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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLX n. 84 (48.408) Città del Vaticano domenica 12 aprile 2020 . y(7HA3J1*QSSKKM( +"!z!&!=!$! Dal silenzio del sepolcro alla gioia della Risurrezione In occasione della solennità della Pasqua il nostro giornale non uscirà. La pubblicazione riprenderà con la data 14-15 aprile. Dal silenzio del sepolcro alla gioia della Ri- surrezione. Dall’apparente sconfitta sotto il peso del male che incombe sul mondo al trionfo definitivo sul peccato e sulla morte. Il dinamismo del triduo pasquale giunge a compimento con l’annuncio festoso della vit- toria della luce sulle tenebre. Una vittoria piena, definitiva, che infonde speranza so- prattutto in questo tempo drammatico se- gnato dalla pandemia del covid-19. Nella sera del Sabato santo Papa France- sco torna a ripetere all’umanità che la paura e il silenzio non sono il punto di arrivo della storia. Celebrando la veglia pasquale in San Pietro — senza la presenza di fedeli, come è avvenuto in questa Settimana santa a causa delle misure di contenimento per arginare il diffondersi del coronavirus — il Pontefice ri- lancia la forza incontenibile della speranza cristiana. Che poggia su quel sepolcro vuoto da cui si è levato un grido di vita ancora og- gi in grado di vincere il dolore e la sofferen- za. Un grido che risuonerà anche nella Do- menica di Pasqua, con la benedizione Urbi et orbi che il Papa impartirà dall’interno del- la basilica ma con lo sguardo rivolto agli orizzonti del mondo. Con quello stesso sguardo, assorto e par- tecipe, Francesco ha raccolto la preghiera muta e dolente dell’umanità la sera del 10 aprile, Venerdì santo, quando ha presieduto la Via crucis in piazza San Pietro. A portare la croce sono stati alcuni esponenti della co- munità del carcere Due Palazzi di Padova, che hanno scritto le meditazioni, e infermieri e medici della direzione di Sanità e igiene del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Passandosela di mano in mano dai piedi dell’obelisco, hanno condotto la croce lignea fin sul sagrato della basilica di San Pietro per consegnarla al Pontefice. Raccolto in preghiera, con la fronte pog- giata sul nudo legno, Francesco non ha pro- nunciato discorsi nella circostanza, ma è ri- masto a lungo in silenzio, come a voler affi- dare all’Uomo dei dolori le sofferenze e le speranze del mondo sconvolto dall’emergen- za sanitaria. Di fronte a lui, il grande Croci- fisso di San Marcello al Corso, divenuto il simbolo della preghiera del Papa in queste difficili, lunghe giornate. E proprio al volto del Cristo «sfigurato dalle ferite» Francesco ha dedicato un tweet postato sull’account @Pontifex nella mattina del Sabato santo, a poche ore dalla speciale iniziativa di preghiera promossa dall’arcidio- cesi di Torino dinanzi alla Sindone. Quel Volto «comunica una grande pace. Il suo sguardo non cerca i nostri occhi ma il nostro cuore, è come se ci dicesse: abbi fiducia, non perdere la speranza; la forza dell’amore di Dio, la forza del Risorto vince tutto», ha scritto Francesco rilanciando l’hashtag #Sa- craSindone. «Rivolgiamo lo sguardo all’Uo- mo della Sindone, nel quale riconosciamo i tratti del Servo del Signore, che Gesù ha realizzato nella sua Passione» ha ribadito poi in un secondo messaggio, invitando i fe- deli di tutto il mondo a «partecipare attra- verso i media alla preghiera dinanzi alla Sa- cra Sindone alle 17». PAGINA 12 DA G I O VA N E MIGRANTE E D U C AT O ALLAT E I S M O A VESCOVO Quelle preghiere cantate dalla nonna I GIORNI DELLA Q UA R A N T E N A NELLE PERIFERIE DI BUENOS AIRES Diario dalla “peste” nelle città della miseria di ANDREA TORNIELLI A rrivato in Italia sui barconi nel 1993, ha fatto il saldatore e il giardiniere. Ha scoperto la fede che la nonna cer- cava di trasmettergli cantando. È diventato prete. Tre anni fa, don Arjan Dodaj, era tor- nato in Albania e, giovedì, il Papa l’ha no- minato ausiliare di Tirana. Nell’eco delle sue parole, al telefono, c’è ancora la sorpresa per quanto gli è appena accaduto. L’annuncio della nomina ricevuta. La sua è una delle tante piccole grandi storie di cui è intessuta la vita quotidiana della Chiesa. La vicinanza del Papa a infermieri medici e migranti «O ggi, in questo momento, penso al Signore crocifisso e alle tante storie dei crocifissi della storia, a quelli di oggi, di questa pandemia: medici, infermieri, infermiere, suore, sacerdoti... morti al fronte, come soldati, che hanno da- to la vita per amore, resistenti come Maria sotto le croci loro, delle loro comunità, negli ospedali, curando gli ammalati». Lo ha con- fidato Papa Francesco intervenendo telefoni- camente nel pomeriggio del 10 aprile, Vener- dì santo, alla trasmissione in diretta di Rai1 “A sua immagine”. Rispondendo alla con- duttrice Lorena Bianchetti, che gli ha do- mandato come stesse vivendo questi giorni di emergenza sanitaria a causa del coronavi- rus, il Pontefice ha ribadito: «Anche oggi ci sono crocifissi e crocifisse che muoiono per amore e questo pensiero mi viene, in questo momento». Dicendosi poi «vicino al popolo di Dio, al più sofferente, soprattutto alle vit- time di questa pandemia, al dolore del mon- do», Francesco ha esortato a guardare “su”, verso il cielo, con speranza, «perché la spe- ranza non delude. Non toglie i dolori, ma non delude», ha affermato. Ed ecco allora che anche in questo tempo di pandemia per il cristiano «sempre la Pasqua finisce nella risurrezione e nella pace». Certo, ha avverti- to il Papa, «non è un happy end», ma «è proprio il compromesso, l’impegno dell’amo- re, che ti fa attraversare questa strada dura», perché Gesù «l’ha fatta prima, e questo ci conforta e ci dà forza». E un’ulteriore attestazione di stima per il lavoro di medici e infermieri da parte del Pontefice — che si concretizza anche con il dono di apparecchiature e materiale a vari ospedali — è giunta attraverso un breve bi- glietto augurale scritto di proprio pugno e recapitato a un’operatrice del settore che dalla Lombardia gli aveva inviato una lettera in cui descriveva la drammatica situazione vissuta dagli ospedali della regione. «Augu- ro una buona Pasqua e impartisco la mia be- nedizione alla città di Milano e all’Azienda socio sanitaria territoriale di Melegnano e della Martesana» ha assicurato il Papa rin- graziando la donna. Infine un altro biglietti- no augurale manoscritto, con la data del Ve- nerdì santo, è stato fatto pervenire da Fran- cesco al capomissione di Mediterranea Sa- ving Humans, la piattaforma per il salvatag- gio di migranti nel Mare nostrum. Anche in questo caso si tratta della risposta a una mis- siva in cui veniva denunciato l’aggravarsi delle condizioni di migliaia di persone nei campi di prigionia in Libia e negli accampa- menti in Grecia, dove incombe anche la mi- naccia del coronavirus. Incoraggiando il la- voro dei volontari, il Papa li ha ringraziati «per la pietà umana» dimostrata «davanti a tanti dolori», elogiando quella che ha defini- to una «testimonianza, che a me fa tanto be- ne. Grazie per tutto quello che fate. Vorrei dirVi che sono a disposizione per dare una mano sempre. Contate su di me», ha con- cluso augurando «una santa Pasqua». di ALVER METALLI L a Chiesa nella villa, più che mai in questi giorni, è un ospedale da cam- po, per usare una immagine tutta ber- gogliana. Anzi, una parola coniata da Ber- goglio una volta eletto Papa, di cui non esi- ste traccia nel suo passato. L’espressione l’ha usata per la prima volta nei colloqui dell’agosto 2014 con il direttore di La Civil- tà Cattolica. Sono parole che rilette oggi, ventunesimo giorno di quarantena, hanno una letteralità di applicazione impressio- nante. PAGINA 9 PAGINA 8 Gemma Galgani, Giuseppe Moscati Rocco di Montpellier Santi per il tempo della pandemia NICOLA GORI A PAGINA 10

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Page 1: Dal silenzio del sepolcro alla gioia della Risurrezione€¦ · ne. Grazie per tutto quello che fate. Vorrei dirVi che sono a disposizione per dare una mano sempre. Contate su di

Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00

L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLX n. 84 (48.408) Città del Vaticano domenica 12 aprile 2020

.

y(7HA

3J1*QS

SKKM(

+"!z!&!=

!$!

Dal silenzio del sepolcroalla gioia della Risurrezione

In occasione della solennità della Pasquail nostro giornale non uscirà.

La pubblicazione riprenderà con la data14-15 aprile.

Dal silenzio del sepolcro alla gioia della Ri-surrezione. Dall’apparente sconfitta sotto ilpeso del male che incombe sul mondo altrionfo definitivo sul peccato e sulla morte.Il dinamismo del triduo pasquale giunge acompimento con l’annuncio festoso della vit-toria della luce sulle tenebre. Una vittoriapiena, definitiva, che infonde speranza so-prattutto in questo tempo drammatico se-gnato dalla pandemia del covid-19.

Nella sera del Sabato santo Papa France-sco torna a ripetere all’umanità che la paurae il silenzio non sono il punto di arrivo dellastoria. Celebrando la veglia pasquale in SanPietro — senza la presenza di fedeli, come èavvenuto in questa Settimana santa a causadelle misure di contenimento per arginare ildiffondersi del coronavirus — il Pontefice ri-lancia la forza incontenibile della speranzacristiana. Che poggia su quel sepolcro vuotoda cui si è levato un grido di vita ancora og-gi in grado di vincere il dolore e la sofferen-za. Un grido che risuonerà anche nella Do-menica di Pasqua, con la benedizione Urbiet orbi che il Papa impartirà dall’interno del-

la basilica ma con lo sguardo rivolto agliorizzonti del mondo.

Con quello stesso sguardo, assorto e par-tecipe, Francesco ha raccolto la preghieramuta e dolente dell’umanità la sera del 10aprile, Venerdì santo, quando ha presiedutola Via crucis in piazza San Pietro. A portarela croce sono stati alcuni esponenti della co-

munità del carcere Due Palazzi di Padova,che hanno scritto le meditazioni, e infermierie medici della direzione di Sanità e igienedel Governatorato dello Stato della Città delVaticano. Passandosela di mano in mano daipiedi dell’obelisco, hanno condotto la crocelignea fin sul sagrato della basilica di SanPietro per consegnarla al Pontefice.

Raccolto in preghiera, con la fronte pog-giata sul nudo legno, Francesco non ha pro-nunciato discorsi nella circostanza, ma è ri-masto a lungo in silenzio, come a voler affi-dare all’Uomo dei dolori le sofferenze e lesperanze del mondo sconvolto dall’e m e rg e n -za sanitaria. Di fronte a lui, il grande Croci-fisso di San Marcello al Corso, divenuto il

simbolo della preghiera del Papa in questedifficili, lunghe giornate.

E proprio al volto del Cristo «sfiguratodalle ferite» Francesco ha dedicato un tweetpostato sull’account @Pontifex nella mattinadel Sabato santo, a poche ore dalla specialeiniziativa di preghiera promossa dall’a rc i d i o -cesi di Torino dinanzi alla Sindone. QuelVolto «comunica una grande pace. Il suosguardo non cerca i nostri occhi ma il nostrocuore, è come se ci dicesse: abbi fiducia, nonperdere la speranza; la forza dell’amore diDio, la forza del Risorto vince tutto», hascritto Francesco rilanciando l’hashtag #Sa-craSindone. «Rivolgiamo lo sguardo all’Uo-mo della Sindone, nel quale riconosciamo itratti del Servo del Signore, che Gesù harealizzato nella sua Passione» ha ribaditopoi in un secondo messaggio, invitando i fe-deli di tutto il mondo a «partecipare attra-verso i media alla preghiera dinanzi alla Sa-cra Sindone alle 17».

PAGINA 12

DA G I O VA N E MIGRANTE E D U C AT OALL’AT E I S M O A VESCOVO

Quelle preghierecantate dalla nonna

I GIORNI DELLA Q UA R A N T E N ANELLE PERIFERIE DI BUENOS AIRES

Diario dalla “p este”nelle città della miseria

di ANDREA TORNIELLI

Arrivato in Italia sui barconi nel 1993,ha fatto il saldatore e il giardiniere.Ha scoperto la fede che la nonna cer-

cava di trasmettergli cantando. È diventatoprete. Tre anni fa, don Arjan Dodaj, era tor-nato in Albania e, giovedì, il Papa l’ha no-minato ausiliare di Tirana. Nell’eco delle sueparole, al telefono, c’è ancora la sorpresa perquanto gli è appena accaduto. L’annunciodella nomina ricevuta. La sua è una delletante piccole grandi storie di cui è intessutala vita quotidiana della Chiesa.

La vicinanza del Papaa infermieri

medici e migranti

«O ggi, in questo momento, pensoal Signore crocifisso e alle tantestorie dei crocifissi della storia,

a quelli di oggi, di questa pandemia: medici,infermieri, infermiere, suore, sacerdoti...morti al fronte, come soldati, che hanno da-to la vita per amore, resistenti come Mariasotto le croci loro, delle loro comunità, negliospedali, curando gli ammalati». Lo ha con-fidato Papa Francesco intervenendo telefoni-camente nel pomeriggio del 10 aprile, Vener-dì santo, alla trasmissione in diretta di Rai1“A sua immagine”. Rispondendo alla con-duttrice Lorena Bianchetti, che gli ha do-mandato come stesse vivendo questi giornidi emergenza sanitaria a causa del coronavi-rus, il Pontefice ha ribadito: «Anche oggi cisono crocifissi e crocifisse che muoiono peramore e questo pensiero mi viene, in questomomento». Dicendosi poi «vicino al popolodi Dio, al più sofferente, soprattutto alle vit-time di questa pandemia, al dolore del mon-do», Francesco ha esortato a guardare “su”,verso il cielo, con speranza, «perché la spe-ranza non delude. Non toglie i dolori, manon delude», ha affermato. Ed ecco allorache anche in questo tempo di pandemia peril cristiano «sempre la Pasqua finisce nellarisurrezione e nella pace». Certo, ha avverti-to il Papa, «non è un happy end», ma «èproprio il compromesso, l’impegno dell’amo-re, che ti fa attraversare questa strada dura»,perché Gesù «l’ha fatta prima, e questo ciconforta e ci dà forza».

E un’ulteriore attestazione di stima per illavoro di medici e infermieri da parte delPontefice — che si concretizza anche con ildono di apparecchiature e materiale a variospedali — è giunta attraverso un breve bi-glietto augurale scritto di proprio pugno erecapitato a un’operatrice del settore chedalla Lombardia gli aveva inviato una letterain cui descriveva la drammatica situazionevissuta dagli ospedali della regione. «Augu-ro una buona Pasqua e impartisco la mia be-nedizione alla città di Milano e all’Aziendasocio sanitaria territoriale di Melegnano edella Martesana» ha assicurato il Papa rin-graziando la donna. Infine un altro biglietti-no augurale manoscritto, con la data del Ve-nerdì santo, è stato fatto pervenire da Fran-cesco al capomissione di Mediterranea Sa-ving Humans, la piattaforma per il salvatag-gio di migranti nel Mare nostrum. Anche inquesto caso si tratta della risposta a una mis-siva in cui veniva denunciato l’aggravarsidelle condizioni di migliaia di persone neicampi di prigionia in Libia e negli accampa-menti in Grecia, dove incombe anche la mi-naccia del coronavirus. Incoraggiando il la-voro dei volontari, il Papa li ha ringraziati«per la pietà umana» dimostrata «davanti atanti dolori», elogiando quella che ha defini-to una «testimonianza, che a me fa tanto be-ne. Grazie per tutto quello che fate. VorreidirVi che sono a disposizione per dare unamano sempre. Contate su di me», ha con-cluso augurando «una santa Pasqua».

di ALV E R ME TA L L I

La Chiesa nella villa, più che mai inquesti giorni, è un ospedale da cam-po, per usare una immagine tutta ber-

gogliana. Anzi, una parola coniata da Ber-goglio una volta eletto Papa, di cui non esi-ste traccia nel suo passato. L’e s p re s s i o n el’ha usata per la prima volta nei colloquidell’agosto 2014 con il direttore di La Civil-tà Cattolica. Sono parole che rilette oggi,ventunesimo giorno di quarantena, hannouna letteralità di applicazione impressio-nante.

PAGINA 9

PAGINA 8

Gemma Galgani, Giuseppe MoscatiRocco di Montpellier

Santi per il tempodella pandemia

NICOLA GORI A PA G I N A 10

Page 2: Dal silenzio del sepolcro alla gioia della Risurrezione€¦ · ne. Grazie per tutto quello che fate. Vorrei dirVi che sono a disposizione per dare una mano sempre. Contate su di

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 domenica 12 aprile 2020

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Conte pronto a lottare per gli eurobond e sul Mes attacca l’opp osizione

L’Italia proroga il lockdownLa riapertura sarà graduale a partire dal 3 maggio

La denuncia dell’O ms

Il virus rallenta in Europama accelera in Africa

ROMA, 11. «Proroghiamo le misurerestrittive fino al 3 maggio, una deci-sione difficile ma necessaria di cuimi assumo tutte le responsabilità po-litiche». Con queste parole, ieri, inconferenza stampa, il presidente delConsiglio italiano, Giuseppe Conte,ha annunciato la proroga del lock-down in tutto il paese. Le propostediscusse all’Eurogruppo — ha spiega-to Conte — «sono un primo passoverso una risposta europea», ma è«ancora insufficiente». C’è una solastrada: «Servono eurobond subito».

Conte ha giustificato la prorogadel lockdown affermando che «nonsi possono vanificare gli sforzi sinqui fatti: si rischierebbe un aumentodei decessi e delle vittime. Se cedia-mo adesso rischiamo di dover ripar-tire daccapo».

Si continua inoltre a discutere del-le modalità della riapertura, che ov-viamente non sarà facile. «L’auspicioè che dopo il 3 maggio si possa ri-partire con cautela e gradualità maripartire: dipenderà dai nostri sforzi»ha spiegato Conte. «La nostra deter-minazione è allentare il prima possi-bile le misure per tutte le attivitàproduttive per far ripartire quantoprima in piena sicurezza il motoredel nostro Paese a pieno regime: nonsiamo ancora nella condizione di far-lo, dobbiamo attendere ancora». Illavoro per la fase due dell’e m e rg e n -za «è già partito, non possiamoaspettare che il virus sparisca dal no-stro territorio. Servirà un programmaarticolato e organico su due pilastri:un gruppo di lavoro di esperti e ilprotocollo di sicurezza nei luoghi dil a v o ro » .

Per quanto riguarda le misure eco-nomiche per affrontare la situazionedopo l’emergenza, come accennato,Conte ha detto di sostenere l’ip otesidei “coronab ond” o “eurob ond”.«La principale battaglia è un fondoda finanziare con una vera e propriacondivisione economica dello sforzo,come ad esempio gli eurobond. Ser-ve una potenza di fuoco proporzio-nata alle risorse di un’economia diguerra e deve essere disponibile su-bito. Condurremo fino in fondo lanostra battaglia». Bocciata invece

l’ipotesi di utilizzare il Meccanismoeuropeo di stabilità (Mes), che Con-te giudica «inadeguato». Su questopunto il capo del governo ha attac-cato l’opposizione. «Faccio i nomi ei cognomi, Matteo Salvini e GiorgiaMeloni. Questo governo non lavoracol favore delle tenebre, ma guardanegli occhi gli italiani. È una men-zogna. [L’Italia] non ha firmato al-cuna attivazione del Mes, perchénon ne ha bisogno e lo ritiene ina-deguato» ha detto Conte prometten-do di lottare per gli eurobond nelprossimo Consiglio Ue.

Immediata la replica dell’opp osi-zione. «Noi cerchiamo di lavorareper i cittadini» ha detto il leaderdella Lega, Matteo Salvini, che oggiha avuto un colloquio con il presi-dente della Repubblica, Sergio Mat-tarella, per discutere di quello cheha definito «un fatto gravissimo».«Conte indice una conferenza stam-pa pochi minuti prima dell’edizionepiù vista dei tg per accusare l’opp o-sizione di dire menzogne, senza pos-sibilità di replica e senza contraddit-torio. Credo non si sia mai vista unacosa del genere» ha detto GiorgiaMeloni, leader di Fratelli d’Italia.L’opposizione ha chiesto l’immedia-ta convocazione del Comitato di vi-gilanza della Rai per discutere delledichiarazioni di Conte.Commissione europea (Reuters)

GINEVRA, 11. Mentre si constata uncalo della diffusione di covid-19 inEuropa, preoccupa invece la suaaccelerazione in Africa. Nel vecchiocontinente in particolare si registra-no in data odierna 727.879 casi,compreso il Regno Unito, secondoi dati pubblicati dal Centro euro-peo per la prevenzione e il control-lo delle malattie. «La scorsa setti-mana abbiamo assistito a un gradi-

to rallentamento dell’epidemia inItalia, Spagna, Germania e Francia.Allo stesso tempo si assiste a un’ac-celerazione allarmante in altri Pae-si, come in Africa». Lo ha dichiara-to il direttore generale dell’O rga-nizzazione mondiale della sanità(Oms), Tedros Adhanom Ghebre-yesus, nel consueto briefingsull’emergenza a Ginevra. In Africa— ha proseguito — si registra unadiffusione del coronavirus anchenelle aree rurali. Ci sono focolaisparsi in più di 16 Paesi africani.

La Tunisia, intenta a fronteggiareuna situazione economica di gran-de vulnerabilità a causa della pan-demia, ha registrato altri 28 nuovicontagi. Sale così a 671 il totale deicasi confermati. I decessi ufficialisono invece 25. Intanto, per farfronte alla crisi, il comitato esecuti-vo del Fondo monetario internazio-nale (Fmi) ha approvato lo stanzia-mento di un’assistenza di emergen-za di 745 milioni di dollari. Tunisiae Fmi hanno concordato di attuareun programma congiunto denomi-nato “Programma Corona”, ha an-nunciato il ministro delle Finanzetunisino, Mohamed Nizar Yaich.

In Botswana diversi parlamentarihanno violato l’autoisolamento esono stati messi in quarantena con-trollata. Ieri era stata chiesta laquarantena volontaria ai parlamen-tari e al presidente, MokgweetsiMasisi, in quanto l’operatore sani-tario che li aveva sottoposti a scree-ning era risultato positivo.

Fe r n á n d e z :in Argentina

prima la gentepoi l’economia

BUENOS AIRES, 11. Il presidente ar-gentino Alberto Fernández, interve-nendo ieri in videoconferenza con ileader politici del Gruppo di Pueblaper analizzare l’impatto del covid-19in America Latina e nel mondo, hadichiarato che nel prendere le suedecisioni per affrontare la pandemiadi coronavirus anteporrà sempre leesigenze della gente a quelledell’economia. «Nel dilemma fral’economia e la gente, io ho scelto lagente. Un’economia senza personeequivale al nulla» ha affermato indiretta streaming da Buenos Aires. Ilcapo di Stato argentino, che ieri haprolungato il periodo di quarantenafino al 26 di aprile, ha sottolineatocome sia necessario «impedire che latragedia si acuisca, visto che siamoattaccati da un esercito invisibile»,sostenendo l’idea di base secondocui «nessuno si salva da solo. La so-cietà organizzata salva l’uomo». Fer-nández ha poi evidenziato chel’America Latina è «il continente piùdiseguale» e ha invitato tutti a«pensare in un’altra maniera di co-struire il mondo che verrà quandoquesta emergenza sarà passata».

Sulla base delle ultime cifre comu-nicate dalle autorità sanitarie argen-tine, i casi confermati di contagi dacoronavirus sono quasi duemila, e ilnumero dei decessi legati al covid-19è arrivato a 82. «Siamo soddisfattiper il fatto di essere riusciti ad ad-dolcire la curva dei contagi e dellevittime fatali» ha spiegato Fernándeznel consueto briefing serale.

Il governo ha espulso circa diecimila immigrati irregolari dall’inizio dell’emergenza sanitaria

Gli Stati Uniti registrano la giornata peggiore

Donald Trump (???)

L’India dona medicinalialle nazioni vicine

Milioni di personealla famein Libano

BE I R U T, 11. Milioni di persone ri-schiano di soffrire la fame in Liba-no a causa delle limitazioni percontenere la diffusione del corona-virus. È quanto hanno denunciatodiverse ong dopo che a metà mar-zo le autorità libanesi hanno ordi-nato ai residenti di rimanere a casae a tutte le attività non essenziali dichiudere per bloccare la diffusionedi covid-19, che ha ufficialmentecontagiato 575 persone e ne ha uc-cise 19.

L’emergenza coronavirus ha col-pito un paese in profonda crisi.Prima dello scoppio della pande-mia, il Libano stava lottando conla sua peggiore crisi economica de-gli ultimi decenni e, secondo stimeufficiali, il 45 per cento della popo-lazione faceva i conti con la pover-tà. «Molte persone che avevano unreddito l’hanno perso e se il gover-no non interviene, più della metàdella popolazione potrebbe non es-sere in grado di permettersi cibo egeneri di prima necessità» si leggein una nota.

Intanto, in Iran oggi sono ripar-tite alcune attività economiche “abasso rischio”, dopo l’iniziale stret-ta a causa dell’epidemia. L’Iran haregistrato quasi 70 mila contagi eoltre 4200 morti.

WASHINGTON, 11. La Johns Hop-kins University alle 20.30 di ieri se-ra ha reso noto, come di consueto, idati delle ultime 24 ore relativi aicontagi e ai decessi legati al coro-navirus negli Stati Uniti. Sono ipeggiori mai registrati finora. GliUsa, dopo essere stati i primi e uni-ci a superare la quota di mille mor-ti in un giorno il 3 aprile, ieri, a di-stanza di una settimana, hanno ol-trepassato il tetto delle duemila vit-time in 24 ore. Si sono così avvici-nati molto all’Italia nel numero to-tale dei decessi. 18.586 gli StatiUniti, 18.849 l’Italia. Anche i nuovicasi positivi riscontrati hanno avutoun leggero aumento: 35.000 in unsol giorno; cifra che ha fatto supe-rare la soglia del mezzo milione dicontagiati. L’università americanaha fatto sapere inoltre che il nume-ro complessivo dei guariti è salito a28.790.

Lo stato di New York, anche nel-le cifre quotidiane, rimane il piùcolpito. I dati presentati ieri seraparlano di 777 nuovi decessi. A se-guire il vicino stato del New Jerseycon 232 morti e il Michigan, doveci sono state 205 morti legate alnuovo coronavirus.

Al momento sono 42 su 50 glistati del paese, oltre a Puerto Ricoe al Distretto di Columbia, ad averemanato decreti contenenti misurerestrittive o di confinamento socialeper costringere i propri cittadini arimanere a casa e limitare i contagi.

Si tratta comunque del 95 per centodella popolazione statunitense, cir-ca 316 milioni di persone.

La contea di Los Angeles ha pro-lungato le restrizioni per il conteni-mento del coronavirus fino al 15maggio, avvertendo la popolazione

che i provvedimenti potrebbero re-stare in vigore anche più a lungo.Anche San Francisco ha prolungatole misure di contenimento fino al 3maggio.

Intanto arriva dal «WashingtonPost» la notizia che il governo sta-

tunitense ha espulso circa 10.000 al-la immigrati irregolari dall’iniziodella crisi legata al coronavirus, aseguito delle norme di emergenzaadottate per impedirne la diffusio-ne. Le prime espulsioni, con conse-guente ritorno in Messico, sono ini-ziate il 21 marzo e hanno riguarda-to quelle persone prive di docu-menti o autorizzazioni. Il presiden-te Trump, infatti, il 18 marzo avevafirmato un provvedimento che ne-gava l’ingresso nel suo paese a tuttii richiedenti asilo a causa dell’emer-genza sanitaria. Attualmente l’Uffi-cio delle dogane e delle frontiereUsa avrebbe, al momento, meno di100 persone in custodia. Un nume-ro impensabile rispetto alle 20.000persone di un anno fa.

Ieri la Casa Bianca ha pubblicatoil memorandum firmato dal presi-dente Trump per offrire assistenzaall’Italia nella lotta al covid-19 e so-stenere la ripresa dell’economia ita-liana. «Anche se la priorità del go-verno americano è prima di tuttonei confronti degli americani, anda-re in aiuto dell’Italia aiuterà a com-battere l’epidemia del coronavirus emitigare l’impatto della crisi» silegge nel testo.

Il presidente Usa ha deciso inol-tre di mettere a disposizione il per-sonale militare statunitense in Italiaper la costruzione di ospedali dacampo, per il trasporto di carbu-rante e alimentari e per servizi diassistenza agli ospedali italiani.

NEW DELHI, 11. Alle prese con lapandemia e grande produttrice dimedicinali generici, ora anche l’In-dia — dopo la Cina — ha deciso didonare tonnellate di medicine allenazioni vicine per aiutarle ad af-frontare la crisi. La distribuzione ri-guarda Bangladesh, Afghanistan,Nepal, Myanmar, Seychelles, Mau-ritius e alcuni Paesi africani. Lo hadichiarato un portavoce del gover-no. È stato aperto anche l’export dimedicine anti-covid-19 a Usa, GranBretagna, Brasile, Spagna, Germa-nia, Italia. Nel Paese sono stati re-

gistrati 33 nuovi decessi nelle ulti-me 24 ore, che portano a 239 il nu-mero totale dei morti dall’iniziodell’e m e rg e n z a .

Nel frattempo si registra un au-mento dei casi di coronavirus nellacittà di Suifenhe, nel nordest cinesedello Heilongjiang. al confine conla Russia. Tanto che le autorità ci-nesi hanno imposto un blocco perevitare nuovi casi importati di co-vid-19. In soli cinque giorni sonostate diagnosticate 118 positività trai cittadini cinesi tornati dalla Rus-sia attraverso appunto il confine di

Suifenhe. La Cina ha pertanto im-posto il lockdown della città echiuso la frontiera, impedendo nuo-vi rientri ai suoi abitanti. Dal cantosuo la Russia, già sotto pressioneper la diffusione della pandemia,non sembra intenzionata a occupar-si anche degli emigranti cinesi alconfine.

A Tokyo, dopo l’impennata dellacrisi, le autorità hanno annunciatouna stretta sulle misure. È stato di-fatti registrato il più alto numero dicontagi in un giorno, con 189 nuovicasi nelle ultime 24 ore. Si tratta

del terzo giorno di progressivo au-mento di contagi, per un totale di1708.

La Corea del Sud invece, nono-stante la pandemia, non ha rinun-ciato all’organizzazione delle elezio-ni parlamentari. Si andrà alle urneil 15 aprile, ma ieri sono iniziate al-cune operazioni per i cittadini chepossono accedere al voto anticipa-to.

Il Paese ha registrato 27 nuovicasi di covid-19 nell’ultimo giorno,l’incremento più basso dal 20 feb-braio.

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L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 12 aprile 2020 pagina 3

A rischio circa tre milioni di persone

Tagliata a Tripolil’acqua potabile

Pompeo chiede ai ribelli huthi di rispettare il cessate il fuoco

Gli Usa sostengono la treguanello YemenIntesa all’O pec

per ridurrela produzione

di petrolio

VIENNA, 11. L’Organizzazione deiPaesi esportatori di petrolio(Opec), e i suoi alleati guidatidalla Russia, nota come Opec+,hanno raggiunto ieri un accordoprovvisorio per tagliare la produ-zione. L’obiettivo è fermare la ca-duta libera del prezzo del greg-gio, nel mezzo della pandemiadel coronavirus.

«Il covid-19 è una bestia invisi-bile cha sta travolgendo tuttosulla sua strada», ha detto il se-gretario generale dell’O pec,Mohammed Barkindo.

I paesi partecipanti alla riunio-ne di emergenza on line di Vien-na, ad eccezione del Messico,hanno concordato di tagliare laloro produzione complessiva di10 milioni di barili al giorno perdue mesi a partire dal primomaggio, secondo una dichiarazio-ne pubblicata sul sito dell’O pec.

I produttori di petrolio hannoanche concordato di tagliare 8milioni per i prossimi sei mesi,seguiti da un taglio di 6 milioniper 16 mesi dal primo gennaio2021 al 30 aprile 2022. L’estensio-ne dell’accordo sarà rivista nel di-cembre 2021, ha aggiunto l’O pec.Il Messico ha accettato di ridurrela propria produzione del 5,5 percent0, invece del 23 per cento ri-chiesto dall’Opec. «Mi ha telefo-nato Trump — ha spiegato il pre-sidente del Messico, Andrés Ma-nuel López Obrador — e siamoarrivati a un accordo per ridurrela nostra produzione di 100.000barili. Gli Stati Uniti da parte lo-ro faranno, per compensare, unulteriore taglio della loro produ-zione di 250.000 barili».

TRIPOLI, 11. Si rischia una «catastro-fe umanitaria» a Tripoli, dove da al-cuni giorni — e nel mezzo dell’emer-genza coronavirus — i miliziani delgenerale Khalifa Haftar hanno in-terrotto la fornitura di acqua potabi-le. Lo ha denunciato il ministerodell’Interno del Governo di accordonazionale (Gna, riconosciuto inter-nazionalmente, di cui Fayez al Sar-raj è premier), secondo il quale lamossa dell’uomo forte della Cirenai-ca «sta mettendo seriamente in peri-colo la vita di bambini e famiglie».

Nella capitale libica vivono circatre milioni di persone, tra cui600.000 bambini. Se presto non sa-rà riattivata la fornitura, ha sottoli-

neato il ministero dell’Interno inuna nota, la situazione «diventeràc a t a s t ro f i c a » .

In base alla denuncia del Gna, sitratta «dell’ennesimo crimine» chesi aggiunge alla lista di quelli com-messi da Haftar e che costituisceuna «violazione» delle leggi nazio-nale e internazionali.

Tagli alla distribuzione idrica del-la capitale libica sono stati segnalatida alcuni giorni. Lunedì scorso,l’Autorità del “Grande fiume artifi-ciale” — l’acquedotto fatto costruirenegli anni Ottanta da MuammarGheddafi per portare acqua di ori-gine fossile dal Sahara alla costa —aveva segnalato che uomini armatiavevano assaltato un impianto, co-stringendo i dipendenti a chiuderedelle valvole.

Nel suo attacco a Tripoli iniziatoun anno fa, il generale Haftar hafatto chiudere valvole anche in nu-merosi oleodotti, quasi azzerando laproduzione petrolifera libica. Ilblocco del petrolio sta provocandoseri problemi alle casse del governodi Tripoli: la perdita economica stasfiorando ormai i quattro miliardi didollari. Dal 17 gennaio la produzio-ne è scesa da 1,22 milioni di barili algiorno a meno di 93.000 barili, un

danno importante se si pensa che ilpil annuo libico ammonta a 56,3miliardi di dollari. Il governo Serrajper il momento dispone di riservefinanziarie strategiche a cui attin-g e re .

Il taglio dell’acqua, invece, po-trebbe far piombare in breve tempola popolazione di Tripoli nel caos enella disperazione. Il ministero degliInterni del paese nordafricano si èappellato alla comunità internazio-nale perché «contrasti l’ultimo cri-mine di guerra attuato da Haftar eaiuti la popolazione libica a soprav-vivere». Il taglio dell’acqua — con icasi di covid-19 che stanno aumen-tando — sta coincidendo con unagrave interruzione di corrente nellaregione occidentale del paese. «Nonpossiamo rimanere senza elettricità,gli strumenti negli ospedali nonfunzionano senza corrente», è l’ap-pello lanciato da alcuni medici.

Alcune fonti hanno fatto presenteche il blocco nella fornitura dell’ac-qua potabile sarebbe stato perpetra-to da un gruppo che opera nell’a re adi Shwerif, come tattica di pressioneper garantire il rilascio dei membridel clan. Ma non ci sono al momen-to conferme ufficiali.

Allarme a nord di Atene

Campo rom in quarantena

Il 12 aprile 1961 Jurij Gagarin inizia la sua missione in orbita

Compie 59 annil’era spaziale dell’umanità

Decine di malattie trasmissibiliaggravate dal cambiamento climatico

ATENE, 11. Un campo rom con 3000persone in Grecia è stato messo inquarantena, dopo che una decina diesse sono risultate positive al coro-navirus. Il campo si trova a NeaSmyrni, vicino Larissa, a duecentochilometri a nord di Atene.

«Faremo test in tutta l’area cheadesso si trova in lockdown», ha di-chiarato il governatore della regione,Costas Agorastos, aggiungendo chesaranno monitorate anche altre co-munità rom nella zona.

In Grecia, al momento, ci sono1955 casi di covid-19 e 86 vittime. Ilgoverno ha rafforzato i controlli aiporti e sulle autostrade per evitareche la gente parta per la campagnao le isole in occasione della Pasquaortodossa, che si celebra il 19 aprile.

Le autorità stanno concentrandogli sforzi per impedire il propagarsidel virus nell’affollato campo profu-ghi di Moria, a Lesbo, dove oltre19.000 migranti vivono in condizionimolto critiche, mentre la capacità delcampo è di 2800 persone.

Chiamata “giungla” da molte ongper i diritti umani, Moria è stata re-centemente definita una «bomba sa-nitaria» dal governo greco.

WASHINGTON, 11. «Il popolo yeme-nita merita la pace». Lo ha scrittoieri sul suo profilo Twitter il segreta-rio di Stato Usa Mike Pompeo, di-cendosi «contento per l’annuncio,da parte della coalizione guidata daisauditi, di un cessate il fuoco unila-terale in Yemen». Pompeo ha quin-

di precisato che l’amministrazionestatunitense «chiede agli huthi (i ri-belli, ndr) di rispondere allo stessomodo e di collaborare con l’inviatospeciale delle Nazioni Unite in Ye-men, che ha fatto appello a colloquiurgenti tra le parti».

La proposta di tregua è stataavanzata pochi giorni fa dalla coali-zione a guida saudita che sostiene ilgoverno del presidente Hadi, l’ese-cutivo riconosciuto dalla comunitàinternazionale.

Inoltre, ieri gli huthi hanno criti-cato esplicitamente la tregua defi-nendola una «manovra» dei sauditi.Un portavoce dei ribelli, che con-trollano la capitale Sana’a e altre re-gioni, ha accusato la coalizione sau-dita di aver violato la tregua subitodopo la sua entrata in vigore.«L’aggressione non è cessata e fino-ra ci sono state decine di raid aerei»ha detto il portavoce.

Intanto, l’emergenza coronavirussta colpendo duramente il paese.

Diverse ong hanno chiesto alle au-torità locali e militari di consentirecon urgenza l’ingresso di fornituremediche e personale umanitario perfacilitare la risposta all’epidemia.Tuttavia, dopo cinque anni di guer-ra il sistema sanitario è al collassoed è quasi impossibile immaginareuna risposta efficace al covid-19 conle sole risorse attualmente disponi-bili nel Paese. I centri di trattamen-to pronti a intervenire nel paese so-no quasi del tutto inesistenti e scar-seggiano i fondi per pagare il perso-nale sanitario.

«C’è urgente bisogno di importa-re in Yemen più dispositivi di prote-zione individuale e strumenti di dia-gnosi, sia per il sistema sanitario na-zionale che per le organizzazioniumanitarie» dicono fonti delle ong.«È anche necessario che le diverseautorità nello Yemen consentanol’accesso di personale medico e disupporto delle organizzazioni stra-n i e re » .

di ANNA LISA ANTONUCCI

L’interesse dell’uomo per lospazio, per ciò che c’è oltrela terra, esiste da sempre.

Ma perché le esplorazioni spazialiprendano il via bisognerà aspettareil 4 ottobre del 1957. È, infatti, conil lancio del satellite artificiale Sput-nik che ufficialmente parte la storiadei voli spaziali. Lo Sputnik 1 è sta-to il primo oggetto lanciato in orbi-ta dall’uomo. Nello stesso anno par-te la missione con a bordo la ca-gnetta Laika, il primo essere viventea varcare le soglie dell’atmosfera ter-restre ed entrare in orbita.

La data che segna, invece, il pri-mo uomo nello spazio è il 12 aprile1961 quando Jurij Gagarin, un astro-nauta sovietico, a bordo della navi-cella spaziale Vostok 1 viene proiet-tato nell’orbita terrestre. È il primoprogramma spaziale con uomo abordo e Gagarin rimane nella storiacome il primo uomo ad aver orbita-to intorno alla terra. La sua missio-ne segna a tutti gli effetti il debuttodell’era spaziale dell’umanità.

Per questo le Nazioni Unite han-no scelto il 12 aprile per celebrare laGiornata internazionale dello spazioe riaffermare «il ruolo essenzialedella scienza e della tecnologia spa-ziale nel raggiungere gli obiettividello sviluppo sostenibile e nel mi-gliorare il benessere degli Stati e deip op oli».

La risoluzione con cui è stata isti-tuita la giornata internazionale ri-corda, dunque, i grandi risultati ot-tenuti dopo il primo volo spazialecon equipaggio del 1961, tra cuil’impresa di Valentina Terechkova,la prima donna a orbitare intornoalla Terra, il 16 giugno 1963, di NeilArmstrong, il primo essere umano atoccare la superficie della Luna il 20luglio 1969, e la prima missione in-ternazionale con equipaggio Apolloe Soyuz del luglio 1975.

L’Onu insiste sull’imp ortanzadell’uso delle ricerche spaziali a sco-pi pacifici e incoraggia lo sviluppodell’esplorazione e dell’utilizzo dellospazio al fine di portare i migliori

benefici a tutti gli Stati e all’umani-tà.

Le Nazioni Unite ricordano, inol-tre, i principi fondamentali del trat-tato che costituisce la struttura giu-ridica di base del diritto internazio-nale aerospaziale entrato in vigore il10 ottobre 1967.

Si tratta della «Space MagnaCarta», nota anche come «Trattatosui principi che governano le attivi-tà di Stato nell’esplorazione e l’usodello spazio esterno, tra cui la Lunae altri corpi celesti».

Tra i principi base del trattato c’èil divieto per gli Stati firmatari dicollocare armi nucleari od ogni altrogenere di armi di distruzione dimassa nell’orbita terrestre, sulla Lu-na o su altri corpi celesti, o, comun-que, stazionarli nello spazio extra-atmosferico.

Le norme consentono dunquel’utilizzo della Luna e degli altricorpi celesti esclusivamente per sco-pi pacifici e ne proibiscono inveceespressamente l’uso per effettuaretest su armi di qualunque genere,condurre manovre militari, o stabili-re basi militari, installazioni o forti-ficazioni.

Il trattato, inoltre, proibisceespressamente agli stati firmatari dirivendicare risorse poste nello spa-zio, quali la Luna, i pianeti o altricorpi celesti, poiché considerati «pa-trimonio comune dell’umanità».Oggi, a supervisionare i programmispaziali dei vari Paesi del mondo èl’Ufficio delle Nazioni Unite per gliaffari spaziali (Unoosa) che tiene ilregistro degli oggetti lanciati nellospazio e provvede anche a finanzia-re i progetti delle nazioni a scopopacifico.

L’attuale direttore dell’agenziaOnu, con sede a Vienna, è Simonet-ta Di Pippo, un’astrofisica italiana.Il suo compito, come direttoredell’Unoosa, è quello di promuove-re la cooperazione internazionale al-lo scopo di ampliare la diffusionedei benefici derivanti dall’uso pacifi-co dello spazio extra-atmosfericoall’intera umanità.

GINEVRA, 11. «All’origine di pande-mie come quella attuale possonocontribuire, direttamente o indiret-tamente, numerose azioni umane.Tra esse, il cambiamento climaticocausato dall’uomo può favorire ladiffusione di patogeni e l’i n s o rg e redi nuove epidemie, influendo sulfunzionamento degli ecosistemi edelle specie che veicolano infezionie altre malattie trasmissibili».

È quanto emerge dal report ela-borato dal Wwf dal titolo “Malattietrasmissibili e cambiamento climati-co: come la crisi climatica incidesulla salute umana”, che attraversouna rilettura di numerosi studiscientifici mette in relazione gli ef-fetti diretti e indiretti dei cambia-menti climatici sulla salute umana.

«Contrastare il cambiamento cli-matico, favorendo al contempo laconservazione degli ecosistemi inte-gri e restaurando quelli deterioratidall’uomo — osservano gli esperti —costituisce un approccio lungimiran-te per tutelare la salute e il benesse-re delle comunità umane e per pre-venire future pandemie».

Numerose ricerche indicano infat-ti che molte zoonosi (ovvero le ma-lattie che si trasmettono dagli ani-mali all’uomo, anche tramite vettoriquali zecche e zanzare), sono forte-

mente influenzati dal cambiamentoclimatico indotto dall’uomo, attra-verso tre meccanismi principali:espansione degli areali delle specieserbatoio o vettori, come nel caso dimorbo di Lyme e West Nile virus;alterazioni nelle temperature e nelregime delle precipitazioni, che fa-voriscono ad esempio malaria e chi-kungunya; rilascio di patogeni inaree precedentemente ghiacciate, co-me nel caso dell’antrace. «Questimeccanismi, al momento, non parestiano invece influenzando la diffu-sione del covid-19, favorito invecedal traffico non controllato di spe-cie», avvertono gli scienziati.

Nel report gli esperti si sono sof-fermati sulle malattie trasmissibili,ma in generale il riscaldamento glo-bale potrebbe rendere alcune areedel pianeta inadatte alla stessa esi-stenza umana, interferendo peresempio con i sistemi di termorego-lazione mediante l’aumento deigiorni di temperatura estrema. «Èsempre più evidente, quindi, comela nostra salute e il nostro benesseredipendano strettamente dal nostrorapporto con il pianeta che ci ospi-ta. Il nostro destino è strettamenteconnesso a quello degli ecosistemi,del clima e delle loro complicate macruciali relazioni ecologiche», con-clude il documento.

E il coronavirus ferma anche laconferenza annuale delle NazioniUnite per il clima — la Cop26 —,che era prevista a Glasgow dal 9 al20 novembre di quest’anno e dove-va essere anticipata dalla Cop deigiovani e da una pre-Cop in Italia.Lo hanno confermat0 fonti dellaUnited Nations Framework Con-vention on Climate Change, preci-sando che le nuove date della con-ferenza mondiale sul clima (sempreospitata da Glasgow) sono ripro-grammate per il 2021. «Date le cir-costanze, la decisione di posticiparela Cop26 era inevitabile», hannodetto gli organizzatori del summit.«La nostra priorità collettiva — han-no affermato — deve essere quella dimettere la salute e la vita al primoposto, ed è per questo che l’emer-genza virus deve essere trattata se-riamente. Ma l’azione per il clima èe rimane una priorità globale nonnegoziabile».

«Un rinvio della Cop26 era di-ventato necessario, visti i ritardi neinegoziati provocati dall’e m e rg e n z asanitaria globale — hanno aggiunto—, ma ora è necessario usare al me-glio l’ulteriore tempo a disposizio-ne, imparando dalla crisi attuale cheoccorre prevenire ed evitare le emer-genze, oltre che essere attrezzati per

affrontarle». Anche per la crisi cli-matica, segnalano gli esperti, «è in-dispensabile azzerare le emissioniclimalteranti (prevenire) e attrezzar-si per quegli impatti del riscalda-mento globale già in atto che nonriusciremo a evitare; nell’immediato,occorre puntare a target di riduzio-ne delle emissioni molto più ambi-ziosi. Oggi i medici e gli operatorisanitari tutti sono i nuovi eroi, manon sono stati adeguatamente ascol-tati quando potevano aiutarci a li-mitare i danni».

E diverse organizzazioni e azien-de del settore delle energie rinnova-bili e dell’efficienza energetica han-no chiesto ai leader dell’Ue di co-niugare i pacchetti di stimoloall’economia con le misure a favoredi clima e ambiente previste dalGreen Deal europeo. All’app elloaderisce anche Kyoto Club. «Ilmondo delle rinnovabili e dell’effi-cienza energetica — si legge in unanota di Kyoto Club — è pronto apartecipare alla ripartenza post-co-ronavirus e, anzi, a svolgere un ruo-lo da protagonista nel rilancio. Èperò importante che l’Europa nonrallenti nella marcia verso il GreenNew Deal e imponga serie condi-zionalità green negli investimentifuturi».

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pagina 4 domenica 12 aprile 2020 L’OSSERVATORE ROMANO domenica 12 aprile 2020 pagina 5

Il silenzio del Sabato santoUn tempo che spoglia, vivifica e promuove un potente processo di purificazione

Sessantuno anni fa moriva don Mazzolari

Una fedeappassionata

Di tutte queste aliLa «festa immobile» della Settimana santa attraverso i messaggi e le immagini postati in Rete

di BRUNO BIGNAMI

Q uanti modelli di santità esistono? Sicura-mente molti, perché la santità della «portaaccanto», come ama dire Papa Francesco,ha il sapore della vita quotidiana e la fra-granza delle cose familiari. Accade un po’

come in natura: terreni diversi danno luogo a ortaggi ofrutta dal sapore e dalle proprietà differenti. Così nellavita cristiana. La fede attecchisce in contesti, epoche eluoghi differenti, generando modi unici di vivere la pro-pria santità. Ciò che meraviglia è come l’unico messag-gio di Cristo dia vita a una ricchezza di biografie origi-nali. Così è anche la vicenda umana e cristiana di donPrimo Mazzolari, parroco di Bozzolo. Nell’omelia delMercoledì santo 8 aprile il Papa lo ha ripreso commen-tando il tradimento di Giuda. Ha esclamato: «Com’è ilmistero di Giuda? Non so... Don Primo Mazzolari l’haspiegato meglio di me». Francesco ha riconosciuto chel’intuizione avuta nell’omelia del Giovedì santo 3 aprile1958, ha colto in profondità il mistero della misericordiadi Dio. La salvezza è dono di Dio: all’uomo peccatore,che scopre i propri lati di tradimento, è dato l’affida-mento a un amore che sovrasta e anticipa.

Don Mazzolari ci ha lasciato il 12 aprile 1959. Questoanniversario può essere commemorato anche recuperan-do alcuni temi fondamentali della sua proposta cristiana.Merita attenzione il libro da poco pubblicato con la cu-ra di monsignor Leonardo Sapienza dal titolo, Non misono mai vergognato di Cristo (Bologna, Edb, 2020 pagine184, euro 17).

Il rapporto tra Mazzolari e il Vangelo è il filo rossoche attraversa il volume. Qui sta la ricchezza di un testoche raccoglie scritti anche molto differenti tra loro macon l’unico denominatore comune: la spiritualità diMazzolari è profondamente evangelica. Don Primo deveessere ricordato come uomo di fede, prete innamorato diCristo, dedito gioiosamente all’annuncio della misericor-dia del Padre. Dopo aver terminato il libro, il palato dellettore si ritrova con due sapori: la gratitudine di potermeditare pagine di Mazzolari e il desiderio di accostarlonella sua interezza, andando a riscoprire i diari, le opere,gli epistolari già pubblicati. Insomma, c’è acqua frescaper chi ha sete di spiritualità.

In questo senso, l’autore della curatela ha colto nel se-gno: Mazzolari va letto nella sua profonda spiritualità.Non lo colgono nella sua verità interiore quelli che sifermano alle sole posizioni politiche, pacifiste o polemi-che, se non lo inseriscono nel quadro di una fede appas-sionata e libera. Il resto è conseguenza e non fondamen-to. Lo scrive molto chiaramente don Benvenuto Mat-teucci in un articolo commemorativo su «Il Giornaled’Italia» (22 aprile 1959): «Chi immaginasse un tuo ruo-lo politico s’ingannerebbe. Nessuna idea politica avreb-be potuto contenerti, nessun partito essere soddisfatto dite».

Le tre parti del testo sono anche un percorso di spiri-tualità. La più voluminosa è la prima: raccoglie un glos-sario in ordine alfabetico di parole entro cui sono offertealcune delle citazioni più significative di don Mazzolari.La scelta delle parole è strategica al fine del volume: alcentro c’è la spiritualità. Lo provano le oltre venti pagi-ne dedicate alla parola «sacerdote». Il messaggio al let-tore arriva chiaro e tondo. Siamo in presenza di un pre-te, di un credente che non ha rinunciato al coraggio divivere il suo ministero al servizio del popolo di Dio e inmezzo alla gente. Non potevano poi mancare le paroletipicamente mazzolariane: poveri, pace, lontani, umiltà,obbedienza, impegno, coscienza, carità, laici, vocazio-ne... Incuriosisce la forte sottolineatura che è data allarelazione con i propri vescovi. Il curatore riprende anchebrani di monsignor Giovanni Cazzani, desunti soprattut-to dall’epistolario, per mettere a fuoco il rapporto libero,fedele e obbediente di don Primo con i suoi superiori.Un assaggio che, per essere completato, rimanda oppor-tunamente al volume Un’obbedienza in piedi (Bologna,Edb, 2017).

La seconda parte è dedicata alla testimonianza. Mon-signor Sapienza dà voce ad alcuni amici di don Primoche, soprattutto dopo la sua morte, gli hanno reso atte-stati di stima. Il pregio è di averli raccolti tutti in unasola sezione, in modo da non lasciare disperso un patri-monio di voci. Alcuni nomi risultano particolarmente si-gnificativi. Sono tra i giganti del Novecento cattolicoitaliano: padre Umberto Vivarelli, don Guido Astori,Amos Zanibelli, padre Giulio Bevilacqua, padre ErnestoBalducci, don Benvenuto Matteucci e padre David Ma-ria Turoldo. La terza parte, più breve, raccoglie infine al-cune preghiere di don Mazzolari. Il libro si chiude conla preghiera per la beatificazione del servo di Dio, predi-sposta da monsignor Dante Lafranconi nel momento incui veniva avviato l’iter canonico.

La lettura del volume disegna un ritratto fedele delparroco di Bozzolo, visto con gli occhi della fede cristia-na. Sicuramente sono gli unici occhiali che Mazzolariavrebbe accettato per rileggere la sua vita. I tratti cheemergono della sua santità sono essenziali: un prete tut-to d’un pezzo e orgoglioso di esserlo, pienamente incar-nato dentro la sua vocazione, un uomo contento di esse-re cristiano, appassionato per la sua fede tanto da gio-carci tutta la sua voce e la sua intelligenza.

Non siamo in presenza della santità pensata come as-soluta coerenza o perfezione disincarnata, ma di unasantità che si è edificata sotto l’azione dello Spirito nelservizio e nella dedizione alla Chiesa. È l’esempio diquei sacerdoti che Papa Francesco nella Gaudete et exsul-tate vede come testimoni credibili, lontani da una tran-quilla mediocrità anestetizzante. «La loro testimonianzaci ricorda che la Chiesa non ha bisogno di tanti burocra-ti e funzionari, ma di missionari appassionati, divoratidall’entusiasmo di comunicare la vera vita» (138). Purela testimonianza di don Primo è stata tanto entusiastaquanto sofferta per «calunnie e incomprensioni», comeben evidenzia don Giovanni Barra nelle pagine di aper-tura del volume. Per noi lettori, non è solo questione dinon vergognarci di Mazzolari e della sua visione diChiesa. Si tratta, invece, di innamorarci di Cristo e delsuo Vangelo. La santità trasuda da cuori appassionati,mentre si spegne in esistenze mediocri. All’ombra delcampanile di Bozzolo c’è sempre da imparare.

I post «Suonate le campane»sono nati da un gruppo di amiciche andavano a trovare i detenutiPer loro registravano video di canzoniAdesso quella musica condivisaè diventata patrimonio di tutti

Il crocifisso e la colomba

Il cammino fino alla Pasqua

Andrea Mantegna, «Cristo morto» (Pinacoteca di Brera, Milano, 1475-1478)

di ANTONELLA LUMINI

Il mondo si è fermato. Il silen-zio avvolge le nostre città. Unmicroscopico organismo hamesso in crisi l’intero sistemacon una rapidità inverosimile.

L’epidemia che si è abbattuta sul mon-do, colpendo così duramente l’Italia,d’un tratto ha dato una brusca frenatad’arresto alla vertiginosa corsa dellastoria. Paura, spaesamento, grande sof-ferenza, morte, immensi danni. Quelloche ora sta accadendo allerta, interro-ga. Ci mette di fronte alla fragilitàumana facendo crollare di colpo ognifalsa illusione di autosufficienza. Sma-schera l’inganno di crederci capaci diavere il controllo e il dominio sulla vi-

ta. Non erano bastati i terremoti, leguerre, le varie sciagure viste in direttaa provocare quella scossa di consape-volezza da cui poter presagire un realecambiamento di prospettiva. Ma que-sta malattia virale che isola, allontanale persone dai loro cari nel momentodella sofferenza e dell’accompagna-mento verso la morte, mina i valori piùsacri, toccando corde che lacerano espaventano. Una sosta forse da tempoera necessaria. L’impotenza, la morte,ora venute in primo piano e non piùoccultabili, d’un colpo stanno riscuo-

tendondoci dal torpore, liberandoci datante illusorie seduzioni.

È un tempo dunque che spoglia, vi-vifica, promuove un potente processodi purificazione, predisponendo il ri-sveglio delle coscienze. Questo dolorenudo che oggi ci avvolge, fa da spec-chio all’immensa sofferenza dell’anima.Diviene l’occasione non più prorogabi-le per ascoltare la voce del silenzio checi abita e che chiede la resa. Soloquando il motore della volontà di po-tenza si ferma, il silenzio interioreemerge con forza e ci spinge a cercareluoghi o angoli silenziosi dove potersinascondere per gustarne la pace.

Il silenzio chiede abbandono, di la-sciarsi condurre verso quella misteriosaavventura che è il risveglio della vitadivina dentro di noi. Fermarsi, restarein casa, in famiglia o da soli, può dive-nire allora un momento propizio perriscoprire un ritmo più lento, più uma-no, per ascoltare se stessi e gli altri erendersi conto dell’assurdità del folleritmo di prima. Certo produce ancheforti disagi, insofferenze, soprattuttonei più piccoli e nei giovani, crisi rela-zionali. Diviene comunque una verificadel nostro stato di salute interiore.

L’abitudine a muoversi secondo unandamento frenetico porta fuori di sé,inaridisce, rende impazienti, abbrutiscel’anima che, privata dei suoi spazi inte-riori, delle sue pause di silenzio, divie-ne bramosa, insaziabile e quindi avidaperché dipendente da tutti i falsi attac-camenti che sempre più la oscurano.Questa sosta obbligata fa assaporareuna cadenza nuova, mettendo seria-mente in dubbio che tutto possa essererisucchiato nel ritmo di prima. Divieneuna vera opportunità per ritagliarsi sa-lutari momenti di silenzio e di solitudi-ne che ci permettano di rientrare innoi stessi, di ascoltare la voce dell’ani-ma che chiede bellezza, contemplazio-ne. Quando l’anima va verso il suofondo, verso quel punto in cui sempreè connessa allo Spirito, si placa, si col-ma, ritorna luminosa, benevola. Essen-do nutrita di amore, diviene capace dia m a re .

Questa pesante realtà che ci ha in-trodotti in maniera così cruda nellapassione del sangue, accompagnando

tutto il nostro cammino quaresimale, ciprepara ora a entrare in questa SantaPasqua che ci attende. La morte, gior-no dopo giorno, ha impresso a fuocodentro di noi la sua immagine più spa-ventosa per la modalità così drammati-ca con cui ha manifestato il suo lugu-bre volto. Ci ha resi partecipi dal vivodella passione e della morte di croce diCristo che è sempre attuale, che sem-pre si consuma nel mondo e che oggisi è fatta anche a noi così prossima.

umana. Il silenzio del Sabato santo,che si ricollega al silenzio del Settimogiorno, in cui l’opera creatrice si fer-ma, in cui tutto resta muto, preparadunque quello svettamento che ècome lo sprigionarsi dell’infinitapotenza dell’atomo di materia. Per-fezione compiuta, apice e polo diattrazione dell’intero universo in cuitutto va a convergere. Nuovo sole ir-radiante, sorgente straboccante dia m o re .

è morta in Lui, che è morto il suo se-me, lo spirito di menzogna che tiene invita la morte. Rivelazione che liberaanche la morte da se stessa, sempre na-scosta nell’ombra per terrore della lu-ce.

Ma come può morire la morte se ègià morta? La morte può morire soloritornando alla vita. Tutto quello che èmorto, è sottratto alla vita e come ru-bato, abusato e tenuto prigioniero. Lavita eterna, che Gesù annuncia durantela sua esistenza terrena, rivela che ilfiume della vita costantemente fluiscedall’origine, che il passaggio dentro laspazio-tempo non lo può fermare. Mala cecità provocata dallo spirito dimenzogna fa credere invece che il flus-so della vita si possa interrompere la-sciando alla morte l’ultima parola.Questo inganno è il vero potere dellamorte, è il suo nocciolo duro. La risur-rezione chiede di pacificarsi con la no-stra «sora morte corporale», di far mo-rire il seme della morte in noi che è lospirito d’inganno che ci tiene in suopotere. Entrare nel silenzio del Sabatosanto è immergersi in quella sospensio-ne in cui tutto si ferma e si fa mutoper predisporsi a partecipare della po-tenza della resurrezione.

Ma crediamo alla vita eterna, credia-mo alla risurrezione?

Se ci crediamo anche la realtà dellamorte ci apparirà sotto una nuova lu-ce. Tutti coloro che sono trapassati avita nuova, anche durante questo ulti-mo tempo di dolore, li potremo ricor-dare e piangere con cuori più pacifica-ti. La relazione continua attraverso i fi-li sottili dell’amore che è la vita dello

La preghiera si fa muta, il cuore si fa mutoEd ecco che proprio mentre tutto tacesi ode il grido che come coro dilatato e lacerantesi leva da ogni più lontano confine della terraQuando tutto tace, il grido dell’animasquarcia le barriere di contenimento e si fa udire

Proprio nell’ora più buiadi quel giorno lungo cosmico e mutoil Verbo incarnato e morto risorgeAfferma per sempre la vittoriadella vita sulla morteBellezza inenarrabile della visione pura

In questo Sabato santo il silenzioveramente s’impone. La preghiera si famuta. Il cuore si fa muto. Il cielo si famuto. Ed ecco, che proprio mentre tut-to tace, si ode il grido che come corodilatato e lacerante, si leva da ogni piùlontano confine della terra. Quandotutto tace, il grido dell’anima squarciale barriere di contenimento e si fa udi-re. Come nel tempo lungo, cosmicodella passione di Cristo, che attira a sétutto il dolore del mondo. «Gesù dis-se: Tutto è compiuto! E, chinato il ca-po, consegnò lo Spirito» (Giovanni 19,30). Dalle tre del pomeriggio del ve-nerdì fino alla mezzanotte del sabato,quel silenzio lungo, cosmico, brucia inse stesso tutti i pesi che gravano sullastoria, purificando in una catarsi uni-versale, ogni oscurità.

È il silenzio in cui anche l’op eracreatrice si ferma, è il silenzio ches’innerva nel silenzio del Settimo gior-no in cui il compimento prepara l’in-sorgere dell’Ottavo, dando inizio auna nuova creazione. Il compimento,vertice degli universi creati e increati,giunge con il silenzio che, accoglien-do e consumando ogni dolore, fa ta-cere il grido sommerso dell’anima

Proprio nell’ora più buia di quelgiorno lungo, cosmico e muto, l’attocreativo, il Verbo incarnato e morto, ri-sorge. Afferma per sempre la vittoriadella vita sulla morte. Bellezza inenar-rabile della visione pura! Il volto diLui s’imprime a fuoco in ogni cuore

come possibilità di compimento chenessuno potrà più disconoscere, seppu-re lo rimuove, lo rinnega, o di nuovolo uccide, perché, Lui già morto e ri-sorto, non può più morire, perché lamorte è morta in Lui. La risurrezione èl’annuncio universale della vittoria del-la vita sulla morte. Il Verbo incarnato,morto e risorto annuncia che la morte

Spirito di Cristo in noi e in loro, che èla forza della risurrezione in noi e inloro. Allora, lentamente, riusciremo avedere tutto questo dolore come lava-cro di purificazione sul mondo. E ve-dremo tutti loro, dall’alto, rivolgersi aguardare con immenso amore verso laterra, per effondere luce che vivifica esantifica.

Dio scrive con la lucedi SERGIO MASSIRONI

Non un morto, ma quel mor-to. Travolti dai numeri, cheogni giorno vorrebbero mi-surare l’andamento di unapandemia che strappa alla

vita migliaia di persone, sperimentiamocol silenzio del sabato santo il valore diuno solo. Nel vuoto che il Cristo lascia sicomprende autenticamente la morte diciascuno. Il vangelo attribuisce qui alledonne una conoscenza migliore della real-tà, indicando nei gesti di chi unge il cor-po del Maestro la giusta percezionedell’incommensurabile. Maria di Betania,che sei giorni prima della Pasqua non te-me di versare un anno di lavoro — t re c e n -to denari di puro nardo — su quel corpoche tutto le ha dato, e le discepole che ap-pena passato il sabato escono allo scoper-to per rendere bello, persino nell’immobi-lità della morte, il solo che le abbia vera-mente amate, dicono a noi che cosa nelsepolcro sia realmente in gioco. C’è infattiuna scienza che non bada a numeri e amisure, perché ne precede e ne sorpassa ilcompito: è la scienza del particolare, chenella res extensa distingue la scena umanae in essa fa spazio all’evento, attende ilnuovo, apprezza il finito.

In un film sorprendente dei fratelliCohen, Ave Cesare, il personaggio che inmodo rocambolesco arriva a impersonareil centurione recita ad Hollywood il suodiscorso sotto la croce: «Ha visto il pecca-to e ha dato amore; ha visto ogni miopeccato e l’avidità, ma nei suoi occhi nonho visto l’ombra di un rimprovero: ho vi-sto solo luce, la luce di Dio». Il subalter-no interrompe il centurione dicendo: «Vo-

levi dire degli dei». Ma il centurioneesclama: «No, non volevo: questo ebreo èfiglio dell’unico Dio, il Dio di questa re-mota stirpe. E perché non dovrebbe appa-rire qui l’unto di Dio, tra queste genti sco-nosciute, a farsi carico dei loro peccatiqui, in questa terra inondata dal sole? Per-ché non dovrebbe prendere questa forma,la forma di un uomo comune, un uomoche non porta a noi antiche verità, ma unanuova verità, una verità oltre la verità chenoi vediamo, una verità oltre questo mon-do, una verità detta non a parole ma conla luce? Se solo avessimo… se solo avessi-mo una...». Il regista urla: «Stop! Stop!Se solo avessimo fede!».

può parlare e far nascere la libertà di unarisposta alla sua chiamata. Mannix prendeallora la sua decisione. Ebbene, il film sichiude con una voce fuori campo: «Lestorie iniziano, le storie finiscono e così èstato, ma la storia di Eddie Mannix nonfinirà mai, perché il suo racconto è scrittocon la luce eterna». Il punto è dunquenell’intreccio tra la singolarità di Gesù equella di Eddie Mannix, cioè quella diciascuno.

Nel buio del venerdì santo Dio scrivecon la luce. Il centurione — pagano pereccellenza, estraneo a qualsiasi scienza, fe-dele inaspettato — vede ciò che i fedelinon vedono ancora. Il sabato santo, poi,che anzitutto è sabato: quello di Israele,

ri», lamenterà immortalando scene di vitanella banlieu.

Non basta infatti che il sipario si degnidi alzarsi o che il velo si squarci. C’è unappello da cogliere, una risposta da dare.Il sabato santo — lasciano intendere i van-geli — non fu lo stesso per tutti. «Meritaredi avere gli occhi» scrive Doisneau: «Cisono giorni in cui il semplice fatto di ve-dere è sentito come una vera felicità. Si ècosì leggeri... Ci si sente così ricchi che viprende la voglia di condividere con gli al-tri un piacere troppo grande. Il ricordo diquei momenti è ciò che ho di più prezio-so. Forse a causa della loro rarità. Un cen-tesimo di secondo qua, un centesimo disecondo là, messi uno in cima all’altro intutto non fanno mai più di uno, due, tresecondi sottratti all’eternità».

Un centesimo di secondo forse bastò al-la risurrezione. E nessun fotografo era là,perché la missione di Cristo mai mirò acalamitare attenzione. Piuttosto a risve-gliare attenzione. «Non parla per attiraresu di sé un briciolo d’amore. Quello chevuole, non per sé lo vuole. Non dice:amatemi. Dice: amatevi». Così ChristianBobin descrive «l’uomo che cammina»,grazie al quale si fa possibile ogni cammi-no. Ebbene, anche nella buia situazioneche il mondo ora attraversa, la luce prima-verile entra dalle finestre e può guariresguardi incerti. Crolla tutto, ma perché ciaccorgiamo che non era tutto. La luceeterna indica il particolare, riscatta il fini-to, nutre di sé i germogli, tra le maceriedel mondo vecchio. Caifa aveva decretato:«Voi non capite nulla e non consideratecome sia meglio che muoia un solo uomoper il popolo e non perisca la nazione in-tera». Uno solo per lui è niente. «La Veri-tà che egli serve non ha infatti alcun rap-porto con gli altri esseri umani; è una Ve-rità assoluta, incontrovertibile, imperitura,sovrastorica. Ogni sporgenza singolaredella vita diviene una zavorra inutile difronte alla ratio della identificazione tota-lizzante alla Causa universale». MassimoRecalcati coglie perfettamente la dinamicasu cui Giovanni evangelista gioca la suaironia: «Questo però non lo disse da sestesso, ma essendo sommo sacerdote pro-fetizzò che Gesù doveva morire per la na-

di MARCO BECK

Un frullo d’ali, rapido, improvviso, lassù in alto,esattamente in verticale al di sopra della crocedove il condannato a morte si torceva negli spasmi.

Bianco, immacolato, il volatile spiccava sullo sfondodel cielo incupito da uno strato di nubi tenebrose.«Guardate là!» proruppe uno dei soldati del plotoneall’indirizzo dei suoi commilitoni. «Una colomba!Una facile preda! Vedete come quasi non si muove?Come resta in quella posizione, sopra il crocifisso?».E prima che il suo capo, il centurione, potesse fermarlo,precludendogli l’azione che tramava, che bramava,l’arco da guerra d’ordinanza impugnò, arma micidiale.Dalla faretra scelse, estrasse una freccia, l’inco ccò,tese il nervo della corda, prese la mira in un baleno,poi fece saettare il dardo vibrante, acuminato,verso quel bersaglio che indifeso, immoto, indifferenteal pericolo, sembrava sfidare la perizia dell’a rc i e re .

Nel caliginoso grigiore del primo pomeriggio invasoda un oscuro crepuscolo precoce, la candida colombaebbe appena un lieve tremito. Senza uno strido sussultò.Si vide la freccia proseguire fulminea la sua corsa,quindi declinare, di là dall’orlo del Calvario scomparire.Pensò il soldato d’aver sbagliato mira. Credetteroanche gli astanti che il tiro fosse andato a vuoto.Invece la saetta aveva perforato e ucciso la colomba:dopo un istante cadde di schianto alla base della croce,a un passo dalla Madre che piangeva, rannicchiata,il supplizio del Figlio, all’infame patibolo inchiodato.Gocce di purpureo sangue dell’uomo agonizzantestillarono lente, dai piedi suoi trafitti, martoriati,sul bianco corpicino ch’era stato da parte a partesimilmente trapassato, così venendo a mescolarsi,a fondersi col sangue zampillante dalla duplice ferita.Si fece intanto avanti il soldato trionfante, il protervocacciatore, a sé rivendicando il possesso della preda.Ma fu dal comandante, da un suo gesto perentorio,da un ordine sferzante — «Subsiste!, férmati!» — blo ccato.

Accadde allora un fatto imprevedibile, fonte di stupore.A fatica alzatasi da terra, la Madre Addoloratasi curvò fino a raccogliere, con trepida dolcezza,

la vittima di quello stolido, gratuito atto di violenza.Configurò la mano a nido, a conca dove accolseil minuto, bellissimo animale. Freddo lo sentì,gelido di morte, irrigidito, eppure misteriosamenteancora come palpitante di un residuo alito segreto.Provava in quel momento la medesima impressionedi quando, più di trent’anni prima, con lo sposoche lo reggeva in braccio, al vecchio profeta avevaper il proprio rito di purificazione presentato il bimbodi quaranta giorni. E in entrambe le mani aveva strettoi due giovani colombi prescritti dalla legge di Mosècome offerta per il primogenito al Signore d’Israele.La stessa impalpabile, liscia consistenza ora avvertivadella forma affusolata, del morbido piumaggio.

Un’ondata d’amore travolgente, traboccante per Gesù,ritornato per un attimo bambino nel suo cuore,le fece — mentre con il palmo copriva, avviluppaval’esanime colomba, macchiandosi la mano del sanguedi ambedue le vittime come in un calice versato,cui le sue ciglia aggiunsero perle di lacrime materne —alzare gli occhi verso il Figlio ridotto in punto ormaidi morte, all’impulso obbedendo d’a c c a re z z a rg l iper un’ultima volta, solo con lo sguardo, il volto amato.«Padre» sentì che rauco sussurrava, quasi rantolando,«nelle tue mani, Padre, ecco, il mio spirito consegno».E detto questo, ed emesso infine un grido sovrumano,il capo reclinò e più non diede segni visibili di vita.

Gridò anche Maria con tutta la pur debole forzache in fondo alle viscere giaceva. Gridò il suo strazio,lo sconvolgimento del corpo e dell’anima di madre.Tacque solamente nell’istante in cui si accorseche un evento inconcepibile stava per avere luogo.Un movimento si manifestò, impercettibile dapprima,poi gradatamente sempre più deciso, pronunciato,dentro il nido di carne, la sua mano, che non potérestare chiusa: inaudita, una potenza gliela spalancò.E il volatile trafitto, la colomba fino allora inerte,quasi l’avesse risanata il contatto con le dita amorosedella Madre del Cristo crocifisso, spiegate le sue aliin tutta la possibile apertura, nuovamente liberaspiccò, pulsante di vitalità risorta, il volo verso il cielo.

Il venerdì tutto crolla ma il velo del tempio si squarciaCon il sabato invece inizia la possibilità di vedere qualcosaed esso si configura come lo spazio del riposo e della meravigliache rubano la scena all’abisso del caos

I Cohen riportano a quel punto l’atten-zione sul protagonista, il regista Mannix,che deve una risposta definitiva alla casacinematografica che gli sta offrendo lapossibilità di realizzare il suo sogno.Combattuto su chi lui debba essere — se-guire la vocazione artistica o intraprenderestrade professionalmente più sicure — sireca di nuovo alla grata del confessionale(più volte ciò avviene nel film) dove il sa-cerdote lo invita a seguire soltanto ciò chegli detta la sua coscienza, lì dove solo Dio

sosta di tutti. Oggi persino l’O ccidentefrenetico sta sperimentando cosa sia fer-marsi, restare a casa. Il venerdì tutto crol-la, ma il velo del tempio si squarcia; colsabato inizia la possibilità di vedere oltre.Certo, ogni sosta può presentarsi comeprigione, incubo, disperazione: il cuoreumano è abitato da ombre, una voragine espesso ci muoviamo ininterrottamente persfuggirgli. Eppure, la grazia lo attraversa,una fessura fa filtrare la luce. Sabato è ilsettimo giorno, non il punto zero: spaziodel riposo e della meraviglia che rubano lascena all’abisso del caos. Lo sguardo diDio su ciò che ha creato, sulla bellezzache attraversa il finito, viene sperimentatonello shabbat da tutto Israele. Questa cor-nice offre Dio al Figlio sepolto. Gesù è fi-nito. Ma il finito è infinito, compiuto ebello quando entra nello sguardo divino.L’annientamento dell’unico, del solo, deldifferente, va guardato con occhi che pas-sino dalla cecità alla luce. Il sabato è tem-po per guarire, per cambiare, per giungere

Untitled (To Pat and Bob Rohm), 1969(«Dan Flavin, 2 works»

Judd Foundation, New York, 2015)Sotto: George Clooney, «Ave, Cesare!»

(Joel ed Ethan Coen, 2016)

a una adeguata rappresentazione dellarealtà. Tempo per rispondere alla luce cheil centurione ha colto per primo.

Foto-grafia significa scrittura della luce.Un’arte tanto diffusa, quanto capace di ri-chiamarci alla sola possibilità che ci strap-pi all’oblio. «In qualsiasi posto c’è semprequalcosa che sta per succedere. Bastaaspettare a lungo perché il sipario si degnidi alzarsi. E così io aspetto e, ogni volta,mi viene sempre ironicamente in mente lafrase paradossale: Parigi è un teatro dovesi paga il posto per il tempo perso. E ioaspetto». Robert Doisneau nel 1950, sedu-to in un caffè parigino, scatta la sua foto-grafia più famosa. Nel traffico di auto, tral’incedere della folla di fronte all’Hotel deVille, un uomo e una donna, camminandoabbracciati, ad un tratto si baciano appas-sionatamente. «Veramente la gente non simeritava di avere gli occhi e così tuttaquella bella gioventù non aveva spettato-

zione e non per la nazione soltanto, maanche per riunire insieme i figli di Dioche erano dispersi». Non un numero, maun nome: Gesù. Ciò che manca ai numerisono i nomi, grazie ai quali ciascuno puòessere chiamato.

La Pasqua oppone a questo tempo in-fausto, a ogni tragedia e fanatismo — delsacro, del denaro, della salute, dell’effi-cienza — la luce divina che avvolge il Fi-glio. L’amico Giovanni Chiaramonte, dacui molti attraverso un obiettivo hanno«imparato a guardare», testimonia cometutto in Cristo ridiventa nuovo: «La miafotografia è stata ed è un viaggio senza fi-ne, un pellegrinaggio in ogni luogo delmondo toccato dalla civiltà occidentale al-la quale appartengo, perché in ogni luogodel mondo l’ora del tempo si può illumi-nare della parola che supera ogni distanzae si fa presente nel cuore di ogni persona,come di ogni essere, come di ogni cosa».

PUNTI DI RESISTENZA

di SI LV I A GUIDI

Il lievito non è facile da trovare in que-sti giorni; in tanti hanno riscoperto lapossibilità di fare il pane a casa e ladomanda spesso è più alta dell’offerta.Le alternative ci sono (mescolare bicar-

bonato e succo di limone, fare a casa il lievitomadre) ma perché non trasformare anche que-sta mancanza in un’occasione di memoria?L’idea si è propagata velocemente sul web:«In questi giorni di attesa, e soprattutto lanotte della veglia pasquale preparate in casadel pane azzimo; riscopriamo il significato disimboli che non sono più in grado di parlarci!

nella storia di ciascuno di noi». Questa stranaQuaresima, questo Venerdì santo che sembranon finire mai è un momento «di molta inven-tiva, di creatività» ha detto Papa Francesco ri-spondendo ad Austen Ivereigh. Bisogna «ave-re cura dell’ora, ma per il domani. Tutto que-sto con creatività. Una creatività semplice, cheogni giorno inventa qualcosa. In famiglia nonè difficile scoprirla».

Di invenzioni casalinghe ne abbiamo vistemolte, in questi giorni: tra le tante ricordiamola Domenica delle palme di una famiglia pari-gina con bimbi piccoli confinati a casa. Graziea pennelli, colori, forbici le loro “palme”, l’im-pronta verde delle loro mani è diventata unciuffo di carta sfrangiata, che ha festeggiatol’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Papa Fran-cesco, nell’intervista, cita un verso di Virgilio,meminisce iuvabit. «Farà bene recuperare la me-moria, perché la memoria ci aiuterà. Oggi ètempo di recuperare la memoria. (…) Dobbia-mo recuperare la memoria delle radici, dellatradizione, che è “memoriosa”». Ogni famigliacristiana ha i suoi riti casalinghi e i suoi sim-boli di risurrezione in cucina: dal grano dellapastiera napoletana agli spettacolari altari dipane siciliani, dalle uova benedette ai germoglicoltivati in vaso.

«Dicono che sia un’invenzione dei monaci,secoli fa, per la gente di questa terra di Cala-bria, evangelizzata proprio da loro. Un paneche accompagna i giorni santi del Triduo —scrivono le suore agostiniane di Rossano nellaloro newsletter, spiegando la ricetta dei cuddu-ri, pani intrecciati, con incastonate una o piùuova —. La prima volta che ce ne fecero donopensavamo si potesse mangiare come tutti glialtri tipi di pane. Invece no. Sono i pani dellacondivisione e dell’amicizia: a tutti ne vienedata una porzione al termine della celebrazio-ne del Giovedì santo. Sono il pane che ci ac-compagna fino al giorno di Pasqua; l’uovo che

contengono dice già promessa di vita nuova,risorta». Condividere buon cibo nella Rete si-gnifica anche spezzare il pane della parola, re-galarsi a vicenda storie buone, parole dense ecariche di significato, nello spazio di un tweet.«Ieri notte la Rai — scrive Leonardo Guzzo —mandava un servizio di costume sull’e p i c e n t rodel virus. Nelle immagini di Milano ferita, delnord martoriato, di tutta l’Italia finita nellamorsa c’era un grande silenzio. E poi, più sot-to, come un fruscio insorgente, un battitod’ali. “Di tutte queste ali”». Che nesso ci puòmai essere tra l’ebbrezza del volo e questo pa-norama desolato? «Ho cercato di capire — silegge nel post — da dove mi venisse questasuggestione finché non ho ritrovato questabellissima poesia di Giorgia Meriggi: “Tu con-tali i cipressi accomodati / da potature a conoassecondare / il limite di questo cimitero / Ve-niamo qui a criticare l’edera, a divorare i nomi,a procurare / gemiti alla ghiaia, qui troppobianca / Io me ne devo andare / Non soppor-to il pianto dell’intonaco / l’odore di canforadi tutte queste ali».

Bisogna allenarsi a trasformare ogni situa-zione di limite in un’occasione, ci dice il Papa,e ci mostra la Chiesa che in questi giorni hamostrato una fantasia commovente: messe ce-lebrate sui tetti, canti quaresimali diffusi perstrada col megafono, processioni di vescoviche camminano da soli nelle strade deserte —come è successo a Salerno — gruppi che rac-colgono su Facebook riti e suoni di una Setti-mana santa fuori dall’ordinario, confessioni viacellulare, con contatto visivo ma a distanzaprotetta, con il sacerdote che parcheggia la suamacchina accanto a quella del penitente.Sguardi che si parlano attraverso un finestrinochiuso o una visiera trasparente nella corsia diun ospedale. La sfida è trasformare il limite inun alleato, sempre. Qualsiasi sia il limite. E inquesto, paradossalmente, siamo aiutati anche

dal limite degli altri. La serie di video «Suona-te le campane», molto diffusa sul web è natacosì: da un gruppo di amici che andava “in ca-ritativa” dai detenuti di San Vittore e per lororegistrava video di canzoni o musica da came-ra (nel senso di fatta in casa). Adesso quellemanciate di minuti di bellezza condivisa stan-no diventando patrimonio di tutti noi, improv-visamente agli arresti domiciliari. Video brevi,a volte brevissimi, come quello (postato da mi-gliaia di persone) di quattro ragazzi su un bal-cone, a Madrid, che cantano una struggentelaude alla Madonna, Cuando de mi patrona. Ocome il sorriso radioso di Cristiana di Bolo-gna, che ha ricevuto dal suo vescovo l’incaricodi portare l’eucaristia ai malati, e ha imparatoa consolare i pazienti anziani e spaventati conmeno parole possibili: «Sono solo un’infermie-ra, e sono pure vestita da marziana ma questoè l’abbraccio di Gesù».

Bisogna farlo in fretta il pane, soprattuttoquando si è alla vigilia di un passaggio, di unapasqua. Anche l’agnello, dice il libro dell’Eso-do, deve essere mangiato in piedi, senza lascia-re avanzi. Nella fretta dell’uscita dall’Egitto,gli ebrei “cuocevano la pasta che avevano por-tato dall’Egitto in focacce non fermentate”».Non c’era il tempo di aspettare, dovevanomangiare subito quel pane, simbolo della libe-razione vicina. La libertà chiede di mettersi incammino in fretta, e gli azzimi sono una pro-messa di liberazione. «Questo pane “velo ce”rappresenta tutta la potenza dell’opera di Dio

Page 5: Dal silenzio del sepolcro alla gioia della Risurrezione€¦ · ne. Grazie per tutto quello che fate. Vorrei dirVi che sono a disposizione per dare una mano sempre. Contate su di

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 domenica 12 aprile 2020

La pandemia ha aggravato le precarie condizioni dei rom in molte città italiane

Emergenza nell’e m e rg e n z adi GIORDANO CONTU

C’è un’emergenza nell’emer-genza. È la realtà di moltirom, sinti, camminanti, cir-

censi e giostrai che durante questapandemia vivono in condizioni sani-tarie e alimentari preoccupanti. Lagran parte di queste 170.000 personerisiede in abitazioni e la metà ha cit-tadinanza italiana, ma decine di mi-gliaia di loro vivono nei campi. Gliadulti non lavorano da settimane e ibambini sono lontani da scuola. LaGiornata internazionale del popoloromanì, che si è celebrata l’8 aprilescorso, è coincisa quest’anno con

i compiti, mentre noi li aiutiamofornendo i quaderni e la cancelleriache provvediamo a raccogliere ognianno». In città l’organismo pastora-le della Conferenza episcopale italia-na (Cei) ha una solida tradizionenel sostegno educativo dei bimbiche grazie al progetto «Amalipe»,oggi gestito dall’amministrazionepubblica, li accompagnava a scuolain pulmino, gli offriva il pranzo eanche il doposcuola. «L’annuncio diGesù Cristo resta difficile perché sispostano spesso e le ragazze diven-tano subito madri», confida il sacer-dote, che da diciotto anni cerca dicoinvolgerli nella vita della parroc-

Tra le casette prefabbricate deivillaggi attrezzati, come in qualsiasiluogo di aggregazione, il rischio ef-fettivo che nascano dei focolai dicontagio del virus è alto, ma questoaumenta tra le baracche, le roulottee le automobili degli insediamentiabusivi. A Roma c’è un piano persmantellarli e il comune ha già asse-gnato una casa popolare ad alcuninuclei familiari rom, però sono an-cora cinquemila quelli che vivononei campi e soltanto la metà in inse-diamenti organizzati. «Sono condi-zioni molto pericolose nell’eventuali-tà di un contagio. Sarebbe difficilis-simo intervenire», avverte monsi-gnor Palmieri. Gli spazi attrezzatisono presidiati dalla polizia munici-pale e si esce solo per fare la spesa,ma il problema — spiega il vescovoausiliare — riguarda anche novantaedifici occupati, quasi settemila per-sone che vivono per strada e le nuo-ve povertà: la gente che ha perso illavoro, chi è in cassa integrazione,che attende il reddito d’emergenza oquello di cittadinanza. Per loro oggisono attivi oltre centoventi centridiocesani di distribuzione del cibogestiti da Caritas italiana e Comuni-tà di Sant’Egidio. «Roma — sottoli-nea il presule — ha una lunga tradi-zione di solidarietà e non ha maiavuto un problema di cibo. Per laprima volta c’è una situazione gravee diffusa su cui interveniamo in col-laborazione con il governo e la re-gione», segnalando anche i soggettifragili nei campi rom.

«La politica dei villaggi attrezzati— continua monsignor Palmieri —adesso mostra tutto il suo limite. Lìdove si è proceduto all’assegnazionedelle case popolari, i processi di in-tegrazione sono stati favoriti, mentrenei campi si sono creati dei ghetti equesti sono particolarmente perico-losi e fragili». Infatti, a Torino sonotre i rom ricoverati, mentre una don-na anziana è isolata in quarantenanella sua roulotte, dichiara il diretto-re locale di Migrantes, Sergio Du-rando. Anche nel capoluogo pie-montese c’è un piano per eliminarele baraccopoli e la diocesi ha messoa disposizione alcuni immobili, maun migliaio di rom, sinti e giostraivive ancora nei campi. Per questoall’inizio della crisi sanitaria alcunefamiglie sono andate via.

A Giugliano, in Campania, donFrancesco Riccio, parroco di SanPio X, monitora la situazione e ga-rantisce i viveri in un insediamentoabusivo in cui abitano oltre quattro-cento persone, di cui la maggiorparte minori. «Qui non c’è nulla dicivile», racconta. «Non c’è il bagno.Non c’è una cucina. C’è una fonta-na in mezzo dove ognuno si va asciacquare. Per il resto ci sono rou-lotte, automobili, furgoncini e qual-che baracca di legno». Sono passati

una volta per fare una sanificazione,dice, ma con la scuola è tutto fermo.«Lo scorso anno — ricorda il parro-co — un prete portava i bambini afare lezione in una scuola religiosadi Napoli, ma dopo un precedentesgombero i genitori non si sono piùvoluti allontanare dai figli perchéavevano paura che glieli togliesse-ro». Nonostante le difficoltà, un an-no fa la parrocchia ha iniziato unpercorso di integrazione con una fa-miglia rom: «Quest’estate abbiamoportato i bambini a fare un campoestivo in montagna. Prima di Natalesono stati battezzati. Il sabato fre-quentano l’Azione cattolica. Vengo-no a messa con gli altri bambini.Ora stavamo per iniziare con lascuola, ma con il coronavirus si èbloccato tutto». La pandemia ha so-lo rinviato una grande gioia: duran-te l’allontanamento dal campo è na-ta una bambina e la parrocchia hatrovato un alloggio in affitto per al-cuni membri di questa famiglia, macon l’emergenza da coronavirus han-no preferito rimanere nell’insedia-mento insieme ai loro familiari.

«Sono serviti tempo e pazienzaper creare le condizioni di acco-glienza necessarie per la loro inte-grazione tra i giuglianesi», spiegadon Francesco. «La comunità si co-struisce nell’amicizia e nella cono-scenza, altrimenti si rischia solo dicreare nuovi ghetti o di imporre del-le presenze che non diventano maiamicali». È proprio quello che è ac-caduto a Pescara. Qui non ci sonoquasi più i villaggi organizzati ocampi improvvisati, perché gli italia-ni di etnia rom vivono negli appar-tamenti. Sono circa quattrocento lefamiglie che abitano in una ventinadi palazzi situati nella periferia delcapoluogo abruzzese. «Sono diven-tati stanziali — racconta don EnricoD’Antonio, parroco della foranìa diPescara sud — ma sono ghettizzati.Qui abitano anche famiglie di spic-co. C’è scarsa integrazione e spessosono un problema a causa della mi-crocriminalità». L’emergenza da co-ronavirus ha limitato l’attività pasto-rali della parrocchia che qui assisteuna quindicina di famiglie e alcunianziani, ma la Caritas garantisce glialimenti.

Una delle città più colpite dallapandemia è Milano, dove si è lace-rato il tessuto sociale soprattutto inperiferia. Qui, a fine marzo ungruppo di rom di origine romena haoccupato alcuni appartamenti sfitti,creando un clima di paura tra gliabitanti, fra cui molti altri rom.Quello che però salta agli occhi disuor Claudia Biondi, alla guidadell’unità mobile di Caritas Ambro-siana che monitora i tanti campi in-formali, è la situazione dei giostrai edei circensi. «Non abbiamo maiavuto richieste di cibo dal mondodello spettacolo viaggiante, costitui-to in genere da famiglie autonome,che lavorano e vivono in un discretobenessere». Tuttavia, a causa dellapandemia sono stati cancellati ilCarnevale ambrosiano la Festa diprimavera. Perciò «i gestori di lunapark — sottolinea la religiosa — sonofermi e la situazione è ancora piùdrammatica nei circhi, dove la vita sisvolge a stretto contatto con gli ani-mali».

La Giornata internazionale deirom è una ricorrenza in cui si cele-bra, come accade ogni anno, la co-stituzione dell’Unione Romanì, rico-nosciuta dalla Nazioni Unite nel1979. È un’occasione per ricordare ilP o ra j m o s , il genocidio di centinaia dimigliaia di nomadi perpetrato du-rante la seconda guerra mondiale daparte dei regimi totalitari. Ancoraoggi i rom sono la minoranza più di-scriminata in Europa. In Italia, peresempio, la gran parte di queste fa-miglie risiede in abitazioni popolario appartamenti di proprietà e oltre il50 per cento di loro ha la cittadinan-za italiana. «Questa popolazione —ricorda il delegato diocesano per lapastorale dei migranti e dei rom — èstata fatta oggetto di un giudizio chespesso rasenta il pregiudizio, la diffi-denza e l’ostilità. Sicuramente —conclude monsignor Palmieri — c’ècriminalità in certi settori, ma pensa-re che coincidano con la maggioran-za del mondo rom è davvero insop-portabile». Questo creerebbe undoppio muro eretto da chi giudica eda chi si sente giudicato. Invece,un’integrazione è sempre possibile,come testimonia l’impegno di tanteorganizzazioni ecclesiastiche, enti ca-ritativi e delle parrocchie. La diversi-tà è sicuramente una ricchezza e lapovertà non significa soltanto mise-ria, ma insegna, invece, il valore allecose essenziali della vita.

Il portale jesuits.online sulle iniziative ai tempi della pandemia

A sostegno della fede

ROMA, 11. Informare sulle numerose iniziative intraprese in tutto ilmondo di fronte alla pandemia del coronavirus: è questo l’obiettivodel nuovo portale jesuits.online realizzato della curia generalizia dellaCompagnia di Gesù.

Disponibile in inglese, francese, spagnolo, italiano e tedesco, il por-tale contiene link ai siti web delle diverse comunità della Compagniadi Gesù sparse nel mondo che illustrano quanto stanno facendo i ge-suiti in questo periodo di emergenza: dagli aiuti materiali soprattuttoai più poveri nel mondo, le prime vittime della pandemia e delle sueconseguenze economiche, alle diverse iniziative per sostenere la fededei cristiani, come le messe in streaming, meditazioni e ritiri on-line.

Secondo il preposito generale, padre Arturo Sosa, questa crisi avràun impatto sulle relazioni umane, sul lavoro, sull’economia, sul mododi pregare e di portare avanti la missione dei gesuiti. «Stiamo impa-rando nuove abitudini; costruendo nuove strutture. Siamo chiamati aessere più creativi, è un momento — ha detto — di conversione e que-ste iniziative fanno vedere come il Vangelo viene vissuto in ogni mo-mento. Mostrano come possiamo reagire, che non dobbiamo lasciareche la pandemia ci condizioni: possiamo decidere come vivere e a cosadare priorità».

Un rapporto sugli abusi nella Chiesa giapponese

Piena luceaffinché non accada più

TO KY O, 11. Sedici casi, che rappre-sentano solo “la punta dell’iceb erg”perché «è molto probabile che cisiano ancora persone che non rie-scono a denunciare, e quindi il veronumero di vittime di abusi e violen-ze sessuali rimane sconosciuto».Anche la Conferenza episcopalegiapponese ha cominciato a indaga-re sulla triste piaga degli abusi ses-suali su minori commessi da religio-si e sacerdoti. Il risultato è uno stu-dio, pubblicato nei giorni scorsi sulsuo sito in rete, che si basa suquanto riportato dalle sedici dioce-si, dalle quaranta comunità religiosemaschili e cinquantacinque femmi-nili che compongono la Chiesa cat-tolica. «È dal 2002 che i vescovi in-dagano sugli abusi sessuali da partedel clero e dei religiosi in Giappo-ne. A causa della difficoltà nel com-prendere la situazione e nei metodidi indagine, questo rapporto è usci-to molto in ritardo, e ora abbiamodeciso di pubblicare i risultati»,scrive l’arcivescovo di Nagasaki, Jo-seph Mitsuaki Takami, presidentedell’episcopato, in una lettera cheaccompagna la ricerca. «Vogliamocogliere questa opportunità perchiedere perdono alle vittime e atutte le persone coinvolte», aggiun-ge, promettendo che si continuerà alavorare «per comprendere appienola realtà» e si farà «il meglio perimpedire che queste cose accadanodi nuovo».

La maggior parte degli episodirisale a molto tempo fa, addiritturaagli anni Cinquanta, Sessanta eSettanta del secolo scorso; i duepiù recenti sono del 2010. Le vitti-me avevano un’età inferiore ai 17anni, una meno di 6 anni. Gli accu-sati sono anch’essi sedici: sette sa-cerdoti diocesani giapponesi, otto

religiosi o missionari (di cui settecittadini stranieri), più una personadi cui non è noto il ruolo. Quattroi casi in cui l’abusatore ha ammessola colpa. Le indagini e i risultati so-no stati sempre mantenuti segreti.Le segnalazioni sono avvenute inun arco di tempo molto vario ri-spetto all’abuso e in molti casi han-no avuto come conseguenza un in-contro tra la vittima e il vescovo oil superiore. Quando «l’autore haammesso le accuse — si legge nelrapporto — si è risposto secondo idesideri della vittima, in molti casiraggiungendo una qualche forma disoluzione o conciliazione», mentrequando «la persona sospetta ha re-spinto l’accusa o si è rifiutata di ri-spondere durante le verifiche» la vi-cenda «si è conclusa con una rispo-sta inadeguata», cioè «con le scusedel vescovo diocesano o del supe-riore». Riguardo questa inadegua-tezza, che ha contraddistinto la ri-sposta della Chiesa ad alcune vi-cende e più in generale all’intero fe-nomeno, lo studio mette in luce«inadempienze sostanziali nel gesti-re certi casi» e indica che le diocesie le congregazioni coinvolte do-vranno istituire dei “comitati terzi”che esamineranno se gli episodi so-no stati affrontati in modo adegua-to. «Entro sei mesi i vescovi dioce-sani dovranno riferire al presidentedella Conferenza episcopale» i ri-sultati delle proprie indagini, si sot-tolinea, restando l’impegno dellaChiesa nipponica quello di conti-nuare a lavorare per «sradicare ogniforma di abuso e violenza».

Il dossier dà poi indicazioni sucome comportarsi da un punto divista delle procedure, alla luce delmotu proprio di Papa Francesco Vo sestis lux mundi.

I vescovi messicani lanciano un’applicazione per cellulari

Per rimanere unitiCITTÀ DEL ME S S I C O, 11. Si chiamaAppostolica, «la Chiesa adesso piùvicina a te», ed è l’applicazione pertelefoni cellulari lanciata, nei giorniscorsi, dai vescovi del Messico. Conquesta iniziativa tecnologica, i pre-suli offrono un nuovo strumento,gratuito, con l’obiettivo, soprattuttoin questo periodo di emergenza, di«unire il popolo di Dio attorno aipilastri della nostra fede: la Paroladi Dio, il magistero, la liturgia e lap re g h i e r a » .

Attraverso l’applicazione è possi-bile «portare sempre la Bibbia conte», scrive l’episcopato messicano,leggendo i libri, i capitoli e i verset-ti che si ricercano; avere i testi dellaliturgia di ogni giorno della setti-mana, sia delle messe che della li-turgia delle ore; conoscere i testi ec-clesiali più importanti; cercare leparrocchie, con gli orari e le attivitàe molto altro ancora. Si tratta dellaprima versione dell’applicazione,sperando che con la collaborazionedi tutti, migliorerà nei futuri ag-giornamenti.

In un comunicato i vescovi sotto-lineano che Appostolica «è il risul-tato del lavoro della Conferenzaepiscopale messicana. Questa appli-cazione è presentata in questi giorniparticolarmente difficili, in cui mol-te persone riescono a rimanere incontatto attraverso le moderne tec-nologie informatiche». I presuli sot-tolineano che quest’ultimo strumen-to tecnologico è in continuità conla lunga tradizione comunicativadella Chiesa, che «fin dall’iniziodella sua storia, ha intrapreso la

missione di proclamare il Vangeloin tutto il mondo e per questo hafatto uso dei mezzi di comunicazio-ne alla sua portata». Per scaricarel’applicazione occorre digitare:www.appostolica.com. Il comunica-to, si conclude affidando «nelle ma-ni di nostra Madre Maria, la salutedei malati, tutto il popolo di Dioche in questi giorni soffre a causadell’emergenza sanitaria covid-19».

Nei giorni scorsi, la Conferenzaepiscopale ha pubblicato un vade-mecum sul ruolo del sacerdote di-nanzi all’emergenza della pande-mia. È una sorta di librettosull’esercizio del sacerdozio nel-l’emergenza sanitaria del coronavi-rus. «Il sacerdote — si legge nelcontributo dei presuli — deve essereun grande ponte di unione tra Dioe i suoi figli». Responsabilità, pre-ghiera, solidarietà, servizio e pru-denza, sono i titoli di ogni partedel documento, che motiva l’azionepastorale in questa situazione diemergenza sanitaria, illustrando al-cuni elementi della prevenzione perimpedire il diffondersi del virus.

Kaoru Kawano, «Tanpopo» (1950)

l’allarme coronavirus. In questo pe-riodo le chiese locali e le organizza-zioni cattoliche offrono cibo e cure,assicurando iniziative di welfare asettori della società che rischiano difinire in fondo all’agenda delle ur-genze. «Da un riscontro che ho avu-to da soggetti ecclesiali emerge unasituazione allarmante nei campi romche riguarda soprattutto l’asp ettoalimentare», spiega a «L’O sservato-re Romano» monsignor GianpieroPalmieri, vescovo ausiliare di Romae delegato diocesano per la pastora-le dei migranti e dei rom. «Attual-mente — continua il presule — nonci risultano casi di contagio. Ora cistiamo attrezzando per fare una di-stribuzione di cibo straordinaria in-torno a sei grandi villaggi, mentredal punto di vista sanitario intervie-ne un camper dell’ospedale Bambi-no Gesù che fa un monitoraggio pe-diatrico settimanale».

In tutta Italia, infatti, il principaleproblema delle fasce più fragili dellasocietà è la fame. Infatti, anche tra irom chi in genere fa l’operaio, rac-coglie metalli o chiede l’elemosinaper le strade delle città, di fatto èprivo di risorse, mentre i loro figlisono ancora più lontani dalla scuolaper mancanza di fiducia negli istitu-ti o di una buona connessione conla rete internet. A Catania, però,non si sono dati per vinti e nono-stante l’emergenza da coronavirusviene garantito un supporto scolasti-co. «Un operatore del comune —spiega il direttore diocesano di Mi-grantes, don Giuseppe Cannizzo —fa visita ai bambini rom e porta loro

De Donatisdimesso

dall’osp edale

ROMA, 11. Proseguirà la convale-scenza a casa il cardinale vicarioper la diocesi di Roma, Angelo DeDonatis, dimesso ieri dal Policlinicouniversitario Fondazione AgostinoGemelli dove era stato ricoverato il30 marzo perché risultato positivoal coronavirus. «Riconoscente egrato al Signore, unisce la sua pre-ghiera a quella di tutta la comunitàcristiana in questo triduo pasqua-le», informa una nota del vicariato.Prima di congedarsi, il porporatoha salutato e ringraziato i medici,gli infermieri e gli operatori sanitariche lo hanno accompagnato in que-sti giorni. L’8 aprile De Donatis hascritto una lettera nella quale, fral’altro, ringraziava sacerdoti, diaco-ni, religiosi e religiose «per la pre-ghiera potente e incessante che hosentito in questi giorni di sofferenzae di malattia», e Papa Francesco«per la vicinanza e la paternità chemi ha dimostrato anche in questao ccasione».

chia. A Catania ci sono circa ottantafamiglie in due villaggi attrezzati enessuno esce di casa, mentre altripiccoli insediamenti sono sparsi at-torno alla città.

A Palermo, invece, già da annil’amministrazione comunale ha di-smesso una grande baraccopoli perattuare il piano europeo per l’inte-grazione. Oggi, un centinaio di romdi origine romena vivono in allogginel centro storico e sono dediti alcommercio nei mercati. «Con Cari-tas — spiega Mario Affronti, diretto-re regionale Migrantes Sicilia — ga-rantiamo il cibo a queste famiglie.In collaborazione con due ambula-tori dell’Azienda sanitaria locale cisiamo specializzati nell’assistenza al-la popolazione rom. Con loro abbia-mo legami pluriennali per cui è sta-to facile in questo momento fare inmodo che restassero a casa e cheavessero notizie sulla prevenzione».Medici e operatori ricevono le lorotelefonate, inviano le ricette tramiteWhatsApp e i farmaci a domicilio.Caritas, Migrantes e regione inter-vengono anche donando buoni pa-sto e denaro alle famiglie di giostraiche si trovano in difficoltà.

Page 6: Dal silenzio del sepolcro alla gioia della Risurrezione€¦ · ne. Grazie per tutto quello che fate. Vorrei dirVi che sono a disposizione per dare una mano sempre. Contate su di

L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 12 aprile 2020 pagina 7

Messaggio per la Pasqua dei patriarchi e dei leader delle Chiese di Gerusalemme

Nella sofferenza il rinnovamento

Ricordo del pastore Dietrich Bonhoeffer

Il Cristodi comunione

In occasione del settantacinquesimo anniversariodella morte del pastore e teologo luterano tedescoDietrich Bonhoeffer, avvenuta il 9 aprile 1945 nelcampo di concentramento di Flossenbürg, il prioredi Taizé ha scritto una riflessione per la casa edi-trice tedesca Präsenz Medien & Verlag. Pubbli-chiamo una nostra traduzione dell’articolo intitola-to «Il Cristo di comunione», diffuso in francesesul sito in rete della comunità ecumenica.

di F R AT E L ALOIS

Dietrich Bonhoeffer ci ricorda che la co-munione fra tutti coloro che amano Cri-sto può crescere e approfondirsi solo

partendo da Cristo: «È solo attraverso GesùCristo che si è fratelli l’uno per l’altro. Sonofratello per l’altro in conseguenza di ciò cheGesù Cristo ha fatto per me e in me; l’altro èdiventato un fratello per me per quello cheGesù Cristo ha fatto per lui e in lui. Il fattoche siamo fratelli solamente tramite Gesù Cri-sto è di una importanza incalcolabile [...] Èsoltanto attraverso il Cristo che ci appartenia-mo l’un l’altro, ma tramite Cristo la nostra re-ciproca appartenenza è reale, integrale e perl’eternità» (La vita comunitaria, Ginevra, Laboret Fides, 2007, pagine 29-30).

Troppo spesso il punto di partenza della ri-cerca dell’unità è stata l’analisi delle divisioni.Forse ciò è necessario in una fase preliminare.Tuttavia, come diceva Bonhoeffer, il punto dipartenza dovrebbe essere Cristo, lui, che non èdiviso. Sì, il Cristo risorto riunisce in un’unicacomunità uomini e donne di ogni estrazionesociale, lingua e cultura, e persino di nazioninemiche.

Fratel Roger, il fondatore di Taizé, amavaquesta espressione che citava anche in alcunepreghiere: il “Cristo di comunione”. Questaparola è molto vicina al pensiero del teologoberlinese che aveva coniato l’espressione “ilCristo esistente come comunità” e scrivevainoltre che «attraverso il Cristo l’umanità è ve-ramente reintegrata nella comunione in Dio»(Sanctorum communio, 1927). Per Bonhoeffer ciònon è solo un’idea teorica ma un invito a met-tere in pratica una vita comunitaria, comel’aveva vissuta lui con i giovani candidati alministero pastorale nel seminario di Finkenwal-de tra il 1935 e il 1937.

Un altro punto essenziale sul quale ci sentia-mo assai vicini è lo stretto legame esistente trala fede e l’impegno verso gli altri, tra l’a m o redi Dio e l’amore per il prossimo. Sì, la vita inCristo non può essere altro che la solidarietàcon il mondo (cfr. David Jensen, Religionlesschristianity and vulnerable discipleship. The inter-faith promise of Bonhoeffer’s theology). «La Chie-sa è Chiesa solo quando è lì per gli altri» (Wi-derstand und Ergebung, Dbw Band 8, pagina560). Una solidarietà che porta Dietrich Bo-nhoeffer, dopo alcune settimane di esilio negliStati Uniti, a tornare in Germania, come spie-ga in una lettera commovente scritta nel luglio1939: «Non avrò il diritto di partecipare alla ri-costruzione della vita cristiana in Germania do-po la guerra se non condivido le prove di que-st’epoca con il mio popolo» (Lettera a ReinholdNiebuhr nel luglio 1939, in A testament to free-dom. The essential writings of Dietrich Bonhoef-fer).

In questo settantacinquesimo anniversariodella morte di Dietrich Bonhoeffer, la testimo-nianza della sua vita donata resta di una pro-fonda attualità. Ha conosciuto il dubbio. Rife-rendosi al grido di Gesù sulla croce, osservò:«Il Dio che è con noi è colui che ci abbando-na» (Widerstand und Ergebung, Dbw Band 8,pagina 534). Nelle ore più buie del XX secolomise in atto la sua fede, fino al martirio. Solopochi mesi prima della sua morte, scrisse, nellasua prigione, un testo (ibidem, pagina 204) dicui cantiamo alcune parole a Taizé, con le mi-gliaia di giovani visitatori che si uniscono a noinella preghiera comune:

«Dio, raccogli i miei pensieri verso di te /Presso di te la luce, tu non mi dimentichi /Presso di te l’aiuto, presso di te la pazienza /Non capisco le tue vie, ma tu conosci il cam-mino per me».

Cattolici e protestanti svizzeri in difesa dei richiedenti asilo nelle isole greche

Un gesto di umanità

I missionari scalabriniani lanciano la campagna #unasolacasa per far fronte alle esigenze di migranti e rifugiati

Dare sostanza alla speranza

Lutti nell’episcopato

In preghiera a Gerusalemme davanti alla chiesa del Santo Sepolcro con le porte chiuse

di FRANCESCO RICUPERO

Si chiama #unasolacasa l’ini-ziativa di sensibilizzazione eraccolta fondi promossa dai

missionari scalabriniani di Europaed Africa per continuare ad aiuta-re e sostenere migranti e rifugiatiin questo momento difficile, siadal punto di vista sanitario chesociale. «Il tempo inedito chestiamo vivendo — spiega all’O s-servatore Romano padre GaetanoSaracino dell’ufficio stampa deimissionari scalabriniani e già ret-tore della Missione cattolica italia-na di Parigi — sta ridisegnando inostri confini. La distanza di unmetro e mezzo gli uni dagli altri èdivenuta una misura siderale. Allostesso modo, forse, non è maisembrata così prossima la distanzadi noi a noi stessi. Anche le no-stre città hanno un’altra misura:sono piene le nostre case, sonovuote le nostre strade e le nostrepiazze. Eppure — aggiunge — inquesto tempo, le attraversa unascia di umanità che si è attivatanel senso di responsabilità, inne-scato con l’#iorestoacasa, per ilbene personale che è lo stessodella comunità».

Coinvolgendo i propri servizipastorali sparsi tra i due continen-ti gli scalabriniani vogliono riba-dire che «il bisogno di accoglien-za, protezione, promozione e inte-grazione gridato dall’umanità incammino è stato, senza dubbio,messo alla prova dalla più grandedestabilizzazione dopo gli ultimiconflitti mondiali». Si è deciso,

quindi, di utilizzare il tema dellacasa, dove ognuno, per il benedella famiglia e della collettività, ècostretto a stare in questi giorni.

Per il missionario scalabriniano,con questa nuova situazione,«molte persone si sono trovateletteralmente “spiazzate”, vistoche è stato vietato loro anche solodi appoggiarsi all’ansimante nudaterra, da qualche parte, ancheall’aperto. Molte di loro erano già“spaesate”, perché migranti. Dicolpo sono diventate anche “sfol-late”. Una degenerazione — ricor-da padre Gaetano — che nessunopoteva prevedere, anche se PapaFrancesco nel pensare alla prossi-ma giornata mondiale del migran-te e del rifugiato (27 settembre2020) aveva già messo al centrodella sua riflessione “gli sfollatiinterni”».

La campagna #unasolacasa èstrutturata intorno ad alcune breviriflessioni video e testuali che trat-tano diversi aspetti del “c o s t ru i re ”una sola casa con l’altro. I fondiraccolti dagli scalabriniani saran-no utilizzati «per affrontarel’emergenza coronavirus che stia-mo vivendo oggi, ma soprattutto— sottolinea il sacerdote — quellache ci troveremo a vivere domani,quando questa fase critica sarà fi-nita; quando molti dei beneficiaridei nostri servizi sparsi in Europae in Africa avranno bisogno di unsupporto in più per ripartire, dal-la fondamentale sussistenza ali-mentare ad una ripresa lavorati-va».

Padre Gaetano ci tiene a sotto-lineare che come missionari scala-briniani di Europa e Africa «abi-tiamo stabilmente le frontiere nonsolo geografiche, ma anche uma-

ne ed esistenziali. Nelle nostrerealtà di missione, soprattutto nelvecchio continente, stanno emer-gendo queste contraddizioni sottoforma di bisogni e necessità au-mentate e, per converso, disponi-bilità ridotte per colmarle». A Pa-rigi, per esempio, nella chiesa diSaint Bernard de la Chapelle, ilmissionario, insieme ad alcunigiovani parrocchiani italiani, ave-va dato vita a un servizio di assi-stenza e accoglienza a favore deipoveri, per lo più stranieri e mu-sulmani, che continua ancoraadesso. «A queste persone — ri-corda — offrivamo un pasto caldo,organizzavamo corsi di lingua edavamo un letto per dormireall’interno della parrocchia». LaChiesa è presente e pronta dap-pertutto ad aiutare gli ultimi e ipiù vulnerabili. «Gli scalabriniani— prosegue padre Gaetano — of-frono assistenza in questo difficilemomento a Berna, in Svizzera, ea Lisbona, in Portogallo». L’ini-ziativa #unasolacasa, quindi, «è ilnostro tentativo di farci casa conchi non ce l’ha. Attraverso il donochiesto nella campagna — p re c i s a— non intendiamo essere delegatia fare questo con un sempliceclic, che corrisponde a un contri-buto economico da parte di chiintende fare qualcosa; ma voglia-mo coinvolgere, attraverso la cul-tura del dono, chi è disposto oggia fare un tratto di strada perl’emergenza, e domani a prosegui-re sulla scia della condivisione ad“aprire spazi dove tutti possanosentirsi chiamati e permetterenuove forme di ospitalità, di fra-

ternità e di solidarietà”, come ciha ricordato Papa Francesco nellapreghiera di venerdì 27 marzo inpiazza San Pietro».

. Realtà come la mensa dellaparrocchia del Santissimo Reden-tore a Val Melaina a Roma, dovepadre Gaetano è stato parroco,Casa Scalabrini 634, in via Casili-na, il “rifugio” della parrocchiadi Saint Bernard de la Chapelle,la mensa della parrocchia NossaSenhora do Monte Sião (IgrejaBeato Scalabrini) ad Amora-Li-sbona, in Portogallo, hanno vistocrescere, negli ultimi giorni, ifabbisogni alimentari degli ospitie si è dovuto provvedere a moda-lità diverse di servizio. La campa-gna prevede una raccolta fondiper interventi urgenti e di svilup-po, conformi alla grandezza dellerisorse raccolte. «Con questa ini-ziativa — dice padre Gaetano —intendiamo dare sostanza allasperanza, fin da subito, oltre ibuoni auspici per la fine dellapandemia. In fondo ci attende ilritorno alla normalità e ad acco-glierci, perché avremo bisogno diqualcuno che ci accolga, sarannoproprio loro, quelli con cui noiavremo fatto casa: #unasolaca-sa». Secondo il missionario, èopportuno «evocare ancoral’esperienza con Papa Francesconell’assordante silenzio di piazzaSan Pietro, per ricordare che se ilbisogno di salvezza è di tutti,perché siamo tutti sulla stessabarca, è pur vero che la salvezzaè per tutti. Essa — conclude — èofferta da Dio e passa dalle no-stre mani»

BERNA, 11. Mentre «la situazionecatastrofica dei richiedenti asilonelle isole greche si è ulteriormen-te aggravata a causa della pande-mia da coronavirus», le Chiese el-vetiche, cattolica e protestanti,hanno invitato il Consiglio federa-le e i politici a permettere di riuni-re rapidamente con le loro fami-glie in Svizzera i minorenni nonaccompagnati che si trovano a Le-sbo e in altre località della Grecia.Nel campo profughi di Moria, inparticolare, più di cento bambinisono affetti da malattie croniche.

«La pandemia che si sta diffon-dendo non permette di perderealtro tempo prezioso. È necessarioagire rapidamente», sottolineanonel loro messaggio congiuntomonsignor Felix Gmür, presidentedella Conferenza dei vescovi sviz-zeri (Cvs), il vescovo vetero catto-lico Harald Rein, presidente dellaChiesa cattolica cristiana dellaSvizzera, e Gottfried Wilhelm Lo-cher, presidente della Chiesaevangelica riformata in Svizzera.

Finora sono stati identificati so-lo una ventina di minorenni nonaccompagnati con un legame fa-miliare in Svizzera. Tuttavia, il lo-ro numero reale è molto più ele-vato, indicano i tre leader cristianinella loro dichiarazione. «In que-sto caso, è necessario un maggioreimpegno da parte della Svizzeraufficiale per collaborare con le au-torità locali al fine di individuaregli aventi diritto ad entrare nelnostro paese», ritengono. «Chie-

diamo pertanto al Consiglio fede-rale di inviare nei prossimi giorniun chiaro segnale di speranza eaccogliere come richiedenti l’asiloin Svizzera queste giovani perso-ne vulnerabili e a rischio che sitrovano attualmente nei campigreci», dichiarano i responsabilidelle Chiese svizzere.

«Decine di migliaia di profughivivono nelle isole dell’Egeo incondizioni disumane, rinchiusi incampi isolati dal mondo esterno ein cui mancano le infrastruttureigieniche di base. Per questo lapandemia di coronavirus rappre-senta una minaccia devastante perla vita di queste persone», affer-mano i leader cristiani della con-federazione elvetica. «In una pro-spettiva cristiana, il messaggio pa-squale dona speranza e fiducia inquesta difficile situazione: la mor-te non ha l’ultima parola e la Pa-squa infonde una nuova dinamicadi vita», insiste monsignor Gmür.In questo senso e con questo spi-rito, «le Chiese forniscono il pro-prio aiuto sia con la raccolta difondi sia tramite le loro organiz-zazioni umanitarie».

Il fatto che i paesi europei nonabbiano ancora trovato una rispo-sta unitaria alla catastrofe dei pro-fughi non solleva i politici svizzeridalle loro responsabilità, viene evi-denziato inoltre nel messaggiocongiunto. In virtù dei trattati diSchengen e Dublino, «esiste unaresponsabilità condivisa per la si-tuazione dei rifugiati e della popo-

lazione locale in Grecia». È per-tanto «urgentemente necessarioprovvedere a evacuare almeno unpiccolo numero di persone chehanno legami con la Svizzera».«Un atto di umanità da parte del-la Confederazione elvetica non co-stituisce uno sforzo solitario nella

politica europea dei rifugiati —sottolinea Gottfried Locher — laSvizzera può essere un modelloper l’Europa in questo periodo diPasqua, in termini di umanità e diatteggiamento».

In molti luoghi della Svizzera,le città e i comuni, le comunità

parrocchiali, le organizzazioni assi-stenziali, religiose e non, sono ingrado di accogliere e aiutare que-ste persone, ricorda il messaggio.In passato, «il popolo svizzero hadimostrato più volte la propria di-sponibilità con numerose iniziativee progetti umanitari». Anche leChiese auspicano che il Consigliofederale «voglia sostenere e fareproprio un gesto di generosità afavore dei più deboli». «La vita —e non la morte — dovrebbe averel’ultima parola, perché il messag-gio di speranza della Pasqua èuniversale e valido per tutti», con-clude Harald Rein.

GERUSALEMME, 11. Un invito a ricordare che laRIsurrezione «è un momento di rinnovamentodella speranza e di vittoria su tutte le forme dimorte e distruzione» e una preghiera per «ilmondo intero che vive in uno stato di paura,ansia e ambiguità di fronte alla pandemia dacovid-19». È tra quanto enunciato, dai leader ei patriarchi delle Chiese di Gerusalemme nel lo-ro messaggio per la Pasqua rivolto ai fedeli. Neltesto, sottoscritto, tra gli altri, dal Custode diTerra Santa, Francesco Patton, dall’a rc i v e s c o v oPierbattista Pizzaballa, amministratore apostoli-co di Gerusalemme dei Latini, dal patriarca gre-co-ortodosso Teofilo III e da Nourhan Manou-gian, patriarca armeno di Gerusalemme, insie-me a esponenti dei diversi riti e denominazionicristiane, si sottolinea come quest’anno la Qua-

resima, la Settimana santa e la Pasqua sianostate circondate da tante domande, situazionicomplesse e incertezze, soprattutto alla lucedella sofferenza, della malattia e della morte dicosì tante persone in tutto il mondo, oltre allaparalisi di tante attività lavorative. «Cosa si-gnifica questa sfida al coronavirus per le nostrepersone, comunità e istituzioni?» si interroga-no i leader religiosi. «Cosa significa questo perla nostra economia mondiale e la salute globa-le?». Una prova che si può certamente supera-re forti di una grande fede, consapevoli che «ilnostro Dio è il Dio dei vivi e non dei morti.La Risurrezione è la nostra certezza che, anchenel mezzo della morte e della sofferenza, Dioè lì e la morte di Cristo ci porterà la vittoria»,assicurano. Non solo: il Risorto esorta la fami-

glia umana a rinnovarsi e a intraprendere unanuova strada verso il futuro lontano dall’op-pressione, dalla discriminazione, dalla fame edall’ingiustizia.

I leader religiosi ribadiscono inoltre, in tempidi grande sofferenza in tutto il pianeta, il loroimpegno, come persone di fede e di buona vo-lontà, a «offrire consolazione a coloro che sof-frono e assistere coloro che sono nel bisogno».Per questo, termina il messaggio degli esponen-ti cristiani, è fondamentale il sostegno reciprocoe la preghiera continua durante questa pande-mia. «La nostra debolezza umana — r i m a rc a n o— è resa più forte dalla Croce di Cristo. Nullaimpedirà alla buona novella della Risurrezionedi risuonare a Gerusalemme e in qualsiasi altraparte del mondo».

†All’indomani del suo 65° anniversariodi ordinazione sacerdotale, nella vigiliadella Pasqua del Signore,

S.E.R. Monsignor

MARIANO DE NICOLÒ

Vescovo Emerito di Riminie di San Marino - Montefeltro

ha lasciato questo mondo per celebrarela sua Pasqua definitiva in cielo. Nedanno il triste e accorato annuncio ifratelli Monsignor Piergiacomo, Nun-zio Apostolico, Monsignor Paolo, Reg-gente Emerito della Casa Pontificia, lasorella Maria Concetta, i fratelli Filippoe Giovanni.

Monsignor Mariano De Nico-lò, vescovo emerito di Rimini edi San Marino - Montefeltro, èmorto a Rimini nella mattinadel Sabato santo, 11 aprile. Na-to a Cattolica, in diocesi di Ri-mini, il 22 gennaio 1932, erastato ordinato sacerdote il 9aprile 1955. Eletto il 9 luglio1989 alle Sedi residenziale diRimini e di San Marino -Montefeltro, aveva ricevutol’ordinazione episcopale il suc-cessivo 23 settembre. Il 25maggio 1995 aveva rinunciatoal governo pastorale della dio-cesi di San Marino - Montefel-tro e il 3 luglio 2007 a quellodella Chiesa di Rimini.

Monsignor Nicholas MarcusFernando, arcivescovo emeritodi Colombo, in Sri Lanka, èmorto venerdì 10 aprile. Nato aMunnakkara, nell’arcidiocesi diColombo, il 6 dicembre 1932,

era divenuto sacerdote il 20 di-cembre 1959. Nominato arcive-scovo di Colombo il 21 marzo1977, aveva ricevuto l’o rd i n a z i o -ne episcopale il successivo 14maggio. Aveva rinunciato algoverno pastorale dell’a rc i d i o -cesi il 21 giugno 2002.

Monsignor Alojzij Uran, ar-civescovo emerito di Ljubljana,in Slovenia, è morto Sabatosanto, 11 aprile. Nato a Spod-nje Gameljne il 22 gennaio1945, era divenuto sacerdote il29 giugno 1970. Eletto allaChiesa titolare di Abula il 16dicembre 1992 e nominato ve-scovo ausiliare di Ljubljana,aveva ricevuto l’o rd i n a z i o n eepiscopale il 6 gennaio 1993.Quindi il 25 ottobre 2004 erastato promosso arcivescovo diLjubljana. Il 28 novembre2009 aveva rinunciato al gover-no pastorale dell’arcidio cesi.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 domenica 12 aprile 2020

Diario dalla “p este”nelle città della miseria

I GIORNI DELLA Q UA R A N T E N A NELLE PERIFERIE DI BUENOS AIRES

Il diario di cui pubblichiamo alcunepagine è stato scritto nei giornidella quarantena in una «villa

miseria» della periferia di Buenos Ai-res. Con questo nome in Argentina sidesignano quegli agglomerati che altro-ve sono conosciuti come favelas, bidon-ville, slums, ghetti, tuguri e altro anco-ra. Discepolo di don Giussani, scrittoree giornalista italiano, 67 anni, l’a u t o reda lungo tempo opera in America lati-na e da sei anni ha scelto di vivere al-la Carcova, una delle più povere e vio-lente «villa miseria» della capitale.Qui è diventato amico e si è postoumilmente al servizio del parroco donJosé Maria Di Paola, a tutti noto co-me padre Pepe. Questo diario raccontacome la “peste” del covid-19 ha stravol-to la vita della gente e testimonial’azione della comunità cristiana peralleviarne le sofferenze.

di ALV E R ME TA L L I

TERZA GUERRA MONDIALEGIORNO I (20-3)

Telefono a mio babbo in Italiaper sapere come sta. Ha 97 anni etutta la sua vita è trascorsa a Riccio-ne. Negoziante, commerciante, pen-sionato. Si avvicina al momento delgrande viaggio senza scossoni, equesto del coronavirus non gli fapaura. Gli dico che anche dove vivoio, in una villa argentina alla perife-ria di Buenos Aires, oggi è iniziatala quarantena. Ha pena di me, mipensa indaffarato ad occuparmi de-gli altri e quindi più in pericolo diquanto non lo sia il resto della po-polazione argentina. Mi chiama fi-glio, “figlio mio”. Non l’ha mai fat-to. Poi, con il respiro affaticato, vacon il pensiero alla seconda guerramondiale, quando era appena ragaz-zino. «Ci nascondevamo dai tede-schi figlio mio, per non essere presie portati in Germania a lavorare, maadesso, da questo, non possiamo na-sconderci». Questo è il coronavirus,una parola tecnica troppo difficileper i suoi anni, la peste come lachiamano gli argentini nella villa.Ricorda con più facilità che la lineadel fronte passava poco distante dacasa, nel riminese, gli alleati libera-tori spingevano avanzando dal sud ei tedeschi occupanti retrocedevanoverso nord caricando sui camion del-le braccia giovani da portare in Ger-mania a lavorare. Lui si è nascosto el’ha fatta franca. È il suo modo distabilire una comparazione, di pren-dere le misure a questo killer invisibi-le che colpisce dove vuole, a questapeste che è acquattata fuori dellaporta e scruta le sue prede, prontaad entrare e ghermire chi ha moltovissuto.

AR R I VA N O I VECCHIETTIGIORNO III

Arrivano i vecchietti. Padre Pepeli ha mandati a chiamare uno aduno nelle pieghe più recondite dellavilla. C’è chi vive solo, in baraccheprecarie, alimentato dalla compassio-ne dei vicini. E chi in assembramentifamiliari numerosi, com’è giusto chesia, con donne e bambini, in spaziristretti, dov’è impossibile mantenerequelle distanze così raccomandatedalle autorità sanitarie. C’è anchechi un tetto non ce l’ha, e usa quellodi altri.

Sono le persone più esposte, lepiù ricercate dalla morte che s’aggiraper i viottoli, in villa Carcova, 13 deJulio, in Curita e Independencia.Padre Pepe ha preparato per loro unposto dove possono stare fin quandola peste passerà. Una stanza, la doc-cia calda, due pasti al giorno, la me-renda quando si potrà, la televisionese vorranno vederla. E molta puliziae molto affetto tutt’intorno.

Ho notato che le persone anzianesono molto benvolute nella villa. Lesi ascolta, si sopportano con indul-genza i loro eccessi, quando non so-no più in sé, si antepone il loro be-nessere a quello dei più giovani. Sec’è da dividere qualcosa a loro va lamisura più grande, e se qualcosa ab-bonda è per loro la parte migliore.Credo che il rispetto per i vecchi siauna delle peculiarità di cui dicevoprima, un portato della cultura pre-valentemente contadina delle provin-cie da cui provengono gli occupantidi uno di questi luoghi marginali edemarginati dalla società.

PANE QUOTIDIANOGIORNO VI

Le file aumentano in lunghezzacome i giorni di quarantena. Trecen-to pasti, cinquecento, ottocento,1.500 e passa il sesto giorno di qua-rantena. Non c’è dubbio che aumen-teranno ancora. I circuiti del cartonesi sono chiusi e chi viveva della rac-colta, i c a r t o n e ro s come vengonochiamati, non va in giro a raccattarliper venderli. I riciclatori di rifiutinon sciamano più con i loro carrettidove gli ammassi di spazzatura sonopiù promettenti. Anche chi viveva dilavoretti, tagliare l’erba nel giardinodi qualche casa, verniciare un can-cello o qualche facciata, svuotareuno scantinato, non ha richieste. Imanovali che vivono nelle villas,molti provenienti dal Paraguay, sonocon le mani conserte. L’economia in-formale, come si suole chiamarla, èferma, il microcircuito di compra-vendita che manteneva in vita la po-polazione della villa è interrotto.Nutrirsi diventa un assillo quotidia-no.

PR E PA R AT I PER MORIREGIORNO VIII

Il sole tramonta sulla villa. Una li-nea oscura viene avanti lentamente,così lentamente che bisogna chiude-re gli occhi due o tre volte per ve-derla avanzare. Le colline d’immon-dizia scompaiono come per magia,sottratte alla vista da un pietoso gio-co d’ombre. I depositi di cartonisembrano montagne incantate, le ca-supole di legno e latta un presepenatalizio. È l’ora in cui la peste fu-nesta lavora di più, e i bambini rien-trano nelle case per schivarla. L’or-ma di cento piedini calpesta la terradei viottoli, la polvere s’attacca allapianta dei loro piedi nudi mentresgambettano in avanti come girini inuno stagno. Non tutti, però. Eriber-to e Maria Dolores sono seduti sulloscalino davanti a casa. Loro, la vital’hanno già vissuta e adesso hannotempo da perdere. Per loro la qua-rantena è iniziata ben prima che lapeste la reclamasse. Lui ha in manoil guinzaglio del cane, che però nonda nessun segno di volersene andare.L’animale è mogio e spento come isuoi padroni. Non scodinzola nep-pure a chi gli manifesta un po’ disimpatia. Lei indossa un vestito neroe ha lo sguardo a terra. È già prontaper morire.

L’ANGELO S T E R M I N AT O R EGIORNO IX

L’angelo sterminatore questa notteha bussato alla porta di Chili appro-

fittando della quarantena e dellestrade deserte. Lui ha aperto l’uscioquando ha sentito bussare, e il colpogli ha trapassato l’occhio. Diconoche avesse fatto uno sgarbo a quellidel Lirri quando l’onda della pestenon era ancora arrivata a leccare lavilla, e che abbia fatto appena intempo a vedere il Mencha che scap-pava. La vecchia madre l’ha tiratodentro casa prendendolo per i capel-li. Lasciava dietro di sé una scia disangue come la bava di una lumaca.Lei aveva già capito tutto appenasentita l’esplosione. Quel figlio avu-to con un muratore che lavorava dueisolati più in basso, dove le baracchefiniscono e comincia l’immondezzaiopubblico, ce l’aveva segnato il desti-no sin da quando s’era messo con labanda di quelli del Chaco. Control-lano il fondo della villa e non am-mettono che si smerci nel loro terri-torio senza il loro permesso. Un per-messo che costa. Prima del Chili ciaveva provato la Mosca e prima an-cora il Surdo. Uno ha avuto la testaspaccata con una pietra, l’altro uncoltello nella gola. Donna Victoria,la madre del Chili, se la vedeva veni-re la disgrazia. La peste l’ha presa disorpresa, il piombo no.

ST U FAT O FUMANTEGIORNO X

Nella villa del padre Pepe si di-stribuisce un piatto caldo tutti igiorni a mezzogiorno da quando èiniziata la quarantena. Lo preparanodegli uomini e delle donne che vivo-no in questo modo il loro isolamen-to. Mettono a repentaglio la loro si-curezza, come del resto le personeche vengono a mangiare spinte dallanecessità. Pelano patate, tagliano ci-polle, cucinano, servono i piatti, la-vano le stoviglie, con tutte le cauteledel caso. Non vogliono ammalarsi,ci tengono alla salute e alla vita,hanno tutti figli, nipoti, nonni che liaspettano a casa. Tra loro ci sonomuratori, domestiche, donne cheprestano servizio in case benestantidei quartieri vicini, impiegati comu-nali e tanti altri che il lavoro non cel’hanno e vivono di changas, comegli argentini chiamano quelle occu-pazioni precarie che aiutano a sbar-care il lunario. Per tutti il lavoro èsospeso e danno il loro tempo e leloro energie al bisogno degli altri.Senza niente in cambio eccetto unpiatto di quella stessa minestra checucinano per chi viene a mangiarenella parrocchia di padre Pepe. I po-veri, i bisognosi, fanno la fila davan-ti al cancello del Milagro e se nevanno con il bottino in mano ancorafumante.

IL BAIO DI RAU LGIORNO XIII

C’è un baio di poco valore chedeambula cercando i fili d’erba checrescono tra le mattonelle del mar-ciapiedi e ai bordi delle strade. C’eraanche prima nella villa, ma con laquarantena e le strade quasi desertetutti gli angoli sono suoi, e lui libatte con meticolosità da affamato.È un puledro di poco valore, bassodi garretti e gonfio di pancia. Al ve-derlo sembra che gli abbiano tiratoaddosso una secchiata di calce persbiancargli il pellame. Fruga con ilmuso nella polvere strappando deglisteli rinsecchiti, mastica con voracitàla buccia di mela che fuoriesce daqualche sacchetto dell’immondiziache i cani della villa, prima di lui, siaffrettano ad aprire. L’acqua di unbidone la frulla con la lingua scuraprima di ingurgitarla. Al suo pro-prietario, un meccanico di quartiereche concentra nella propria casa offi-cina, abitazione e stalla, è costatogiusto quello che voleva spendere:qualcosa in più di tremila pesos, me-no di tremilacinquecento quando undollaro valeva la metà di quel chevale oggi. Che non valesse neppurequesti lo può vedere chiunque lo in-contri rovistare con il muso le colli-ne d’immondizia all’entrata della ba-raccopoli dove passa di preferenza iltemp o.

Intanto scaccia le mosche che glisi appiccicano addosso agitando lacoda sfilacciata come quella di unascopa. E aspetta il suo momento,quando dovrà tirare il carretto consopra la statua del Gauchito Gill nelgiorno della processione che padrePepe dedica ogni anno all’indomitosanto bandolero, chiamato questavolta a lottare con un nemico im-p onderabile.

QUA R E S I M AGIORNO XIV

Quarantena ha la stessa radice diquaresima. Entrambe rimandano adun periodo di tempo di quarantagiorni, quelli che sono stati necessarial popolo eletto per purificarsinell’attesa della Pasqua e quelli checi sono voluti per spezzare l’a g g re s -sività della peste feroce che ci afflig-ge. Di fatto quarantena e quaresima

si sovrappongono anche nel suono ehanno lo stesso numero di sillabe.La prima raffigura l’atto di isolare oauto isolarsi per scongiurare un peri-colo o diminuirne gli effetti deleteri,la seconda un tempo di penitenza invista della risurrezione.

VITE IN FILAGIORNO XV

La vita dei v i l l e ro s trascorre in unafila perenne nei giorni di quarante-na. Quando più i contatti dovrebbe-ro diminuire e le prossimità distan-ziarsi, le file si allungano. Alle sei emezza del mattino, alla spicciolata,la gente comincia a formare i primicrocchi davanti alla cappella del Mi-l a g ro . Volti mesti di provincia impa-stati di polvere e silenzi, del Chaco,di Santiago dell’Estero, di Corrientese di Misiones. Vengono a prendereuna borsa di alimenti che dovrà du-rare tutta la settimana, con dentrocinque chili di prodotti, olio, cacao,latte, zucchero, purè di pomodori,pasta, riso, lenticchie, l’erba mate dilargo consumo in questi posti, equalche confezione di scatolette.Quando arriva il loro turno e posso-no abbandonare la fila è il momentodi formarne un’altra, per ricevere ilpranzo da consumare seduti sul mar-ciapiedi o nella propria casa. Si rico-mincia il giorno dopo, altre file,questa volta per declinare le propriegeneralità ed accedere al sussidiostraordinario di 10.000 pesos dispo-sto dal governo per attenuare gli ef-fetti devastanti della crisi nei settoripiù popolari. Un’altra fila, questa dicentinaia di metri, li attende pocodistante dalla villa, al bancomat, perritirare il denaro erogato sul loro li-bretto di risparmio. Fila per la vacci-nazione antinfluenzale nell’inferme-ria ai margini della villa, fila per laspesa davanti ai supermercati diquartiere, fila nelle verduriere.

CUO CA DEI POVERIGIORNO XVII

Sebastiana spalanca la porta dellacucina con la prima luce del giornoe capisce in un istante cos’è avvenu-to in sua assenza. Chi vi ha mangia-to, chi ha dormito, chi ha saziato idiversi appetiti. Si rimbocca le mani-che con vigore d’uomo, prende il

sacchetto dell’immondizia e tira den-tro gli eccessi della notte con preci-sione da chirurgo. Devono scompa-rire dalla vista, e l’olfatto non esser-ne ferito. Poi strofina con l’alcool ingel le stoviglie una ad una. In tem-po di quarantena devono essere lim-pide e monde.

Prima di venire a vivere nella villasi è presa cura di una donna anzianafino alla sua morte. Una morte daricchi in una casa da ricchi. Adessofa la cuoca in una mensa di poveri,nella cappella della villa miseria dovepadre Pepe ha piantato la sua base,e dove i commensali arrivano senzapreavviso e si siedono per mangiare.Ha dipinto la tavola di legno convernice azzurra. La tavola si allungae si restringe come una fisarmonicatutti i giorni, finché l’ultimo arrivatonon si è sfamato.

ANIME FERITEGIORNO XVIII

Padre Pepe esce dalla stanzaquando il sole non è ancora spunta-to, come tutte le mattine di quaran-tena. Attraversa il cortile fino allavasca della lavanderia. Piega la testain avanti e apre il rubinetto. Lasciascorrere l’acqua per un buon tempo.Inizia in questo modo un altro gior-no di bene, lavando i suoi lunghi ca-pelli stinti dalle intemperie. Alla suaporta c’è già chi tende la mano el’anima, ferita.

PERD ONOGIORNO XIX

C’è più comprensione nella villa, ela vita è apprezzata come mai prima.Dei torti che opponevano uno conl’altro si sono sciolti, delle lontanan-ze sono sparite, delle separazioni mi-tigate e talune divisioni sono menointransigenti. Il perdono, nei giornidella peste, si è imposto comel’esperienza umana più pacificante.E si capisce il perché. Basta guarda-re al bambino. Un uomo adulto, al-lo stesso modo del bambino, si sentepiù sicuro nell’abbraccio di chi loama. Il perdono è anche l’esp erienzapiù mobilitante; più e più profonda-mente di qualsiasi autocritica o diun saggio incitamento a correggersi.Non che l’una e l’altro non tragganobeneficio: quantomeno, se cordial-mente ricevuti, sono indice di unanimo malleabile. Solo che il perdo-no e la correzione sono due cose di-verse, appartengono ciascuna a duedifferenti movimenti dell’animo.L’efficacia del perdono è superioreagli esiti migliori della fatica del rav-vedimento.

STRAPPIGIORNO XX

Quello che si è temuto con consa-pevolezza ottusa, comincia a succe-dere per davvero. La peste si portavia anche gli amici. I WhatsApp chene annunciano la partenza hanno unsapore amaro. I ricordi crepitano co-me fiamme tra le stoppie. Gli strap-pi da chi se ne va scuotono l’e s s e redi chi resta. La morte degli amiciaddolora, e ci fa pensare alla nostra.E a quel che ci aspetta. A chi ciaspetta, quando la coscienza è avve-duta. Forse è il modo con cui la na-tura rende l’inaccettabile un po’ piùfamiliare a noi stessi.

OSPEDALE DI C A M PA G N AGIORNO XXI

La Chiesa nella villa, più che maiin questi giorni, è un ospedale dacampo, per usare una immagine tut-ta bergogliana. Anzi, una parola co-niata da Bergoglio una volta elettoPapa, di cui non esiste traccia nelsuo passato. L’espressione l’ha usataper la prima volta nei colloquidell’agosto 2014 con il direttore di«La Civiltà Cattolica». «Io vedo laChiesa come un ospedale da campodopo una battaglia. È inutile chiede-re a un ferito grave se ha il coleste-rolo e gli zuccheri alti! Si devonocurare le sue ferite. Poi potremo par-lare di tutto il resto. Curare le ferite,curare le ferite... E bisogna comin-ciare dal basso». Sono parole che ri-lette oggi, ventunesimo giorno diquarantena, hanno una letteralità diapplicazione impressionante.

L’impegno di Charly Olivero, sacerdote da anni a fianco dei “v i l l e ro s ” di Buenos Aires

Pedagogia della presenza

BUENOS AIRES, 11. Villa 21, sud est di BuenosAires. Una delle tante realtà disagiate nella peri-feria della capitale argentina, dove vivono mi-gliaia di persone accomunate da una povertàche sembra una condizione immutabile della lo-ro vita, circondata da discriminazione o indiffe-renza. Quella che manca a chi da anni si dedicaa loro, come padre Charly Olivero, un cura vil-l e ro che ha dato il suo contributo, insieme a pa-dre Pepe Di Paola, alla fondazione dell’Hogarde Cristo, centro per giovani in difficoltà inau-gurato nel 2008 dall’arcivescovo di Buenos Ai-res Bergoglio.

La storia di Charly, e quella dei preti impe-gnati insieme a lui in questo ambito, è racconta-ta sulle pagine on line del sito di Comunione eliberazione in cui padre Charly affronta vari ar-gomenti, primo fra tutti la paura della diffusio-ne della pandemia anche tra questi sobborghi.In contesti così sovraffollati, senza possibilità diisolamento e in cui i servizi sanitari sono presso-ché inesistenti, il virus potrebbe trovare terrenofertile per espandersi in modo esponenziale. Eallora occorre agire senza indugio, facendo ri-corso a quelle risorse e a quei principi di con-cretezza che sono propri della famiglia degli ho-gares de Cristo, quei veri e propri focolari dome-stici fondati dal gesuita cileno Alberto Hurtadoin cui «nessuno sia solo, ma si senta amato eami», spiega padre Charly, perché «l’astrazionegenera frammentazione, risposte incomplete,che non abbracciano la persona e la realtà perquello che integralmente sono». Atti concreticome, ad esempio, potenziare le mense comuni-tarie e procurandosi i pasti da portare a domici-

lio, con il prezioso contributo di volontari perla preparazione e la distribuzione dei pacchi.

Questo perché nelle villas, afferma il sacerdo-te abitano moltissime persone costrette a divi-dersi piccoli spazi. La loro più che una vita èuna sopravvivenza, garantita normalmente daquello che guadagnano ogni giorno, per cui de-vono necessariamente uscire di casa con tantipericoli che ciò comporta. «L’abitazione cheognuno occupa non ha all’origine alcun dirittodi proprietà. È di chi ci vive, se la si lascia,qualcun altro può occuparla. Dunque, qualsiasitentativo di prevenire la diffusione del covid-19deve partire da queste situazioni concrete, pernon essere totalmente inadeguato e inefficace».Il tutto con l’utilizzo di mascherine artigianali,che si continuano a produrre e distribuire grazieall’aiuto di organismi assistenziali italiani, convideotutorial preparati ad hoc.

Un’assistenza specifica è rivolta agli anziani,aggiunge padre Charly, i più a rischio per il so-vraffollamento: la soluzione è stata quella di tra-sferirli negli h o g a re s che vengono così trasforma-ti in luoghi dove essi possono tranquillamentestare lontano dalle famiglie, vivendo in compa-gnia di altre persone che li accudiscono, con lacomunità che provvede a rifornirli di cibo e me-dicinali. «Gli anziani che vivono da soli, invece,puntualizza il sacerdote, non possono lasciare laloro casa, perché rischierebbero di non potervipiù rientrare e così i generi di prima necessitàvengono loro consegnati a domicilio».

C’è poi chi una dimora, per quanto misera,non ce l’ha. Il piano di intervento dei curas vil-l e ro s per i senzatetto del sobborgo bonaerenseche hanno contratto il coronavirus prevede l’ac-

compagnamento negli ospedali della città. Sonoinvece previsti luoghi di isolamento, assicurandocibo e assistenza, per quanti presentano sintomilievi ma non sono assistiti dal sistema sanitario,e che potrebbero contagiare moltissime persone,precisa il sacerdote.

Giovani o meno giovani, sempre accanto agliscartati, a coloro che fuori dal contesto delle vil-las sono corpi estranei, ma, grazie alla carità cri-stiana, sono beneficiati di una visibilità che fariflettere e insegna. È anche questa la “p edago-gia della presenza”, come la chiama padre Char-ly: un metodo che nasce dal mandato ricevutoda Papa Francesco e riassumibile nel «riceverela vita come viene, accompagnandola “corpo acorp o”», perché ogni vita è diversa. Un meto-do, fondato sulla condivisione, quella che si vi-ve in una comunità, e che svela con il tempo ildisegno che il Padre ha stabilito per ogni perso-na. Quella che potrebbe sembrare una gigante-sca macchina organizzativa non è nient’altro cheuna comunità che si mette in moto, che si pren-de cura delle proprie persone più fragili e tentadi dare risposte ai problemi di pochi o tantinella villa: si chiamino fame, droga o pandemia.

Lo spirito collaborativo tra istituzioni e co-munità sta portando i suoi frutti, assicura padreCharly. Certo, l’istituzione è necessaria ma piùimportante ancora è la comunità «che generalegami e costruisce le sue risposte. L’istituzionelavora insieme alla comunità fornendo quelle ri-sposte specifiche che noi non siamo in grado didare». Perché il talento dei curas villeros è tuttonello sguardo sulla totalità della persona per fa-vorire il suo abbraccio profondo con Cristo.

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L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 12 aprile 2020 pagina 9

Sulla croce Gesù è il nostro prossimo sofferente

Uscire dal gusciodell’egoismo

Quelle preghierecantate dalla nonna

di MARIO GRECH

Oggi il nostro sguardo si fissasul Crocifisso. Egli è solo.Appare abbandonato da tut-

ti, non solo dai discepoli e dallagente che tanto amava, ma anchedal Padre. Egli che riconosceva tuttie chiamava per nome anche i vermidella terra, egli che passava dalle viedella Palestina a condividere paroledi speranza e i pesi degli altri, ogginessuno lo riconosce. Non eranopochi quelli che sul Calvario, comePietro, esclamarono: «Io non lo co-nosco». La solitudine di Gesù sullacroce ci fa rabbrividire. Il colpo dilancia, la corona di spine, i chiodinelle mani e nei piedi gli causaronotanto dolore; ma questo dolore nonera niente in confronto al dolore chesubì quando con uno sforzo alzò gliocchi e si accorse che tutti si disper-devano. Mentre sulla croce sentivail sudore freddo e il sangue sul suocorpo martoriato, desiderava sentireil calore dell’amore di quelli chetanto amava. Ma, eccezion fatta per

sto, c’è la perdita del significato del-la parola “p ro s s i m o ”.

Poco tempo fa, lo psicanalistaLuigi Zoja ha pubblicato un librodal titolo La morte del prossimo. Eglisostiene come nell’Ottocento Niet-zsche parlasse della morte di Dio e,di fatto, nei decenni successivi ve-diamo l’avanzare del processo di se-colarizzazione e la morte di Dio inmolte persone e strutture. Tantiscelsero di vivere come se Dio fossemorto. Zoja aggiunge che adessoanche il “p ro s s i m o ” è morto. Permolti il prossimo non esiste più equesto si evince dalla mancanza delsenso di responsabilità per gli altri.Ognuno è immerso nel suo mondo.Nella cultura odierna preferiamo ilculto dell’io. Tutto nutre l’io. Primasoddisfo i miei bisogni, e quandodo retta al prossimo faccio questoper compiacere al mio narcisismo. Èdiventato molto difficile avere tra dinoi un “p ro g e t t o ” comune perchétutti nutrono i loro sogni; questo sianella società sia nella Chiesa. Nellasocietà liquida che abbiamo creato

de a terra e muore, poi dà la vita atanti altri chicchi uniti nella spiga.Chi ama la sua vita (chi è egoista,pieno di sé, chi cerca solo i suoi in-teressi, chi dimentica il suo prossi-mo) finisce come Narciso che nellamitologia perde la propria. Ma chiama veramente gli altri si dà affin-ché gli altri vivano, e così rimane invita. Chi è egoista non solo perde lavita ma è capace di far terminare lavita del suo prossimo.

Gesù finì sulla croce frutto delsuo amore profondo per noi, parti-colarmente per quelli che non han-no mai provato il gusto del suoamore, per quelli che non sonoamati, che sono dimenticati, emargi-nati, calpestati. La croce è la piùgrande conferma che l’amore piùgrande è offrire la vita per i propriamici (Giovanni, 15, 13). Gesù muoresolo quando — come dice la serva diDio madre Margherita Debrincat —«l’amore non viene amato», quandonon Lo accettiamo come nostroprossimo. Egli muore quando nongli volgiamo la faccia. Se pensiamoche non dobbiamo accettare questoamore, e gli voltiamo le spalle, eglinon sposterà la sua mano per col-pirci, ma muore per noi. Con la suamorte in croce, Gesù diventa solida-le con tutti, particolarmente conquelli che soffrono fisicamente, mo-ralmente e spiritualmente. Egli mo-stra grande simpatia per quelli chesono senza Dio.

Se per noi la sofferenza ci portanella solitudine degli uomini e dellasocietà, per il Crocifisso la sofferen-za è l’occasione per il nostro incon-tro con lui. Forse nessuno fa casoalla sofferenza, alla disperazione, al-la paura, al disprezzo, al martiriodal quale ogni uomo passa, o alquale viene indotto, però il Crocifis-so ci pensa continuamente.

Se oggi senti che il Crocifisso tiattrae a lui, non gli porre resistenza.Nelle circostanze presenti è facileche ci sia chi si sente solo e abban-donato. Mentre ricordiamo che Ge-sù sulla croce passò da questi mo-menti, ci rincuoriamo con il fattoche egli non lasciò che la sofferenzalo rinchiudesse in se stesso, ma latrasformò nel prezzo per diventare ilnostro prossimo. Riprendiamo co-raggio quindi e camminiamo sullesue orme, facendo del nostro meglioper diventare prossimi di quelli checi sono accanto.

di ANDREA TORNIELLI

Nell’eco delle sue parole, altelefono da Tirana, c’è anco-ra la sorpresa per quanto gli

è appena accaduto. L’annuncio del-la nomina ricevuta. La sua è unadelle tante piccole grandi storie dicui è intessuta la vita quotidianadella Chiesa. Arjan Dodaj, 43 anni,nato a Laç-Kurbin sulla costadell’Albania, era arrivato come mi-grante dopo aver attraversatol’Adriatico su un barcone. Fuggitosedicenne dal suo Paese in una not-te calda e stellata del settembre1993, in cerca di futuro e del mododi aiutare la sua famiglia povera, èapprodato in Italia. Ha fatto il sal-datore e il giardiniere lavorando piùdi dieci ore al giorno. Si è imbattu-to in una comunità che lo ha fattosentire a casa. Così ha scoperto lafede cristiana, della quale era rima-sta traccia nel suo dna grazie allecanzoni sussurrategli dalla nonna.Dieci anni dopo veniva ordinatoprete da Giovanni Paolo II per laFraternità sacerdotale dei Figli della

Croce, Comunità Casa di Maria.Nel 2017 ha fatto ritorno nel suoPaese, come sacerdote fidei donum.Il 9 aprile scorso Papa Francescol’ha nominato vescovo ausiliaredell’arcidiocesi di Tirana-Durazzo.

«Sono arrivato in Italia appenacaduto il comunismo — racconta ilnuovo vescovo eletto —, in quel mo-mento non era possibile ottenere deivisti regolari. L’unica via erano imotoscafi. Purtroppo c’erano barco-ni che partivano e qualcuno che,ahimé, non arrivava». Arjan è natoe cresciuto in una famiglia dell’Al-bania comunista ed è stato educatoall’ateismo. «Sono nato in un conte-sto dove purtroppo era banditoogni segno che richiamava la fede.Nei primi anni della mia vita nonho mai avuto notizie dell’esistenzadi Dio. I miei genitori purtropposubivano in modo terribile l’effettodel comunismo. Ma i nonni prega-vano il Signore».

È la nonna materna di Arjan aistillargli le prime parole della fede.«Il mio primo incontro con le cosedi Dio è come un ritornello dentrola mia testa, dentro la mia anima.Mia nonna era totalmente libera no-nostante le minacce e viveva l’esp e-rienza della preghiera. Ai loro tem-pi, non sapendo scrivere, avevanoimparato le preghiere cantando. Equindi conoscevano le preghiere inrima, sapevano la dottrina. Soloquando sono arrivato in Italia hoscoperto che tante cose, sui sacra-menti ad esempio, lei me le dicevacantando in casa, mentre lavorava,mentre puliva. Cantava. Così ho im-parato anch’io. Ho imparato la se-conda parte dell’Ave Maria. Mi fa-ceva sempre dire la seconda strofa.Così mi veicolava Dio».

Poco dopo la caduta del comuni-smo, Arjan cerca di lasciare il Paese.«Come molti altri ragazzi avevo fat-to tanti tentativi. Una prima volta lanostra nave si era rotta... Oggi rin-grazio il Signore che non sia partita,perché non so che cosa ci sarebbepotuto accadere, eravamo tuttischiacciati, ammassati. Avventureindicibili, realmente un esodo. Poinei successivi tentativi sono potutosalire su uno di quei barconi chepartivano dalla costa della mia città,da questa laguna molto bella, dovetante volte andavo da bambino. Sia-mo partiti la notte del 15 settembre1993. Grazie a Dio, il mare era mol-to tranquillo, il Signore ci ha preser-vati. Mi ricordo benissimo che inquel momento stava davvero mi-grando tutta la mia esistenza, la miastoria, mentre ci si staccava da quel-la costa, con quel cielo pieno distelle, quella notte. Dentro di meavvertivo lo strappo con quei lega-mi, con quella vita, con quella fami-glia».

Il nuovo vescovo ausiliare di Ti-rana lo sottolinea: «Tante personeoggi si vedono arrivare sui barconi.Credo che bisognerebbe pensare aquesti strappi, a questi sacrifici, aqueste vicissitudini tanto dolorose,perché se non fossero dolorose nonverrebb ero!».

Grazie a degli amici emigrati inItalia poco prima di lui, Arjan trovarifugio nel cuneese, a Dronero, dovediventa apprendista saldatore: «Sal-davamo i telai delle bici. Poi ho fat-

to anche tanti altri lavori, nell’edili-zia e nel giardinaggio, così potevocontribuire a sostenere la mia fami-glia perché eravamo davvero moltopoveri». Altri amici lo invitano a unincontro in parrocchia. «Lavoravotantissimo, a volte anche più di die-ci ore al giorno, e quindi alla seraarrivavo stanco. Non avevo molteamicizie. Mi hanno detto che c’eraun bel gruppo di giovani in parroc-chia, seguiti da don Massimo, chefaceva riferimento alla ComunitàCasa di Maria. Mi sono trovato ve-ramente bene! Ho trovato la fami-liarità di cui avevo bisogno in quellafase molto delicata della mia giovi-nezza».

Arjan viene battezzato e nel 1997chiede di essere accolto nella Frater-nità Sacerdotale dei Figli della Cro-ce, Comunità Casa di Maria, a Ro-ma, dove si prepara a diventare pre-te. Non senza difficoltà da superarecon i suoi genitori. Dieci anni dopoil suo sbarco in Italia, è PapaWo j t y ła a imporgli le mani sul ca-po, in San Pietro. «Nel 1993, l’annoin cui io poi sono arrivato in Italia,san Giovanni Paolo II ha visitatol’Albania. Il Paese era appena uscitodalla dittatura, sembrava una trinceaa cielo aperto, c’era molta miseria epovertà, ma nello stesso tempo tan-to desiderio di novità. Anch'io, co-me tantissimi bambini e tantissimealtre persone, ricordo il grande cor-done umano che accompagnava lamacchina del Papa da Tirana a Scu-tari. La sua figura mi ha sempre ac-compagnato, e lo stesso ha fatto lanostra santa Madre Teresa. Lei,mentre uscivamo dalla dittatura, ciha riversato quel balsamo di tene-rezza, di amore, di bontà, di speran-za che sapeva donare a tanti poveriin vari meandri del mondo».

Don Dodaj lavora in diverse par-rocchie e diventa cappellano dellacomunità albanese a Roma. Nel2017 l’arcivescovo di Tirana-Duraz-zo, George Anthony Frendo, chiedeche don Arjan possa prestare servi-zio nella diocesi. Il superiore dellacomunità Casa di Maria, don Gia-como Martinelli, e il cardinale vica-rio di Roma, Angelo De Donatis,acconsentono. Il sacerdote fa ritor-no nel suo Paese come fidei donum.

Ora la nomina a vescovo ausilia-re. «Sono sincero... mai e poi maiavrei né pensato né desiderato unacosa simile. Ero molto felice di vive-re il contesto parrocchiale, il conte-sto familiare quotidiano che ho sem-pre vissuto, con la mia comunità,con i parrocchiani, con le personeche ci sono affidate. Adesso è suc-cessa questa ulteriore chiamata, que-sta nomina del Santo Padre France-sco. L’ho accolta con fiducia nel Si-gnore, nella Madonna, e con obbe-dienza alla Chiesa».

A gioire per la scelta del Papa so-no stati anche cristiani di altre con-fessioni e credenti musulmani, nelprimo Paese europeo visitato daFrancesco, simbolo di buona convi-venza tra diverse religioni. «Non ètolleranza religiosa — dice donDodaj —, è molto importante cam-biare parole e capire che per noi èarmonia, familiarità, spirito di gran-de collaborazione e sostegno reci-pro co».

sua Madre, Maria di Magdala, Ma-ria di Cleofa e Giovanni, la folla lodimenticò. Desiderava non morireda solo, però non c’era alcun sama-ritano che è «stato prossimo di coluiche è incappato nei briganti» (Luca,10, 36). Sul Calvario scomparve laparola “p ro s s i m o ”.

Forse questa descrizione un po’poetica ma reale può suscitare den-tro di noi sentimenti di compassio-ne. Però ciò che accadde sul Calva-rio non è unico a riguardo. Se scru-tiamo la realtà attorno a noi trovia-mo che ci sono diversi “cro cifissi” iquali, come Cristo, sono abbando-nati o nella solitudine perché nessu-no ci fa caso. Sfortunatamente an-che oggi abbiamo crocifissi che so-no soli perché dimenticati, emargi-nati, i loro nomi cancellati persinodalla lista dei famigliari, degli amici,del sistema. Mi ricordo di famigliedove ci sono problemi di salutementale, tossicodipendenza, carcere,prostituzione, e altro ancora. Mi ri-cordo di nostri anziani che hannodonato tutto; alcuni hanno distri-buito i loro beni ancora in vita eoggi sono abbandonati anche dailoro figli o nipoti. Mi ricordo dimalati che raramente ricevono unavisita di consolazione; anche per es-si la ferita dell’abbandono è più du-ra della stessa malattia. Come questice ne sono tanti altri: i poveri, i de-tenuti, i rifugiati, le vittime di ognisorta di abuso, quelli che sono statiuccisi “so cialmente” perché diffama-ti e mai riabilitati.

Nelle circostanze dell’epidemia,mi ricordo di quelli che sono ricove-rati e si sono trovati soli, non sol-tanto senza la vicinanza dei propricari ma anche di chi può portare lo-ro il balsamo dei sacramenti primadella partenza. Abbiamo sentito co-me, in altri paesi, molti — come Cri-sto — sono morti da soli.

Anni fa durante la quaresima icrocifissi e i dipinti venivano coperticon un drappo viola, forse affinchéil dramma del dolore del Crocifissonon interpellasse le nostre coscien-ze, proprio a noi che lo abbiamo la-sciato solo sulla croce. Oggi non co-priamo più il Crocifisso, però c’èchi desidera coprire i crocifissi dioggi. Come quando uno prova anascondere le piaghe della società(povertà, disoccupazione, crimine,negazione dei diritti), uno tenta dicancellare questi crocifissi dalla nar-rativa sociale. Quando succede que-

abbiamo perso il senso della “comu-nità” e del “capitale sociale”, i qualisi davano per scontati. Invece deldialogo si ricorre al confronto, inve-ce dell’intesa si scelgono la competi-zione e la sopraffazione. Cerchiamodi più ciò che ci distingue che ciòche ci unisce.

È vero che oggi testimoniamo lanascita di tanti servizi sociali, peròmolte volte questi sono senza animae non riscaldano il cuore; anzi il fat-to che lo Stato in qualche modoprovvede è diventato il pretesto perespellere il prossimo dai nostri cuo-ri. Questo individualismo si è infil-trato anche nelle relazioni tra glistati; anche se i paesi in Europausano la parola “comunità”, mancacompletamente uno spirito di genui-na fraternità.

Siamo molto lontani dall’app ellolanciato dal filosofo Emmanuel Lé-vinas, quello di guardare il voltodella persona accanto. Secondo lui,l’uomo nasce solo quando diventaprossimo per gli altri. L’uomo puòdire che è persona fin quando esistel’altro. È nell’incontro con il voltodell’altro che io posso uscire dal gu-scio del mio egoismo. Però ti invitoa ricollocare il tuo sguardo sul Cro-cifisso, perché sotto questo monu-mento alla solitudine Gesù è coluiche si comporta da prossimo pernoi che siamo caduti nelle mani deibriganti; quello per cui nessuno si ècomportato da prossimo, è diventa-to prossimo per noi. Sulla croce Ge-sù ci guarda in faccia. La croce pos-siede un grande stupore, una par-venza gloriosa come annunciò Cri-sto stesso. Come disse a Nicodemo:«E come Mosè innalzò il serpentenel deserto, così bisogna che sia in-nalzato il Figlio dell’uomo, perchéchiunque crede in lui abbia la vitaeterna» (Giovanni, 3, 14-15).

Un’altra volta disse ai suoi disce-poli: «Quando avrete innalzato ilFiglio dell’uomo, allora saprete cheIo Sono» (Giovanni, 8, 28). Io SonoDio e Io Sono il vostro prossimo. Equando dei greci volevano vederlo,Gesù mandò loro un suo ritratto adue facciate: «Se il chicco di granocaduto in terra non muore, rimanesolo; se invece muore, produce mol-to frutto. Chi ama la sua vita la per-de e chi odia la sua vita in questomondo la conserverà per la vitaeterna [...] Quando sarò elevato daterra, attirerò tutti a me» (ibidem, 12,24-32). Solo se il chicco di grano ca-

Il corpo nel sepolcro e la nuda vita

di ANDREA PONSO

Il corpo che oggi è morto e rimane nel sepolcro è pura biologia, nu-da vita, cadavere senza possibilità, im-potenza, e forse ci dice qual-cosa anche della situazione particolare che tutti noi stiamo vivendo

in questo periodo di virus. Il lungo silenzio del Sabato Santo ci invita aprendere coscienza che non siamo la somma dei nostri organi e nemme-no la somma delle nostre rappresentazioni mentali o religiose: ci invita,con grande attualità, ad abbracciare la complessità non riduzionisticadell’umano che non è solo carne, non è solo intelletto, non è solo spiritoo anima ma la relazione, appunto complessa e dinamica, non dualistica,della vita nel suo concreto rifiuto di ogni definizione, sia essa solo spiri-tuale o solo medico-scientifica. Anche per un non credente mi pare dipoter dire che il Risorto è la negazione di ogni riduzionismo: non è uno“spirito”, dirà ai suoi, come chiederà da mangiare, come non userà solola parola per farsi riconoscere da chi era convinto di conoscerlo e, dopola resurrezione, non lo riconosce. Perché conoscere è de-finire, è ridurrel’altro a cadavere immobilizzato nelle nostre rappresentazioni e nella no-stra stessa fede. Nel racconto evangelico Cristo non si ferma neppure da-vanti ai muri: li attraversa, come attraversa ogni definizione.

DA G I O VA N E MIGRANTE E D U C AT O ALL’AT E I S M O A VESCOVO

L’arrivo a Bari della motonave Vlora con a bordo migliaia di migranti albanesi l’8 agosto del 1991

Page 9: Dal silenzio del sepolcro alla gioia della Risurrezione€¦ · ne. Grazie per tutto quello che fate. Vorrei dirVi che sono a disposizione per dare una mano sempre. Contate su di

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 10 domenica 12 aprile 2020

Nel Sabato santo del 1903 moriva Gemma Galgani

Consumata d’a m o resulla croce

La consideravano una sciocca, unasorta di infatuata, a volte un’isterica.Perfino la fase diocesana del proces-so di canonizzazione ha dovuto es-sere spostata in un’altra sede per le-gittima suspicione. Giudicata con gliocchi del mondo, il bilancio dellasua esistenza è quasi fallimentare.Misurata con gli occhi di Dio, Gem-ma Galgani è una perla di santità euna mistica eccezionale.

Nata a Borgonuovo di Camiglia-no (Lucca) il 12 marzo 1878, benpresto iniziò a sperimentare locuzio-ni interiori e, nel giorno della cresi-ma, nella chiesa lucchese di San Mi-chele in Foro, sentì una voce che lechiedeva il sacrificio della mamma.Fu così che a sette anni rimase orfa-na di madre.

Agli inizi del 1887 frequentò lesuore oblate dello Spirito Santo,fondate dalla beata Elena Guerra,per prepararsi alla Prima comunio-ne. In quell’istituto, incontrò suorCamilla Vagliensi, un’oblata che lespiegò il Vangelo. Gemma rimasetalmente colpita dalla narrazionedella Passione del Signore che ne fe-ce la sua cifra per tutta la vita. Nel1889 si iscrisse al corso di studinell’istituto delle oblate. Inquell’ambiente comprese che Cristola chiamava a una amicizia più stret-ta, ma non sapeva come realizzare ilsuo desiderio. Purtroppo, la croceiniziò molto presto a caratterizzarela sua esperienza.

All’età di diciotto anni dovette af-frontare, senza anestesia, un’op era-zione al piede. Nata in una famigliadi buone condizioni sociali, in cui ilpadre esercitava la professione difarmacista, sperimentò anche la mi-

seria. Infatti, a causa dell’ingenuitànegli affari del genitore, la farmaciadi famiglia fallì e iniziarono le diffi-coltà e le sofferenze.

A quel tempo, chi falliva era mar-chiato a vita e non aveva prospettiveper recuperare la posizione socialeperduta. Gemma fu così costretta adabbandonare la casa dove viveva e aritirarsi in una povera abitazione al-la periferia della città. La povertàdivenne la sua compagna di viaggiofino a quando, nel novembre 1897,anche il padre morì prematuramen-te. Una sorella, per salvarla dall’in-digenza, la portò con sé a Camaiore,dove Gemma passava le giornate trala partecipazione alla messa, la pre-ghiera e la presenza nella merceriagestita dalla sorella.

Fanciulla di bello aspetto, fu cor-teggiata da alcuni pretendenti, masempre rifiutò energicamente leprofferte di matrimonio. Voleva do-narsi solo a Dio. Purtroppo, in quelperiodo nuovamente la croce bussòalla sua porta: si ammalò di unaosteite alle vertebre che la ridusse infin di vita. Rientrata a Lucca, feceuna novena a Margherita Maria Ala-coque, a quel tempo non ancora ca-nonizzata, e venne guarita. Eral’aprile 1899. In segno di riconoscen-za pensò di entrare tra le Visitandi-ne, ma non venne accolta. Non ave-va dote, era malata e i monasteri acui si rivolse si rifiutarono di pren-derla. Viveva da consacrata nel mon-do, vestita dimessa, sempre di nero.Non aveva altri interessi che Cristoe la sua Chiesa. Amava firmarsi: «lapovera Gemma».

In vista dell’Anno santo del 1900,i religiosi passionisti predicarono un

corso di esercizi spirituali nella cat-tedrale di San Martino. Gemma siconfidò con alcuni di loro e iniziò asentire attrazione per la spiritualitàdi san Paolo della Croce. PadreGaetano Guidi le permise di emette-re i voti di povertà, castità e obbe-dienza, prima per un periodo, dal 5luglio all’8 settembre, poi di rinno-varli in seguito. Nel giugno 1899 ladonna ricevette il dono delle stim-mate che cercava di nascondere aglialtri per pudore. In quel periodo,venne a contatto con la ricca fami-glia Giannini che la accolse al suointerno come una figlia. Lì conobbeil passionista Germano Ruoppoloche divenne suo confessore. Gli in-viava le lettere da Lucca a Romacon un postino straordinario: nientemeno che il suo angelo custode.

Iniziò così un periodo di riccheesperienze mistiche: la vedevano ca-dere in estasi mentre riviveva la fla-gellazione, la coronazione di spine.Operò numerosi prodigi e questieventi attirarono su di lei l’attenzio-ne anche di scienziati e perfino loscetticismo del suo confessore, il ve-scovo Giovanni Volpi, ausiliare diLucca.

Nel 1901 per ordine di padreRuoppolo scrisse l’autobiografia, Ilquaderno dei miei peccati. L’anno suc-cessivo si offrì vittima a Dio per lasalvezza dei peccatori, i quali eranosempre stati al centro dei suoi sacri-fici e delle sue preghiere. Inun’esperienza mistica, Gesù le chiesedi fondare un monastero di claustra-li passioniste a Lucca. Nonostante ilsuo impegno e il suo vivo desiderio,non riuscì a realizzarlo. Nel settem-bre 1901 si ammalò gravemente ditubercolosi. Non si riprese più, lesue sofferenze divennero misericor-dia per tanti peccatori. Morì il Sa-bato santo del 1903, l’11 aprile, comequest’anno. Lasciò scritto: «Sonocosì forti i lacci del tuo amore che ionon posso uscirne... Lasciami purela libertà: io ti amerò dappertutto,io ti cercherò sempre».

Dopo la sua morte, Pio X firmò ildecreto di erezione del monasterodelle passioniste a Lucca. Non potéentrarvi da viva, venne accolta damorta. Infatti il suo corpo, rivestitocon l’abito delle monache, riposanella chiesa del monastero diventatasantuario.

Giuseppe Moscati, il medico dei derelitti

Mani che guarironouna città

Erano soliti vederlo chinato a lenireferite, a visitare i malati, ad ascolta-re le voci dei sofferenti negli ospe-dali. Ore interminabili tra le corsie,da un reparto all’altro, per consola-re, guarire, curare. Giuseppe Mo-scati era un medico particolare,quello che la gente richiedeva daogni parte: non solo un bravissimoclinico che sapeva formulare le dia-gnosi più complicate, ma un santo.Quando morì d’infarto, il 12 aprile1927, non aveva ancora compiuto 47anni. Era tornato dall’ospedale edalle visite a domicilio per control-lare alcuni pazienti. La gente per lestrade di Napoli iniziò a gridare:«È morto il medico santo».

Non era solo un esperto dellescienze terrene, ma anche delle cosedi Dio. Nel malato vedeva CristoCrocifisso da soccorrere, amare eservire. Aveva speso la vita nella ri-cerca e nello studio per essere sem-pre più utile al prossimo. D’a l t ro n -de, era un celebre professore cheall’insegnamento univa la pratica diquanto appreso negli atenei. Avevaacquisito anche una fama interna-zionale per le sue ricerche che ave-vano trovato spazio nelle paginedelle riviste scientifiche. I suoi stu-

curabili. Si dimostrò un grande or-ganizzatore e a lui venne affidato ilcompito di sistemare il ricovero deimalati affetti dalla rabbia. Nel 1906si prodigò per salvare i ricoveratinell’ospedale di Torre del Greco,durante l’eruzione del Vesuvio.Continuò a studiare e a vincereconcorsi, fino a quando divenneprimario. Nel 1911 ottenne la liberadocenza in chimica fisiologica suproposta di Antonio Cardarelli einsegnò indagini di laboratorio ap-plicate alla clinica e chimica appli-cata alla medicina, secondo i pro-grammi del Consiglio superioredella pubblica istruzione.

Allo scoppio della prima Guerramondiale presentò domanda di ar-ruolamento volontario, ma la richie-sta venne respinta. Volevano averloa disposizione per curare i soldatiferiti che tornavano dal fronte. Ven-ne nominato anche direttore del re-parto militare dal 1915 al 1918. Inquesto periodo, per quanto riporta-to dai registri dell’ospedale degliIncurabili, visitò 2.524 soldati.

La sua prolifica attività professio-nale non si spiega solo con la pas-sione per la medicina. Non era raroche, andando a curare i poveri nelle

SANTI PER IL TEMPO DELLA PA N D E M I A

La promessa fatta da Rocco di Montpellier, potente intercessore contro la peste

«Chiunque mi invocherà lo libererò dal flagello»

A cura di NICOLA GORI

Non c’è pieve, cappella o chiesa rurale nella vec-chia Europa che non abbia un altare dedicato asan Rocco. Il suo culto è così radicato nelle cam-pagne che non mancano feste e fiere che si svol-gono in suo onore e in prossimità della sua festaliturgica, il 16 agosto. Rocco è entrato nel cuoredella gente per la sua carità sconfinata verso imalati e i bisognosi. È conosciuto, in particolare,per le sue doti taumaturgiche nel guarire dallapeste. Ciò lo ha reso caro a generazioni di fedeliche vedono in lui un protettore, un amico, un so-stegno nel momento della prova e della sofferen-za. Per questo, lungo il corso secoli, è stato invo-cato contro le epidemie di peste, colera, tifo, in-fluenza spagnola, ma anche contro le patologieche colpiscono il regno animale e vegetale.

Non vi era malattia contagiosa che non trovas-se in lui un valido aiuto per preservare intere cittàe comunità che gli si raccomandavano. Con l’av-vento dell’età moderna il culto di san Rocco var-cò i confini dell’Europa, fino a giungere nelleAmeriche. È stato dichiarato patrono di una mi-riade di categorie di persone, a cominciare daicontagiati, emarginati, malati, viandanti e pelle-grini, operatori sanitari, farmacisti, volontari. Per-fino dei cani. Perché non proclamarlo anche pa-trono dei malati di covid-19? Certamente, il santonon sarebbe insensibile alla nostra richiesta diaiuto, visto che nella cella dove morì venne trova-ta una tavoletta dove aveva inciso il suo nome ele parole: «Chiunque mi invocherà contro la pe-ste sarà liberato da questo flagello».

Il suo nome e la sua coraggiosa carità hannotrovato spazio anche nei romanzi. Basti ricordareAlbert Camus, che nella sua opera La Peste narradella popolazione di Orano che organizza unaprocessione in onore del santo, perché liberi lacittà dalla peste. Anche il grande AlessandroManzoni si convertì interamente alla fede cattoli-ca, il 2 agosto 1810, quando nella chiesa di SanRocco a Parigi, avvenne quel “miracolo” checambiò per sempre la sua vita.

Ma chi era san Rocco? Nacque a Montpellier,tra il 1348 e il 1350, in piena guerra dei Cento an-ni e, soprattutto, durante la pandemia di pestenera che decimò la popolazione europea. Non fucerto un’epoca facile: la carestia e i massacri com-piuti dalle truppe mercenarie erano all’ordine delgiorno e nessuno sembrava poter arrestare queiflagelli. A quel tempo Montpellier, che venne in-corporata nel regno di Francia nel 1349, era unagrande città mercantile, cosmopolita, molta famo-sa a livello internazionale per la sua università.Oltretutto, non era molto lontana da Avignone,sede papale per lunghi decenni.

Rocco apparteneva a una famiglia di rilievo.Suo padre, Jean Roch de La Croix, era un digni-

tario della città e ne divenne primo console nel1363. Sua madre, Liberia, era originaria dellaLombardia. Il figlio primogenito trascorse l’infan-zia in un ambiente profondamente cristiano. Fubattezzato nel santuario di Notre Dame des Ta-bles, che era il centro della vita spirituale, intellet-tuale, amministrativa e sociale della città.

La tradizione vuole che abbia seguito i corsi distudi dai domenicani prima di dedicarsi alla me-dicina. Mentre era studente dovette fare i conticon almeno due epidemie di peste, nel 1358 e nel1361. Si narra che l’ultima ondata del morbo feceben 500 morti al giorno a Montpellier per tremesi. Fu così che la peste si portò via i suoi geni-tori e Rocco si ritrovò orfano a 17 anni. Non glimancava nulla, ma preferì distribuire ai poveri lasua ricchezza ed entrare nel Terz’ordine france-scano. Ricevette la benedizione dal vescovo diMaguelone, si rivestì dell’abito di pellegrino e simise in cammino. Destinazione: Roma. Arrivò adAcquapendente nel luglio 1367. Dovette fermarsitre mesi, poiché anche lì la peste stava imperver-

sando. Fu in quell’occasione che si scoprirono lesue qualità di medico e di guaritore. Con lascienza, appresa alla scuola di medicina di Mon-tpellier, unita alla fede, riuscì a compiere numero-se guarigioni, tracciando semplicemente una cro-ce. Riprese la strada per Roma, ma quando ven-ne a sapere che la peste stava facendo una stragea Cesena, non esitò a dirigersi verso la Romagna.

Anche in quelle zone si ripeterono le scene diguarigioni. All’inizio del 1368 riuscì ad arrivare aRoma e, come ormai di consueto, si dedicò aimalati alloggiati nell’ospedale di Santo Spirito. Sinarra che un cardinale sia stato testimone di unaguarigione operata da Rocco. Il porporato locondusse e lo presentò a Urbano V, il quale escla-mò: «Mi sembra che tu venga dal Paradiso» e glidonò l’indulgenza plenaria.

Nel 1370, Rocco decise di rientrare a Montpel-lier e prese la strada del ritorno. Nel luglio 1371giunse a Piacenza, dove si fermò all’ospedale diNostra Signora di Betlemme per assistere e guari-re i malati. Fu lì che un giorno si accorse di es-sersi ammalato di peste. Allora, per non contagia-re gli altri, si diresse verso un bosco vicino al bor-go di Sarmato, nei pressi del fiume Trebbia. Pen-sò che era giunta la sua ora e si raccomandò aDio. Ma un cane, ogni giorno, venne a portargliun pezzo di pane, salvandolo da morte per fame.Si racconta che un giorno, il padrone dell’anima-le — pare un certo Gottardo Pallastrelli, che di-venne poi suo discepolo e primo biografo e perfi-no l’autore dell’unico ritratto del santo, conserva-to nella chiesa di Sant’Anna a Piacenza — lo tro-vò e lo soccorse. Guarito dalla peste, tornò im-mediatamente a curare i malati. Ripreso il cammi-no verso il Midi della Francia, giunse nel ducatodi Milano, in preda alla guerra tra il duca Berna-bò Visconti e la lega promossa da Urbano V.Scambiato per una spia, Rocco venne arrestato aBroni e trasferito a Voghera dai militari dei Vi-sconti. Avrebbe potuto salvarsi rivelando la suaidentità, ma aveva fatto il voto di anonimato.Venne incarcerato e vi rimase per cinque anni.Non svelò la sua identità che in punto di morte,avvenuta il 16 agosto 1379.

L’indignazione della popolazione fu enorme,perché avevano fatto morire in carcere un inno-cente. Venne sepolto nella città che, ben presto,lo invocò come un santo. La più antica menzionedel suo culto si trova nel 1382. Si tratta di un’au-torizzazione degli assessori per permettere l’o rg a -nizzazione di un mercato cittadino sotto la prote-zione del santo. Le sue spoglie, conservate in unachiesa a lui dedicata, vennero rubate e, nel feb-braio 1485, oggetto di una transazione, furonotrasferite a Venezia, dove tuttora riposano nellachiesa della Scuola Grande di San Rocco.

di, in particolare, si concentravanosul glicogeno e su argomenti colle-gati, facendo di lui un rinomatoprecursore in questo campo.

Giuseppe era nato il 25 luglio1880 a Benevento, settimo dei novefigli del magistrato Francesco Mo-scati e di Rosa De Luca, dei mar-chesi di Roseto. Fu battezzato il 31luglio. L’anno successivo la famigliasi trasferì prima ad Ancona e poi aNapoli. Dal 1889 al 1894 seguì icorsi ginnasiali e liceali all’istitutoVittorio Emanuele. A 17 anni si lau-reò con ottimi voti e si iscrisse allafacoltà di medicina dell’Universitàdi Napoli. Aveva scelto di diventareun dottore perché era sempre statosensibile alla sofferenza umana, tan-to da cercare in ogni modo di lenir-la. Non riusciva ad accettare l’im-potenza di fronte a molte malattie.Da qui l’impegno per la ricercascientifica. Tuttavia, sapeva che Ge-sù era l’unico medico del corpo edell’anima, per cui affidava a Luiogni sforzo per ridare la salute allagente che incontrava. La sua azioneera integrale: non voleva solo guari-re dalle malattie, ma anche ricon-durre le anime a Cristo e salvarledalla morte eterna.

Il 4 agosto 1903, Giuseppe Mo-scati conseguì la laurea con pienivoti e dignità di stampa. Dopo cin-que mesi, partecipò al concorsopubblico indetto per l’ufficio di as-sistente ordinario negli OspedaliRiuniti di Napoli, e a un altro percoadiutore straordinario. Si aggiu-dicò il primo posto e iniziò a pre-stare servizio nell’ospedale degli In-

loro case, invece di riscuotere laparcella lasciasse loro del denaro.Non era difficile nemmeno trovarloin giro di notte per le strade di Na-poli mentre si recava a visitare unammalato. La forza di tanta attivitàgli proveniva dall’amore di Dio.Partecipava quotidianamente allamessa nella chiesa del Gesù Nuovo,che era nei pressi di casa sua, e ri-maneva a lungo in preghiera davan-ti al Santissimo Sacramento. DallaParola di Dio attingeva il coraggioe l’ispirazione per affrontare le dif-ficoltà che incontrava nella cura deimalati. Tra i numerosi pazienti, neebbe due famosi: il tenore EnricoCaruso e il beato Bartolo Longo.

I funerali di Moscati furonoun’apoteosi popolare di riconoscen-za a questo medico umile e pienodi carità. La sua fama di santitàcrebbe sempre più, al punto che, il16 novembre 1930, i suoi resti mor-tali vennero traslati nella chiesa delGesù Nuovo.

Beatificato da Paolo VI il 16 no-vembre 1975, durante il giubileo, eproclamato santo da Giovanni Pao-lo II il 25 ottobre 1987, durante i la-vori dell’assemblea del Sinodo deivescovi su «La vocazione e la mis-sione dei laici nella Chiesa e nelmondo», è stato di recente propo-sto come patrono del “118” p ro p r i oper la sua instancabile dedizione aquanti soffrono nel corpo e nellospirito.

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L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 12 aprile 2020 pagina 11

Le testimonianze dei detenuti di Roma e Viterbo ai microfoni di Radio Vaticana Italia

Liberi di potervi aiutare

La testimonianza di Roberto Giannoni, vittima di un errore giudiziario

Mi ha salvato la fede in Dio

A Regina Coeli, fra collette per la Protezione civile e laboratori per capirsi e capire gli altri

Millesettecento motiviper non sentirci poi tanto miglioridi MARCO BELLIZI

Millesettecento euro. Per laProtezione civile, per pro-teggere, o curare, dal virus

quelli che stanno fuori. Come sedentro invece, loro, fossero protetti.La Pasqua l’hanno celebrata così, idetenuti di Regina Coeli. Sarà unmodo per sentirsi parte della società,magari. O per sentirsi meno “b ru t t i ”,meno “colp evoli”. Ammesso che chista fuori non lo sia. Fatto sta che ilgesto, se si considera che la genero-sità la si misura anche con il metrodel sacrificio che comporta, è di va-lore incommensurabile. La direttricedel carcere di Regina Coeli, SilvanaSergi, giustamente, ne va orgogliosa:«Abbiamo fatto subito il versamento— racconta —. I detenuti hanno fattotutto da soli. E in questo momentoposso assicurare che non è un segna-le da poco».

La realtà dell’istituto di pena divia della Lungara, nel centro dellacapitale, presenta tratti particolari. Ilcarcere fa da sempre parte della cit-tà, non è, come può accadere per al-tri istituti, la parte oscura da non ve-dere, il luogo dello scarto. Si affac-cia sul lungotevere, lo si scruta concuriosità dalla terrazza del Gianico-lo. Quando, nel secondo dopoguer-ra, la povertà a Roma era ancoramolto diffusa, così come la disoccu-pazione, salire quello “scalino”, subi-to dopo il portone del carcere, eraper molti quasi un rito d’iniziazione,

la presa d’atto della dura realtà dellavita. Però i tempi cambiano. E an-che qui la situazione è delicata: a viadella Lungara arrivano gli arrestati,presi in flagranza di reato, e i ferma-ti, i destinatari dei provvedimenti dicustodia cautelare. Certe volte è co-me girare con un fiammifero in unapozzanghera di benzina, se non siusano le giuste parole. Se non si saaccogliere e accompagnare, anche incarcere. Nei giorni scorsi, quando ilvento della rivolta soffiava veicolan-do segnali di tamburi lontani da unistituto all’altro della penisola, anchequi la tensione era palpabile. A cau-sa dell’emergenza virus i contatti conl’esterno erano diventati sempre piùdifficoltosi, a fronte di una parados-sale promiscuità tale da rendere sem-plicemente ridicola la nostra quoti-diana psicosi del contagio. Pocheprotezioni, nessuna garanzia per lasalute, notizie dei famigliari poche esaltuarie. Una bomba pronta adesplodere. Però, come si dice, anchenel buio più scuro si può trovareuna luce: basta saperla accendere.«Ci sono stati diversi detenuti cheinvece di cedere allo scontento, allapaura, si sono dimostrati comprensi-vi, hanno capito le difficoltà che sta-vamo vivendo tutti, hanno pazienta-to». Si sono messi dei panni di chi litiene in custodia.

Non è stato un evento casuale pe-rò. I dirigenti del carcere hanno os-servato come i più tolleranti si sonodimostrati i detenuti che da qualche

tempo a questa parte partecipano aun’iniziativa già avviata con successoa Rebibbia e introdotta da qualchemese anche a Regina Coeli. Nella IVsezione, quella dei tossicopendenti, eparzialmente nella II, il “re p a r t i n o ”degli “psichiatrici”, i carcerati pren-dono parte a una sorta di laborato-rio educativo che attraverso le tecni-che teatrali favorisce il lavoro sustessi, sul confronto con gli altri, sul-la relazione. Spiega Sergi: «Avevosentito parlare di questo “Meto doteatrico” e ho voluto incontrare ilgruppo che lo propone, il GruppoEleusis. Devo dire, a distanza diqualche tempo, che è piaciuto a tut-ti, tanto che anche il personale dellastruttura mi ha chiesto di potervipartecipare. Ed è significativo, per-chè per gli agenti c’è già la faticaquotidiana del lavorare, che non època». Al termine del laboratorio èprevisto anche uno spettacolo teatra-le, a suggello del percorso, sebbenel’obiettivo primario sia naturalmentequello della promozione umana. El’esperienza è diventata tanto essen-ziale che, racconta la direttrice Sergi,i detenuti hanno espressamente ri-chiesto di poter continuare a usu-fruirne attraverso internet, essendo levisite dall’esterno vietate a seguitodell’emergenza coronavirus.

Una fame di relazione che do-vrebbe far riflettere. Racconta Arian-na Donati, che coordina i volontaridi Eleusis a Regina Coeli: «Devo di-re la verità: la prima volta che sono

entrata in carcere per la nostra attivi-tà mi sono detta con qualche ap-prensione: “Vabbè, ora qui ci sono icattivi”. Invece ho trovato un rispet-to, una dedizione tali che sincera-mente mi sono dimenticata che mistavo rapportando a dei carcerati.Per loro è molto importante il nostropuntare sulla valutazione della per-sona al di là della storia e delle scel-te sbagliate che si sono fatte. Attra-verso le improvvisazioni che speri-mentiamo riescono a mettere in sce-na a volte le loro storie personali, avolte, semplicemente danno sfogoalla loro creatività».

Il lavoro viene fatto con la colla-borazione costante di medici, psico-logi ed educatori. E i risultati si ve-dono: si riacquista rispetto di sé, sirientra in contatto con l’umanità,quella che sta fuori. Spiega Emanue-le Faina, fondatore di Eleusis, idea-tore del “Metodo teatrico” e consul-tore familiare presso il centro La fa-miglia degli Oblati di Maria Imma-colata: «Si può immaginare quantopossa fare all’interno del carcere, diuna cella, un metodo che usa lostrumento teatrale in ambito relazio-

nale. Il lavoro è un po’ quellodell’attore su sé stesso, ma natural-mente non è orientato in questo casoalla formazione artistica quanto astabilire un dialogo con sé stessi. In-vece di passare ore e ore magari afare palestra, i detenuti si ritrovano acercare la loro profondità, a ristabili-re un rapporto più autentico con illoro corpo, con i loro pensieri, conla loro anima». Il metodo ricalcaquello usato per la formazione pro-fessionale di attori ed educatori.Sebbene il gruppo Eleusis lavori nel-le carceri a titolo gratuito («un servi-zio di accoglienza in carcere del re-sto non avrebbe prezzo», sottolineaSergi) si tratta di uno dei 49 enti ri-conosciuti a livello nazionale dal mi-nistero dell’Istruzione per la forma-zione fra l’altro di docenti e dirigen-ti scolastici, conta al momento oltre5.000 utenti, ed è presente in 70scuole in tutta Italia. A dimostrazio-ne che anche le realtà professionalisono disposte a mettersi in gioco atitolo volontario, quando e dove ser-ve. Lo ha fatto anche l’azienda Ci-sco, che fornisce la piattaforma tec-nologica per il laboratorio a distanza

a Regina Coeli e un addetto, Loren-zo Lento, per dare assistenza alle ne-cessità che si presentano. Insomma,l’esperimento è destinato a durare.Lo conferma il provveditore per leCarceri di Lazio e Molise, CarmeloCantone: «Lo stiamo estendendo —spiega — a diversi altri istituti di pe-na. Ora vogliono prenderne parteanche i dirigenti. Credo del restoche qualunque persona abbia re-sponsabilità apicali abbia bisogno diriflettere sulle sue capacità relaziona-li, di gestione del conflitto». Soprat-tutto, rimane l’elemento fondamen-tale del “sup eramento” delle pareticarcerarie anche attraverso l’uso del-la tecnologia. Nell’ottica del princi-pio della pena a fini rieducativi enon vendicativi, è venuto il tempoanche di affrontare senza timore iltema della comunicazione fra cella emondo esterno. «Ci stiamo renden-do conto del fatto che il mondo di-gitale è un valore aggiunto — affer-ma Cantone —. Possiamo portare“d e n t ro ” alla realtà del carcere anchepersone che sono lontane, aprirci almondo dell’arte, della cultura. Perchi è abituato alla tecnologia questopuò sembrare scontato, ma qui nonlo è. Dare poi la possibilità ai dete-nuti di entrare in contatto costantecon i famigliari è un valore. Certo,dobbiamo essere bravi a conciliaretutto questo con le esigenze propriedel regime carcerario».

Intanto però, lì dentro, qualcosasi muove. «Ci sono alcuni che unacerta umanità la guardano dal bucodella serratura», ha scritto un dete-nuto in un lettera destinata ai volon-tari di Eleusis. Altri la guardano infaccia e si sporcano le mani, comeArianna Donati, che quando ha bi-sogno «di ritrovare un po’ di umani-tà» corre a Regina Coeli. Per tutti,comunque, è arrivata una lezione:1700 euro. Millesettecento motivi pernon sentirci poi tanto migliori.

di DAV I D E DIONISI

Gianni, Massimo, Orlando,Massimiliano, Daniele, Mo-uhcine, Paolo, Goffredo,

Alessandro, Danilo, Silvio e France-sco. Dietro a ciascun nome un per-corso diverso, drammatico per certiversi, che li ha condotti in carcere apagare il loro debito con la società.Alcuni a Roma, nella Casa di reclu-sione di Rebibbia, altri a Viterbo,nella Casa circondariale Mamma-gialla. La pandemia li ha colti disorpresa ma, paradossalmente, pre-parati perché da ristretti loro ci vi-vono da anni. E proprio perché lasituazione la conoscono molto be-ne, hanno deciso di lanciare unmessaggio a quello che sono solitichiamare “mondo libero”.

Un messaggio di solidarietà, disperanza e, non ultimo, di disponi-bilità ad aiutare chi sta soffrendo.Per farlo hanno scelto «I Cellanti»,il programma settimanale di RadioVaticana Italia che si occupa di pa-storale carceraria. «Così siamo sicu-ri che ci ascolterà Papa Francesco.Ci vuole bene e parla sempre benedi noi. Anche noi gli vogliamo be-ne e preghiamo sempre per lui»,hanno detto.

Attualmente la reggente dei dueistituti di pena è Nadia Cersosimoche già ebbe modo di incontrare ilSanto Padre in occasione dellaMessa “in cena Domini” il 13 aprile2017 a Paliano, in provincia di Fro-sinone. Nell’occasione il Papa lavò ipiedi agli ospiti (tutti collaboratoridi giustizia) nella struttura da leidiretta. È stata la stessa Cersosimoa chiedere che la voce dei ragazziarrivasse il più lontano possibile:«Vorremmo che queste parole giun-gano al cuore di tutti perché anchenoi oggi, a causa del virus, viviamoper certi versi la loro stessa situa-zione. Ma il loro non è un messag-gio di detenuti, ma quello di uomi-ni che vogliono condividere la sof-ferenza dei loro familiari, di chi èstato colpito dal covid-19, dei pove-ri, dei senzatetto, degli anziani edei bambini».

Secondo la direttrice «questi ra-gazzi avrebbero potuto assumere al-tri atteggiamenti: lamentarsi, de-nunciare, protestare. Invece hannoscelto la via della partecipazione edel coinvolgimento». Cersosimo in-fatti ha rivelato che, sia a Roma chea Viterbo, si sono messe in moto lesartorie interne per il confeziona-mento delle mascherine. Altri han-no organizzato collette il cui ricava-to è finito agli ospedali locali. «No-

di VALENTINO MAIMONE

«M i ha toccato profonda-mente la preghiera delPapa per coloro che

soffrono a causa di una sentenza in-giusta. Io che ho vissuto direttamen-te quella tragica esperienza, so beneche cosa vuol dire. Quanto mi piace-rebbe che queste parole del SantoPadre, pronunciate proprio durantela Settimana santa, rimanessero benimpresse nella mente delle persone».Roberto Giannoni è un brillante exbancario, oggi pensionato, originariodella provincia di Livorno. Ormaidiverso tempo fa è stato, suo mal-grado, vittima di un errore giudizia-rio che lo ha costretto al carcere dainnocente, condannato per reati maicommessi. Totalmente scagionato, hatrovato nella fede e nell’attività divolontariato nelle carceri gli stru-menti per riprendere una vita il piùpossibile normale.

Martedì scorso, ha ascoltato anchelui le parole di Papa Francesco, du-rante la messa mattutina in SantaMarta: «Già quando ho sentito quelriferimento a Gesù, a come i dottoridella legge si siano accaniti contro diLui, a come sia stato “giudicato sot-to accanimento, con accanimento,essendo innocente”, la mia mente ècorsa subito all’incubo che avevovissuto. Ma un istante dopo France-sco ha detto di più: “Vorrei pregareper tutte le persone che soffronouna sentenza ingiusta per l’accani-mento”. Ci rendiamo conto? Il San-to Padre che, alla vigilia di Pasqua,prega per tutte le vittime degli errorigiudiziari! Ho riprovato la stessaemozione vissuta quando ricevetti ilsuo abbraccio durante il Giubileodella Misericordia».

Ma partiamo dall’inizio. L’incub ovissuto da Giannoni era cominciatoil 10 giugno 1992. Lui, direttore diuna piccola filiale di provincia, fuarrestato con l’accusa di aver com-messo una sfilza di reati da far im-pallidire un criminale matricolato:«Associazione per delinquere distampo mafioso, usura, estorsione,riciclaggio, traffico di stupefacenti e

nostante i ragazzi siano giustamen-te destinatari di un dispositivodell’autorità giudiziaria e sono limi-tati nella loro libertà, hanno volutocomunque essere parte attiva nellafiliera di aiuti».

Danilo, il primo del gruppo, sitrova a Rebibbia e ha esordito rin-graziando Papa Francesco «per lesue continue carezze» e l’ammini-strazione che continua ad infondere«tranquillità e serenità grazie ai co-stanti aggiornamenti». Danilo ègrato anche agli agenti di Poliziapenitenziaria perché «hanno i no-stri stessi problemi e rischiano tuttii giorni. Per noi — ha confidato —sarà una Pasqua molto triste». An-che Silvio si è detto soddisfatto delpotenziamento del sistema comuni-cativo: «Continuiamo a parlare coni cari attraverso Whatsapp e possia-mo farlo anche nell’area verde». PerFrancesco il coronavirus «non è unproblema del carcere, ma della so-cietà intera. Immaginate se ci infet-tassimo tutti — ha detto — f a re m m osaltare il sistema sanitario naziona-le».

E la segnalazione di Francescoappare sensata se pensiamo che nel-le nostre patrie galere ci sono oltresessantamila ospiti. Gianni è a Vi-terbo e ha tenuto a sottolineare cheda persona “normale” quale è «pro-va paura, disagio, angoscia. Per sé eper la propria famiglia». Massimo,invece, ha spiegato che il grande ri-sultato ottenuto è stato quello di«mantenere la calma, nonostantetutti i detenuti siano molto preoc-cupati. Anche perché l’infermeriadel carcere è piccola e non potreb-be far fronte ad una emergenza diquesta levatura». Orlando ha auspi-cato che «tutto vada bene», mentreMassimiliano ha lanciato un vero eproprio appello: «Fate in modo cheil nostro contributo sia costante,possiamo e vogliamo fare di piùper aiutarvi».

Daniele ha manifestato la suaprofonda preoccupazione per le fa-miglie dei detenuti: «Hanno biso-gno della nostra presenza. Nessunopuò amare e tutelarle come possia-mo fare noi». Tra la rappresentanzadi stranieri, Mouhcine ha espressola sua gratitudine perché prima eraconsentita una chiamata a settima-na, mentre oggi una al giorno maha precisato: «Stiamo perdendouna generazione e ora abbiamo co-minciato a sentire che muoiono an-che tanti giovani». Le mura alte egrigie, per Paolo, dividono ancorapiù di prima a causa di questo ne-mico invisibile. E poi c’è Goffredo

di armi. Complessivamente, cinqua-nta capi di imputazione. Gli inqui-renti si erano convinti che io fossiaddirittura la mente finanziaria dellamafia in Toscana», ricorda l’ex ban-cario. «Tutto nasceva dalle dichiara-zioni di due collaboratori di giusti-zia, già clienti della mia filiale, che sierano letteralmente inventati un miocoinvolgimento nell’o rg a n i z z a z i o n ecriminale per risolvere i loro pesantiproblemi finanziari in cui si trovava-no. Venni rinchiuso nel penitenziariodi Sollicciano, a Firenze, dove passai12 mesi: dieci dei quali al famigerato41 bis, il carcere duro riservato ai cri-minali più pericolosi. Un regime fat-to di restrizioni severissime, capacidi fiaccare qualunque essere uma-no».

Ma Roberto Giannoni era inno-cente: «Alla fine se ne accorse anchela stessa procura di Firenze che ave-va fatto disporre il mio arresto, tantoè vero che richiese la mia assoluzio-ne al termine del processo. Maquando la vicenda fu conclusa, a seianni, sei mesi e sei giorni da quandotutto era cominciato, nulla fu piùcome prima nella mia vita». Duranteil periodo di carcerazione e nel corsodell’iter giudiziario, infatti, l’ex ban-cario ha perso entrambi i genitori:suo padre è morto un mese primadel processo per l’ennesimo infartoche lo aveva colto nel giro di pochesettimane, la mamma è scomparsadue mesi dopo la sentenza di assolu-zione per un tumore al fegato:«Questa storia — prosegue Giannoni— mi è costata moltissimo. Ho persoil lavoro, sono stato costretto a ven-dere casa per affrontare le spese pro-cessuali. E nonostante per tutto iltempo della carcerazione avessi so-gnato di tornare nel mondo dellepersone libere, una volta rientrato acasa mi sono reso conto che quellostesso mondo sembrava non volermipiù, perché il sospetto è l’anticameradella colpevolezza. Mi hanno salvatola fede e il conforto di potermi ren-dere utile a quelli che chiamo “i mieifratelli detenuti”».

Già, perché da oltre 15 anni Ro-berto Giannoni fa attività di volon-

che si è distinto perché, nel raccon-tare la sua detenzione al tempo del-la pandemia, ha espresso la suaemozione in modo diverso: «Dopoanni di reclusione, grazie alle video-chiamate, ho rivisto casa mia, le pa-reti delle mie stanze e, soprattutto, ivolti dei cari che non ho più incro-ciato. È stata per me una immensagioia, indescrivibile. La stessa gioiahanno provato anche i miei compa-gni nel rivisitare i luoghi dove sonocresciuti e hanno vissuto, anche seda remoto. Me ne sono accorto finda subito perché i loro occhi sonocambiati». Alessandro, infine, hachiesto di poter riabbracciare prestoi propri cari e per questo si è rivol-to direttamente alle istituzioni. An-che se con diverse sfumature, tuttisono stati concordi nel ribadire cheil carcere non è, e non deve essere,un luogo che custodisce, ma cheeduca, un valore e non una misuraestrema, un luogo dove il pensierodeve essere tenuto sempre vivo, pre-sente, e dove le persone devono po-ter esprimere la propria individuali-tà, le proprie preoccupazioni e leproprie speranze. «Sa cosa mi han-no detto? — ha ripreso Nadia Cer-sosimo — Che non avevano maimaturato un’esperienza del genere,perché nessuno li ha mai ascoltati.E questo è fondamentale proprioperché ha consentito a ciascuno disentirsi individuo. Il carcere, pur-troppo, tende a massificare questosenso di appiattimento dell’indivi-dualità: invece, proprio attraversol’espressione del pensiero c’è un’op-portunità per cui il soggetto vieneconsiderato come tale e quindi co-me persona» ha aggiunto.

La vicenda del coronavirus, purnella sua drammaticità, ci confermache il carcere può essere un luogoeducativo (o meglio ri-educativo)dove poter esprimere continuamen-te una personalità attiva sia versol’universale (lo Stato) che verso ilparticolare (le persone e i gruppisociali). Un territorio di frontierache oggi più che nel passato esigeun surplus di progettualità per po-ter operare in favore della comuni-tà. Non solo quella carceraria.Umanizzare gli istituti, pertanto,deve essere l’obiettivo principale eper renderlo effettivo è necessarioun impegno a tutto campo che svi-luppi quell’inventiva pedagogicache è nella struttura e nei program-mi di chi ogni giorno si prodiga af-finché il detenuto non venga maiidentificato con la pena che hacommesso.

tariato in carcere attraverso la Socie-tà San Vincenzo de’ Paoli: «Quelloche più mi ha aiutato, quando erodietro le sbarre anch’io, è stato potercontare sulla fede e aver trovatoun’umanità povera e sincera nei mieicompagni di cella. In particolare,quest’ultima solidarietà mi è rimastaimpressa al punto da farmi decideredi tornare tra di loro prima possibi-le, per portare sostegno e farli staremeglio. Penso che la via del perdonosia l’unica strada che un detenutopuò percorrere».

Proprio la sua attività di volonta-riato, nei penitenziari di Porto Az-zurro e di Sollicciano, gli ha datol’opportunità di ottenere il regalopiù grande: «Nel corso del Giubileodegli operatori della Misericordia,ho potuto raccontare la mia storiadavanti al Santo Padre e a quaranta-mila fedeli presenti in piazza SanPietro. Alla fine del mio intervento,ho ricevuto l’abbraccio di PapaFrancesco. Un gesto che mi ha ripa-gato di tante sofferenze patite in tut-ti questi anni, e che mi ha saputo re-galare serenità e soddisfazione».

Oggi Giannoni continua il suovolontariato nelle carceri, di personae tramite corrispondenza, ed è impe-gnato anche in prima persona nellasensibilizzazione sul tema degli erro-ri giudiziari: «Sostengo da anni l’as-sociazione non profit Errorigiudizia-ri.com, con cui collaboro per mante-nere un faro acceso sul drammaticoproblema degli innocenti in carcere.Secondo le statistiche, ogni annovengono arrestate in media millepersone, che poi verranno assolte erisarcite dallo Stato per ingiusta de-tenzione, proprio com’è accaduto ame. Sono convinto che si debba faredi tutto affinché questo accada sem-pre meno».

Secondo le elaborazioni di Errori-giudiziari.com, su dati del ministerodell’economia, in Italia gli ultimi 28anni sono finite in carcere da inno-centi oltre 28.000 persone. Nel solo2018 (ultimo dato disponibile) si so-no registrati 1.013 casi di errori giu-diziari e ingiuste detenzioni.

VO CI DAL CARCERE

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 12 domenica 12 aprile 2020

Il Papa alla Via crucis in piazza San Pietro scandita dalle meditazioni scritte in un carcere

Abbracciatoalle croci del mondo

Giuseppe pensava fosse più pesantequella croce. Quando alla dodicesi-ma stazione — proprio davanti alcrocifisso di San Marcello al Corso— la riceve da Maria Grazia Grassi,commissario della Polizia peniten-ziaria, tira un sospiro di sollievo enon per timore di far fatica: «Infondo è così anche nella vita, persi-no la croce più pesante sembra sem-pre più dolorosa di quanto realmen-te è» pensa tra sé. E di sofferenzeGiuseppe Ledda se ne intende: aldolore dai del “tu” dopo 43 anni diservizio come infermiere nella Cittàdel Vaticano.

Le sue mani, esperte nel far starmeglio chi soffre, impugnano la cro-ce in questa sera del 10 aprile, Ve-nerdì santo del 2020. Giuseppe nonha bisogno di parole, come ogni uo-mo avvezzo al “f a re ”, per comunica-re che stasera le sofferenze di tutte ledonne e di tutti gli uomini che haservito si riversano, attraverso le suemani, in quel legno da portare perdue stazioni della Via crucis.

Siamo già alla tredicesima, sullascalinata detta “il ventaglio” che daisampietrini della piazza porta su, almarmo del sagrato. Giuseppe incro-cia per un attimo lo sguardo del ce-rimoniere pontificio che ha accantoe poi va. Va a portare a termine que-sta Via crucis straordinaria in cui ri-conosce il senso stesso dei suoi 43anni con il camice da infermiere. Lofa a nome di tutti i suoi colleghi,ovunque stiano lavorando.

Giuseppe consegna la croce nellemani di Francesco. E non è un gestosemplicemente simbolico per unoche di Papi ne ha serviti cinque. Daquattro anni lavorava come infermie-re in Vaticano quando, il 13 maggio1981, su questa stessa piazza, spara-

rono a Giovanni Paolo II. Giuseppenon dimentica Papa Wojtyła riversoa terra, all’ingresso degli ambulatori,con la veste bianca colorata di rosso.

Consegnare la croce a Francesco èil gesto che racconta una vita. Il Pa-pa lo sa. Aggancia gli occhi di Giu-seppe e afferra la croce. Sa France-sco che in quella croce, che ha vistopassare sulla piazza di mano in ma-no tra donne e uomini “f ro n t a l i e r i ”nel servizio delle Beatitudini evange-liche — «ero malato, ero in carce-re...» — c’è tanto dolore. C’è paura.C’è vergogna. C’è solitudine. Ma c’èanche speranza. Perdono. Riscatto.

Subito il Papa ha appoggiato lasua fronte su quel legno. Un gestonaturale di preghiera. Di condivisio-ne. Senza dire una parola. Nessundiscorso. Giuseppe ha chinato il ca-po quando ha visto Francesco quasitutt’uno con quel legno. Ha capitoche davvero il suo servizio, e il servi-zio di chi sceglie la professione didar tutto per gli altri, trova il sensopiù alto nella Via crucis. Perchéquando tutto sembra davvero perdu-to, e la morte aver preso il soprav-vento, riconosci che Dio ha messoun limite al buio: tre giorni e poiviene Pasqua.

In un’ora e mezzo Giuseppe ri-percorre la propria vita, il suo servi-zio, riabbraccia tutti i malati che haincontrato, uno per uno. E questoproprio a piazza San Pietro, attra-versata ogni giorno per 43 anni. Cer-to, stasera è un’altra cosa: un’imma-gine straordinariamente inedita per-sino per una piazza che sa come sifa la storia. Alle 21 in punto Giusep-pe è lì, sotto l’obelisco, immerso inun silenzio rotto solo dal lieve rumo-re dell’acqua delle due fontane e

dall’irrompere dei suoi stessi pensie-ri, tra ricordi e preghiera.

Sa di non essere solo. A piazzaSan Pietro non si è mai soli, neppu-re quando è vuota come stasera. Ac-canto a lui ci sono i colleghi dellaDirezione di Sanità e Igiene del Go-vernatorato dello Stato della Cittàdel Vaticano. C’è Maurizio Barigelli,giovane aiuto infermiere, che portala croce all’ottava e alla nona stazio-ne. C’è Nadia Zapponi, tecnico dellaboratorio delle analisi cliniche: alei il compito di portare la fiaccolaaccanto alla croce. I camici bianchiGiuseppe li conosce bene e stasera ècontento di averne due a fianco, an-che perché ne riconosce il coraggio:in questi giorni Esmeralda Capristo(porta la croce alla quarta e quintastazione) e Maurizio Soave (addettoalla fiaccola) sono due medici in pri-missima linea tra i malati di corona-virus al policlinico Gemelli.

Voltando lo sguardo a destra Giu-seppe vede i suoi compagni di Viacrucis: sono i cinque rappresentantidella comunità del carcere “Due Pa-lazzi” di Padova. Ci sono don Mar-co Pozza, cappellano dal 2011, e Ta-tiana Mario, giornalista e volontaria:sono stati loro a raccogliere i testidelle meditazioni per questo Venerdìsanto. Don Marco porta la crocenelle prime tre stazioni mentre Tatia-na è addetta alla fiaccola. Come Mi-chele Montagnoli, ex detenuto checonfida parole di pentimento e di ri-nascita. E lo fa avendo accanto il di-rettore del carcere, Claudio Mazzeo,che porta la croce alla sesta e allasettima stazione. Del commissarioMaria Grazia Grassi si è già detto:porta la croce alla decima e all’undi-cesima stazione e la passa proprio aGiusepp e.

Il percorso della Via crucis, trac-ciato con un “fiume” di fiammelle,parte dall’obelisco. E vi gira attornoper le prime 8 stazioni. È come se lebraccia del colonnato, aperte per ac-cogliere tutti, s’intrecciassero staseracon le braccia della croce. Giuseppepensa che in fondo è sempre statocosì nel suo lavoro. Guarda la croce,guarda i suoi compagni di viaggio,guarda verso il Papa — là sul sagrato— e chiudendo gli occhi guarda lepersone che soffrono. È un infermie-re, gli viene naturale. Per farlo peròguarda anche dentro se stesso:l’esperienza scarna — la più difficile— che ogni Via crucis propone.

Ci sono 4 stazioni tra l’obelisco el’inizio del scalinata del “ventaglio”.Il punto focale è ora il crocifisso diSan Marcello, lì proprio sotto il“ventaglio”. E più sopra, sul sagrato,c’è il Papa. All’appuntamento con lacroce Giuseppe arriva carico dellacondivisione delle meditazioni. È uninfermiere, sa ascoltare.

Le riflessioni raccontano l’esp e-rienza della cappellania della casa direclusione “Due Palazzi” di Padova:un gruppo di persone ha meditatosulla Passione di Gesù rendendolaattuale nelle loro esistenze. La vita leha messe davanti a situazioni forti estasera le presentano nella Via crucissenza chiedere sconti: cinque dete-nuti, una famiglia vittima per unreato di omicidio, la figlia di un uo-mo condannato alla pena dell’e rg a -stolo, un’educatrice del carcere, unmagistrato di sorveglianza, la madredi una persona detenuta, una cate-chista, un frate volontario, un agentedi Polizia penitenziaria e un sacer-dote accusato e poi assolto definiti-vamente dalla giustizia, dopo ottoanni di processo ordinario.

I testi sono stati scritti in primapersona, con accenti incisivi. Ma si èscelto di non firmarli: chi ha parteci-pato a questa meditazione ha volutoprestare la voce a tutti coloro checondividono la stessa condizione. Ecosì la sera del Venerdì santo, al

tempo della pandemia, la voce diuno diventa voce di tutti.

Papa Francesco legge le preghieretra una stazione e l’altra. Parole chesono una mano tesa verso chi hasbagliato e cerca opportunità di ri-nascita. Parole che sono un incorag-giamento a chi svolge un servizioper gli altri. «O Dio che non ci lascinelle tenebre e nell’ombra della mor-te» prega alla settima stazione. «ODio, che non abbandoni i tuoi figlinelle prove della vita» incalza all’ot-tava. «Donaci di perseverare durantela notte oscura della prova» rilanciaall’undicesima.

Insomma il vescovo di Roma sug-gella le meditazioni, vere testimo-nianze, con la sua benedizione. Maprima appoggia la fronte sul legnodella croce che sofferenze e speranzedi tutti raccoglie. Come a dire: nes-suno è solo. Soprattutto nella nottedel Venerdì santo. Dopo la preghie-ra del 27 marzo, un altro dirompentemessaggio “urbi et orbi”. (giampaolomattei)

La celebrazione della Passione

Tre drappi di color rosso vermiglio sul crocifisso di San Marcello al Corso. D rappiche ricordano la passione di Cristo e quella dell’uomo, intrecciate in questi giorni distrenua “lotta” contro la pandemia che affligge il mondo. Papa Francesco entra insilenzio e si prostra a terra davanti al Crocifisso collocato all’altare della Cattedra. È ilrito del pomeriggio del Venerdì santo, che si celebra in una basilica di San Pi e t rovuota: il momento dell’azione liturgica in cui la Chiesa invoca e prega facendomemoria della Passione, l’ora delle tenebre e dell’effimero trionfo del male che, ainostri giorni, si personifica in un microscopico virus. Nel tempio risuona il Vangelo diGiovanni che fa rivivere gli ultimi istanti della vita terrena di Gesù, a cui seguono leparole del predicatore della Casa Pontificia, il cappuccino Raniero Cantalamessa (delquale pubblichiamo in questa pagina l’omelia). E poi ancora, le preghiere delPontefice. Per la prima volta è inserita nella liturgia l’intenzione dedicataesplicitamente all’emergenza sanitaria in corso. Alle tradizionali dieci preghiereuniversali — per la Chiesa, per il Papa, per tutti gli ordini sacri e per tutti i fedeli, peri catecumeni, per l’unità dei cristiani, per gli ebrei, per i non cristiani, per quelli chenon credono in Dio, per i governanti, per i tribolati — si aggiunge quella «per itribolati nel tempo di pandemia», che recita: «Preghiamo, fratelli carissimi, Dio Padreonnipotente, perché liberi il mondo dalle sofferenze del tempo presente: allontani lapandemia, scacci la fame, doni la pace, estingua l’odio e la violenza, conceda saluteagli ammalati, forza e sostegno agli operatori sanitari, speranza e conforto allefamiglie, salvezza eterna a coloro che sono morti». Infine lo scoprimento, lavenerazione e il bacio della Croce, riservato soltanto al Papa in questi tempi diemergenza sanitaria.

Nell’omelia del predicatore della Casa pontificia

«Io ho progetti di pace, non di afflizione»Nel pomeriggio del 10 aprile, Venerdì santo,Papa Francesco ha presieduto nella basilica Va-ticana la celebrazione della Passione del Signo-re. Dopo la proclamazione del Vangelo di Gio-vanni (18, 1 – 19, 42), il predicatore della Ca-sa Pontificia ha pronunciato l’omelia che pub-blichiamo di seguito.

di RANIERO CA N TA L A M E S S A

San Gregorio Magno diceva che laScrittura cum legentibus crescit, crescecon coloro che la leggono (Commento

morale a Giobbe, XX, 1). Esprime significatisempre nuovi a seconda delle domande chel’uomo porta in cuore nel leggerla. E noiquest’anno leggiamo il racconto della Passio-ne con una domanda — anzi con un grido —nel cuore che si leva da tutta la terra. Dob-biamo cercare di cogliere la risposta che laparola di Dio dà ad esso.

Quello che abbiamo appena riascoltato èil racconto del male oggettivamente piùgrande mai commesso sulla terra. Noi pos-siamo guardare ad esso da due angolaturediverse: o di fronte o di dietro, cioè o dallesue cause o dai suoi effetti. Se ci fermiamoalle cause storiche della morte di Cristo ciconfondiamo e ognuno sarà tentato di direcome Pilato: «Io sono innocente del sanguedi costui» (Mt 27, 24). La croce si compren-de meglio dai suoi effetti che dalle sue cau-se. E quali sono stati gli effetti della morte

di Cristo? Resi giusti per la fede in lui, ri-conciliati e in pace con Dio, ricolmi dellasperanza di una vita eterna! (cfr Rom 5, 1-5).

Ma c’è un effetto che la situazione in attoci aiuta a cogliere in particolare. La croce diCristo ha cambiato il senso del dolore e del-la sofferenza umana. Di ogni sofferenza, fisi-ca e morale. Essa non è più un castigo, unamaledizione. È stata redenta in radice daquando il Figlio di Dio l’ha presa su di sé.Qual è la prova più sicura che la bevandache qualcuno ti porge non è avvelenata? Èse lui beve davanti a te dalla stessa coppa.Così ha fatto Dio: sulla croce ha bevuto, alcospetto del mondo, il calice del dolore finoalla feccia. Ha mostrato così che esso non èavvelenato, ma che c’è una perla in fondo adesso. E non solo il dolore di chi ha la fede,ma ogni dolore umano. Egli è morto pertutti. «Quando sarò elevato da terra, avevadetto, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32). Tutti,non solo alcuni! «Soffrire — scriveva sanGiovanni Paolo II dopo il suo attentato — si-gnifica diventare particolarmente suscettibili,particolarmente sensibili all’opera delle forzesalvifiche di Dio offerte all’umanità in Cri-sto» (Lettera apostolica Salvifici doloris, n.23). Grazie alla croce di Cristo, la sofferenzaè diventata anch’essa, a modo suo, una spe-cie di «sacramento universale di salvezza»per il genere umano.

Qual è la luce che tutto questo getta sullasituazione drammatica che stiamo vivendo?

Anche qui, più che alle cause, dobbiamoguardare agli effetti. Non solo quelli negati-vi, di cui ascoltiamo ogni giorno il triste bol-lettino, ma anche quelli positivi che solo unaosservazione più attenta ci aiuta a cogliere.

La pandemia del coronavirus ci ha brusca-mente risvegliati dal pericolo maggiore chehanno sempre corso gli individui e l’umani-tà, quello dell’illusione di onnipotenza. Ab-biamo l’occasione — ha scritto un noto Rab-bino ebreo — di celebrare quest’anno unospeciale esodo pasquale, quello «dall’esiliodella coscienza» (Yaakov Yitzhak Biderman,b l o g s . t i m e s o f i s r a e l . c o m / c o ro n a v i ru s - a - s p i r i -tual-message-from-brooklyn). È bastato ilpiù piccolo e informe elemento della natura,un virus, a ricordarci che siamo mortali, chela potenza militare e la tecnologia non ba-stano a salvarci. «L’uomo nella prosperitànon comprende — dice un salmo della Bib-bia —, è come gli animali che periscono»(Sal 49, 21). Quanta verità in queste parole!

Mentre affrescava la cattedrale di SanPaolo a Londra, il pittore James Thornhill, aun certo punto, fu preso da tanto entusia-smo per un suo affresco che, retrocedendoper vederlo meglio, non si accorgeva che sta-va per precipitare nel vuoto dall’impalcatura.Un assistente, inorridito, capì che un gridodi richiamo avrebbe solo accelerato il disa-stro. Senza pensarci due volte, intinse unpennello nel colore e lo scaraventò in mezzoall’affresco. Il maestro, esterrefatto, diede unbalzo in avanti. La sua opera era compro-messa, ma lui era salvo.

Così fa a volte Dio con noi: sconvolge inostri progetti e la nostra quiete, per salvarci

dal baratro che non vediamo. Ma attenti anon ingannarci. Non è Dio che con il coro-navirus ha scaraventato il pennello sull’a f f re -sco della nostra orgogliosa civiltà tecnologi-ca. Dio è alleato nostro, non del virus! «Ioho progetti di pace, non di afflizione», dicenella Bibbia (Ger 29, 11). Se questi flagellifossero castighi di Dio, non si spiegherebbeperché essi colpiscono ugualmente buoni ecattivi, e perché, di solito, sono i poveri aportarne le conseguenze maggiori. Sono for-se essi più peccatori degli altri?

No! Colui che un giorno pianse per lamorte di Lazzaro, piange oggi per il flagelloche si è abbattuto sull’umanità. Sì, Dio “sof-f re ”, come ogni padre e ogni madre. Quan-do un giorno lo scopriremo, ci vergognere-mo di tutte le accuse che gli abbiamo rivoltein vita. Dio partecipa al nostro dolore persuperarlo. «Essendo supremamente buono,— ha scritto sant’Agostino — Dio non per-metterebbe mai che un qualsiasi male esi-stesse nelle sue opere, se non fosse sufficien-temente potente e buono, da trarre dal malestesso il bene» (Enchiridion, 11, 3 [PL 40,236]).

Forse che Dio Padre ha voluto lui la mor-te del suo Figlio sulla croce, a fine di rica-varne del bene? No, ha semplicemente per-messo che la libertà umana facesse il suocorso, facendola però servire al suo piano,non a quello degli uomini. Questo vale an-che per i mali naturali, terremoti ed epide-mie. Non le suscita lui. Egli ha dato anchealla natura una sorta di libertà, qualitativa-mente diversa, certo, da quella moraledell’uomo, ma pur sempre una forma di li-bertà. Libertà di evolversi secondo le sueleggi di sviluppo. Non ha creato il mondocome un orologio programmato in anticipoin ogni suo minimo movimento. È quelloche alcuni chiamano il caso, e che la Bibbiachiama invece “sapienza di Dio”.

* * *L’altro frutto positivo della presente crisi

sanitaria è il sentimento di solidarietà.Quando mai, a nostra memoria, gli uominidi tutte le nazioni si sono sentiti così uniti,così uguali, così poco litigiosi, come in que-sto momento di dolore? Mai come ora ab-biamo sentito la verità di quel grido di unnostro poeta: «Uomini, pace! Sulla pronaterra troppo è il mistero» (Giovanni Pascoli,I due fanciulli). Ci siamo dimenticati dei mu-ri da costruire. Il virus non conosce frontie-re. In un attimo ha abbattuto tutte le barrie-re e le distinzioni: di razza, di religione, diricchezza, di potere. Non dobbiamo tornareindietro, quando sarà passato questo mo-mento. Come ci ha esortato il Santo Padre,non dobbiamo sciupare questa occasione.Non facciamo che tanto dolore, tanti morti,tanto eroico impegno da parte degli opera-tori sanitari sia stato invano. È questa la “re -cessione” che dobbiamo temere di più.

Spezzeranno le loro spade e ne farannoaratri, delle loro lance faranno falci; una na-zione non alzerà più la spada contro un’altranazione, non impareranno più l’arte dellaguerra (Is 2, 4).

È il momento di realizzare qualcosa diquesta profezia di Isaia, di cui da semprel’umanità attende il compimento. Diciamobasta alla tragica corsa verso gli armamenti.Gridatelo con tutta la forza, voi giovani,perché è soprattutto il vostro destino che sigioca. Destiniamo le sconfinate risorse im-piegate per gli armamenti agli scopi di cui,in queste situazioni, vediamo l’urgenza: lasalute, l’igiene, l’alimentazione, la lotta con-tro la povertà, la cura del creato. Lasciamoalla generazione che verrà un mondo, se ne-cessario, più povero di cose e di denaro, mapiù ricco di umanità.

* * *La parola di Dio ci dice qual è la prima

cosa che dobbiamo fare in momenti comequesti: gridare a Dio. È lui stesso che mettesulle labbra degli uomini le parole da grida-re a lui, a volte parole dure, di lamento,quasi di accusa. «Àlzati, Signore, vieni innostro aiuto! Salvaci per la tua misericordia![...] Déstati, non ci respingere per sempre!»(Sal 44, 24.27). «Signore, non ti importa chenoi periamo?» (Mc 4, 38).

Forse che Dio ama farsi pregare per con-cedere i suoi benefici? Forse che la nostrapreghiera può far cambiare a Dio i suoi pia-ni? No, ma ci sono cose che Dio ha decisodi accordarci come frutto insieme della suagrazia e della nostra preghiera, quasi percondividere con le sue creature il merito delbeneficio accordato (cfr S. Tommaso d’Aqui-no, S. Th. II-IIae, q. 83, a.2). È lui che cispinge a farlo: «Chiedete e otterrete, ha det-to Gesù, bussate e vi sarà aperto» (Mt 7, 7).

Quando, nel deserto, gli ebrei erano morsidai serpenti velenosi, Dio ordinò a Mosè dielevare su un palo un serpente di bronzo echi lo guardava non moriva. Gesù si è ap-propriato di questo simbolo. «Come Mosèinnalzò il serpente nel deserto, così bisognache sia innalzato il Figlio dell’uomo, perchéchiunque crede in lui abbia la vita eterna»(Gv 3, 14-15). Anche noi, in questo momentosiamo morsi da un invisibile “serp ente” vele-noso. Guardiamo a colui che è stato “innal-zato” per noi sulla croce. Adoriamolo pernoi e per tutto il genere umano. Chi loguarda con fede non muore. E se muore, sa-rà per entrare in una vita eterna.

«Dopo tre giorni risorgerò», aveva predet-to Gesù (cfr Mt 9, 31). Anche noi, dopoquesti giorni che speriamo brevi, risorgere-mo e usciremo dai sepolcri che sono ora lenostre case. Non per tornare alla vita di pri-ma come Lazzaro, ma per una vita nuova,come Gesù. Una vita più fraterna, più uma-na. Più cristiana!