da stato sociale a stato carceriere

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Franco Simeone DALLO STATO SOCIALE ALLO STATO CARCERIERE La criminalizzazione della miseria nelle società postmoderne o informatizzate Collana I quaderni

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La criminalizzazione della miseria nelle società postmoderne o informatizzate

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Franco Simeone DALLO STATO SOCIALE ALLO STATO CARCERIERE

La criminalizzazione della miseria nelle società postmoderne o informatizzate

Collana I quaderni

DALLO STATO SOCIALE ALLO STATO CARCERIERE La criminalizzazione della miseria nelle società postmoderne o informatizzate

di Franco Simeone

® www.comunedipignataro editore- 2008 via Gramsci, Pignataro Maggiore (CE)

La foto in copertina è di Konrad Baranski Location Website Lodz, Poland http://www.creativedesigns.prv.pl

Prefazione dell'autore. Quando le celle sono strapiene, le condizioni carcerarie si degradano e i penitenziari diventano delle polveriere. Ormai si riconosce che la prigione è costosa e poco efficace e, tuttavia, rimane la pena per eccellenza. Malgrado la volontà dichiarata di sviluppare altre soluzioni, le alternative mancano drammaticamente di mezzi e alcune misure sostitutive al carcere, come la libertà condizionale, tendono a scomparire. Sorvegliare e punire: le prigioni del “mondo libero” traboccano, soprattutto quelle degli Stati Uniti. Da oltre vent'anni, aggravata dall'approfondirsi delle ineguaglianze, l'esaltazione della legge e dell'ordine è sfociata in un inasprimento delle sanzioni penali che colpiscono soprattutto, e in una modalità sproporzionata, gli esclusi dal “sogno americano”. Perchè lo stato, che non cessa di tagliare le spese sociali, si mostra di una prodigalità folle quando si tratta di controllare e incarcerare coloro che non ha voluto‚ istruire‚ curare, che non ha saputo‚ alloggiare‚ nutrire. In nome del “realismo” e della lotta contro l'“insicurezza”, la criminalizzazione delle “classi pericolose” suscita l'approvazione di coloro che preferiscono alla lotta contro l'ingiustizia il rigore della legge del taglione. Il “modello americano” si sta a sua volta globalizzando e in alcuni paesi europei seduce anche qualche dirigente “democratico” di sinistra.

Capitolo I 1.

Oltre le sbarre (Le alternative possibili)

“Il direttore di una prigione può avere le celle a tre posti occupate, ma quando arriva il furgone deve far fronte alla situazione e quindi aggiunge un materasso per terra”, constata Alain Fajer, responsabile penitenziario per le pene alternative. Risultato: 54 mila detenuti per 49.400 posti. In vent'anni, il numero dei detenuti È raddoppiato in Francia. L'aumento È tale che alcuni istituti di pena hanno tassi di occupazione superiori al 130%. La rivolta di Digione, nell'aprile del 1996, si spiega con due dati: 169 posti e 300 carcerati. Nell'arsenale delle pene cosiddette sostitutive, solo alcune sembrano aver convinto i tribunali. E' il caso della libertà condizionale con messa alla prova e del lavoro di interesse generale (Tig). Ma il loro effetto sull'affollamento carcerario È stato annullato dall'allungamento delle pene. La prima misura, instaurata nel 1958, consente di dispensare un condannato dall'esecuzione della pena detentiva, nel caso in cui si sottoponga a certi obblighi (esercitare un'attività, avere un domicilio, seguire una cura medica). La seconda, in vigore dal 1948, prevede che il condannato svolga un lavoro non remunerato a vantaggio della collettività. Oltre all'interesse che vi ravvisano i magistrati (personalizzazione della pena, reinserimento, coinvolgimento della società civile nel caso dei Tig) due ragioni spiegano la loro diffusione: da un lato, l'aumento dei reati; dall'altro, la modifica del codice penale, che ha complicato il ricorso alla semplice condizionale. “Non si tratta necessariamente della volontà della magistratura di attenuare una politica di sostituzione al carcere, ma forse delle conseguenze di cambiamenti giuridici”, afferma Pascal Faucher, presidente dell'Associazione nazionale dei giudici di esecuzione delle pene (Anjap). Anche se i magistrati riconoscono che il carcere non È l'unica risposta penale, o addirittura dubitano della sua efficacia, lo infliggono ancora per punire piccoli delinquenti con la fedina penale pulita. E questo nonostante gli effetti perversi siano noti: desiderio di vendetta, isolamento sociale, rischio di cattive influenze. “Molti giudici hanno difficoltà a considerare le pene alternative come delle pene vere - sottolinea Patrik Marest, dell'Osservatorio internazionale sulle prigioni - la

carcerazione rimane la regola. Ne È testimone il numero ancora considerevole di pene di breve durata. In più, le nuove pene hanno permesso di condannare persone che prima non venivano neppure condannate. Invece di liberarle, gli si dà un Tig. Il pericolo, È l'ampliamento del controllo sociale”. E' difficile, tuttavia, negare il ruolo che queste pene alternative hanno nel ridurre il numero delle carcerazioni annuali (circa 85 mila), stabile da un decennio. La realizzazione di alcune misure si scontra con una serie di difficoltà materiali. “Il problema - sottolinea Christine Peyrache, membro della direzione del Sindacato della magistratura - È la carenza di assistenti sociali nei comitati di verifica” che seguono i condannati. Questo può influenzare le condanne, discreditandole, visto che numerosi giudici di esecuzione delle pene sono anche i giudici che decidono delle modalità della detenzione.

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Una società intollerante Cosciente del problema e preoccupata di riconquistare la fiducia dei tribunali, l'amministrazione penitenziaria ha previsto il raddoppio del personale educativo per le pene alternative entro la fine del 1999 e la riorganizzazione dei propri servizi. Ma raddoppiare una squadra di 768 assistenti sociali significherebbe semplicemente che 1536 persone dovranno controllare circa 130 mila provvedimenti annuali. E questo sempre che il ministero delle finanze accordi i finanziamenti necessari. “A Parigi, abbiamo 4700 casi l'anno e 21 agenti di verifica - afferma Jean Louis Chaux, primo giudice dell'esecuzione delle pene - E' semplice, i due terzi dei casi non possono essere gestiti. Qui i giudici hanno deciso di occuparsene. Ma non è lo stesso dappertutto”. Solo i casi più difficili (tossicomani, alcolisti) sono affidati agli assistenti sociali. Ma perchè il provvedimento abbia un senso, bisogna ottenere il consenso del condannato, tessere con lui un rapporto di fiducia, e ciò esige tempo e strumenti. Tanto più che il deterioramento delle condizioni socio - economiche, nonostante l'appoggio di rete solida di partnership associative, ha reso quasi impossibile il reinserimento sociale attraverso il lavoro e la casa. In tali condizioni, l'opera dei comitati di verifica si attua soprattutto sul versante della recidività piuttosto che su quello di un accesso ad una migliore situazione sociale. Delle varie soluzioni di ricambio (sospensione della patente anche per reati che non hanno rapporto con infrazioni al codice della strada, confisca dei veicoli o delle armi, giorni - ammenda, ecc.) alcune sono comminate solo raramente. E' il caso del rinvio condizionato, che consiste nel dichiarare una persona colpevole, concedendole però un certo lasso di tempo per regolare alcuni contenziosi (indennizzo della vittima, risarcimento del danno) prima di tornare dinanzi al tribunale. “Invece di un'udienza, ce ne sono due. Ma quando ci sono due sedute che finiscono alle ore 23, si evita di rinviare un caso supplementare!” spiega Pascal Faucher. Una politica volontaristica dipende dagli strumenti a disposizione, ma anche da campagne di informazione: nel 1994, ad esempio, riguardo al lavoro di interesse generale (Tig), erano stati stampati diversi manifesti e opuscoli, organizzati mostre e convegni nei tribunali, sia a Parigi sia in provincia. “C'è stata in questo caso una reale volontà politica, si sono stanziati dei fondi e ci sono stati risultati immediati poichè il numero dei Tig è considerevolmente aumentato”, sottolinea Pierre Tournier,

demografo del Centro di studi e ricerche sociologiche sul diritto e gli istituti penali (Cesdip). Ma la sfida del sovrappopolamento carcerario si vince altrove. Per molti versi, l'analisi del demografo Pierre Tournier ha dimostrato che le pene si sono allungate, la durata media della detenzione è passata da 4,6 mesi dall'inizio degli anni '80 a pi— di 8 mesi alla fine degli anni '90. Le cause motivazionali sono diverse: l'allungarsi delle procedure, l'evoluzione delle sanzioni contro certi atti, l'incremento delle infrazioni alla legislazione sugli stupefacenti e sul buoncostume (violazioni fortemente represse). I condannati, quindi, escono più tardi e le celle si riempiono. La personalizzazione dell'esecuzione delle pene sembra apparire conseguentemente come il solo dispositivo di soluzione. La liberazione con la condizionale consente di gestire in una modalità individuale la liberazione dei carcerati, tenendo conto del loro reinserimento. Tuttavia, il numero dei beneficiari di questo dispositivo è in caduta libera lungo la via katodica. “Nel 1972 - spiega il demografo Pierre Tournier - essa era stata accordata al 30% dei condannati che potevano richiederla. Nel 1982, erano appena il 20%; nel 1992, il 10%. Secondo me, nel 2002, sarà lo 0%! Stiamo assistendo alla sua abolizione di fatto”. Varie ragioni spiegano questa caduta libera sulla via katodica, l'arretramento della libertà condizionale, quando è evidente che i rischi di recidiva sono minori tra i carcerati che ne hanno beneficiato. In primo luogo, i giudici evocano il deterioramento delle condizioni socio - economiche: “Per i condannati a lunghe pene, diventa sempre più difficile trovare strutture di accoglienza, che peraltro, saturate, finiscono per assomigliare sempre più a delle "prigioni bis" dal punto di vista dell'affollamento”, afferma Christine Peyrache. Con l'aumento del ricorso ad alcune misure sostitutive, il numero delle persone incarcerate per reati minori è diminuito. Troviamo, conseguentemente, in prigione una percentuale maggiore di persone condannate a lunghe pene e quindi, a priori, più pericolose. Questa fenomenologia rende delicata, in termini di pubblica sicurezza, la concessione della liberazione anticipata. “La giustizia si vede talmente rimproverare la recidività di soggetti in libertà condizionale - sottolinea Jean Louis Chaux, giudice addetto all'applicazione delle pene - che i magistrati, come il ministero della giustizia, sono sempre più riluttanti”. In altri termini, per le condanne a più di 5 anni, la decisione non dipende più dal giudice, ma dal ministero della giustizia. Dunque, la posta in gioco politica è grande dinanzi ad un'opinione pubblica piuttosto reticente: quale ministro della giustizia, pur convinto della pertinenza della misura, prenderà il rischio di lasciare uscire in libertà condizionale delinquenti condannati per reati gravi? “Secondo l'Anjap - spiega Pascal Faucher - sarebbe

meglio che non fosse un ministro a decidere, ma una commissione giurisdizionale, indipendente dal potere politico. Questo permetterebbe di avere un approccio molto meno passionale ai casi. E di accrescere il numero delle uscite anticipate”. Altra soluzione proposta per restituire un pò di respiro alla liberazione condizionale: renderla obbligatoria, salvo decisione contraria motivata. Ma questa idea è ben lontana dall'ottenere consensi unanimi. “Però il detenuto, in questo modo, potrebbe pensare all'uscita in modo costruttivo”, sottolinea Pascal Faucher. Nonostante sia impossibile annullare i rischi di recidiva, esso sarebbe in ogni caso minore di quando, per gestire la sovrappopolazione carceraria, ci si arrangia con i condoni, diventati quasi automatici, e con le grazie collettive. “Uno dei principi della politica penale, in Francia come in Europa - spiega Pierre Tournier - È l'individualizzazione delle pene. Invece, la liberazione condizionale sta scomparendo a vantaggio di misure di pura gestione, che servono da valvole di sicurezza”. Una volta scontata legalmente la pena, i liberati non hanno più conti da rendere. “Questo sistema - osserva Pascal Faucher - È ipocrita e perverso poichè, per compensare, magistrati e giurati finiscono per infliggere pene più lunghe”. Il rischio di cadere in un tale meccanismo era stato denunciato, nell'ottobre del 1994, dalla commissione Cartier, voluta da Pierre Mhaignerie, allora ministro della giustizia. “Abbiamo prima di tutto cercato soluzioni per rendere redditizie le riduzioni di pena, trasformando il tempo guadagnato in tempo di recupero post- penale individualizzato - afferma Marie - Elisabeth Cartier, docente di diritto penale all'università di Parigi II - ma‚ il ministro‚ l'amministrazione penitenziaria vogliono sentir parlare, per paura di rivolte dei detenuti, a cui una cosa del genere non fa lo stesso effetto!”. Per rilanciare la liberazione condizionale sono state avanzate numerose proposte, che sottolineano la necessità di misure post-penali. Ma solo il progetto di legge Toubon sulle cure medico-sociali dei delinquenti sessuali - ripreso a grandi linee dalla ministra della giustizia Elisabeth Guigou e definitivamente adottato - sembra essersene ispirato. “Noi giudici ci troviamo di fronte all'intolleranza crescente del corpo sociale - afferma Pascal Faucher - la materia penale, da affare dei tecnici, è diventato uno strumento di visibilità politica”. Si È perfino trasformata in oggetto di scontri elettorali. I responsabili politici, a destra come a sinistra, per puntellare le loro orazioni sull'ordine pubblico, ansiosi di compiacere un'opinione pubblica giudicata poco incline alla clemenza, evocano tassi di recidiva allarmisti e fantasiosi. Ma è l'efficacia di certe condanne che dovrebbe essere discussa, anche se questo non farà piacere a molti magistrati. “Bisogna

mantenere una scala di valori - insiste il presidente dell'Anjap - ma il dibattito non è più su quanto bisogna prolungare le pene. Vent'anni, trent'anni, non ha nessun senso in termini di protezione! Bisogna capire cosa succede in carcere e trovare i modi per far uscire la gente. Non come elettroni liberi, con la valigia sotto il braccio, ma in un sistema organizzato. E' il solo modo per evitare che, a condanna scontata, persone pericolose si ritrovino abbandonate a se stesse”. Per vuotare le prigioni - o non riempirle ulteriormente - varie organizzazioni di giudici si interrogano sull'impatto di certe condanne. E' il caso, per esempio, di quelle che riguardano gli stranieri in situazioni di clandestinità, un'importante proporzione del numero dei detenuti. La carcerazione porta davvero a una soluzione per questo tipo di reato? Stessa domanda per la tossicomania, soprattutto quando non viene assicurata nessuna cura. “A problemi di carattere diverso, è applicata una risposta unica. Un sistema viene giustificato, perchè non se ne sono cercati altri”, afferma Patrick Marest. Non È il caso, per esempio, della prevenzione? Il penalista inglese Ken Pease l'ha ricordato dinanzi al Consiglio d'Europa: “Per essere utile, il dibattito sulla carcerazione e sulle soluzioni alternative deve essere esteso all'esame dei mezzi per lottare contro la criminalità prima che i reati vengano commessi”.

Capitolo II

Intermezzo 1

Prigione a domicilio. Un braccialetto elettronico per vuotare le prigioni. Questo È il principio definitivamente adottato dal parlamento franancese l' 11 dicembre 1997. Potranno così essere messe sotto sorveglianza elettronica le persone condannate ad un massimo di un anno di carcere oppure che non hanno più di un anno da scontare. Questa disposizione dovrebbe egualmente essere applicata come provvedimento di verifica alla concessione della libertà condizionale. Condizioni: non allontanarsi più di 40 metri dal proprio domicilio, dove un apparecchio sarà collegato a una linea telefonica. In caso di assenza, questo avvertirà il computer centrale di controllo dell'amministrazione penitenziaria. Ma sin dall'inizio il braccialetto suscita polemiche. Pierre Tournier, ricercatore del Centro studi e ricerche sociologiche sul diritto e gli istituti penali (Cesdip) afferma: “Il braccialetto può essere uno strumento efficace di lotta contro l'inflazione carceraria solo se serve a ridurre il tempo di detenzione. Potrebbe facilitare, in certi casi, la concessione di libertà condizionali o permettere di sviluppare un modello di semi - libertà a domicilio. Secondo me, il braccialetto deve essere una misura tecnica supplementare nel quadro di una gestione diversa”. Ma certi magistrati sono molto più scettici, Jean - Louis Chaux, primo giudice di esecuzione delle pene, sottolinea che “l'efficacia di questa pena sembra relativa, poichè al di fuori delle ore di controllo al domicilio, il condannato sarà libero di fare ciò che vuole”. Alain Fajer, capo - servizio al comitato di verifica di Parigi, solleva un'altra questione: “Il provvedimento sarà senza dubbio bene accolto dai detenuti e permetterà di non desocializzare la gente. Ma quel che ci preoccupa è la logica di controllo. Cosa succederà se la persona esce dalla sua zona? Dovremo correrle dietro?”. Il sistema destinato a far diminuire il numero dei carcerati, rappresenterà una seria economia per l'amministrazione penitenziaria. Ma già alcuni intravedono la possibilità di un rafforzamento delle discriminazioni sociali. Christine Peyrache, membro del Sindacato della magistratura, chiede: “Chi potrà esserne interessato? Non tutti hanno una casa e un telefono funzionante. E ancor meno dopo anni di carcere! Questo

provvedimento meccanico, senza nessuna logica educativa, non è per caso rivolto a un profilo molto particolare di persone che si vogliono separare dalle altre?”. La questione della generalizzazione del controllo viene posta da Patrick Marest e dall'Osservatorio internazionale delle prigioni: “Temiamo che il braccialetto non si sostituisca a pene carcerarie ma venga usato a completamento di altre sanzioni, come il lavoro di interesse generale. E poi, per i carcerati a fine pena, un rientro a casa con il braccialetto rischia di non andare troppo d'accordo con un progetto di reinserimento ...”.

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Il “ritardo” dell'Europa Tasso di carcerazione negli Stati Uniti e in Europa nel 1993 (numero di detenuti ogni 100.000 abitanti): Stati Uniti 546 Georgia 730 Texas 700 California 607 Florida 636 Michigan 550 New York 519 Italia 89 Gran Bretagna 86 Francia 84 Germania 80 Olanda 51 Fonte del tabulato: Bureau of Justice Statistics Corretional Populations of the United States, Washington, 1996 e Consiglio d'Europa, Penological Information, Bullettin, n. 19 - 20, dicembre 1995.

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Una giustizia “di razza”. Numero dei detenuti ogni 100.000 adulti in USA:

1985 1991 1995 Neri 3.544 5.365 6.926Bianchi 528 718 919

Differenza 3.016 4.647 6.007Rapporto 6,7 7,4 7,5

Fonte del tabulato: Bureau of Justice Statistics Corretional Populations of the United States, Washington, 1995 Government Printing Office, Washington, 1997.

4.

Il boom del privato All'espansione senza precedenti delle attività carcerarie dello stato americano, si è aggiunta la crescita frenetica dell'industria privata della detenzione. Sorta nel 1983, ha conquistato subito il 5% della popolazione dei penitenziari (85 mila posti letto nel 1996 contro i 15 mila del 1990). Forte di un tasso di crescita annuale del 45%, quest'industria è destinata a triplicare la sua quota di mercato, oltrepassando i 200 mila detenuti (ovvero quattro volte la popolazione carceraria francese o italiana) . Diciasette aziende si dividono 130 penitenziari sparsi in una ventina di stati, principalmente Texas, Florida, Tennessee e Arizona. Alcune di queste aziende si accontentano di gestire penitenziari già esistenti ai quali forniscono personale di custodia e servizi. Altre, invece, offrono tutto nello stesso tempo: progettazione architettonica, finanziamento, costruzione, manutenzione, amministrazione, assicurazione, personale e persino un servizio di reclutamento e trasporto di prigionieri provenienti da altri stati che prendono in affitto posti letto per i loro pregiudicati. Infatti, esiste anche un fiorente mercato dell'“import-export” dei detenuti fra stati, visto che alcuni hanno troppi prigionieri mentre altri hanno troppe celle vuote. Da quando Correction Corporation of America, Correctional Services Corporation, Securicor (con sede a Londra) e la Wackenhut sono entrate in borsa, l'industria penitenziaria è diventata una delle chicche di Wall Street. Il mercato del finanziamento carcerario, pubblico e privato, vale circa 3 miliardi di dollari, e ha un futuro roseo: solo nel 1996 sono state messe in cantiere 26 prigioni federali e 96 statali. La rivista Corrections Building News, che dà conto di questo settore del mercato, ha una diffusione di 12 mila copie. Ogni anno, l'America Correctional Association, organismo privato fondato nel 1870 con lo scopo di promuovere le attività del settore, riunisce operatori e industriali della carcerazione per un grande appuntamento di cinque giorni. Al Congresso di Orlando, nell'agosto del 1997, più di 650 aziende hanno esposto i loro prodotti e servizi. Tra gli articoli esposti in vetrina: manette rinforzate e armi d'assalto, serrature e sbarre a prova d'evasione, arredamento per celle, come brande e wc mobili, prodotti per l'igiene e alimentari, sedie immobilizzanti e “uniformi” per l'estrazione (da usare con detenuti recalcitranti che non vogliono uscire dalla loro cella), reti ad alta tensione con scariche mortali. E ancora:

terapia di disintossicazione per tossicodipendenti e programmi di “riarmo morale” per giovani delinquenti, sistemi di sorveglianza elettronica e telefonica, gestione informatizzata dei dati amministrativi e giudiziari, circuiti di areazione antitubercolosi, senza dimenticare le celle smontabili, le prigioni chiavi in mano e persino un camion attrezzato a sala chirurgica mobile, per le operazioni di emergenza nel cortile del carcere.

Capitolo III

La criminalizzazione della miseria negli Stati uniti. Si conoscono bene i costi diretti, sul piano umano e sociale, del sistema di insicurezza sociale offerto come “modello” dagli Stati Uniti (1). La parte sconosciuta di questo modello è il suo completamento sociologico: l'ipersviluppo delle istituzioni con le quali si cerca di porre rimedio alle carenze della safety net (protezione sociale) dispiegando, negli strati inferiori della società, una rete poliziesca e penale (drag net) dalle reti sempre più fitte. Alla deliberata atrofia dello stato sociale corrisponde l'ipertrofia dello stato penale; il deperimento e la miseria del primo hanno come contropartita diretta e indispensabile l'espansione e lo sviluppo dell'altro. L'evoluzione del sistema penale degli Stati Uniti è caratterizzata da quattro fattori principali: l'aumento della popolazione carceraria; il controllo esercitato su un numero sempre maggiore di persone ai margini del sistema penitenziario; la spettacolare ipertofia del settore penale nell'ambito dell'amministrazione federale e di quelle locali, e infine il costante incremento della proporzione di neri detenuti. Questo processo è iniziato con l'involuzione sociale e razziale avvenuta durante gli anni 70, in risposta all'avanzata democratica prodotta dalla “sollevazione” nera e dai movimenti popolari di contestazione (studenti, donne, oppositori alla guerra del Vietnam, ecologisti) (2). La popolazione in stato di detenzione, ai tre livelli dell'apparato penale: carceri delle città e delle contee, reclusori dei cinquanta stati dell'Unione e penitenziari federali, è aumentata a ritmo impressionante. La demografia penitenziaria del paese, durante gli anni 60, presentava una tendenza decrescente: nel 1975 il numero dei detenuti era sceso a 380.000, al termine di un periodo di riduzione lenta ma costante (dell'1% circa l'anno). Si discuteva allora di “alternative al carcere”, di pene sostitutive, e si proponeva di limitare la detenzione ai soli “criminali pericolosi”, che costituivano il 10 - 15% dei delinquenti; qualcuno aveva avuto l'audacia di preannunciare il tramonto dell'istituzione carceraria. Dieci anni dopo, il numero dei detenuti era balzato a 740.000, per superare il tetto di 1,6 milioni nel 1995. Durante il decennio 90, il ritmo di crescita è stato dell'8% l'anno. Questa triplicazione, nel corso di quindici anni, rappresenta una fenomenologia senza precedenti in qualsiasi società “democratica”. Gli Stati Uniti sono in testa dinanzi alle altre nazioni più progredite, dato che il loro tasso di popolazione

carceraria, di oltre 600 detenuti su 100.000 abitanti nel 1997 (quintuplicato dal 1973) è da 6 a 10 volte superiore a quelli dei paesi dell'Unione europea (4). Perfino in Sudafrica, nel corso del regime dell'apartheid, la pena detentiva veniva applicata con minor frequenza che negli Stati Uniti. In California, uno stato dell'Unione che ancora recentemente occupava il primo posto negli stanziamenti per l'istruzione e la sanità pubblica, ma nel frattempo si è convertito al “tutto penale”, il numero delle persone detenute nei soli istituti correzionali dello stato è passato in dieci anni da 17.300 del 1975 a 48.300 del 1985, per sfondare, dopo un altro decennio, il tetto record di 130.000. Se a questi reclusi si sommano quelli delle carceri delle città o delle contee (il solo penitenziario di Los Angeles ne ospita 20.000) si raggiunge la cifra astronomica di 200.000 anime, pari alla popolazione di un'importante città di provincia europea. Ma il boom delle reclusioni non dà ancora la dimensione della straordinaria espansione dell'“impero penale americano”. Da un lato, infatti, non si tiene conto delle persone in libertà vigilata (probation) o condizionale (parole), data l'impossibilità di aumentare la capienza delle carceri con velocità sufficiente ad assorbire l'afflusso dei condannati, il numero delle persone tenute nelle anticamere e dietro le quinte del carcere è cresciuto ancora più rapidamente di quello dei detenuti che marciscono dietro le sbarre. Questa cifra, in sedici anni, si è quasi quadruplicata, andando a sfiorare i 4 milioni nel 1995: 3,1 milioni “on parole” e 700.000 “on probation”. In altri termini, nell'anno citato erano 5,4 milioni gli amercani sottoposti a tutela penale: una cifra che rappresenta quasi il 5% degli uomini di oltre 18 anni, e tra i neri due uomini su dieci. Ma, d'altra parte, in addizionale alle pene cosiddette intermedie quali, per esempio, gli arresti domiciliari o l'assegnazione a un centro disciplinare (boot camp), l'inserimento in programma di “osservazione intensiva” o la sorveglianza telefonica o elettronica, (con l'aiuto di braccialetti e altri gadgets tecnici), le possibilità di controllo del sistema penale si sono considerevolmente estese grazie alla proliferazione delle banche dati in campo criminologico, con la conseguente possibilità di duplicare gli strumenti e i punti di controllo a distanza. Negli anni 70 e 80, su iniziativa della Law Enforcement Administration Agency (l'organismo federale incaricato di promuovere la lotta contro la criminalità) le polizie, i tribunali e le amministrazioni penitenziarie di 50 stati hanno istituito banche dati centralizzate e informatizzate. La risultante della sinergia tra le funzioni di “cattura” e quelle di “osservazione” dell'apparato penale (5), è dell'esistenza di oltre 50 milioni di schede criminali (10 anni prima erano 35 milioni) riguardanti circa 30 milioni di individui,

pari a quasi un terzo della popolazione adulta maschile del paese! Hanno accesso a queste banche dati (rap sheets) non soltanto gli enti pubblici quali l'Fbi, l'Ins (polizia incaricata del controllo sugli stranieri) o i servizi sociali, ma anche persone ed organizzazioni private. I dati, pertanto, vengono utilizzati dai datori di lavoro per scartare le domante di lavoro di persone che hanno avuto a che fare con la giustizia; e poco importa che siano spesso scorrette, obsolete, anodine o addirittura illegali. Con la posta in circolazione di queste schede vengono a trovarsi nel mirino dell'apparato poliziesco e penale non solo i criminali o le persone semplicemente sospettate di aver commesso un reato, ma anche i loro familiari, gli amici, i vicini, e persino i quartieri in cui abitano (6). Lo spettacolare rigonfiamento del settore penale in seno all'amministrazione federale e a quelle locali è stato al contempo lo strumento e la conseguenza della bulumia carceraria. Questa terza linea direttrice di tendenza è tanto più notevole in quanto si è prodotta in un periodo di vacche magre per il settore pubblico. La spesa degli stati in campo carcerario, tra il 1979 e il 1990, è aumentata del 325% in ordine al funzionamento e del 612% in ordine alla costruzione, con un ritmo tre volte superiore a quello della spesa militare a livello nazionale, che pure ha usufruito di eccezionali favori sotto le presidenze di Ronald Reagan e George Bush. Quattro Stati dell'unione, a partire dal 1992, hanno dedicato agli istituti di pena più di un miliardo di dollari: la California (3,2 miliardi), lo stato di New York (2,1), la Florida (1,1) e il Texas (1,3). Gli Stati Uniti in totale, nel 1993, hanno speso per le loro carceri una cifra superiore del 50% alla voce di bilancio dedicata all'amministrazione giudiziaria (32 miliardi di dollari contro 21), mentre dieci anni prima i bilanci di queste due voci si equivalevano (intorno ai 7 miliardi ciascuna). Questa politica di espansione del settore penale non è mica solo appannaggio dei repubblicani. Negli ultimi cinque anni, mentre il presidente Clinton proclamava, in tutto il paese, il suo orgoglio per aver posto fine all'era del “big government” e sotto l'egida del suo “delfino” Albert Gore, candidato alla sua successione, la Commissione riforme dello stato federale si applicava a sfoltire i programmi e a ridurre i posti di lavoro nei servizi pubblici, venivano costruite 213 nuove prigioni - un dato che peraltro non include i reclusori privati che hanno proliferato, in seguito all'apertura di un lucroso mercato degli istituti di pena privati. Nello stesso tempo, però, il numero dei dipendenti delle sole carceri federali e degli stati passava da 264.000 a 347.000. Per l'Ufficio del censimento, infatti, fra tutte le attività dello stato la formazione e l'assunzione delle guardie carcerarie è quella che ha fatto registrare la più rapida crescita nel corso di un decennio.

In tempi di penuria fiscale, l'aumento dei fondi e del personale per gli istituti di pena sono stati possibili solo a scapito degli stanziamenti per l'assistenza sociale, l'istruzione e la sanità. Gli Stati Uniti hanno scelto di costruire per i poveri case di reclusione e di pena piuttosto che dispensari, asili nido e scuole (7). Dal 1994, il bilancio annuale del California Department of Corrections (ente preposto ai centri di reclusione di stato riservati ai condannati a pene superiori a un anno ) supera quello dei campus dell'Università di California. Il bilancio proposto dal governatore Pete Wilson nel 1995 prevedeva, peraltro, la soppressione di un migliaio di posti nel settore dell'insegnamento superiore per finanziare 3.000 posti di guardie carcerarie. Una preferenza onerosa per l'erario pubblico, dato che in California, grazie all'influenza politica del sindacato del personale carcerario, lo stipendio di un secondino supera del 30% quello di un professore universitario. Se l'iperinflazione carceraria è stata accompagnata da un'estensione “a latere” del sistema penale, decuplicando le sue capacità di inquadramento e di neutralizzazione, va detto che queste capacità si esercitano prioritariamente sulle famiglie e sui quartieri diseredati, e in particolare sui ghetti delle metropoli. Ne testimonia la quarta tendenza di rilievo dell'evoluzione americana in questo campo: l'aumento costante della proporzione dei detenuti di colore tra popolazione carceraria. Dal 1989, per la prima volta nella storia gli afro - americani sono in maggioranza in seno agli istituti di pena, benchè rappresentino soltanto il 12% della popolazione del paese. Nel 1995, i 22 milioni di neri in età adulta hanno fornito un contingente di 767.000 detenuti, di 999.000 condannati in libertà vigilata e di 325.000 rilasciati “on parole”, per un tasso globale di assoggettamento a tutela penale del 9,4%. Per i bianchi (163 milioni di adulti), secondo una stima tendenzialmente alta questo tasso È dell' 1,9% (8). Per quanto riguarda i soli detenuti, tra le due comunità il divario è da 1 a 7.5, e ha mostrato una tendenza all'aumento durante il decennio: su 100.000 adulti, 528 contro 3.544 nel 1985; dieci anni dopo, 919 contro 6.926. In termini di probabilità statistica riferita alla durata media di una vita, un individuo di sesso maschile e di pelle nera ha più di una possibilità su quattro di scontare almeno un anno di carcere; un ispanico ne ha una su sei, contro una su 23 per un bianco. Questa “sproporzione razziale”, come pudicamente la definiscono i criminologi, è ancora più marcata tra i giovani, primi bersagli della politica di penalizzazione della povertà, dato che oltre un terzo dei neri di età compresa tra i 20 e i 29 anni si trova in stato di detenzione, oppure sotto l'autorità del giudice correzionale o in attesa di giudizio. Nelle grandi città i giovani nelle stesse condizioni sono più della metà, con punte che superano l'80% nel cuore dei ghetti. Tanto che, per parafrasare un

termine tristemente diffuso nel corso della guerra del Vietnam, il funzionamento del sistema giudiziario americano si potrebbe descrivere come una “missione di localizzazione e di distruzione dei giovani neri” (9). In effetti, il divario enorme tra popolazione bianca e quella di colore è dovuto solo in parte alla diversa propensione a delinquere, e si spiega soprattutto con il carattere fondamentalmente discriminatorio delle pratiche giudiziarie e penali. Tra la popolazione nera, i consumatori di droga sono il 13% (una percentuale pressappoco equivalente alla sua incidenza demografica), ma rappresentano un terzo degli arrestati e tre quarti degli incarcerati per violazioni delle leggi sugli stupefacenti. Ora, la politica della “guerra alla droga”, con l'abbandono dell'ideale della riabilitazione e il moltiplicarsi dei dispositivi repressivi (generalizzazione del regime delle pene fisse e non riducibili, pena perpetua inflitta automaticamente al terzo reato commesso, maggiori sanzioni per le violazioni dell'ordine pubblico) costituiscono una delle cause principali dell'incremento della popolazione carceraria (10). Nel 1995, sei nuovi condannati su dieci sono finiti dietro le sbarre per detenzione e commercio di droga. Quello carcerario è un settore nel quale i neri godono di fatto di una “promozione differenziale” non priva di ironia, nel momento in cui il paese volta le spalle ai programmi di affermative action che avrebbero dovuto ridurre le diseguaglianze razziali più stridenti nel campo dell'accesso all'istruzione e al lavoro. E' importante notare, al di là dei dati numerici, la logica di fondo di questo rovesciamento del sociale nel penale: lungi dal contraddire il progetto neoliberale di deregulation e di spoliazione del settore pubblico, l'ascesa dello stato penale americano costituisce qualcosa come il suo negativo, nel senso dell'altra faccia della medaglia, ma anche di elemento rilevatore. Questo fenomeno riflette, infatti, l'attuazione di una politica di criminalizzazione della miseria, completamento indispensabile dell'imposizione del lavoro dipendente precario e sottopagato, nonchè della revisione dei programmi sociali in senso restrittivo e punitivo. Al momento della sua istituzionalizzazione nell'America della metà del XIX secolo, “la pena carceraria era inanzitutto un metodo volto al controllo delle popolazioni devianti e dipendenti”, e i detenuti erano per lo più poveri e immigrati europei arrivati da poco nel “Nuovo Mondo”. Ai giorni nostri, l'apparato carcerario americano svolge un ruolo analogo nei riguardi delle fasce di popolazione rese superflue dalla duplice ristrutturazione del rapporto salariale e dell'assistenza da parte dello stato: i settori della classe operaia in declino e i neri. Questo sistema assume così un ruolo centrale tra gli strumenti di governo della miseria, al crocevia fra il mercato del lavoro dequalificato, i ghetti urbani e i

servizi sociali “riformati” e a sostegno della disciplina del cosiddetto rapporto flessibile di lavoro. In primo luogo, il sistema penale contribuisce a regolare i segmenti inferiori del mercato occupazionale, e lo fa in una modalità infinitamente più coercitiva di qualsiasi prelievo sociale o regolamento amministrativo. Il suo effetto in questo senso consiste nel comprimere artificialmente il livello della disoccupazione, sottraendo a forza milioni di uomini alla popolazione in cerca di lavoro; inoltre, esso incrementa fortemente l'occupazione nel settore dei beni e dei servizi carcerari. Si valuta, per esempio, che durante il decennio 90, le carceri americane hanno abbassato di due punti l'indice della disoccupazione negli Stati uniti. Per molti versi, secondo i ricercatori Bruce Western e Katherine Beckett, se si tiene conto dei differenziali fra i tassi di popolazione detenuta dei due continenti, si può constatare, in contrasto con le tesi attivamente diffuse e comunemente assunte per buone, che il tasso di disoccupazione dichiarato negli Stati Uniti nell'ultimo ventennio ha quasi sempre superato quello dell'Unione europea (12). Ma, d'altro canto, attingendo e astraendo dallo studio di Bruce Western e Katherine Beckett si può dimostrare che l'ipertofia carceraria è un dispositivo a due facce: se da un lato, a breve termine, migliora apparentemente la situazione occupazionale comprimendo l'offerta di manodopera, a lungo termine non può che aggravarla in quanto pone milioni di persone in condizioni di non poter praticamente più trovare un posto di lavoro: “L'alta proporzione della popolazione carceraria - scrivono Bruce Western e Katherine Beckett - riduce il dato percentuale della disoccupazione negli Stati Uniti, ma il mantenimento di questo basso livello sarà tributario di un'espansione ininterrotta del sistema penale”. La massiccia e crescente preponderanza dei neri, a tutti i livelli dell'apparato penale americano, lancia una cruda luce sulla seconda funzione assunta dal sistema carcerario nel nuovo sistema di governo della miseria: quella di sovrapporsi al ghetto per relegare una popolazione considerata deviante e pericolosa, oltre che superflua, sia sul piano economico - dato che gli immigrati messicani o asiatici sono assai più docili - sia sul piano politico - poichè i neri poveri non votano, e il baricentro elettorale del paese si è comunque spostato verso i quartieri periferici bianchi. La carcerazione è, in questo senso, la manifestazione parossistica della logica dell'esclusione, della quale il ghetto è al tempo stesso strumento e prodotto, sin dalle sue origini storiche. Infine, le istituzioni carcerarie sono in presa diretta con gli organismi e i programmi incaricati di “assistere” le fasce di

popolazione emarginate. Da un lato, la logica punitiva propria del settore penale tende a contaminare, e conseguentemente a ridefinire gli obiettivi e i dispositivi dell'assistenza sociale. Dall'altro, che lo vogliano o no, gli istituti di pena devono far fronte, in emergenza e con gli strumenti di cui dispongono, a tutte le difficoltà sanitarie e sociali che la loro “clientela” non ha potuto risolvere altrove. Infine, i vincoli di bilancio e la moda della politica del “meno stato” spingono alla mercantilizzazione, sia nel campo dell'assistenza sociale che in quello della reclusione. Molti stati ,quali il Tennessee o il Texas, hanno già trasferito buona parte dei detenuti in reclusori privati, e subappaltano la gestione amministrativa dell'assistenza sociale a ditte specializzate. Un modo per rendere redditizi i poveri e i criminali, in senso ideologico oltre che economico. Quello che si sta costituendo è un sistema commerciale in ambito carcerario e assistenziale, destinato a sorvegliare e a punire la popolazione restia a sottomettersi al nuovo ordine economico, in base a una divisione del lavoro per generi (13); la componente carceraria si occupa prevalentemente dei maschi, mentre quella assistenziale esercita la propria tutela sulle donne e sui bambini. Ed è la stessa popolazione a circolare da un polo all'altro di questa rete, in un circuito pressochè chiuso. L'esperienza americana dimostra che non si può isolare la politica sociale da quella penale, o in altri termini, il mercato del lavoro dall'assistenza sociale (se ancora possiamo definirla tale) e dal carcere, se non ci si vuole precludere la comprensione di questi diversi ambiti. Dovunque l'utopia neoliberale È riuscita a tradursi in realtà, le fasce più deboli e tutti coloro che ne sono stati estromessi dall'ambito del lavoro ancora tutelato non ne hanno tratto, come proclamano i suoi paladini, una maggiore libertà, ma al contrario la sua limitazione o soppressione. E' il risultato della regressione verso un paternalismo repressivo d'altri tempi, quello di un capitalismo selvaggio, oggi ancora più inasprito da uno stato punitivo onnipotente e onnisciente.

Note. 1. Si veda “L'eterno ritorno del "miracolo americano"“ di Loic Wacquant, “La g‚n‚ralisation de l'ins‚curit‚ salarial en Amerique”, Actes de la recerche en sciences sociales, dicembre 1996. 2. David Chalmers, And the Crooked Pleaces Made Straight: The Struggle for Social Change in the 1960s, Temple University Press, Filadelfia; 1991, e James T. Patterson, Grand Expectations: The United States, 1945 - 1974, Oxford University Press, New York, 1996. 3. Su queste argomentazioni, Norval Morris, The Future of Imprisonment, The University of Chicago Press, Chicago, 1974. 4. Per queste statistiche ci si è basati sulle diverse pubblicazioni del Bureau of Justice Statistics del ministrero federale della giustizia, e in particolare sulle sue relazioni periodiche Correctional Population in the United States, Washington, Government Printing Office. 5. Diana Gordes descive molto efficacemente questa sinergia in The Justice Juggernaut: Fighting Street Crime, Rutgers University Press, New Brunswick, 1991. 6. Lo stato dell'Illinois ha immesso sul Web una sintesi del casellario giudiziario e i dati segnalateci di tutti i suoi detenuti, in modo che con qualche colpetto di mouse chiunque possa sapere tutto del passato giudiziario di un detenuto. 7. Si vedano i dati compilati da Steve Hold, Trends in State Spending. Center for the Study of the States, Rockefeller Institute of Government Albany (New York), 1991. 8.Questa valutazione accomuna in effetti bianchi anglossassoni e ispanici, aumentando cos� indebitamente il tasso dei bianchi di origine europea: un effetto di maggiorazione peraltro sempre pi— sensibile nel tempo dal momento che la fascia di popolazione di origine latina È quella il cui tasso di incarcerazione È cresciuto pi— rapidamente in quest'ultimo periodo. 9. E' il titolo dell'opera principale di Jerome Miller, Serch and Destroy: African - American Males in the Criminal Justice System, Cambridge University Press, Cambridge 1997. 10. Per un maggior approfondimento di questi punti, si veda Loic Wacquant, “Crime et chatiment en Am‚rique de Nixon à Clinton”, Archivies de politique criminelle, Parigi n 20, primavera 1998. 10. David Rothman, The Discovery of the Asylum: Social Order and Disorder in the Republic, Little, Brown, Boston, 1971, pp. 239 - 240. 11. Bruce Western e Katherine Beckett, “How Unregolated in thr U.S. Labour Market? The Penal System as a Labour Market Institution”, comunicazione al Congresso annuale dell'American Sociological Association, 39 pagine, 1997, p. 31. In Francia pubblicato nel settembre 1997 negli Actes de la recerche en sciences sociales.

12. Loic Wacquant, “Les pauvres en pature: la nouvelle politique de la misÈre in Amerique”, H‚rodote, Parigi, n. 85, primavera 1997. 13. Come dimostra David Garland in Punischment and Welfare: A History of Penal Strategies, (Gower Aldershpy, 1985), nel caso paradigmatico dell'Inghileterra vittoriana.

Sommario Prefazione dell'autore...........................................................................................................................4 Capitolo I..............................................................................................................................................5

Oltre le sbarre...................................................................................................................................5 Una società intollerante....................................................................................................................7

Capitolo II ..........................................................................................................................................11 Prigione a domicilio. ......................................................................................................................11 Il “ritardo” dell'Europa...................................................................................................................13 Una giustizia “di razza”. ................................................................................................................14 Il boom del privato.........................................................................................................................15

Capitolo III.........................................................................................................................................17 La criminalizzazione della miseria negli Stati uniti.......................................................................17

Note....................................................................................................................................................24 Sommario ...........................................................................................................................................26