente se si considera la granulometria e in particolare la frazione nanoparticolata (il

diametro caratteristico delle nanoparticelle è inferiore a 50 nm) (Galante, 2013).

Il vantaggio degli impianti a maggiore potenzialità è la presenza (se prevista) di sistemi di trattamento che

spesso sono efficienti nei confronti delle polveri ultrafini. Ciò significa che le emissioni di polveri ultrafini

per unità di biomassa sono potenzialmente inferiori nel caso del legno trattato.

8.5 Aspetti tossicologici

Il ‘fumo da legna’ è una complessa miscela di gas e particelle fini ed ultrafini. Contiene oltre 200 specie

chimiche quasi tutte inalabili (Zelikoff et al., 2002); tra queste specie, oltre al particolato, si possono

individuare alcuni gruppi di sostanze chimiche classificate dall’IARC (International Agency for Research on

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Cancer) come noti cancerogeni; ulteriori sostanze chimiche sono tra quelle indicate come pericolose

dall’EPA (Naeher et al., 2007). Pur conoscendo le problematiche dei singoli composti, resta da chiarire il

ruolo degli effetti sinergici delle diverse componenti; per agire in tale direzione si esamina la tossicità

complessiva dell’intera miscela. In questo ambito gli studi possono distinguersi in tre filoni (Galante, 2013):

studi sull’inquinamento outdoor;

studi sull’inquinamento indoor;

studi sulle fonti di emissione.

Gli studi sull’esposizione outdoor normalmente svolti analizzano gli effetti acuti dell’esposizione correlati a

livelli di fumo particolarmente elevati (Naeher et al., 2007): per la maggior parte tali studi valutano

l’esposizione degli addetti allo spegnimento di incendi boschivi (a causa dei quali vi sono effetti

sull’apparato respiratorio e sulla funzionalità polmonare).

A livello di inquinamento indoor si deve distinguere tra gli studi che riguardano il mondo industrializzato e

quelli relativi ai paesi in via di sviluppo (Galante, 2103). È infatti notevole l’uso di biomasse a livello

domestico nei paesi a basso reddito, soprattutto in apparecchi privi di sistemi di ventilazione (ovvero senza

camino di evacuazione dei fumi dagli ambienti domestici). Per comprenderne la rilevanza basta ricordare

che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito l’inquinamento indoor causato da legna e carbone

tra i fattori di maggiore rischio ambientale, con milioni di morti ad esso correlate. Sono segnalati inoltre

effetti quali irritazione oculare, cataratta, vari problemi respiratori e il basso peso dei bambini alla nascita

(dovuto alla presenza di monossido di carbonio nell’ambiente domestico). Si sottolinea che il problema non

riguarda solo le aree povere del Pianeta (Delgado et al., 2005), infatti anche nei Paesi industrializzati

numerosi studi epidemiologici (Naeher et al., 2007) hanno evidenziato effetti da inquinamento indoor:

affezioni respiratorie, decrescita della funzionalità polmonare, aumento delle visite di emergenza e delle

ospedalizzazioni (Galante, 2013). Orozco-Levi et al. (2006) hanno trovato, in Spagna, una significativa

correlazione tra l’utilizzo di legno o carbonella e le malattie polmonari ostruttive croniche (COPD). In

Canada, Levesque et al (2001) hanno evidenziato che in ambito indoor si riscontrano criticità da presenza di

formaldeide, biossido di azoto, PM10 e monossido di carbonio. In Svezia (Gustafson et al., 2008) sono stati

misurati gli idrocarburi policiclici aromatici presenti all’interno ed all’esterno di varie abitazioni,

riscontrando valori quattro volte superiori nel caso di utilizzo di biomassa. Anche la combustione di una

sigaretta è di fatto una combustione di biomassa. È perciò interessante rilevare che, negli Stati Uniti, uno

studio epidemiologico ha analizzato una popolazione di forti fumatori riscontrando come la presenza di

COPD sia statisticamente superiore per chi utilizza apparecchi per la combustione di biomassa (Sood et al.,

2010).

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Una recente relazione (Kim et al., 2011) ha sintetizzato le informazioni relative ai danni alla salute da

utilizzo non ottimizzato di biomasse (in particolare legna) per le attività di cucina, evidenziando quanto

segue (Galante, 2013):

Malattie respiratorie acute specialmente nei bambini e nei paesi in via di sviluppo (ma non solo); si

è riscontrato che i casi di otite nei bambini sono influenzati dalla presenza di stufe a legna nelle

abitazioni;

Associazione tra uso di biomasse e bronchite cronica e/o COPD;

Influenza sulla velocità dell’infezione da tubercolosi;

Influenza dell’utilizzo di combustibili solidi (più il carbone della legna) sul cancro ai polmoni;

Basso peso alla nascita dei neonati a causa del monossido di carbonio

Irritazione oculare e cataratta.

L’International Agency of Research on Cancer (IARC, 2010) ha definito le emissioni indoor da combustione

di biomassa legnosa come ”probabili cancerogeni per l’uomo”, sulla base di tre elementi:

a) presenza di idrocarburi policiclici aromatici ed altri composti cancerogeni nel fumo da combustione

della legna;

b) evidenze sulla mutagenicità;

c) danni citogenetici negli esseri umani esposti.

Come segnalato, l’influenza sul cancro ai polmoni è meno evidente di quella riferibile alla combustione del

carbone (Galante, 2013).

Una particolare ricerca ha considerato l’utilizzo di forni a legna nelle pizzerie (Buonanno et al., 2010),

misurando numero, area superficiale e concentrazione di polveri ultrafini all’interno di pizzerie; ne è

risultato che i parametri sono simili a quelli di altri microambienti critici, quali le zone in prossimità di grandi

arterie stradali. A tal proposito il sistema di ventilazione dei forni delle pizzerie gioca un ruolo fondamentale

nell’esposizione di operatori e clienti.

Gli effetti della combustione della legna sono stati analizzati anche comparativamente. È il caso di uno

studio svizzero (Klippel et al., 2007) in cui il confronto in termini di tossicità e potere mutageno su cellule

polmonari in vitro ha riguardato polveri provenienti da un auto diesel e da una stufa in condizioni di

combustione completa e incompleta. La tossicità delle polveri da diesel è risultata 5 volte più alta di quella

da polveri da combustione completa della legna; a sottolineare la criticità della combustione di bassa

qualità, il particolato dalla combustione incompleta è risultato contenere livelli di idrocarburi policiclici

aromatici venti volte superiori a quelli del diesel con un conseguente livello di tossicità 15 volte superiore.

Un’altra ricerca (Jalava et al., 2010) ha indagato l’influenza delle condizioni di combustione sull’attività

citotossica ed infiammatoria del particolato: il particolato prodotto in caso di combustione incompleta,

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ovviamente caratterizzato da una maggiore presenza di composti organici, è risultato avere un potere

citotossico ed infiammatorio più marcato.

Una ricerca riguardante una particolare caldaia usata nei Paesi scandinavi, effettuata con la medesima

metodologia, si è occupata delle differenze (immunotossiche e citotossiche) tra il particolato generato da

una caldaia a pellet e quello da un masonry heater – caldaia ad accumulo tipica dei paesi scandinavi

(Tapanainen et al., 2011). La combustione meno efficiente riferibile al masonry heater è risultata associata

ad una maggiore genotossicità, per l’alta concentrazione di IPA (idrocarburi policiclici aromatici) e di altri

composti organici presenti nel particolato.

Un ulteriore studio ha evidenziato come uno dei possibili meccanismi di generazione del danno da

particolato sia correlabile allo stress ossidativo prodotto dalla presenza di radicali liberi (Tian et al., 2009).

Miljevic et al. (2010) hanno studiato la presenza di specie reattive ossigenate; a tal fine hanno utilizzato una

sonda che diventa fluorescente in presenza di elevata attività redox, risultata più marcata nel caso di avvio

della combustione a freddo rispetto ad un avvio a caldo.

Sempre in tale ambito, Danielson et al. (2011) hanno studiato lo stress ossidativo, i danni al DNA e le

infiammazioni indotte su cellule polmonari e monociti umani da tre campioni di materiale particolato.

Anche in questo caso, per quanto riguarda le emissioni da legna, si è concluso che queste hanno un elevato

contenuto di IPA con effetti potenzialmente non trascurabili.

Ulteriori approfondimenti si possono trovare in Galante (2013).

Da tutto ciò si deduce che:

la filiera della legna deve essere ottimizzata per gestire correttamente le potenziali criticità;

il legno trattato, potenzialmente più pericoloso della legna vergine, deve essere gestito come rifiuto in

impianti dedicati;

per tale motivo devono essere adottate azioni di controllo che evitino la combustione di legno trattato

in impianti domestici.

8.6 Combustione della legna ed emissioni climalteranti

La combustione di biomassa non è del tutto neutra in quanto ha effetti climalteranti (Galante, 2013).

Alcune emissioni sono infatti legate alla filiera di produzione della legna: ad esempio a causa del trasporto

dallo stabilimento di produzione al punto di consumo. Un recente studio (Caserini et al., 2010) ha mostrato

che tale contributo è poco rilevante, anche se la legna è trasportata su gomma da notevoli distanze. Anche

le emissioni generate durante la produzione del pellet hanno un ruolo modesto. Diverso è il caso delle

emissioni da cattiva combustione: la legna da ardere emette metano (CH4), importante gas climalterante,

oltre a fuliggine, meglio indicata come black carbon (BC), che ha un fortissimo potere climalterante (circa

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500 volte quello dalla CO2) ancora più marcato sul breve periodo (Bond et al., 2004). Nei Paesi della

Convenzione sul Trasporto Transfrontaliero di Inquinanti a Lunga Distanza (Ad-Hoc Expert Group on Black

Carbon, 2011) è stato stimato che il contributo del settore residenziale alle emissioni di black carbon è

intorno al 30% delle emissioni complessive. Non deve esse inoltre dimenticato il particolato inorganico

emesso, con effetto ancora non univocamente definito per l’atmosfera, ed il brown carbon, ovvero un

aerosol organico originato da composti organici volatili e da sostanze umiche (Galante, 2013). Da notare

infine che se si considerano le emissioni di un camino aperto, o di una stufa a bassa efficienza, con alte

emissioni di BC e CH4, la combustione della legna può avere un effetto negativo addirittura anche dal punto

di vista delle emissioni climalteranti (Galante, 2013). Al contrario, per apparecchi a basse emissioni (come le

stufe a pellet) il bilancio della CO2 resta favorevole. È fondamentale quindi ottimizzare la filiera di

valorizzazione della legna.

La combustione di legna trattata può peggiorare tale scenario se è associata ad una emissione aggiuntiva di

VOC.

9 Progetto Biomassa: studio comparativo sulla combustione di legna

trattata con collanti organici non clorurati e non trattata

Nell’ambito della lavorazione del legno da parte della categoria degli Artigiani, sempre più spesso risulta

che la materia prima lavorata è costituita da un semilavorato di legno vergine realizzato in più strati

incollati tra loro con collanti organici non clorurati. In tal modo anche gli scarti di lavorazione, pur costituiti

in massima parte da legno vergine, contengono una quantità, anche se limitata, di collante talché, a stretto

rigore normativo, non possono essere considerati quali combustibili ammessi ai fini del recupero energetico

attraverso la combustione nelle tradizionali caldaie a legna.

Con specifica nota dell’APPA della Provincia Autonoma di Trento nel 2013 è stato proposto al Ministero

dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare di valutare la possibilità di ammettere a combustione

anche il legno non rigorosamente vergine, ma semplicemente accoppiato a più strati, ponendo

naturalmente adeguate prescrizioni inerenti la qualità di tali scarti.

Inoltre l’Associazione Artigiani (AA) del Trentino si è dimostrata interessata a promuovere uno studio che

valutasse a campione diverse tipologie di scarti di legno “vergine” multistrato prodotti da falegnamerie

associate prese a campione.

L’attività sperimentale è stata definita per verificare comparativamente se il legname da opera

semilavorata con l’impiego di collanti organici non clorurati (come ad esempio il legno lamellare) abbia

emissioni che differiscono in modo apprezzabile da quelle del legname vergine se utilizzato come

combustibile per impianti di generazione di calore.

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In particolare sono state eseguite prove di combustione su sei differenti tipologie di combustibile, tre

riferibili a biomassa legnosa vergine (legna di abete e di larice in ritagli di media pezzatura e mix

abete/larice) e tre riferibili a biomassa legnosa contenente collanti (bricchette, scarti di legno lamellare con

tracce di colla vinilica più indurente e scarti di legno lamellare con tracce di colla poliuretanica). I campioni

di legna vergine da sottoporre ad analisi sono stati individuati in abete e larice, in quanto maggiormente

utilizzati nei processi produttivi di interesse, quali la produzione di serramenti e di pannelli di legno

lamellare strutturale. Durante le diverse prove di combustione sono state effettuate le misure in continuo

di O2 e CO2 (parametri di combustione) delle temperature in camera di combustione e sui fumi, di CO, NO,

NOX e COV.

Preliminarmente sono stati analizzati i campioni con l’obiettivo di ottenere analisi elementare e contenuto

di carbonio totale della legna e contenuto di metalli pesanti sia di legna che di colle, dopodiché sono stati

fatti prelievi sui fumi (per la determinazione di polveri fini ed ultrafini, PCDD/F e IPA) e prelievi delle ceneri

(per la determinazione di PCDD/F, IPA e cloro e metalli pesanti).

9.1 Risultati

Sulla base dei dati raccolti attraverso il monitoraggio in continuo (nelle fasi stazionarie selezionate) e

derivanti dalle analisi dei campioni prelevati (nei periodi di combustione) si è proceduto al confronto dei

risultati ottenuti nel corso dei test di combustione delle diverse tipologie di biomasse legnose al fine di

valutare se la presenza dei collanti evidenziasse significativi peggioramenti della qualità delle emissioni

ovvero delle ceneri residue.

Per quanto riguarda il monossido di carbonio CO, con la sola eccezione del lamellare con colla

poliuretanica, le emissioni sono risultate ampiamente entro i limiti stabiliti per le caldaie oltre 150 kW (350

mg/Nm3) e per gli inceneritori (100 mg/Nm3 su 30 minuti), leggermente più elevati con la legna trattata

(bricchette e colla vinilica). Nel caso del lamellare con colla poliuretanica gli elevati valori sono stati messi in

relazione alla maggiore pezzatura del combustibile e ad azioni di disturbo esterne avvenute durante la

prova (ripetuta e prolungata apertura portellone di carico).

Per quanto riguarda gli ossidi di azoto NOX, le concentrazioni rilevate sono risultate estremamente modeste

nei confronti dei limiti di legge (500 mg/Nm3 per caldaie e 400 mg/Nm3 per inceneritori), non evidenziando

peggioramenti nel caso della legna trattata.

Anche per i composti organici volatili COV, escludendo i picchi rilevabili nelle fasi non stazionarie o in

occasione di pertubazioni dovute ad aperture del portello o interruzioni della ventilazione per eccesso di

temperatura, nelle fasi effettivamente stazionarie non si sono osservate differenze significative fra i test

con legna vergine e con legna trattata.

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Per quanto riguarda le diossine/furani PCDD/F, in tutti i casi nei fumi si sono riscontrate concentrazioni

espresse in tossicità equivalente (2-26 pgTEQ/Nm3) significativamente inferiori al limite imposto per gli

inceneritori (0,1 ngTEQ/Nm3). I dati singoli ed i profili dei congeneri sono risultati invece diversi fra loro,

senza evidenziare un peggioramento generalizzato o criticità nel caso della legna trattata (ma senza

consentire un confronto fra i risultati ottenuti): la variazione deve essere ascritta alle diverse modalità di

combustione. Anche la presenza di PCDD/F nelle ceneri (2-6 ngTEQ/kg di sostanza secca) non ha denotato

differenze fra legna vergine e legna trattata.

Per quanto riguarda gli idrocarburi policiclici aromatici IPA, i valori riscontrati nei fumi sono risultati in

alcuni casi superiori al limite (0,01 mg/Nm3, fissato però per 8 ore) stabilito per la combustione di legna

trattata in impianti di taglia maggiore; tuttavia gli stessi valori non hanno evidenziato peggioramenti

significativi imputabili al trattamento della legna. La presenza di IPA nelle ceneri è risultata indipendente

dalla presenza nei fumi. Fra i cancerogeni i maggiormente presenti in fumi e ceneri sono stati il

Benzo(a)Pirene (BaP) ed il Benzo(a)Antracene (BaA), anche in questo caso senza chiare differenze fra legna

vergine e legna trattata.

Anche per le polveri fini ed ultrafini PM, valutate sia come numero di particelle sia in massa, si sono rilevati

valori da mettere in relazione più alle condizioni della combustione che alla tipologia del legno impiegato,

non ravvisando un evidente legame con la presenza di collanti.

Per il cloro ed i metalli nei fumi è stata effettuata una valutazione mediante calcolo a partire dalle analisi sui

diversi combustibili e sulla colla vinilica con indurente.

In particolare per il Cloro Cl si è valutato che nel caso della colla vinilica (200 g/m2) il quantitativo aggiunto,

presente soprattutto nell’induritore (5 parti ogni 100 di colla), è tutt’altro che trascurabile (+46%) ai fini

della probabile emissione di acido cloridrico HCl.

Invece per il Mercurio Hg l’apporto della colla e dell’indurente è risultato limitato all’1%, talchè, anche

considerata l’estrema volatilità del Hg, si possono escludere criticità emissive per tale metallo.

10 Conclusioni

Un fattore fondamentaleper la qualità dei fumi in uscita è dunque rappresentato dalla tipologia di

combustibile. La vecchia consuetudine, tipica soprattutto delle zone rurali, di bruciare residui di ogni genere

in casa e fuori casa (ad esempio scarti di legno verniciato) è in realtà dannosa per l’ambiente ed è da

considerare oggi una vera e propria combustione illegale. Non bisogna, né negli impianti domestici né negli

impianti installati dalle imprese di lavorazione del legno, produrre energia mediante la combustione di

legna trattata, legname di scarto proveniente dalla demolizione e dalla ristrutturazione degli edifici, quello

costituito da imballaggi (bancali) o mobili di legno, la formica o il compensato. Si tratta di scarti che

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contengono spesso sostanze di sintesi quali colle ureiche, melanine, polivinilcloruri, vernici; per tale motivo

producono fumi particolarmente inquinanti quando bruciano a basse temperature. Risulta perciò

necessario adottare unità di combustione in grado di sviluppare temperature adeguatamente elevate,

anche superiori a 1000°C.

Tuttavia, da uno studio specifico, è emerso che il legname da opera semilavorata con l’impiego di collanti

organici non clorurati produce emissioni analoghe a quelle della legna vergine, con la sola esclusione del

cloro inorganico presente in maniera significativa nell’induritore della colla vinilica, che pertanto è

necessario venga sostituito con un analogo prodotto senza cloro.

Quindi, in tale studio, si suggerisce di non escludere a priori la combustione di scarti di legno trattati ma di

limitarne l’autorizzazione a scarti con trattamenti selezionati, per caldaie di piccola taglia dotate di

specifiche soluzioni di ottimizzazione della combustione.

Il tutto tenendo conto che, impiegando sia legna vergine che legna trattata, gli impianti di grossa taglia

offrono comunque prestazioni ambientali sicuramente migliori rispetto a quelli di taglia piccola, meno

controllati e troppo spesso sprovvisti di dispositivi di depurazione dei fumi.

Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla bibliografia di seguito riportata. Il presente documento, di

carattere divulgativo, è da intendersi come integralmente sostitutivo di una versione non definitiva

precedentemente messa on-line.

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