culturarte a1_n2

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Ottobre 2014 1 Editoriale http://culturarteroma3.blogspot.it/ Anno I - # 2 Ottobre 2014 CulturArte Il periodico di Roma Tre Istruzione: Stay Cultural Fra riforma e spending review a pag. 2 Cinema: /D PDƩD § XQD VWRULD QXRYD intervista a Francesco La Licata a pag. 7 Cultura e Società: 8QD ULƪHVVLRQH VXO GRSSLDJJLR a pag. 16

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Secondo numero di CulturArte, pubblicato in Ottobre 2014

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Page 1: CulturArte a1_n2

Ottobre 2014 1Editoriale

http://culturarteroma3.blogspot.it/

Anno I - # 2Ottobre 2014

CulturArteIl periodico di Roma Tre

Istruzione:

Stay Cultural

Fra riforma e spending reviewa pag. 2

Cinema:

intervista a Francesco La Licataa pag. 7

Cultura e Società:

a pag. 16

Page 2: CulturArte a1_n2

Ottobre 2014 3Istruzione2 CulturArteIstruzione

Nello scenario della politica italiana

c'è qualcosa che ci riguarda profon-

damente: la riforma della scuola del

governo Renzi.

L'Europa chiede riforme,chiede cambia-

menti ma niente è più fragile,per la nostra

cultura,della scuola, dell'istruzione.

“Un patto educativo, non l’ennesima ri-

forma”: è così che il premier Matteo Renzi in-

troduce la riforma..

In primis auspica a un'abolizione del preca-

riato: Il rapporto prevede “un piano straordi-

nario per assumere 150mila docenti a

settembre 2015 e chiudere le Graduatorie a

Esaurimento [Gae]”.(Graduatorie storiche da

cui viene attinto,ogni anno, il 50 % di tutti i

nuovi docenti da assumere, intasate da

155mila aspiranti docenti).

Smaltite le graduatorie, il governo punta a

andare verso un regime normale, in cui si ac-

cede alla scuola solo per concorso. Si diven-

terà docenti di ruolo solo per concorso,

come previsto dalla Costituzione. Mai più

“liste d’attesa” che durano decenni”.

Un piano di assunzioni così massiccio volto

a garantire maggiore continuità didattica,

fondamentale per la formazione, tendendo

verso la scomparsa della figura del docente

supplente.

Si chiede un insegnamento della lingua in-

glese a partire dai 6 anni, di coding e pen-

siero computazionale nella scuola primaria,

dei principi dell’economia nella secondaria.

Negli istituti tecnici e professionali sarà in-

tensificata l’alternanza scuola-lavoro, per un

totale di circa 200 ore l’anno, offrendo stage,

tirocini e apprendistati sperimentali.

Sembra tutto perfetto, ma quanto può es-

sere affidabile tutto ciò?

Per fare tutto questo (ma anche la metà di

tutto questo), serviranno soldi. Parecchi. Il

governo prevede di “attirare risorse private

(singoli cittadini, fondazioni, imprese) attra-

verso incentivi fiscali e semplificazioni bu-

rocratiche”. Accuratamente evitata la parola

“tasse”.

Inoltre, il governo intende attuare la riforma

della scuola a costo zero, riducendola ad una

partita di giro tra tagli di spesa e nuove ri-

sorse, ricavando i finanziamenti necessari at-

traverso la riduzione del personale non

docente ed eliminando i commissari esterni

degli esami maturità..

Queste misure affosserebbero il nostro si-

stema scolastico, ancora segnato dai forti

tagli al comparto attuati dagli ex ministri Tre-

monti e Gelmini nel 2008?

Le anticipazioni lasciano a dir poco inter-

detti: “il miliardo che serve nel 2015 ad as-

sumere gli oltre 148mila docenti precari sarà

finanziato anche dallo stesso ministero del-

l'Istruzione”, attraverso “la riduzione della

pianta organica degli Ata, il personale tec-

nico-amministrativo degli istituti (cioè bi-

delli, applicati di segreteria, assistenti tecnici

dei laboratori).Una misura che porterebbe ri-

sparmi modesti, circa 30-35 milioni. Ma po-

trebbe avere ripercussioni negative sulle

Riforma Renzi scuole (apertura e funzionamento dei labo-

ratori)”.

La legge finanziaria del 2007, poi, aveva già

disposto l’assunzione a tempo indetermi-

nato di personale docente per “complessive

150.000 unità, al fine di dare adeguata so-

luzione al fenomeno del precariato storico

ed evitarne la ricostruzione, stabilizzare e

rendere più funzionali gli assetti scolastici”.

Questa norma, disattesa e violata dal più

grande licenziamento di massa ideato l’anno

dopo da Gelmini-Tremonti e dal concorso di

Profumo del 2012 (che sottraeva posti de-

stinati all’abolizione del precariato), rende

l’annuncio di Renzi ulteriormente meno “ri-

voluzionario” di quanto voglia farci credere.

In ogni caso è evidente che, se ci fosse la reale

volontà da parte del Governo di portare avanti

quanto promesso, non ci sarebbe alcuna ne-

cessità di aspettare settembre, né di provve-

dere ad atti normativi, che esistono già.

Complessivamente, la riforma della scuola

ne esce maluccio: i giudizi negativi ammon-

tano al 72,4% del totale, mentre i pareri po-

sitivi si fermano al 13,9%. Per il 26,2% dei

post la riforma è iniqua, perché premia al-

cuni penalizzando ingiustamente altri; per il

17,2% è contraddittoria, perché fatica a

mandare in pensione alcune categorie di in-

segnanti mentre annuncia massicce stabiliz-

zazioni di docenti precari; per il 14,7%

sposa la logica - ritenuta inopportuna - del

"lavorare tutti per guadagnare meno".

Allora ai posteri l'ardua sentenza, questa ri-

forma fa leva solamente sul marketing me-

diatico, oppure è un ennesimo danno al

carico del cittadino onesto?

Beatrice Fianco

CulturArteResponsabile dell’iniziativa

Ludovico Tuoni

Contatti3485335839

[email protected]

Page 3: CulturArte a1_n2

Ottobre 2014 5Letteratura4 CulturArteLetteratura

1984è considerato un

romanzo disto-

pico. E' il ritratto

di una società nella quale non vi è il minimo

accenno di speranza, di possibilità, di luce.

Non vi è un lieto fine...Vi è solo l'annienta-

mento totale di ogni sorta di sentimento

umano. La guerra erode la dignità umana

dalla mente.

"Non sarai mai più capace di nutrire senti-

menti normali, di sentire dentro di te amore,

amicizia, gioia di vivere, allegria, curiosità, co-

raggio, onestà. Sarai vuoto. Ti spremeremo

fino a svuotarti, poi ti riempiremo di noi."

Il Grande Fratello agisce in modo sistematico

sulla storia, cancellando ogni traccia del pas-

sato degli individui e sostituendola con una

realtà apposita, in grado di manipolare l'in-

teriorità della collettività, trasformando così

gli uomini in "stupidotti" privi di una loro

ideologia.

Da ciò si può capire come Orwell voglia de-

scrivere un modello di società totalitaria, ba-

sata sull'annullamento dell'individuo e sul

totale controllo esercitato su di esso dal go-

verno.

Ciò avviene anche attraverso i migliaia di te-

leschermi che trasmettono ininterrotta-

mente programmi di propaganda in grado di

manipolare la mente del singolo. Qualcuno

diceva che una bugia, ripetuta cento volte,

diviene verità; è proprio questo il sistema

usato dal Grande Fratello tramite i tele-

schermi.

Il protagonista del romanzo è Winston Smith

che ha solo dei vaghi ricordi della sua fami-

glia d'origine e della sua infanzia. La sua vita

interiore non è altro che un lungo monologo

di ricordi frammentari e sentimenti soffocati

che non possono trovare espressione al-

l'esterno. Winston comincia una relazione

amorosa (vietata dal Partito) con una ra-

gazza, Julia. Entrambi sognano un mondo li-

bero dal controllo del Grande Fratello e

vengono spinti ad unirsi ad un'organizza-

zione segreta denominata la confraternita, il

cui scopo consisterebbe nell'insidiare la dit-

tatura del Grande Fratello. Winston non si

rende conto però che in realtà non è altro

che una montatura imbastita dal Partito, così

Un totalitarismo profetizzato i due traditori verranno imprigionati nel Mi-

nistero e torturati fisicamente e psicologica-

mente.

Nonostante Winston e Julia, tentino valoro-

samente una via di scampo da questa realtà

plasmata, alla ricerca di una realtà "più

reale", all'insegna dei valori etici e morali

che caratterizzano l'essere umano, non riu-

sciranno nel loro intento.

Ciò che colpisce maggiormente del romanzo,

è la genialità dell’autore, il quale descrive a

pieno un fenomeno, se così si può dire, “pro-

fetizzato”, il quale si mostra di considere-

vole, e allo stesso tempo preoccupante,

attualità.

Basti pensare alle recentissime vicende ad

opera dell’ISIS, gruppo jihadista attivo per lo

più in Siria ed Iraq. Riferendosi a quanto ap-

pena detto, le analogie potrebbero risaltare

subito all’occhio.

Infatti una delle frasi più ricorrenti nel libro,

esercitata dal partito è: “LA GUERRA E’ PACE,

LA LIBERTA’ E’ SCHIAVITU’, L’IGNORANZA E’

FORZA”; essa potrebbe essere così interpre-

tata: La guerra è pace= Jihad; la libertà è

schiavitù= sottomissione al credo religioso;

l’ignoranza è forza= tutto ciò che c’è da sa-

pere è già scritto nel Testo religioso.

Un’ulteriore analogia consiste nell’ossessivo

controllo della singola persona tramite tele-

camere; in Cina ogni persona è giornalmente

sottoposta a controlli e gli stessi blog sono

soggetti a pesanti censure.

Infine, nel libro ricorre spesso un evento: il

periodo d’Odio, nei confronti di un arcano

nemico, considerato causa di tutte le mali-

gnità del mondo. La parola Ebreo vi dice

nulla?

Che dire, se non che il signor Orwell ci ha

visto lungo? Lascio a voi le conclusioni…

Ilaria Tarulli

Page 4: CulturArte a1_n2

Ottobre 2014 7Cultura e Società6 CulturArteCultura e Società

La legge n. 109 del 7 marzo 1996

venne approvata in sede deliberante

dalla Commissione Giustizia, in tempi

da record e a legislatura finita. E' la stessa

legge che porta in grembo ogni anno i volon-

tari dei campi "Libera Terra". A cullare la mo-

tivazione, anche una strage giovane: Capaci.

Parliamo ancora di attualità dunque, con un

fremito di rabbia che porta a pensare se

questa giovinezza sia colpa del cancro ma-

fioso, ancora dilagante, o merito della rivo-

luzione legale che ha reso possibile questo

moderno "contrappasso".

Il parere maggiore deriva da chi ha potuto

confrontare il prima e il dopo. Da chi vuole

ragionare, capire e voler far capire, non solo

per convincere, ma piuttosto per essere te-

stimone di una realtà, che molto spesso

viene sorpassata come si farebbe con un or-

dinaria giornata di vita.

Francesco La Licata, penna de "La Stampa" a

inchiostro antimafioso, ha trovato il tempo

di farmi accomodare su quel passato da chi

si è concesso il valore più grande, condivi-

dere :"La nascita di Libera è un fenomeno

nuovo" e prosegue: "E' anche presa di co-

scienza del luogo in cui avvengono certe vi-

cende. I dubbi da sciogliere sono ancora

molti, uno dei quali verte sul perché in re-

gioni come la Calabria, la strage faccia meno

notizia. Una "terra di nessuno" dunque, in

opposizione alla terra della Mafia che è la Si-

cilia, ma solo perché qui si parla di omicidi".

La strage fa notizia. La notizia fa paura, come

questa testimonianza, molte altre potreb-

bero essere raccolte per sventolare la ban-

diera dell'antimafia, di chi non appena torva

un mezzo per farsi vedere, lo utilizza. Questo

traspare dal discorso ma sopratutto dallo

sguardo del signor La Licata, come se non

servissero tutte quelle parole lette e rilette

su giornali, accumuli di sillabe addossate nel

rettangolino grigio di una rivista.

Torniamo a noi. Le associazioni volontarie, si

propongono di contrastare le attività della

criminalità organizzata e diffondere quella

cultura della legalità che si pone come il

principale anticorpo alle mafie, ma fino a che

punto , quali limiti incontrano le associa-

zioni?: " il limite maggiore di quella legge sta

nel fatto che, a ricaduta la mafia porta soldi

agli operai delle aziende confiscate, la re-

pressione da parte dello Stato no. Nelle pro-

vince o regioni in cui la legge opera, gli

abitanti non percepiscono questa azione le-

galitaria come un fatto positivo, o almeno

non tutti. Molti di loro perdono il lavoro."

Una scheggia di realtà, dunque, può graffiare

il sottile vetro della lotta alla criminalità

come quel 90% di aziende che una volta

confiscate, chiudono i battenti, ma li chiu-

dono alle spalle di chi lavorava per quelle

vecchie istituzioni "che quantomeno lo sti-

pendio a fine mese lo garantivano" [testimo-

nianza di un operaio della catena DESPAR

confiscata nel 2007 a Castelvetrano]. Ri-

mane la consapevolezza, che quelle vecchie

aziende liberate si possano adagiare sul-

l'esempio delle cooperative, ristrutturate per

riutilizzo sociale o sanitario.

Inutile dire che tutte queste affermazioni,

non servono certo a scoraggiare, non vo-

gliono rendere l’idea di un obiettivo impos-

sibile da raggiungere, ne tantomeno scardi-

nare le certezze di chi da sempre vuole

impegnarsi o di chi si è già impegnato. Que-

sta testimonianza o anche critica positiva se

vogliamo, deve rendersi utile per capire fino

a che punto ancora dobbiamo arrivare. Una

strada sterrata, ricca di dossi e dislivelli che

devono essere calpestati, appiattiti, invece

che sorpassati. Non sarebbe carino annoiare

con proposte di vittoria all’antimafia, ma

certo sarebbe utile indirizzare ad un con-

cetto: non agire mai da soli, evitare ogni ten-

tazione eroica. Dall'ascolto alla scrittura, era

questo l'esempio cercato che si riflette nella

volontà di sensibilizzazione, una scelta che

deve essere di tutti perché tutti possiamo

ascoltare, leggere, conoscere e descrivere,

per costruire un clima di consapevolezza ci-

vile, evitando la diffidenza verso una mafia

che molti ritengono "una storia vecchia".

Eva De Vecchis

La Mafia è una storia nuovaLibera e l’intervista a Francesco La Licata, giornalista de “La Stampa”

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Ottobre 2014 9Cultura e Società8 CulturArteCultura e Società

Sul web la fama e il talento si misuranoa colpi di “mi piace”, “tweet” e visua-lizzazioni. Non servono sacrifici o rac-

comandazioni per poter diventare qualcuno:la popolarità è lì, racchiusa nella potenzialitàdisarmante di un click. Anzi, a volte arriva inmodo casuale e del tutto inaspettato. Ed ècosì che tramite apprezzamenti, commenti,condivisioni si innesta una “reazione a ca-tena” che nel giro di poco tempo può por-tare una persona qualunque sotto le lucidella ribalta. Un fenomeno travolgente cheriguarda soprattutto i giovanissimi: esem-plare in questo senso è il caso dell’ ameri-cana Jenn McAllister, una diciottenne cometante che, grazie a Internet, è diventata unavera e propria star. "In futuro credo di nonaver bisogno di un lavoro vero e proprio : rie-sco già a racimolare un bel po' di soldi congli sponsor del mio canale” ha dichiarato lagiovane durante un’intervista. Ma qual è ilsegreto dei ragazzi che hanno conquistato ilpopolo di Internet? Nella maggior parte deicasi, a catalizzare l’attenzione sono videosemplici, in cui si ironizza sulla realtà quoti-diana, oppure parodie, canzoni modificate,rubriche di consigli. E’ proprio grazie a que-sta semplicità di fondo che il contenuto ar-riva a fasce sempre più nutrite di utenti. Il caso delle web stars va considerato nellapluralità delle sue sfumature. Da un lato, sitratta di un fenomeno che favorisce la socia-lizzazione e lo spirito di gruppo: sono moltii ragazzi che, seguendo giorno per giorno iloro miti e interagendo con gli altri fans, sisentono parte di una comunità. Inoltre il webè un “sistema aperto”, fruibile e accessibile

a tutti: chiunque con un po’ di fantasia e legiuste strategie potrebbe, almeno potenzial-mente, diventare “famoso”.D’altro canto, a volte si assiste ad una bana-lizzazione dei contenuti: non essendoci pa-rametri di giudizio oggettivi, il consenso sibasa sul gusto del pubblico medio e nonsempre i risultati sono entusiasmanti. Anzi,aldilà delle reali capacità e della vena comicadella persona, ciò che viene maggiormentepercepito dall’utente medio è la componente“trasgressiva” e anticonformista. Un altroaspetto su cui riflettere è il fatto che spessoi fans tendono ad idolatrare queste persone,chiedendo loro consigli di varia natura e ve-dendole come dei modelli da imitare a tutti icosti, dimenticando che molti dei loro idolialtro non sono che ragazzi come loro.E’ chiaro che quella del “Youtuber” sta di-ventando una figura professionale a tutti glieffetti, figlia della tecnologia, di fronte allaquale molti adulti non riescono ancora a ca-pacitarsi: com’è possibile diventare delle ce-lebrità in modo così semplice e veloce,senza un trampolino di lancio come la tele-visione, la musica, il cinema? Rita Levi Mon-talcini aveva già una risposta: “La creativitàe l'innata facilità nell'utilizzo delle nuovetecnologie informatiche possono innescaremeccanismi di trasformazione sociale a li-vello globale: possibilità, queste, non attua-bili nelle società statiche e patriarcali delleepoche precedenti”.

Sofia

La fama nell’era dei social

Le notizie circa i combattimenti in Iraq ein Siria ormai occupano costantementele prime pagine delle testate giornali-

stiche (online e cartacee); di pochi giorni fala discussione presso l’Assemblea Generaledell’ ONU, la quale ha registrato un sostan-ziale fallimento, a causa della volontà diTheran di non collaborare direttamente coni Paesi occidentali nella lotta contro i mili-ziani dell’ISIS.Oltre ad essere variegata, la situazione èanche abbastanza confusa: si ricorderà in-fatti come i Paesi Occidentali, allo scoppiodei moti di rivolta della Primavera Araba, fusubito pronta a dichiarare il suo appoggio airibelli, e alle milizie, che lottavano per la ri-chiesta di libertà e democrazia. Ciò, perquanto riguarda una delle aree interessateoggi dal conflitto  ossia la Siria,  si è sostan-ziata nelle critiche verso il regime di Assad(accusato di numerose violazioni dei dirittiumani) e negli aiuti che i servizi di Intelli-gence hanno fornito ai gruppi ribelli, tra iquali l’ISIS era in prima linea.Altro aspetto che contribuisce a rendere con-fusa la vicenda è costituito dagli aiuti militari(artiglieria leggera e fucili automatici per letruppe di terra) che i Paesi Occidentali in-viano al Governo iracheno e ai peshmerga(ossia i volontari) curdi (che oggi rappresen-tano la prima forza di terra schierata in com-battimento contro l’ISIS). Si stima che solonegli ultimi giorni, circa centomila combat-tenti curdi abbiano attraversato le frontieredella Turchia per raggiungere la Siria e com-battere contro l’ISIS; tra questi, oltre ai pe-shmerga appartenenti al PDK (il PartitoDemocratico del Kurdistan, considerato un

interlocutore fidato, visto il suo interventopro USA durante la Prima Guerra del Golfo)figurano, più o meno velatamente, ancheesponenti del PKK (il Partito Comunista delKurdistan), i quali si sono spesso macchiati diattentati contro la popolazione e lo Statoturco, al punto che sono tutt’ora inseriti nelleliste delle organizzazioni terroristiche di Eu-ropa e Stati Uniti. Oltre all’aspetto dei rifor-nimenti militari che finiranno anche nellemani del PKK, vi è da considerare che al ter-mine del conflitto, i Paesi Occidentali, l’Iraq ,la Siria e la Turchia, si troveranno, quasi sicu-ramente alla mercè dei curdi, i quali rivendi-cheranno senza ombra di dubbio maggiorimargini di autonomia (se non l’indipendenza)per la loro regione, che tocca questi tre Paesi.E proprio la Turchia costituisce un’altragrande incognita di questa crisi. Paese laicoed occidentalizzato (al punto che potrebbeessere prossimo il suo ingresso nell’UE, dicui se ne discute da anni) essa ha schieratocirca diecimila soldati al confine siriano,pronti ad intervenire, e da Ankara si attende,in settimana, l’approvazione del Parlamentoper tale intervento.L’intervento militare della Turchia, sicura-mente rinforzerebbe di molto, sul piano mi-litare, la coalizione anti-ISIS, ma bisognatenere conto dei contrasti che potrebberosorgere con le milizie curde e del fatto cheil Governo di Ankara potrebbe non avere re-more nello sfruttare l’attuale crisi per allar-gare i suoi attuali confini a scapito della Siria.

Riccardo Grazioli

Crisi mediorentale: situazione variegatamente confusa

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Ottobre 2014 11Cultura e Società10 CulturArteCultura e Società

Quando muore qualcuno di famoso e

che per noi è stato importante in

qualche modo, con la sua musica,

con i suoi libri, con i suoi film, solitamente ci

ricordiamo sempre il momento esatto in cui

abbiamo scoperto la notizia. La news della

morte di Robin Williams arriva quando è an-

cora buio, alcuni stanno andando a dormire

perché è l’undici Agosto e si fa tardi, altri lo

leggono da Facebook la mattina. Perché Fa-

cebook? Ovviamente ne parlano anche tutti

i telegiornali ed i giornali online ma non c’è

nessuno di noi che non abbia trovato lo

stato di un amico dedicato a questo grande

attore o una foto condivisa. Questo perché

Robin Williams ed i suoi film hanno segnato

la nostra generazione in maniera particolare.

La nostra e molte altre. Sono pochi i ragazzi

iscritti alla Facoltà di Lettere che non hanno

provato quel senso di soddisfazione e com-

mozione e voglia di leggere poesie senza le

regole imposte dai vecchi libri di metrica

dopo aver sentito le parole del Professore

Keating in “L’attimo fuggente”. Frasi e dialo-

ghi dei suoi tanti film sono entrati a far parte

del nostro parlare comune. Non solo “Capi-

tano o mio Capitano” ma quando ci chie-

dono se abbiamo un’ultima parola noi

diciamo “Jumanji”.

Questo attore americano, nato a Chicago, è

riuscito a raccogliere intorno a sé tantissimi

fans perché si è dimostrato capace di cimen-

tarsi in molteplici generi diversi. Passa dal

vestire i panni di Peter Pan in “Hook” a quelli

di un robot ne “L’uomo bicentenario”. Fanta-

sia, fantascienza che riesce a legare grazie

alla sua comicità naturale ma non per questo

si risparmia dall’accettare ruoli in cui si può

far fatica ad immaginarlo come nel thriller

del 2002 “One Hour Photo” per cui viene

O Captain! My Captain! anche premiato con un Saturn Award come

migliore attore.

Una carriera che di premi ne ha visti parec-

chi: Grammy, Emmy ed anche un Oscar nel

1998 come migliore attore non protagonista

per “Will Hunting: genio ribelle” dove viene

affiancato da due giovanissimi Ben Affleck e

Matt Damon che lo ha ricordato in un’inter-

vista ringraziandolo di tutto l’appoggio lavo-

rativo e umano.

Nel mondo di Hollywood però c’è, tenden-

zialmente, un grave problema. I grandi per-

sonaggi vengono lodati, ci si ricorda l’affetto

che il pubblico ha provato per loro solo

quando ormai è troppo tardi.

Gli viene cancellata senza scrupoli l’undici

Maggio, dopo solo una stagione, la sua ul-

tima fatica televisiva “The Crazy Ones” che

non è riuscita ad arrivare ai numeri esorbi-

tanti di altre serie tv già avviate della CBS. La

critica si dimostra abbastanza spietata nel

giudicare il flop di uno dei suoi ultimi lavori

“The Angriest Man in Brooklyn”, alcuni di-

cono che è solo un bravo comico ma niente

di più. Poi la morte e inizia quel susseguirsi

di buonismo che tutti conosciamo e che ca-

ratterizza tutti i lutti di personaggi celebri.

Se da una parte i social network hanno con-

tribuito a provare quanto amore ci fosse

verso Robin Williams e la vicinanza che

anche le persone comuni hanno dimostrato

nei confronti della sua famiglia, tanto che

molti hanno criticato apertamente il reso-

conto troppo dettagliato dato dalla polizia

sul ritrovamento del cadavere, dall’altra c’è

stato un fenomeno macabro e irrispettoso

che ha portato la figlia maggiore, Zelda, a

cancellare i propri profili di twitter ed insta-

gram dopo che è iniziata a circolare una falsa

immagine del corpo del padre all’obitorio.

Robin Williams è, purtroppo, uno degli

esempi che mostra a cosa può portare una

malattia come la depressione che colpisce

uomini e donne a prescindere dal loro suc-

cesso e che merita rispetto o silenzio se pro-

prio non ci si può trattenere dal giudicare.

Un bravo fan deve capire l’umanità che si

cela dietro la maschera. In questo articolo, è

stato giusto informarvi sulle polemiche ri-

guardo alla sua morte o alla sua carriera ma

quello che davvero è stato giusto ricordare

è il suo lavoro di attore e regista e ogni ruolo

per cui lo abbiamo apprezzato e conosciuto.

Da lui abbiamo imparato che l’immagina-

zione vuol dire tanto, nel proprio lavoro.

Così, un bravo fan, può pensare che sia tor-

nato sull’Isola che non c’è perché non

c’erano più pensieri felici qui e non badare

alle critiche riguardo alla sua vita personale

segnata dalle dipendenze e dalle sue scelte.

Chiara Davitti

“Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza, in profondità,succhiando tutto il midollo della vita, [...] per sbaragliare tutto ciò che non era vita e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto” Henry David Thoreau

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Ottobre 2014 13Teatro12 CulturArteTeatro

Jan Kott, acuto lettore di Shakespeare, a

proposito di Amleto ha scritto: “Si può

rappresentare uno solo degli Amleti con-

tenuti in questo superdramma. Sarà sempre

un Amleto più povero di quello shakespea-

riano, ma può anche essere un Amleto arric-

chito della nostra contemporaneità. Può

esserlo; preferirei dire: deve esserlo”. Si tratta

dunque di fare delle scelte; “ma bisogna sa-

pere a che scopo, e con che criterio si sceglie”.

Andrea Baracco (e con lui Francesca Macrì,

Roberta Zanardo e Luca Brinchi) nel suo

Hamlet, spettacolo riuscitissimo andato in

scena dal 26 al 28 settembre scorsi sul palco

del Teatro Argentina, compie irrimediabil-

mente la sua scelta, percorrendo la vena

della fragilità. “Ci interessava portare avanti

un’indagine sulla fragilità dell’uomo” spiega

proprio Francesca Macrì, che del testo ha cu-

rato la drammaturgia.

Lo spettatore si trova dunque di fronte a un

Amleto (Lino Musella) impacciato e adole-

scenziale, in bermuda e cappuccio, che si

muove inciampando in una Elsinor divenuta

mondo senza padri (come quello in cui vi-

viamo oggi, sottolinea Baracco). Dimenticate

dunque il dramma politico, non la politica;

dimenticate il dramma morale, non la mo-

rale; dimenticate il teschio e Fortebraccio,

coerentemente eliminati dalla scena; dimen-

ticate tutti gli Amleti che potrebbero essere

e in questo spettacolo non sono. Resta, con

l’inevitabile solitudine di chi non corri-

sponde al proprio tempo, questo giovane

principe continuamente in bilico tra la rab-

bia e il mammismo, tra la risolutezza e l’in-

capacità di comprendere la lingua dello

spettro paterno. Citando ancora Kott: “Forse

la genialità dell’ Amleto consiste proprio nel

fatto ce ci si può vedere riflessi dentro come

in uno specchio”; ed è quello che accade in

Hamlet, in cui ognuno di noi, come folgorato,

guarda se stesso in Amleto, vi scopre la pro-

pria intima fragilità di essere umano sbattuto

nella tempesta del mondo senza più fari

all’orizzonte s cui poter affidarsi. In quest’ot-

Hamlet, ovvero l’elogio della fragilità tica mi è sembrata felicissima la scelta di ri-

tagliare il celeberrimo monologo dell’essere

o non essere per spostarlo a fine dramma. A

carneficina ormai compiuta le parole più fa-

mose del teatro di tutti i tempi acquistano

un valore oserei dire superiore a quello che

hanno nel testo: chiariscono retrospettiva-

mente proprio la fragilità umana che Baracco

ha scelto di mettere in scena. Non mancano

poi la carnalità, il marciume politico, la que-

stione morale e perfino alcune illuminazioni

filosofiche; ma questo Hamlet è pura “poesia

sulla fragilità, perché c’è bisogno oggi più

che mai di fare poesia sulla fragilità” spiega

Francesca Macrì.

Alla classica domanda, se Amleto finga d’es-

sere pazzo o sia pazzo per davvero, lo spet-

tacolo di Baracco sembra rispondere: Amleto

finge la sua pazzia, se ne serve quale unico

strumento per scardinare la grande “trap-

pola” recitativa della vita umana. In questo

senso Hamlet è tutto giocato sul teatro, e

non solo per la famosa scena metateatrale

dell’Assassinio di Gonzago. C’è qui la precisa

volontà di “partire dallo spazio vuoto del

teatro” per creare una messa in scena forte-

mente teatrale e teatralizzante (microfoni in

scena, quinte scoperte, attori che si improv-

visano assistenti di scena spostando in

piena azione gli essenziali elementi sceno-

grafici come se si preparassero da sé la

scena per viverla). “La vita è solo un’ombra

che cammina, un povero commediante che

si pavoneggia e si agita sulla scena per un’

ora, e poi tace per sempre: una storia narrata

da un idiota, colma di suoni e di furia, senza

significato” dice Macbeth. Da fratello mag-

giore Amleto ha raggiunto la stessa consa-

pevolezza e la sbatte in faccia a tutti, ma tutti

restano sordi e lo credono pazzo. Forse per-

sino noi pensiamo che lo sia.

Così Hamlet si fa anche indagine sulla fragilità

dell’Attore, di cui Amleto è l’ipostasi per eccel-

lenza, nella misura in cui egli, più di ogni altro

essere umano, grazie alla propria professione

è quel “pazzo” che raggiunge la consapevo-

lezza amletica della vita come recita in cui non

facciamo altro che ripetere una parte asse-

gnata, in cui “sappiamo quello che siamo, ma

non quello che potremmo essere”, e di fronte

a questa consapevolezza si scopre fragile.

Figlio in un mondo senza padri, attore per un

pubblico di sordi, Amleto è proprio quel-

l’ombra che si agita sulla scena con urla e fu-

rore e poi, compiuta la carneficina di cui lui

stesso cade vittima, tace per sempre. In

fondo noi tutti siamo quell’ombra, ma la vera

salvezza è riuscire a essere Amleto.

Luca Granato

"No! Io non sono il Principe Amleto, nè ero destinato ad esserlo; io sono uncortigiano, sono uno utile forse a ingrossare un corteo, a dar l'avvio a una scena o due [...] Talvolta, in verità, quasi ridicolo - E qualche volta, quasi, ilBuffone" T. S. Eliot

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Ottobre 2014 15Arte14 CulturArteArte

Il 17 settembre a palazzo reale di Milano

è iniziata la mostra Marc Chagall. Una re-

trospettiva 1908-1985, una grande mo-

stra mai dedicata in Italia. La vita dell'artista

russo viene raccontata attraverso 220 opere

inserite in un percorso culturale ma soprat-

tutto storico. Le opere fanno parte di colle-

zioni di eredi che si affiancano a quelle

conservate nei musei principali di tutto il

mondo.

Marc Chagall pittore russo, rivoluzionario e

straordinario ci mostra attraverso le grandi

tragedie del 900 un'immensa fiducia nella

vita. Russo, naturalizzato francese e di origine

ebraica racconta la storia di un popolo perse-

guitato: l'esilio, l'arrivo in Francia, la grande

tragedia della morte della moglie Bella non

sono ostacoli ad una sua continua e costante

ricerca di felicità. La storia della vita di un

uomo tremendamente forte che ricerca co-

stantemente la purezza della sua gioventù,

periodo della vita serena di un uomo.

Simboli e riferimenti all'arte circense tra-

sportano il pittore in un mondo onirico e nei

suoi ricordi di infanzia, età in cui l'animo

umano è pervaso da purezza e da un grosso

Quel fiducioso di Chagall senso di gioia per la vita. L'amore per la sua

donna è rappresentato da quadri dai colori

vivaci in cui i due amanti fluttuano nell'aria

in un amore libero e ben lontano dalle tra-

gedie del diciannovesimo secolo.

La storia, la cultura, un popolo, l'amore attra-

verso gli occhi di un uomo che si ritrova solo

ma che ha sempre la forza e la speranza di

riuscire a rialzarsi. I colori vivaci dei suoi

quadri nonostante rappresentino un popolo

devastato ed una cultura oppressa come

quella ebraica sono sempre incorniciati da

un trionfo di colori che rende sempre viva e

limpida la speranza. Chagall non abbandona

le sue radici, in tutti i suoi quadri c'è sempre

un chiaro riferimento alla sua città natale Vi-

tebsk, violinisti (simbolo fondamentale del

popolo ebraico) suonano in equilibrio sui

tetti delle case come a simboleggiare l'insta-

bilità della loro esistenza ed ebrei erranti,

simboli della condizione di discriminazione

a cui lo zarismo costringeva gli ebrei.

Mia soltanto è la patria della mia anima.

Vi posso entrare senza passaporto e mi sento a casa;

essa vede la mia tristezza e la mia solitudine ma non vi sono case:

furono distrutte durante la mia infanzia, i loro inquilini volano ora nell'aria in cerca di

una casa, vivono nella mia anima.

Attraverso le sue opere riviviamo il percorso

di un uomo fragile che seppur circondato da

grosse catastrofi resta sempre fedele alle

proprie origini e tradizioni. Pur vivendo in

esilio, infatti, Chagall riesce a mantenere in-

tatto il suo senso di gioia e di meraviglia nei

confronti dell'umanità e della stessa vita.

Iris Basilicata

“ “

Page 9: CulturArte a1_n2

16 CulturArteCinema Ottobre 2014 17Cinema

Nel mese di Settembre il regista ro-

mano Gabriele Muccino è riuscito a

riportare in superficie una vecchia

diatriba riguardo al cinema di ogni genere: la

questione del doppiaggio. Alla base il film

“Her” di Spike Jonze, per il quale il nostro

esprimeva il perentorio consiglio di visio-

narlo in lingua originale. Fatto sta che la

blogger Selvaggia Lucarelli, sentitasi coin-

volta (il motivo rimane oscuro), apre una

scialba diatriba social mediatica, chiamando

in causa un nome di punta del doppiaggio

italiano: Pino Insegno. I tratti personali del

primo post di Muccino, quasi spassionati, di-

ventano quindi stizzite aggressioni al mondo

del doppiaggio, non risparmiandosi di gene-

ralizzare sino ad accusare gli italiani di pigri-

zia intellettuale. Non saranno i modi della

discussione oggetto dell’articolo in essere,

ma solo il pretesto per il quale rinnovare la

discussione sul doppiaggio italiano e non.

Come si sa i nostri doppiatori si fregiano (e

sono fregiati) di essere tra i migliori al

mondo; ricordiamo su tutti Woody Allen e le

sue gentili parole nei confronti di Oreste Lio-

nello nello sdebitarsi per il magnifico lavoro

svolto rilevando i meriti del doppiatore ri-

guardo alla figura alleniana in Italia. Tuttavia

non è difficile immaginare gli enormi pro-

blemi della professione, i limiti e i compro-

messi sui quali sempre piovono critiche.

Ad oggi le critiche mosse a tale arte riguar-

dano lo snaturamento di un’opera originale

e il ruolo istruttivo che può avere la visione

in lingua, il tutto alimentato da sporadiche

prove di dubbia qualità. Riflettiamo in primis

sulla nascita di un’opera filmica: essa vede

concretizzarsi dalla scintilla di taluni che,

partorendo l’idea, eseguono immediata-

mente un lascito per dare il via a quella che

è la vera e propria produzione. Appare su-

bito chiaro che, fatta eccezione per rarissimi

casi, si tratta indiscutibilmente di uno sforzo

collettivo, i cui meriti sono incautamente ri-

dotti ai pochi i quali possiedono più respon-

sabilità, ma mai nemmeno lontanamente

esclusiva, e con la quale si tende ad attri-

buire l’opera alla figura del regista. È da que-

sto errore di convergenza che nasce la prima

critica riguardo allo snaturamento. Risulte-

rebbe più chiaro il ruolo del doppiaggio se

fosse visto come parte integrante della post

produzione, come effettivamente è. I sotto-

titoli portano inevitabilmente l’attenzione

dello spettatore a oscillare tra l’immagine e

la parola scritta, lasciando il lavoro di dop-

piaggio al cervello che unirà il letto all’udito,

non coniugando mai realmente voci e pa-

role: non si ricorderà mai a fine visione un

dialogo in inglese con la relativa traduzione

e fonia, e il tutto a discapito dell’immagine,

di cui non si è potuto fruire pienamente a

causa della selettività dell’attenzione. Com-

promesso quindi anche quest’ultimo, che

non può certo dirsi migliore, se non per

gusto personale non proiettabile a univer-

sale. Ruolo istruttivo dunque. Anche qui il ra-

gionamento deve partire necessariamente

dalle basi. Il cinema nasce per intrattenere,

il suo scopo primario è l’entertainment, an-

cora prima di qualsiasi altro. È nobile quindi

usare il potente mezzo video per indurre a

imparare lingue straniere, ma può realmente

scavalcare la natura stessa del cinema, po-

nendosi in termini assolutistici prima del di-

vertissement? Per me la risposta è ancora no.

Non rimane che affidarci al direttore del

doppiaggio, nella presa di coscienza che tale

mestiere non può che essere considerato

con la dovuta serietà, evitando di denigrarlo

allo stesso modo di come non può essere

denigrato il lavoro di traduttore di testi stra-

nieri. Si guardi al doppiaggio per singole per-

formance piuttosto che criticarlo come arte,

riservandosi la possibilità di visionare il pro-

dotto in lingua originale, e pretendendo una

sempre adeguata distribuzione di tale for-

mato nei cinema della città. Si depositino

anche le armi di una guerra intellettualoide

che vede sostenitori delle due fazioni scon-

trarsi così come Muccino e Lucarelli-Insegno,

sul filo di una superficialità che non si cura

delle mille sfaccettature e ancor più contri-

buti di cui un film vive, ma che piuttosto

vuole incasellare poetiche e stili, minando

alla soggettività di ogni spettatore attraverso

l’abuso licenzioso della propria soggettività.

Joel Baldo

Una riflessione sul doppiaggio

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Ottobre 2014 19Cinema18 CulturArteCinema

Se un cineasta di qualche anno fa (non

spingiamoci troppo indietro, ci ba-

stano 20 anni) si sedesse in sala a

guardare l’ultimo film di Alejandro Gonzales

Inarritu, probabilmente ci metterebbe un po’

a credere ai suoi occhi.

Se è vero infatti che la tecnica cambia e si

evolve continuamente, allora probabilmente

Birdman (o l’inaspettata virtù dell’ignoranza)

r...appresenta il miglior esempio di ciò che il

cinema oggi è in grado di fare.

Non in termini artistici, sia chiaro.

Ma puramente tecnici.

E’ infatti la tecnologia più moderna ad aver

reso possibile tramutare sullo schermo una

idea registica così semplice e al contempo

terribilmente ambiziosa: rendere il film un

continuo flusso ininterrotto di immagini.

Siamo stati abituati ad applaudire di fronte

a piani sequenza di cinque, dieci, perfino

quindici minuti.

Ma nessun cinefilo esperto ha mai visto un

film concepito come un intero piano se-

quenza.

Quanto al resto, cosa dire?

Il cast è semplicemente perfetto: Michael

Keaton diventa di nuovo padrone del suo

destino, e ci regala un’interpretazione così

grande da far ipotizzare una valanga di

premi nella prossima stagione; Norton è un

istrione di prim’ordine, e il merito è di un

ruolo così ben scritto e pensato da lasciare

ampio spazio alle sue doti; le donne della

storia, che solo in apparenza ci appaiono

confinate in secondo piano, ma che in realtà

finiscono col manovrare i fili, sono di una

grazia e una bellezza sconvolgenti, a partire

da una fuoriclasse come Naomi Watts fino

alla stella in ascesa Emma Stone.

La regia di Inarritu, mai come ora legata a

doppio filo con la superba fotografia di Em-

manuel Lubezki (quello di Gravity), ha reso

possibile tutto questo.

Birdman e’ un moderno miracolo della tec-

nica, in grado di dimostrare come (a deter-

minate condizioni) il progresso tecnologico

possa andare di pari passo con l’ambizione

artistica.

In un momento storico in cui la computer

graphic, e i Green screens, e la motion cap-

ture, sembrano snaturare il cinema della sua

vera natura, e impoverirlo fino a renderlo

sterile e vuoto, questo film ci ricorda che

tutto è possibile se c’è una grande idea alle

spalle.

Ma ci fa anche domandare, del tutto natural-

mente, cosa avrebbero potuto realizzare i

maestri del passato con gli strumenti del ci-

nema di oggi.

Citando “Nuovo Cinema Paradiso”:

“Il progresso…sempre tardi arriva”.

Speciale su Venezia71: Birdmandi Alejandro Gonzales Inarritu

PasoliniRegia di Abel Ferrara

Èuna materia strana, quella del rac-conto biografico (o del biopic, come lochiamano adesso).

E’ una materia che, se trattata in un certomodo, rischia di essere la tomba delle mi-gliori intenzioni.Ecco il motivo per cui tutti hanno pensatoche fosse quantomeno rischioso, perfino perun regista folle come Abel Ferrara, sceglieredi raccontare le vicende di quello che è statoforse il più grande intellettuale della storiamoderna italiana.Volendo usare delle comuni espressioni, sipotrebbe dire che era come giocare col fuoco.Abel Ferrara ha scelto, in maniera del tuttoinaspettata, di fare di questa difficoltà unpunto di forza.Sapeva benissimo che confrontarsi con unsimile personaggio fosse una strada senza ri-torno, un percorso ad ostacoli senza alcunapossibilità di vittoria.Ed è stato per questo motivo che ha scelto, inmaniera del tutto onesta e sincera, di non rac-contare Pasolini. Ma di interpretare Pasolini.Come un alunno di fronte al maestro, l’ap-proccio da vero artista di Ferrara è statoquello di calarsi nei panni del suo personag-gio, di vivere e di pensare come lui.Al punto da scegliere di filmare e raccontarequelle ultime due opere incompiute che Pa-solini non è riuscito a dare alla luce.Sta in questo la forza del film: nell’assolutamodestia e umiltà con cui il suo regista si èrapportato alla materia.

Senza la presunzione di saper raccontare,senza l’arroganza di voler dire.Ma solo con il rispetto e il riguardo di chi èveramente grato per l’opera del suo maestro.Ed è questo un approccio così rivoluzionario,nella sua semplicità, da far dimenticare tuttigli evidenti difetti del film: una regia talvoltaincoerente, non del tutto a fuoco ma anzi ab-bastanza incerta; una recitazione (soprattuttonei ruoli secondari) assolutamente non all’al-tezza; e anche una certa frettolosità di fondo,che porta il film a soffermarsi a lungo su al-cune cose, e a correre a folle velocità su altre.Ma è la dichiarazione di intenti che sta allabase di questo film ad avermelo fatto amare,e ad avermi fatto dimenticare tutto ciò chedi negativo vi è all’interno, e che in qualsiasialtra condizione avrebbe soltanto infastidito,irritato e sdegnato.Ma c’è dell’altro.C’è la perfetta, miracolosa, gigantesca rabbiacon cui Ferrara filma quel corpo straziato eabbandonato sulla spiaggia, nella sequenzafinale del film.Maria Callas canta in sottofondo, ed è la divinabellezza di quella voce a renderci insosteni-bile la visione di quella tragedia annunciata.Il simbolo di tutto ciò che è stato.Di tutto ciò che sarebbe potuto essere.Di tutto ciò che non sarà mai.

Lorenzo Tardella

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Ottobre 2014 21Musica20 CulturArteMusica

9settembre 2014. Questa è la data che

segna una importante nuova fase per

la band irlandese più famosa del

globo. Sono passati ormai 5 anni dalla pub-

blicazione di No Line on the Horizon, album

sperimentale, eccezion fatta per il consueto

singolo commercialissimo di lancio, e dai

suoni che ancora una volta riescono a stu-

pire i fan degli U2 per la capacità di inno-

vare. Si pensa che una band dopo 38 anni

debba iniziare a fare solo collection delle

best of, concertoni in cui il vecchietto di

turno si trascina sul palco per tirare su gli ul-

timi soldi della pensione sul lungomare di

Bahia, invece gli U2 dimostrarono di voler

continuare a fare quello che gli è sempre ve-

nuto meglio: stupire.

Pop, Zooropa, lo stesso Achtung Baby (in cui

è inclusa One, per onore di cronaca) furono

album criticati in origine, troppa elettronica,

troppo pop, troppo rock... Troppo non “With

or Without You” insomma! Ma è proprio nel-

l'eclettismo della band, nella voce graffiante

di Bono e nei testi scritti a quattro mani con

The Edge che si trova quel filo conduttore

che parte in Cedarwood Road, Dublino, dove

cresce il frontman e dove poi prenderà vita

Boy, il loro primo album, sino ad arrivare ad

oggi con la pubblicazione di Songs of Inno-

cence. E sarà proprio la intimità e la rabbia

dei primi album a diventare protagonista in

questa sorpresa del 2014.

Durante la presentazione del nuovo Iphone

irrompono le note della chitarra elettrica di

Edge e compare Bono sul palco, nonostante

le indiscrezioni negassero che alla fine sareb-

bero realmente stati presenti. Viene cantato

il nuovo singolo, The Miracle of Joey Ramone,

dedicato al celebre cantante rock scomparso

nel 2001 che ha profondamente segnato la

vita musicale della band, davanti allo stupore

della platea in attesa trepidante di scoprire

il primo iphone “flessibile” della storia.

Finisce la canzone e Cupertino spiega che da

quel momento fino al 13 ottobre 2014 il

nuovo album della band sarà presente nel

Cloud di ogni itunes del pianeta, gratis. Gra-

tis. Parola che suona strana di questi tempi,

difatti rompo il vostro scetticismo specifi-

cando che gratis è l'acquisto per noi appas-

sionati ma la Apple ha profumatamente pa-

gato gli Irlandesi, come lo stesso Bono ha

subito specificato, per poter distribuire il

loro album.

Qual'è il senso di questa operazione? Rag-

giungere i 500 milioni di clienti Apple con

un click. Difatti è la prima volta nella storia

della musica che un album potrà essere

ascoltato da un bacino tanto ampio di per-

sone senza alcun costo (legalmente si in-

tende). Che sia una “commercialata” come

amano dire gli scettici, o che sia l'inizio di un

nuovo modo di vendere musica nell'era in

cui comprare CD al negozio è frequente

quanto una nevicata nel Sahara, lo lascio de-

cidere a voi.

Songs of Innocence è un album che segna la

volontà di ricominciare da dove la band era

partita quasi quarant'anni fa, ritrovare l'inno-

cenza del periodo adolescenziale, ripercor-

rere i dolori e le emozioni che li hanno

segnati. La morte della madre di Bono all'età

di 13 anni,l'amore per la moglie Ali con cui si

fidanza ad appena 15 anni, i primi viaggi negli

USA o i loro miti musicali (come i Clash a cui

dedicano un'altra canzone). Riscoprendo il

lato fragile e personale dell'autore che si era

andato perdendo negli ultimi dischi.

Un album che racconta le difficoltà di cre-

scere in una città come Dublino negli anni

'70, martoriata dalla logorante guerra al ter-

rorismo dell'IRA.

Ma le “canzoni dell'innocenza” sono solo

una parte di un progetto più grande al quale

stanno lavorando, difatti la band ha già an-

nunciato che il prossimo album.

Si chiamerà “Songs of Experience”, come un

salto che dopo aver lasciato alle spalle amori

e dolori di gioventù è pronto ad approdare

alla consapevolezza e ai rimpianti che

l'esperienza porta con sé.

La domanda che gli amanti della band si sta-

ranno ponendo ora è: quando il tour? Dopo

il 360°che ha riempito gli stadi di ogni con-

tinente questa volta torneranno ma proba-

bilmente indoor. Meno posti, stesse persone

che vogliono vederli... Meglio prepararsi alla

guerra all'ultimo click per assicurarsi una

seggiola anche in piccionaia. Se torneranno

in Italia, a Roma in particolare, è invece un

mistero. Non mi rimane che augurarvi un

buon ascolto, a prescindere dai vostri gusti

musicali, se l'avete scaricato gratuita-

mente...io un tentativo lo farei!

Ludovico Tuoni

Songs of Innocence:U2, ritorno al passato

Page 12: CulturArte a1_n2

Ottobre 2014 23Sport22 CulturArteSport

Ben ritrovati ai vecchi lettori e benvenuti ai

nuovi. Ci eravamo lasciati ormai 5 mesi fa

pieni di speranza e carichi di sogni per un

mondiale di calcio che speravamo tutti in

cuor nostro potesse vedere la nostra nazio-

nale protagonista. Così non è stato ed anzi è

stato l’ennesimo flop di un calcio che va ri-

formato da troppo tempo. Ma su questo

siamo stati costretti a sentire un'infinità di

chiacchiere quest’estate da ormai rasentare

il ridicolo, poco invece di tutti gli altri eventi

sportivi. Cominciamo con una delle più

grandi imprese italiane degli ultimi anni, 16

anni dopo il compianto Marco Pantani, Vin-

cenzo Nibali(detto “lo squalo dello stretto”

per le sue origini Messinesi ed il suo modo

così aggressivo di correre) ha vinto il Tour De

France. Una gara pazzesca, 3664 km percorsi

in 21 tappe iniziate il 5 Luglio e terminate il

27 dello stesso mese, che lo hanno visto so-

stanzialmente dominatore incontrastato dal-

l’inizio alla fine. La vittoria ha portato nuova

linfa vitale in Italia ad uno sport troppo

spesso tormentato da casi di doping e ci-

cloni di squalifiche che hanno portato sem-

pre più ad allontanarsi da questo mondo. Era

importante per il movimento “ciclismo” tro-

vare una nuova bandiera con cui rilanciare

l’immagine di questo incredibile sport.  Altra

impresa che si può paragonare a quella di

Vincenzo Nibali è stata quella di Daniele

Meucci, maratoneta pisano che ha vinto l’oro

agli europei di atletica di Zurigo con una

prova straordinaria, meno dominatore di Ni-

bali, ma incredibile nei 7 km finali dove una

volta partito è stato irraggiungibile da tutti

quanti. Come non citare anche lo storico oro

(primo nella storia dell’atletica italiana) di Li-

bania Grenot nei 400 metri donne sempre ai

mondiali di atletica di Zurigo. Passiamo

adesso ad un altro sport, sempre protagoni-

sta e portatore di infinite soddisfazioni al no-

stro paese, quest’anno si sono svolti gli

europei di nuoto(a Berlino) che per l’enne-

sima volta hanno confermato come questo

sia uno degli sport nazionali e come con la

programmazione e il giusto mix tra “vecchi”

e “giovani” si possa dare seguito ad una ge-

nerazione straordinaria come quella dei

primi anni 2000 composta da Rosolino, Fio-

ravanti e più tardi la Pellegrini e Magnini ed

i nuovi giovani fenomeni come Gregorio Pel-

trinieri (classe ’94 ed oro negli 800 e nei

1500 metri). Sono piovute medaglie nelle

staffette, appunto formate da nuotatori

esperti e da nuove leve guidate dall’entusia-

smo. Questo è un chiaro esempio di come

dovrebbero funzionare tutti quanti gli sport

in Italia. Passiamo ora al basket, che ha visto

la nostra nazionale impegnata nelle qualifi-

cazioni al prossimo europeo(Francia 2015)

raggiunta con successo ma che ci ha visto

esclusi dalla rassegna mondiale tenutasi in

Spagna(vinta come era facile pronosticare

dagli USA con uno scarto medio superiore ai

30 punti a partita). Anche il basket come il

calcio(non a caso sono i primi due sport na-

zionali) sta attraversando un forte periodo di

crisi che sta mettendo a dura prova tutte

quante le squadre(basti pensare alla “scom-

parsa” della Benetton Treviso e della Monte-

paschi Siena che erano due delle squadre

più titolate del basket italiano). Speriamo

che tutto si superi nel migliore dei modi ma

c’è bisogno di riflessioni accurate e di molto

lavoro. Dopo tutto lo sport è sinonimo di sa-

crificio, costanza, forza di volontà e mille

altre cose. E’ un mix di tutte le virtù, è uno

svago ed una ragione di vita allo stesso

tempo.  Perciò impegniamoci tutti quanti, nel

nostro piccolo, a riportare lo sport italiano

nel posto che gli compete altrimenti ci

aspetta un lungo periodo di profondo buio.

P.s. Concludo augurando un grosso imbocca

al lupo alla nostra nazionale femminile di

Volley impegnata nei mondiali che si stanno

svolgendo adesso qui in Italia, e speriamo

nel prossimo numero di poter cominciare fe-

staggiando proprio una medaglia la mon-

diale! 

Luca Iacovelli

La rubrica dello sportivo

Se siete appassionati di scrittura o semplicemente voletemettervi alla prova, inviateci un vostro racconto breve

(di qualunque genere) alla mail:

[email protected] e ogni giovedì sera della settimana sul nostro blog,e poi sui social network, ne pubblicheremo uno

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