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DanzanDo Magazine Numero 1 – Primavera 2013 1 DanzanDo Magazine Numero 1 - Primavera 2013 Direttrice: Melissa Mattiussi Hanno collaborato: Elena Cerruto, Tania Cristiani, Giovanni Ansaldi, Fabrizio Bonanomi, Chiara Michelotti, Valerio Marchetti, Luisa Morfini, Carola Salvi Elisabetta Vianello, Lavinia Abbondanza, Silvia Oggioni, Valentina Bellinaso. Per il logo del XXV di Sarabanda si ringrazia Nicolò Mereu Per domande e proposte contattare la segreteria, specificando in oggetto “DanzanDo Magazine” [email protected]

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DanzanDo Magazine - Primavera 2013

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DanzanDo Magazine Numero 1 – Primavera 2013

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DanzanDo Magazine

Numero 1 - Primavera 2013 Direttrice: Melissa Mattiussi

Hanno collaborato: Elena Cerruto, Tania Cristiani,

Giovanni Ansaldi, Fabrizio Bonanomi, Chiara Michelotti, Valerio Marchetti,

Luisa Morfini, Carola Salvi Elisabetta Vianello, Lavinia Abbondanza,

Silvia Oggioni, Valentina Bellinaso. Per il logo del XXV di Sarabanda si ringrazia Nicolò Mereu

Per domande e proposte contattare la segreteria, specificando in oggetto “DanzanDo Magazine”

[email protected]

DanzanDo Magazine Numero 1 – Primavera 2013

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La Donna, il più bel Fiore di Primavera. No alla violenza sulle Donne! La Danza come Via…

Editoriale

di Melissa Mattiussi Allieva al II anno della Scuola di Formazione in DMT, Danzatrice e Giornalista

Foto di Marko Vuorensola

E’ Primavera e la vita si rinnova, l’energia creativa freme per far sbocciare gemme e fiori custoditi dall’apparente immobilità dell’Inverno.

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E mentre se ne va un Papa e se ne fa un altro, il nostro corpo si rigenera ad ogni istante da se stesso, ma in connessione con gli altri corpi. E’ al Corpo inteso come Tutt’Uno di Corpo, Mente, Cuore, Anima che ci rivolgiamo con la Danza… La Danza che fa bene e allunga la vita e ne migliora la qualità anche con un semplice gesto come quello di inspirare, aprire il petto portando il cuore e le braccia al cielo, per celebrare il divino in noi, come avrebbe fatto Isadora Duncan. Chissà come sarebbe la danza della pioniera di inizio ‘900 se oggi fosse qui e chissà cosa farebbe per liberare le donne contemporanee, oltre che dagli scomodi tacchi e abiti, dalle violenze tristemente ancora troppo frequenti soprattutto tra le mura domestiche?

Allieve di Sarabanda in “Caravaggio”, anno 2011. Foto di Valerio Marchetti

Da Donna, Danzatrice e Giornalista mi sembra doveroso dedicare l’editoriale di DanzanDo di Primavera alle donne e a un tema scottante e che i mass media di solito trattano a suon di stereotipi per far colpo sul pubblico, per poi dimenticarsi delle vittime nel giro di breve tempo.

Questi i titoli: “Uccisa per amore”, “raptus di follia”, “omicidio passionale”, “dramma della gelosia”, “tragico destino”. Donne che sembra che quasi quasi se lo siano andate a cercare questo destino tragico e uomini che non si sa perché si sono lasciati prendere la mano. Da un’inchiesta comparsa

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sul Tabloid dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia (Novembre-Dicembre 2012) emerge che i media tendono a sottorappresentare i “femminicidi” commessi per mano di una persona vicina alla vittima, mentre tendono ad enfatizzare quelli per mano di un estraneo, ancor meglio se straniero. I risultati raccolti da Elisa Giomi, ricercatrice in sociologia della comunicazione dell’Università di Siena, mostrano che su 162 casi “risolti” esaminati nel 2006 le donne uccise da un estraneo erano il 4,3% e quelle morte nell’ambito di una relazione intima il 61,7%. Eppure, se analizziamo le edizioni prime time dei tre TG Rai e Mediaset dello stesso anno, il rapporto è capovolto: la prima tipologia ha ricevuto una copertura del 70% e la seconda del 40%.

Il movente è nel 41% dei casi quello del “possesso”, il non accettare da parte dell’uomo che la donna lo lasci, segue la litigiosità e conflittualità in famiglia con il 19%, il ricorso alla malattia psichica nell’11% dei casi.

La statistica è che in Italia viene uccisa una donna ogni tre giorni e di queste 73 sono uccise dal proprio partner. Nel Mondo la “violenza domestica” è la prima causa di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni, più degli incidenti e delle malattie.

Foto di Louis Silva

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Non possiamo che rabbrividire e chiederci cosa possiamo fare noi come Donne e come Uomini affinchè questo non accada più. E’ dimostrato che il numero di “femminicidi” è elevato in quei Paesi in cui persistono tendenze socio-culturali che minimizzano o giustificano la violenza domestica. Certamente chi sta ai vertici non sta facendo abbastanza su questo tema e ha il dovere urgente di offrire maggiori servizi per la tutela dei diritti delle donne, primo su tutti il diritto a mantenere il lavoro e al contempo di potersi dedicare a crescere con amore la propria famiglia. Perché, se le donne si laureano di più e meglio degli uomini, in Italia l’occupazione femminile è ferma al 46% con 20 punti in meno di quella maschile?!

Che si tratti di violenza domestica o tra le mura di un ufficio o che viene da un estraneo, che si tratti di violenza fisica o psicologica, chi di noi non ha mai subito una violazione del proprio diritto ad essere “Femmina”, anche a causa di una piccolissima, apparentemente “innocua”, avance da parte di qualche uomo più o meno conosciuto?

E come abbiamo reagito? Perché non tutte le donne riescono a liberarsi subito dal proprio aggressore? Perché al primo spintone o alle prime parole minacciose molte donne non allontanano il proprio uomo, ma gli

restano accanto quasi giustificandolo e credendo in fondo di meritarselo?

Non si pensi che questo avvenga solo dove manchi l’istruzione e la cultura, perché tante sono le donne colte ed intelligenti che sottostanno a tali situazioni, forse per paura di non poter essere amate in altra maniera.

Foto di Gjoke Gojani

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Una donna e un uomo si incontrano e si amano e poi qualcosa nella coppia esplode e brucia l’amore, lo capovolge e lo porta fino all’estremo. Si rivela che quella relazione non era fondata sulla meraviglia e sulla cura l’uno dell’altra, ma sulla costante e radicale pretesa di assimilazione e possesso da parte dell’uomo sulla donna. Il potere maschile rimane intrecciato all’ordine sociale e continua a lavorare nell’”oscurità dei corpi”, squilibra i rapporti e i ruoli, presidia la cultura e il linguaggio, cerca di riaffermarsi nelle scuole e nelle famiglie.

Il “femminicidio” non è un fatto privato, ma una tragedia che parla a tutti.

Ci parla della grave situazione sociale e della povertà culturale e di amore compassionevole dei nostri tempi.

E da parte nostra, da parte di chi ha fatto o sta facendo della Danza la propria Via, cosa possiamo fare?

Lascio la domanda aperta, affinchè ciascuna e ciascuno trovi, con Cura nel proprio Cuore, una risposta. Quando avremo queste risposte Danziamole, Doniamole, Diffondiamole, Viviamole, perché un mondo di Amore e Pace è possibile… Io continuo a crederci! E voi?!

E’ Primavera… E Vita sia!

Foto di Ana Sofia Feliz

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La Danza come luogo magico e rito necessario per un nuovo mondo di pace. Intervista a Elena Cerruto.

di Melissa Mattiussi

Da piccola danzava in casa “La morte del cigno” alla luce del grande lampadario tondo a specchi, dando vita alle sue giravolte magiche, mentre i genitori erano fuori casa e poi, al loro rientro, si rimetteva di corsa a letto per non farsi scoprire… Come se i suoi genitori non lo sapessero. Come tante di noi da bambine, e magari anche adesso, Elena aveva il suo luogo segreto dove dar vita alle danze, luogo che oggi non è più così segreto e si è “incarnato” in Sarabanda, nel luogo fisico della scuola, nel luogo spirituale e “animale” delle persone che credono in questo progetto e lo sostengono insieme a lei.

Ho incontrato Elena per una chiacchierata da danzatrice a danzatrice e…

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Elena, qual è il primo ricordo che hai di te nella danza? “Oltre alle danze di nascosto dai genitori, ricordo che diedi le mie prime lezioni di danza in casa alla nipote della portinaia che non poteva pagare la scuola. Poi la maestra le diede una borsa di studio.”

La danza come via dà molte soddisfazioni umane e personali, ma porta anche a passare molto tempo da sole, per lo studio, la ricerca, le prove, il lavoro su di sé…

“E’ vero. Spesso anch’io mi sono sentita sola e questa sofferenza mi ha portata a cercare dentro di me, non avendo trovato il nutrimento all’esterno. Bisogna pensare che la solitudine può essere una sorgente inesauribile di creatività esistenziale, che però spesso passa attraverso un processo doloroso. Ci sono stati e ci sono ancora molti momenti di difficoltà poiché in Italia questo mio linguaggio è poco compreso.

L’Universo ha un suo equilibrio, ma l’Io non è in grado di coglierlo. L’Io manifestato è quello che si collega e incontra altri Io. E’ meglio applicarsi alla ricerca della vera natura anziché sfinirsi in affermazioni perentorie su cosa sia il mondo. Per dirla come disse una mia amica pittrice “Io sono qui per lavorare, non per capire come va il mondo.”. E’ bello poter dire anche di non sapere le risposte.”

E’ Primavera e con la rinascita della nuova vita, come non dedicare un pensiero particolare a noi donne. Tante donne passano da Sarabanda, tante donne amano danzare e tante donne, ma anche uomini, trovano un valido sostegno nella Danzaterapia. Alla luce dei molti episodi di violenza che continuano a manifestarsi su donne e bambine, come la Danzaterapia può agire per aiutare queste donne a non sottostare più a tali violenze e come può prevenirle?

“Quando portai la Danzaterapia nel Carcere di Opera vidi che la gran parte della violenza subita o fatta non veniva fuori in maniera diretta. Per esempio ci fu l’episodio di una signora anziana che non volle far danzare le sue mani perché con quelle mani mi disse di avere ucciso. Fu una delle poche volte in cui le detenute mi raccontarono ciò che avevano fatto. Non ho mai trovato le detenute più violente di altre donne. Pensando ad altri episodi collegabili al tema della violenza, qui a Sarabanda, durante un lavoro sul bambino interiore, tutte noi ci ricordammo di aver subito qualche piccolo o grande atto di violenza da piccine. La danza ha aperto delle porte del passato,

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protette da un clima femminile in cui era possibile mostrarsi. In queste condizioni favorevoli il movimento diventa reazione a qualcosa che è successo e si manifestano i “no” del corpo. Ci fu poi il racconto di una ragazza violentata in ascensore che condivise questa esperienza col gruppo. Spesso, grazie al setting che fa sentire accolti, il movimento fa sì che le parti che hanno subito la violenza emergano e, sentendosi protetti, vengano poi esternate anche verbalmente, non per essere consolati, ma perché la Danzaterapia fa portare fuori l’energia vitale che è in ciascuno di noi, quindi anche la violenza. Se si portasse più fuori l’energia repressa attraverso la danza, la musica, le arti, non ci sarebbe così tanta violenza nel mondo. Anna Halprin dice che “il rituale permette l’espressione delle nostre energie vitali.”. Noi terapeuti predisponiamo il cammino, poi è il cliente che sa come fare… Per ricollegarmi alla radice orientale, secondo il Budda la nostra vera natura è l’illuminazione e la danza può svelare a ciascuno una propria parte preziosa. Se guardiamo bene, la violenza oggi è ovunque, nell’educazione che obbliga i bambini a star seduti molte ore al giorno, nella società, nel rinchiudere dentro case, scuole, uffici, prigioni. Certo a volte è necessario anche alzare la voce per farsi capire, ma poi bisogna sempre cercare di parlare un linguaggio di pace.”

Chi sta ai vertici della società, secondo te, che dovere ha affinchè questa società di pace sia possibile? “Sicuramente bisogna lavorare prima sui piccoli cambiamenti senza dividere il dentro dal fuori. Alda Merini diceva che prima di scrivere doveva lamentarsi un po’. Forse dobbiamo concederci di contemplare il dolore per vedere cosa si può fare. Per ora qui a Sarabanda ho trovato la continuità in 25 anni grazie a persone preziose che credono in questo che non è solo il mio progetto. Qui molte persone si sentono a casa e il piccolo miracolo quotidiano è l’andar avanti. Nonostante tanti guai siamo ancora qui.”

Il viaggio è un tema che ricorre spesso nella tua vita…

“Eh si, ho il sangue del gruppo B, quello nomade! Ci sono stati molti momenti in cui sono stata chiamata dal viaggio. Quando da ragazza andai a Parigi per studiare la “danza vera” scoprii tante cose e al momento sto andando ogni mese a Parigi per un Master in DanzaMovimentoTerapia. A 13 anni andai in Tunisia coi miei genitori e incontrai lo Yoga che mi portò a una differente concezione di equilibrio. Studiai poi con Josè Limòn e in Messico incontrai un personaggio

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fantastico, un maestro di teatro che si ispirava a Castaneda. Ci portava a fare delle gite in luoghi magici e mi trovai ad insegnare danza in posti sperduti. Poi tornai a Milano, ebbi mio figlio e nacque Sarabanda. La città non mi ha aiutata, ma le persone sì e molto. Ho viaggiato in Giappone e India per incontrare maestri spirituali come Amma e poi in Brasile a portare la mia Danza Terapeutica. Lì ho trovato una dimensione rituale molto forte dove la danza è meditativa e viene dal profondo. E poi c’è l’Argentina da Maria Fux che riconobbe cosa stavo facendo. Io sapevo che la mia danza era “curativa”, ma avevo paura a riconoscerlo. Lei mi ha dato fiducia dicendomi “Si può fare”. Viaggiando tanto c’è sì un iniziale disadattamento, ma anche ne segue un’unificazione. Non sapendo parlare bene la lingua degli altri si è più diretti, si tolgono i parassiti e si va all’essenziale.”

Che consiglio daresti ai giovani danzaterapeuti?

“Bisogna valutare bene dentro se stessi se si vuole dare fiducia a questa possibilità. L’utente non ha fiducia in sé e viene per trovarla e mantenerla. Se si vuole nutrire questa fonte bisogna sacrificare i “non ci credo”. La sorgente poi diviene inesauribile e porta a muoversi. Adesso che la Danzaterapia è stata riconosciuta come professione regolamentata abbiamo bisogno di danzaterapeuti che si rimbocchino le maniche e la portino nel mondo. E’ vero che c’è la crisi, ma proprio per tale motivo queste tematiche vanno danzate ed esternate. Come avvenne quando nacque la Modern Dance bisogna attingere dal contesto sociale e dai suoi turbamenti per danzarli e rielabolarli.”

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“Gli anni? Sono come gli amori! Vanno… e vengono!” Intervista a Maria Fux per i suoi 80 anni

di Elena Cerruto DanzaTerapeuta, Responsabile Didattica

e Docente della Scuola di Formazione in DMT di Sarabanda

E’ il Gennaio 2002, la grande danzatrice e danzaterapeuta Maria Fux ha compiuto ottant’anni e danza e vive questo traguardo come ogni cosa: con entusiasmo, con ironia, ma soprattutto con passione.

La Sua passione riguarda tutti gli aspetti della vita. Siamo in piena crisi economica in Argentina e pongo qualche domanda sulla situazione politica.

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Maria, com’è la situazione ora a Buenos Aires?

“Difficile, anche ora mentre ti parlo, c’è un incendio nella strada, la gente soffre. Questo mi dà grande dolore. Ma io sempre, guardo “il positivo” e continuo il mio lavoro, gli allievi vengono a lezione, preparano il loro saggio per domani. E’ importante continuare a danzare, a stare vicini in questi momenti difficili.”

Sono molti anni ormai che la situazione socio-politica in Argentina è grave, questo non è il primo episodio che allarma il mondo intero e tu hai assistito a tutti questi cambiamenti contrastanti, vuoi raccontarci qualcosa di te donna, te danzaterapeuta in tali situazioni?

“Prima di tutto ti dico che è molto difficile lavorare con l’arte in un paese del terzo mondo, ma posso affermare che nonostante la pressione, l’insicurezza e l’ingiustizia, e a queste ultime bisogna aggiungere la povertà del mio paese e la paura, io continuo a credere nella speranza.

Spero, ma non da seduta! Lotto dall’interno per continuare questa vocazione d’amore dando sempre alla mia famiglia ed ai miei allievi la possibilità di dire che si può cambiare facendo.

In quanto a me come persona e come donna, vorrei capire perché esiste tanta ingiustizia in un paese tanto ricco!

Vorrei anche dire che la caduta e il dolore mi fanno capire quanto ancora devo fare, non tanto per me, ma per gli altri.”

In Argentina avete vissuto altri momenti duri, per esempio nell’epoca dei Colonnelli. Non hai mai pensato di fuggire allora?

“In quel periodo avevo appena iniziato a lavorare in Italia e devo dire che avevo iniziato a sognare di vivere a Firenze. Avrei voluto trovare una casa vicino a Ponte Vecchio! Quel luogo m’incanta!”

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Ma oggi è il tuo compleanno! Auguri Maria! Come stai?

“Mooolto bene (la sua voce è forte e chiara), sai, mi faranno una grande festa e tutti danzeranno per me!”

E tu danzerai?

“Claro che si! Todavia bailo! Hasta siempre, por la continuedad!”

Cosa si prova ad avere 80 anni?

“Gli anni? Sono come gli amori! Vanno… e vengono!”

Ora stai creando un nuovo spettacolo che probabilmente vedremo anche in Italia.

“Sì, si chiama “Sintesi di vita” e in questa retrospettiva mostrerò le coreografie che rimangono come tappe fondamentali della ricerca di strade verso una danza rinnovatrice. Sono tappe di crescita. Sono come ritratti in movimento. Questo è “Sintesi di vita”: sono 60 anni danzati e 80 anni di vita! “

La Fux s’interessa agli avvenimenti sociali ed economici. Anche quando veniva ancora in Italia seguiva i Telegiornali attentamente. Sa cogliere spunti di riflessioni profonde che porta poi come proposte di movimento che mantengono sempre viva l’attenzione durante il lavoro. Quando conversiamo nulla è escluso o bandito come non pertinente alla nostra ricerca: dalle lotte per il

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potere in tempo elettorale così come l’ultima canzone del festival di Sanremo che magari mi chiede di procurarle per l’indomani!

Il ritmo degli incontri con Maria a Sarabanda si è ripetuto per anni: febbraio, il Carnevale, i grandi preparativi per lo stage, il festival di Sanremo e… la crisi politica che ops! Sembra perdurare anche ora! Ormai sono tre anni che Maria non è più qui di persona anche se, in occasione della settimana a lei dedicata devo dire che la Sua presenza si fa magicamente sentire. Del resto tutti noi facciamo di tutto per evocarla! L’orchidea che Lei ammirava tanto non dimentica mai di rifiorire: è sempre la stessa, sempre più bella da ormai undici anni!

Dall’archivio ripesco quest’ultima conversazione con Lei. Questa volta siamo a Milano e l’intervista si svolge nel mio living, durante una pausa, prima di iniziare la seconda parte dello stage a Sarabanda. Abbiamo pranzato insieme: per Lei ho preparato cibi leggeri e nutrienti, ho passato due settimane a pensare i menù! Ho fatto ricorso a tutta la mia pratica zen per riuscire realizzare la mia presenza alle classi, ai fornelli e dai negozianti che mi vedevano correre all’ultimo minuto per acquistare anche solo un pizzico di origano dimenticato! La panettiera mi serviva per prima: “C’è la Maestra argentina vero? E’ stata qui stamattina ed ha comprato un bel vassoio di frittelle!” . Le frittelle! Dire che io avevo misurato pure l’olio extra vergine! Ma Lei sorriderà e dirà: “Dobbiamo festeggiare Elèna! Ho lavorato tanto! Me lo merito, non credi?”.

In tutti questi anni ho sempre visto Maria ammiccare e sorridere dicendo: “rido anche e soprattutto di me stessa! Sapessi quanto mi diverto!”. Forse è questa autoironia che le dà quel viso

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così giovane, la pelle liscia, gli occhi sempre scintillanti. I capelli lunghissimi e neri che dice di non aver mai tagliato e che ogni tanto scioglie per danzare con loro, il corpo sempre leggero e pronto a muoversi anche quando, i primi giorni dell’anno 2000, cadde su uno dei dissestatissimi marciapiedi di Buenos Aires, ruppe la rotula e fu operata. Dopo pochi mesi eccola all’aeroporto di Linate. Era appena tornata dalla Spagna con le sue cinque valigie! Mi mostra le fotografie degli incontri appena realizzati. La vedo muoversi con disinvoltura sia nelle fotografie sia ora, mentre scende dal taxi una volta giunte al Suo hotel di via Francesco Ferruccio. Saliamo le scale e faccio appena a tempo a porgerle il braccio. Le chiedo: “non ti fa male?”. Respira profondamente e mette a fuoco la risposta: “quando danzo no!”.

Poco dopo nell’intimità della Sua camera continua: “Devo dirti che ho imparato molto da questa caduta. Ho imparato a chiedere aiuto e anche ad avere la pazienza di attenderlo. Ma certo non si può cadere ogni volta che si ha bisogno di imparare qualcosa! –Ride e aggiunge seria- E sono così tante le cose che devo ancora imparare! Sono appena giunta alla madurez! Ora si tratta non più solo di diffondere, ma di approfondire il cammino.”

C’è una domanda che volevo porti da tempo, Maria. Riguarda tutte le persone che seguono i tuoi corsi e che ormai vengono da tanti anni. Sono cresciute con te ed ora iniziano ad invecchiare! Tante donne che ormai si avvicinano all’età della menopausa. Fa tanta paura. Che succederà? Che accadrà al ritmo interno non più scandito in modo così potente? Come danzeremo il nuovo ritmo? La Danza diverrà un canale creativo ancora più forte? E se ci mancheranno le forze?

“Non vi dovete preoccupare, tutto andrà bene! Sai che è successo a me? Stavo creando uno spettacolo per i bambini quando mi sono accorta del cambiamento. Mentre stavo danzando per loro pensavo: che bello! Per me si apre un nuovo cammino, non potrò più avere figli e sono qui che danzo davanti ai bambini! Bellissimo no? Che bello!”

Ma… i disagi fisici?

“Sai cos’è la cosa più bella? Puoi fare l’amore liberamente senza timore di avere dei bambini!

Maria continua a danzare, a insegnare. Dopo lo spettacolo “Dopo i miei 70”, ci fu “Omaggio a Garcia Lorca” che venne presentato al teatro San Martin, a Buenos Aires e in altri importanti teatri.”

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Danza anche per presentarsi ai convegni ai quali è invitata in tutto il mondo. Nel novembre 2002 danzò addirittura per il presidente argentino De la Rua. Un altro spettacolo importante fu “Dopo la caduta continuo con la Danzaterapia” la Sua esperienza viene narrata nel libro dall’omonimo titolo.

Nel marzo 2009 non posso mancare all’appuntamento con il Suo Passo d’Addio, sono con Lei, ospite nella Sua casa nei giorni precedenti e seguenti lo spettacolo. Cerco di starle vicina sperando di rimanere inosservata perché non voglio disturbarla e vedo la Sua quotidianità nei ritmi precisi che la caratterizzano. Malgrado le mie speranze di trasparenza Lei riesce ad occuparsi di me. Preparo una quantità esagerata di paos de quejo che Lei ama moltissimo: ho portato l’impasto dal Brasile ma sbaglio, non riesco a fare i conti quando Le sono vicina e così sforno e sforno… la scuola partecipa agli assaggi nell’emozione del pre-spettacolo! Maria assaggia appena ma si preoccupa, come sempre degli altri, che tutti gustino il cibo in ugual misura, che tutti siano coinvolti nell’atmosfera elettrizzante di quel giorno speciale, che tutti abbiano il loro posto a teatro!

In conclusione riporto un frammento dell’articolo che fu pubblicato sulla rivista Artiterapie nel giugno 2010:

Lei, come ha insegnato a fare a intere generazioni, rende viva ogni nota; la musica muove ogni poro della pelle, fa vibrare le ossa e i ricordi. La Musica viene da fuori: si può toccare, accarezzare,

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persino mangiare. Così l’ha sempre offerta a tutti noi e in tutto il mondo. L’ha offerta a tutti i “diversi” del mondo, anche ai sordi come capacità di ascolto del ritmo interno oppure tradotta in forme e sfumature per poter cogliere con gli occhi le diverse qualità di movimento e farle entrare nel corpo come vibrazioni musicali. Del resto siamo tutti sordi e diversi ma tutti assetati di creatività. Per questo lei è lì ora, per questo lei vive, insegna, viaggia in tutto il mondo.

Sul palco si muove maestra della musica. Dosando i gesti in un dialogo con le note.

Le immagini si susseguono ed il racconto avviene ora tra le slides, il ricordo delle sue parole il suono del pianoforte. Mi sembra che un grande senso di unità respiri tra lei, le immagini e il pubblico; qualcuno confesserà poi di aver provato desiderio di danzare in scena ma…

“La danza è un attimo, poi finisce” (J. Limòn).

Senza più tempo ci “muoviamo” nelle diverse qualità del movimento e Maria si chiede e ci chiede: “Perché le immagini spariscono?”

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La Danza Terapia a Srebrenica. Una realtà che diventa sogno. Viaggio in Bosnia Erzegovina

di 5 allieve della Scuola di Formazione di Sarabanda nel Settembre 2011 di Luisa Morfini, Allieva del III anno della Scuola di Formazione in DMT di Sarabanda

E’ stato in Bosnia Erzegovina, mentre tenevo un corso di danza ai ragazzi di un centro giovanile nella cittadina di Srebrenica, che ho pensato per la prima volta alla forza della danza per avvicinare le persone a se stesse e agli altri. Dopo solo un anno di formazione mi sono ritrovata a Srebrenica ad allestire e sviluppare un ciclo di incontri di Danzaterapia insieme a quattro mie compagne del corso di formazione presso Sarabanda.

Un sogno che diventa realtà? Di più, una realtà che diventa sogno!

Perché? Lo racconto seguendo alcuni temi portanti in questa avventura.

Fiducia

La Fiducia è quella che ci ha dato la fondazione di Srebrenica che ci ha ospitato, che guarda caso si chiama Kuca Povjerenja, vale a dire “Casa della Fiducia”: conoscevano la mia associazione ma non me personalmente, e hanno avuto fiducia nel progetto.

La fiducia è quella delle maestre di Srebrenica che hanno portato i loro bambini ai nostri incontri, quella della responsabile del centro giovanile che ha fatto pubblicità ovunque alla nostra iniziativa (web, radio, social network), quella delle persone che sono venute a chiederci

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informazioni (volontari, giornalisti, arte terapeuti) e non se andavano più e tornavano per “provare” anche loro.

La Fiducia è uno degli aspetti che abbiamo proposto agli adolescenti e ai ragazzi attraverso specifiche unità didattiche.

La fiducia è quella che spontaneamente ho sentito nel gruppo in formazione la prima volta che ho parlato del mio progetto di Danzaterapia a Srebrenica e che mi ha fatto dire senza pensare: “se qualcuna vuole venire con me… è la benvenuta”; la fiducia è quella delle compagne che senza esitare mi hanno detto: “io, io, io, io”, nonostante avessi prospettato un viaggio di 14 ore e una serie infinita di punti di domanda sul possibile esito.

La fiducia è quella che si è sviluppata giorno per giorno tra di noi a Srebrenica mentre, ora per ora, costruivamo “a mani nude” gli incontri di Danza Terapia anche per utenze inattese, scoprendo le risorse di tutte noi, scoprendo la bellezza di potersi/sapersi affidare alle altre.

Insieme

Srebrenica è un luogo speciale, in cui ogni cosa ha un’eco diversa dall’eco che avrebbe dei nostri orizzonti quotidiani: Srebrenica è un luogo speciale in ragione della sua orribile storia. Le due nazionalità oggi presenti in città fanno molta fatica a non odiarsi.

Ciononostante la Casa della Fiducia è gestita da una mussulmana, Melika, e da un serbo, Mladen, insieme. “Insieme” ha un’eco diversa a Srebrenica; insieme non è per niente scontato in una città del genere, non è possibile fare cose insieme in tante altre istituzioni locali. Una mussulmana e un serbo si vengono incontro, lavorano insieme, costruiscono insieme. E come succede alla Casa della Fiducia, anche molti giovani di Srebrenica sentono che devono fare dei passi gli uni verso gli altri.

La Casa della Fiducia è, anche fisicamente, un posto bellissimo, grande, spazioso, arioso: abbiamo potuto dormire nelle stanze pulite, prepararci colazioni e pranzi in una cucina da sogno, usare per la Danza Terapia una grande sala con un parquet molto bello e caldo e con grandi finestre da cui entrava un sole generoso. Ci siamo sentite a casa.

Anche i cittadini di Srebrenica entrano alla Kuca Povjerenja come se entrassero a casa di amici.

Ho in mente l’immagine di una fila disordinata di scarpette fuori dalla porta della sala di danza: erano tantissime, tante quanti i bimbi accorsi alla danza del mattino; le scarpette erano disposte come stanno sempre le scarpe fuori dalla porta di qualsiasi casa, serba o mussulmana che sia: accostate le une alle altre, in qualche modo, sullo zerbino; spesso sono così tante che si è costretti a pestarle quando si esce. Con le altre compagne ci eravamo domandate come avremmo convinto le persone a togliersi le scarpe, e invece per loro è stata la cosa più naturale del mondo: entravano in una casa, nella casa di cinque amiche italiane e quindi si toglievano le scarpe.

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E con la danza, in questa casa temporanea, abbiamo lavorato “insieme”. E’ un’eco bellissima in questo luogo speciale.

La cura, la serietà, il gruppo

Ho detto della fiducia che si è generata lavorando insieme tra noi compagne della formazione. Nel mio caso si è trattato di qualcosa di più della fiducia innata, dell’ottimismo ostinato che mi aveva spinto a coinvolgere il gruppo prima di partire; la fiducia che ho sviluppato sul posto è nata molto concretamente mentre osservavo quanto le mie compagne fossero preparate a definire le sequenze degli incontri, a scegliere le musiche, a individuare i materiali, a studiare i collegamenti tra i vari momenti.

E tutto sempre in gruppo: dal viaggio di andata in macchina passato tutto a studiare le tantissime musiche a nostra disposizione, al viaggio di ritorno a parlare di cosa aveva funzionato, cosa no; e in mezzo: gli incontri, la programmazione, qualche prova, gli ascolti; tutto il giorno su quel pavimento a mettere tutto insieme (“Presto, tra mezzora i bambini sono qui!”).

E tutte sempre attente, sempre con i riferimenti del metodo presenti.

Anche durante le conduzioni c’era il gruppo: era lì accanto, sullo stesso parquet, pronto a intervenire se ci fosse stata una difficoltà, una musica sbagliata da cambiare, un movimento in più da fare per superare un empasse o un passaggio dimenticato o debole. Avevamo programmato insieme tutto ed eravamo pronte a sostenerci. Un gruppo centrato, non invasivo.

Il setting parlava di noi: abbiamo preparato la sala con la massima cura, togliendo ogni mobile superfluo, lavando prima bene per terra, predisponendo una postazione per la musica che apparisse il più delicata possibile, tenendo sempre tutto in ordine e nascondendo i materiali per estrarli al momento opportuno. Ne è risultato a mio parere un setting accogliente, equilibrato.

E finalmente: la Danzaterapia.

Ovviamente la Danzaterapia è stata ciò che ci ha spinto fin là.

Non è stato necessario costruire grandi castelli e palazzi per creare un ambiente stimolante che attivasse l’espressione attraverso il movimento e la percezione di sé e degli altri. Sono bastate alcune semplici indicazioni, la scelta di poca musica mirata e poche attività centrate sugli Elementi delle Energie Elementari del Chorten tibetano (soprattutto Terra, Acqua e Fuoco).

Abbiamo lavorato sul tema dello spazio personale e dello spazio comune, della relazione con l’altro (rispetto, sostegno, sicurezza) e della fiducia e lo abbiamo fatto attraverso i passaggi fondamentali del metodo Danza Terapeutica: confidenza con la musica, approccio al linguaggio

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corporeo, ascolto, utilizzo dei materiali in una progressione di incontro, contatto, trasformazione e distacco da essi. La sperimentazione della relazione con l’altro nello spazio è stata sviluppata con un’intensità che è andata oltre le aspettative. Forse quest’ultimo aspetto è stato anche facilitato dalla particolare disponibilità di tutte le utenze che abbiamo incontrato.

E’ stato meraviglioso vedere come le nostre semplici consegne il lavoro CON l’altro risultasse facile, immediato, soprattutto nei bambini. Ricordo che i bambini ad ogni minima sollecitazione si mettevano spontaneamente in un cerchio stretto stretto tra di loro e attaccati ai materiali (tulle, carta crespa, teli colorati) con i quali hanno appena lavorato.

Questa esperienza ha trasformato il mio sogno originario in realtà, ma adesso la realtà è diventata un altro sogno: poter andare avanti così, ripetere l’esperienza, allungarla e rendere la Danza Terapia un’attività più stabile a Srebrenica! Come?

Non lo so, cercherò progetti, fondi europei, qualsiasi cosa… i ragazzi e i bambini di Srebrenica erano così entusiasti, così coinvolti che mi sembra che si meritino un percorso lungo e duraturo e io non posso smettere di sognarlo per loro, visto che questa volta un sogno si è realizzato.

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Danza, Creatività e Intuizione di Carola Salvi, Psicologa

Bob Dylan stava per abbandonare la sua carriera, arenato in un momento di frustrazione, quando ebbe l'intuizione che avrebbe rivoluzionato la storia del rock'n'roll. Aiutato dalla tranquillità di Woodstock, ad un tratto il poeta-musicista superò il suo momento d’impasse, prese la penna e freneticamente iniziò a scrivere "…like a rolling stone".

Era il 1889 quando Loie Fuller, quasi per caso durante uno spettacolo indossò un’ampia gonna di seta bianca che enfatizzava le armoniose falcate del suo corpo. Dopo aver ripetutamente inciampato nel vestito a causa della sua lunghezza, la Fuller, improvvisamente ne raccolse gli estremi e sollevò le braccia al cielo, volteggiando come quasi fosse uno spirito etereo appena illuminato dall’intuizione che avrebbe contraddistinto il resto della sua carriera. Da quel momento in poi Loire Fuller iniziò a perfezionare gli effetti provocati da luci colorate sugli ampi vestiti da lei indossati, e come farli armoniosamente volteggiare a suon di musica. In seguito a tale intuizione nacque la sua caleidoscopica Dance Serpentine.

Ogni storia di grandi scoperte debutta con un problema e culmina con l'idea che lo risolve. Il processo creativo ha inizio con un “problema”, può portare ad una fase di stasi fino a quando

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inaspettatamente l’idea risolutiva arriva alla mente. Le scienze cognitive hanno definito tale lampo di genio: insight. Consiste nella comprensione improvvisa e subitanea della strategia utile ad arrivare alla soluzione di un problema o della soluzione stessa. L’insight avviene in un unico passo e compare all’improvviso alla mente delle persone, proprio come nel momento in cui la Fuller inciampò e la luce dei riflettori colorò di una sfumatura diversa la sua gonna, illuminando i suoi pensieri circa la nuova interpretazione della sua danza. Come l’episodio descritto lascia intuire, l’insight è il risultato di una ristrutturazione degli elementi del problema, che da quel momento in poi vengo riletti alla luce della nuova scoperta. A partire da Archimede, che la battezzò con l’esclamazione “Eureka”, passando per Newton, Mozart, Einstein, Bob Dylan e Loie Fuller, la nascita di un’ idea sembra avere un decorso comune: dopo una ricerca iniziale avviene una fase di stallo, fino a quando, spesso durante un periodo di rilassamento (infatti la Fuller era assorta nella musica e in piena libertà espressiva), la risposta inaspettatamente arriva alla mente. I passi successivi all’intuizione riguardano la sua realizzazione, ovvero nel caso di Dylan e della Fuller nella traduzione di esso in un codice codificato quali il testo di una canzone o una nuova coreografia. Insight e creatività sono tra loro evidentemente interdipendenti, in quanto l’insight consente di trovare una soluzione nuova ad un problema, soluzione mai pensata prima quindi creativa, mentre tutto ciò che richiede creatività può essere raggiunto tramite idee di tipo intuitivo.

Ma cosa avviene nella nostra mente quando abbiamo un insight? Quali i processi cognitivi implicati? Come la danza o l’espressione artistica sono collegati a quest’atto creativo?

Edward Bowden, Mark Jung-Beeman e John Kounios, dal 1998 in poi, hanno iniziato a studiare cosa avviene nel cervello quando le persone hanno un insight. A tal fine hanno creato un test chiamato Compound Remote Associates (CRA). I problemi di questo test, paradigmatici per la loro semplicità, hanno consentito l’applicazione di tecniche quali Risonanza Magnetica funzionale (fMRY) ed elettroencefalogramma (EEG) allo studio dell’insight. I CRA consistono nel presentare ai partecipanti tre parole (e.g. lavoro, giro, danno) e nel chiedere loro di trovare una quarta parola che le colleghi (e.g. capo, si collega alle precedenti formando capolavoro, capogiro e capodanno). I risultati delle ricerche hanno dimostrato che il processo di insight ha inizio addirittura una manciata di millisecondi prima che le persone vedano il problema, dove è stata trovata l’attivazione di un’area nell’emisfero destro del cervello chiamata: cingolo anteriore. Il ruolo di quest’area consiste nel mantenere attive, al di sotto della soglia di coscienza, quelle informazioni derivanti da domini di conoscenza diversi da quello in cui il soggetto sta esplicitamente pensando e di correlarle al problema. Questo significa che i più creativi hanno l’abilità di connettere facilmente informazioni e concetti che tra loro non sono canonicamente correlati. Durante questa fase di preparazione il nostro cervello tende ad escludere l’informazione proveniente all’ambiente esterno al fine di favorire una maggior concentrazione interna. Tale connessione tra concetti che

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provengono da domini diversi e che se associati producono un’idea nuova e creativa, è favorita da uno stato di rilassamento che filtra rumore visivo esterno. Questa spiegazione è supportata dalla diminuzione di attività elettrica registrata nelle aree visive prima del lampo di genio (Kounios et al., 2006). Tale dato suggerisce l’idea che l’insight sia preceduto da una soppressione delle informazioni visive che se non venissero bloccate potrebbero interferire nell’elaborazione della soluzione. Quest’ultimo risultato è facilmente riscontrabile anche a livello comportamentale quando le persone, mentre stanno pensando alla possibile soluzione di un problema, vagano con lo sguardo in diversi punti del campo visivo spesso senza avere uno specifico oggetto d’osservazione. Assorti nell’ intensa attività di pensiero le persone guardano, senza vedere, un angolo o spesso un oggetto inanimato che si trova in loro prossimità…finché Aha! la soluzione compare alla mente. Questo fenomeno del guardare senza vedere, permetterebbe alla nostra mente di ridurre l’interferenza causata dagli input visivi favorendo l’elaborazione interna delle informazioni (Kounios & Beeman, 2009). Al contrario quando non risolviamo problemi tramite insight ma analiticamente il nostro cervello, prima ancora di vedere il problema, si prepara ad elaborare gli input visivi focalizzando l’attenzione verso l’ambiente esterno. I ricercatori dimostrano che il discriminate tra una soluzione analitica o per insight risiede proprio nella pre-attivazione di due ben diversi circuiti neurali. In altre parole la nostra mente si prepara deliberatamente all’ideazione di una risposta creativa. Come? Evitando elementi di distrazione visiva al fine di favorire una maggior concentrazione.

Questa fase di rilassamento anticipa, favorendolo, quello che è stato chiamato il Gamma insight effect. All’incirca 300 millisecondi prima che le persone rispondano al problema i dati ottenuti con EEG registrano un picco di onde gamma (ovvero la più alta frequenza elettrica generata dal nostro cervello) nel giro temporale destro. Ricerche più approfondite effettuate con fMRY, hanno circoscritto l’area attivata durante l’insight alla parte anteriore-superiore del giro temporale destro (aSTG). Sebbene non si prevedesse un’attivazione così specifica, i ricercatori non furono sorpresi di rilevare il coinvolgimento proprio di quest’area che è associata ad aspetti della comprensione linguistica come l’interpretazione delle metafore o la comprensione delle battute di spirito. É infatti una peculiarità dell’emisfero destro del nostro cervello quella di connettere informazioni derivate da una vasta area della corteccia, le quali combinate tra loro incrementano la possibilità di associare concetti poco simili formulando idee creative. Come dimostrato, la fase di rilassamento sembra essere cruciale al fine di vedere connessioni tra concetti su cui altrimenti non ci si soffermerebbe, ecco perché spesso le idee migliori avvengono quando siamo sotto la doccia!

Figura 2. Gamma insight effect

registrato da EEG nel lobo

temporale destro

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Questi risultati suggeriscono che la creatività è favorita quando il cervello si distrae dal mondo esterno, probabilmente favorendo un flusso di immaginazione interna. A supporto di questa ipotesi uno studio, recentemente condotto in Austria da Fink e collaboratori (2008) ha trovato interessanti correlazioni con la danza contemporanea e non. In questa ricerca viene confrontata l'attività cerebrale di 15 ballerini professionisti con un gruppo di 17 novizi. Ai partecipanti è stato chiesto di eseguire mentalmente tre coreografie diverse: una danza che fosse il più unica ed originale possibile (improvvisazione), immaginare di ballare il valzer, una danza standard che prevede una sequenza di fasi monotone (richieste di inferiore sforzo creativo). I risultati dimostrano che quando i ballerini professionisti erano impegnati nello sforzo creativo di immaginare una danza originale nel loro cervello c’era una diminuzione di attività nelle aree visive e un’attivazione dell’emisfero destro. Dato che non è stato trovato per nel gruppo di novizi. Questo studio, non solo corrobora i risultati trovati in precedenza, lascia inoltre ipotizzare che l’addestramento ad attività creative come la danza effettivamente migliorino le performance immaginative e creative delle persone. Ancora, il fatto che siano state trovate differenze solo per quanto riguarda le coreografie originali e per il valzer o una danza standard avvalora l’idea che sia proprio l’improvvisazione nella danza ad essere strettamente connessa allo sviluppo di abilità creative.

A seguito di quanto dimostrato fino ad ora nasce spontanea la domanda se attività artistico-espressive come la danza possano effettivamente modulare le abilità creative delle persone. Le ricerche effettuate forse non danno una risposta precisa alla domanda fatta ma senza dubbio permettono di ipotizzare una forte correlazione tra danza e abilità creative. Da un lato infatti possiamo concludere che tecniche di danza moderna e contemporanea basate sulla respirazione, su una concentrazione quasi meditativa e sulla ricerca interna dell’equilibrio (e.g. lo stile Humphrey-Limón) possano favorire un flusso di pensiero creativo per almeno due motivi: i) inducono uno stato di relax diffuso che è stato visto essere positivamente associato all’insight; ii) questo tipo di tecnica di danza si basa sul sentire il nostro corpo dall’interno (e.g. la consapevolezza dell’allineamento posturale del movimento) di conseguenza questi danzatori sono portati per abitudine ad allocare l’attenzione internamente, condizione che come visto in precedenza predispone all’insight. Infatti come dimostrano Fink e collaboratori questo tipo di training, una volta diventato repertorio stabile del modo di pensare del danzatore, é effettivamente correlato ad una maggior performance creativa.

BIBLIOGRAFIA: Bowden, E. M., & Beeman, M. J. (1998). Getting the Right Idea: Semantic Activation in the Right Hemisphere May Help Solve Insight Problems. Psychological Science, 9(6), 435–440. Fink, A., Graif, B., & Neubauer, A. C. (2009). Brain correlates underlying creative thinking: EEG

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alpha activity in professional vs. novice dancers. NeuroImage, 46(3), 854–62. Kounios, J., & Beeman, M. (2009). Aha!Moment: The Cognitive Neuroscience of Insight. Current Directions in Psychological Science, 21(4), 415–216. Kounios, J., Frymiare, J. L., Bowden, E. M., Fleck, J. I., Subramaniam, K., Parrish, T. B., & Jung-Beeman, M. (2006). The prepared mind: neural activity prior to problem presentation predicts subsequent solution by sudden insight. Psychological science : a journal of the American Psychological Society / APS, 17(10), 882–90.

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Parole Danzate Le poesie nate dalle “Parole Madri” nella Danzaterapia

di Tania Cristiani, Danzaterapeuta e Tutor della Scuola di Formazione in DMT di Sarabanda

Con questo numero si apre una nuova rubrica in cui trovano spazio le parole degli stessi utenti della Danzamovimentoterapia. Si tratta di composizioni poetiche create dai partecipanti che portano fuori la prima parola che viene loro in mente: una sorta di “sintesi essenziale” di ciò che avevano provato nella danza su richiesta della conduttrice che segue l’esempio di Maria Fux, grande danzaterapeuta argentina, che suole dare questo tipo di restituzione ai gruppi che partecipano ai suoi incontri.

Maria Fux si limitava inizialmente a leggere in sequenza le parole degli utenti, ma negli ultimi anni ha cominciato ad aggiungere qualche articolo e congiunzione accentuando ancora di più la lettura attraverso un sapiente uso della voce, degli accenti e soprattutto attraverso la sua partecipazione empatica in modo che ne risulti una sorta di composizione poetica E’ proprio questa qualità di lettura che valorizza il rimando dato al gruppo senza cui non ci sarebbe che un elenco di parole risuonanti del solo valore semantico A volte la parola “…deve avere forza e comunicazione diretta con il corpo… La parola “vibrazione” può essere scritta in un pezzo di carta e non significare assolutamente niente di più che una parola, ma se la facciamo vivere e iniziamo ad ubicarla nello spazio, con il suo ritmo giusto e con il nostro corpo che la produce e ottiene risposta, mai ci dimenticheremo di lei”1 Ciò che ha scritto Maria Fux riguardo alla parola danzata credo sia profondamente vero anche per quella danza di voce, espressione e gesti che permette alla danzaterapeuta di leggere in modo empatico la composizione poetica. Per questo tipo di espressione è fondamentale l’immediatezza. Viene infatti richiesto agli utenti di non pensare troppo alla parola da pronunciare, ma di portare fuori ciò che preme dentro senza badare al fatto che la parola (o il suono, o ciò che viene indicato attraverso gesti e tradotto in parola) possa sembrare strana, insolita o bizzarra.

In un primo ciclo di 8 incontri con un gruppo di ragazze adolescenti a Sarabanda, dopo una prima iniziale titubanza lo stimolo è stato accolto velocemente e non è un caso che questo sia avvenuto nel contesto di un percorso di Danzaterapia che presuppone quindi la realizzazione di un setting accogliente e non giudicante. Sono convinta che proprio la certezza del non giudizio da parte delle partecipanti abbia facilitato la propria libera espressione. 1 M.Fux “ Frammenti di vita nella danzaterapia Edizioni del Cerro, Tirrenia 2004

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La poesia che segue è stata scritta dopo un intenso incontro in cui le ragazze hanno danzato singolarmente le diverse forme dell’Acqua. Successivamente, sia in coppia che divise in due gruppi, hanno esplorato le diverse possibilità di movimento sperimentando sia il ruolo del contenere sia quello dell’acqua che modifica la propria forma a seconda del contenitore in cui è accolta.

Contenitore e contenuto

Sentiamo un equilibrio nella serenità è un tesoro per la pelle che nel contatto

accoglie onde di dolcezza. Imparare le forme della libertà… libertà nel gioco, nel divertimento,

nell’amore con la comprensione di una danza di gioia.

Silenzio

Un caldo volersi bene trasforma la passione e la diffidenza.

Il cuore del gruppo coglie un bacio d’amicizia

mentre un coniglietto e un uccello imparano l’esercizio nel timore del caldo

che è nell’aria…

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A volte è la danzaterapeuta a dover intervenire per facilitare la traduzione in parola a chi non è in grado di pronunciarla, qualche volta invece è il gruppo stesso. Mi capita ogni tanto di chiedere questo tipo di rimando anche all’interno del Centro Diurno Disabili “Archimede” di Inzago, in cui lavoro da alcuni anni, ad utenti che hanno limiti molto grandi e difficoltà di comprensione e verbalizzazione. In un contesto così delicato la composizione poetica non è la norma, ma ci sono incontri in cui una particolare intensità e coinvolgimento del gruppo mi spinge, con delicatezza, a proporre la composizione poetica. In questo caso nella poesia vengono accolti anche suoni ed onomatopee più raramente può capitare di inserire anche i silenzi, sottolineando le pause, che possono essere contemplati perché anche il tacere è una scelta da accogliere. Le poesie che seguono sono state composte al termine di un incontro durante il quale gli utenti hanno danzato il mare ed i suoi materiali con la musica di C. Debussy “La mer”.

Il Mare 1

La carezza blu della conchiglia

ha la faccia della vita. Dammi una morbidezza… una sensibilità turchese…

una conchiglia… Sì mamma!

Con un sorriso grande! Noo???

Eeeeeeeeeh!!!

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Il Mare 2

Oh! Mia cara Clementina… C’è il mare lì

col suo brillìo con la carezza, la leggerezza

e la fluidità. Puoi ascoltare le alghe rotonde…

il loro battito e lo sbadiglio…

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Segue la poesia scritta dopo un incontro di Danzaterapia da Elisabetta Vianello, non vedente, insegnante di Yoga e poetessa che frequenta da anni gli incontri di DMT a Sarabanda.

Danzare Danzare è capire,

danzare è scoprire, scoprire qualcosa di me nel profondo del cuore

danzare è ondeggiare leggera, leggera come le onde del mare.

Come le foglie d'autunno cadon nel vento così cadono i miei problemi, così cadono i miei pensieri:

pensieri distorti, pensieri contorti, pensieri che ingrovigliano il cuore

e causano tanto dolore. Danzare è trovare conforto, sfuggire da questi pensieri

che tormentano la mente e il corpo. Danzare è sentirsi liberi come gli uccelli, capaci di volteggiare, volare verso luoghi lontani dove regna l'amore, non il dolore.

Danzando sento librarsi dal cuore un canto d'amore che mi fa dire: Sì alla Vita

con tanta gioia infinita

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Omaggio alla primavera

di Valerio Marchetti, fotografo - www.valeriomarchetti.com

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In primavera....

mai nessun uomo potrà farsi cullare da un fiore

ornarsi di nuovi e scintillanti colori

donare all’aria profumi così soavi

ma certamente egli potrà rinnovare il suo cuore con tale bellezza

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La Sagra della Primavera La morte come rito necessario per la vita, nell'opera di Igor Stravinskij

di Giovanni Ansaldi, Medico Cardiologo, Socio Fondatore dell’ANEB (Associazione Nazionale Eco-Biopsicologia)

e della sezione “Monza-Martesana” della SIMP (Società di Medicina Psicosomatica), Musicoterapeuta, Docente della Scuola di Formazione in DMT di Sarabanda

E’ vero che ogni opera d’arte quando procura un’emozione estetica, ha una sua comunicazione immediata indipendentemente dall’epoca in cui è stata creata e da chi ne è l’autore. Ma è anche vero che se noi inquadriamo un capolavoro nella sua cornice storica, questo ci porterà inevitabilmente ad entrare in un rapporto più intenso, a comprendere meglio il messaggio e quindi a meglio ricevere quella carica energetica che l’opera d’arte dovrebbe trasmettere. Questa conoscenza storico-biografica non è un dato puramente nozionistico, ma un fatto culturale, nel senso di “colere” che in latino vuol dire coltivare, crescere. La Sagra della primavera di Stravinskij, pietra miliare della storia della musica, rappresenta proprio un caso emblematico di quanto sto dicendo.

Quando ascolto la Sagra mi chiedo sempre come abbia fatto Stravinskij a scrivere una tale musica nel 1913, un secolo fa. E così lo stupore e l'ammirazione per la genialità di Stravinskij aumentano e aumenta anche il godimento estetico! Questa musica impressiona ancora l’ascoltatore d’oggi abituato da tempo ad ascoltare musiche violente e dissonanti. La Sagra, sarebbe più appropriato dire il Rito, segnò il più memorabile scandalo che la storia della musica abbia mai registrato, anche se ormai è un classico all’interno di quella tradizione che voleva scardinare.

Molti orchestrali si rifiutarono di suonare proprio perché non erano tecnicamente preparati.

Basta leggere i resoconti della serata della prima esecuzione (29 maggio 1913) “Urla, grida, fischi… i danzatori non riuscivano ad ascoltare la musica per cui non andavano a tempo...”

Non s’era mai udita una musica che, come questa, sembrava sfidare ogni canone di bellezza, d’armonia, d’espressione sonora, come era stata intesa fino ad allora.

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Il clima storico

Il clima musicale di quell’epoca era quello della musica postromantica e postwagneriana con lunghe, sensuali melodie e a Parigi il clima dominante era quello dell’impressionismo di Debussy, musica sognante, aerea, indefinibile. Stravinskij disse “pas de nuages” “ basta nuvole” e scrisse La Sagra. Una musica brutale, selvaggia, aggressiva, caotica. Che s’abbatteva sullo spettatore come una forza scatenata della natura.

Foto di Valerio Marchetti

Se poi ci riferiamo al titolo del balletto, il termine “primavera” rievoca nell’inconscio collettivo, allora come oggi, qualcosa di idilliaco, pastorale, sensazioni piacevoli. Pensiamo a Botticelli, a Vivaldi, al canto degli uccelli, ai fiori, alla Pastorale di Beethoven. Invece i suoni della musica di Stravinskij sembrano esprimere gli spasimi delle viscere della terra che sta per partorire, che si contorce in frenetiche convulsioni telluriche. Insomma una intenzionale e oltraggiosa provocazione alla convenzione e al buon senso musicale.

L'arte e gli artisti hanno capacità profetiche. Ci sono nella storia dell’arte tanti esempi di artisti che nelle loro opere hanno anticipato le trasformazioni di una società. Questo della Sagra è uno dei più significativi. Nel 1913 l’Europa viveva ancora in quella che venne chiamata bell’epoque, termine molto significativo. Un’epoca di ottimismo, di fiducia nel trionfo della scienza, della tecnica e dell’industria. L’imperialismo coloniale europeo era al massimo dell’espansione. La ricca borghesia industriale insieme alle ultime dinastie regnanti e agli aristocratici celebrava, a ritmi di

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valzer, questo stato di apparente benessere e tranquillità. Nessuno avrebbe immaginato che da lì a due anni sarebbe scoppiata la grande, terribile prima guerra mondiale, la rivoluzione sovietica poi il fascismo, il nazismo, la seconda guerra mondiale, Auschwitz, Hiroshima… Un’epoca stava veramente per finire! La violenza della musica della Sagra fu una descrizione anticipata di quanto sarebbe accaduto. Un anticipazione non tanto sul piano artistico, per la novità del linguaggio musicale (ci avevano già pensato Mahler e Schoenberg) quanto per la caratteristica provocatoria e aggressiva di questo linguaggio.

Gli aspetti musicali

Il ritmo Per la prima volta il ritmo assume un ruolo primario nel discorso musicale ed è l’elemento predominante, non più solo un sottofondo che dà struttura temporale alla musica. Il ritmo assorbe in sè la melodia e l’armonia.

Anche gli strumenti melodici come gli archi, per esempio, sono usati spesso in modo percussivo.

La melodia

Sotto il profilo melodico si incontrano melodie brevi, frasi incisive anche facili da ricordare, ma questi frammenti melodici sono subito risucchiati dall’elemento ritmico. Al limite sono solo spunti melodici, cellule melodiche, come in gergo musicale vengono chiamate. Importante è sapere che tutte le melodie sono tratte dal folkrore russo. Tutti i grandi compositori hanno utilizzato melodie popolari nelle loro opere, inserendole nella cosiddetta “musica colta”, ma in quegli anni la ricerca sulla musica popolare diventa scienza. Nasce l’etnomusicologia. Bartok, Kodaly, Stravinskij vanno nei villaggi dove è conservata la tradizione orale e ne trascrivono i canti.

L'armonia

Per quanto riguarda la componente armonica, ciò che più colpisce è il fenomeno della dissonanza e l’utilizzo del bitonalismo (si suonano insieme due tonalità differenti con effetti acustici di dissonanza). Evidenti sono poi i passaggi bruschi, immediati, rapidi fra momenti di atmosfere rarefatte, di pianissimo ed esplosioni di forti sonorità.

Il soggetto

Veniamo ora al soggetto, essendo stata scritta come musica per i balletti Russi di Diaghilev, anche se l’ascolto della Sagra della Primavera in una sala da concerto è più idoneo a coglierne l’aspetto

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musicale. È ovvio infatti che l’energia sonoro-vibrazionale di una musica come questa, la si può percepire completamente solo in un ascolto dal vivo. La Sagra della Primavera descrive il rito pagano del risveglio della primavera, in una Russia arcaica, primitiva, fuori dal tempo, dalla storia. Dopo il lungo e terribile inverno russo, la comparsa della primavera doveva destare un sacro stupore in questi progenitori russi. Il balletto descrive nella prima parte i riti di adorazione della terra, che si risveglia dal lungo sonno e che si concludono con la grande danza della terra. La seconda parte invece descrive il rituale pagano del sacrificio alla Dea Terra, per propiziarsi la rinascita della natura. Questo rito consiste nella scelta di una vergine, l’Eletta, che dovrà danzare fino allo sfinimento, alla morte. L’individualità di questa vittima viene completamente annullata. Viene solo descritto l’esalazione dell’ultimo respiro. Si pensi invece all’umanissima morte di Petruska. In quel balletto la musica comunica partecipazione, commozione, simpatia per il burattino. Ricordo che tre sono i grandi Balletti che resero famoso Stravinskij in quel periodo: L’uccello di fuoco, Petruska, La Sagra della Primavera.

Il senso del sacrificio

Una tematica così terribile come quella del sacrificio di una vergine suggerisce una riflessione sul senso del sacrificio. Questo barbaro rito, evocato nella Sagra, è solo segno di inciviltà o ha un suo particolare significato? Rispondo subito che ha un profondo significato archetipico. Vediamo perché. La vita vive della vita. Una caratteristica essenziale della vita è proprio quella di nutrirsi di sè stessa. Nulla di vitale accade se non attraverso l’immolazione di un’altra vita. Non facciamoci illusioni, anche se siamo vegetariani! Anche le cellule vegetali sono vive. Il sacrificio appare quindi un passaggio indispensabile affinché trionfi l’esistenza e la vita. L’archetipo del sacrificio va dunque messo in rapporto alla biologia della vita. Una delle funzioni principali del mito- rito è quella di riconciliare la mente umana con questa condizione biologica di vita-morte. Il rituale significa una partecipazione di gruppo a quell’atto terribile che è l’atto della vita: uccidere un altro essere vivente. Lo facciamo tutti insieme come se il senso di colpa, condividendola, diminuisse. Del resto, meno drammaticamente, ogni trasformazione, ogni passaggio sia fisiologico che psicologico, necessita di una morte. Dobbiamo morire a qualcosa, se vogliamo trasformarci. Il simbolismo della Sagra è proprio questo: perché rinasca la vita, perché ci sia un passaggio, una trasformazione, in questo caso, dall’inverno alla primavera, occorre che una vittima si sacrifichi e che questo avvenga attraverso un rituale collettivo, con una danza. Questa, per fortuna, è solo una faccia della medaglia o meglio della realtà. A questa legge di morte si contrappone o meglio si integra la legge dell’amore! Questo sentimento, senza il quale la vita non ha senso, per cui ci sentiamo uniti ad una persona o al Tutto, questa legge dell’amore al pari di quella dell'aggressività è radicata biologicamente nella vita. Qual è a livello fisico, biologico, materiale il corrispettivo dell’amore?

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La Primavera dei Gitani.

Tra sacro e profano, la rinascita della Natura nelle celebrazioni zingare di San Giorgio e Santa Sara Kalì

di Melissa Mattiussi

La Primavera dei Rom dei Balcani, in particolare Serbia, si celebra il 6 maggio in onore di San Giorgio, uno dei Santi più venerati dalla Chiesa Ortodossa, e prende il nome di Đurđevdan o Ederlezi, in lingua romaní, che è anche il titolo della canzone che la celebra. E' una festa molto sentita dai Rom in ogni parte del mondo, a prescindere dalle connotazioni religiose dei vari gruppi. Il brano è uno dei più noti della tradizione romanì soprattutto grazie alla versione di Goran Bregović per il film “Il tempo dei gitani” di Emir Kusturica. Il termine Ederlezi deriva probabilmente da Hidirellez, che è un'antica festività turca che si svolge circa un mese dopo l'equinozio di Primavera. Si celebrano la rinascita della Natura e la nuova luce generatrice di vita, attraversando i corsi d'acqua su zattere che trasportano il Santo o immergendosi e bagnandosi con le mani il volto. Nei fiumi si adagiano fuochi e fiori, mentre si suona, si canta e si danza attorno ai falò accesi sui quali l’agnello vivo viene sacrificato ed arrostito. Ci si veste di bianco e si adornano il capo e la casa con fiori e rami con boccioli. Si rompono uova sulla testa in segno ben augurale e si liberano uccelli. Dalla celebrazione di Ederlezi emerge la particolare concezione dualistica della vita propria delle culture nomadi, tra sacro e profano, fede e fortuna, amore e dolore.

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Sono particolarmente legata alla canzone Ederlezi perchè ogni volta che la sento, e ancor più quando la canto, dentro di me è come se si sciogliesse una lastra di ghiaccio che a volte mi ricopre per proteggermi da delusioni e dolori. E' come se la sofferenza delle popolazioni Rom, da sempre perseguitate, fosse racchiusa tutta dentro il mio cuore e venisse risvegliata nell'intonare questo canto, cristallino e puro, che narra di povertà e lotta per la vita di ogni giorno, come nell'inno romanì “Djelem, Djelem” (Camminando, Camminando). Si canta sì delle sventure, ma sempre con fierezza e voglia di vivere nonostante tutte le avversità, perchè il viaggio continua a piedi nudi per le vie del mondo.

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La storia di Sara la Nera, tra influenze indiane ed ebraiche.

Un’occasione interessante per fare un’immersione nelle tradizioni gitane la offre la Festa dei Gitani per Santa Sara Kalì che si tiene ogni anno dal 24 al 26 maggio a Saintes Maries de la Mer in Camargue, Francia. In quei giorni il piccolo, delizioso paesino dal profumo di sale marino e lavanda, si anima di Gitani che si radunano da ogni parte d'Europa, fra Manouche, Rom e Gitani d'Andalusia.

E ovviamente questo richiama molti turisti in un centro che solitamente conta sui 400 – 500 abitanti. La leggenda narra che Santa Sara, nota anche con il nome di Sara-la-Kali (Sara la Nera), fosse la serva delle due Marie, Maria Salomè e Maria Iosè, presenti presso la croce di Gesù e che danno il nome al paese. Per un’altra leggenda si trattava di una donna pagana di alto rango convertitasi alla religione di Abramo.

Seguendo la prima ipotesi si dice che Sara originaria dell’alto Egitto e che insieme a Salomè e Iosè dovette scappare dalle persecuzioni ai Cristiani, andando alla deriva su un'imbarcazione raggiungendo la costa francese e sbarcando in un luogo detto Oppidum-Râ, anche noto come Notre-Dame-de-Ratis (Râ ha il suo etimo in Ratis, ovvero in "barca"). Il nome della città fu cambiato in Notre-Dame-del-la-Mer, che nel 1838 divenne Saintes Maries de la Mer.

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Vi sono anche altre versioni della leggenda che parlano anche di Giuseppe d'Arimatea, il portatore del Graal.

Nonostante si trovi notizia della tradizione delle Marie già nel XIII secolo nella “Légende dorée”, Sara non figurerà prima del 1521 ne “La Légende des Saintes-Maries de Vincent Philippon”, mentre la devozione a Santa Sara sarà nota solo dopo il 1800.

Facendo riferimento all'epiteto di Kalì possiamo collegare Sara alla divinità indiana Kalì (Bhadrakali, Uma, Durga, e Syama). Questo nome concorda con l’ipotesi dell’origine indiana della comunità dei Rom che giunsero in Francia verso il IX secolo. La Santa rappresenterebbe quindi una manifestazione sincretistica e cristianizzata della dea Kali. Non solamente il nome coincide, ma anche nel rituale si possono cogliere coincidenze singolari: Durga, altro nome di Kali, dea della creazione, della malattia e della morte, rappresentata con il volto nero, durante un rito annuale in India viene immersa nella acque e poi fatta emergere. Sara la nera ricorda altresì il culto alla Vergine Nera, con la quale spesso viene confusa.

Tali teorie non sono tuttavia pienamente condivise, anzi in particolare sono fermamente negate dai sostenitori di un'origine ebraica dei Rom antecedente al periodo della loro migrazione indiana, che trovano insussistente la coincidenza del nome, che sarebbe giustificato dal suo semplice significato letterale, e del tutto insignificanti le coincidenze di rito, insistendo sulle radicali differenze tra la mitologia indiana e quella rom: per loro il rito di Sara è si una forma di sincretismo cristiano, ma con ancestrali elementi ebraici e non indiani.

Stando a quanto scritto da Franz de Ville Sara era una Rom:

“Una dei primi membri del nostro popolo a ricevere la rivelazione fu Sara la Kali. Ella era di nobili natali e guidò la sua tribù sulle rive del Rodano. Conosceva i segreti che Lui aveva trasmesso… I Rom in quel tempo praticavano ancora una religione politeista, e usavano trasportare sulle spalle la statua di Ishtar (Astarté) entrando con essa nelle acque del mare per ricevere la sua benedizione. Un giorno Sara ebbe una visione che la informava dell'arrivo delle sante donne presenti alla morte di Gesù stavano per giungere e che sarebbe stato loro compito aiutarle. Sara le vide giungere sulla loro imbarcazione, il mare era agitato e l'imbarcazione rischiava di rovesciarsi. Marie Salomè getto il suo mantello sui flutti, usandolo come un zattera, Sara ed i suoi aiutarono le sante a raggiungere la terra ferma dove si radunarono, al fine, sulla spiaggia in una preghiera di ringraziamento.”

Secondo la tradizione, l’imbarcazione trasportava Maria Salomè, moglie di Zebedeo e madre di Giovanni e Giacomo il Maggiore, Maria Iosè, moglie di Cleopa, madre dell'apostolo Giacomo il

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Minore, e probabile cugina della Vergine Maria, Maria Maddelena, Santa Sara, Lazzaro, Marta, la sorella di Lazzaro, San Massimino, e San Sidonius.

La festa

Foto di Eric Roset

L’emozione nel giungere a Saintes Maries de la Mer in quei giorni è per tutti sempre grande. Ognuno porta con sé un sogno, una preghiera, ma soprattutto il desiderio di libertà che scatena in ciascuno il pensiero della vita nomade dei Gitani, delle loro inebrianti musiche e delle danze appassionate.

Lasciata l'autostrada francese ad Arles si prende la stradina che, passando attraverso la palude abitata da aironi, uccelli vari, tori e cavalli, porta fino a Saintes Maries dove la prima cosa che rimane impressa sono i tantissimi cavalli bianchi nei ranch. In fila dietro altre auto in processione lenta, alla prima rotonda si viene salutati dallo stemma della cittadina, una croce che termina in un cuore adagiato su di una barca.

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Tanti sono i caravan dei Gitani, tutti parcheggiati ordinatamente lungo le vie vicine al mare o in parcheggi a loro riservati.

E poi ecco scendere la sera e ritrovarsi dove tutta la festa “pagana” si svolge, attorno alla Chiesa dove sono custodite le due Marie in un’arca e Santa Sara nella cripta. La cripta in quei giorni raggiunge anche i 50° per tutte le candele accese in onore a Sara. Le persone si avvicinano alla statua con devozione e ordine, la abbracciano, le fanno doni, lasciano biglietti con preghiere e speranze. E fuori dalla Chiesa mille e mille volti di ogni bellezza e “bruttezza”, ma qui anche quel che dal

canone estetico contemporaneo vien ritenuto brutto acquista una sua armonia.

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Fra i turisti curiosi e timorosi di venir derubati di qualcosa, perchè questo succede spesso soprattutto in quei giorni, Gitani, Rom e Manouche si ritrovano in gruppi piccoli o grandi per suonare flamenco, musica balcanica (soprattutto rumena, serba e ungherese) e Gipsy Jazz alla Django Reinhardt. Si incontrano artisti molto bravi e anche noti come il chitarrista Manita de Plata, vero e proprio idolo locale che suscita grande fascino, quando passa col suo vestito bianco, la camicia rossa, la catena d’oro massiccio al collo, il cappello nero da Cow Boy. Ci sono poi i gruppi dell’Est Europa come la Fanfare Vagabontu, musicisti rumeni d’adozione francese, e gli Urs Karpatz dall’Ungheria. E come in ogni situazione si trovano anche artisti poco seri, che si mettono a strimpellare ubriachi, ma pure questo è caratteristico!

Si suona da mattina a sera, anche alle quattro del pomeriggio sotto il sole cocente. Purtroppo la danza non è molto presente, nel senso che le donne dei Gitani non possono mettersi in mostra e quindi non possono ballare liberamente se non con la presenza e l'accordo del marito. Non possono nemmeno andare in giro da sole, se non in gruppi di donne o con la famiglia, i mariti o i fidanzati.

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Foto di Eric Roset

Il mare benedetto

Il 24 Maggo si festeggia Santa Sara Kalì che, dopo la messa, viene portata in processione sotto il sole cocente del pomeriggio fino al mare. Portata dai cavalieri sui cavalli bianchi, quando la Santa arriva in spiaggia è come assistere all’arrivo di un grande personaggio mistico o di una grande rock star! E ci si immerge tutti nel mare per la benedizione.

Il giorno seguente invece si celebrano Maria Salomè e Maria Iosè. La mattina viene aperta l’arca che le custodisce e poi si ritorna al mare per un’altra benedizione.

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Da anni ormai torno a Saintes Maries de la Mer per le celebrazioni gitane e lì respiro quella meraviglia che si intreccia fra musica, natura, sacro e profano! Come in tutti i miei viaggi, anche lì raccolgo frammenti di storie per accorgermi che, ricomponendo le parti dello specchio, chi osserviamo dall’altro lato non è più un estraneo, ma sono io, siamo noi...

Approfondimenti, informazioni sulle Danze Gipsy e sulla Festa di Santa Sara Kalì su www.melissamattiussi.it

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Le Tisane delle quattro stagioni… La primavera di Fabrizio Bonanomi, Docente di Shiatsu e Medicina Tradizionale Cinese

presso la Scuola di Formazione in DMT di Sarabanda

“Investiga la tua mente e realizza la tua natura

che mai sosta né si muove, né sorge, né ha fine.

Avrai sprecato la tua vita se non lo fai”

Hui-neng

“Molti uomini avrebbero potuto raggiungere la sapienza se non avessero presunto di esservi già giunti” Lucio Anneo Seneca I testi cinesi filosofico-cosmogonici (Yi Jing, Dao de Jing, Hong Fan) e quelli medici (Zhen Jiu Jia Yi Jing di Huang Fu-mi e Qanjin Yaofanng di Sun Simiao) (1-3) ci consentono di porre in relazione le quattro stagioni con i 5 Movimenti (wu xing )(5), affermando che, in questo modo, il macrocosmo ritma in modo variabile il microcosmo. (6). Possiamo affermare con Graham che l'insieme delle interconnessioni fra Tronchi Celesti (tian gan) Rami Terrestri (di zhi) e 5 Generazioni (wu yu) (ovvero i 5 Movimenti nella loro successione) servono allo scopo di stabilire il giorno esatto per ingerire ricette mediche o definire quando e dove raccogliere prodotti della terra da utilizzare i campi medici (come alimenti o farmaci) (6-9). Il macrocosmo ritma il microcosmo attraverso i 5 Movimenti e le 6 Energie. Ogni movimento corrisponde a due Tronchi e ogni Energia corrisponde a due Rami. I Tronchi ed i Rami sono il sistema ideato dalla tradizione cinese per immaginare l’interconnessione ritmica fra uomo ed universo. L’anno solare, a partire dal 21 gennaio, è diviso in 5 periodi (per i Movimenti) e in 6 Passi (per le Energie). Nella divisione in 5 periodi (che sono quelli di cui c’interesseremo) ogni periodo è dominato dall’influenza di un Movimento mentre nella divisione dell'anno in 6 passi ogni passo viene dominato da un’Energia1[‡] (5). In maniera invariabile l'anno viene diviso per 5 con il succedersi dei 5 Movimenti: Legno, Fuoco, Terra, Metallo, Acqua. Il punto di partenza è il giorno del grande Freddo (da han) il 21 gennaio. Ogni movimento domina invariabilmente un periodo di 72 giorni: • Legno - Mu dal 21 gennaio al 2 aprile

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• Fuoco – Huo dal 3 aprile al 14 giugno • Terra – Tu dal 15 giugno al 26 agosto • Metallo – Jin dal 27 agosto al 7 novembre • Acqua – Shui dal 08 novembre al 20 gennaio Va poi detto che esistono le seguenti corrispondenze generali (10-11): ELEMENTO STAGIONE Legno Primavera Fuoco Estate Terra Fase intermedia da una stagione all’altra Metallo Autunno Acqua Inverno L’aggiunta della “fase intermedia” di passaggio da una Stagione ad un’atra (che fa capo alla Terra) consente la relazione fra 4 Stagioni e 5 Movimenti. Iniziamo ora, stagione per stagione nel susseguirsi dei numeri della rivista, le caratteristiche generali dell’Energia e come instaurare adeguate terapie preventive (12-16). Poniamo l’accento sul fatto che questo articolo non riguarda solo le situazioni croniche e ripetitive legate ad individui che si ammalano o presentano un aggravamento stagionale dei loro disturbi, ma ha soprattutto un carattere preventivo. Seguire le regole soprattutto alimentari di seguito esposte, preserva la salute e ci difende dalle differenti malattie. Le strategie fitoterapiche indicate, pertanto, possono assumere un rilevante valore profilattico (16) La Primavera: La Primavera (Chuan) rappresenta la rinascita, il risveglio, la messa in movimento. I Sapori Eliminare l'acido che astringe, il Freddo che blocca, dare invece il piccante che superficializza. Secondo la medicina totemica degli indiani d'Americaγ in primavera soffia lo spirito della rinascita (woniya wakan) ed occorre depurare l'organismo (consolidare il Qi nei solstizi e depurare negli equinozi agendo in sede epatobiliare in primavera ed intestinale in autunno). Partendo dal commento di C. Larre al Sowen cap. 2 N. Millon scrive (13): Alimenti consigliati Occorre depurare il Fegato affinché sia depurato il Sangue e quindi consumare verdure depuranti come cicoria, scarola ed indivia, spinaci, tarassaco ed asparagi, oltre a grandi quantità' di

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ravanelli. I brodetti di pesce, il riso bollito, i finocchi gratinati, le cipolle in agrodolce, la carne di pollo, l’ortica, gli spinaci e gli aranci sono molto utili in questa stagione (17-18). La Fitoterapia In fitoterapia (16) è il periodo migliore per • Chelidonium (Estratto Fluido 15 gocce dopo i tre pasti) • Raphanus sativus niger(Estratto Fluido 15 gocce dopo i tre pasti) In questo periodo dare piante ricche in ecasinoidi (acidi grassi di tipo omega-3): Borragine, Aenothera biennis, Consolida maggiore. (in tisana, un cucchiano da te di ciascuno, una tazza di media grandezza a colazione e prima dicoricarsi) Indicazioni sul cambio di sapori: Bisogna mangiare più leggero che in inverno e diminuire la quantità di legumi, cereali e grassi. Occorre poi aumentare gradatamente il salato e preferire carote, bietola, asparagi, carciofi, spinaci, piselli verdi, fave fresche, porri. L'olio d'oliva ed il sale da cucina saranno dati in quantità medie. La Tisana di Primavera: In pratica, relativamente a quanto indicato dal Sowen cap. 22 (che ricorda che Il Fegato soffre le tensioni), consigliamo, per tutta la stagione, da consumarsi alla sera prima di coricarsi, una tazza da tè della seguente tisana (19-20): � Tilia fiori 2 cucchiani da caffè � Passiflora fiori 2 cucchiaini da caffè � Biancospino fiori 3 cucchiani da caffè. Tutti e tre i rimedi “distendono il fegato”, calmano il “mentale” (Shen) e favoriscono la superficializzazione dell’Energia. Inoltre: • la Passiflora agisce sull’Asse Cuore-Rene e, pertanto, sull’equilibrio neurovegetativo individuale; • la Tilia agisce anche sulla Terra che, in primavera, potrebbe (legge dei Cinque) ricevere influenze negative dalla Pienezza del Legno, • il Biancospino (Crataegus oxyacanta) agisce sul Fuoco che, in caso di eccesso di Fegato, potrebbe (fase chen) andare in eccesso. Inoltre le tre piante sono prive di effetti tossici e l’unica controindicazone è il contemporaneo impiego con farmaci ansiolitici, ipnotici o cardiotonici (14-15, 19-20).

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BIBLIOGRAFIA: 1. Powel N.: I King, Il libro delle Mutazioni, Ed. Istituto Geografico De Agostini, Nuovi Documenti, Novara, 1980. 2. Lao Tseu: Tao Te King. Il libro della via e della virtù. Commentato da Claude Larre, Ed. Jaca-Book, Milano, 1993. 3. Husson A.: Huang di Nei Jing Suwen, Ed. ASMAF, Paris, 1973. 4. Andrès G.: Le Médicin selon les traditions, Ed. Dervy Livres, Paris, 1981. 5. AAVV: Lezioni di Agopuntura e MTC, Ed. Scuola Italo- Cinese di Agopuntura, Roma, 1997. 6. Tagliaferri A.: Il taoismo, Ed. Economiche Newton, Milano, 1997. 7. Santangelo P.: Storia del pensiero cinese, Ed. Economiche Newton, 1995. 8. Graham A.: Yin Yang and the Nature of Correlative Thinking, Occasional papers and monographi series, n. 6, Institute of East-Asian Philosophies, Singapore, 1986. 9. AFA: Diététique saissonnaire, Baihui, nn6-9, 1995-1997. 10. Gou Xiang D.: Guide to Food Therapy (Yin Shi Zhi Liao Zhi Nan), Jiangsu Science and Thecnology Press, Jiangsu, 1981. 11. Ju Quan Y.: Traditional Chinese Food Medicine and Folk Prescription (Shi Wu Zhong Yao Yu Pian Fang), Jiangsu Science and Thecnology Press, Jiangsu, 1980. 12. Fu Mi H.: Zhen Jiu Jia Yi Jing, vol 6, cap. 1 (trad. Milsky C. et Andrès G:, Rev. Fr. D’Acupunct., 1992, 70:44-56. 13. Bologna M., Di Stanislao C., Corradin M., et al.: Dietetica Medica Scientifica e Tradizionale. Curarsi e Prevenire con il Cibo, Ed. Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 1999. 14. Di Stanislao C., Paoluzzi L..: Phytos, Ed. MeNaBi, Terni, 1990. 15. Di Stanislao C., Paoluzzi L.: Vademecum ragionato di Fitoterapia, ed. MeNaBi, Terni, 1991. 16. Di Stanislao C., Giannelli L., Iommelli O., Lauro G.: Fitoterapia Comparata, Ed. Di Massa, Napoli, 2001. 17. Fulghesu G.: Depurare il corpo e la mente. La dieta giusta per ogni stagione, Ed. Tecniche Nuove, Milano, 1999. 18. Chiesa S.: La dieta del metodo Kousmine, Ed. Tecniche Nuove, Milano, 2001. 19. Di Stanislao C., Giannelli L., Iommelli O., Lauro G.: Fitoterapia Comparata, Ed. Massa, Napoli, 2001. 20. Paoluzi L.: Fitoterapia e Energetica, Ed. AITCO, Anguillara (RM), 1997.

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Donna Lavinia risponde… Rubrica di consigli inerenti la Danzaterapia

di Lavinia Abbondanza, Psicologa e Allieva al III Anno della Scuola di Formazione in DMT Cara Donna Lavinia, sono una signora di 52 anni. Mi sento vecchia per frequentare un gruppo di Danzaterapia. Per di più mi sono molto gonfiata in seguito alla menopausa (da un anno), non riconosco il mio corpo che, tra caldane e il male ad un ginocchio, vivo come un ingombro. Ho anche momenti di depressione. Non ho mai danzato, ma prima del dolore al ginocchio facevo sport, passeggiate e sci. Ha un consiglio per me? La musica mi piace molto ma l’idea di danzare mi fa paura, sarei un ostacolo per gli altri! Grazie, Adele

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Cara Adele,

prima di tutto, nel numero di questo mese, vorrei augurarti una buona primavera!

Un periodo di cambiamento, di rinascita, di fioritura di quanto ha messo radici precedentemente, di energia del legno che viene fuori e crea il movimento. Pensavo a questo augurio per tutti, ma dopo aver letto le tue parole lo sento diretto in particolar modo a te. Tu stessa parli di un periodo di cambiamento, la menopausa, il corpo che cambia e che pesa. Sono certa che anche in quello che sembra l’autunno della vita è nascosto il seme di una nuova primavera. Ogni cambiamento è primavera e ogni cambiamento è segno del continuo movimento, del danzare inarrestabile della vita. Allora quale momento migliore per te per venire a danzare?! Nella danza terapia non si tratta di “fare”, ma di “essere”. Non ci sono esercizi da eseguire, non si parla di una danza fatta da un insieme di passi e di movimenti, il corpo si prepara ad accogliere la danza più che a farla, così come puoi darti tempo di accogliere i tuoi cambiamenti, senza pensare di doverli fare e creare tu stessa. Dalle tue parole emerge anche un corpo da accogliere e la Danzaterapia potrà senza dubbio aiutarti ad ascoltare e seguire quel peso ed ingombro di cui parli. Seguirlo senza negare la natura che ha per te ora, dandogli, però, la possibilità di cambiare sempre e forse non essere più così tanto un ingombro. Per tutto questo la Danzaterapia è senza un’età, ma aperta ad ogni momento di danza e, quindi, di movimento e cambiamento di ciascun individuo. La musica è lo stimolo più importante e credo che partire dal piacere che dici di avere per lei sia più che sufficiente per iniziare a danzare, secondo il tuo ritmo naturale che, come tale, non potrà essere di ingombro a nessuno. Allora vieni a danzare questa primavera!

“Quando ci sentiamo affranti e deboli, tutto ciò che dobbiamo fare è aspettare. La primavera torna, le nevi dell’inverno si sciolgono e la loro acqua ci infonde nuova energia”. Paulo Coelho

E io aggiungerei che dobbiamo aspettare danzando!

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Rubrica Vegan

The Silence of the Lambs tratto dal blog di Umberto Veronesi

a cura di Valerio Marchetti

“Si avvicina la Pasqua e, come ogni anno, si prospetta per me un periodo doloroso, perché penso a quanti animali, in nome di questa festa, verranno massacrati. Penso ai capretti e in particolare agli agnelli che, per il loro aspetto così bianco e morbido, tutto ispirano fuorché violenza e sangue. Le madri sono state messe incinte in tempo per partorire cuccioli da uccidere quando ancora succhiano

il latte dalle loro mammelle, così che la loro carne sia più morbida per il palato umano. Io trovo che questa sia una barbarie. Chi, come me, ama tutti gli esseri viventi, li vede come parte di un unico disegno biologico e li rispetta, non fa distinzione fra animali di serie A e di serie B: semplicemente trova assurdo ucciderli e ingoiarli. Inoltre sono pacifista e perseguo la mitezza d’animo.

Dunque non tollero nessuna forma di violenza, anche quella perpetrata nei confronti degli animali, che non possono difendersi e far valere le proprie ragioni. Io voglio pensare che chi mangia tranquillamente la carne di agnello forse non ne ha mai visto uno. L’agnellino è un cucciolo delizioso, allegro, affettuoso, che ispira una grande tenerezza. Per questo forse, più passa il tempo più l’idea stessa di mangiarlo mi ripugna. Non metto in dubbio che il gusto della sua carne possa risultare piacevole. Ma può il criterio della bontà del gusto giustificare eticamente ogni atto con il quale ci procuriamo il cibo? Esiste un’etica del cibo che va la di là del “saporito o non saporito”, perché il modo in cui ci alimentiamo ha un impatto sulla natura tutta, animali compresi, che ne sono un’espressione straordinaria.

Il rispetto per la vita è una delle grandi conquiste dell’uomo, ed è un segno di civiltà. E la vita non è solo la “nostra” vita. Chi rispetta la vita dovrebbe rispettarne ogni forma. Gli animali, soprattutto i mammiferi, hanno un elevato livello di consapevolezza, coscienza, sensibilità e molti di loro hanno la capacità di sviluppare sentimenti. Esiste un’ampia letteratura scientifica in questo

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settore, a cui io aggiungo la mia esperienza personale: sono cresciuto in un una cascina e gli animali sono stati i miei primi compagni di gioco. Non solo cani o gatti, ma anche vitelli e agnelli. Posso assicurare che si affezionano, sono gelosi, possessivi ed hanno espressioni del loro sentire straordinariamente simili alle nostre. Per questo io credo che abbiano il diritto di non essere uccisi e di non subire violenza. Rispettando gli animali, rispettiamo noi stessi, la natura di cui facciamo parte e, soprattutto, rispettiamo il valore della vita.”

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Ricette vegane di Silvia Oggioni, Allieva al III anno della Scuola di Formazione in DMT

FRITTATA di CECI COLORATA

Ingredienti per 4 persone: 300 ml acqua, 150 gr di farina di ceci, 1 zucchina, 1 carota, 8/10 pomodorini, sale, 2 cucchiai di olio d’oliva extra vergine. Stemperare nell’acqua la farina di ceci ottenendo un composto omogeneo e senza grumi. Aggiungete sale o gomasio bio (condimento da tavola a base di sesamo 96% e sale), mescolate nuovamente e lasciate riposare tre ore in frigorifero. A parte tagliate la zucchina in piccoli dadini, scottateli in una padella con un filo d’olio, proseguendo la cottura con tre cucchiai d’acqua; procedere allo stesso modo con la carota usando un’altra padella per lasciar separati i sapori delle due verdure leggermente scottate (proseguiranno la cottura all’interno dell’impasto della frittata). In un recipiente unite l’olio, la pastella e le verdure, versate il composto liquido così ottenuto in uno stampo (rivestito di carta da forno) con i bordi alti; lo spessore ideale della frittata è di 1 cm circa, è opportuno trovare una teglia che possa esser riempita in misura adeguata, maggior sarà lo spessore dell’impasto maggiore sarà il tempo necessario per la cottura. Dopo 5 minuti quando il composto inizia a rapprendersi aggiungere i pomodorini tagliati a piccoli dadini sulla superficie della frittata. Fate dorare la farinata-frittata per circa 20 minuti in forno (pre-riscaldato) a 150°. Ottima servita sia calda sia fredda. Variate le verdure secondo la stagione, aggiungete spezie o aromi a piacere (pepe, paprica, curry, rosmarino, cumino).