desidera autunno 2012
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Rivista di libera letteratura, poesia, arte e critica. Versione web.TRANSCRIPT
deSideraTrimestrale di libera letteratura, poesia, arte e criticaAnno I Autunno 2012
Mark
Twain:
racconti
Faulkner:
Indian
summer
Autunno:
racconti
brevi
Quadro storico
Biografia
Recensioni
4
6
7
9
racconti di MarkTwain
Introduzione storica
Biografia dell'autore
Recensioni
Una cura per la tristezza
Lost in (Google) translation
Indian Summer / Estate indiana
deSidera
autunno
Racconti brevi
Terra d'autunno
Se solo mi ammalassi
Interferenze
10
10
11
Autunno 2012
Direttore Eugenia Gobbo Critica Ilaria Bernardi Aurora
Boreale Carlo Celebrin Nicola Coviello Gabriele Giusto
Racconti Carlo Crosato Marco Distefano Nicola Gnocato
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riprodotto a patto di citare deSidera, di non
usarlo per fin i commercial i e di condividerlo
con la stessa l icenza.
Introdurre dal punto di vista storico Mark Twain,
e in particolare una sua raccolta di racconti, sig-
nifica percorrere almeno mezzo secolo di storia
americana. E' la storia di un paese che cambia, che
si espande e si evolve, poiché fu proprio in questo
periodo che gli Stati Uniti risorsero dalla crisi
della guerra civile e posero le basi sulle quali
avrebbero poi costruito la loro potenza mondiale.
Twain nacque nel 1835 nello stato del Missouri,
in quella che veniva chiamata al tempo la “fronti-
era”, ovvero i confini occidentali degli Stati Uniti
d'America, oltre i quali si stagliavano le terre
semi-sconosciute che in seguito avrebbero dato
origine al mito del “leggendario west”.
Il Missouri era uno degli stati formatisi dopo
l'acquisto da parte degli Stati Uniti nel 1803 della
cosiddetta “Louisiana Francese”, un territorio
immenso corrispondente grossomodo agli odierni
stati centrali dell'Unione, Texas escluso, che si
sviluppava ad occidente del fiume Mississippi.
E' proprio a partire dagli inizi del XIX secolo che
iniziò l'esplorazione dei territori occidentali del
continente americano; un'esplorazione operata per
ondate, che non ebbe soluzioni di continuità,
bensì picchi corrispondenti ad eventi particolari,
come ad esempio la scoperta dell'oro nelle terre
della California nel 1848, che diede origine ad un
massiccio spostamento di popolazione verso
quella regione. Tale fenomeno portò ad una
situazione particolare e quasi paradossale: la
California, sita all'estremità occidentale del con-
tinente americano, chiese l'annessione all'Unione
nel 1850, mentre tra essa e il compatto blocco
orientale degli originari Stati Uniti comparivano
territori di recentissima conquista (come il Texas e
il New Messico, sottratti al Messico assieme alla
stessa California nella guerra tra lo stato
centroamericano e gli USA di appena quattro
anni prima) e che dato lo scarso popolamento non
erano ancora caratterizzati da un'organizzazione
statale, tanto che venivano considerati e chiamati
semplicemente “territori”.
Proprio la questione dell'annessione di nuove terre
fu tra le principali cause scatenanti la guerra di
secessione. Più che l'opportunità o meno
dell'ampliamento dell'Unione ai territori posti
oltre la “frontiera”, da alcuni osteggiata, ma dalla
maggior parte della classe dirigente appoggiata in
virtù del cosiddetto “destino manifesto” - teoria
secondo la quale sarebbe stato lo stesso destino
ineluttabile degli Stati Uniti quello di conquistare
e “civilizzare” l'intero continente americano –, a
produrre le maggiori tensioni tra “nordisti” e
“sudisti” fu la discussione intorno alla possibilità
per gli stati che sarebbero andati a formarsi di
prevedere al loro interno la schiavitù o di vietarla.
Come è risaputo fu proprio la schiavitù il punto
focale che portò alla rottura tra gli stati del nord -
a vocazione prevalentemente industriale e tra i
quali molti l'avevano già vietata sin dai primi
decenni del secolo XIX, non solo per motivi fil-
antropici (che non erano assenti) ma anche perchè
considerata antieconomica - e quelli del sud, ter-
ritori agricoli a base fondiaria se non “lati-
fondista”, e per i quali la schiavitù garantiva
crescita e competitività economica. Era diffusa
nella società americana, sia a nord che a sud, l'idea
che il sistema schiavistico si sarebbe atrofizzato
fino a scomparire se non si fosse diffuso e fosse
rimasto relegato ai soli stati meridionali, prospet-
tiva che arrideva al nord ma che ovviamente i
delegati del sud al Congresso temevano forte-
mente e cercavano di osteggiare.
Presto le tensioni politiche vennero ad esplodere, e
all'elezione di Abramo Lincoln, contrario alla
schiavitù ma moderato sull'argomento e non
totalmente abolizionista, gli stati del sud in rapida
successione dichiararono la secessione dall'Uni-
Introduzione storicadi Gabriele Giusto
4 deSidera Autunno 2012
one, ed in seguito si unirono nei cosiddetti Stati
Confederati d'America.
La situazione era diventata chiaramente insos-
tenibile, e si venne presto allo scontro armato tra i
due stati federali americani; nonostante un primo
momento favorevole ai Confederati, dovuto in
particolare alla loro maggior esperienza bellica -
molti reduci delle precedenti guerre condotte
dagli Stati Uniti (una su tutte quella citata contro
il Messico) vivevano in questa parte del paese -
presto la superiorità economica, numerica e
tecnologica del nord si fece sentire e la fine della
guerra nel 1865 vide la vittoria dell'Unione.
Mentre nel sud devastato dalla guerra le costriz-
ioni nordiste in materia di diritti civili passate alla
storia come “Ricostruzione” portarono allo svi-
luppo di una società fortemente segregazionista e
ancora poco industrializzata, sebbene più aperta
rispetto al passato nei confronti dell'avanzamento
tecnologico, nel resto dell'Unione l'industri-
alizzazione ebbe proprio a partire dal dopoguerra
e fin quasi alla fine del secolo un'impennata ver-
tigionosa, dovuta a politiche governative di lais-
sez-faire nei confronti dei grandi industriali, cosa
che portò alla costituzione di trust (in seguito
convintamente ostacolati), a misure fortemente
protezionistiche che causarono un elevato costo
della vita, e al costante approdo nelle coste ori-
entali di emigranti europei che andavano a ri-
fornire continuamente il sistema industriale di
manodopera a basso costo.
L'enorme crescita industriale non ebbe come im-
mediata conseguenza un miglioramento della
qualità della vita, anzi per i lavoratori delle fab-
briche l'aspettativa era fortemente limitata e la
paga in pochissimi casi era adeguata alle quantità
di denaro sufficienti alla sopravvivenza dignitosa.
Tale situazione portò alle prime organizzazioni di
lavoratori, inizialmente decisamente osteggiate dal
connubio governo-industria, ma in seguito alla
loro crescita e allo sviluppo nell'opinione pubblica
americana di posizioni “progressiste” (termine
sviluppatosi alla fine del secolo XIX ed indicante
un'avversione nei confronti della corruzione e dei
fortissimi legami tra politici ed industriali, e il
favore invece rispetto la regolarizzazione e
trasparenza dei rapporti tra politica e finanza) la
loro battaglia portò ad una situazione sicuramente
più agevole e regolamentata del lavoro.
Allo sviluppo economico si accompagnò la cres-
cita politica degli Stati Uniti nello scacchiere
mondiale, e l'occupazione delle Filippine, di Cuba,
di Panama e l'intervento anche in alcuni stati
dell'America meridionale denunciano la tendenza
tra XIX e XX secolo da parte dei governi statun-
itensi a sposare la dottrina europea del neo-im-
perialismo, tendenza alla quale si oppose
fortemente Twain, già tra i principali ispiratori
delle posizioni progressiste grazie allo scritto The
gilded age. A causa della sua avversione alla polit-
ica estera dei governi statunitensi, palesata con
l'adesione all' American Anti-Imperialist League,
Mark Twain venne ostracizzato in maniera decisa,
tanto che diversi suoi scritti di carattere politico
non vennero pubblicati fino ai primi anni '20 del
XX secolo, a più di un decennio dalla sua scom-
parsa, avvenuta il 21 aprile 1910.
5Critica
“Quanto è riduttiva, limitata e insignificante la
storia di una comune vita umana!” 1
Non è mai semplice sintetizzare in poche righe la
pienezza di una vita, specialmente di chi, come
Mark Twain, l’ha plasmata secondo i propri
umori, desideri, curiosità in un grande viaggio.
Sicuro della guida dei propri istinti, al seguito
della sua stella, quella cometa di Halley apparsa
nel 1835, l’anno della sua nascita, e di ritorno
nell’anno della sua morte, il 1910, come lui stesso
aveva profetizzato, trascorre la sua giovinezza
vagabondando da un luogo all’altro e il resto della
sua vita diviso tra conferenze, scrittura, pereg-
rinazioni. Rimasto orfano all’età di dodici anni,
dopo aver lavorato come tipografo e collaboratore
al giornale del fratello, abbandona il piccolo pae-
sino di Hannibal, nello stato del Missouri, a
Nord-Ovest di Saint-Louis. Il distacco fisico dalla
cittadina, che è anche momento di crescita e
commiato dalla fanciullezza, determina però in
Twain una sorta di attaccamento, di conservazione
del ricordo e lo induce ad ambientare le avventure
dei protagonisti delle sue opere migliori, Tom
Sawyer e Huckleberry Finn, proprio in quei
luoghi e in quegli anni spensierati. Per una decina
di anni ancora svolge l’attività di tipografo, senza
legarsi ad un ambiente, ma continuando una serie
di spostamenti (St. Louis, Philadelphia, New
York) e di lavori che lo nutrono di esperienze in-
attese, di nuove conoscenze e che lasciarono in lui
tracce profonde. Indelebile, fondamentale, la sua
esperienza come pilota di battelli sul Mississippi,
durante la quale l’umanità più varia, bizzarra, af-
fascinante si presenta ai suoi occhi, talvolta con
semplicità, talaltra con ostentazione. Gli anni
cullati dalle acque del fiume gli suggeriscono
anche uno pseudonimo, lo trasformano da Samuel
Langhorne Clemens a «Mark Twain», il grido dei
battellieri, con la quale si indicava la misura della
profondità di sicurezza per la navigazione. La sua
furia di cambiamento, la sua inquietudine, la
voglia di esperire, vedere, toccare e il suo entusi-
asmo giovanile lo spingono però lontano anche
dal corso del Mississippi. Nel 1861, in occasione
della Guerra di Secessione, si arruola nell’armata
confederale, rimanendovi tuttavia solo qualche
settimana e abbracciando invece, da questo mo-
mento in poi, ideali democratici. Anche queste
contraddizioni svelano l’irrequietezza, la vitalità,
l’affannosa ricerca di novità, di sé. Il solo modo
per capire la realtà diviene quello di viverla, di ac-
cettarne anche gli aspetti più ambigui, problem-
atici. Twain infine approda al giornalismo prima a
Virginia City e poi a New York e pubblica il suo
primo racconto di successo, The celebrated jumping
frog ofCalaveras County, nel 1867 e nello stesso
anno parte per un viaggio che lo porta in Turchia,
in Terrasanta, in Francia e in Italia e dalle cui
suggestioni nasce The Innocents Abroad: un libro
da molti contestato, che si prende gioco della
presunta superiorità che l’Europa ha avocato a sé
per secoli. Di ritorno dal suo viaggio nel Vecchio
Mondo conosce la futura moglie, Olivia Lingdon,
e comincia la stesura e la pubblicazione dei suoi
lavori più celebri: Roughing it, The Adventures of
Tom Sawyer, The Adventures ofHuckleberry Finn,
6 deSidera Autunno 2012
Biografia dell'autoredi Ilaria Bernardi
1 . Mark Twain, An Autobiography, The Aldine, Vol . 4, No. 4 (Apr. 1 871 ) .
Traduzione I . Bernardi .
Life on the Mississippi. Gli ultimi anni della sua
vita sono funestati dalla morte della moglie e di
una figlia e dal dissesto finanziario, e contrasseg-
nati dal pessimismo, dall’ incapacità di compren-
dere un’America ormai estranea, enigmatica.
Una cura per la tristezza. Il titolo dice tutto. Po-
trebbe sembrare che il racconto in questione af-
fronti temi quali trainig autogeno, yoga casalingo
o bislacche tecniche esotiche anti-depressione
(come se tali bizzarrie esistessero al tempo di
Twain). Errore, il pezzo non parla di una cura per
la tristezza, il pezzo è una cura per la tristezza,
una di quelle cose che magari riescono a strapparti
una mezza risata (sotto i baffi, ovviamente) dur-
ante qualche noiossissimo interminabile viaggio in
treno nella bassa padana ricoperta di nebbia.
Ma vediamo di parlare del nostro racconto. In-
nanzitutto un sommario inquadramento storico:
nel tempo in cui Twain scriveva (seconda metà
dell’800, grosso modo) la scena letteraria nor-
damericana (soprattutto negli stati del Sud prima
della guerra civile) vedeva una gran diffusione di
“romanzi cavallereschi” a buon mercato, prodotti
da oscuri pennaioli che scimmiottavano goffa-
mente le opere di diversi autori come Scott o af-
fini. Fortunatamente pochi oggidì conoscono o
studiano questo repertorio, ma per averne un’idea
si può pensare ad un grande calderone al cui in-
terno ribollivano improbabili temi cavallereschi
(trasposti in una edulcorata realtà delle pianta-
gioni), buoni sentimenti, pietismo accademico,
paesaggi languidi ed un linguaggio che in quanto
ad ampollosità e roboanza potrebbe tranquilla-
mente battersela con i maestri del barocco. Il
problema non era però che qualcuno scriveva certe
cose, ma piuttosto che molti altri le leggevano, ed
evidentemente questo urtava particolarmente i
nervi del nostro.
Naturale dunque che Twain riesca qui a farci sor-
ridere scendendo in un campo non certo nuovo
per lui: la satira, letteraria in questo caso. La
ricetta che adopera è molto semplice: si prenda un
orribile mattone sentimentale scritto da qualche
improbabile autore del Sud (e già il nome è tutto
un programma: G. Ragsdale McClintock, come
dire Sveva Casati Modigliani… oops! Si può
dire?) e ci si diverta a ricamarci su una esilarante
serie di non troppo celati insulti, quasi una para-
frasi negativa, una cabarettistica esegesi delle
porcherie che qualche mentecatto ha avuto il cor-
aggio di pubblicare e che una ben maggiore
quantità di menti semplici si è compiaciuta di
leggere. Si può ben capire allora come in questo
contesto il nostro autore riesca a dare libero sfogo
alla sua ben nota ironia in tutto il suo potenziale:
nei suoi racconti o romanzi deve per forza preoc-
Una cura per la tristezzadi Nicola Coviello
7Critica
8 deSidera Autunno 2012
cuparsi anche di costruire trame, delineare per-
sonaggi e tutto il resto, ma ora fa tranquillamente
accomodare i lettori davanti al Mc Clintock
legato ad un palo annunciando “bene, ora pas-
siamo un quarto d’ora in allegria insieme a questa
cassetta di cachi marci”. Dopodichè si lascia an-
dare, dedicandosi alla completa quanto minuziosa
demolizione dell’opera incriminata. Comincia la
segagione già dal titolo ( e come non farlo se
quest’ultimo è niente di meno che “Il nemico scon-
fitto; ovvero, Il trionfo d’Amore”) per poi dedicarsi
a punire tanto la trama quanto il liguaggio,
melensa l’una e prolisso l’altro. Ma non si limita a
questo, ecco che sfibrando l’intreccio Twain riesce
a castigare quasi il processo logico stesso che ha
portato alla concezione del Nemico Sconfitto, an-
dando a colpire quindi l’intero filone letterario di
cui McClinotck è in un certo senso il campione. E
ripeto, leggendo tale recensione è difficile non
trattenere qualche risata e allora di certo l’intento
demolitore del pezzo è stato pienamente raggi-
unto.
Concludo con uno stimolo: leggetevi il racconto
“Una cura per la tristezza” (è corto, non ci si
mette molto) e fatevi le vostre debite risatine.
Dopodichè pensate a cosa sarebbe stato capace di
fare Twain se avesse avuto per le mani pattume
come “Tre metri sopra al cielo” o il testo di qual-
che canzone di Venditti (il McClintock de noi-
artri). Altro che debite risatine, ci sarebbe stato da
sganasciarsi di gusto! Chissà che qualcuno non
voglia cimentarsi nell’impresa…
9Critica
di Carlo Celebrin - Rubrica di traduzioni a braccio (o,
meglio: a braccia aperte) di poesie, canzoni, dichiarazioni
e quant’altro, per commentare e contestualizzare in mo-
do spontaneo e obliquo gli autori e le tematiche trattate
in ogni numero di deSidera. Enjoy!
Indian summer
The courtesan is dead, for all her subtle ways,
her bonds are loosed in brittle and bitter leaves,
her last long backward look’s to see who grieves
the imminent night toward her reverted gaze.
Another will reign supreme, now she is dead
and winter’s lean clean rain sweeps out her room,
for man’s delight and anguish: with old new bloom
crowning his desire, garlanding his head.
so, too, the world, turning to cold and death
when swallows empty the blue and drowsy days
and clean rain scatters the ghost of Summer’s breath –
the courtesan that’s dead, for all her subtle ways –
Spring will come! Rejoice! But still is there
an old sorrow sharp as wood-smoke on the air.
Estate indiana
La cortigiana è morta, di tutti i suoi sensi sottili,
i suoi vincoli sciolti in fragili foglie amare,
la sua ultima lunga occhiata indietro per vedere chi si addolora
della notte, incombente sullo sguardo di lei, che si è voltato.
Un’altra regnerà sovrana, ora che lei è morta
e la misera chiara pioggia invernale sciacqua la sua stanza,
croce e delizia dell’uomo: coronando con una fioritura vecchia e
nuova il suo desiderio, inghirlandandone il capo.
Così anche il mondo, che si volge a freddo e morte
quando le rondini svuotano i giorni blu e sonnolenti
e la pioggia tersa fuga lo spettro del respiro dell’Estate –
la cortigiana che è morta, di tutti i suoi sensi sottili –
Verrà la Primavera! Gioite! Ma ancora c’è
un antico dolore, acre come fumo di legna nell’aria.
Lost in (Google) translation
William Faulkner
Il presente componimento è tra quelle che
sono state riscoperte come le “Poesie del
Mississippi”, composte da un quasi
trentenne Faulkner nella metà degli anni
Venti, e raccolte per l’Italia da Vanni
Bianconi. La poesia, caratterizzata da un
tono solenne e da una liricità che oscilla tra
l’intimismo e l’impetuosità, trae proba-
bilmente la sua ispirazione dalla vita
affettiva dell’autore, noto per essere stato un
giovane romantico e appassionato, e dalle
suggestioni della terra in cui egli è nato è
cresciuto, nello Stato del Mississippi. Faulk-
ner fu tra i principali ammiratori e cele-
bratori di Mark Twain, e ne ha condiviso
paesaggi emotivi e orizzonti culturali.
L’estate indiana cui il titolo fa riferimento è
conosciuta nella nostra tradizione come
“estate di San Martino” (si verifica infatti
solitamente attorno all’11 novembre):
l’ultima trionfale eco di tempo mite e rigo-
glioso prima della definitiva discesa
nell’inverno.
10 deSidera Autunno 2012
Terra d'autunnodi Marco Distefano
Ehi. . . sei molto bella così, ricoperta dalla tua
coltre variopinta. Tutti questi colori caldi mi fanno
passare il freddo di queste giornate. Sembra uno
scherzo: non ho mai avuto davvero il tempo di
godermi questi momenti di cui mi accorgo solo
adesso che comincio a non averne il tempo. Il
vento che ti rimbocca le coperte sembra quasi in-
fastidirti da quanto ti vizia, ma tu sei bravissima a
goderti le sue attenzioni senza abusarne troppo.
Mentre riposi ripensi ai bei momenti che hai
passato quest'estate, quei momenti della stagione
avventurosa che vengono una volta sola nell'anno,
e nella vita, e che proprio la loro unicità rende così
speciali da risultare ridicoli se raccontati aperta-
mente - proprio come quando si racconta una
storia d'amore, e la si uccide. Ma tu. . .tu no. Riesci
pure a trovare il tempo di rievocare a voce alta
quei ricordi e a elargirli a tutti quanti: mentre
sussurri quasi non ti si sente, e ne approfitti per
sfumare sulle parole che ti accorgi troppo tardi di
non voler dire, ma ormai le hai dette. Sembri
quasi perversamente contenta di dire ciò che di
solito non si dice, di esprimere ciò che di solito
non si esprime, di svelare dei segreti reconditi a
chi malauguratamente presta orecchio e di colpo
vede svanire il piacere della scoperta. TU? Te ne
freghi. Tanto sai che quello che si dice non conta
nulla, nemmeno se fosse la verità. . . più parli delle
tue avventure e più la perversione e il piacere che
provi nello spogliarle si vanifica. Nessuna parola,
nemmeno la più fedele, può scalfire ciò che hai
provato davvero nella tua esperienza passata! Di
colpo una folata ti spoglia. . . proprio nel momento
in cui eri assorta nella tua determinazione! ! !
Meglio ricomporsi. . . non sei affatto quella scos-
tumata che il vento voleva dimostrare. . . però sotto
Se solo mi ammalassidi Carlo Crosato
Nella strada che faccio ogni mattina a piedi, ci
sono delle cose. Stamattina sono uscito di casa con
in mente alcune frasi fastidiose, come per esempio
«Basta, basta, basta, voglio una vacanza», oppure
«Basta, basta, basta, voglio un fine settimana», e
comunque con delle frasi ammorbanti, il cui con-
tenuto tradiva una certa repulsione verso tutto
quello che nel mondo si può fare e incontrare. (Ci
sono giorni che spero mi venga l’influenza, così,
per avere un motivo buono per stare a letto a far
niente).
Poi, girando per strada, mi sono accorto che, nella
strada che faccio ogni mattina, sempre la stessa,
venti minuti ogni mattina la stessa strada a piedi,
ci sono sempre le stesse cose e poi ci sono delle
sotto. . . Toh! Un gatto si posa sulla tua coperta. . .
ora non c’è nient'altro che quel batuffolo di pelo a
riempire i tuoi pensieri. . . ma sotto sotto. . . ne hai
sempre una nuova. . . che preme per uscire e non
tarderà. Perché? Perché mentre guardi il gatto hai
la curiosità smodata di sapere cosa sia! ! Ma non
c'è un ordine a tutto questo. . . non sei più una
bambina, ora sai che non può esserci più di un
fuoco alla volta nei tuoi occhi. . . e già pensi a
un'ellisse. . . impossibile fermarti. Buona notte.
11Racconti brevi
“Sai”, mi dice lei ad un certo punto, “ho già preso
due Xanax stamattina, perciò le possibilità che io
dia retta alle tue stupidaggini sono veramente
scarse”.
“Ok.” Lì per lì non mi viene in mente altro da di-
re, poi, sapendo quanto la irritino i momenti di
silenzio, aggiungo: “Forse è il caso di ordinare
qualcosa di analcolico, non credi?”
Lei scoppia a ridere, come se avessi detto una cosa
ridicola, e non risponde.
Un folata di vento scuote tremendamente gli
alberi del parco, e per un attimo il mio sguardo si
fissa sulle foglie scure che cadono a pioggia. Penso
che ormai dovrebbero essere tutti spogli, gli alberi,
e che l'autunno è arrivato davvero in ritardo.
“L'autunno è arrivato davvero in ritardo”, butto là.
“Che dici, ordiniamo?” fa lei, ignorandomi. “Sì.
Certo”.
Prende il menu e lo studia facendo scorrere rapi-
damente lo sguardo da una pagina all'altra, assorta
come se si trattasse di una questione della massi-
ma importanza. Salta subito la pagina delle bibite
e osserva con attenzione gli alcolici, passandosi
una mano tra i capelli. Rimango colpito dalla de-
cisione con cui chiude il menu, facendogli pro-
durre una specie di schiocco e posandolo sul
tavolo con un gesto elegante.
“Prendo un prosecco”. “Ma”, comincio, “non pensi
che, magari, sarebbe meglio un. . . che so,un succo
di frutta?” “E smettila”, sbotta. “Te l'ho detto o no
che non voglio sentire le tue paranoie?”
Fa cenno al cameriere che siamo pronti ad ordi-
nare, anche se questo si avvicina al nostro tavolo
con aria scocciata: siamo gli unici ad aver deciso di
stare fuori, e solo perché lei ha bisogno di fumare
per non diventare nervosa. La temperatura, tutta-
via, non è per nulla piacevole.
“Allora”, dice rivolgendosi al cameriere. “Prendia-
mo due prosecchi”.
Io non ho espresso il desiderio di bere un pro-
secco, ma lascio correre. Il cameriere annuisce con
la testa e poi se ne va, probabilmente aggiungendo
Interferenzedi Emma Varotto
cose nuove. Tra le cose che ci sono sempre, c’è
Silvano, che fuma fuori di casa sua, che io ogni
mattina saluto e che ogni mattina non mi saluta,
poi ci sono i cani che, con precisione teutonica, si
passano la notizia della mia presenza, abbaian-
domi prima gli uni, poi gli altri e poi gli altri
ancora. Tra le cose che ci sono sempre, ci sono
anche le cacche che sul marciapiede uno deve
schivare, la cui presenza ormai non mi stupisce,
sebbene ogni mattina ce ne siano di nuove e in
posizioni sempre diverse; sono loro che, per prime,
mi costringono a un moto di attenzione e lucidità:
meglio che un caffè.
Tra le cose nuove, stamattina c’erano i primi in-
credibili apparati semiotici del Natale, luci, alberi,
presepi: una festa che ormai iniziamo a festeggiare
sempre prima. Tra le cose nuove, poi, c’erano tre
preservativi abbandonati per terra, apparati semi-
otici di una festa che non è mai troppo presto per
festeggiare.
Arrivato a destinazione, infine, ho ascoltato alcune
canzoni di Elliott Smith. E ho pensato che se al-
meno mi venisse l’influenza, potrei finalmente
starmene a letto un paio di giorni.
12 deSidera Autunno 2012
un'altra coppia di clienti maleducati alla sua
collezione, e sparisce all'interno del bar.
Fa freddo, e non capisco come lei faccia ad
indossare una giacca così leggera senza sciarpa né
berretto mentre io mi stringo nel cappotto, pale-
semente intirizzito. Mi ignora, o finge di non
accorgersi del fatto che sto gelando, e si accende
una sigaretta.
“Hai dato un'occhiata alla collezione au-
tunno/inverno di Motivi?” “No”. “Dovresti. Asso-
lutamente geniale. Di solito tutte le collezioni
invernali sono piene di marrone e nero, mentre
Motivi ha puntato sull'oro e sul tono su tono. Ho
già visto una maglia larga che mi piace da morire,
tutta oro e che arriva fino alle ginocchia, da
portare con i leggins. Ce n'è un paio da Calzedo-
nia che ci starebbe proprio da dio”. “Poi andiamo a
darci un'occhiata, se vuoi. . . ”
“Sì. Ah.. Hai pensato a cosa fare a Capodanno?”
“Manca ancora un sacco di tempo.. . ” “Hai detto
così anche l'anno scorso, e non voglio neanche ri-
cordare quello schifo di festa in cui siamo finiti,
con Alex e quella tua amica Lidia che. . . ”
“Linda”. “Come?” “Si chiama Linda”. “Quello che
è. Faceva schifo, Lidia o Linda che sia. Lei e il
vestito che aveva addosso, tra l'altro”.
Non ho assolutamente memoria di cosa indossasse
Linda un anno prima, ma ricordo perfettamente
l'abito di lei, che la fasciava in modo splendido,
impeccabile. Perciò dico, avendo cura di esibire
una certa ammirazione: “Tu invece stavi benissi-
mo, eri stupenda”.
“Grazie”, gongola. “Avevo un vestito D&G, Cri-
stosanto, ci mancherebbe anche che non fossi stata
stupenda”. Si lascia scappare un sorriso soddi-
sfatto. “Però”, riprende, “quest'anno voglio assolu-
tamente passare un Capodanno come si deve, ok?
Ho intenzione di mettermi quel vestito verde
acquamarina di Zara, che è piuttosto elegante, e
mi serve un posto adatto. Per le scarpe pensavo a
quelle nere di Prada che ho a casa, quelle alte,
anche se prima dovrei stare un po' a dieta perché
altrimenti non mi slanciano abbastanza”.
Mi è sempre piaciuto guardarla fumare, anche se,
personalmente, odio il fumo. Ha un modo di
portarsi la sigaretta alle labbra e di aspirare che
quasi mi ipnotizza, e mi piace cercare di vedere
qualche figura nelle volute di fumo che escono
dalla sua bocca. Questo però mi distrae, e di-
mentico di dirle che non ha assolutamente biso-
gno di mettersi a dieta.
“Cosa ne pensi?”, incalza lei. “Penso che l'acqua-
marina sia un colore favoloso, però stavo cercando
di capire per quale motivo dovresti metterti a
dieta.” “Da quando prendo l'Eutimil sono ingras-
sata.”
“Non è affatto vero. Stai benissimo come sempre.”
Non sono abbastanza convincente, però, perché la
sua espressione rimane insoddisfatta, e decide di
cambiare subito argomento.
“Hai sentito di Sabrina?” “Sabrina?” “Oh, dai, la
mia compagna bionda del liceo che faceva la mo-
della.” Percepisco una leggera punta di invidia che
mi fa obiettare prontamente: “Sì, ho capito chi è,
ma non ha proprio niente di speciale, ora che mi
ci fai pensare.”
Lei annuisce, visibilmente soddisfatta. “Ah,
neanche secondo me, se è per questo. Comunque,
adesso lavora da Tezenis. Cioè, appende mutande,
capisci?” Ridacchia. “E lei che voleva andare a
Parigi!” “Non vedo cosa ci sia di male a lavorare da
Tezenis.” Certe volte fatico a trattenermi. “Il
punto”, risponde con un sospiro, “è che lei voleva
fare la modella a Parigi. Figurati. . . ” “E invece
13Racconti brevi
Conglom
eratidiValentinaCasagrande
deSideraCi
La nostra rivista è fatta da
persone che cercano
persone, e vogliamo farlo
con la parola che ci piace
di più: muovere.
Muovetevi quindi, e ve-
niteci incontro: cerchiamo
nuove menti disposte a saltare
sul nostro carro, navigatori che
ci suggeriscano tragitti inediti o
semplici autostoppisti che vogliano
fare qualche chilometro con noi.
Se condividete idee e tensioni, potete
collaborare con le nostre rubriche o
creare con noi qualcosa di nuovo.
Saremo orgogliosi di dare spazio ai
vostri desideri.
appende mutante.” “Esatto.”
Si scosta i capelli e sbuffa. Si annoia, è chiaro, ma
non so assolutamente cosa fare a riguardo. Mi
sembra di vivere in un mondo parallelo, un mondo
in cui la sua bellezza conta più di qualunque altra
cosa, persino più delle assurdità che escono dalle
sue labbra perfette.
Arrivano i nostri prosecchi, che io pago come al
solito mentre lei fruga nella borsa ed estrae una
pastiglia. Se la porta subito alla bocca accompa-
gnata da un lungo sorso, poi mi rivolge uno
sguardo interrogativo.
“Che cos'era?” le chiedo. “Fatti gli affari tuoi”,
ringhia. “Dimmi almeno che cos'era!”
“Un altro Xanax, va bene?” “E che bisogno c'era di
prenderlo?” Fa un gesto di stizza con la mano e
tira una boccata dalla sigaretta con una certa
enfasi. “Mi metti ansia”, sbotta. “Io?” “Sì, tu!
Insomma, te ne stai lì impalato e zitto come un
deficiente, e io devo portare avanti la conversa-
zione.” Fa una pausa, durante la quale arriccia il
naso, poi aggiunge con noncuranza: “Come se me
ne fregasse qualcosa, oltretutto.”
Sposto di nuovo lo sguardo sugli alberi, e sulle
foglie. Mi viene in mente che è la stagione delle
castagne e che mi piacerebbe tanto mangiarne
qualcuna, magari accompagnata da un buon vino
Novello; così mi lascio trasportare da qualche vaga
riflessione mentre lei continua a parlare ed io la
guardo, assorto e perso nella contemplazione del
suo viso. Fatico a cogliere l'argomento di cui sta
parlando, però, perché da lontano mi arriva pro-
prio un vago aroma di castagne.
“A cosa stai pensando?” mi chiede ad un certo
punto. Schiaccia la sigaretta sul posacenere con
aria esasperata. “Lo vedi che non sei minima-
mente interessato a quello che ho da dire o a come
mi sento? Passi tutto il tempo a guardarti intorno
come se fossi autistico! Poi non c'è mica da stu-
pirsi se mi vengono gli attacchi d'ansia e non mi
sento bene in generale.”
Mi piacerebbe davvero chiederle se ha mai notato
che l'odore nell'aria cambia con lo scorrere delle
stagioni, o che il profumo di castagne in autunno
si mescola all'odore di pioggia e di terra calpe-
stata; ma non avrebbe senso, quindi cerco di farmi
venire in mente qualcos'altro.
“A dire il vero”, azzardo, “stavo cercando di
immaginarti con quella maglia larga di Motivi che
mi hai descritto prima. Secondo me l'oro ti sta-
rebbe benissimo.” Abbozza un sorriso compiaciu-
to. “Dici sul serio?”
“Ma certo.”