cuaderns d'italià - 06 (2001) - maschile-femminile nella lingua e letteratura italiana

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    Istituto Italiano di Cultura de Barcelona; Àrees de Filologia Italiana Universitat Autònoma de Barcelona, Universitat de Barcelona, Universitat de Girona 

    Núm. 6, 2001, ISSN 1135-9730

    6Maschile / femminile

    nella lingua e nella letteratura italiana 

    Masculí / femenía la llengua i a la literatura italiana 

    Universitat Autònoma de Barcelona Servei de Publicacions

    Bellaterra, 2001

    ''

    uadernsD Italià Q  Q  uadernsD Italià 

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    4 Quaderns d’Italià 6, 2001 Index  

    155-169  Jorge García López El estilo de una corte: apuntes sobre Virgilio Malvezziy el laconismo hispano

    171-184 Francisco Amella Vela El «yo» en los Canti : preliminares al estudio de una instanciatextual (II). El Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica y el primer «yo» lírico leopardiano

    Notes

    187-193 Costanzo Di Girolamo

     Antica lirica italiana in catalano195-200 María José Vega 

    La solitaria oscuridad del padre . El Dios de las tinieblasen la Oratio de dignitate hominis de Pico della Mirandola 

    Ressenyes

    201-203 Seminario Internacional Complutense sobre «La recepciónde Boccaccio en España»

    (María Hernández Esteban)203-204 Petrarca, Bruni, Valla, Pico della Mirandola, Alberti.

     Manifiestos del humanismo (Jorge García López)

    204-206 Ludovico Ariosto. Sátiras (Maria Pertile)

    207-208 Girolamo de Miranda. Una quiete operosa. Forma e pratiche dell’Accademia napoletana degli Oziosi (1611-1645)(Montserrat Casas)

    208-210 Dino Campana. Cantos órficos y otros poemas (Francesco Ardolino)

    210-212  Antonio Colinas. Antología esencial de la poesía italiana (Helena Aguilà)

    212-214 Giuseppe Ungaretti. El dolor (Maria Pertile)

    215-216 Pietro Benzoni. Da Céline a Caproni. La versione italianadi Mort à crédit (Piero Dal Bon)

    216-218  Antonio Tabucchi. Si sta facendo sempre più tardi (Nieves Trentini)

    219-220 Isabel Turull. Diccionari de paranys de traducció italià-català (Francesco Ardolino)

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    Quaderns d’Italià 6, 2001   5

    Dediquem el número a David Romano, al qual la redacció de la revista volretre homenatge tot republicant un seu article sobre un còdex petrarquesc quees conserva a Barcelona. A l’hora de tancar aquest volum, María de las Nieves Muñiz Muñiz s’ha aco-miadat de la revista. El seu lloc l’ocuparà la col·lega Gabriella Gavagnin, de la 

    Universitat de Barcelona. Dirigim a María de las Nieves el reconeixement méssincer de la redacció de Q UADERNS D’ITALIÀ per la seva importantíssima col·labo-ració i per la seva tasca en la consolidació de la revista. A Gabriella una cor-dial benvinguda i els millors auguris de cara a la futura labor.

    Il fascicolo è dedicato al compianto David Romano, a cui la redazione della rivista intende rendere omaggio riproponendo un suo contributo su un codi-ce petrarchesco conservato a Barcellona.Nel chiudere il presente numero, María de las Nieves Muñiz Muñiz si acco-miata della rivista. Al suo posto subentrerà la collega Gabriella Gavagnin,dell’Universitat de Barcelona. A María de las Nieves va la sincera riconoscen-za della redazione di Q UADERNS D’ITALIÀ per la sua preziosa collaborazione eper il contributo dato al consolidamento della rivista. A Gabriella un cordia-le benvenuto ed i migliori auguri di buon lavoro.

    La redacció

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     Abstract 

    Questo articolo esamina alcuni contributi recenti sul sessismo linguistico, con riferimen-to specificamente all’italiano. Si toccano questioni di carattere teorico e ideologico (com-presa quella del «politicamente corretto») oltre ad esempi di natura grammaticale e lessicale:in particolare le parole che designano attività professionali esercitate da donne, e l’uso delsuffisso «-essa» nei termini «dottoressa», «professoressa», «studentessa».

    Parole chiave: lingua italiana, sessismo linguistico, questioni ideologiche, esempi lessicali.

     Abstract 

    This paper examines some recent discussions on linguistic sexism, with special referenceto Italian. It touches on some general theoretical and ideological points (including thequestion of «political correctness»), as well as specific examples concerning Italian gram-mar and vocabulary: in particular the designations of female professional activities, andthe use of the suffix «-essa» in the words «dottoressa», «professoressa», «studentessa».

    Key words: italian language, linguistic sexism, ideological points, lexical examples.

    1

    Una quindicina d’anni fa uno di noi dedicò un articolo1 ad alcune questioni rela-tive al sessismo linguistico (o al linguaggio sessista) dal punto di vista dell’ita-liano. L’articolo offriva un esame critico delle Raccomandazioni , da pocopubblicate, di Alma Sabatini.2 Vorremmo tornare ora, a quindici anni di distan-

    Quaderns d’Italià 6, 2001 9-18

    Lingua italiana e femminile

     Anna Laura Lepschy, Giulio Lepschy, Helena SansonUniversity College London

    1. «Sexism and the Italian Language», The Italianist , 7, 1987, p. 158-169; in versione ampliata «Language and Sexism», in Zygmunt G. B ARANSKI, Shirley W. V INALL (a cura di), Womenand Italy. Essays on Gender , London e Basingstoke: Macmillan, 1991, p. 117-138; in traduzioneitaliana di Miriam V OGHERA , «Lingua e sessismo», L’Italia dialettale , 51, 1988, p. 7-37, e inGiulio LEPSCHY , Nuovi saggi di linguistica italiana , Bologna: il Mulino, 1989, p. 61-81.

    2. Alma S ABATINI, Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana. Per la scuola 

    e per l’editoria scolastica (Commissione nazionale per la realizzazione della parità tra uomoe donna), Roma: Presidenza del Consiglio dei ministri. Direzione generale delle informa-

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    za, su alcuni punti toccati allora, ed aggiungere qualche riflessione. Il panora-ma è certamente cambiato, ma non tanto quanto ci si sarebbe potuti aspetta-re, e non necessariamente in senso positivo, né riguardo all’impostazione teorica generale, né alle indagini relative agli aspetti pertinenti dell’uso italiano attua-le, né infine riguardo al peso e alla dinamica del sessismo linguistico in Italia.

    2

    Per la situazione teorica generale, considerando come vengono visti i rapportifra il linguaggio e la mente, e gli aspetti entro i quali il linguaggio determina il nostro modo di pensare, di vedere il mondo, e insomma di percepire la realtà,

    si è venuto sempre più diffondendo l’assunto secondo cui noi non parlerem-mo la nostra lingua, ma saremmo da essa parlati, e siccome la lingua, anzi, ognilingua sarebbe intrinsecamente patriarcale e sessista, tale sarebbe inevitabil-mente il nostro modo di pensare (tanto di donne quanto di uomini), e tutta la nostra discorsività. La cosa migliore che potremmo fare è rendercene conto,ed esibire apertamente la natura ideologica di ciò che diciamo, decostruire lenostre narrative illustrandone l’inattendibilità e la contraddittorietà.

    Questi atteggiamenti possono essere salutari in quanto provocano una mag-

    giore autocoscienza e ci stimolano a chiarire i presupposti da cui partiamo ele implicazioni del nostro modo di ragionare. Possono anche provocare qual-che perplessità quando cercano di smascherare non solo la falsa coscienza, ma ogni coscienza, e di rifiutare qualsiasi riflessione possa essere riportata a tradi-zionali criteri di verità, scientificità, prova, verifica, ecc. Un’opera storica sareb-be in realtà una narrativa, che va interpretata con gli strumenti offerti dalla retorica. I testi non andrebbero assoggettati a un’analisi storica, che ne stabili-sca attendibilmente il significato e la verità. Tutto questo sarebbe in realtà inat-

    tingibile, o meglio dipenderebbe dalla creatività e inventività dell’interprete,che non deve essere vincolato da presunti criteri obiettivi di carattere filologi-co o linguistico. Sebbene in generale da queste discussioni non si ricavi, a nostro parere, molto di utile per un approfondimento teorico di questi pro-blemi, dai contributi migliori (e tanto più quanto più colti e intelligenti sonogli autori, e, paradossalmente, contraddicendo i loro stessi postulati iniziali)si apprendono una quantità di fatti nuovi e di idee interessanti.

    3 Accenneremo ad alcuni lavori che abbiamo avuto occasione di vedere negliultimi anni. In inglese ci sono interventi stimolanti, come quelli di RobinLakoff, che ha fatto seguire al suo importante saggio del 19753 un volume

    10 Quaderns d’Italià 6, 2001 Anna Laura Lepschy, Giulio Lepschy, Helena Sanson

    zioni della editoria e della proprietà letteraria artistica e scientifica, 1986; anche in Alma S ABATINI, con la collaborazione di Marcella M ARIANI e la partecipazione alla ricerca di Edda BILLI, Alda S ANTANGELO,

    Il sessismo nella lingua italiana , ivi, 1987.

    3. Robin L AKOFF, Language and Woman’s Place , New York: Harper & Row, 1975.

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    recente, ideologicamente impegnato, il cui taglio post-moderno non offre a nostro avviso l’occasione per un progresso teorico, ma discute utilmente moltiepisodi relativi al «politicamente corretto» e al sessimo linguistico, soprattuttonella prospettiva della cultura statunitense.4

    Troviamo anche manuali come quello di Anne Pauwels che presenta una trattazione sistematica del sessismo nel linguaggio, dal punto di vista piùgenerale della «pianificazione linguistica», della «riforma del linguaggio»,in una prospettiva internazionale che tiene conto degli studi in lingue e tra-dizioni diverse.5 Dopo due capitoli introduttivi, il volume affronta, in manie-ra didatticamente ordinata, i seguenti temi: «Should sexist language bechanged?», «How should sexist language be changed?», «Implementing non-

    sexist language change: guidelines», «Evaluating feminist language plan-ning», «Is change occurring?», e alla fine aggiunge un’appendice «Drafting non-sexist language guidelines», e un’utile bibliografia di oltre venti pagi-ne.

    In inglese abbondano anche i manuali per la preparazione di manoscrittisecondo criteri non sessisti (a volte le norme relative vengono inserite anchenelle istruzioni redazionali generali preparate dalle case editrici), per esempioquelli di Miller e Swift6 e di Doyle.7

    Per l’italiano, dopo le proposte di Alma Sabatini, desideriamo ricordare gliatti del convegno di Sappada Donna & linguaggio,8 e poi la vivace raccolta diarticoli9 a cura del Progetto Polite,10 fra i quali segnaliamo l’intervento di Ceci-lia Robustelli, particolarmente pertinente per il nostro argomento.11 Ripren-deremo con qualche aggiunta e nuove riflessioni alcuni dei punti trattatinell’articolo del 1987 citato nella nota 1.

    Lingua italiana e femminile Quaderns d’Italià 6, 2001 11

    4. Robin TOLMACH L AKOFF, The Language War , Berkeley & Los Angeles: University of Califor-nia Press, 2000.

    5. Anne P AUWELS, Women Changing Language , London: Longman, 1998.6. Casey MILLER , Kate S WIFT, The Handbook of Non-Sexist Writing for Writers, Editors and 

    Speakers , edizione britannica a cura di Stephanie DOWRICK , London: The Women’s Press,1981 (seconda edizione britannica a cura di Lesley LEVENE, 1989; terza edizione britanni-ca a cura di Kate MOSS, 1995).

    7. Margaret DOYLE, The A-Z of Non-Sexist Language , London: The Women’s Press, 1995.8. Gianna M ARCATO (a cura di), Donna & linguaggio. Atti del Convegno Internazionale diStudi (Sappada/Plodn [Belluno], 26-30 giugno 1995), Padova: Cleup, 1995. Si veda la recensione di Chiara CIRILLO, Lingua e stile , 3 (4), 1998, p. 749-752.

    9. Saperi e libertà. Maschile e femminile nei libri, nella scuola, nella vita , a cura di Ethel PORZIOSERRAVALLE, Roma: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le Pari Oppor-tunità; Milano: Associazione Italiana Editori, Cisem, Poliedra Progetti Integrati, 2000.

    10. Sul verso del frontispizio, p. 4, si legge: «Il volume è stato realizzato nell’ambito di Polite-Pari opportunità e libri di testo, progetto cofinanziato dalla Commissone europea nel-l’ambito del IV Programma d’azione comunitaria a medio termine per le pari opportunità 

    per le donne e gli uomini».11. «Lingua e identità di genere», in Saperi e libertà, cit., p. 53-68.

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    Una questione su cui non si sono avuti progressi o cambiamenti visibili è quel-

    la della concordanza grammaticale di aggettivi e participi, secondo il genere(maschile o femminile) del sostantivo a cui si riferiscono (la guardia robusta;la sentinella è stata vista/aggredita ) o secondo il genere naturale (sono stata vista;ci siamo rivolte a loro, se parlano donne; sono stato visto; ci siamo rivolti a loro,se parlano uomini; ti sei ribellata; vi siete stupite, parlando a donne; ti sei ribel-lato; vi siete stupiti, parlando a uomini).

    Qui emergono problemi particolari, quando il genere grammaticale delle per-sone coinvolte è diverso ( Mario e Anna si sono baciate/i ), con la consueta ten-

    denza a fare prevalere il maschile — che sarebbe un maschile non marcato,secondo alcuni linguisti, un maschile maschilista secondo altri.

    5

    Un altro aspetto riguarda la parità di trattamento, cioè il parallelismo nel mododi riferirsi a donne e a uomini. Una questione complessa, e controversa, è quel-la dell’uso o dell’omissione dell’articolo davanti al cognome. Nell’italiano, par-lato e scritto, che noi abbiamo appreso come prima lingua, fra il quarto el’ottavo decennio del Novecento, i cognomi di donne richiedevano obbliga-toriamente l’articolo. Parlare di Maria Corti, e dire «Corti ha scritto questo»ecc., sarebbe stato impossibile: una sgrammaticatura che non sarebbe neppu-re venuto in mente di fare. L’unica forma per noi familiare era «la Corti».

    Con i cognomi di uomo si poteva invece usare o omettere l’articolo («Segre»o «il Segre») e altrettanto si poteva fare con i prenomi da soli («Cesare» o «ilCesare»; «Maria» o «la Maria») o accompagnati dal cognome («Cesare Segre» o«il Cesare Segre»; «Maria Corti» o «la Maria Corti»). Queste possibilità diverse

    non erano indifferenti e intercambiabili, ma caratterizzate, in maniera sottile ecomplessa, a seconda delle regioni, e di variabili stilistiche, formali e settoriali.Più tardi, dalla fine degli anni Sessanta, ha cominciato a diffondersi, a quantopare in ambito femminista, l’uso dei cognomi di donna senza articolo, con loscopo di praticare una parità di trattamento, appunto di stampo «non sessista»(«Corti scrive…» come «Segre scrive…»). Una studiosa dell’università di Rea-ding ha esaminato di recente questo uso, indicando quanto raro esso sia.12Come capita spesso con fenomeni di questo tipo, non è facile appurare come esat-

    tamente stiano le cose. Osservazioni episodiche sembrano indicare che il par-lato centro-meridionale è meno resistente di quello settentrionale a questo uso. Anche parlanti torinesi di generazioni diverse ci dicono che in certe situazionidi tipo istituzionale, compagne di scuola o insegnanti donne potevano veniredesignate, già nei primi decenni del Novecento, col cognome senza articolo.

    12 Quaderns d’Italià 6, 2001 Anna Laura Lepschy, Giulio Lepschy, Helena Sanson

    12. Chiara CIRILLO, «“Corti” or “la Corti”? Definite article + surnames for women»,The Ita-lianist , 18, 1998, p. 272-288.

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    Un’area instabile e controversa è quella della scelta di nomi (uguali o diversi, per

    uomini e donne) per professioni o attività che possano essere esercitate da fem-mine o da maschi.13 In quest’area, sia per termini che abbiano una tradizioneabbastanza lunga, sia per quelli recenti o per i neologismi introdotti nei nostrianni, si incontrano due tendenze opposte, per la designazione di donne chesvolgono certe funzioni.

    La prima tendenza, rappresentata dalle Raccomandazioni di Alma Sabatini,favorisce l’uso sistematico di termini che oppongano il genere grammaticalefemminile a quello maschile, attraverso (a) suffissi femminili (principalmen-

    te quelli in -trice ; quelli in -essa, come vedremo vengono esclusi); (b) la desinenza femmminile in -a ; (c) la concordanza con articoli, aggettivi e participi fem-minili, nel caso di nomi in -e o in -a grammaticalmente «comuni», cioè morfo-logicamente invariabili.

     Alcuni esempi per questi tre gruppi: nel gruppo (a) troviamo forme chenon provocano problemi, corrispondenti ai maschili in -tore , come ambascia-trice, amministratrice, direttrice, ispettrice, promotrice, rettrice, scrittrice, senatri-ce ; nel gruppo (b) troviamo forme in -a corrispondenti a maschili in -o, come

    architetta, avvocata, chirurga, critica, deputata, magistrata, medica, ministra,notaia, prefetta, rabbina, segretaria, sindaca, soldata , e corrispondenti a maschi-li in -e , come cancelliera, carabiniera, consigliera, finanziera, e, in maniera piùproblematica, a maschili in -sore , -tore come assessora, questora ; infine, nel grup-po (c) troviamo forme «comuni», corrispondenti a maschili morfologicamen-te identici in -e , come un’agente, una comandante, una caporale, una generale, una  giudice, una maggiore, una parlamentare, una preside, una presidente, una stu-dente, una vigile ; a queste possiamo aggiungere altre forme presentate come

    «comuni» anche se la loro morfologia sembra etimologicamente meno adat-tabile al femminile, come una prete, una sacerdote ; una poeta, una profeta ;14 e una Capo di Stato Maggiore, una caposezione ecc.

    La seconda tendenza, che pare avere radici più antiche nel movimento fem-minista, e, a giudicare impressionisticamente, sembra oggi prevalere, preferiscericorrere, per designare uomini o donne indifferentemente, al termine che abi-tualmente serve a indicare chi esercita una data funzione, anche se tale termi-ne è di solito grammaticalmente maschile. Questa tendenza preferisce dunque,alle designazioni «comuni», o esplicitamente femminili, quelle che potremmochiamare «epicene» (termine che si usa per nomi di animali, come pesce , o aqui-

    Lingua italiana e femminile Quaderns d’Italià 6, 2001 13

    13. Dominic STEWART, «Forms for Women in Italian», The Italianist , 7, 1987, p. 170-192;Chiara CIRILLO, «Gender and Feminine Agentives in Italian Dictionaries: 1612-1917», inGiulio LEPSCHY e Prue SHAW (a cura di), A Linguistic Round-table on Dictionaries and the History of the Language , London: Centre for Italian Studies, University College London,2000, p. 11-23, e la tesi di PhD che Chiara Cirillo sta completando all’Università di Rea-ding.

    14. Si noti che per questi nomi il plurale del maschile è in -i , quello del femminile fa difficoltà tanto con -i quanto con -e .

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    la ).15 Questa preferenza per le espressioni epicene fu ampiamente discussa suigiornali durante il primo governo Berlusconi, quando la presidenza del Sena-to fu affidata a Irene Pivetti, che desiderava essere designata come «il Presi-dente», e non «la Presidente» o «la Presidentessa» del Senato. Secondo questa tendenza una donna sarà dunque (in contrasto con le liste presentate sopra)(a) ambasciatore ,16 amministratore, direttore ecc.; (b) architetto, avvocato, asses-sore ecc.; e (c), sempre con la concordanza maschile, un agente, un comandan-te, un caporale , e un prete, un poeta ecc.

    La pratica di questa seconda tendenza inciampa a volte in qualche intop-po sintattico, del tipo «è arrivata/o Maria Corti, il famoso filologo», «Maria Corti, il famoso filologo, è arrivato/a» ecc. La prima tendenza incontra invece

    difficoltà morfologiche, specialmente per le formazioni femminili corrispon-denti a quelle in -sore, -tore per gli uomini. Qui troviamo in particolare duetermini, dottoressa e professoressa , nei quali appare consolidato (come del restonel caso di studentessa ) il suffisso -essa , che viene però ostracizzato in tutti isuoi usi, in entrambe le tendenze. Su questo punto desideriamo soffermarcinell’ultima parte di questo articolo.17

    7

    L’uso non sessista della lingua può richiedere la proscrizione di forme consi-derate criticabili, e la prescrizione al loro posto di forme considerate accettabili.Ciò rientra, come si è visto sopra, nella sfera del «politicamente corretto».

    Questa etichetta, a quanto pare di origine statunitense («politically cor-rect»), ha un valore ambivalente. Non sempre è chiaro se definire un’espres-sione come «politicamente corretta» voglia dire appiopparle una denominazionebeffarda e sarcastica, usata per qualificare manifestazioni di prepotenza fanatica 

    e intollerante, da parte di chi vuole imporre al modo di parlare proprio (ma anche, e soprattutto, degli altri) i propri pregiudizi; o se si tratti invece di un’e-tichetta positiva, che presenta l’uso «politicamente corretto» come un ammi-revole ideale che bisognerebbe cercare di mettere in pratica.

     A proposito del «politically correct» Margaret Doyle osserva: «The originsof the term continue to be debated — some claim it started out as a label crea-ted by the right wing for a movement on American campuses to expand the

    14 Quaderns d’Italià 6, 2001 Anna Laura Lepschy, Giulio Lepschy, Helena Sanson

    15. Dal greco epíkoinos (latino epicoenos ) «comune, promiscuo». Nell’uso grammaticale si distin-gue di solito fra parole «epicene», che non cambiano genere grammaticale, ma possonodesignare femmine o maschi (come il pesce , maschile, o l’aquila , femminile); e parole «comu-ni», che possono essere trattate come grammaticalmente femminili o maschili, senza varia-zioni nella loro morfologia (come un amante e un’amante ). A volte si trova però che i duetermini («epiceno» e «comune») si usano l’uno col significato dell’altro.

    16. Questo pare sia l’uso preferito del Ministero degli Affari Esteri, che chiama ambasciatore anche la donna che esercita tale funzione, e ambasciatrice la moglie, se c’è, di un amba-sciatore maschio.

    17. Si veda Anna Laura LEPSCHY , Giulio LEPSCHY , Helena S ANSON, «A proposito di-essa 

    », in corsodi stampa.

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    traditional curriculum; others that it is a term coined by the left as a self-depre-cating description of some of its own party-line attitudes. Today, the label hasbecome a broad brush applied to any effort to reflect our changing society thatgoes against the status quo. […] “Political correctness” […] has become a use-ful (though wildly misapplied) label for ridiculing an opposing viewpoint».18Casey Miller e Kate Swift, nella prefazione alla terza edizione del loro manua-le di scrittura non sessista, notano che l’espressione «political correctness» vieneusata come «a derisive label intended to imply that advocates of equality areattempting to restrict freedom of speech and enforce language rules»; ma nonsi tratta solo di sessismo: «the label “political correctness” is used as well of thosewho — with varying degrees of sensitivity and success — attempt to redress,

    through language, some of the negative images our culture affixes to peoplebecause of their race, religion, ethnicity, sexual orientation, age, physical disa-bility or some other condition that separates them from the mainstream.»19

    Un intero capitolo, il terzo, nel volume di Robin Lakoff, è dedicato alla «correttezza politica» e sottolinea l’ambiguità della designazione. A quantopare essa è nata in ambito politicamente di sinistra, per indicare l’adesione alla «linea del partito», e ha poi acquistato, sempre negli stessi ambienti, un usoironico con riferimento a un eccesso di ortodossia partitica. Ben presto l’eti-

    chetta è stata adottata dalla destra per criticare ogni posizione percepita comeradicale e libertaria. Il termine, usato polemicamente con grande frequenza all’inizio degli anni Novanta, sembra che stia ora uscendo di moda. Questa etichetta, pur essendo spesso rivolta a stigmatizzare espressioni di fatto sgra-devoli, è usata soprattutto per esprimere posizioni illiberali, come indica RobinLakoff: «“Political correctness”, “politically correct”, and the common abbre-viation for both, “p.c.”, cover a broad spectrum of new ways of using andseeing language and its products, all of which share one property: they are

    forms of language devised by and for, and to represent the worldview and expe-rience of, groups formerly without the power to create language, make inter-pretations, or control meaning. Therein lies their terror and hatefulness tothose who formerly possessed these rights unilaterally, who gave p.c. its cur-rent meaning and made it endemic in our conversation».20

    Prima di definire un’espressione «politicamente corretta» (dandone una valutazione, positiva o negativa), parrebbe opportuno, ovviamente, essere ingrado di stabilirne esattamente l’interpretazione, appurando che valore ha per

    chi la usa, e per chi è designato (e può sentirsi compiaciuto o irritato) da taleespressione. La questione ricorda i dibattiti recenti sulle proposte secondo cuiper denunciare un reato di molestia sessuale, o di razzismo, occorre basarsisulla reazione non (come è ovvio) di chi commette il reato, né di un osserva-tore esterno e (si presume) obiettivo, bensì di chi è l’oggetto delle molestie o delrazzismo, e documenta in prima persona, proprio nella sua qualità di vittima,

    Lingua italiana e femminile Quaderns d’Italià 6, 2001 15

    18. DOYLE, The A-Z , cit., p. 4-5.

    19. MILLER e S WIFT, The Handbook , cit., p. x-xi.20. L AKOFF, The Language War , cit., p. 91.

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    nel suo sentirsene offeso, l’avvenuto reato. Criterio per certi aspetti ammire-vole, ma anche, come è evidente, difficile da applicare in maniera equa. La questione è resa anche più complessa dal fatto che un gruppo subalterno puòrivendicare per sé con fierezza un termine prima usato con valore spregiativoda chi detiene il potere di imporre lo standard: si pensi al caso di negro in Ame-rica prima considerato normale, e poi sostituito da black , in origine insultan-te, in seguito adottato con orgoglio («black is beautiful»), e al quale, dopo cheil termine è diventato normale, viene ora spesso preferito African American.In altre lingue la situazione è inevitabilmente diversa, e i rapporti fra negro enero in italiano non sono gli stessi. Per un’ampia, pensosa e informata rasse-gna di parole che appartengono alla sfera dell’alterità, delle designazioni del

    «diverso», si veda il recente volume di Federico Faloppa.21Similmente, chi decide se un termine è offensivo, e come tale meritevoledi ostracismo? Prima di passare ai tre termini dottoressa, professoressa e studen-tessa , prendiamo un caso interessante, quello della parola inglese Jewess.

    Questo termine si può trovare usato in maniera neutra, senza connotazio-ni negative. Ma leggendo i testi sul linguaggio sessista si ha un’impressionediversa. Per esempio, in Miller e Swift si legge: «Attached to proper nouns, -ess endings are especially offensive. Fortunately Negress, Jewess, Quakeress, etc., are

    almost defunct today».22

    E nella guida di Margaret Doyle, a proposito delleforme in -ess si osserva che alcune sono più deplorevoli di altre: «On the “rea-sonable” end of the scale, for example, may be found actress ; at the oppositeextreme may be terms that are both sexist and racist such as Jewess and Negress ».23Questi giudizi potrebbero forse essere attribuiti a una smodata «correttezza politica», ma sembrerebbe azzardato attribuire lo stesso eccesso ai vocabolariinglesi usuali che si trovano sugli scaffali di consultazione della British Library,in cui si leggono, non come alternative, bensì come unico valore della voce

     Jewess , le seguenti definizioni: «offens. a female Jew»;24

    «an offensive term refer-ring to a Jewish woman or girl (dated offensive )»;25 «dated or offensive a Jewishwoman or girl»;26 fem (offensive when used by non-Jews)».27

    Di fronte a questa lista di giudizi perentori si resta perplessi. Conviene con-siderare la posssibilità che i vocabolari sbaglino, nel registrare il termine comeinsultante, trascinati dal desiderio di essere più realisti del re, cioè ancora più«corretti» dei sostenitori della «correttezza politica». La scelta della parola Jewess avrebbe allora un valore politico, ma non quello di servirsi di un termine insul-

    tante, bensì quello di rivendicare il diritto di usare un termine che insultante

    16 Quaderns d’Italià 6, 2001 Anna Laura Lepschy, Giulio Lepschy, Helena Sanson

    21. Federico F ALOPPA , Lessico e alterità. La formulazione del «diverso», Alessandria: Edizioni del-l’Orso, 2000.

    22. MILLER e S WIFT, The Handbook , cit., p.138.23. DOYLE, The A-Z , cit., p. 27.24. The Concise Oxford Dictionary of Current English, Oxford: Clarendon Press, 1998 (ristam-

    pa della nona edizione del 1995).25. Encarta World English Dictionary , London: Bloomsbury, 1999.26.

    The New Penguin English Dictionary , London: Penguin Books, 2000.

    27. The Chambers Dictionary , Edinburgh: Chambers, 1998 (s.v. Jew ).

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    non è, né lo diventa solo perché ci sono dei vocabolari che così lo qualifica-no. Questo termine, come tanti altri, potrà avere un valore offensivo, ma puòanche essere usato in modo neutro. Servendosene in un contesto insospetta-bile si intende forse rivendicare la libertà di usare il linguaggio tradizionalesenza lasciarsi intimidire da chi vuole espungere dall’uso comune espressioni chetrova ideologicamente sgradite. Questo può indurre a riflettere sulla difficoltà di attribuire con tanta sicurezza e intransigenza valori politici e ideologici alleparole che si usano (soprattutto a quelle che usano gli altri). Si tratta beninte-so di una questione di fatto, e non di principio. Bisogna decidere, caso percaso, se certe espressioni siano ineccepibili, discutibili, o inaccettabili, e questospesso dipende dal momento, dal contesto e dalle circostanze. La scelta del les-

    sicografo non è facile, ma non è detto che mirare a un massimo di «progressi-smo» sia sempre la soluzione migliore e più efficace. Tanto più che i vocabolarigodono di un’autorità fondata su motivi socio-culturali più che linguistici, e leloro definizioni influenzano l’uso anche se di fatto non lo rappresentano fedel-mente. Un termine può essere generalmente considerato insultante più per-ché il vocabolario lo qualifica così che perché esso venga di fatto adoperato inmaniera spregiativa nell’uso comune. Spesso si tratta dunque di valutazioniche contribuiscono a creare la situazione che descrivono.

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    I tre termini dottoressa, professoressa, studentessa intorno alla metà del Nove-cento potevano apparire innocui e saldamente stabiliti in italiano. Chi li usas-se allora, o ancora li usi oggi tranquillamente e senza remore, può restaresorpreso dalla loro storia.

    L’unico dei tre attestato da circa cinque secoli è dottoressa , che però in tutto

    il corso della sua storia fino ai primi del Novecento, è stato usato in modo pre-valentemente negativo e beffardo, per indicare donne saccenti e presuntuose.I vocabolari dell’Ottocento danno anche la forma dottora (preferito anche nelleRaccomandazioni di Alma Sabatini). Per dottoressa il Fanfani (1855) dà la defi-nizione «Donna sacciuta, e salamistra», e per dottora «Dottoressa, Salamistra,e dicesi di Donna che vuol far la saputa e metter la bocca in quel che non letocca».28 Il Rigutini-Fanfani (1875) dà per dottoressa «Donna che vuol far la saputa, Che vuol parer dotta: “Si cheti lei, dottoressa: — La signora Lucrezia 

    è una gran dottoressa, e vuol parere di intendersi di tutto”»; e per dottora «Lostesso che Dottoressa, e dicesi di donna che vuol far la saputa e metter bocca da per tutto: “Si cheti lei, dottora: — Vuol far sempre la dottora”.29 Il Tom-maseo-Bellini (1865-1879) osserva che dottora non «ha il senso veramente diDonna addottorata», e dà l’esempio far la dottora : «Voler parere saputa, o savia,Dar sentenze e consigli». Anche dottoressa , che viene presentato come più usua-

    Lingua italiana e femminile Quaderns d’Italià 6, 2001 17

    28. Pietro F ANFANI, Vocabolario della lingua italiana , Firenze: Le Monnier, 1855.

    29. Giuseppe R IGUTINI, Pietro F ANFANI, Vocabolario italiano della lingua parlata , Firenze: Tipo-grafia Cenniniana, 1875.

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    le, «di donna addottorata, sul serio, non è com.; ma suonerebbe men cel. cheDottora . Più conveniente dirla Addottorata ». Naturalmente non manca il signi-ficato di «Donna che vuole sdottorare. Più com. che Dottora ; e dicesi tantodelle letterate, quanto delle sputasentenze anco nelle cose di casa».30 E ancora nel 1905 il Panzini, alla voce dottora , commenta: «femminile di dottore e menocomune di dottoressa . Ora le donne addottorate in qualche disciplina, così fierecome esse oggi sono della loro dignità, come chiamarle? a dottora non ci si ausa e dottoressa sa di saccente, e pare contenere in sè alcuna parte di scherno oalmeno di estraneo all’ideale femminista: onde è che le donne che hanno diplo-ma di laurea, scrivono spesso sul biglietto dottore , quasi nome partecipante.La grammatica del Morandi e Cappuccini (§138) approva questo nuovo uso

    femminile di dottore . Così in fr., femme docteur ».31 La sesta edizione, del 1931,aggiunge: «Anche una poetessa oggi è poeta . Non bastano i maschi?». Nell’ottava edizione postuma, del 1942, si legge solo che dottora è il femminile di dottore ,meno comune di dottoressa . Quest’ultimo si era evidentemente del tutto affer-mato.

    Professoressa secondo i vocabolari è attestato dal 1897,32 e studentessa dal1907. I vocabolari ottocenteschi danno professora , ma non professoressa . Il Rigu-tini-Fanfani (1880) alla voce professora annota: «femm. di Professore; ma si

    userebbe più spesso per ischerzo: “Vuol far la professora, ma non sa nulla”».33

    Il termine studentessa manca nei vocabolari ottocenteschi; quelli che dannostudente a volte indicano che si tratta di un sostantivo maschile, a volte nonspecificano il genere grammaticale e lasciano aperta la possibilità di conside-rarlo «comune» (lo studente, la studente ). Migliorini cita un passo in cui Carduccinel 1891 scrive «le signorine studenti».34 Ancora nel 1926 in un romanzo diLiala si trova un liceale che viene corretto dal suo professore: «E lei non dica stu-dentesse […] Si dice […] studenti».35

    L’affermazione di dottoressa, professoressa, studentessa nel Novecento sarà presumibilmente dovuta all’uso ufficiale nell’ambito della pubblica istruzio-ne. È lecito chiedersi se questi tre termini sopravviveranno ancora indisturba-ti, o se la loro disponibilità si avvicini alla fine, dopo meno di un secolo diimpiego relativamente pacifico.

    18 Quaderns d’Italià 6, 2001 Anna Laura Lepschy, Giulio Lepschy, Helena Sanson

    30. Nicolò TOMMASEO, Bernardo BELLINI, Dizionario della lingua italiana , Torino: Unionetipografico-editrice, 1865-1879.

    31. Alfredo P ANZINI, Dizionario moderno. Supplemento ai Dizionari italiani , Milano: Hoepli,1905.

    32. Ma il Fornaciari usa il termine, sia pure dubitativamente, nel 1881: «da professore si fareb-be professoressa », Raffaello FORNACIARI, Sintassi italiana dell’uso moderno, Firenze: Sansoni,1881, p. 19.

    33. Giuseppe R IGUTINI, Pietro F ANFANI, Vocabolario italiano della lingua parlata , terza impres-sione sulla edizione emendata, Firenze: Barbera, 1880 (la voce manca nella prima edizionedel 1875).

    34. Bruno MIGLIORINI, Storia della lingua italiana , Firenze: Sansoni, 1960, p. 713.35. LIALA ,

    Ombre di fiori sul mio cammino, Milano: Sonzogno, 1997, p. 8 (il romanzo, pub-

    blicato nel 1981, pare risalga al 1926).

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     Abstract

    Io senza garanzie è un dialogo sulla scrittura autobiografica delle donne dall’età moderna alla contemporaneità. Nato dall’intreccio e dal cortocircuito di due voci diverse che si misu-rano in un territorio franco, fra storia e letteratura, alla ricerca delle tappe della riflessio-ne sul sé autoriale, questo saggio riflette sulla scrittura autobiografica come punta emergentedi un lungo percorso di affioramenti dell’io. Le fonti storiche che testimoniano un scrittura 

    indiretta, quasi di «transito» della soggettività delle donne, si aprono poco alla volta ad unuso sempre più forte e consapevole della scrittura, fino alle ora dolorose, ora euforiche, ora ideologicamente compiaciute autobiografie della contemporaneità. Dalla scrittura dellemistiche, non delle donne ma attraverso le donne , alla metautobiografia. Dalla inconsapevo-lezza del valore della propria memoria\scrittura alla piena coscienza del valore fondativodi essa per la scoperta e reivenzione di un sé di genere. Dai recinti e perimetri stretti delpassato ai fertili sconfinamenti e spaesamenti dell’io contemporaneo, in una utopia di tra-sformazione che sovverte gerarchie e parodizza logiche di potere. Come nell’elogio del mar-

     gine della scrittrice afroamericana bell hooks, il cui nome tutto in caratteri minuscoli esprime

    orizzontalità ed insieme ribellione: «fare del margine non solo un luogo di privazione, ma un luogo di resistenza».

    Parole chiave: autobiografia, memoria, letteratura, storia di genere.

     Abstract

     Me without guarantees is a dialogue on the autobiographical writing of women from themodern to the contemporary age. Born from the interweaving and short-circuiting of twoseparate voices which take their measure in open territory, midway between history and

    literature, in search of the stages of reflection on the authorial self, this essay is a reflection

    Quaderns d’Italià 6, 2001 19-36

    «Io senza garanzie».* Donne e autobiografia.Dialogo ai confini fra storia e letteratura 

     Alessandra Contini Archivio di Stato di Firenze

    Ernestina PellegriniUniversità di Firenze

    * La definizione è di Ingeborg Bachmann, nel saggio L’io che scrive , ora raccolto in Lettera-tura come utopia , Milano: Adelphi, 1993, p. 58: «Un Io senza garanzie! Che cosa è l’Io,infatti, che cosa potrebbe essere? Un astro di cui posizione e orbita non sono mai state deltutto individuate e il cui nucleo è composto di sostanze ancora sconosciute. Potrebbe esse-re questo: miriadi di particelle che formano un «Io», ma al tempo stesso l’Io potrebbe esse-re un nulla, l’ipostasi di una forma pura, qualcosa di simile a una sostanza sognata, qualcosa 

    che definisce una identità sognata, cifra di qualcosa che è più faticoso da decifrare del piùsegreto dei codici».

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    on autobiographical writing as an emerging point of a long journey of the ego’s outcrop-pings. The historical sources which bear witness to an indirect, almost «transitiona»” writ-ing of the subjectivity of women, give way a little by little at a time to an ever more forceful

    and conscious use of the written word, up to the now painful, now euphoric, now ideo-logically complacent, autobiographies of the present moment. From the writings of themystics, not of women but through women, to meta-autobiography . From the unawarenessof the value of one’s own memory/writing to the full consciousness of its founding value forthe discovery and reinvention of a gender self. From the penned-in spaces of the past tothe fertile boundlessness and bewilderment of the contemporary ego, in a utopia of trans-formation which subverts hierarchies and parodies the logic of power. As in the «outlaw culture» of the Afro-American writer bell hooks, whose name written all in small letterssuggests both horizontality and rebellion: «to make marginality not only a place of priva-tion, but a place of resistance».

    Key words: autobiography, memory, litterature, gender history.

    Questa relazione a quattro mani, questo dialogo o simulazione di dialogo dovreb-be dare, per lampi, con riprese, precisazioni, una serie di riflessioni in forma didialogo in merito alla natura e ai modi della scrittura autobiografica delle donnenell’arco di alcuni secoli. Abbiamo deciso di fare di questo nostro intervento la 

    prima cellula di un laboratorio aperto di riflessione, una specie di zibaldone informa dialogica sulla costruzione e promozione della memoria delle donne,mostrando l’esistenza di altri scenari, convissuti con quelli ufficiali.

    Un viaggio che, per gradi, ha portato a un ribaltamento (dal silenzio alla parola, dal privato alla scena pubblica, dalla resa al protagonismo). Un viag-gio inevitabilmente destrutturante e interrogativo con trasgressioni rispetto a una troppo inamidata correttezza politica.

    Ernestina Raccogliendo i materiali sulla autobiografia femminile del Novecento — nellesue varie forme del diario, della autobiografia vera e propria, dell’autobiogra-fia romanzata, delle memorie — mi sono accorta che il modo più onesto perpresentarle come un insieme sarebbe stato quello delle Vite parallele. Vite paral-lele nel senso inverso rispetto alle Vite di Plutarco, cioè delle vite a tal puntoparallele che nulla può congiungerle. Pensavo piuttosto alla prefazione di MichelFoucault alla collana Les vies parallèles edita da Gallimard:

    Gli antichi amavano mettere in parallelo le vite degli uomini illustri; s’ascoltava parlare attraverso i secoli queste ombre esemplari. Le parallele, lo so, sono fatteper congiungersi all’infinito. Immaginiamone altre che, indefinitivamente,divergano. Nessun punto di incontro, né luogo per raccoglierle. Spesso nonhanno avuto altra eco che quella della loro condanna. Bisognerebbe afferrar-le nella forza del movimento che le separa.1

    20 Quaderns d’Italià 6, 2001 Alessandra Contini, Ernestina Pellegrini

    1. Michel FOUCAULT (présenté par),Herculine Barbin, dite Alexina B. [Mes souvenirs] 

    , Paris: Gal-limard, 1978 (Collection: Les Vies parallèles).

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    «Io senza garanzie». Donne e autobiografia. Dialogo […] Quaderns d’Italià 6, 2001 21

    Mi rendo conto della provocatorietà di questa posizione assolutamenterelativistica che ammette una molteplicità quasi infinita di sguardi, di imma-ginari, di storie (nessuna possibilità di un noi, ma di un io+io+io+io, tantevoci diverse che però fanno un coro, permettendo solo a chi si avventuri inquella nebulosa semisommersa una pratica migrante di autocoscienza), una posizione che soprattutto ammette — ed è questa forse l’unica vera costanteda me rilevata nel lungo itinerario intrapreso fra le «autobiografie parallele» dellescrittrici allo specchio — una soggettività abitata dalla polifonia.

    Sandra 

    E qui inizia il mio controcanto rispetto alle ariose proposte interpretative diErnestina sulla contemporaneità. Un controcanto da storica ma anche da ricer-catrice degli archivi quale io sono, che riflette sui tempi lunghi dell’evoluzio-ne della memoria, e in particolare sulle forme dell’evoluzione della memoria delle donne. La mia funzione è un po’ quella di grillo parlante che interrom-pe il flusso della contemporaneità, che cerca di rintracciare segni lontani, rac-contare altri contesti, misurare gli scarti: che cerca di far dialogare il sé delledonne di oggi con il sé delle donne del passato.

    E come controcanto vorrei subito affiancare Ernestina osservando come la polifonia, quel suono largo e profondo fatto di una storia + una storia +una storia di donne sia una delle caratteristiche più forti ed incisive dell’attuale sto-riografia di genere. Una sorta di continua accensione di storie cercate e ricostruitesulla base di scritture conservateci che tende a moltiplicare i percorsi di vita,ad intersecarli, o semplicemente ad affiancarli l’uno all’altro. È in atto una sorta di grande cantiere sulla memoria femminile: la scrittura recuperata apreun gioco di riflessi a specchio fra le autrici di oggi e le protagoniste delle sto-

    rie del passato. Un gioco, per dirla con Michelle Perrot2 che fa uscire questevoci dal «silenzio della storia».È, ad esempio, certamente polifonico e a più voci il volume curato da 

    Gabriella Zarri3 sulla scrittura epistolare femminile in età moderna dove diciot-to studiose operano un lavoro di rievocazioni di altrettante figure di donne delpassato: la lettera diventa così il tramite, il «luogo della comunicazione» diquesto vero e proprio laboratorio epistolare. Escono ritratti che parlano conla propria scrittura relazionale ma anche individuale.

    2. Michelle PERROT, Les femmes ou le silence de L’Histoire , Paris: Flammarion, 1998.3. Gabriella Z ARRI (a cura di), La scrittura epistolare femminile tra archivio e tipografia. Secoli XV -

     XVII , Roma: Viella, 1999: saggi di Adriana CHEMELLO, Tiziana PLEBANI, Marina D’A ME-LIA , Maria Pia F ANTINI, Genoveffa P ALUMBO, Francine D AENENS, Giovanna R  ABITTI, Daniela SOLFAROLI C AMMILLOCCI, Elisabetta M ARCHETTI, Silvia MOSTACCIO, Anna SCATTIGNO,

    Manuela BELARDINI, Manuela DONI C ARFAGNINI, Maria FUBINI LEUZZI, Ilaria P AGLIAI,Elisa NOVI CHAVARRIA , Maria Pia P AOLI, Elisabetta GRAZIOSI.

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    È ancora polifonico il volume, molto bello, curato da Giulia Calvi, sulla donna barocca,4 dove l’atto stesso della scrittura, la cui analisi si incarna dinuovo in nove figure di donne, viene scomposto e presentato qual veramenteè sempre come «ambivalente e complessa storia di sé» in uno scambio continuofra chi scrive e chi legge o rilegge oggi. Una scrittura che esprime sempre un dop-pio livello, una doppia cifra della comunicazione, fra autonomia e accettazio-ne. Una scrittura in cui, cito da Giulia, «il senso del sé che queste donneprepotentemente ci comunicano, da una parte e dall’altra delle barriere con-fessionali, politiche geografiche» nasce sempre da «perimetri stretti di appar-tenenza». Un suono di voci singole e pur tendenti a costituire un coro dissonantee «multiplo», che emerge con ampiezza anche nelle sette biografie di donne

    «mediane», che hanno dato voce e spessore concreto ad una voluta parcellizzata vicenda di un Rinascimento al femminile , in un volume a più voci curato da Ottavia Niccoli.5

    Una polifonia ancora che si fa straordinario terzetto nell’esemplare volu-me di Zemon Davis,6 dove l’artificio iniziale pone le tre donne raccontate a giocare con l’autrice in una sorta di teatro immaginario. Davanti al dattilo-scritto l’autrice sta con le sue tre donne che non si riconoscono affatto l’una nei percorsi esistenziali e nei confini spirituali e culturali dell’altra. La mer-

    cantessa ebrea di Amburgo, madre di dodici figli e poi vedova, scrittrice disette straordinari libri, Glikl bas Yehudah Leib non capisce cosa abbia a chefare con la grande mistica Marie de l’Incarcanation, prima madre e moglie,poi vedova che rinnega il figlio, anch’essa prima in affari, poi visionaria e peni-tente orsolina, infine madre superiora di una nuova missione fondata in Cana-da. Annotatrice e scrittrice «senza sosta» dei propri tormenti mistici come delleproprie esperienze di educatrice delle selvagge. E le due si dicono estranee alpercorso di vita della terza, Marie Sibille Merian, in questo caso non una scrit-

    trice ma una naturalista, protestante, che lascia (anche lei parte da un abban-dono maschile) il marito e si reca in America latina dove diventa annotatricee disegnatrice degli insetti, proprietaria di schiavi africani, caraibici, arauchi.Sta all’autrice ed interprete Zemon Davis riavvicinare le tre donne, farle dialogareoggi nelle loro differenze e in quel tanto che di comune ebbero: come dice la Davis «la melanconia, un più saldo senso di sé, curiosità, speranza escatologi-ca». Percorsi ai «margini» che tutte seppero trasformare in un proprio centro.

    22 Quaderns d’Italià 6, 2001 Alessandra Contini, Ernestina Pellegrini

    4. Saggi di Renata A GO, Elisabeth CROPPER , Silvia EVANGELISTI, Gabi J ANCKE-LEUTZCH,Richard L. K  AGAN, Florence K OORN, Sara F. M ATTHEWS GRIECO, Roy S. PORTER , Anna SCATTIGNO, in Barocco al femminile , a cura di Giulia C ALVI, Bari: Laterza, 1992.

    5. E.S. COHEN, C. EVANGELISTI, Massimo FIRPO, M.L. K ING, Silvia M ANTINI, M.G. MUZ-ZARELLI, Gabriella Z ARRI, Rinascimento al femminile, a cura di Ottavia NICCOLI, Bari: Later-za, 1991: «“Rinascimento al femminile” non vuole dunque essere una storia delle donne nelRinascimento (una periodizzazione del genere non avrebbe davvero senso), ma un tentativodi ottenere, attraverso sette singole storie di donne, un quadro per qualche verso meno caren-te almeno di alcuni aspetti della storia della prima età moderna, in cui sia presente il sensodella differenza dei ruoli dei sessi…», Ottavia NICCOLI,

    Introduzione,ivi, p. VII.

    6. Natalie ZEMON D AVIS, Donne ai margini. Tre vite del  XVII secolo, Bari: Laterza, 1996.

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    «Io senza garanzie». Donne e autobiografia. Dialogo […] Quaderns d’Italià 6, 2001 23

    E.: Se, in un primo momento, nella storia, alcune donne che si trovavano a scrivere di sé in un ambito riservato storicamente all’uomo, volevano esserecerte di imprimere un marchio di inconfondibile diversità e dare una visionealternativa del mondo, più tardi altre donne avrebbero cercato, invece, di inda-gare quella complessa intersezione di forze materiali e simboliche, quegli intrec-ci di femminile e maschile che enfatizzano la paradossalità di una ricerca legata al piano concreto e fluido dell’esperienza, a ciò che Lea Melandri chiama, in unarticolo dal titolo Autobiografia e soggettività politica , la «zona del vissuto».7 Èstata fatta molta strada nel campo dell’acquisizione di una identità politica esociale, come soggetti storici, ma stenta a formarsi, o rimane un certo garbu-glio irrisolto (il processo è molto più lento) per quel che riguarda l’identità 

    individuale (psichica, sessuale), come «ricomposizione di sé». Ma mi rendoconto che si potrebbe sostenere il contrario. Rimane — mi sembra — la per-cezione di uno scollamento e, quindi, la necessità di una sutura:

    È un’autobiografia insolita — scrive Lea Melandri — quella che si può chie-dere a scritture come queste. È la scoperta di un paesaggio che ricorda le terredeserte dell’origine, di personaggi indeterminati, tranne che nel ruolo che rive-stono, maschere di un dramma antico che conosce poche variazioni nel tempo

    e nello spazio. Si ha l’impressione che, paradossalmente, per trovare la propria singolarità sia necessario ricalcare le parole di altri, abituarsi alla parentela conle figure della generalità, o prototipi di genere, con le «potenze interne» checi hanno incantato o atterrito, e che cercano nella riscrittura della memoria una via d’uscita.8

    Spetterà allo sguardo storicizzante estrarre il succo di ciò che mi piace defi-nire molto semplicemente «il paradigma dell’emancipazione», con tutte le suecontraddizioni, le sue spinte, le sue utopie, le sue chimere, le sue disfatte, con

    quegli archivi del silenzio ingoiati nel nulla, di cui resta traccia magari nellecarte della polizia o dei tribunali dell’inquisizione.

    S.: È proprio vero. Nel passato — si può sostenere con Arlette Farge e MichelFoucault9 — le carte dei tribunali ecclesiastici e civili e le stanze della polizia hanno dato voce alle donne. I verbali, gli interrogatori sono una sorta di secon-da scrittura, di scrittura indiretta che nasce nelle zone di incontro fra donne etrasgressione, nel confronto fra donne ed istituzioni. Un confronto che, come

    ci insegnano oggi gli studi di Giorgia Alessi o Giulia Calvi,10 non fu solo per-secutorio ma spesso spazio usato dalle donne per tutelarsi, muovere le proprie

    7. Lea MELANDRI, Autobiografia e soggettività politica , in «Lapis», n. 31 (1996), p. 22-26.8. Ibidem, p. 25.9. Arlette F ARGE, Michel FOUCAULT, Les desordres des familles. Lettres de cachet des Archives de 

    la Bastille, Paris: Gallimard, 1982.10. Giulia C ALVI, Il contratto morale: madri e figli nella Toscana moderna , Roma: Laterza, 1994;

    Giorgia A LESSI, L’uso del diritto nei recenti percorsi della gender history, in «Storica», 15,anno V, 1999.

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    residuali, ma spesso efficaci, strategie di legittimazione. Si pensi ai tribunaliche avevano come compito la tutela delle donne vedove e dei minori, e chedivennero spesso gli interlocutori di profonde trasformazioni culturali a favo-re delle donne, nel campo del diritto di successione o della tutela dei figli. Ambiguità di nuovo e terreni non scontati di affermazione, se si è in grado diuscire dai paradigmi vittimistici.

    E.: Come è interessante e impressionante rintracciare sui testi, letterari e non,le forme di resistenza a una fagocitazione di ruoli, e così gli scarti, le adesionidi compromesso, un insieme complesso e ambiguo che fa sì che non ci sia quasimai una identificazione totale con le figure di genere, e ci dà, oltre al ricono-

    scimento di un inevitabile «quoziente di negatività» destrutturante, una capacità di vedere dietro polarizzazioni astratte, la zona di inconsapevolezza in cui si sonoformate, in un andirivieni fra coscienza e inconscio. Rilevare, dicevo, le dina-miche di denudamento e mascheramento dell’io, come nello spogliarello maca-bro di Lady Lazarus di Sylvia Plath o come nei quadri di Frida Kahlo, dove ilfemminile è spogliato da ogni elemento di rassicurazione, diventando la cifra di un destino segnato «da un vuoto o tradimento originario»,11 in una speciedi simbolico e dolorosissimo matricidio svincolato totalmente da ogni dina-

    mica edipica (motivo, questo, presente sia nei Diari di Sylvia Plath che nelleCare memorie di Marguerite Yourcenar12). Ricerca delle genealogie femminilie matricidi simbolici: mi sembrano le facce di una stessa medaglia. Non soloemozioni, ma ironia e intelligenza. L’identità della donna assomiglia semprepiù forse — come ci suggerisce Teresa De Lauretis nelle sue ultime riflessioni— a una «auto-traduzione»,13 impegnata in una continua negoziazione.

    S.: È il passaggio dalla storia alle storie. L’emergere di una nuova attenzione ai

    percorsi di storia di genere — la storia delle donne, la storia dell’omosessua-lità, le storie delle diverse identità etniche in popoli in cui si afferma il multi-culturalismo — tende infatti a rompere i confini della grande storia, adinfrangere i percorsi di un tragitto maestro eurocentrico e politico\centrico. Sitratta di una frammentazione dei percorsi e degli schemi tradizionali, che èstato, in modo molto significativo, al centro della riflessione dell’ultimo con-gresso internazionale di studi storici di Oslo.

    Un percorso di segmentazioni dei tragitti storici che porta nel caso della 

    storia di genere al femminile a reinterrogarsi sulla validità stessa delle grandicategorie e delle periodizzazioni tradizionali. Come in un saggio molto famo-so della Kelly, Did Women have a Renaissance? ;14 o ancora di recente in un

    24 Quaderns d’Italià 6, 2001 Alessandra Contini, Ernestina Pellegrini

    11. Maria N ADOTTI, Frida Kahlo o della finzione narcisistica, ivi, p. 34-37.12. Sylvia PLATH, Diari, a cura di Frances MCCULLOUGH e Ted HUGHES, Milano: Adelphi,

    1999; Marguerite Y OURCENAR , Care memorie , Torino: Einaudi, 1981.13. Teresa DE L AURETIS, La soggettività femminile, in «Lapis», n. 31, p.56-58.14. Joan K ELLY , Did Women have a Renaissance? , in Renate BRIDENTHAL, Claudia K OONZ, Susan

    STUARD (edd.),Becoming Visible. Women in European History,

    Boston: Houghton Mifflin,1977.

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    «Io senza garanzie». Donne e autobiografia. Dialogo […] Quaderns d’Italià 6, 2001 25

    saggio Mary Wiesner-Hanks del 1997, Storie delle donne e storia sociale: sononecessarie le strutture ?15

    Percorsi, quelli della storia delle donne, che oramai tendono a rompere irecinti per dilagare nella storia generale, e per questo tendono anche ad assu-mere in carico, superati i precedenti pregiudizi, il portato della storiografia precedente, anche se così ne erodono dall’interno i costrutti ermeneutici. Unrovesciamento, una voracità interpretativa che corrisponde, come avevo accen-nato prima, al definitivo tramonto del paradigma vittimistico. Come ha osser-vato Silvana Seidel Menchi,16 è dalla stessa uscita alla luce delle storie delledonne del passato, di questa «galleria di ritratti» di sante, streghe, mistiche,balie, vedove, spose, aristocratiche e donne ribelli, che è partito un rovescia-

    mento del paradigma dominante fino a qualche decennio fa, dell’«oppressio-ne» delle donne nel paradigma attuale, attento all’intraprendenza e alle strategiedi autolegittimazione messe in moto in tempi e modi diversi dalle donne stes-se, fino agli orientamenti più recenti che addensano l’interesse sul rapportofra «Soggettività e memoria nel tempo e nello spazio» (come è rilevabile nelleconsiderazioni attuali di Luisa Passerini,17 che ha intitolato così il suo semi-nario all’Istituto Universitario Europeo). Ma penso anche a Regine Sculte cheha lavorato con maestria fra «immaginazione psicanalitica ed interpretazione sto-

    rica». Riuscendo, come ad esempio in una relazione, molto bella, che ho potu-to sentire al secondo congresso nazionale delle storiche a Venezia,18 a far passareil percorso della storia del Novecento nella sola figura di una grande scultricetedesca analizzata dall’interno, attraverso i suoi diari onirici e le sue opere d’ar-te. Una donna che accompagna le fasi delle grandi e drammatiche trasforma-zioni del secolo, prima incoraggiando il figlio alla guerra, poi cantandolo comeeroe e pensando ad edificarne un mausoleo, senza però riuscire ad elaborarneil lutto. Ed infine divenendo pacifista. Il mausoleo prima pensato a celebrare

    l’eroe viene alla fine decostruito e presenta le affrante piccole figure dei geni-tori in ginocchio di fronte al nulla, in un omaggio di drammatica intensità antiretorica. E qui credo si sia molto vicini alla sensibilità delle letterate e cisiamo accostati di nuovo al Novecento: fra psicanalisi e storia.

    15. Mary W IESNER -H ANKS, Storia delle donne e storia sociale: sono necessarie le strutture?, inTempi e spazi di vita femminile tra medioevo ed età moderna, a cura di Silvana SEIDEL MEN-CHI, Anne J ACOBSON SCHUTTE T. K UEHEN, Bologna: Il Mulino, 1997, p. 25-48.

    16. Introduzione a Tempi e spazi di vita femminile tra medioevo ed età moderna, op. cit., p. 25-48.17. Faccio anche riferimento ad un seminario di Luisa P ASSERINI «Diventare un soggetto nel-

    l’epoca della morte del soggetto», tenuto all’Istituto Gramsci Toscano sui temi della sua relazione presentata alla Conferenza Europea di ricerca femminista di Bologna, «Corpo,genere, soggettività: Attraverso i confini delle discipline e delle istituzioni», 28 settebre- 1ottobre 2000, i cui atti sono in via di pubblicazione. Per una riflessione sui temi che ven-gono discussi da Passerini, vedi Rosy BRAIDOTTI, Nomadic subjects: embodiment and sexual difference in Contemporary feminist theory, New York: Columbia University Press, 1994.

    18. Regine SCHULTE, Sacrifice as violence: aspects of mother-son relationship in First World war 

    Germany , Secondo Congresso della Società delle storiche italiane «Corpi e storia. Pratiche,diritti, simboli», Venezia, 3-5 febbraio 2000, in corso di edizione.

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    E.: Vorrei, a questo punto, fare una riflessione su due condizioni estreme nella percezione che la donna ha di sé, documentate in molti testi autobiografici. C’èchi sente tutta la fierezza della propria condizione di donna, della propria diffe-renza, in alcuni casi dando alla propria secolare marginalità, romanticamente,un potenziale di innocenza palingenetica. In un mio scritto, anni fa, parlavocon fierezza delle «radici della nostra debolezza»,19 vedendo in quella separatez-za, in quella specie di fuga dal mondo o nel disprezzo per istituzioni che eranostate create da una società violenta e patriarcale, una forza, una micidiale purez-za, vedendo, per esempio, nella scelta dello scollamento dell’io arreso all’insor-genza del contenuto inconscio, in quella esplosione-implosione, inquell’arroccamento di sé nella fortezza sigillata dei propri fantasmi, un crugiuolo

    potenzialmente rivoluzionario, dove elaborare in vitro nuovi modelli collettivi diidentificazione (penso, per esempio, agli scritti visionari ed estatici di una misti-ca del Novecento come Sara Virgillito,20 o alla fase nera dell’opera di Marghe-rita Guidacci21). Il modello supremo potrebbe essere visto in Emily Dickinsonche della sua poesia dice: «È questa la mia lettera al mondo che mai non scris-se a me».22 Come si fa a non sentire il fascino di questa assoluta separatezza?

    S.: Una assoluta separatezza che era stata, come sappiamo, la molla profonda 

    in quelle vicende di misticismo che divennero esperienza generalizzata e fon-damentale della spiritualità di molte donne nell’età della Controriforma, inquella che Mario Rosa ha definito l’esplosione generalizzata del profetismo e della mistica visionaria.23 Quel desiderio di disancorasi dal tutto, che Anna Scatti-gno, a proposito della mistica Jeanne de Chantall, ha definito «la nostalgia deldeserto, forma rarefatta della disaffezione e del denudamento di sé […] comeitinerario di perdita dell’identità e della memoria». Quel privarsi di tutto chela stessa Jeanne descriveva come «lasciar la pelle, la carne, le ossa e penetrare

    nell’interno del midollo».24

    E.: La scrittura femminile sembra confrontarsi, in questi casi, con tutto ciòche rappresenta l’alterità (e c’è, rispetto a questa prospettiva, l’interessantestudio di Mercedes Arriaga Flòrez Mio amore, mio giudice, del 1997).25 Alte-rità come spazio mistico e come follia. Vorrei citare, a questo proposito, da L’altra verità. Diario di una diversa di Alda Merini,26 un diario che è anche

    26 Quaderns d’Italià 6, 2001 Alessandra Contini, Ernestina Pellegrini

    19. Ernestina PELLEGRINI, Le radici della nostra debolezza. «La radura» di Marisa Madieri, inE AD., Le città interiori , Bergamo: Moretti e Vitali, 1995, p. 131-154.

    20. Ernestina PELLEGRINI e Beatrice BIAGIOLI, Sara Virgillito. Poetica, inventario, testi inediti ,Roma: Edizioni di Storia e Letteratura, 2001.

    21. Margherita GUIDACCI, Neurosuite , Vicenza: Neri Pozza, 1970.22. Emily DICKINSON, Tutte le poesie, a cura e con un saggio introduttivo di Marisa BULGHE-

    RONI, Milano: Mondadori, 1997.23. Mario R OSA , Settecento religioso, Venezia: Marsilio, 1998, p. 53.24. Anna SCATTIGNO, in Barocco al femminile, cit., passim.25. Maria A RRIAGA FLÒREZ,

     Mio amore, mio giudice,Lecce: Manni, 1997.

    26. Alda MERINI, L’altra verità. Diario di una diversa, Milano: Rizzoli, 1997.

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    «Io senza garanzie». Donne e autobiografia. Dialogo […] Quaderns d’Italià 6, 2001 27

    la cronaca di un’esperienza manicomiale. Cito dalla introduzione di Manga-nelli:

    Il Diario è un’opera lirica in prosa ma è anche una esegesi, una implorazionee la completa distruzione di ogni filosofia e di ogni atto concettuale.È stato scritto con il linguaggio semplice di chi nel manicomio ha scordatotutto e non vuole né vuole più ricordare. Rimane la velata e struggente nostal-gia del manicomio come tempio di una aberrante religione.27

    S.: E di nuovo si può si deve ritornare indietro e ricordare quel nesso strettis-simo, quella sottile linea di confine, fra il visionarismo e l’eresia, ma anche fra 

    il misticismo e la follia, nell’Europa dell’età moderna. Uno scollinamento faci-le e pericolosissimo dal terreno legittimo ed incoraggiato della penitenza, a quello della perdita e della fuga da sé, di cui le stesse grandi mistiche del pas-sato ebbero consapevolezza.

    È il caso, ad esempio di una figura di grande intensità, studiata da MarioRosa 28 e ora dalla Zemon Davis,29 a cui già abbiamo accennato, Marie de l’In-carnation, una mistica\visionaria che conosce i limiti e supera spesso i confinifra le due sponde: come quando dopo l’ennesimo sacrificio inflitto al proprio

    corpo con la flagellazione delle ortiche, catene e cilicio, scriveva nella sua auto-biografia che doveva nascondere questa sua penitenza «altrimenti mi avrebbe-ro giudicata pazza».30

    Un uso invece autoinfamante, beffardo e denigratorio — spostandosi inarea protestante sempre nel  XVII secolo — che ben emerge negli scritti del-l’inglese visionaria e «profetessa pubblica» Lady Eleonor Davis, studita da Roy Porter.31 Anche lei annotatrice continua, nelle sue scritture, di quel «flusso dicoscienza», in cui come lo stesso Porter afferma, più che ai motivi del mistici-

    smo e visionarismo tipici di quell’età, quasi siamo di fronte, nella complessità della costruzione sintattica e nelle sue irregolarità, ad una scrittura che antici-pa la prosa joysiana,32 di gente che — come diceva Svevo dei personaggi joy-siani — cammina per il mondo con la testa scoperchiata.

    E.: Mistiche, sante vive, visionarie in bilico fra la profezia e la perdita di sé,arrese a quel mare che si apre dal sipario del mare, a sua volta sipario di unaltro mare, che Emily Dickinson vedeva come porta verso l’eternità o il noc-ciolo duro, astratto del proprio io. La discesa goethiana alle Madri nel secon-do Faust. «Chi sono io?» — si chiedeva smarrita e arrabbiata Sylvia Plath?33

    27. Giorgio M ANGANELLI, Prefazione , Ivi, p.4.28. Mario R OSA , La religiosa , in L’uomo barocco, a cura di R. Villari, Bari Roma: Laterza, 1991,

    p. 123-19829. Natalie ZEMON D AVIS, Donne ai margini, cit., p. 67-144.30. Ibidem, p. 74.31. Roy S. PORTER , Lady Eleaonor Davies, la pazza, in Giulia C ALVI, op.cit , p. 29-49.

    32. Ibidem, p. 47.33. Silvya PLATH, op. cit., p. 122.

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    C’è chi, invece, come Rossana Rossanda, in un testo dal titolo Le altre ,34nega la specificità di genere, sentendo la femminilità «come un dolore aggiun-to, un particolare modo di patire e di fuggire», un’identità da esorcizzare, insom-ma, come l’eco di un’antica subalternità o, peggio, di un’accattivante indulgenza verso di sé. Difende il punto di vista da cui si guarda a questa identità, unpunto di vista irrinunciabile soprattutto per lei, il cui percorso retrospettivodella memoria parte dalla guerra, da un’epoca in cui «per chi si fece adulto inquegli anni l’identità non sarà mai un percorso privato e nel privato». Questosarà il segno della sua vita, il filo rosso che percorrerà il suo difficile camminopolitico: «Tutto il mondo passò sopra di noi e da allora non cessò di passare».Sempre diversa e sola. Anche quando è all’ospedale fra le altre ammalate e passa 

    giorni «quasi felici, non solitari», scrive: «Ma siccome nessuno è uguale a nes-suno, e io ero io, quando mi resi conto come stavo bene con le mie care donne,mi alzai, mi vestii e con gambe decise, ancorché un po’ tremanti, scesi le scalee cercai un tassì».35

    In principio, la domanda da farsi è sempre la solita: chi taglia i confini?C’è un brano, in uno dei diari di Anais Nin, dove la scrittrice parla dei pro-pri diari come di una merce proibita. È in volo tra Parigi e New York e si chie-de: «Il funzionario della dogana leggerà i diari? Alla frontiera non sono stati

    esaminati. Cosa diranno quando atterrerò in America? Contrabbando?».36

    La nuova identità, che è in continua e rapida trasformazione, si accampa per ora solo su ciò che mi piace chiamare una strage di stereotipi.

    La donna e l’altro/a, un paragrafo molto approfondito e dibattutto nel-l’ambito degli studi femministi. In uno dei testi critici archetipici sull’auto-biografia delle donne, The Other Voice di Mary G. Mason,37 si sostiene che sitratta in genere, almeno agli inizi e per lungo tempo, di un’autobiografia rela-zionale (madre di, figlia di, moglie di…). Mi chiedo se questa qualità dialo-

    gica sia segno di una forza o di una debolezza. Forse, come spesso avviene inquesti casi, si tratta di tutte e due le cose. Per contrasto mi viene in mente l’au-tobiografia di Bertha Thompson, Box-Car Bertha. Autobiografia di una vaga-bonda americana del 1937, una donna che cresce fra barboni e operai delleferrovie. Molti le dicono che sta fuggendo da qualcosa: «…e improvvisamen-te seppi cos’era: avevo sempre cercato di sfuggire al mio bisogno di essere

    28 Quaderns d’Italià 6, 2001 Alessandra Contini, Ernestina Pellegrini

    34. Rossana R OSSANDA , Le altre. Conversazioni a Radiotre sui rapporti tra donne e politica, libertà. fraternità, uguaglianza, democrazia, fascismo, resistenza, stato, partito, rivoluzione, Milano:Bompiani, 1979.

    35. Ibidem, p. 53.36. Anais NIN, Fuoco, Milano: Bompiani, 1996.37. Mary G. M ASON, The other Voice, in Authobiography; Essays Theoretical and Critical, a 

    cura di James OLNEY , Princeton: Princeton University Press, 1980, p. 123-144. Per un qua-dro del processo di avvicinamento delle donne alla scrittura e ai codici letterari, com-piuto tra il  XVIII e il  XX  secolo, mi sia permesso rimandare all’eccellente contributo di

     Adriana CHEMELLO e Luisa R ICALDONE, Geografie e genealogie letterarie. Erudite, biogra-

     fe, croniste, narratrici, epistolières, utopiste tra Settecento e Ottocento,Padova: il Poligrafo,

    2000.

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    responsabile per qualcuno, di vivere per qualcuno, per una persona specialeche appartenesse a me sola».38

    Prima parlavo di un io legato. Vorrei fare, però, a questo riguardo, un esem-pio estremo, di cui tu hai già parlato: la scrittura delle mistiche. Ci troviamo difronte «non a una scrittura di donne , ma una scrittura attraverso le donne ».39

    S.: Di nuovo le mie interferenze e convergenze. Intersezione e dialogo. È veroquanto Ernestina osservava. Dalle tante storie di mistiche del passato si ha l’impressione che la scrittura (potente e più comune di quanto prima si pen-sasse) si costituisse sempre attraverso un transito di legittimazione, per sugge-rimenti, per spinte e voci che provenivano o interpretavano un progetto

    trascendente. Eppure queste spinte, noi diremmo oggi quasi superegoiche,questa «scrittura attraverso le donne» sono uno strumento importante cheinduce a rompere il silenzio, a lasciar tracce di sé. È, ad esempio, un rigidoconfessore e direttore spirituale a spingere Marie de l’Incarnation a scrivere leproprie visioni. A legittimarla a fermare sulla carta quelle «parole di fuoco»che la liberavano dalla potenza insopportabile dei propri sentimenti verso ilsanto verbo incarnato: «Ah quale dolce amore siete: Voi ci sigillate gli occhi,ci rapite i sensi».40

    Una scrittura e una traccia che poteva trasformarsi, da segno e progettodella trascendenza e quindi segno edificante, in parola pericolosa ed eretica.Penso ad esempio a Lucrezia de León, profetessa e visionaria nella Spagna di fine‘500 e scrittrice indiretta di un Libro di Sogni in cui si articolava una potentecondanna dei vizi della monarchia di Filippo II e se ne vaticinava il destino. All’inizio protetta da tre ecclesiastici che trascrivevano i suoi sogni pensando chefossero «di vitale importanza per il futuro della Spagna» e quindi da far cono-scere al re, e poi consegnata come eretica all’inquisizione a cui si presentò come

    donna fragile incapace di capire la portata delle sue profezie e solo spinta a tra-scriverle dagli stessi ecclesiastici.L’atto della scrittura è così un atto difficile, pericoloso, che ha bisogno di

    legittimazione. Sono molte le testimonianze di donne che dicono di soffrirenello scrivere. Di scrivere con «riluttanza» e solo perché il Signore glielo aveva ordinato. Un «tormentoso cimento»,41 lo definì una austera religiosa, Elisa-beth Stouwen, madre superiora ed annotatrice delle memorie del conventocattolico nell’Olanda del primo Seicento.

    La «parola potente» (Ida Magli) delle mistiche e delle protesse nasce quin-di in questo transito di legittimazione che le protegge, le inscrive ma anche leautorizza alla scrittura. Sono scrittrici legittimate dalla trascendenza anche le

    38. Bertha THOMPSON, Box-Car Bertha. Autobiografia di una vagabonda americana , Firenze:Giunti, 1986.

    39. Anna IUSO (a cura di), Scritture di donne. Uno sguardo europeo, Arezzo: Quaderni della Biblioteca Città di Arezzo, 1999.

    40. Natalie ZEMON D AVIS, cit., p. 72.41. Florence K OORN, Elisabeth Trouven, la donna religiosa , in Barocco al femminile, cit., p. 138.

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    «sante vive» del Rinascimento, studiate dalla Zarri, che parlano e scrivonocostruendo i propri percorsi di santità educando alla religione e facendosi madrispirituali di principi ed uomini di potere.42 Come legittimate e spinte alla scrit-tura epistolare sono spesso anche le donne delle famiglie aristocratiche, quan-do, come ha visto bene Marina D’Amelia, gli stessi mariti e i figli le incitanoad usare correttamente la penna per svolgere quella funzione quotidiana diservizio alla famiglia, di cerimoniale indispensabile a tener attivi e funzionan-ti i canali clientelari.43

    Ciò ovviamente non esclude che la scrittura epistolare sia essa stessa unostraordinario tramite di affermazione individuale, come nella vicenda della intraprendente Maria Mancini, nipote del Mazzarino, già favorita del re di

    Francia e poi sposa separata del principe Colonna, che esprime nel suo car-teggio con il marito che ha deciso di abbandonare, tutta la propria forza diindividuo, la propria volontà. Come quando all’ennesima richiesta del marito-principe di rientrare sotto il tetto coniugale, la Mancini, nella sua fuga di donna separata ma controllata in giro per l’Europa, rispondeva, con fermezza: «quan-do ritornerò sarà di mia spontanea volontà né voglio che habiate obligatione alla mia sfortuna ma a me sola».44

    E.: Un numero della rivista «Primapersona. Percorsi autobiografici», dedicatoal mito e alle traversie d’amore nella scrittura di sé, è intitolato significativa-mente L’ego legato.45 Grazia Livi e Francesca Pasini, in un dialogo brioso e teo-ricamente denso dal titolo Donne senza cuore, ironizzando sul tema canonicodi tanta letteratura femminile, «il sogno d’amore», ad un certo punto dicono:«Il cuore? Io non vorrei sentirmelo più tanto addosso».46 Da un lato c’è la scrit-tura-ponte dell’io-tu, orma di una tensione di fusionalità assoluta nel rappor-to esclusivo di un amore o di una messa in giudizio, dall’altro c’è la scrittura che

    vuole, come George Sand nella propria Histoire de ma vie ,47

    presentare il pro-prio autoritratto in piedi, sempre pubblico, coi suoi travestimenti e le sue iden-tità parziali, il suo piglio provocatorio e le sue vittorie nell’arte e nella vita. Perdare questa testimonianza George Sand trova giusto tacere, porre sotto cen-sura alcuni lati della sua esistenza privata, non vuole parlare per esempio deisuoi amori.

    Linda Giuva, in un saggio presente nel bel volume Reti della memoria,sostiene che non solo esistono nelle donne dei livelli diversi (spesso carenti)

    nella consapevolezza dell’organizzazione della propria memoria, ma soprat-tutto notiamo in molte di loro la spinta ad occultare le tracce della propria 

    30 Quaderns d’Italià 6, 2001 Alessandra Contini, Ernestina Pellegrini

    42. Gabriella Z ARRI, Le sante vive. Cultura e religiosità femminile nella prima età moderna , Tori-no: Rosenberg-Sellier, 1990.

    43. Marina D’A MELIA , Lo scambio epistolare tra Cinque e Seicento: scene di vita quotidiana e aspi-razioni segrete, in Per Lettera , cit., p. 79-110.

    44. Elisabetta GRAZIOSI, Lettere da un matrimonio fallito, Ivi, p. 554.45. «Prima Persona», n. 4, marzo 2000.46. Grazia LIVI- Francesca P ASINI,

    Donne senza cuore , Milano: La Tartaruga, 1996, p. 150.

    47. George S AND, Storia della mia vita , Milano: La Tartaruga, 2000.

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    «Io senza garanzie». Donne e autobiografia. Dialogo […] Quaderns d’Italià 6, 2001 31

    vita privata e a certificare la sola vita pubblica, volendo tramandare solo il ricor-do di una donna forte e impegnata.48

    S.: Si tratta spesso di proteggere le donne da loro stesse e dalle loro autocensure.E qui cambio veste e mi presento non più con gli abiti della storica ma conquelli di archivista di Stato responsabile delle carte della scrittura femminilepresso l’Archivio di Stato di Firenze, da cui è nata, in collaborazione con l’U-niversità di Firenze, la nostra associazione «Archivio per la memoria e la scrit-tura delle donne», associazione che Ernestina ed io abbiamo l’onore di guidare.

    Nei colloqui che andiamo facendo con le scrittrici e le artiste che contattiamoper averne le carte da conservare e valorizzare, ci è spesso capitato di doverci

    scontrare con la paura che le donne\intellettuali sembrano avere in comunenei confronti della conservazione delle tracce sporche della propria scrittura.Mentre tengono a documentare, fino all’ultimo foglietto, che provi la loro fati-ca di autore, temono di conservare i diari, le carte intime, i quaderni autobio-grafici. La giustificazione è il pudore verso i figli, verso gli esterni, ma questopudore mi pare abbia movenze più profonde: muove forse dalla paura di rico-noscere come propria creatura una scrittura di sé non spiata, il largo deposito«prescritturale», le tracce sporche. Tracce che assumono diritto di cittadinan-

    za, e quindi diritto di sopravvivenza, solo se attentamente selezionate e vaglia-te, spogliate dal pericoloso ed indicibile deposito coscienziale.

    Un pudore, una difficoltà di parlare di sé, mi pare — e qui mi rivolgo a voi letterate — che è stata tipica di quella lunga fase in cui molte autrici (un po’come fanno le storiche oggi) hanno usato lo specchio di forti personalità didonne del passato per riflettere sul proprio sé di autrici e di donne. Da Rina-scimento privato della Bellonci alla Camicia bruciata e all’ Artemisia della Banti.Entrambe le autrici lavorano sul sé della contemporaneità riscrivendosi sul

    calco e sulle tracce di personalità del passato. Un parlare attraverso, transitan-do ancora una volta su un altro soggetto. Forse ancora una volta il tentativodi autolegittimazione? Un tentativo che risulta alla fine anche una operazio-ne di riparazione storica, dando voce alle protagoniste di ieri. Ma qui sconfi-no e chiedo lumi ad Ernestina. Ad esempio, mi pare fondamentale l’atto delpassaggio dalle biografie all’autobiografia nella letteratura contemporanea.

    E.: Mi sia permesso rimandare, qui, per quanto concerne la commistione e

    sovrapposizione di biografia e autobiografia (un vero e proprio gioco di spec-chi e di manipolazioni autocamuffatorie) a un altro mio studio, dal titolo Auto/biografie imperfette ,49 che fu relazione dell’ultimo convegno della Società 

    48. Linda GIUVA , Archivi neutri archivi di genere: problemi di metodo e di ricerca negli universi docu-mentari, in Reti della memoria. Censimento di fonti per la storia delle donne in Italia , a cura di Oriana C ARTAREGIA e Paola DE FERRARI, Genova: Lilith-Coordinamento donne lavorocultura, 1996, p. 13-41.

    49. Ernestina PELLEGRINI, Auto/Biografie imperfette, in corso di stampa nel volume Passaggi, a cura di Liana BORGHI, per l’Editore QuattroVenti di Urbino.

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    delle letterate. Voglio, invece, notare come ci sia, e molto forte, in alcune auto-biografie, la consapevolezza di fare un atto politico. Penso, per esempio, agliscritti autobiografici di Simone De Beauvoir, in particolare al volume ultimo A conti fatti, in cui, parlando del movimento di «decolonizzazione della donna»,scrive: «La mia vita: familiare e lontana, mi definisce, e nel tempo stesso io lesono esteriore. Che cos’è, esattamente, quest’oggetto bizzarro?».50

     A conti fatti è già nel titolo un bilancio e rivela la prospettiva rigorosamentepresbite, intessuta di distanze, dell’autobiografia. Mi viene in mente ancheNatalia Ginzbug che, nell’intervista dal titolo Non è facile parlare di sé, dice:«Però volevo anche scrivere come un uomo; allora ci tenevo molto a scriverecome un uomo, a sembrare… non essere appiccicaticcia».51

    Davanti al testo autobiografico di una donna ci troviamo di fronte nonsolo al suo mondo interno, ma anche al suo mondo esterno sotto l’aspettodella cultura, dei canoni, degli elementi della società in cui vive, direi meglioil mondo in cui è stata gettata , e così noi si vive, in maniera obliqua e doppia-mente intensificata, il mondo della cultura di questa donna, perché lo vivia-mo attraverso il filtro della sua personalità, attraverso il suo punto diosservazione. Godiamo del vizio, ma anche della lucidità dataci dall’anacro-nismo, dall’essere contemporaneamente dentro e fuori.

    Queste scrittrici impegnate in un gesto di estroversione concepiscono la propria autobiografia come qualcosa di «mostruoso», di eccentrico e nello stes-so tempo di estremamente contestualizzato, un racconto politico in cui il per-sonaggio si stacca dalla storia del suo tempo, nel bene e nel male, come una stravagante escrescenza, una orgogliosa disarmonia.

    Queste autobiografie sono in qualche modo anche una specie di Histoire bataille nelle trincee quotidiane della lotta fra i sessi. So che è come scoprirel’acqua calda dire che la sessualità, la sua rappresentazione, è il primo motivo

    rilevatore da rintracciare nei documenti. Questi testi, questi specchi di identità,tendono a offrire una specie di grumo, in cui le donne contemporanee posso-no condensare e sintetizzare, con vero brio intellettuale, i luoghi comuni del-l’identità collettiva, materia facilmente riciclabile dal consumo intellettuale delfemminismo.

    S.: Una sorta di «invenzione della tradizione» (Eric Hobsbawm) per cui, adesempio, si tende a recuperare, di questa identità collettiva, di questo luogo

    comune della memoria, solo i tragitti biografici più forti; i casi, anche nel pas-sato di affermazione del sé, negando cittadinanza, in una sorta di rovescia-mento del precedente paradigma vittimistico, alle voci minori, alle esili figureschiacciate dai recinti e nei recinti, la cui sofferenza non fu tramite di affer-mazione ma espressione di incompiutezza. Le voci piccole, solo a tratti docu-

    32 Quaderns d’Italià 6, 2001 Alessandra Contini, Ernestina Pellegrini

    50. Simone DE BEAUVOIR , A conti fatti, Torino: Einaudi, 1973.51. Natalie GINSBURG,

    Non è facile parlare di sé. Conversazione a più voci,condotta da Marino

    SINIBALDI, a cura di Cesare G ARBOLI e Lisa GINZBURG, Torino: Einaudi, 1999.

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    «Io senza garanzie». Donne e autobiografia. Dialogo […] Quaderns d’Italià 6, 2001 33

    mentate dalla scrittura, ma più spesso, di nuovo con la Perrot,52 restate indie-tro, non documentabili, nel «silenzio della storia».

    Mi viene in mente la tenerezza di accenti e il valore rievocativo che emer-gono ad esempio dal carteggio fra Galileo Galilei e la figlia Suor Maria Cele-ste, testimone nel chiuso del convento degli eventi che travagliano la vita delpadre, che costruisce orioli su disegno dello scienziato e che al padre manda piccole cose. Come quando manda al padre un po’ di cedro confettato nonben riuscito e due pere cotte per i giorni della vigilia natalizia.53

    E.: Quando parlavo di autobiografia come gesto politico, di esplicitazione della propria «disarmonia» su fondo oro, pensavo naturalmente, in questa chiave

    estrema, a un modello straordinario del femminismo degli anni Settanta comeil libro di Carla Lonzi, Taci, anzi parla. Diario di una femminista : «Al diariosono stata spinta dalla necessità di presentarmi a me stessa motivata nel farequello che faccio. E la motivazione che io stessa scopro via via con sempremaggiore convinzione, risale a un bisogno di conoscenza di me e degli altri dicui mi prendo tutta la responsabilità».54

    Sul polo opposto, si situano, invece, le autobiografie spostate sul territo-rio del diario intimo, in cui si assiste ad un’opera in fieri, opere che mostrano,

    con punte di simpatico e straziante esibizionismo, la disfatta della propria iden-tità . Qui vige una prospettiva miope, ravvicinata, appuntita spesso dal bistu-ri psicoanalitico. Ci sono due modi paradossali e complementari per dare vita a questa attività coraggiosamente destruens : quella euforica dei diari erotici di Anais Nin (penso soprattutto a Fuoco), e quella malinconica dei diari di Sylvia Plath. Anais Nin scrive la stor