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DESK Sommario EDITORIALE Le identità, le vocazioni e le deontologie perdute 3 Paolo Scandaletti UCSI - SPECIALE CONGRESSO Giornalismo e comunicazione. Una domanda di senso e di verita’ 5 Massimo Enrico Milone Dal Congresso una sfida per il futuro 6 Angelo Sferrazza La professione che verrà 9 Francesco Birocchi STORIA, CULTURA E RICERCA Ricerca e formazione in Europa: la nuova frontiera del Bologna Process 14 Giorgio Dominese Il linguaggio del teatro: il più specifico, ricco e composito che esista 20 A.Tieri e G. Lojodice Osservatorio Giovani-Editori: il bilancio di un quinquennio 25 L’immagine come costruzione iperreale del mondo 26 Andrea Pitasi Comunicare la ricerca. IlCIVR e la valutazione del sistema ricerca italiano 30 Andrea Lombardinilo Saxa Loquuntur.Ovvero la comunicazione nell’antichità 34 Raffaele Palmieri Blog e mass media: connubio possibile? 37 Igor Scognamiglio Il grande bluff del territorio nell’epoca della comunicazione globale 42 A. P. TESI DI LAUREA Il video-terrore: immagini del terrorismo e opinione pubblica 45 Roberta De Luca L’identità dei settimanali diocesani nella prospettiva storica 46 Michela Cubellis LEGGI DECRETI E REGOLAMENTI Uno sguardo in Parlamento... 48 Giuseppe Nucci CONVEGNI E CONGRESSI Diritto di cronaca e tutela dei minori:la revisione della Carta di Treviso 49 Ruben Razzante Roma - Quinto Rapporto Censis Ucsi sulla comunicazione in Italia 51 Camilla Rumi Bologna Compa - Lavori in corso di comunicazione 53 Ludovica Quattrocchi Roma - Comunicazione, salute e terapia del buon umore 55 C.R. Roma - Rapporto annuale sulle Università italiane 56 Filippo Galatà LIBRI Ci salveranno le vecchie zie?, Leo Longanesi 57 Parliamo dell’elefante, Leo Longanesi 57 Sogni, delusioni e sconfitte nelle lettere inedite di Giuseppe Marotta, Salvatore Maffei 57 Paolo Scandaletti La conoscenza dei media nella prospettiva sociologica, Donatella Pacelli 58 C.R. Comunicare l’innovazione, Andrea Granelli (a cura di) 59 Monica Spalletta Megatrend, rischi e sicurezza, Augusto Leggio 60 L. Q. Non solo soft. Attori, processi, sistemi, Pierfranco Malizia 61 C.R. Psicopatologia del cellulare, Luciano Di Gregorio 62 Laura Di Iorio Incantesimi. Alice nel Paese della fiction, Luisella Bolla 63 M.S. Guida alle etiche della comunicazione, Adriano Fabris (a cura) 64 Rosa Maria Serrao DESK Anno XII n. 4 REDAZIONE Roma: via in Lucina 16/a - Napoli: C.so V.Emanuele 292 [email protected] Telefax 06/68802874 Proprietà ed editore: UCSI - Associato USPI - Periodicità: trimestrale Finito di stampare: novembre 2005 da CSR - Roma via di Pietralata, 157

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DESK Sommario

EDITORIALELe identità, le vocazioni e le deontologie perdute 3 Paolo ScandalettiUCSI - SPECIALE CONGRESSOGiornalismo e comunicazione. Una domanda di senso e di verita’ 5 Massimo Enrico MiloneDal Congresso una sfida per il futuro 6 Angelo SferrazzaLa professione che verrà 9 Francesco BirocchiSTORIA, CULTURA E RICERCARicerca e formazione in Europa: la nuova frontiera del Bologna Process 14 Giorgio DomineseIl linguaggio del teatro: il più specifico, ricco e composito che esista 20 A.Tieri e G. LojodiceOsservatorio Giovani-Editori: il bilancio di un quinquennio 25L’immagine come costruzione iperreale del mondo 26 Andrea PitasiComunicare la ricerca. IlCIVR e la valutazione del sistema ricerca italiano 30 Andrea LombardiniloSaxa Loquuntur. Ovvero la comunicazione nell’antichità 34 Raffaele PalmieriBlog e mass media: connubio possibile? 37 Igor ScognamiglioIl grande bluff del territorio nell’epoca della comunicazione globale 42 A. P.TESI DI LAUREAIl video-terrore: immagini del terrorismo e opinione pubblica 45 Roberta De LucaL’identità dei settimanali diocesani nella prospettiva storica 46 Michela CubellisLEGGI DECRETI E REGOLAMENTIUno sguardo in Parlamento... 48 Giuseppe NucciCONVEGNI E CONGRESSIDiritto di cronaca e tutela dei minori: la revisione della Carta di Treviso 49 Ruben RazzanteRoma - Quinto Rapporto Censis Ucsi sulla comunicazione in Italia 51 Camilla RumiBologna Compa - Lavori in corso di comunicazione 53 Ludovica QuattrocchiRoma - Comunicazione, salute e terapia del buon umore 55 C.R.Roma - Rapporto annuale sulle Università italiane 56 Filippo GalatàLIBRICi salveranno le vecchie zie?, Leo Longanesi 57Parliamo dell’elefante, Leo Longanesi 57Sogni, delusioni e sconfitte nelle lettere inedite di Giuseppe Marotta, Salvatore Maffei 57 Paolo ScandalettiLa conoscenza dei media nella prospettiva sociologica, Donatella Pacelli 58 C.R.Comunicare l’innovazione, Andrea Granelli (a cura di) 59 Monica SpallettaMegatrend, rischi e sicurezza, Augusto Leggio 60 L. Q.Non solo soft. Attori, processi, sistemi, Pierfranco Malizia 61 C.R.Psicopatologia del cellulare, Luciano Di Gregorio 62 Laura Di IorioIncantesimi. Alice nel Paese della fiction, Luisella Bolla 63 M.S.Guida alle etiche della comunicazione, Adriano Fabris (a cura) 64 Rosa Maria Serrao

DESK Anno XII n. 4 REDAZIONE Roma: via in Lucina 16/a - Napoli: C.so V. Emanuele 292 [email protected] Telefax 06/68802874Proprietà ed editore: UCSI - Associato USPI - Periodicità: trimestraleFinito di stampare: novembre 2005 da CSR - Roma via di Pietralata, 157

DESKcultura e ricerca della comunicazione

Rivista trimestrale Università Sr. Orsola Benincasa e Ucsi

DIRETTORI

Paolo Scandaletti (responsabile) - Lucio D’Alessandro

COMITATO SCIENTIFICO Francesco M. De Sanctis (Presidente)

COORDINATORI DI REDAZIONE

GIUNTA ESECUTIVA Massimo Milone (Presidente)

Angelo Paoluzi (Vicepresidente); Angelo Sferrazza (Segretario);Francesco Birocchi (Tesoriere);Piergiorgio Acquaviva, Ezio Berard, Sergio Borsi, Angela Buttiglione, P. PasqualeBorgomeo, Ignazio Ingrao, Emilio Rossi, Paolo Scandaletti, Giorgio Tonelli, GiuseppeVecchio, Giancarlo Zizola

CHI SONO GLI AUTORI?Francesco Birocchi, giornalista, Tesoriere Nazionale UCSI, Michela Cubellis, Università LUMSA Roma,Laura Di Iorio, giornalista, Giorgio Dominese, Coordinatore della rete internazionale di ricerca uni-versitaria, professore di Economia e Politica delle Transizioni all’Università LUISS di Roma eall’Università di Udine, Filippo Galatà, giornalista, Presidente UCSI Sicilia, Giuliana Lojodice,attrice, Andrea Lombardinilo, addetto stampa viceministro On. Guido Possa, Massimo EnricoMilone, giornalista, Presidente Nazionale UCSI, Giuseppe Nucci, esperto di comunicazione, Raffaele Palmieri,Universita Sr Orsola Napoli, Andrea Pitasi, Universita Sr Orsola Napoli, Ludovica Quattrocchi, uffi-cio stampa, Ruben Razzante, rofessore di diritto dell’informazione e del prodotto culturale all’Università Cattolicadel Sacro Cuore di Milano e Consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Camilla Rumi, Università LumsaRoma, Paolo Scandaletti, giornalista, Universita LUISS Guido Carli, Roma, Igor Scognamiglio, UniversitaSr Orsola Napoli, Rosa Maria Serrao, giornalista, LUISS Guido Carli, Roma, Angelo Sferrazza, giornali-sta, esperto di comunicazione, Monica Spalletta, Università LUISS Guido Carli, Roma, Aroldo Tieri, attore

Giuseppe AcocellaErmanno Bocchini Pasquale Borgomeo Isabella Bossi Fedrigotti Enzo CheliMassimo Corsale

Piero CraveriLucio D’AlessandroDerrick De KerckhoveOrnella De SanctisGianpiero Gamaleri Paolo Mazzoletti

Massimo MiloneMario MorcelliniAgata PiromalloGambardellaEmilio RossiPaolo ScandalettiFranco Siddi

Roma: Rosa Maria Serraocell. 392/00.19.687e-mail: [email protected]

Napoli: Arturo LandoAndrea Pitasi cell. 339/22.65.709e mail: [email protected]

Editore: Ucsi

Editoriale

Se parte, finalmente, la riforma dell’ac-cesso alla professione giornalistica conil percorso formativo nell’università e la

laurea obbligatoria, il praticantato incorpora-to e il connesso esame di stato abilitativi, saràgiunto il momento per riproporre le doman-de di senso che il traguardo raggiunto com-porta.Se le scelte applicative della legge del 1999,devolute al regolamento congiunto dei mini-stri dell’Università e la Giustizia, giungonosolo ora e anche perché gli editori si sonoopposti, in nome del privilegio che avevanodal 1929 di scegliere i giovani da avviare algiornalismo e preparandoseli in casa. Lamediazione del sottosegretario Siliquini s’èsbloccata perché quel vantaggio rimarrà loroancora per sette anni; seppure con l’obbligodei praticanti nei giornali, agenzie e radio-tv,di frequentare 300 ore di lezioni frontali neicorsi riconosciuti dall’Ordine.Le nostre domande sui problemi aperti e lecriticità; oltre le apparenze, sugli interessi, ivalori e gli obiettivi; sono poste nell’ottica deldiscorso pubblico e della cultura della moder-nità. Di quali giornalisti hanno bisogno dun-que le persone, la società civile, gli Stati nelmondo globalizzato. E dove è serio preparar-li: negli atenei che hanno appunto vocazionepubblica o nelle aziende editoriali che cel’hanno privata? La domanda non è retoricaperché sottende quest’altra: i giornali son fattiper interessi extraeditoriali, replicando uno

dei classici conflitti d’interesse che appesanti-scono il nostro Paese, oppure per far riferi-mento leale ai lettori-cittadini, in un ordinatosistema-paese?Prepararli con quali docenti? Da Firenze aUrbino, da Bologna a Roma (al Congressodell’Ucsi il 3 dicembre) s’è formata una sortadi compagnia di giro, con gli stessi capoco-mici dell’Ordine e delle scuole, con i capidelle facoltà che contano, per discutere comescegliere i docenti, in particolare quelli porta-tori delle culture e delle esperienze professio-nali della comunicazione. Si son sentite anchele migliori esperienze realizzate nel mondo.Eppure i passi avanti son pochi: il potere,seppure necessitato, non molla.Ma ce la farà, così andando, a preparare gio-vani colti ed eticamente maturi? Coglierà l’in-novazione dei concorsi nazionali aperti perspalancare anche quelle finestre? Galileoaveva contratti triennali con la SerenissimaRepubblica di Venezia durante i diciotto annidi ricerca e insegnamento a Padova; rinnova-ti dopo le verifiche a scadenza. Ed era ilpadre fondatore della scienza moderna… E igiornalisti che diventano docenti, con qualicriteri verranno scelti: funzionali al piano distudi, scelti con criteri prestabiliti e alla lucedel sole; oppure all’italiana?Preparare i giornalisti con quale cultura?Quella che potrebbero ottenere gli ingegneriove si formassero nelle imprese di costruzio-ne ed i medici nelle cliniche private? Oppure

Le identità, le vocazioni e le deontologie perduteCriticità e domande per editori e pubblicitari, comunicatori e giornalisti

di Paolo Scandaletti

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Editoriale DESK

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la cultura soda che t’aiuta a capir bene quellodi cui vai a scrivere, prim’ancora di saperloraccontare?Un’idea alta della professione, faticosa e purerischiosa, sostanziata da comportamentideontologicamente corretti, con un Ordinepronto a sanzionare?Con quali editori e dirigenti amministratividei giornali? Editori “puri” e uomini del mar-keting che guidano le aziende secondo la loronatura e vocazione di imprese nate per gua-dagnare certo; ma senza mescolare le carte,soprattutto quelle dell’area dell’informazionee quelle della pubblicità. Quando le marcheed i loro uomini delle relazioni esterne, introppi casi ormai, premono per ottenerequella commistione che colpisce il soggettopiù debole della filiera, il cittadino-lettore.Beppe Servegnini, incontrando i Soci diAssorel, li ha trovati sorpresi quando hasostenuto il valore e la logica della separazio-ne fra le notizie ed i messaggi pubblicitari.Sono usciti in un anno tre libri che prendonodi petto questa faccenda, ma sono finiti nellaclandestinità. L’Ordine di Milano, il più inve-stito dal problema e il più duro in proposito,non riesce ancora a dialogare col “vicinato”.La FIEG, finalmente in campo al prossimoincontro romano, oltre fare lobbing colgoverno, intende confrontarsi anche sullostato dell’arte in Italia nell’ottica del discorsopubblico?Se la maggioranza degli studenti di Scienzedella comunicazione, secondo l’indagine diAlma Laurea è andata a lavorare nella pubbli-cità, di quale cultura professionale sono statidotati? Quella rilevata da Servegnini e daAbruzzo? Oppure c’è speranza che la lorodeontologia, come quella dei comunicatori ingenerale, aiuti a conquistare tutta l’indispen-sabile credibilità di cui abbisognano questeprofessioni agli occhi dei clienti e della gente?

Ed infine: per quale gente? Per chi ha culturacritica insufficiente a vivere dentro questomondo farcito di messaggi, e subire imbam-bolato; o per una cittadinanza attiva, consa-pevole dei vantaggi della contemporaneità,come dei rischi e della parte che anche lorodebbono svolgere? Si può girar canale, cam-biare giornale, accedere all’Istituto dell’auto-disciplina pubblicitaria, scrivere e chiamare imedia radiofonici per protestare. Farsi senti-re, serve; gli orecchi del marketing sono assaisensibili.L’Ordine nazionale aveva parlato di unIstituto per il giornalismo che seguisse questetematiche e le scuole che preparano i futurigiornalisti. Speriamo arrivi presto: per offrireun luogo di raccolta di regole e dati, analisidel vissuto, valutazioni. Tolga episodicità, escoramento, a questi discorsi; tenga il filo deldiscorso pubblico. E’ il nostro Paese che neha bisogno urgente.

Paolo Scandaletti

NOTIZIE SUL MONDO DELL’INFORMAZIONE

CONTRIBUTI EDITORIA - Tra il 2002 e il2004 sono cresciuti del 47% e per ilprossimo anno le condizioni sono piùsevere.

FIEG - Fabrizio Carotti è il nuovodirettore generale della Federazioneeditori giornali. Sostituisce SebastianoSortino, eletto commissariodell’Autorità per le garanzie nellecomunicazioni. Il nuovo direttore pro-viene dalla Confindustria.

(Sergio Borsi)

E’ il tempo degli interrogativi. E’ iltempo delle idee. E’ il tempo delladomanda di senso e di verita’. Dietro

l’angolo, una svolta epocale. Oltre gli slogan eil politichese, oltre le alchimie dei contenitorie le mistificazioni dei comportamenti. Oltre leprofezie di chi, nel 900, per dirla comeMalraux, “ha espulso Dio dalle coscienze del-l’uomo”.E’ il tempo della centralita’ della personaumana, della indiscutibilita’ della famiglia, deidiritti degli esclusi e delle minoranze, dei dirit-ti dei minori e degli onesti. E’ il tempo di unsecolo che o sara’ religioso o non sara’. Ma chiraccontera’ questo tempo? E con quali paro-le? Scegliendo quali immagini ? E con qualetolleranza per chi non la pensa come lui purdifendendo la propria identita’? E’ il tempo di un giornalismo diverso.Di una comunicazione diversa.Siamo consapevoli per cio’ che poteva, forse,essere e non e’ stato.Anche nella nostra associazione di giornalisticattolici. Siamo piccoli e sentiamo tutta lanostra impotenza di fronte al pendolo dellastoria.Di fronte alle oscillazioni e prevaricazioni dimercato e potentati, ad esempio o di fronte alprovincialismo di certi racconti, mentre e’ fortel’esigenza di governare una globalizzazione chepone mille interrogativi. Siamo piccoli ed arti-giani ma tentiamo di lavorare liberi.Con la schiena dritta, per dirla come Ciampi.

Con la coscienza a posto, come ci ammonisceil Magistero della Chiesa. Certo, qualche volta,siamo stati critici, altre volte, forse troppe, inmodo sommesso.Ma ora e’ il tempo dell’identita’ e della suariaffermazione forte.E della difesa, nel racconto della storia d’ognigiorno, di un modello di vita. Va detto senzamezzi termini. Forse non ci sara’ tempo perridirlo. Nell’assenza totale del primato dellapolitica (che dovrebbe guidare i processi),come giornalisti, abbiamo la consapevolezzache il mezzo sta “divorando il mezzo”. Ed e’il tempo, drammatico, dei contenuti.Tante autostrade informative, grazie a tecno-logie spinte e alla loro interazione, ma chiriempira’, e di cosa, i contenitori? Alla vigiliadel Sedicesimo Congresso dei giornalisti cat-tolici italiani e alla luce di una storia ultra qua-rantennale che ha visto tanti autorevolissimicolleghi, raccontare, da cattolici, le vicende delnostro paese, mi piace ricordare un cronistamartire, Valter Tobagi, che scrisse: “Ai maestridella filosofia facile e del sociologismo dastrapazzo ricordiamo la realta’ di un mestiereche resta individuale, duro, artigianale”.Vogliamo interrogarci cosi’ sulla domanda disenso e di verita’ che emerge, prepotente-mente, dal paese e che interpella i media.Tutti, laici e cattolici. Ma vogliamo, contem-poraneamente, in dialogo serrato con i colle-ghi di altre estrazioni culturali, dire parole giu-ste ed oneste sull’insopprimibile liberta’ di

Giornalismo e comunicazione Una domanda di senso e di verità

di Massimo Enrico Milone

DESK Speciale Congresso UCSI

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espressione e di pluralismo. Vogliamo essere,accanitamente, cronisti della nostra storia, maanche accanitamente cristiani nella nostraprofessione d’identita’. Cosi’ come vogliamoaccanitamente comprendere e raccontare imutamenti in corso d’opera, veri e propri tsu-nami, che non possono essere banalizzati ne’da una tv paccottiglia ne’ da una carta stam-pata sempre piu’ gossippara . C’e’ una sborniacollettiva di tutto questo dalla quale occorreuscire. Come giornalisti cattolici siamo prontia fare la nostra parte. Recuperando credibilita’e fiducia, aggettivi che, da sempre, dovrebbe-ro connotare la nostra professione. E’ la verasfida, questa. Con una piccola, grande certez-za. Ci accompagnera’, per sempre, di certoquel “Non abbiate paura” del grande Papapolacco Karol Woityla, ma, contemporanea-mente e’ gia’ nostro compagno di viaggio,ogni giorno, nella sua granitica spiritualita’,Benedetto XVI, che ci esorta “a porre in evi-denza il bisogno di chiari riferimenti allaresponsabilita’ etica di chi lavora nei mediaspecialmente per quanto riguarda la sinceraricerca della verita’ e la salvaguardia della cen-tralita’ e della dignita’ della persona umana”.Non siamo ne’ predicatori ne’ profeti. Solotestimoni! Di un giornalismo con l’anima.Diciamo no, con forza, a una certa propen-sione alla omologazione di turno. E’ un giocoben conosciuto da noi giornalisti! Sono inostri giorni amaramente costituenti. Nontanto per gli aggiustamenti e i restauri cheappaiono necessari all’edificio istituzionale incui oggi abitiamo, ma piu’ in profondita’ nelleragioni ultime o se preferite in quelle origina-rie. I parlamenti sono ormai investiti di quesi-ti che riguardano la definizione stessa dell’uo-mo. Capito’ gia’ con l’aborto, e’ capitato conla fecondazione. Capitera’ con l’eutanasia.Senza parlare di tutela dei minori ed altro.Non e’ un caso che coscienze laiche e cattoli-

che si interroghino. E non e’ un caso che ilpensiero contemporaneo attui una resaincondizionata di fronte alla dimensione del-l’essere.Non sappiamo se la politica, nel suo com-plesso, sara’ pronta a questo compito costi-tuente, ma da giornalisti non possiamo regi-strare che il pensiero contemporaneo apparedrammaticamente debole. Ci si e’ ridotti aredigere manuali di galateo per una societa’che rischia di sopravvivere galleggiando suifatti. Con media, amplificatori, il piu’ dellevolte, senza identita’. Uno specchio opaco.Qualche volta strumentalmente, qualche voltainconsapevolmente. Puo’ apparire cosi’ ecces-sivo, per chi tenta di coniugare Vangelo e pro-fessione, chiederci dove va l’informazione inItalia? E chiedersi quali strade da percorrere?Forse poche e obbligate sulla quale vogliamoconfrontarci.Innanzitutto per i giovani. Innanzitutto per gliutenti. Il confronto e’ aperto. Un congresso digiornalisti puo’ servire anche a questa rivisita-zione. Riportando alla luce anche i tanti moti-vi di speranza che esistono nelle nostre tv enei nostri giornali.Non e’ poco.

Massimo Milone

Nessuno può negare che raramente si èassistito, come in questi ultimi anni, ad

un momento così intenso e accelerato dicambiamenti nel mondo della comunicazio-ne. Cambiamenti però non graduati in unospazio temporale, tali da poter essere distri-

DESKSpeciale Congresso UCSI

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Dal congresso una sfida per il futuro

di Angelo Sferrazza

buiti nella società senza creare pericolosefratture e marcate diversità di utilizzo. Aprima vista tutte queste novità potrebberoapparire il logico e naturale percorso di unprocesso di ammodernamento degli stru-menti e del perfezionamento tecnologico.Si ha l’impressione invece che le logichesiano in massima parte frutto di scelte dimercato. Usando le più vecchie e sempliciregole del marketing si creano i bisogni, siconvince che il mezzo è vecchio, si offrononuovi servizi e il gioco è fatto. I telefoniniinsegnano.L’ultima trovata in ordine di tempo è il Dvb-h. Una formula? Una sigla misteriosa?Tradotto dall’inglese “Digital video broad-casting-handheld”, cioè televisione digitaleda tenere in mano. Di strada la televisionene ha fatta! Quando fu presentata il 19marzo del 1939 alla Fiera Mondiale di NewYork il “New York Times” scrisse “Il proble-ma è che, con la televisione, la gente devestar seduta, tenere i propri occhi fissi sulloschermo: la famiglia americana media nonha tempo per questo.Di conseguenza, i professionisti dello spet-tacolo sono convinti che la televisione nonsarà mai una seria concorrente della radio”.Dallo scetticismo si passò in pochi anni adun incontrollato ottimismo e ci fu chi, comeThomas H. Hutchinson in un libro uscitonel 1946 Here Is Television: Your Windowto the World (Dial Press, New York) affer-mò: “La televisione significa il mondo nellevostre case e nelle case di tutti gli abitantidella terra. È il più grande mezzo di comu-nicazione mai sviluppato dalla menteumana.Dovrebbe contribuire a rafforzare i legamifra gli uomini e portare una maggiore com-prensione e pace in terra, più di ogni altrasingola forza materiale che esista al

mondo”.Quanto sbagliassero il “New York Times”prima e come si illudesse il signor T. H.Hutchinson poi è sotto l’occhio di tutti.Perché il primo e fatale errore è confondereil mezzo con il contenuto: errore che si con-tinua a ripetere.Per rimanere in tema di Dvb-h ci si scannagià con largo anticipo su ciò che rappresen-terà questa nuova svolta della televisionedimenticando subito che è innanzi tutto unimmenso affare e che, chi in Italia di affaritelevisivi se ne intende, si è già comodamen-te accomodato.Non dovrebbe sfuggire più a nessuno cheoggi l’intero complesso e vasto sistema dellecomunicazioni è prima di tutto un gigante-sco affare economico, con tutti guasti chene derivano. Sottoposto alle ferree e ineso-rabili leggi dell’economia, che qualcuno siillude di saltare come in tema di scalate allaproprietà di testate giornalistiche, il sistemarischia di essere travolto e consumato al suointerno proprio dalla sua potenziale fonte diricchezza.A farne le spese sono certamente i contenu-ti che vuol dire ruolo dei media, libertà perchi ci lavora, ma soprattutto rispetto per icittadini, senza distinzione di colore di pellee religione.La comunicazione oggi rischia di essere solomarketing, senza leggi, libero di muoversinel mondo globalizzato dove i controllisono inesistenti e dove aldilà dell’ONU, nonsi intravede chi possa individuare qualchecriterio ed elemento giuridici.I generi sono definitivamente scomparsi, leconcentrazioni proprietarie ormai raggrup-pano carta stampata, radio, televisione edora anche la telefonia mobile che appare almomento il media-terminale ultimo.Questo immenso e ingovernabile mondo,

DESK Speciale Congresso UCSI

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che qualcuno definì “villaggio globale”, difatto è una torre di Babele e uno strumentoche influenza scelte e comportamenti.Promesse di ampliamento di spazi di libertàattraverso le innovazioni del digitale sem-brano rimanere tali, utopiche e lontane.La linea Maginot della carta stampata nonha la forza di arrestare il cambiamentomesso in atto dal digitale e dalla rete. Tuttosta cambiando, anzi è cambiato. Dobbiamoessere preoccupati, ma non angosciati.Questa scelta può essere fatta nostra. Le leg-gende, la storia e i testi Sacri ci hanno inse-gnato che nessun nemico è invincibile e cheanzi proprio di fronte alla forza è l’acutezzadell’ingegno e il sostegno della fede che aiu-tano a vincere.Quasi sempre, ma qualche volta in ritardo,purtroppo! Intorno alla comunicazionebisogna creare un sistema difensivo fatto diconoscenze, di cultura, di vigilanza e di spi-rito civico.I pericoli e il degrado che spesso si intrave-dono nell’uso incontrollato dei mass media,allarmano vaste aree della società, nonnecessariamente cattoliche e praticanti. Anziintorno a queste tematiche è più facile ritro-varsi e fare fronte comune.Potrebbe essere un primo esercizio peraggregare varie realtà culturali intorno ad unprogetto culturale che partendo dalla comu-nicazione, giunga poi ad affrontare temati-che che dividono. Il muro contro muro nonfa bene a nessuno.È necessario, in questo tempo che stiamovivendo, valorizzare tutte le diversità e sfor-zarsi di far crescere una comunicazione cul-turale che attinga ai valori condivisi, perchésu tutto si può negoziare, a cominciare dalcommercio, meno che sulla diversità cultu-rale. Possediamo uno strumento, come lacomunicazione, veloce, ma non dobbiamo

dimenticare che la democrazia ha bisogno ditempo.E il tempo deve essere usato per coltivare.L’UCSI è una associazione piccola, non dis-pone di mezzi e si trova schiacciata dallapotenza del mondo massmediale. Il rischioche può correre una organizzazione come lanostra è duplice: farsi prendere dallo scora-mento e mollare tutto (senza finire necessa-riamente in “analisi” come s’usava dire neglianni post sessantottini), oppure, prendendoatto della realtà, concentrarsi su pochi, marealistici obiettivi.Uno sguardo alla storia ci può far riscoprirei valori fondanti, che adattati alla nuova real-tà non cambiano: la coerenza innanzi tutto ela fedeltà al messaggio della Chiesa e deidocumenti sulla comunicazione.Una punta di orgoglio non può mancare:l’UCSI ha sempre anticipato tutti i granditemi. Un esempio: i convegni di Recoaro.Da una ricerca fatta nelle Teche Rai si sco-prono una serie di iniziative nel territorio digrande interesse.Dite se non è anticipatorio parlare di “immi-grazione” negli anni ‘70! Si dirà che in quel-la lunga stagione la vicinanza e in certimomenti quasi contiguità alla DC favorival’associazione.Può essere vero, anzi è vero, ma si farebbetorto alle centinaia di colleghi che hannooperato con grande rispetto della professio-ne e dei valori considerare possibili quelleiniziative solo perché sostenute dal “pote-re”. E poi se facciamo confronti con l’oggi,quella era una stagione con più meriti diquanto si pensasse.L’UCSI può e deve essere di nuovo punto diriferimento e di mobilitazione sui granditemi. Avviare dibattiti, rilanciare il rapportocon le altre associazione ecclesiali, estenderela sua presenza nel mondo della comunica-

DESKSpeciale Congresso UCSI

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zione delle diocesi.Sul versante esterno continuare e approfon-dire il rapporto con gli organismi di catego-ria. Per far tutto ciò bisogna, dal punto divita dell’organizzazione, lavorare su duelivelli: allargare e irrobustire l’azione delleUCSI regionali, favorendo tutte quelleforme di “leggerezza” organizzativa checonsentano varie forme di aggregazione econcentrare il lavoro del “nazionale” su pro-getti, campagne di informazione, aree diinteressi. Con il tema del XVI Congresso siè cercato di anticipare in parte quelle chedovrebbero essere le linee di azione per ilfuturo.Il Congresso le elaborerà, arricchirà e le ren-derà operative, anche correggendo alcuneparti dello Statuto. Se abbiamo scelto distare nell’UCSI qualche ragione ci sarà. Daquesto XVI Congresso ne potrebbero uscir-ne delle altre. Perché no?

Angelo Sferrazza

La notizia l’ha data lo stessoPresidente della Repubblica CarloAzeglio Ciampi in occasione della

consegna del Premio Saint Vincent, il 9 giu-gno scorso al Quirinale. “Voi sapete conquanta attenzione e partecipazione io seguai problemi dell’informazione - ha detto -non a caso il mio unico messaggio alParlamento, inviato nel luglio del 2002, fudedicato al pluralismo dell’informazione,alla libertà dell’informazione, alla importan-za dell’informazione sia attraverso i mezzi

radiotelevisivi, che attraverso la carta stam-pata. E quel messaggio rimarrà l’unico, veromessaggio del mio settennato”.Fa riflettere la circostanza che il Capo delloStato attribuisca una tale rilevanza ai temidell’informazione. Ma i giornalisti, ai qualiquei temi stanno particolarmente a cuore,non possono non ricordare i troppi scrannivuoti nell’aula di Montecitorio nel giornodella lettura del messaggio. Metafora di undeficit di interesse della classe politica nelsuo complesso.Un impegno politico a corrente alternata,che si è infiammato nei giorni del dibattitosulla legge di sistema (la cosiddetta “leggeGasparri”) ma che poi ha perduto slancio,lasciando agli interventi dei singoli l’oneredi tenere vivo il dibattito. E così le grandiquestioni sono rimaste tutte sul tappeto.Dal conflitto di interessi del Presidente delConsiglio, al “digitale terrestre”, previstodalla legge “Gasparri” (la n.112 del3.5.2004), sino ad arrivare alla pretesa deglieditori di applicare alle redazioni, senzaalcuno sforzo di adattamento, gli strumentidi flessibilità selvaggia della legge delega alGoverno in materia di occupazione e mer-cato del lavoro.L’UCSI non è stata a guardare. Un dibattitoserrato su questi temi che tanta parte hannoed avranno nell’evolversi della cultura dellaprofessione giornalistica, va svolgendosiall’interno dell’Unione e viene propostoall’esterno. Di grande impatto è stato il con-fronto tra il ministro Maurizio Gasparri el’allora presidente della Commissione parla-mentare di vigilanza, Claudio Petruccioli,organizzato assieme all’Associazione dellaStampa romana, nel salone di via In Lucina(il 26 giugno 2003), anche perché si svolge-va proprio nei giorni di massima tensionepolitica attorno alla legge di sistema. Ed

DESK Speciale Congresso UCSI

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La professione che verrà

di Francesco Birocchi

interessante e partecipato è stato anche l’in-contro organizzato nella sede del Cnel, aRoma, il 23 maggio scorso, con un titoloparticolarmente centrato: “Cont(R)atto:giovani giornalisti tra speranze e promessenon mantenute”. Tre le domande proposte:“dove andremo a lavorare? Come potremolavorare? Con quali percorsi formativi”.Sono le domande che coloro che si affac-ciano alla professione si pongono, ma chedovrebbero porsi, con grande serietà, anchetutti coloro che la professione la esercitanoe, soprattutto, tutti coloro che hanno acuore il ruolo delle libertà democratiche e ildiritto dei cittadini ad essere informati cor-rettamente.Quelle tre domande intercettano gli scenariproposti dalle grandi questioni enunciateprima: conflitto di interessi; “digitale terre-stre”, mercato del lavoro. Sul conflitto diinteressi (ancora irrisolto) non si è mai arri-vati ad una conclusione nitida. Mentre lealtre due questioni si stanno imponendoalla ribalta senza un approccio sufficiente-mente consapevole da parte della politica.Cominciamo con il “digitale terrestre”. Il31 gennaio prossimo in due regioni,(Sardegna e Val d’Aosta) è previsto lo“switch-off ”, lo spegnimento delle trasmis-sioni con il sistema analogico e l’avvio diquelle con il sistema digitale. Ciò significache per ricevere le trasmissioni occorreràdotare ogni apparecchio televisivo di undecoder. Lo Stato ha stanziato un contribu-to di 90 euro per abbattere il costo di undecoder per ogni abbonamento tv. I consu-matori devono pagare quindi una differen-za che va da 4 sino a 50 euro. E devonoinvece pagare a prezzo pieno gli altri deco-der di cui avranno bisogno, tenuto contoche nelle case gli apparecchi televisivi sono,in genere, più di uno.

Quindi un esborso considerevole per lefamiglie che, in cambio, avranno la possibili-tà di accedere ad un enorme numero di cana-li digitali (almeno quattro o cinque per ognivecchio canale analogico) e in più, se colle-gheranno il decoder alla linea telefonica,potranno usufruire dell’interattività: la possi-bilità di porre domande e ottenere risposte.Il sistema consentirà, in futuro, di dialogarecon le pubbliche amministrazioni (t-govern-ment) e di svolgere, attraverso l’apparecchiotelevisivo una serie di operazioni oggi possi-bili solo via computer. Tutto questo in unfuturo non si sa quanto ravvicinato.Per ora si è parlato di tecnologia digitale, si èparlato di affari per gli editori televisivi, manessuno ha ancora approfondito seriamente iltema dei contenuti. Nessuno è ancora in gradodi dire se il moltiplicarsi dei canali coincideràcon un aumento della qualità dei programmiprodotti. Silenzio assoluto sul ruolo che l’in-formazione potrebbe essere chiamata a gioca-re. Tanto da far nascere il sospetto che per l’in-formazione non sia proprio previsto alcunruolo, o comunque possa essere ritagliato unruolo del tutto marginale.E tutto questo avviene in un momento incui si vorrebbero mettere in discussione leregole di garanzia contrattuale con le qualidal dopoguerra ad oggi i giornalisti hannodifeso nelle aziende editoriali il libero e cor-retto esercizio della professione.E’ da un anno ormai che tra Federazionenazionale della stampa e editori è in atto undurissimo braccio di ferro. La vertenza nonè salariale in senso stretto (anche se, natu-ralmente, contiene una richiesta economi-ca) e neppure si svolge in un ambito esclu-sivo di aggiornamento delle norme contrat-tuali. E’ una vertenza semmai concentratasulla difesa dei principi fondanti della stes-sa professione giornalistica.

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Quello che è in gioco è la possibilità di eser-citare la professione secondo i principi sta-biliti dalla legge istitutiva dell’Ordine in unquadro di tutela dell’autonomia e della pro-fessionalità, così come, negli anni, è statacostruita attraverso gli strumenti legislativie contrattuali conquistati dai giornalisti ita-liani, talvolta al prezzo di sacrifici e lottedurissime.Agli editori non interessa neppure, infondo, parlare di contratto. Loro si limitanoa voler applicare alcune leggi dello Stato: lalegge delega n.30 del 5 febbraio 2003 inmateria di occupazione e di mercato dellavoro (la cosiddetta “Biagi-Maroni”) con ilDecreto legislativo 276 del 10 settembre2003, primo passo verso la piena attuazionedella legge delega e il Decreto legislativon.368 del 6 settembre 2001 (che all’art.1dice semplicemente: è consentita l’apposi-zione di un termine alla durata del contrat-to di lavoro subordinato a fronte di ragionidi carattere tecnico, produttivo, organizzati-vo o sostitutivo). Cioè quando il datore dilavoro lo decide.Della Legge 30 gli editori vorrebbero applicare:- il contratto di somministrazione di lavoro:un’impresa, chiamata utilizzatrice, puòrivolgersi ad un’altra impresa, chiamata disomministrazione, per ottenere una certafornitura di manodopera, a tempo determi-nato o indeterminato. Il lavoratore svolge lasua attività per l’utilizzatore, sotto la suadirezione e controllo, ma intrattiene un rap-porto di lavoro solo nei confronti del som-ministratore, al quale rimane l’esercizio delpotere disciplinare;- il lavoro intermittente, con le tre fattispe-cie indicate dalla legge: la possibilità di lavo-rare solo nei fine settimana; durante le ferieestive o durante le ferie natalizie e pasquali.“Per i periodi nei quali il giornalista garanti-

sce la disponibilità all’azienda in attesa diutilizzazione - dicono gli editori - gli verràcorrisposta un’indennità mensile pari al20% del minimo tabellare di categoria;- il lavoro ripartito. Una sola prestazione dilavoro può essere fatta da due lavoratoriche si organizzano fra di loro per svolgerela prestazione. Il datore di lavoro li assumetutti e due ma al costo di una sola persona;- i contratti di inserimento per inserire (oreinserire) nel mercato del lavoro alcunecategorie di persone, attraverso un progettoindividuale di adattamento delle competen-ze professionali del singolo a un determina-to contesto lavorativo (sostituiscono i con-tratti di formazione e lavoro).Sono norme di legge per la cui applicazio-ne la legislazione rimanda alla contrattazio-ne collettiva e, in mancanza di accordo,decide il Governo. Ma la Legge 30 ha intro-dotto anche altre due innovazioni cheriguardano:- l’appalto: un contratto con il quale un sog-getto (committente) incarica un imprendi-tore (appaltatore) di compiere un’opera oun servizio a fronte di un corrispettivo indenaro. Un editore cioè può dare in appal-to una parte del suo giornale senza tenere inalcun conto le regole del contratto sui serv-ices;- il distacco: quando un datore di lavoro, perproprie esigenze produttive, pone tempora-neamente uno o più lavoratori suoi dipenden-ti a disposizione di un altro soggetto per l’ese-cuzione di una determinata attività lavorativa.Appalto e distacco sono entrati a far parte dellemodifiche del Codice civile e quindi - diconogli editori - non rientrano nella contrattazionee sono immediatamente applicabili.Il sindacato dei giornalisti non vive tra lenuvole. Sa benissimo che la legge 30 è unalegge dello Stato con la quale occorre misu-

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rarsi e pertanto ha elaborato una serie diproposte per adattarla alla particolarissimafattispecie del lavoro giornalistico. Come?Proponendo dei vincoli:- l’applicazione del Decreto legislativon.368 sulle assunzioni a termine e sottopo-sto al parere preventivo del CDR e comun-que quando un giornalista ha rinnovato conla stessa azienda contratto a TD per almenotre anni può chiederne la trasformazione incontratti a tempo indeterminato;- la flessibilità già prevista dell’art 3 delCNLG blocca l’applicazione dei contratti diinserimento, di lavoro ripartito o di lavorointermittente;- i giornalisti con contratto di somministra-zione lavoro hanno diritto al trattamentoeconomico del CNLG e alla contrattazioneintegrativa dell’azienda nella quale sono uti-lizzati;- i contratti d’appalto devono rispettare lenorme del CNLG sui services;- il distacco del giornalista non può avveni-re senza il suo consenso.

Nella piattaforma della FNSI sono conte-nute altre proposte e fra queste: l’amplia-mento delle prerogative dei CDR e lariscrittura del protocollo del lavoro autono-mo con l’equiparazione dei co.co.co. agliart.2, con relativi minimi di stipendio; untariffario per le prestazioni autonome; lacopertura delle spese legali per la responsa-bilità civile, ecc.A tutte queste proposte gli editori hannorisposto con un unico “no”. E si è andatiallo scontro.Per il sindacato, introducendo senza alcunadattamento significativo le norme dellalegge 30 e del D.lgv 368 gli editori intendo-no destrutturate le redazioni, normalizzan-do qualunque rivendicazione di autonomia

e negando alcuno sbocco al precariato. Glieditori, inoltre, non vogliono saperne dinormare il lavoro autonomo, lasciandolo inbalia dei direttori e degli amministratori deigiornali.Sono posizioni che mortificano gli sforzidei giornalisti di ridare contenuto alla cosid-detta “centralità delle redazioni”, intesecome luogo di confronto professionale e dielaborazione di idee e contenuti. I prossimimesi saranno dunque decisivi per disegnareil quadro normativo all’interno del qualedovrà svolgersi la professione.Anche alla luce di una possibile riforma del-l’accesso che, ad un percorso di tipo percosì dire “artigianale, fondato sul pratican-tato vissuto nelle redazioni (l’artigiano cheva a bottega e impara l’arte), si appresta adaffidarsi ad un approccio universitario: lau-rea triennale (scienza della comunicazione oaltro) e master sostitutivo del praticantato(o laurea specialistica).Appare chiaro, a questo punto, che sonodestinati inevitabilmente ad assumere sem-pre maggiore rilevanza i temi che l’UCSI(rifacendosi ad una specifica vocazionedelineata fin dalla sua fondazione) ha pro-posto negli ultimi dieci anni alla riflessionedella categoria e al vasto mondo dellacomunicazione. A partire dall’etica profes-sionale, con la proposta, finora caduta nelvuoto, di dare vita ad un “Comitato nazio-nale di mediaetica” che vigili sulle possibilimanipolazioni dell’informazione. Per arri-vare all’approfondimento della nuova fron-tiera dei “media education”, indispensabilestrumento di approccio ai nuovi scenari diaccesso alla professione giornalistica e diformazione della figura del comunicatorein generale.Così come, in questa luce, appaiono prezio-se le iniziative, sviluppatesi sempre in ambi-

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to UCSI, di rileggere la professione attra-verso il racconto delle esperienze di profes-sionisti affermati.Papa Benedetto XVI, pochi giorni dopo lasua elezione, ha voluto incontrare i giorna-listi, dimostrando così di voler proseguiresulla strada dell’attenzione già percorsa dalsuo predecessore Giovanni Paolo II. E haricordato le sue parole: “La nostra è un’e-poca di comunicazione globale - scrissePapa Wojtyla - dove tanti momenti dell’esi-stenza umana si snodano attraverso proces-si mediatici, o perlomeno con essi devonoconfrontarsi”“Perché gli strumenti di comunicazionesociale possano rendere un positivo servi-zio al bene comune - ha detto BenedettoXVI - occorre l’apporto responsabile ditutti e di ciascuno. E’ necessaria una sempremigliore comprensione delle prospettive e

delle responsabilità che il loro sviluppocomporta in ordine ai riflessi che di fatto siverificano sulla coscienza e sulla mentalitàdegli individui come sulla formazione dellapubblica opinione. Non si può poi nonporre in evidenza il bisogno di chiari riferi-menti alla responsabilità etica di chi lavorain tale settore, specialmente per quantoriguarda la sincera ricerca della verità e lasalvaguardia della centralità e della dignitàdella persona. Solo a queste condizioni imedia possono rispondere al disegno diDio che li ha posti a nostra disposizione.Come sempre le parole del Papa obbliganochi le ascolta ad una riflessione profonda. Ealla consapevolezza delle proprie scelte,anche quelle professionali.

Francesco Birocchi

Unione Cattolica Stampa Italiana XVI Congresso Nazionale Roma 2, 3 e 4 dicembre Capitalia - Palazzo De Carolis - Via Lata, 3

GIORNALISMO E COMUNICAZIONE UNA DOMANDA DI SENSO E DI VERITÀ

I FORUM E I CONFRONTI

Venerdì 2 Ore 18.00 Tra etica e mercato Dove va il sistema delle comunicazioni in ItaliaConfronto Paolo GENTILONI, Presidente Commissione di Vigilanza RAI, Mario LANDOLFI, Ministro per leComunicazioni Interventi Gianluca COMIN, Direttore della comunicazione ENEL, Mario ROSSO,Amministratore Delegato ANSA, Enzo SAVARESE, Commissario Authority per le Comunicazioni

Sabato 3 Ore 16,30 Forum Dove e come preparare i giornalisti italiani Angelo AGOSTINI, IULM,Milano, Fabrizio CAROTTI, Direttore Generale FIEG, Lucio D’ALESSANDRO, Università Sr Orsola Napoli,Mario MORCELLINI, Università La Sapienza, Roma, Vittorio ROIDI, Segretario Ordine Nazionale dei Giornalisti,Coordina: Paolo SCANDALETTI, Direttore DESK

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Ricerca e formazione in Europa:la nuova frontiera del Bologna Process

di Giorgio Dominese

Lungo il Ring di Vienna, tre anni fa,rallentati da gelide folate di vento edalla prima neve che annunciava l’in-

verno ormai giunto dall’Est, migliaia didocenti e studenti manifestavano in un cor-teo aperto simbolicamente da una decina diasinelli, quale emblematico richiamo aldeclino universitario, la riforma tanto attesa.In molte altre città europee le immaginisembravano sovrapporsi e coincidono tut-tora nelle motivazioni: l’Europa dell’euro,del mercato e dell’allargamento, nel proget-tare le tappe successive non può lasciare insecondo piano il fattore di sviluppo e dipotere internazionale diventato strategicoper definizione, il capitale umano.Joseph Schumpeter, che negli anni Venti dalsuo Istituto di Ricerche Economiche dif-fondeva il pensiero della scuola viennese,dove innovazione, capitalismo e democraziaassumevano il ruolo prometeico nel futurosviluppo mondiale, avrebbe certamentecondiviso la protesta propositiva ed anche ildisegno che l’Europa - attraverso laDichiarazione di Bologna firmata nel 1999inizialmente dai 15 dell’Unione e ormaiadottata da 45 paesi -, ambisca a ripristinareun primato intellettuale, scientifico e cultu-rale che resta la vera sfida del tempo futuro.Nelle sua visione delle elite vera espressionedella rappresentanza democratica, anche icittadini docenti e studenti, pur manifestan-ti nelle vie della capitale, assumevano il

carattere di rappresentanza di interessi cru-ciali, vitali per un sistema di valori appenaagli albori più di sessanta anni fa. Unadigressione per rendere meno esoterica lariflessione sull’onda lunga delle riformedella formazione e della ricerca che si èabbattuta sull’intero sistema universitarioeuropeo, in presenza di generalizzate restri-zioni di bilancio e di risorse aggiuntive dis-ponibili.Vale la pena di indicare, uno per uno, i paesiaggregati in appena cinque anni dal“Bologna Process” (così si chiama nella lin-gua franca di oggi la Dichiarazione diBologna), per comprenderne il caratterealtamente competitivo e condizionante nelfuturo Spazio Europeo dell’IstruzioneSuperiore, che dal 2010 si imporrà qualestandard internazionale comparativo ed ine-ludibile per tutti i sistemi di alta formazionenel mondo: Albania, Andorra, Armenia,Austria, Azerbaijan, Belgio, Bosnia eHerzegovina, Bulgaria, Città del Vaticano,Croazia, Cipro, Danimarca, Estonia,Finlandia, Francia, Georgia, Germania,Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Lettonia,Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo,Malta, Moldavia, Norvegia, Olanda,Polonia, Portogallo, Regno Unito,Repubblica Ceca, Macedonia,RepubblicaSlovacca, Romania, Russia, Serbia eMontenegro, Slovenia, Spagna, Svezia,Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria, men-

tre si annunciano nuove adesioni, anche informe intermedie, dall’Asia e dalleAmeriche. Balzerà subito evidente comesiano in prima fila, con fervore ed impegnodavvero ammirevoli, i nuovi paesi dell’allar-gamento UE. Tutti riservano a questo capi-tolo fondamentale della loro integrazione,dove abbondano potenziali risorse umane evi è da ricostruire il sistema formativo,coraggiose riforme istituzionali e fermavolontà politica. Ma anche a Mosca e Kievè già stata fatta la scelta di introdurre i pro-tocolli dell’ordinamento europeo, gettandoil cuore oltre l’ostacolo dell’ancora precariatransizione economica e politica.Alla base del successo del Bologna Processvi è la consapevolezza che sulla conoscenza,il sapere, la ricerca, l’innovazione, la terzagenerazione tecnologica che l’accompagna, isaperi ritrovati quali geografia, storia, biosi-stema, ambiente, clima, in altri termini suifattori cruciali del governo della “complessi-tà”, come scrive Edgar Morin, è in corso,senza il clamore delle cronache ma nellasostanza delle cose, la più imponente opera-zione di “riarmo” europeo alla quale si siamai assistito nell’ultimo secolo. A chi chiedequante divisioni ha l’Europa da poter schie-rare sulla scena mondiale la risposta viene,in primo luogo, dai laboratori del sapere,dalle università e dai centri di eccellenzapubblici e delle industrie avanzate: è incorso di approntamento un arsenale strate-gico che ha il potere, tra l’altro, di renderemeno temibile se non addirittura collaterale,l’efficacia della deterrenza militare che alcu-ni paesi detengono in questa fase storica.I pilastri del sistema che prende il nomedalla Alma Mater Studiorum di Bologna,dove l’allora Rettore Fabio Roversi Monacone fu animatore ed audace propugnatore, sifondano sulla trasparenza e leggibilità dei

titoli accademici; sulla concreta accessibilitàagli sbocchi professionali dei giovani laurea-ti; sull’attrattività mondiale del sistema uni-versitario europeo e con esso della massacritica di internazionalità all’interno delsistema formativo e della ricerca; sull’inve-stimento massiccio nella conoscenza cheaccompagna ormai i tradizionali fattori capi-tale e lavoro nella triade indispensabile per lacrescita economica, sociale e per la sicurez-za dell’Europa e del mondo.La strutture dei due cicli di studi universita-ri; la forte accentuazione del carattere pro-fessionalizzante della laurea specialistica;l’affermazione del dottorato quale ambito dielevata ricerca scientifica individuale, sullabase di una formazione teorica sempre piùsofisticata e in grado di avvalersi di stru-menti d’indagine e di metodologie di analisiquantitativa e qualitativa inimmaginabiliappena venti, trenta anni fa, sta imponendouna ristrutturazione di enorme portataall’intero sistema universitario e degli istitutidi alta formazione dentro e di conseguenzafuori dell’ambito dei 45 paesi firmatari dellaDichiarazione del 1999. E’ infatti ormaidelineato un profilo di alta formazione dovele strutture accademiche - sottoposte spessoa una transizione concettuale e professiona-le comprensibilmente difficile ed individual-mente problematica - vengono progressiva-mente raccolte in due alvei di grande porta-ta, che raccolgano nelle facoltà la domandatumultuosa di innalzamento formativo, daun lato, e amplifichino la capacità ed i risul-tati della ricerca attraverso la diffusionesistematica di strutture dipartimentali, ingrado di agire attraverso reti transnazionali edi raccogliere il valore aggiunto dell’accre-scimento della conoscenza, che le attivitàdidattiche trasferiranno alle generazioni distudenti. Entro pochi anni potremmo

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apprezzare gli aspetti positivi e compiutipiuttosto che quelli transitori, intermedi efatalmente contraddittori del processo sottoi nostri occhi.La teoria del domino, ben nota negli studi direlazioni internazionali ma ancor prima inquelli di finanza, economia, storia, sociolo-gia e geopolitica, produce l’effetto che inuovi standard del Bologna Process, adotta-ti da una così vasta platea di sistemi nazio-nali formativi, diventano un vincolo che glialtri attori non possono più trascurare o evi-tare. Il concetto di “barriera non tariffaria”,di grande attualità per gli analisti dell’inte-grazione europea e delle implicazioni per ilresto del mondo, oltre che motivo principa-le di intricati contenziosi in corso nelle sedimultinazionali e nazionali competenti, puòin qualche modo essere evocato anche perl’esito che nel futuro prossimo avrà l’affer-mazione dello Spazio Europeodell’Istruzione Superiore. Con il sistema diattribuzione e di riconoscimento dei crediti(ECTS), con il Supplemento al diploma, conl’ormai imminente certificazione della ricer-ca affidata all’ENQA (European Networkof Quality Assurance Agency) dovrannoessere affrontate delicate questioni cheriguardano la figura dei docenti, dei ricerca-tori, degli studiosi che, a diverso titolo, sonochiamati ad essere protagonisti della riformapiù dirompente dalla nascita dei sisteminazionali universitari.Per le generazioni più giovani si apre unorizzonte molto diverso dalla carriera acca-demica come finora si poteva immaginare,con il lento procedere di precariato, concor-si, stabilizzazioni, approdo definitivo instrutture organiche. Le figure della docenzae della ricerca si intrecceranno con quelleprofessionali in modo sistematico. La tem-poralità e la pluralità di afferenze, sia nel

sistema pubblico sia in quello privato, con-sentiranno di fertilizzare il sistema universi-tario e quello della ricerca applicata attraver-so uno scambio “alla pari” soprattutto perquanto riguarda la ricerca. Le forme con-trattuali saranno ritagliate con maggiorecura sulle reali esigenze di contiguità e siner-gia tra atenei, centri di eccellenza e settoriprofessionali di alta competenza e cono-scenza, una joint venture tra pubblico e pri-vato che ormai conosciamo con l’acronimoPPI-Public Private Initiative. Non soltantole discipline scientifiche saranno coinvoltein questa metamorfosi ma anche quelleumanistiche che stanno ritrovando un ruolocentrale nel sistema dell’alta formazione edei valori culturali che la sostengono, purnella carenza di risorse loro destinate.La coesistenza dell’attuale sistema organiz-zativo universitario e del futuro ordinamen-to ad elevato profilo internazionale, consistematica certificazione e larga mobilità siasul fronte formativo sia su quello della ricer-ca - nell’ambito di un reclutamento didocenti e ricercatori fondato su criteri spes-so inesplorati, almeno nella tradizione euro-pea, dove resta ancora diffuso il pregiudizioverso ogni politica che possa erodere la sta-bilità e continuità degli assetti esistenti,anche dove si manifestino clamorose caren-ze, anacronismi e deficit qualitativi tali dapregiudicare il disegno che il BolognaProcess ha tracciato e reso ineludibili -avverrà seguendo una transizione decennaleed un progressivo ricambio generazionaleche attutirà le tensioni riformatrici e le com-prensibili, legittime tutele rivendicate da unaparte non marginale e spesso apicale delmondo accademico in molti dei 45 paesi fir-matari. E le risorse da investire non sarannocerto quelle marginali degli spazi angusti dimanovre finanziarie annuali che navigano a

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vista, dove a far le spese sono spesso i fon-damentali programmi a lungo termine Nei paesi terzi, che vedono crescere ilnuovo Spazio della Formazione Superioredell’Europa, l’evento è vissuto con la consa-pevolezza che i nuovi standard provoche-ranno, come effetto collaterale, una stagionedi revisione ed aggiornamento dei sistemiuniversitari più qualificati, a partire da quel-lo statunitense e britannico. La ricerca è unae una soltanto; la conoscenza lo è pure; larapida diffusione e la mobilità di chi è chia-mato a svilupparle e a trasferirle agli studen-ti e ai dottorandi ne è la manifestazione con-temporanea più eclatante. Possono coesiste-re una molteplicità di forme interpretativeed organizzative delle università ma la con-vergenza ed il riconoscimento universale deipercorsi formativi e scientifici, in presenzadi rigorosi sistemi di controllo e valutazione,

appartiene ormai alle conquiste dell’umani-tà. Le opzioni sono molte, il sistema deldoppio standard sta ormai affacciandosinelle grandi università Usa della costaAtlantica e del Far East, come in alcune real-tà dell’America Latina e dell’Asia. E’ unafase nella quale, senza voler farne alcunmotivo di rivincita o di superbia intellettua-le, a tirare la corsa è proprio l’Europa, alungo tributaria dei luoghi di eccellenzafuori dei suoi confini, in una gamma didiscipline e specializzazioni che copronosempre più anche settori scientifici e tecno-logici dove maggiore era il ritardo. In termi-ni politici, ecco una delle aree dove l’Europaha saputo manifestare una capacità ed unruolo internazionali da grande potenza, conuna visione strategica mondiale e non piùcontinentale.

Livello di diffusione della struttura in due cicli - Anno 2004/05

La distanza intellettuale e professionale diquesto orizzonte con i modelli organizzativie le strutture burocratiche tradizionali, cheomologano in larga misura il sistema dell’al-ta formazione universitaria e della ricerca -ancor oggi molto diffusi e motivo non ulti-mo di resistenze ed incomprensioni tra idiversi protagonisti del transito dal prece-dente ordinamento allo Spazio Europeo, inItalia come negli altri paesi -, si andrà sem-pre più manifestando. Le regole di accesso,di permanenza e di valutazione dei docentie dei discenti nel sistema della “HigherEducation” vengono riscritte seguendo unprocesso evolutivo che tende a ridurre letensioni e le rotture radicali ma non può sot-trarsi all’adeguamento sugli standard diven-tati intanto un riferimento internazionale diapprodo per un numero crescente dei prin-cipali protagonisti della vita universitaria.Non è soltanto una questione semantica nétanto meno opportunisticamente corporati-va. Per il sistema della conoscenza, della

ricerca e della formazione nell’epoca cheforma il liquido biologico del nostro con-temporaneo sistema-mondo, l’accoppia-mento delle esigenze strutturali con quelledi competenza e professionalità troverannonuove forme organizzative e pluralistiche,con l’accentuazione di competizione, con-trollo e certificazione non più addomestica-ti su base nazionale o per esigenze di carat-tere meramente strutturale, funzionale ocorporativo. La dimensione competitiva sot-trae autonomia e potere ai sistemi tradizio-nali ma aggiunge quei fattori indispensabiliche sostanziano il carattere strategico e irre-versibile del processo in atto. Il prestigio, lostatus e la qualificazione del docente neusciranno rafforzati insieme alla preparazio-ne, competenza e professionalità dello stu-dente, del dottorando, del futuro ricercato-re. Questa ultima figura, al di là delle dis-quisizioni lessicali, resta la risorsa critica del-l’intero, coraggioso disegno europeo. Senzaquesta massa critica di capitale umano non

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avrebbe senso l’intera strategia avviatapochi anni fa, proprio sulla soglia di finesecolo scorso. Ed in senso più generale,dove non verrà ripristinato il valore intellet-tuale, l’apprezzamento civile e la gratifica-zione sociale verso la professione deidocenti, dei “maestri”, dei protagonisti deltrasferimento sistematico della conoscenzaassisteremo ad un regresso, ad un declino,alla perdita di competitività dei paesi colpitidalla sindrome della superficialità e dell’ar-retratezza.

Modalità di partecipazione degli studenti nellavalutazione interna obbligatoria - anno 2004/05

L’Europa si misurerà così con i fenomeni mon-diali in modo sempre meno convenzionale epiù aderente al carattere assolutamente ineditodel suo essere Unione senza federazione, mol-teplice senza diventare la prosecuzione dellasovranità nazionale su scala multinazionale. LaPolitica di Vicinato (European NeighbourhoodPolicy Initiative) verso il Nord Africa, il VicinoOriente, l’Eurasia, il Mar Nero e il Caucaso, lerelazioni speciali con la Russia, sulla base mar-morea dell’inalienabile solidarietà e alleanzaTransatlantica, allontana forse il futuro europeoda alcune delle intuizioni dei padri fondatori edetermina esigenze internazionali di riscritturaanche formale della “governance “ sulla quale siè fondato l’ordine internazionale dal 1945 adoggi. In parte è già avvenuto, con l’inizio appe-na avviato della transizione provocata daglieventi del 1989, con l’assurgere a rilevanzastraordinaria di paesi europei, asiatici, americaniche erano prima marginali o soltanto militar-mente e politicamente sconfitti, con la riconci-liazione nei Balcani. La codificazione avverràquando le condizioni politiche e le ragioni del-l’ordine internazionale suggeriranno di prende-re atto dell’avvenuto cambiamento. Ma a deter-minare in gran parte i tempi ed i modi dell’ap-prodo sull’altra riva della transizione iniziatasaranno i fattori determinanti della conoscenza,dell’innovazione, della cultura, della ricercaapplicativa e delle forme di governo che rende-ranno indispensabili la cornice di regole, dirittiumani inalienabili, cittadinanza, forme organiz-zative delle istituzioni multinazionali e statuali,nella diffusione sostanziale della molteplicitàdemocratica di un mondo che non perde laproprio individualità a causa della globalizzazio-ne ma acquisisce invece con essa maggiorepotere ed autonomia. Ecco la complessità cheall’inizio ho indicato quale condizione storicadel presente e del futuro prossimo, dove lametodologia precede il programma di azione

senza per questo divenire pura astrazione. E’una sfida che mai prima si è presentataall’Europa e al mondo con una simile asprezzae perentorietà. La formazione superiore e laricerca, che hanno nell’università e nei centri dieccellenza i loro incubatori permanenti, devonopoter creare un flusso massiccio, permanente,transnazionale di competenze e conoscenza peril progetto appena tratteggiato.Does communication matter? Ovvero, lacomunicazione c’entra in qualche modo?Domanda retorica e che tuttavia resta inevasada troppa supposta consapevolezza sull’ovvietàdella risposta. L’intera architettura della forma-zione e della conoscenza si è sempre retta susistemi che, nelle diverse epoche, garantivano ladiffusione e divulgazione dei risultati della ricer-ca, dell’opera umanistica e artistica, della sco-perta scientifica, modificando costumi, convin-zioni, attitudini e perfino valori esistenziali. Lastessa propaganda ne è una variabile di accom-pagnamento e non quindi una patologia saltua-ria, ciclica o erratica. E’ piuttosto una formaopportunistica e strumentale della comunica-zione sul sistema di governo dei paesi e delmondo. Ma anche la comunicazione è soggettaalla stessa durezza del cambiamento in atto enon può sottrarsi al confronto, in quanto è lostrumento di divulgazione e trasferimento siadella metodologia sia dei contenuti teorici, siadello sviluppo e del cambiamento sia delle loroimplicazioni e contraddizioni, grandi o piccolenon conta. La Dichiarazione di Bologna diven-ta, soltanto oggi, opinione pubblica e primaancora comunicazione, nel momento in cuitocca nel vivo il sistema della formazione equindi raggiunge la valenza di fattore non piùcontrastabile di impatto sociale ed economico.Prima era soltanto una samizdat per militanti edissidenti della nuova Europa.

Giorgio Dominese

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di Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice

TIERI - Se devo chiamare il teatro “unlinguaggio”, e linguaggio è senza dub-bio, ed evoluto, preferisco dargli il

nome con cui nacque nella Grecia antica,quando il primo attore si staccò da Corosacro e iniziò ad “esibirsi” da solo. Lo defini-rò, allora, il teatro, il più specifico, ricco ecomposito linguaggio che esista. Specificoperché, per essere trasmesso, ha bisognodella Parola, quasi sempre organizzata inLingua. Ricco, perché la Parola non gli basta:la Parola teatrale ha necessità della bocca chela pronuncia, del corpo cui quella boccaappartiene, dei suoi movimenti e del pensie-ro che li guida. Composito perché ammette,anzi, invita, le altre forme espressive, dallamusica alla danza, all’arte figurativa, a coope-rare per costruirlo. E quel Lo pronominaleimmaginatelo pure con la lettera maiuscola,perché legato ad un’essenza fondamentale, aun bisogno, a mio avviso, primariodell’Uomo. Qualcosa che non può esistere senon in presenza di due elementi vivi e dialo-ganti, due esseri umani, appunto, l’uno difronte all’altro, l’uno per l’altro: l?Attore e loSpettatore.

LOJODICE - E qui cominciamo a sancire ilprimato, il leaderismo, se così si può dire, dellinguaggio teatrale: la compresenzaattori/pubblico, appunto, senza la quale ilTeatro non esiste, non è tale. Perché il Teatroè leader? Nel dibattito fin troppo avanzatosul Villaggio Globale, oggi dominante, nel

gioco comunicativo, a volte aberrante, cheoppone cinema a televisione, computer aInternet, rimane uguale a se stesso. Il Teatroè se stesso, all’inizio del Terzo Millenniocome ai tempi di Eschilo, Shakespeare,Machiavelli, Goldoni, Pirandello …Uno opiù attori lassù, dentro lo spazio magico cheli isola, nomina e identifica, portatori, alle ori-gini, della parola di un dio, in seguito dellapoetica di un uomo, il drammaturgo; uno opiù spettatori “ dall’altra parte” (di fronte,attorno, di lato o accanto, non ha importan-za), terminali di un messaggio di Parola (manon solo) che potranno rielaborare e usare.Mai disperdere.

TIERI - Inutile riaffermare più di tanto chele radici sacre del teatro e la sacralità del com-pito dell’attore rimangono pietre miliari dellinguaggio di cui parliamo. Attraverso iltempo, tali radici si sono forse, anzi, certa-mente, adattate e camuffate, sono state calatein società diverse, con valori culturali, econo-mici e sociali in continua mutazione, o addi-rittura sovvertiti e antitetici rispetto al princi-pio. Qualcosa, o meglio, qualcuno è peròrimasto intatto. Provate a pensare all’Attore.Al suo dovere-prerogativa di essere uno etanti, di “rappresentare”, di stare al “postodi”. Questo essere, e questa sua capacità, avolte inebriante, a volte dolorosa, di calarsi inAltro da Sé, di diventare una volta santo, l’al-tro assassino, una volta marito, l’altra amante,resistono al tempo e alle degenerazioni, riaf-

Il linguaggio del teatro: il più specifico,ricco e composito che esista

fermano qualcosa di prodigioso, il “diaboli-co” che turba, l’inafferrabile, il Teatro comefenomeno strettamente legato alla personaumana. Come non vedere il Cristo el’Anticristo, in forma più o meno chiara etemibile, in chi non è mai solo se stesso?

LOJODICE - Ma all’Attore, soprattuttoall’Attrice, la patente della molteplicità costòpiù di un marchio. Donne “pericolose”, leattrici, a volte sirene conturbanti e discinte,cui i colleghi maschi allacciavano i calzari die-tro il sipario; altre volte megere, gorgonie,erinni, vecchie di cent’anni sul palcoscenico,in realtà giovinette dei bell’aspetto. Oppure ilcontrario: femmine fascinose trasformate daltrucco che riprendevano gli anni più tardi,dopo gli applausi e i sogni, in camerino …Unbel giorno, però, nel secondo Cinquecento,Nicolò Barbieri, titolare di Compagnia, capo-comico timorato di Dio, scrisse una supplicaalle Autorità con la quale chiedeva per i suoiattori il riconoscimento di una dignità sicura,la doverosa ammissione al benvolere colletti-vo. È gente timorata di Dio, disse sostanzial-mente messer Nicolò, che paga le prebendeai Governi nei luoghi in cui recita e fa offer-te alla Chiesa. Gente che prega e soffre, gioi-sce e ha una propria vita come tutti. Gente inmolti casi onesta, in altri, addirittura intransi-gente. E non tutte le attrici sono solo disini-bite signore. La quotidianità laboriosa e puli-ta che trascorre nelle case dei borghi, dellacittà, delle campagne, la si può ritrovare, paripari, nei carrozzoni degli attori. Che rivendi-cano il diritto, per prima cosa, di essere sepol-ti in terra consacrata.

TIERI - Il linguaggio del teatro anche questocontiene: la lotta dell’attore per uno status“normale”, la fatica di essere passato da tra-mite degli dei a sospetto intrattenitore, dasacerdote laico a buffone licenzioso. Mentre

gli in gradienti del “messaggio”, il lavorodella scena rimanevano (e rimangono) glistessi: parola e azione, costruzione di un dis-corso che è simulazione della vota, costruzio-ne artistica “più vera del Vero”. Perché lapaura minesis, cioè l’imitazione del Vero insenso aristotelico, al teatro, in fondo, non maibastata.

LOJODICE - Qualcosa di più vero del Vero.Pirandello ne fece il proprio tormento, par-torendo situazioni e personaggi che su questa“verità”, non solo doppia, ma molteplice, sifondano. La Verità della scena, dicevano: èsenz’altro il tramite obbligatorio perché siinstauri, fra attore spettatore, la famosacomunicazione. E il palcoscenico, intesocome spazio particolare, designato, ritualizza-to, riconosciuto, ospita l’evento. Ma non nelcaos, bensì con regole, con elementi costitu-tivi e inalienabili di un discorso che solo èsuo.

TIERI - Ci aiuta, qui, la spiegazione di unregista molto tecnico, che va per la maggioree piace ai giovani, Bob Wilson. Il quale, persvelarsi e svelare i segreti della grammaticateatrale non dipendenti solo dal testo e dal-l’attore, si mette idealmente di fronte aglispettacoli di Giorgio Strehler: “La luce - dice- come un attore, l’attore in più, senza unnome proprio. Noi comunichiamo normal-mente gli uni con gli altri soprattutto median-te i sensi della vista e dell’udito: vale a dire ciòche udiamo e ciò che vediamo. La luce è ciòche, a teatro, ci aiuta a vedere e a udire.Spesso quel che vediamo sulla scena è solodecorazione per ciò che udiamo. Così nondeve essere. Il linguaggio teatrale più comu-nicativo sa che ciò che vediamo è altrettantoimportante di ciò che udiamo. L’immagine,cioè, è importantissima. E la luce - se benpensata e usata come la usava Strehler - com-

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pie questo miracolo di equivalenza: crea lospazio, rende potente l’immagine al pari dellaparola, definisce lo spazio e, dunque, iltempo, due grandezze coesistenti. Ne derivauna tensione, un incrocio che costituisce l’ar-chitettura di tutto: così si sta in piedi sullascena, così si suona Mozart al pianoforte,così si canta, così si recita …”.

LOJODICE - Abbiamo citato Strehler, unmaestro. Proprio lui, nel corso di una lungaintervista sul linguaggio teatrale, lui allievoconvinto di Copeau, lui che teneva molto adistinguere fra ragione ed emozione e pre-tendeva che l’attore, per recitare, le usasseambedue, è testimonianza di come l’intera-zione fra Parola, Immagine, verità del testo everità dell’attore, nel cerchio trasfigurantedella luce, costituisca la grammatica di cuiparlavano prima. Aroldo perfeziona sempreil discorso sottolineando l’apporto personaledell’interprete, il lavorio dell’”attore solo”,garante, come e a volte più del regista, dellasintassi. L’attore che va cercando il testo darappresentare, il testo giusto, che in un deter-minato momento gli corrisponde, è così per-fettamente rispecchia, sia pure trasfigurando-le, certe sue interiorità, da risultare, se da luiinterpretato, non solo esteticamente, maanche socialmente utile. L’attore che in qual-che caso esegue, soffrendo, le scelte altrui.

TIERI - Si, il tema-problema delle scelte del-l’attore me lo sono sempre posto.Probabilmente perché, in un secolo domina-to da teatro regia, l’attore che sceglie bene,che sa scegliere, diventa in un certo sensoregista di se stesso, e compie quell’azione dicoordinamento grammaticale e sintattico allaquale dobbiamo l’unitarietà del linguaggioteatrale.. Quando sono di fronte al panoramadella drammaturgia universale, compio,innanzitutto, una ricognizione interiore.

Cerco d’individuare dentro di me quali sianoi dibattiti, le tensioni del momento, gli afflati,le intenzioni. Faccio poi corrispondere a que-sti sentimenti un testo che li sappia esprime-re nella maniera migliore, nel modo più evi-dente. Non direi esplicito, bensì, ripeto, evi-dente. Questa forma di corresponsione fraspirito di un testo e interiorità dell’attore, siavvicina, in qualche modo, alla ricerca com-piuta da un grande regista russo, KostantinStanislavskij, sui modi nei quali un attore,pescando dentro di sé per trovare stati d’ani-mo analoghi a quelli del suo personaggio,può arrivare alla migliore interpretazionepossibile. Si tratta di una forma di analogiaemotiva-sentimentale apparentemente com-plicata, macchinosa, in realtà, direi, “natura-le”, un processo razionale e istintivo insiemeche porta alla cosiddetta immedesimazione.

LOJODICE - Arriviamo così a un’ulteriorefaccia del linguaggio teatrale: la preparazionedell’attore. Essa può avvenire in molti modi.L’importante è che esista. L’attore spontaneorisiede in tutti noi,. In tutti noi è più o menolatente l’istrione, pronto ad uscire allo sco-perto per enfatizzare (o traslare), situazionispecuiali del corpo e dello spirito. Il rito tea-trale codificato, però, non ha bisogno di fuo-chi spontanei, di talento allo stato brado eviceversa. Disciplina della memoria, dell’into-nazione, della collocazione spaziale sullascena (detta, in semiologia, “prossemica”),della comunicativa con il pubblico. Senzapreparazione, senza scuola, il messaggio tea-trale che l’attore invia in platea sarebbe privodi carisma, avrebbe, di volta in volta, le carat-teristiche del comizio, dell’interpretazionesentimentale, della sbrasata comica e viadicendo. Al contrario, persino la cosiddettaimprovvisazione è frutto di disciplina. Il tea-tro come linguaggio, cioè, è artificio a trecen-tosessanta gradi, artificio sublime, organizza-

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to, cui gli artisti danno caratteristiche di vitavera.

TIERI - Non crediate, con questo, che il lin-guaggio teatrale, così “costruito”, così densoe scientifico sul piano dell’architettura espres-siva, sia poi complicato sulla scena. Nulla èpiù semplice ed evidente del teatro ben fatto.Pensate a Shakespeare, alle sue sintesi geniali,cui bastano davvero un bravo attore, la luce eil pubblico per rendere viva e vera la situazio-ne. “Siamo fatti della stessa materia di cuisono fatti i sogni” dice il mago Prospero, e lasua isola incantante, le magie dei numeri edegli elementi, Calibrano e Ariel, la Naturache può farsi tremenda, così come è amicadell’uomo, tutto scaturisce naturalmente dal-l’alchimia fra scenografia verbale e disciplinadell’interprete.

LOJODICE - Il linguaggio teatrale, alla fine,è davvero quello di cui parla Aroldo: eviden-za. Ottenuta a prezzo di preordinazioni“alte”, ma potente, precisa, specifica. Simaterializza nel momento in cui i due famo-si esseri umani, l’attore e lo spettatore, sifronteggiano per “parlarsi”. Si può fare gran-de teatro con Shakespeare, certo. Ma l’”evi-denza” di cui parliamo scaturisce anche dauna Parola meno assoluta: bastano vocazionescenica, affidabilità e scuola (lo dicevanopoc’anzi). E l’artificio può essere meraviglio-so, il più “naturale” del mondo. Ricordiamocidi Cotrone, nei Giaganti della Montagna diPirandello. Ilse gli chiede: “Lei inventa la veri-tà?”. E lui: “Non ho mai fatto altro in vitamia! Senza volerlo, Contessa. Tutte quelleverità che la coscienza rifiuta. Le faccio venirfuori dal segreto dei sensi, o a seconda, le piùspaventose dalla caverne dell’istinto. Neinventai tanta al paese, che me ne dovettiscappare, perseguitato dagli scandali …”.

TIERI - Abbiamo parlato di linguaggi, digrammatica scenica, di disciplina, tirato inballo la prossemica, citato Stanislavskij per-ché vicino alla poetica del tipo di attore che,io credo, più mi somiglia. Abbiamo ricordatoun grande artigiano della scena come Strehler(perché chi fa la scena è prima artigiano cheartista). Tutto per tracciare la linea di ciò chel’espressione teatrale è, o dovrebbe essere, eperché sia così specifica, unica, non riprodu-cibile (il video di uno spettacolo di teatrocostituisce, sempre e soltanto, una documen-tazione parziale di esso), diversa ad ognireplica. Il linguaggio teatrale, per questo ven-taglio di motivi, occorre allora “parlarlo”,apprendendolo, assorbendolo sera per sera inplatea, oppure in palcoscenico. E tradite purela tv, il cinema, il vostro computer, il telefono,al quale, probabilmente, trascorrerete ore edore …

LOJODICE - “Formato nelle sventure, ioconosco molti modi di purificarsi, e so quan-do conviene parlare e quando tacere. In que-sta causa, un saggio maestro mi ha ordinatodi far sentire la mia voce”. Così Oreste nelleEumenidi di Eschilo, la terza partedell’Orestea. Così Aroldo. Perché vede cor-rotta e svilita questa lingua che abbiamo ten-tato di definire. Perché sono in crisi i rappor-ti fra drammaturgo e regista, fra regista eattore, fra attore e testo. L’attore va in scenae spesso, non sa se l’ABC del famoso lin-guaggio debba venirgli dalla Parola, dalla pro-pria elaborazione della stessa, dal regista o daqualcos’altro. Ritengo che la sua ricerca sia ditipo spirituale, come quella di Peter Brook,che dopo essere passato attraverso tutti i tipidi teatro possibile, dalla tragedia classica almusical, scava oggi nel mistero dell’attoreattraverso i famosi spettacoli “antropologici”,oppure si dà a Beckett, tentando di penetrarei misteri della sua waste land.

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TIERI - Io credo, in realtà, che noi tutti stia-mo vivendo, in teatro, una crisi profonda dellinguaggio. Al tempo stesso, la diagnosi nega-tiva non basta. Dovremmo e vorremmo ritro-vare il bandolo, del linguaggio teatrale, ristabi-lire i rapporti, le scale di valore, le priorità. Siparla tanto di sperimentazione, sperimenta-zione uccisa e sperimentazione risorta. Penso,usando le parole di un grandissimo scenogra-fo, che “in teatro la sperimentazione sia para-gonabile a un intervento su un corpo vivo,dove l’organismo è già perfettamente assesta-to Un esperimento di tecniche nuove scom-bussola le strutture convenzionali, e può pro-vocare situazioni paradossali, in contrasto conla logica dello Spettacolo. Se si cambia un ele-mento fondamentale, si verifica la solita rea-zione a catena: bisogna cambiarne un altro eun altro ancora …”. Ma si arriva corretta-mente al Nuovo. Ecco, io questo mi auspico:che ci sia il cambio, ma in senso restauratorio-rivoluzionario. E scusate l’ossimoro. Mi auspi-co che il Teatro rammenti da dove viene ecome è nato. Che l’attore ricordi, attraverso lapulsione sanguigna, magari, e poi subito conil cervello, che un bel giorno, a Occidentecome a Oriente, si staccò dal Coro e assunsein prima persona il compito di interpretare.Dal sacro al profano, l’abbiamo visto e loripetiamo, il passaggio è stato graduale e maidel tutto dimentico delle origini. Si sono for-mati i codici, la Parola si è organizzata in testi,l’Attore ha dominato il tempo e la scena, con-scio del proprio potere di tramite. Poi, il tea-tro di Regia. Che ha segnato il Novecento,esprimendo giganti della regia, certo, ma illan-guidendo i protagonisti sulla scena e relegan-doli, diciamo così, al ruolo di esecutori. Unparagone con la liturgia ecclesiastica? Il ritodella Santa Messa. Confrontato, con il dovutorispetto, a un evento teatrale. La Messa con-templa uno o più officianti principali e molticon celebranti, cioè tutti coloro che fanno

parte dell’ecclesia, ossia la Chiesa, il popolo diDio. Della stessa equivalenza fra elementicostitutivi - io credo - avrebbe necessità oggi,per rinnovarsi, il linguaggio teatrale.Equivalenza che non significa differenziazio-ne fra ingredienti e ruoli, bensì reciprocità divalenze, “concelebrazione” appunto.Voglio chiudere con una citazione di JacquesCopeau. Durante una lezione agli attori sullinguaggio teatrale, egli tentò di “rivitalizzarli”incitandoli a creare essi stessi, a collaboraredall’interno al fatto scenico. Dice il regista:“Lavoriamo da tre mesi, siamo stanchi. Nonposso, in questo momento, sovraccaricare levostre memorie solo perché non possiamopresentare al pubblico una pièce sufficiente-mente lunga … Ma se voi foste dei veri atto-ri non avreste difficoltà a supplire, a far diver-tire il pubblico quei minuti in più che gli sidevono, con qualche scena presentata a modovostro. Non chiamiamolo inconveniente, ildoversi esprimere in pubblico fuori da ciò chesi è imparato a memoria. Dove sta l’improv-visazione? Dove stanno vecchi attori italia-ni?”. Bravo Copaeu. Dove improvvisazionesignifica un patrimonio linguistico ampio,colto, specifico, usabile sempre, e disinvolta-mente. Saper fare discorso, insomma, con ipunti e le virgole, alternando frasi diverse,significative, giuste per il momento e gli uomi-ni che le attendono. Dove il Teatro, per dirlacon una frase breve breve, sia Teatro, e nonsia costretto a fare a meno di niente. Neanchedel pubblico.

Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice

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Negli USA cambia direttore il mensi-le Time. Dopo 11 anni, dal prossimogennaio, lascia Norman Pearistine. Glisubentra John Huey. (Sergio Borsi)

Quest’anno, nel mese di Giugno,l’Osservatorio Permanente Giovani-Editori ha festeggiato i suoi primi cin-

que anni di attività.Quando abbiamo lanciato il progetto “IlQuotidiano in Classe” nel 2000, ci siamo impe-gnati in una sfida dal valore civile e sociale alto:quella di avvicinare i giovani alla lettura critica deiquotidiani. Da allora abbiamo continuato a lavo-rare in questa direzione, e il senso della nostrascommessa non è cambiato.Oggi più che mai siamo convinti che la letturacritica dei quotidiani rappresenti per i giovaniun’occasione unica per crescere, per sviluppareun’opinione propria ed autonoma, e per matura-re una solida coscienza critica che li renda, doma-ni, cittadini più liberi. Questi cinque anni sonostati per noi molto intensi, pieni di impegni e disoddisfazioni, di sfide e di riconoscimenti.Ci sono stati vicini gli editori e i giornalisti, le fon-dazioni di origine bancaria sono state al nostrofianco. Sono state con noi le istituzioni del nostroPaese, dal Ministero dell’Istruzione,dell’Università e della Ricerca, che proprio que-st’anno ha concesso all’Osservatorio l’accredita-mento come ente impegnato nella formazionedegli insegnanti, al Presidente della Repubblica,Carlo Azeglio Ciampi, che ha voluto esprimeretutto il suo apprezzamento e sostegno per lanostra iniziativa. Ma soprattutto ci è stato vicinoil mondo della scuola.Siamo orgogliosi dei risultati raggiunti, la conqui-sta più importante di questa sesta edizione delprogetto è quella di aver coinvolto un giovaneitaliano su due di età compresa tra i 14 e i 18 anni,e per questo vogliamo dire un grazie a tutti gliinsegnanti italiani che ci aiutano a portare avanti

la nostra iniziativa.E’ un piccolo esercito composto da oltre 34.000docenti che ha raccolto il nostro appello e hadeciso di stare con noi in questa sfida: siamo par-titi allora con 100.000 studenti, ed oggi, dopo solicinque anni, gli studenti sono 1.200.000.Anche per questo motivo l’Osservatorio ha scel-to di impegnarsi ogni anno per mettere a puntoun’attività di formazione rivolta ai docenti chepossa fornire loro sempre nuovi strumentimetodologici e didattici.Un modo, questo, per stare vicino a chi ci è vici-no, per ricambiare la fiducia e l’impegno di tuttigli insegnanti che lavorano insieme a noi per dareal nostro Paese la speranza di un futuro migliore.Dopo cinque anni è arrivato anche per noi l’esa-me di maturità …..l’esame di chi non si accon-tenta solo di grandi numeri, ma vuole lavorareanche per contenuti più forti. L’esame di chilavora perché la lettura critica di più quotidiani inclasse porti un vero contributo alla crescita dellegiovani generazioni e alla formazione delle classidirigenti del futuro. L’entusiasmo degli studenti edei docenti che partecipano al progetto ci spin-gono a proseguire con fiducia nelle nostre attivi-tà, a cercare di fare sempre meglio e a pensare anuovi terreni sui quali misurarci.Nell’ambito del progetto “Il Quotidiano inClasse” per questo anno scolastico ci siamo ado-perati per ampliare l’offerta formativa rivolta aidocenti organizzando più giornate di formazio-ne sul territorio e realizzando una nuova propo-sta didattica.Inoltre sono state avviate anche iniziative rivolteagli studenti proprio con l’intento di coinvolgerlisempre di più e di offrire loro nuove occasioni perfar sentire la loro voce e per confrontarsi con illu-stri personaggi del mondo dell’editoria nazionaleed internazionale, della cultura e dell’impresa.Nel frattempo continuiamo a guardare al futuroe ad altri grandi obiettivi.

Osservatorio Permanente Giovani-Editori

OSSERVATORIOGIOVANI-EDITORI

Il bilancio di 5 anni

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L’immagine come costruzione iperreale del mondo

Ho sempre trovato molto deludentela cosiddetta realtà deludente perl’eccessivo rumore che la domina.

Quando parlo di rumore intendo dire che,ad esempio, in una fiction mentre i due pro-tagonisti si baciano romanticamente nonarriva una zingara che gli chiede l’elemosina(a meno che questo non sia funzionale all’e-conomia della storia) mentre nella cosiddet-ta realtà ognuno di noi deve continuamentezigzagare, evitare, eliminare tutti quei fattoridi disturbo (dal rumore del traffico a pen-sieri stupidi e nocivi, da persone invadenti enon gradite ai piccoli contrattempi ecc) checi distolgono e deconcentrano dal senso chestiamo attribuendo al nostro vivere e da ciòche vorremmo davvero fare sia qui ed ora,sia in prospettiva, della nostra vita. Forse èanche per questo che quando imparai foto-grafare mi si aprì un nuovo orizzonte cheoggi esprimo, ovviamente con parole cheall’epoca non avrei neppure potuto intuireorizzonte che ho quasi afferrato attraversosette piccole ,ma per me importanti, scoper-te che mi hanno permesso di comprenderela funzione delle immagini fotografichecome costruzioni iperreali del mondo.La prima scoperta che feci nella mia analisifotografica del mondo fu che la cosiddettarealtà è terribilmente incerta, confusa esfuocata e, quindi, per i miei gusti, del tuttopriva di interesse. Certo con gli occhialiadatti le cose migliorano tuttavia la nitidez-

za rimane un’illusione. Avevo sette anniquando feci questa scoperta e, usando lamia Polaroid Zip mi rifugiai in un mondopiù ordinato e logico mettendomi a fotogra-fare, nella piazza davanti a casa, le targhedelle auto parcheggiate. Fortunatamente inostri vicini di casa ci conoscevano per cuinessuno pensò che fossi una “spia” (eranogli anni della Guerra Fredda, non dimenti-chiamolo), e neppure io credevo di esserlo.I miei genitori erano un tantino perplessidalla mia mania di fotografare targhe maquando il signore dell’infortunistica stradaleche aveva il suo ufficio nell’isolato rivelò uncerto interesse per i miei scatti, archiviaronol’idea di sottopormi ad un elettroshock perfarmi passare quella mania fotografica. Laseconda scoperta la feci sul finire delle scuo-le medie. Le mie giornate all’epoca eranodominate dai compiti, dal basket, dai Chips,da Starsky ed Hutch, dalla famiglia Bradforde soprattutto, wow!, da Happy Days… e daSpider Man!Preferivo, e ancora preferisco, le produzionistatunitensi a quelle italiane sia nel cinema,sia nella televisione e questo, come dirò piùavanti, ha un significato preciso nello svi-luppo della mia teoria dell’immagine. Primadi rivelare la mia seconda scoperta faccio unpasso indietro raccontando un aneddotoche invito il lettore ad interpretare, perquanto possibile, dal punto di vista di unundicenne.

di Andrea Pitasi

Nel condominio nella prima periferia diBologna ove vissi anni nel complesso piut-tosto dimenticabili, c’era un cortile che pernoi bambini era, un po’ come per Snoopy lasua cuccia, un campo da calcio, un’astrona-ve aliena, un campo da basket, una sala perfeste danzanti, un aeroplano, il campo dibattaglia di feroci scontri tra indiani e cow-boys ecc. Quando il clima lo permetteva sistava a giocare fino a poco prima di cena(che per un bambino nel nord Italia di allo-ra significava più o meno le 19) e appuntopoco prima di cena rincasavo tutto conten-to per andare a vedere Goldrake in attesa dicenare. Una sera, contro ogni mia previsio-ne, mi interrupppero Goldrake sul più belloper trasmettere un’edizione straordinaria delTG1 sul rapimento Moro. All’epoca la tv eragià a colori eppure nei miei ricordi quei tele-giornali erano in bianco e nero mentreGoldrake, sì, era a colori. Ed eccoci, appun-to alla seconda scoperta: la via di uscita dauna realtà confusa e sfuocata è la costruzio-ne nitidamente “plastificata” della propriaidea di realtà. In quegli anni, mi ero già stu-fato di andare in gita a Paperopoli e aTopolinia, ma ero anche stufo del bianco enero da austerity dei vari ComandanteMark, Tex, Zagor e Diabolik… Un paio dianni prima avevo scoperto l’universoMarvel (in particolare ero e sono un fan diSpider Man!) che, semioticamente parlando,è ancora un mio paradigma di riferimentocromatico ma di questo dirò più avanti.Il guaio è che le costruzioni nitidamente pla-stificate fanno un effetto sgradevole. Un po’come quando si conosce una ragazza bellis-sima una sera ad una festa, si flirta, si va aletto insieme con questa simil top model e ilmattino dopo, se ci si sveglia ancora insieme,si apre gli occhi accanto alla gemella diFrankestein dato che il make up e tutto il

resto hanno cessato di funzionare. Ma que-sta esperienza illuminante era al di fuori dellamia portata di dodici - tredicenne scopertache oggi amo definire con le parole di JeanBaudrillard “se qualcosa vuole diventareimmagine non è per durare ,è per meglioscomparire” . Questa seconda scoperta fu ilparadigma dominante della mia adolescenza.La terza scoperta arrivò quando ormai erostudente universitario. Una scoperta concet-tualmente facile da comprendere ma, pro-prio per l’intrinseca rumorosità della vitaaffatto difficile da applicare: la costruzioneiperreale dell’autenticità. Alle ragazze schi-zofrenicamente sdoppiate tra un’immagineda top model e un’identità da gemella diFrankestein” è facile che più di qualcunoabbia consigliato frasi tipo: “sii te stessa efregatene del resto”. Il problema è che cia-scuno di noi, specialmente negli anni dellosviluppo, ha vari aspetti della propria perso-nalità coi quali si dà ancora prudentementedel lei. Essere la gemella di Frankestein,esserlo autenticamente e potentemente finoin fondo richiede, ad esempio, una costru-zione di se stessi ancor più profonda edaccurata di quella di un’immagine nitida-mente plastificata. Essere fino in fondo ciòche si è significa essersi ricostruiti da cima afondo e avere espulso dalla propria vita unaquantità enorme di rumore (ad esempiocondizionamenti familiari, etichette socialidel senso comune, luoghi comuni della tra-dizione ecc), un lavoro che solo i grandiattori, metaforicamente parlando, sannofare su se stessi.L’immagine è costruzione e fotografare perme è uno degli strumenti più creativi in talsenso. La quarta scoperta è che questacostruzione iperreale della propria autentici-tà è inesorabilmente vincolata alle tecnolo-gie disponibili. Una bellissima metafora di

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questo è il dipinto “tavolozza con un pae-saggio” (1878) del pittore impressionistaCamille Pisarro. Oltre un secolo dopoGiuseppe Banchieri creò “tavola nel giardi-no” (1989) al di là della creatività dei dueartisti essi hanno realizzato le proprie operecon le tecnologie che il loro tempo conce-deva loro.Ogni creatore d’immagini crea in questovincolo evolutivo.Nell’information age il vincolo tecnologicoè la dissoluzione tra pittura,grafica, fotogra-fia e creazione d’immagini al computer.Probabilmente, oggigiorno parlare sempli-cemente di immagini è la cosa più correttasul piano estetico e tecnico. La quinta sco-perta, per la quale sono in debito verso l’o-pera di Eduardo Urculo, è che se si crea unregistro iperreale per la costruzione dell’au-tenticità è quasi automatico approdare adun’estetica del desiderio soddisfatto in quan-to l’altissima selettività della costruzione eli-mina rumore, surrogati ed autoinganni coneffetto placebo e mette l’individuo davantiad un semplice codice binario 0/1: ovverodesiderio soddisfatto/desiderio non soddi-sfatto. Nel secondo caso, rimanendo fedeli ase stessi, la ricerca continua senza mai fer-marsi in luoghi concettuali, biografici edestetici inadeguati nel primo caso l’approdoè, invece, gioiosamente sereno e senza oscu-rità latenti.Dicevo nelle pagine precedenti, che preferi-sco il cinema hollywoodiano (prima ancorache genericamente statunitense) a quello ita-liano. Il motivo è la cromofobia strisciantenel secondo contrapposta alla cromofiliagioiosamente dilagante nel primo. Vedrò diessere più chiaro senza addentrarmi in tec-nicismi quali la temperatura colore, il tipo disupporto di registrazione ecc.A mio parere un film è tanto più riuscito

quanto più riesce ad essere ipereale a fardimenticare al pubblico di star vedendo unfilm. Quando guardo un film italiano, più ingenerale europeo, è raro che mi scordi che lascena che sto guardando è circondata daregista, cameramen, truccatori, tecnici ecc.Quando guardo un film hollywoodiano èrarissimo che mi ricordi invece che la scenaè circondata da questa varia umanità.Questo vale anche per quei film e telefilmpiù di entertainment. Quando JenniferGarner è Sidney Bristow in Alias è SidneyBristow e anche quando le scene sonoimprobabili (malmenare da sola cinque o seitipi loschi del direttorio Kappa, e armatifino ai denti, a colpi di sole arti marziali, adesempio), la costruzione è ipereale nel sensoche finanche il colore del rossetto dellaGarner ci fa essere lì con lei, per così dire,mentre nella maggior parte dei (tele)filmeuropei i colori sono spesso tenui e sbiaditi.Come si fa a prendere sul serio una attriceche, ad esempio, impersona un medico o unavvocato in una soap italiana quando nep-pure il bianco del suo camice o il nero dellasua toga hanno il coraggio di essere davverobianchi o davvero neri e quando questi tonisbiaditi ci ricordano implacabilmente il sup-porto tecnico (la pellicola, ad esempio) tranoi spettatori e la trama, tra noi spettatori egli attori?Dunque la costruzione iperreale è figlia diun’accurata e geniale postproduzione men-tre molto spesso i (tele)film europei sembra-no realizzati secondo il principio “buona laprima”. Sempre la Garner è stata protagoni-sta di Devil, girato a Los Angeles e in postproduzione simulato a New York. E la newYork di Devil è più newyorchese di NewYork. Ed eccoci alla sesta scoperta: l’intensi-tà e la frequenza della luce (e relativamentedel colore) fanno la differenza tra il reale

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sfuocato e l’iperreale autentico. Volgendo losguardo indietro ricordo che, ad esempio,tutti i fumetti italiani della mia infanziaerano in bianco e nero salvo il “numero spe-ciale a colori” (solitamente il 100, il 200) equalche librone che raccoglieva il megliodelle avventure di questi personaggi imma-ginari. Era un mondo in bianco e nero, unmondo peraltro di austerity economica incui persino il colore era un lusso esclusiva-mente per i giorni di festa. Peraltro il biancoe nero di quegli anni era grigiastro, anonimoa bassa definizione, a basso contrasto, opacoe prudente! Chi, appassionato di fotografiain quegli anni non ha mai cercato di ricorre-re a potassio ferricianuro e colori ad acquaper dare vita a quei bianco e nero così pococonvincenti? E chi, anni dopo, vedendo labambina col cappottino rosso in Schindler’sList, non ha avuto un brivido estetico comequando si ritrova una foto, dimenticatalaanni, di se stessi da piccoli?La grandezza di Spielberg risiedeva proprionel colore. Una delle più lucide frasi di Stalinrispetto al media management degli stermi-ni di massa recitava più o meno così: “unamorte è una tragedia, un milione di morti èuna statistica.” La regia cromofila ed il cap-pottino rosso hanno consentito di com-prendere la tragedia di una morte nella suariconoscibilità, nel suo farsi singola personache reclama la responsabilità di un eccidio inuna singola morte.Dicevo, appunto, che la sesta scoperta con-siste nel fatto che l’intensità e la frequenzadella luce (e relativamente del colore) fannola differenza tra il reale sfuocato e l’iperrea-le autentico. Che vuol dire ciò, concreta-mente? Significa che ogni scena richiede l’at-mosfera adeguata. Un business meeting alume di candela, ad esempio, implica sem-plicemente che è saltata la luce e una storia

d’amore che si svolge in un’illuminazione alneon sappiamo già, inconsciamente, che èimprobabile che abbia un lieto fine.Nei (tele)film europei ci si innamora o ci siuccide nella stessa piatta luce in cui io vadoa comprare il prosciutto. Come posso pren-dere sul serio la trama che mi scorre innan-zi se mi offre una realtà cotanto sfuocata?Per concludere questo scritto, la settimascoperta: il famoso designer Bruno Munariinsegnava che ognuno vede ciò che sa.Parole laicamente sante.

Andrea Pitasi

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DIGITALE TERRESTREMediaset ha deciso di sperimentarel’alta definizione digitale nelle primeregioni destinate alla trasformazione ecioè Sardegna e Valle d’Aosta. Sky hagià lanciato l’alta definizione per ilocali pubblici. E da novembre offreun nuovo decoder dotato di unamemoria di 60 ore e con molteplicifunzioni. Inoltre Murdoch ha scrittoalla UE perché intervenga per farsospendere i finanziamenti stataliriservati a quanti acquistano il decoderper il digitale terrestre.Rai Way ha deciso la sperimentazionetecnica della diffusione radiofonicadigitale in onda media. Sperimentare ilsistema DRM è indispensabile pergarantire ai programmi radiofonici diessere ricevuti in tutta l’Europa in tec-nologia digitale. Le trasmissioni saran-no irradiate dal centro Rai di Sizianoutilizzando trasmettitori di bassapotenza che garantiscono l’alta qualitàdel segnale. La fase sperimentale avver-rà nelle ore notturne. (Sergio Borsi)

Qualità, rilevanza, originalità/innovazio-ne, internazionalizzazione. Ruotaintorno a queste parole chiave la stra-

tegia comunicativa del Comitato di indirizzoper la valutazione della ricerca (Civr), organodel Ministero dell’Istruzione, dell’Università edella Ricerca cui è affidato il compito di valuta-re a 360 gradi il sistema della ricerca italiano . Leparole chiave indicano in particolare i quattroobiettivi fondamentali enunciati nelle Lineeguida per la valutazione della ricerca , docu-mento voluto dal Miur ed elaborato dal Civr,testo che riguarda l’intera comunità scientifica. Iquattro obiettivi sono riferiti ai progetti e ai pro-dotti della ricerca scientifica e tecnologica chesono stati sottoposti a valutazione, come avvie-ne in altri Paesi che, a differenza dell’Italia, daanni hanno introdotto e coltivano la culturadella valutazione. L’azione del Comitato haavuto avvio con il primo esercizio di valutazio-ne, che ha abbracciato il triennio 2001-2003 edè proseguita durante il secondo esercizio divalutazione, il cui triennio di svolgimento staper terminare con la pubblicazione della rela-zione conclusiva.

La valutazione e il nuovo sistema di finan-ziamento delle UniversitàLa prospettiva del lavoro che il Civr ha svolto esta svolgendo è stata quella di dotare l’Italia diun sistema oggettivo ed affidabile, in grado dimigliorare il collegamento istituzionale fra risul-tati della valutazione, selezione dei progetti eallocazione delle risorse. Proprio il nuovo siste-

ma di finanziamento degli atenei statali, elabo-rato dal Comitato nazionale di valutazione delsistema universitario (Cnsvu), conferisce all’atti-vità del Civr un ruolo ancor più determinante estrategico sul versante della comunicazione isti-tuzionale. Il modello prevede la distribuzionedelle risorse finanziarie del Fondo di finanzia-mento ordinario (Ffo) in base a una adeguatavalutazione sia dei servizi formativi erogati siadei risultati effettivamente ottenuti. In partico-lare il 30% verrà distribuito in base ai risultatidelle attività di ricerca scientifica, misurati con leprocedure di valutazione opportunamente ela-borate dal Civr.

La struttura organizzativa del CivrPer riuscire in questa mission il Civr, presiedutodal 2001 da Franco Cuccurullo, ha messo apunto un complesso apparato organizzativo.All’attività di valutazione hanno preso parte i156 componenti dei 20 panel formati dalComitato, 14 dei quali corrispondono alle areedisciplinari del Consiglio universitario naziona-le (Cun). Interessati dall’attività di valutazionesono circa 18.500 prodotti, selezionati dallestrutture di ricerca del Paese che partecipano alprocesso (102 tra Università ed enti, pubblici eprivati). Ai Panel si sono affiancati oltre 12.000esperti, italiani e stranieri, di comprovata cara-tura internazionale. E’ previsto che i risultatiottenuti al termine delle indagini valutative con-sentiranno di tracciare una mappa realistica deipunti di forza e di debolezza del nostro sistemanazionale della ricerca, in modo da definirne, in

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Comunicare la ricerca in ItaliaIl Civr e la nuova valutazione del sistema

di Andrea Lombardinilo

maniera oggettiva, la reale collocazione nel con-testo scientifico internazionale.

Criticità del sistema della ricerca in ItaliaChe quello italiano sia un sistema della ricercacomplesso, tanto sul piano della conformazio-ne strutturale quanto su quello delle proceduredi finanziamento, è cosa nota. Altrettanto notesono alcune delle criticità che lo permeano. Idati Censis 2004 dicono che nel nostro Paese cisono 2,82 ricercatori ogni mille appartenentialle forze di lavoro, mentre in Europa il livello èdi 5,7, in Giappone è di 9,4 e in Finlandia 13,8.Il numero dei brevetti italiani registratiall’European patent office è di 64,6 per milionedi abitanti, mentre diventano 103,6 a livelloeuropeo, e 140 per il Giappone; la spesa per laricerca è pari all’1,07% sul Pil, contro l’1,98% alivello europeo e la quota di ricerca pubblica èda noi lo 0,69% sul Pil, contro una media euro-pea dello 0,77%. E ancora: la spesa privata inricerca è pari allo 0,57% del totale del valoreaggiunto all’industria, contro il 4,78% dellaSvezia, il 2,55% degli Usa e l’1,61% dell’Unioneeuropea.

Le azioni del Miur per il rilancio della ricer-ca italianaPer arginare queste criticità e potenziare il siste-ma della ricerca pubblica il Ministero ha realiz-zato alcune grandi linee di intervento, su cui siè incentrata l’intera strategia di comunicazione edi informazione attuata sul versante della ricer-ca dal 2001 a oggi. Tra le azioni più significativeci sono:

“ la riforma di alcuni enti pubblici di ricerca (inprimis Cnr e Asi);“ il potenziamento delle attività di ricerca dibase (nel periodo 2002-2005 sono stati stanzia-ti e distribuiti attraverso il Fondo investimentiper la ricerca di base (Firb) 600 milioni di euro

per grandi progetti di ricerca in aree strategiche,come bioscienze, infoscienze, nanoscienze);“ lo sviluppo della ricerca universitaria, in parti-colare attraverso il finanziamento dei Progettidi rilevante interesse nazionale, Prin (nel 2004sono stati finanziati 982 progetti per un impor-to complessivo di 137 milioni di euro);“ lo sviluppo di attività di ricerca nelMezzogiorno (attraverso il Pon Ricerca,Sviluppo tecnologico ed Alta formazione sonostati finanziati a tutt’oggi 2.250 progetti di ricer-ca ed alta formazione);“ la creazione dei distretti di alta tecnologia(undici fino a oggi) e dei laboratori pubblico-privati nel Mezzogiorno;“ la creazione delle Università telematiche(quattro fino a oggi), che possono rilasciare tito-li universitari di primo livello (laurea triennale) edi secondo livello (laurea specialistica), aventipieno valore legale.

La strategia di comunicazione del Miur nelcampo della ricercaLa campagna di comunicazione attuata dalMinistero ha riguardato la promozione delleiniziative intraprese nell’ambito di ciascuna dellesuddette azioni, che contenevano in nuce unelevato grado di notiziabilità. Ciò è avvenuto siaa livello di diffusione stampa (conferenze stam-pa con distribuzione di materiale illustrativo aigiornalisti e relativo lancio di comunicati alleagenzie e alle testate giornalistiche anche regio-nali, qualora l’informazione avesse ricadute diparticolare interesse locale), sia a livello di orga-nizzazione di convegni, incontri, dibattiti oworkshop, mirati a sensibilizzare l’opinionepubblica sulle iniziative intraprese in un settore,quello della ricerca, che crea movimento di opi-nione e catalizza l’interesse degli organi diinformazione in determinate circostanze: inoccasione di una scoperta scientifica rilevante,dell’assegnazione di un premio Nobel, oppure

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ogni qualvolta si verificano eventi all’apparenzanegativi. E’ il caso della martellante campagnainformativa di reti televisive e giornali legata al(presunto) fenomeno della fuga dei cervelliall’estero, che fonti ministeriali hanno invecepreferito ricondurre nell’alveo di una più fisio-logica circolazione internazionale del sapere.Più in generale va detto che il battage comuni-cativo del Ministero ha tenuto conto del targetinformativo potenzialmente più ricettivo altema della ricerca. Se è vero che il grado diappetibilità dell’informazione istituzionale èdirettamente proporzionale all’appeal comuni-cativo delle notizie fornite, vale a dire diretta-mente proporzionale alla loro consistenza gior-nalistica, era prevedibile attendersi un maggiorfeedback mediologico quando tali notizie con-tenessero un tasso elevato di fruibilità da partedel lettore. Non è un caso che risultati soddi-sfacenti abbia dato la campagna di comunica-zione attuata per dare risalto ai numerosi accor-di internazionali siglati nel corso del 2005 dalMinistero con Università, enti e strutture diricerca stranieri, con l’obiettivo di ottenere rica-dute tecnologiche ed economiche nel nostroPaese, soprattutto sul fronte della ricerca indu-striale e dell’internazionalizzazione della forma-zione universitaria. Al centro degli accordi sigla-ti ci sono infatti la salute, la sicurezza, l’ambien-te, l’accrescimento della competitività delleimprese, lo sviluppo sostenibile. Sono temati-che di stretta pertinenza sociale e quindi di ele-vato appeal comunicazionale.

Miur e Civr insieme per comunicare laricercaDiscorso a sé merita la strategia di comunica-zione attuata dal Civr in coordinamento conl’ufficio stampa del Ministero per diffondere ilprincipio della valutazione del nostro sistemadella ricerca. Del resto, proprio la valutazionefigura tra le parole chiave del Programma

nazionale della ricerca (Pnr) presentato nelmarzo scorso, insieme a “sviluppo e valorizza-zione del capitale umano, eccellenza nella ricer-ca di base, concentrazione su punti di forza esettori strategici, multidisciplinarietà, interna-zionalizzazione, collaborazione pubblico-priva-to, utilizzo di una pluralità di fonti e di mecca-nismi di finanziamento”.La campagna di comunicazione del Civr, rivol-ta tanto alla comunità scientifica quanto agliorgani di informazione, si è mossa lungo cin-que assi portanti:

“ illustrare regole e procedure di riferimento perla valutazione del Sistema nazionale della ricer-ca (Snr);“ favorire il collegamento istituzionale tra risul-tati della valutazione e allocazione delle risorse;“ aggiornare periodicamente sugli step organiz-zativi e logistici compiuti;“ agevolare la diffusione dei risultati dellaricerca;“ rendere trasparente il processo della valu-tazione.

Comunicare la valutazione. Un esempioIl rapporto tra qualità della ricerca e allocazionedelle risorse è risultato uno dei punti di forzadelle iniziative di comunicazione intraprese dalComitato nel corso del 2005. La scelta ha con-sentito di veicolare all’esterno un messaggioimprontato all’assoluta novità culturale che rive-ste la valutazione nel Paese, soprattutto se inse-rita all’interno di quel processo di internaziona-lizzazione che il nostro sistema universitario stacercando di attuare sulla scia del Processo diBologna e della Strategia di Lisbona. E’ il caso,ad esempio, della conferenza stampa di presen-tazione dei Panel svoltasi nel gennaio scorsonella sede del Miur alla presenza del MinistroLetizia Moratti, del Viceministro Guido Possa edel Presidente Civr Franco Cuccurullo.

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Lo studio degli articoli pubblicati a seguito dellaconferenza stampa conferma che il nesso trafonte istituzionale e ripresa dell’informazione èstretto. Lo spoglio della rassegna stampa attestaun buon grado di attinenza al dettato contenu-tistico del comunicato stampa, puntuale nel for-nire alcuni elementi di interesse giornalistico,come ad esempio la prevalenza di lavori ininglese esaminati e il primato spettante allescienze mediche. Al titolo (Ricerca: al via il siste-ma di valutazione studiato dal Civr. 18.500 pro-dotti all’esame di 20 panel) seguono nel cate-naccio due brevi dichiarazioni del Ministro(“Per la prima volta l’Italia avvia una valutazio-ne strutturale della ricerca nelle diverse branchedel sapere”) e del Presidente (“Da oggi la valu-tazione è elevata a sistema, con l’obiettivo dipromuovere la qualità dei progetti e dei risulta-ti”). E’ interessante a questo punto passare inrassegna i titoli degli articoli pubblicati il giornodopo sui maggiori quotidiani nazionali, checompendiano la sezione di apertura del comu-nicato:

“ Il Corriere della Sera: “Bollino di qualità per laricerca”;“ Il Messaggero: “Moratti: la ricerca scientificasarà valutata da 156 esperti”;“ Il Giornale: “Università, finanziamenti in basealla qualità della ricerca”;“ Avvenire: “Fondi alla ricerca in base ai risulta-ti”;“ Il Tempo: “Moratti: così cambierà la ricerca”;“ Italia Oggi: “Fondi mirati per la ricerca”.L’ampiezza e il contenuto degli articoli docu-mentano come la comunicazione istituzionalesia stata recepita e filtrata nel segno non solo diun buon grado di aderenza alla fonte, ma anchedi un’attenzione specifica all’aspetto sociologicodella notizia, che investe direttamente mondoscientifico e cittadini. Ecco dunque il ruoloaffatto strategico che la valutazione del sistema

pubblico della ricerca in Italia assume per ilMiur sul piano della visibilità e della diffusionedegli interventi attuati negli ultimi anni sul ver-sante del rilancio e del potenziamento dei soste-gni finanziari alle strutture di ricerca.

La mission strategica della valutazione Teoria dell’informazione e comunicazione isti-tuzionale si legano a doppio filo nel momentoin cui il messaggio da veicolare risponde ai cri-teri di fruibilità giornalistica e di immediatezzaespressiva necessarie per raggiungere un targetdi utenti il più ampio possibile. In questo sensole quattro parole chiave - “qualità, rilevanza,originalità/innovazione, internazionalizzazio-ne” - sintetizzano i contenuti intrinseci, gliobiettivi e la mission del Comitato, nel segnodell’esplicitazione chiara del ruolo scientificoche esso riveste nell’economia del potenzia-mento del sistema della ricerca italiano. Ruoloesplicitato anche graficamente nelle pagine delsito internet del Civr (www.civr.it). La homepage costituisce un volano efficace per la tra-smissione di un’immagine di sicuro impattovisivo: in primo piano un volo di gabbiani nelcielo azzurro e sotto una esortazione, non acaso in inglese: Let research fly. Lasciando daparte discorsi di tipo semiologico, la metaforarimanda al rilancio di un sistema complesso,quello della ricerca, che è impegnato a comuni-care i propri meccanismi di funzionamento e aimporsi all’attenzione del pubblico. Un rilancioche il Civr sta cercando di atttuare nel segnodella trasparenza e della meritocrazia, altre dueparole chiave altamente significative da unpunto di vista sociologico e prioritarie nellacampagna di comunicazione del Comitato.

Andrea Lombardinilo

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di Raffaele Palmieri

Il comunicare nel mondo antico e soprat-tutto in età romana è affidato a dueforme: alla scrittura ed alla lettura. Non

tanto mi riferisco alle opere degli auctores, anoi giunte per lo più da papiri e che eranolimitate ad uno sparuto gruppo di persone,appartenenti spesso alla classedominante,quanto alla scrittura cosiddetta“esposta”, all’epigrafia, a quelle iscrizioni checompaiono sui cippi sottostanti i personaggifamosi dell’antichità ( si pensi, ad esempio,agli elogia che Augusto volle nel forodell’Urbe sotto le statue dei condottieri edegli uomini romani più illustri ) o inseritanegli archi di trionfo o nei ponti o posta suicippi miliari lungo le strade o sui muri del-l’antica Pompei ( le famose iscrizioni dipinte) o più semplicemente sui monumenti fune-rari delle necropoli.Ebbene tutte queste scritte, come sembra,contribuirono non poco all’acculturazionedel popolo. Come si è detto, anche la letturafavorì la comunicazione tra i vari individui.Una persona colta , che sapeva leggere e scri-vere,leggeva in silenzio o ad alta voce, aseconda che si trovasse da solo o in compa-gnia di altri. Le espressioni ed i formulari,soprattutto quelli funerari, erano sempre glistessi, anche se, a volte, differivano da unaregione all’altra. Inizialmente queste espres-sioni erano scritte per intero; poi , quando illoro uso divenne comune, per economia dispazio, incominciarono a comparire in sigla

(si pensi , ad esempio, all’adprecatio agli deiMani: Dis Manibus o Dis Manibus sacrum,ridotta successivamente a D.M. o D.M.s. ) edil loro significato era inteso da tutti.Qualcuno, soprattutto negli ultimi decenni,ha avanzato l’ipotesi che alta era la percen-tuale di analfabetismo nel mondo romano,soprattutto a causa della persistenza delle lin-gue locali. È vero che Roma non abolì mai lelingue locali,gli usi e le tradizioni delle popo-lazioni che man mano andava sottometten-do,anche se la lingua ufficiale, prima dellarepubblica e poi dell’impero, era il latino ed inquesta lingua si redigevano le leggi, gli edittie tutte le disposizioni del governo centrale.Siccome la parte orientale dell’impero eragrecofona, il governo centrale si preoccupòdi redigere in greco, per quelle province, tuttigli atti ufficiali. Un caso esemplare per tuttisono le Res gestae divi Augusti. Testi bilinguio plurilingui compaiono,comunque, ancheper iscrizioni non ufficiali, meno importantio anche private. Si pensi ,ad esempio, all’inse-gna dell’officina marmoraria di Palermo(C.I.L. X 7296 = I.G. 297), redatta in latinoed in greco.Accanto a questo fenomeno è da registrarneun altro: ci sono testi non latini scritti incaratteri latini. Questo è il caso di alcunimotti greci noti anche nel mondo occidenta-le romano. La loro conoscenza spesso eralegata ad una fonte orale e quindi il riportar-la in caratteri latini ne facilitava la pronuncia,

Saxa Loquuntur Ovvero la comunicazione nell’antichità

nonché il ricordo. Viceversa non mancanoiscrizioni latine redatte in caratteri greci.Tutto questo sembra militare a favore dellatesi di un certo grado di acculturazione rag-giunto dalla popolazione in età romana.La comunicazione non sempre si serve dellostesso linguaggio; esso differisce a secondadell’argomento che deve trattare; così abbia-mo, ad esempio, un linguaggio del sacro, unlinguaggio della politica ed un linguaggio chesi usa nella sfera privata, per la conservazionedella memoria o del ricordo di una personacara.Agli dei ci si rivolge non solo con la preghie-ra fatta oralmente, ma anche con dediche escritte. Una dedica,a mio avviso molto bella esplendida nella sua sinteticità, è questa rivoltaad Iside (cfr. C.I.L. X 3800 = I.L.S. 4362, daCapua) : Te tibi una quae es omnia, dea Isis,Arrius Balbinus v(ir) c(larissimus).L’epigrafia sacra si presenta spesso,però, inuna forma più semplice: il testo riporta ilnome della divinità cui la scritta o il dono èdedicato ed il nome dell’offerente. Soventequest’ultimo elemento è sottaciuto e questoperché non tutti devono necessariamentesapere; d’altra parte il rapporto esistente tra lapersona che chiede e la divinità che opera lagrazia è strettamente personale ed il dioconosce bene chi fa la petizione.Raramente è ricordata la vicenda umana dallaquale l’epigrafe sacra è nata; quando è segna-lata si tratta di storie di guarigioni, di ritorniincolumi dalla guerra,di naufragi felicementeconclusisi o di altre situazioni pericolose (adesempio aggressioni di briganti) nelle quali èintervenuta l’azione benefica della divinità.Se questo è il linguaggio del sacro, quellodella politica si presenta in una forma bendiversa. Esso ha la finalità di far conoscere lelinee della politica e gli ordini del governo

centrale,tanto a Roma quanto nelle province.Questo messaggio compare in iscrizioniposte nelle zone più frequentate della città edei centri abitati o anche lungo le strade.Alcune epigrafi, come quelle riportanti latitolatura imperiale, hanno avuto la funzionedi veri e propri messaggi unificanti ( si pensi,ad esempio, anche ai miliari del periodo delprincipato), la stessa funzione che preceden-temente ebbe il nome di Pompeo, inciso sugliscudi dei suoi soldati, così come ci informaCesare (Bell.Alex.,58) o quello di Vespasiano,subito posto dai militari della III legione suivessilli, non appena il loro comandante salìsul soglio imperiale, notizia pervenutaci daSuetonio (Div.Vesp., 6,3).La finalità della continuità nella politica, non-ché di far conoscere la nobiltà della discen-denza è ravvisabile nelle dediche fatte aicosiddetti imperatori di adozione. Qui, avolte, si risale alla quinta o sesta generazione.Il linguaggio è laudativo e per ciascuno degliascendenti e per lo stesso princeps; accanto alnome compare, a volte, l’appellativo divus edanche i cosiddetti cognomina ex virtute, tito-li dati all’imperatore per campagne di guerravittoriose da lui personalmente dirette o daisuoi generali. Sono altresì segnalate le carichepolitiche e religiose.Con il tardo impero il linguaggio si fa ancorapiù laudativo, fino a diventare ampolloso eroboante e la finalità di propaganda politicadiventa sempre più palese ed evidente. Sipensi, ad esempio, ad espressioni proprie delperiodo di Costantino come quella di bonorei publicae natus, riferita all’imperatore, o diun’altra ancora più ampollosa presente inuna dedica allo stesso princeps: Triumphatoriomnium gentium ac dominatori universarumfactionum,qui libertatem tenebris servitutisoppressam,sua felici victoria nova luce inlu-

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minavit… (C.I.L. VIII 7006= I.L.S. 688, daCirta).La propaganda politica,comunque ,è presen-te anche in testi antecedenti. Si pensi,adesempio, alle Res gestae divi Augusti ed inmodo particolare ai capitoli 25 e 26. Qui perben tre volte ricorre il verbo pacare, che rap-presenta uno dei cardini del regno diOttaviano.Cambia il linguaggio quando il messaggioinveste la sfera del privato. Esso diventa piùsemplice ma non perde in efficacia. Questomondo lo conosciamo per lo più grazie alleepigrafi funerarie, che sono ricche di tantenotizie. Da esse, infatti, ricaviamo dati ono-mastici, biometrici ed anche sociali.Riusciamo a conoscere il tessuto sociale diuna determinata località, quante erano le per-sone libere, i liberti, gli schiavi, i figli legittimi,i naturali e gli adottati, i rapporti interperso-nali uomo-donna: se erano legati da iustaenuptiae o da contubernium. In genere nelleiscrizioni funerarie sono indicate tre genera-zioni: quella del defunto, del padre (nel casodi un uomo libero) o del patrono (nel caso diun liberto), o del padrone (nel caso di unoschiavo) ed infine dell’erede o degli eredi.Esse, a volte, ci permettono di seguire anchela cosiddetta “mobilità sociale”. Si pensi, adesempio, ai cognomina di molti stranieri chehanno ricevuto il ius civitatis ,agli spostamen-ti delle legioni, ai legionari che si sono sposa-ti con donne del luogo dov’era stanziato illoro reparto. Esse ci fanno sapere anchecome gli antichi passavano il tempo libero.Questi ed ancora tanti altri dati ci conservanole iscrizioni. Ad esse gli antichi hanno affida-to i loro messaggi per farsi ricordare e rico-noscere ed in definitiva per sopravvivere.Oltre alle fonti letterarie non abbiamo altrotramite per conoscere gli uomini e le civiltàdel mondo antico se non l’epigrafia. Senza le

iscrizioni saremmo costretti soltanto a misu-rare le impronte dei corpi degli uomini lascia-ti nella lava del Vesuvio oppure a guardare etoccare lo ceneri e le ossa dei soldati cadutinei campi maledetti del Trasimeno e diCanne.

Raffaele Palmieri

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INIZIATIVE PROMOZIONALIIl Sole-24 Ore offre la grande storia del-l’arte, 18 volumi. Il 21 ottobre è statoofferto in omaggio il primo volume.Le uscite ogni venerdì fino al 17 feb-braio.Il Corriere della Sera dal 22 ottobre al 22gennaio, ogni sabato, offre le avventu-re per bambini di Geronimo Stiltondal titolo “Il misterioso manoscritto diNostratopus”.Famiglia Cristiana dal 27 ottobre offrela storia del Cristianesimo, opera enci-clopedica in 14 volumi, dalla fine delloStato Pontificio all’elezione diBenedetto XVI.QN, Il Giorno, il Resto del Carlino, LaNazione offrono ogni lunedì e giovedìpezzi per realizzare un servizio diposate personalizzato con disegni diLeonardo da Vinci. La collezione è persei persone in acciaio bagnato inargento; sette i pezzi. Gli stessi giorna-li offrono dal 12 ottobre la “bibliotecadell’arte”, 20 volumi monograficidedicati a grandi artisti italiani e inter-nazionali. Il primo volume è statodedicato a Leonardo. E dal 29 ottobreal 14 gennaio, ogni sabato, i giornalidel gruppo offrono la guida“Biblioteca del bere”, 12 volumi.

(Sergio Borsi)

Navigando una sera di estate all’inter-no del variegato mondo di Internet,guidato da un motore di ricerca, mi

imbatto, ad un certo punto, in uno strano sitoWeb che risulta essere simile a una pagina diportale telematico per layout (con diversicontenuti disposti su più colonne, una inte-stazione figurativa iniziale e numerosi riman-di ad altri siti) ma, nella parte centrale, conte-nente una serie di pensieri e scambi di opi-nioni. Noto che il contenuto è suddiviso inbase a data e orario di pubblicazione dei testiscritti dall’autore del sito, con i più recentiposti all’inizio della pagina e i più datati inbasso. Mentre leggo mi sembra, sempre più,di essere simile a un orientale: se voglio capi-re cosa sta dicendo lo scrittore di questo sitoWeb devo leggere dal basso verso l’alto e nonal contrario, altrimenti perderei tutte le pre-messe che soggiacciono agli scritti nuovi, inordine di pubblicazione. Scorrendo la paginami rendo conto che il sito Web dell’autore èiniziato nel novembre 2003, esattamentedomenica 30 novembre alle 22 e 42. Capiscoche il sito è gestito da due autori e quelle cheleggo sono le confidenze amorose di unacoppia di amanti (reali), del loro desiderio dicondividere i loro sentimenti, pur se a unadistanza di centinaia di chilometri, resi vicinidall’ambiente telematico. Ma ciò che mi col-pisce maggiormente è proprio come inizia illoro sito Web, l’immenso potere che Internet

possiede nel rendere visibile e invisibile iden-tità e pensieri di una persona. Scrive uno deidue: “Non so come prenderai questa crea-zione, mi auguro solo di non far troppidanni… io vorrei solo che tu non ti sentissitriste... se questo può aiutarti a non farti sen-tire triste allora che questo blog viva e crescacon noi! Al contrario se avvertirai una qua-lunque emozione negativa che muoia nell’at-timo esatto in cui ti farà del male! Come vediho preso un templates di quelli gratuiti, ci homesso un po’ per capire come funzionasse iltutto ma alla fine è andata :) certo forse nonsarà la copertina che avresti scelto tu o chemagari avremmo potuto scegliere insieme manon credo sia una dramma, potremmo cam-biare la copertina a nostro piacere, quando lodesidereremo e potremo renderlo sempre piùbello e ricco di noi. Quello che ti chiedo èsolo questo: fa che sia solo nostro, per favo-re non dirlo a persone che entrambe cono-sciamo io non voglio che la nostra intimità siasotto gli occhi di altri... potresti obiettaredicendo che lo è già, ma un conto è il pensie-ro di chi passa a trovarci casualmente e cilascia un segno del suo passaggio ed unconto è chi invece viene appositamente a leg-gere i nostri pensieri, le nostre confidenze, lenostre speranze che proprio perché nostrenon possono esser comprese da altri... io nonmi sento di condividere il nostro intimo, nonso se sono riuscita a spiegarmi” .

Professione

Blog e mass media: connubio possibile?Idee, riflessioni e informazione sul web

di Igor Scognamiglio

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L’agenda personaleBlog? Mi trovo in un cosiddetto weblog, cioèin uno di quei diari in rete in cui le personepossono dire tutto quello che gli pare (davve-ro proprio tutto): idee, pensieri, riflessioni,informazioni, storie finte o reali, articoli ededitoriali, studi, relazioni, fatti della propriavita e sogni notturni, creare collegamentiipertestuali a quanto dicono altri autori diblog (i cosiddetti bloggers), aggiungere com-ponenti multimediali (immagini, fotografie,suoni o video). Insomma il weblog (contra-zione delle parole Web e Log - dal verboinglese to log che significa appunto tenere undiario di bordo) o, nella sua forma contratta,blog, è una sorta di agenda personale tipo“Smemoranda” visibile e leggibile da chiun-que entri in contatto con esso (potenzial-mente l’intera popolazione mondiale chenaviga su Internet). I contenuti che il bloggerpubblica vengono archiviati automaticamen-te dal programma che gestisce il suo blog, inmaniera univoca e permanente. Non solo: lastessa creazione e pubblicazione sono di unaimmediatezza estrema, proprio perché il soft-ware è concepito in maniera tale che l’autoresi possa concentrare sul contenuto e nonsulla forma del suo contenitore (magari uniniziale investimento di tempo dovrà dedicar-lo nella scelta del templates - cioè della grafi-ca di fondo del sito Web - e delle componen-ti aggiuntive che il software di gestione del-l’ambiente telematico gli offre). Il blog èquindi un diario personale senza lucchetto,accessibile a tutti coloro che si imbattono inesso e con esso vogliono interagire: infattichiunque ha la possibilità (offerta o menodall’autore del blog) di lasciare un commentoa ciò che egli pubblica sul suo diario in rete.In questo modo attorno agli scritti dell’auto-re (detti anche post) comincia a ruotare unacomunità di persone che possono essere inte-

ressate a quanto egli scrive, in maniera più omeno stabile, interagire con esso e lasciare, sene ha voglia, altrettanti commenti: nasce cosìla blogosfera, cioè la comunità formata dacoloro che scrivono i blog e da coloro che lileggono e li commentano. Una comunità cheormai solo in Italia conta diverse centinaia dimigliaia di appassionati, che interagiscono inmodi, tempi e forme diverse sul mezzo piùinnovativo in fatto di tendenze: Internet.

Blog e giornalismoSecondo una esaustiva classificazione diRoncaglia il blog si distingue per natura e spe-cificità; così egli individua: blog di rassegna edi segnalazione, di commento, di narrazione(e affini), blog di progetto, collaborativi oblogzine, e, come forme evolute e, in parte,ancora agli albori, i photoblog, gli audioblog,i videoblog e i moblog (o mobility blog) .Se consideriamo le prime forme di blog indi-viduate da Roncaglia, un primo incontro trablog e mezzi di comunicazione di massa si èavuto quando giornalisti potenziali e profes-sionisti hanno cominciato non solo ad inte-ressarsi all’ambiente di Internet, ma lo hannocominciato ad adoperare per tenere delle lororubriche quotidiane su eventi e persone,senza dar conto a editori o direttori di testa-ta. A dirla con Maurizio Dovigi “il blog è l’e-ditoria del popolo per il popolo. Oggi, graziea questo nuovo strumento editoriale, chiun-que può esprimersi come autore, come scrit-tore, giornalista, esperto di settore” .L’incontro si è trasformato subito in scontro,in quanto una parte del giornalismo profes-sionista non ha accettato che chiunque potes-se dichiararsi tale senza aver fatto praticanta-to presso una redazione, acquisito delle rego-le, sostenuto un esame formale e appartene-re all’ordine dei giornalisti. Secondo LorenzoFacchinotti “i blog possono essere considera-

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ti una particolare forma di giornalismo defi-nito partecipatory journalism e considerato ildiretto discendente di quel civic journalismdiffuso negli Stati Uniti negli anni Novanta,da cui si distanzia tuttavia per l’assenza di uncontrollo redazionale. In questo tipo di gior-nalismo la credibilità e l’attendibilità nonsono più in funzione della presunta adesionea regole codificate e del ruolo ricoperto, madipendono dalla trasparenza della propriaposizione, dalla dichiarazione dei metodi edal frequente confronto con i lettori, inun’ottica per cui il sapere collettivo, ecceden-do quello del singolo, tende ad emendarne glierrori (oltre, aggiungerei, a ri-negoziare ilsignificato degli eventi che sono riportati)” .Per cui, secondo una visione corrente nelmondo dei blogger, essi diffondono, più cheinformazioni, conoscenze sui fatti di cuifanno un resoconto personale; in praticaviene a crearsi un giornalismo dal basso, fattodi scritti di persone comuni che, nei loro diarion line, mischiano racconti di vita quotidiana,vissuta direttamente, al resoconto fatto daaltri, all’interno di un universo di rimandimolto vasto, decisamente in linea con la logi-ca ipertestuale che caratterizza l’informazio-ne solitamente diffusa via Internet.

Il blog di giornali e tvEppure qualcosa sta cambiando, proprio per-ché alcune testate giornalistiche hanno aper-to blog sulle forme on line delle stesse; casiesemplari sono quelli di “la Repubblica”, il“Corriere della Sera”, “l’Espresso” e “il Tempo”.Addirittura nel caso di repubblica.it, il blogviene visto anche come una forma remune-rativa per la proprietà editoriale, visto cheattraverso il portale Kataweb vengono pro-poste delle soluzioni per la creazione di bloga pagamento. Mentre un buon caso di uso delblog come forma di “giornalismo partecipa-

tivo” è data dal sito de “l’Espresso” in cuivengono affrontate tematiche differenti inaltrettante rubriche.Se ci spostiamo dalla stampa alla televisione,una evoluzione molto importante del ricono-scimento del blog come nuova forma di par-tecipazione del pubblico nella costruzionedei contenuti è offerta da alcune broadca-sting company americane, che hanno decisodi costruire dei portali telematici che hannole caratteristiche proprie del blog, mantenen-do la logica produttiva della televisione.Ultimo caso, in ordine di tempo, è la nascitadi “Current TV”. Una cordata di imprendito-ri americani che operano all’interno del mer-cato dell’intrattenimento (tra cui il fondatoredi Real Network Robert Glaser, l’ex direttoredi Aol Time Warner e creatore di MTV BobPittman, l’ex patron della Warner HomeVideo, Warren Lieberfarb e l’ex vice presi-dente americano, Al Gore) hanno acquistatouna piccola emittente americana e la stannotrasformando in una user generated contenttelevision, cioè in una televisione i cui conte-nuti sono realizzati dagli stessi telespettatori.Dietro “Current TV” c’è una tradizionaleredazione che seleziona i filmati inviati dagliimprovvisati videoreporter e telespettatori,quindi li ordina secondo una determinato cri-terio e realizza un palinsesto giornaliero cheviene trasmesso sia via etere che via Internet.In questo modo i costi di produzione sonoridotti al minimo e i proventi pubblicitari tra-sformati, per la maggior parte, in utili.In Italia un simile tentativo è in corso con“BlogTV” di “NessunoTV”, un editore mul-timediale che già altre volte ha sperimentatola fusione di diversi linguaggi. “BlogTV” haraccolto molti consensi nel vasto mondo deiblogger: si va dai videoamatori che inviano leloro riprese ai giovani artisti che sperimenta-no nuove forme di videoarte e desiderano

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mostrarle on line, fino a neogiornalisti, oaspiranti tali, che inviano i propri contributifilmati trovando un modo per farsi conosce-re, uscendo fuori dalle logiche di selezioneche impone il sistema del broadcasting televi-sivo. Mi sembra, però, che in queste speri-mentazioni, non vi sia nulla di nuovo, vistoche non fanno altro che trasportare da unmezzo di comunicazione (la televisione)all’altro (Internet) la stessa logica produttiva.In effetti, questi siti Web ad alto contenutomultimediale, vengono investiti di una aura diinnovazione sociologica e di portata mediati-ca fuori dal comune. Ritengo invece, chedepauperino il vero spirito che caratterizza ilblog in quanto tale: cioè quella di porre inrelazione la voglia di comunicare di un singo-lo autore che desidera esprimere le proprieopinioni ed emozioni o raccontare accadi-menti della propria esistenza, in qualsiasimodo lo ritiene opportuno (cioè attraversotesti, immagini, fotografie, suoni, video) econdividerla con altre persone, avendo daloro un, eventuale, riscontro.

Gli autori del blogIl blog è di sua natura una forma autorialemolto forte, in cui è proprio la figura dell’au-tore a essere centrale, così come lo è statonella letteratura moderna fino all’avvento diInternet. Nel blog testo e autore sono intrin-secamente un tutt’uno, perché in questo casoegli è anche editore e distributore di se stes-so. Anzi, i suoi potenziali lettori, sono alla suamercé! Provate a creare un blog, tenetelo invita per diversi anni, formate un nutritonumero di appassionati lettori. Poi decidetedi cancellare con un semplice clic tutto quan-to avete creato fino a quel momento dallamemoria del server presso cui è ospitato ilvostro blog. Eliminate anche le possibili con-nessioni ipertestuali in Internet che rimanda-

no ad esso. Cosa accadrebbe a quel popolo dilettori, cosa si troverebbero sul video da leg-gere o vedere? Il nulla!Il nulla è ciò che oggi trovano tutti coloro chedigitano in Internet l’indirizzowww.golem.rai.it. Soprattutto tutti queiradioascoltatori che per anni hanno seguito lavoce di Gianluca Nicoletti alla radio, ognimattina, per poi diventare lettori di quantotrattato nella trasmissione, e dei relativiapprofondimenti, all’interno del sito Web edel blog annesso. “Golem” di Rai RadioUnoè stata una trasmissione radiofonica che, trat-tando di argomenti legati alla comunicazione,ai mass e new media e al loro rapporto con ilpubblico, è riuscita a coniugare bene le carat-teristiche dei due mezzi di comunicazione dimassa (radio e Internet), esaltandone le pecu-liarità di ciascuno di essi. Con questa trasmis-sione il “sacerdote Nicoletti”, proclamatosi“voce del Golem”, conduceva i suoi “adeptiradioascoltatori-lettori” all’analisi, soprattut-to, dell’universo mediatico televisivo. Ed eraparticolare la costruzione stessa del program-ma, di tipo interattivo, multimediale e iperte-stuale. Il processo di costruzione della punta-ta si avviava attraverso gli argomenti presen-tati dall’autore (che forniva il substrato argo-mentativo) per poi svilupparsi, insieme agliascoltatori e ai loro contributi, all’interno delsito Web. Ogni puntata radiofonica diventavaparte del blog della trasmissione, e come talecontribuiva alla costruzione di questoambiente di Internet all’interno del sito Web,alla stregua delle riflessioni scritte da un qual-siasi blogger che tiene un diario di commen-to in Rete, lasciando spazio libero alle rifles-sioni dei suoi lettori (e ascoltatori). In questomodo “Golem” partiva dalla radio, si svilup-pava nel Web e si amplificava nel blog, rige-nerandosi ogni volta in una nuova puntata dadire, distribuire e commentare. La trasmissio-

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ne di Nicoletti trovava nella produzione massmediologia gli elementi di ispirazione e nellecomunità virtuale gli elementi del dibattito,configurandosi come luogo di mediazione trail reale e il virtuale. L’ascoltatore si sentivapartecipe nella costruzione della trasmissionee poteva modificarne la programmazione set-timanale. Infatti, quando il conduttore decisedi far sentire al proprio pubblico la voce stra-ziata dello sgozzamento del cittadino ameri-cano da parte dei ribelli iracheni attraverso laradio, l’indignazione e la protesta della suaplatea furono talmente forti all’interno delblog, da farlo desistere dal proseguire oltre,malgrado la redazione avesse già program-mato il seguito. I “golemaniaci”, cioè coloroche seguivano la trasmissione alla radio ecommentavano il blog relativo, avevano real-mente “voce” (in quanto i loro scritti lasciatisul blog erano letti alla radio come parte inte-grante della puntata), diventando, in questomodo, autori essi stessi, attraverso i lorocommenti, le loro segnalazioni, i loro dubbisull’universo della comunicazione e dei massmedia.La trasmissione di Nicoletti è stato un ottimoconnubio di sinergia tra due mezzi di comu-nicazione di massa, quale la radio e Internet,in quanto è riuscito ad associare in modo per-fetto la funzione informativa del primo allospirito collaborativo che caratterizza il secon-do; ma è finita e con essa la possibilità, pernumerosi radioascoltatori, di partecipare inmodo attivo e diretto a un dibattito sui massmedia. Allo stesso modo si è spento l’amoredi Bum & Crazy, e così il nostro interesse allaloro storia, che, però, rimane lì, immortalataper sempre all’interno di un blog, che nessu-no dei due si è curato di cancellarlo definiti-vamente dalla Rete.

Igor Scognamiglio

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In Francia il 3 ottobre Le Figaro è andatoin edicola con una rinnovata veste grafica,dopo 180 anni di vita. E’ un quasi tabloid,più stretto di 3,5 centimetri, la scrittaEuropa su fondo blu anziché rosso. Nelnuovo formato ci sono più fotografie. Lepagine sono a sei e non più a otto colon-ne. L’inserto dedicato all’economia man-tiene il colore rosa della carta. La primaparte è dedicata alla politica interna edestera, alla società e allo sport; la seconda(Figaro et vous) alla cultura, all’evasione, allamoda, al meteo e alla tv oltre a cronacheleggere. Da conservatore il giornale vuolediventare un giornale aperto, impegnato,liberale ed europeo.Dal 7 novembre cambia anche Le Mondeper rispondere alle tre richieste dei lettori:un giusto peso alle notizie di fronte aun’informazione caotica; le chiavi percapire una società che appare sempre piùincomprensibile; un rapporto più strettofra giornale e lettori. Alla prima paginacon più foto e meno titoli seguono lapagina degli editoriali, un’inchiesta su untema o un personaggio di attualità; poi lepagine internazionali con schede di tiposcolastico, uno spazio dedicato alla scien-za e all’ambiente. Infine la politica france-se, la cronaca nazionale, l’economia, imedia, lo sport. Il giornale avrà anche unaseconda parte di inchieste e di colloquicon i lettori.Passa al formato tabloid (metà del broads-heet) anche The Wall Street Journal nelleedizioni internazionali distribuite inEuropa e in Asia. Nella sua nuova veste ilgiornale economico (fondato nel 1889)vuole anche realizzare una maggiore inte-grazione con i contenuti online. InAmerica il cambio avverrà nel 2007. Oltreal cambio del formato e all’introduzionedel colore, il giornale ha ridotto i testi dieditoriali e articoli di attualità ed ha modi-ficato la titolazione. (Sergio Borsi)

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Se andiamo con la memoria alle pubblici-tà di internet e di telefonia mobile dellaseconda metà degli anni Novanta, vedia-

mo persone che passeggiano su spiagge eso-tiche in mezzo a una natura maestosa mentreconversano con qualcuno che si trova dall’altraparte del globo, oppure managers e imprendi-tori immersi nel verde di una serena e quietacampagna mentre, sorseggiando una bibita ,gestiscono affari su scala planetaria grazie alloro portatile connesso a internet ventiquattroore al giorno, sette giorni la settimana.Tutto questo è un bluff che alcuni esperti dicomunicazione avevano intuito sin da allora,inascoltati dall’opinione pubblica. Sarebbebastato vedere le priorità con cui è statainstallata la fibra ottica, tendenzialmente:Milano, Roma, Bologna , Firenze, Genova , lascorsa primavera Palermo, la scorsa estatePescara, per scoprire il bluff. Dunque, la fibraottica è stata installata a partire dalle grandimetropoli e via via a scalare. Una stridentecontraddizione rispetto a quanto preannun-ciato da quelle vecchie pubblicità.Contraddizione resa ancora più palese dalriscontro quasi quotidiano, di quanti proble-mi ancora incontrano molti gestori di telefo-nia mobile nel gestire ed assicurare la coper-tura di rete, e quindi la comunicazione, inalcune zone di campagna o montagna.Le città globali di cui parla Saskia Sassen sonosempre più il cuore della nuova economia,dello sviluppo tecnologico e del mutamentosociale. Infatti la varietà di stili di vita , i tenta-

tivi di innovazione incrementale e radicalehanno come sfondo sempre la città globale(New York , Chicago, Londra, Los Angeles,San Francisco, Monaco di Baviera ,Barcellona,Madrid, ecc.) una cui caratteristica è l’apertura,quasi famelica, verso l’orizzonte del possibile.Richard Florida lo spiega bene nei suoi studisulla classe creativa e sulla capacità di questaclasse di unire alta tecnologia, velocità ,preci-sione, stili di vita molto diversificarti e talentonel produrre ricchezza dalla conoscenza e dal-l’intangibile.Come dice il proverbio “non è tutto oro quel-lo che luccica” ma , aggiungo io, se non lucci-ca certamente non è oro. Ciò che intendo èche non vi è sviluppo socio-economico-tecno-logico al di fuori dalle grandi città globali manon basta essere una grande città per essereglobale motore di sviluppo socio - economico-tecnologico. Ogni città, anche di grandi dimen-sioni, che si ancori e si chiuda nella propria tra-dizione, rifiuti l’orizzonte globale, si abbandonia voyeuristiche osservazioni del proprio passa-to e della propria cultura ovviamente mitizzan-dole, è fuori da quel circuito di sviluppo.Il fatto di avere milioni e milioni di abitanti nonfa di Città del Messico, ad esempio, una cittàglobale benché una città globale per essere taledeve aver un numero di abitanti ampiamentemisurabili in cifre a sei zeri. Un altro bluff delrecente psassato era il detto “small is beautiful”che attribuiva ai piccoli centri semiurbani ealle PMI una capacità di sviluppo che maihanno dimostrato. Chiunque conosca un po’

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di Andrea Pitasi

Is Small Beautiful? : Il grande bluff del territorionell’epoca della comunicazione globale

di economia sa che la PMI e i piccoli centrihanno ragione di esistere come forme evoluti-ve dinamiche (cioè tendenti a diventare cittàglobali, multinazionali,ecc.) ma non comesistemi di omeostasi. Il piccolo-medio impren-ditore che stabilizza il proprio business in unanicchia con una rete di clienti, partners e for-nitori relativamente chiusa, diventa un frenoallo sviluppo perché sarà molto più preoccupa-to di mantenere ciò che ha piuttosto che diespandersi. Discorso analogo vale per i piccolicentri intrinsecamente xenofobi quando sitratta di “close the deal” con sconosciuti,benché a parole oggi si professino tutti, oquasi, cosmopoliti.Ormai è quasi un cliché sostenere che gli USAsiano una sorta di specchio del futuro (in unarco di circa un ventennio) dell’Europa.Seguendo questo cliché, il quadro non è pernulla rassicurante in quanto gli USA di oggisono al bivio tra una nuova fioritura socio-economico-tecnologica( rappresentata appun-to dalla Manhattan newyorchese e dall’ areaavente per fulcro la South Michigan Ave diChicago) e il grigiore della piccola comunità,della chiusura etnoantropologica nelle campa-gne, nei rituali religiosi , nella caccia alle stre-ghe come chiusura e sospetto xenofobo versol’alterità. E Napoli in questo scenario comepotrebbe evolvere? In un breve scritto come questo debbo ovvia-mente essere sintetico e schematico per cuicerte dicotomie che mi accingo a illustrarevanno intese in modo più elastico di come leesporrò tra poco, tuttavia vanno consideratecome punti cardinali entro cui muoversi.Nello specifico ho individuato, e illustro qui diseguito, quattro punti cardinali:

Identità etno-antropologico cultural-tradi-zionale vs individualità globalizzata.Se si getta un’occhiata alla tradizione culturale

napoletana si vedono influenze mediterranee efrancesi ,in primo luogo. Se però si conside-rano invece oggi quali sono i motori dello svi-luppo planetario ci si rende conto che alcunedelle radici culturali di Napoli ne hanno spessorallentato lo sviluppo. Restare coerenti alla tra-dizione significa talvolta rischiare una lenta,ineluttabile e dolorosa agonia , tradire la pro-pria tradizione significa una morte rapida eindolore,la morte del bruco che in realtà divie-ne farfalla. Riuscirà il bruco napoletano adiventare una splendida farfalla ( più o meno)napoletana ?

Policy delle risorse umane vs politica del-l’occupazioneLa competitività globale richiede forza lavoro acosto, appunto, competitivo. Le politiche del-l’occupazione (il lavoro come diritto all’insegnadel keynesiano “scavare buche, riempirebuche” purché si creino posti di lavoro) nonsempre hanno raggiunto lo scopo, sia perchéspesso hanno determinato un aumento deicosti economici e organizzativi ma anche per-ché hanno impoverito la qualità delle risorseumane attivate. Un discorso che non piace anessuno (neppure a me) ma che invece andràconsiderato tempestivamente è che, in Europain genere e in Italia in particolare, c’è troppapoca disoccupazione e vi sono troppe perso-ne che svolgono attività di nessun valoreaggiunto (tutti lavori operativi che potrebberoessere ridimensionati o eliminati da una tec-nologia semplice, ad esempio, tanti lavori di“intermediazione” in cui il mediatore è super-fluo come nel caso di molti negozianti al det-taglio tranquillamente evitabili tramite e- com-merce -vedasi ad esempio le piccole librerie alconfronto di IBS- ecc). Dato che, con la BCEe l’euro ogni paese ha perso il potere di sva-lutare la propria moneta e l’inflazione,in alcunicasi tra cui rientra anche l’Italia, è andata alle

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stelle, l’unico modo per ridurla è alzare il tassodi disoccupazione.

Policy del territorio vs policy del concettoIl territorio come fonte di vantaggio competi-tivo e come simbolo dell’identità etnica,antropologica ecc.Secoli di vicoli stretti e bui, mura fortificate,arcieri , ponti levatoi, corti e cortili remano,inEuropa, contro la cultura del concetto rispet-to a quella del territorio. Cultura del concettosignifica progettare, creare e inventare laddoveè possibile per esportare e diffondere laddoveè possibile senza particolari attaccamenti terri-torial - comunitario - identitari. Il referendumche ormai venti anni fa emarginò l’Italia dalnucleare ha avuto come esito quello di ren-dere la Francia,piccola potenza nucleare, piùcompetitiva dell’Italia godendone quindi tutti ivantaggi mentre, in caso di incidenti, l’Italiarisentirebbe comunque di tanti svantaggi inquanto il vento radioattivo non si farebbe certofermare dalle dogane. Il recente referendum inmateria di ingegneria genetica ha avuto comesolo esito il fatto che il futuro post-umano sirealizzerà tra Gran Bretagna, USA, Cina ,Indiae Giappone e noi potremo solo subirlo invecedi co-gestirlo (magari rendendolo più pruden-te, con intelligenza).Alcuni parlano di glocalità (intesa come diffu-sione dei localismi in network su scala globale)come alternativa alla dicotomia globale/locale ,questo può essere un buon inizio purché nonsignifichi avviare “guerre del formaggio” (dellatte,del vino, ecc) su scala planetaria in nomedi “prodotti etnicamente autentici”.

Policy della P.A. vs policy del risultatoUna P.A. efficiente e capace è meglio di unaP.A. inefficiente ed incapace. Non occorreun genio per capirlo. Tuttavia il problemac’è: per chi è meglio?

Per i cittadini certamente, ed anche per ammi-nistratori e politici capaci e motivati.Il rischio èche talvolta alcuni amministratori e politici,meno lungimiranti di altri compiano degli erro-ri strategici trasformando al funzione ammini-strativa della P.A. in finalità amministrativa. Seil fine della P.A. diventa quello di amministrarel’esistente, la P.A. diviene presto miope, eimplosiva in quanto avendo come fine la pro-pria riproduzione diverrebbe un grosso frenoallo sviluppo.Come nota giustamente Galgano ,oggi si fasoprattutto shopping di diritti. Il flusso di capi-tale,di idee,ecc. va laddove vi è un sistema giu-ridico snello , semplice ,chiaro e vantaggiosoper gli investitori. Una P.A. troppo arcigna,fiscale, gerarchica, costosa e burocratica ottienecome unico risultato l’allontanare da sé inve-stimenti .Come si muoverà Napoli entro questi quattropunti cardinali ?Lo si vedrà nei prossimi anni….

Quello che invece vorrei evidenziare,infine, è “small is an evolutionary step “ . Piccole città(Chieti, Pescara, Modena, Reggio Emilia ,tanto per fare qualche esempio) stannomettendosi a sistema tra loro creando ateneiche le comprenda (Chieti e Pescara con-vergono nell’Univ G. d’Annunzio, Modenae Reggio E. nell’ateneo omonimo) Altricomuni ancora più piccoli stanno mettendosia sistema tra loro consorziandosi ad esempiotramite la rete dei trasporti ,si spera , preludiodi un’unica conurbazione. Questi sono pas-saggi importanti ma ancora evolutivi nel sensoche in prospettiva una P.A. più strategica nelgestire la comunicazione il territorio sarà unaP.A. di relativamente poche ma assai più nume-rose di oggi, città globali

Andrea Pitasi

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Immagini del terrorismo eopinione pubblica

di Roberta De Luca

Università Lumsa di Roma,Relatori:Prof.Andrea Melodia,Prof.Angelo Paoluzi

Gli attacchi terroristici al cuore degli StatiUniti l’11 settembre 2001 hanno rappresen-

tato un fenomeno comunicativo assolutamentestraordinario e, proprio per questo, una sfida alnuovo modo di fare informazione. Si è trattato,come hanno detto in tanti, di un “super eventotelevisivo” che ha tenuto con il fiato sospeso ilmondo intero.E’ l’argomento della tesi di laurea in Scienze dellaComunicazione di Roberta De Luca, dal titolo “Ilvideo-terrore. Immagini del terrorismo e opinio-ne pubblica”, discussa alla Lumsa, relatori AndreaMelodia e Angelo Paoluzi.Le immagini trasmesse dalla televisione in queidifficili giorni (gli aerei che si schiantavano controi grattacieli di Manhattan, i corpi che cadevano nelvuoto, il crollo delle Torri gemelle, l’attacco alPentagono, il dolore e la disperazione della gente)hanno impresso quella data, e ciò che allora èaccaduto, nel cuore e nella mente di ognuno dinoi in maniera più profonda e forse più duraturadi qualsiasi altro evento. Il compito dei mezzi dicomunicazione di massa è stato quello di cercaredi far capire a un pubblico preso dal panico checosa effettivamente fosse accaduto.Il rapporto tra il terrorismo e l’opinione pubblicaquindi si è rivelato piuttosto complesso e filtratoproprio dall’uso dei mass media. Oggi si parlasempre più spesso di “video-terrorismo” per sot-tolineare il fatto che la televisione e le sue imma-gini sono diventate la nuova arma psicologica che

i maestri del terrore usano, facendo leva sui senti-menti e sulle emozioni più profonde, per condi-zionare gli spettatori e raggiungere i loro scopi.Oltre l’attacco alle Twin Towers di New York,altri drammatici eventi sono stati ripresi e tra-smessi dalle televisioni di tutto il mondo, colpen-do l’immaginario collettivo. I mezzi di comunica-zione di massa sono così stati ritenuti i potenti einconsci amplificatori del terrorismo, la cui effica-cia dipende dalla capacità di comunicare unaminaccia e instillare il panico.Siamo entrati in una fase di mutamento storicoall’interno del quale i mass media non svolgonopiù un ruolo di semplice mediazione o testimo-nianza, ma si attribuiscono la costruzione di un’o-pinione pubblica chiamata a partecipare ad even-ti mediali destinati ad influire sulla sorte di milio-ni di individui.L’eversione utilizza i mass media come “cassa dirisonanza” in modo che la minaccia terroristicasia amplificata e drammatizzata. Gli attacchidell’11 settembre sono la prova di come ci si siaserviti dei mezzi di comunicazione di massa, e inparticolare della tv, per dare vita ad uno spettaco-lo “in diretta” che spaventasse e avvincesse altempo stesso. L’attacco alla prima torre è avvenu-to infatti circa venti minuti prima di quello allaseconda, per fare in modo che, al momento delsecondo impatto, ci fosse la più alta audience tele-visiva. Si è saputo sfruttare così le potenzialità delmedium televisivo e si è dimostrato che i terrori-sti la loro guerra non la combattono solo con lebombe, ma anche attraverso un sapiente uso del-l’arma delle immagini.Certe sequenze televisive, piuttosto forti e tra-smesse in diretta, hanno un sicuro impatto suglispettatori, tanto più se sono mandate in ondasenza alcuna mediazione giornalistica che aiuti acomprendere meglio l’accaduto.Oggi il mondo dell’informazione è sempre piùcondizionato dal fatto che conta arrivare perprimi alla notizia: la strategia del “video-terrori-

Tesi di laureaDESK

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Tesi di laurea DESK

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smo” è amplificata proprio da questa necessità.Da qui lo scopo primario degli strateghi dellapaura è catturare l’attenzione del pubblico, pun-tando sempre di più su azioni particolarmentespettacolari.Dall’11 settembre l’immaginario collettivo non èpiù lo stesso, e con i successivi attacchi si è origi-nata una vera e propria “psicosi”, portando a per-cepire la realtà come gravida di minacce: ci siguarda continuamente intorno nei posti che nonsi conoscono e ci si sente più insicuri nei luoghiparticolarmente affollati.Le conseguenze del terrorismo sull’opinionepubblica sono sostanziali e spesso legate al tipo didisponibilità che mostrano gli spettatori nei con-fronti dei mass media. Uno spettatore tele-dipen-dente, che vive solo di immagini e che non ha altrimezzi di informazione diversi dalla tv, subisce uneffetto forte dall’immagine terroristica, mentreuno spettatore più critico, che non utilizza solospettacoli televisivi, ma si documenta anche sualtre fonti, dall’immagine violenta subirà unimpatto meno negativo perché egli avrà unavisione più oggettiva della realtà. Del resto, la ripe-tizione continua di certi messaggi può da un latoalimentare i timori della gente, ma dall’altro puòcreare una sorta di “assuefazione”. Se all’inizioimmagini-shock possono colpire, a lungo andarenon fanno più notizia, perché ripetute infinitevolte finiscono per perdere la loro iniziale caricaansiogena.L’antidoto allo “spettacolo dell’orrore” è unsistema informativo meno condizionato dallavelocità, dalla spettacolarità e dalla frenesia:un’informazione corretta e completa non habisogno di dettagli raccapriccianti o tali da lede-re la dignità delle vittime, ma dovrebbe punta-re, invece, su una comunicazione dettagliata emeno approssimativa.Un altro antidoto si dovrebbe cercare nella quali-tà dello spettatore, cioè nella sua formazionesociale e nella sua educazione. Forse è difficile

ottenerlo, ma il pubblico dovrebbe essere piùattento e scrupoloso nell’acquisire certe informa-zioni, sforzandosi di capire le regole dei massmedia e prendendo le distanze dagli aspetti piùplateali della tv, attraverso un atteggiamentomeno passivo.La sfida che la società ha davanti a sé è di riuscirea ragionare con la propria testa senza lasciarsiinfluenzare da facili sensazionalismi.

L’identità dei settimanalidiocesani nella prospettivastoricaDa fogli del movimento cattolico a stru-menti di partecipazione e formazionedi Michela Cubellis

Università LUMSA di RomaRelatori: Prof. Francesco Malgeri e Prof.Angelo Paoluzi

Nell’era del villaggio globale invasa da un’in-finità di notizie e di immagini - è strano

dirlo - un problema fondamentale resta quellodella comunicazione. Fare un giornalismo chesi ponga come uno strumento di “comunione”tra le persone e che sia collegato in manieraconcreta al vissuto della gente è paradossal-mente difficile e, nello stesso tempo, urgente. Isettimanali diocesani, alla luce di una lunga tra-dizione a servizio dell’informazione nellaChiesa locale, si collocano nella moderna sfidadei media in una posizione di “avanguardia”. E’quanto sostiene la tesi di laurea dedicata al ruolodella stampa diocesana, realizzata per la cattedradi Storia del giornalismo della facoltà di Scienzedella comunicazione della Lumsa.Il lavoro analizza la storia dei giornali dellenostre diocesi partendo dalle loro origini otto-

centesche per giungere all’attualità ed individuain questo cammino, che si intreccia con ildibattito dei cattolici sulla società civile, duecostanti: l’impegno per la partecipazione dellagente alla vita del Paese e quello per la diffu-sione di un’opinione pubblica cristianamenteispirata.E’ un giornalismo dal volto insolito ad emer-gere dalle pagine dello studio. 150 settimanali,che con canoni “alternativi” di scelta e costru-zione della notizia hanno saputo essere piena-mente giornali della gente, dando voce ai sog-getti che più correvano il rischio di finire aimargini del sistema democratico, o del circuitoinformativo: le famiglie, il Terzo mondo, ipoveri, gli operai, gli stessi abitanti del territo-rio locale. In tale ottica i settimanali hanno resole loro pagine uno spazio per la condivisionedei problemi delle comunità diocesane e dellaChiesa universale. Nello stesso tempo hannoproposto letture dell’attualità ispirate alla lucedel Vangelo ricercando di epoca in epoca solu-zioni improntate alla solidarietà e alla promo-zione umana.Fogli di collegamento del movimento cattolicointransigente, già nel periodo della RerumNovarum essi diffondevano una propostademocratica, per quegli anni coraggiosa, chedifendeva la sovranità del popolo valorizzandoil ruolo delle autonomie (cooperative, casserurali, famiglie ed enti locali). Poi, con nascitadella Federazione italiana dei settimanali catto-lici negli anni ‘60, hanno acquisito progressi-vamente l’identità di “voci critiche” sul territo-rio. Dal loro osservatorio a contatto con la vitadelle comunità locali, si sono rituffati nella bat-taglia per la promozione della gente comuneche, questa volta, in un nuovo clima culturale,era lo stesso sistema dei media ad emarginare.Problemi della salute, della cassa integrazione,del decentramento, dei drogati, dei barbonisono stati i temi di un giornalismo che attra-

verso un modello di “informazione orizzonta-le ha dato voce alla gente, piuttosto che allapolitica del Palazzo.Posta al crocevia del dialogo tra la Chiesa eil mondo, la stampa diocesana oggi si avviaad una lettura sempre più completa dell’at-tualità allargando la visuale sugli eventinazionali, europei e mondiali. In questaofferta più ricca conserva il suo stile origi-nario di “stampa alternativa”, come eviden-zia l’inchiesta su 12 testate.I settimanali delle diocesi continuano ad infor-mare su ciò che a causa della “globalizzazionedella comunicazione”, fa meno notizia: daitemi della famiglia, più che mai percepita come“soggetto debole”, ai conflitti dimenticati delTerzo mondo, fino alla stessa vita della Chiesa,spesso raccontata altrove secondo letture pre-giudiziali e parziali. A fare maggiormente l’im-portanza dei giornali diocesani è però lo sguar-do sui fatti, che non si ferma al freddo dato dicronaca o all’evento che esce fuori dal norma-le, ma cerca di stimolare il coinvolgimento dellettore nei problemi.Sono peculiarità giornalistiche preziose nelpanorama attuale dei mass media, i quali oggida un lato, corrono il rischio di rimanere stac-cati dalla vita concreta della gente e da un altro,sono interpellati dall’urgenza di educare a valo-ri condivisi. Grazie alla sua identità originale lastampa diocesana risponde anche alla modernasfida della Chiesa, lanciata dal Progetto cultu-rale e raccolta dal recente Direttorio sullecomunicazioni sociali, di annunciare il Vangeloscegliendo come canali privilegiati la cultura ela comunicazione. Un orizzonte nuovo, chevede i settimanali impegnati in sinergia con glialtri media cattolici in un giornalismo “alter-nativo” capace di andare oltre la notizia percomunicare all’uomo e per formarlo.

DESK Tesi di laurea

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DESK

Proposta di legge, di iniziativa parlamentare, presentataAC 3663, “Nuove norme per l’esercizio dell’attivitàgiornalistica”, presentata il 7 febbraio 2003 e assegnatain sede referente, alla 7a commissione Cultura dellaCamera dei deputati.

Partendo da alcune sentenze della CorteCostituzionale, vengono preliminarmente

richiamati alcuni principi tra i quali quello cheafferma che, ai sensi dell’articolo 2229 del codi-ce civile, è comunque nel potere del Parlamentostabilire se quella giornalistica sia da annovera-re tra le professioni intellettuali per l’eserciziodelle quali è necessaria l’iscrizione in appositialbi o elenchi nonché la considerazione, nonmeno importante, per la quale è opportuno “chei giornalisti vengano associati in un organismo che, neiconfronti del contrapposto potere economico dei datori dilavoro, possa contribuire a garantire il rispetto della loropersonalità e, quindi, della loro libertà”.D’altro canto il firmatario del disegno di leggeevidenzia anche alcuni aspetti negativi dell’at-tuale disciplina, e in primo luogo indica quellorelativo all’accesso alla professione in quanto, acausa dell’istituto del praticantato, sono gli edi-tori a stabilire chi può accedere alla professionementre occorre ristabilire una situazione diparità di condizione e di opportunità tra tutticoloro che aspirano a diventare giornalisti.È indispensabile, inoltre, puntare ad una mag-giore qualificazione professionale nel settore ea tal fine la strada della preparazione universita-ria e post universitaria viene indicata come lapiù idonea. La proposta di legge, innanzitutto,definisce l’attività giornalistica e istituisce ilConsiglio dei giornalisti, che sarà presieduto dalpresidente dell’Autorità per le garanzie nellecomunicazioni, che ha il fondamentale compi-to di gestire un nuovo organismo, l’Agenzia

nazionale per l’informazione, che assicura l’au-togoverno e l’autodisciplina dei giornalisti etiene l’Albo unico dei giornalisti la cui iscrizio-ne è indispensabile per l’esercizio dell’attivitàgiornalistica. Poi vengono enunciati i diritti ed idoveri dei giornalisti riprendendo il contenutodell’omologo articolo della legge n. 69 del1963.Come requisito per l’iscrizione all’Albo è richie-sto il conseguimento della laurea di giornalismoo di un’apposita specializzazione post universi-taria, il cui accesso andrebbe riservato a laurea-ti in materie umanistiche o giuridico-economi-che (!). È inoltre previsto che, all’interno delpredetto corso, vi sia anche un periodo obbli-gatorio e della durata di almeno dodici mesi dipratica giornalistica presso la redazione di unorgano di informazione. È altresì inserita laprevisione di un regime particolare per gli orga-ni di informazione dei partiti politici: fermorestando il requisito della laurea, coloro chehanno svolto un praticantato di due anni pres-so tali organi possono iscriversi all’Albo anchese non hanno la specializzazione. Un’altra disci-plina particolare è introdotta a favore dei diret-tori delle pubblicazioni di elevato valore socialeo a carattere tecnico professionale o scientifico,edite da associazioni senza fini di lucro, per iquali non vige l’obbligo di essere iscrittiall’Albo, anche se però è prevista l’autorizzazio-ne del Consiglio.È infine istituito il giurì arbitrale per la corret-tezza e la lealtà dell’informazione, al quale i sog-getti che si ritengono ingiustamente danneggia-ti da notizie, articoli e servizi, possono rivolger-si per ottenere la pubblicazione di rettifiche informe idonee a ristabilire presso l’opinionepubblica la loro immagine e dignità.Le disposizioni transitorie prevedono che posso-no chiedere l’iscrizione all’albo anche i giornalistiiscritti nell’elenco dei pubblicisti che risultino tito-lari di contratti di lavoro giornalistico da almenodue anni ovvero che dimostrino di aver ricavatodalla libera professione giornalistica almeno il 60per cento del loro reddito nei cinque anni ante-cedenti alla data di entrata in vigore della legge.

Leggi, decreti e regolamenti

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Uno sguardo in Parlamento… di Giuseppe Nucci

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Treviso- Diritto di cronaca e tutela deiminori: la revisione della Carta di Treviso

Il bilancio della Carta di Treviso, emanataesattamente 15 anni fa, il 5 ottobre 1990,

dall’Ordine nazionale dei giornalisti e dallaFederazione nazionale della stampa, in colla-borazione con enti ed istituzioni della città diTreviso e con Telefono Azzurro, non può checonsiderarsi positivo, pur nella compresenzadi luci e ombre. Lo hanno ribadito autorevoliesponenti del mondo dell’informazione e diquello della tutela dell’infanzia in occasione diun animato dibattito svoltosi proprio aTreviso, nella sala convegni della Casa deiCarraresi, il 5 ottobre scorso.Si è trattato di un momento di riflessione sul-l’esigenza di tutelare in modo sempre piu’ inci-sivo e puntuale i minori coinvolti in episodi dicronaca e spesso in balìa di un’informazionespettacolarizzata e senza scrupoli.Negli ultimi quindici anni, si sono registratetante deplorevoli violazioni ma anche tantilodevoli esempi di rispetto e rigore da partedei giornalisti. La Carta di Treviso, frutto diuna matura e diffusa sensibilità circa il doveredei media di trattare con attenzione le notiziesui minori, di pubblicarne con giudizio le fotoe di diffonderne con scrupolo le immagini,rappresenta un punto fermo nella deontologiadei giornalisti.Il 5 ottobre scorso, dopo tre lustri di positivaanche se discontinua applicazione della Cartadi Treviso, i firmatari si sono ritrovati per dis-cutere del suo stato di attuazione e della neces-sità di un suo aggiornamento.“L’Ordine nazionale dei giornalisti -ha dichia-rato il presidente Lorenzo Del Boca- sul ver-sante del rispetto delle regole deontologichenon ha mai abbassato la guardia, anzi, soprat-tutto negli ultimi anni, ha incrementato gli

sforzi nella direzione di un potenziamento deiprincipi etici. In particolare in materia diminori coinvolti in episodi di cronaca,l’Ordine ha sanzionato con fermezza i suoiiscritti giudicati colpevoli di aver violato leleggi professionali e i codici etici dettati a tute-la della personalità e della dignità dei soggettipiu’ deboli. In un’epoca dominata dalla super-ficialità, dalla compiacenza per il superlativo edalla vigliaccheria di certa informazione versoil destino dei soggetti piu’ indifesi, noi giorna-listi abbiamo il dovere di recuperare credibili-tà, evitando spettacolarizzazioni e privilegian-do la qualità dell’informazione rispetto allaquantità”.Cosimo Bruno, coordinatore del gruppo dilavoro del Consiglio nazionale dei giornalisti“Informazione e minori” che ha elaborato labozza di revisione della Carta di Treviso pre-sentata il 5 ottobre scorso, ha ricordato che l’a-deguamento della Carta a internet e ai nuovistrumenti introdotti dalla globalizzazione nonfarà altro che bilanciare al meglio il diritto dicronaca e i diritti dell’infanzia, anche attraver-so la salvaguardia dell’anonimato. Sulla nuovaCarta di Treviso, che estende all’informazioneon-line le prescrizioni etico-deontologiche giàpreviste per gli altri media, è stato chiesto ilcontributo degli ordini regionali dei giornalisti.Dal convegno di Treviso sono venute anchedue sollecitazioni: la prima, da parte di FrancoSiddi, presidente della Federazione nazionaledella stampa italiana (Fnsi), verso un maggiorecoinvolgimento di Fieg e Upa (associazionedelle imprese che investono in pubblicità)nella definizione di nuove norme etiche suiminori; la seconda, da parte di Vittorio Roidi,segretario dell’Ordine nazionale dei giornalisti,verso un rilancio del ruolo di giurì o organismidi garanzia in grado di esercitare un monito-raggio costante di eventuali violazioni.Franco Siddi, esaltando l’importanza della

deontologia come componente essenziale ecostitutiva della professionalità giornalistica,ha precisato: “Restano purtroppo ancora fuorida un terreno di condivisione diretta ed espli-cita di responsabilità, soprattutto rispetto aiminori, due soggetti di non poco rilievo. Miriferisco, da un lato, alla Fieg, per la carta stam-pata, ed all’Upa, l’associazione delle impreseche investono in pubblicità, dall’altro.Quest’ultima, che rappresenta il motore eco-nomico e finanziario di tutto il sistema dellacomunicazione, avanza l’obiezione che, perquanto la riguarda, sotto il profilo etico esistee funziona il giurì dell’autodisciplina. A mepare davvero che il giurì sia sì un organismo disicuro valore e di lunga esperienza, ma che siadavvero troppo finalizzato a prevenire e diri-mere le questioni interne al mondo della pub-blicità, con procedure e decisioni che nonsempre avvengono in forme pubbliche.Sarebbe perciò auspicabile che la Fieg e l’Upasi aprissero al confronto diretto con i giornali-sti e con il pubblico, aderendo esplicitamentealle Carte esistenti o anche andando alla defi-nizione di un documento di impegno comune.E questo a partire dal fatto incontrovertibileche il pubblico è sempre più “obbligato” aconsumare insieme informazione, intratteni-mento e pubblicità attraverso un unico atto diacquisto”.Roidi, riprendendo peraltro quanto sostenutoda Siddi, ha sottolineato l’esigenza di coinvol-gere al piu’ presto gli editori nella definizionedi regole etiche e deontologiche sui minori.“Non è possibile -dichiara il segretario nazio-nale- che gli editori non si preoccupino diquello che si pubblica sui loro giornali”.Quanto ai giurì e ai comitati di garanzia, Roidiè stato molto perentorio: “La Carta di Trevisoprevedeva la costituzione di un comitato digaranzia. Dov’è? Se non c’è, cancelliamolo”.Elio Donno, presidente della commissione

ricorsi dell’Ordine nazionale dei giornalisti, hasottolineato, invece, l’importanza di intensifi-care l’azione preventiva, oltre che quella disci-plinare. Fatto sta che, in 15 anni di applicazio-ne della Carta di Treviso, solo 28 casi di pre-sunti abusi nell’esercizio del diritto di cronacain materia di minori sono arrivati in consiglionazionale.Vincenzo Russo, di Telefono Azzurro, hafatto presente che la sua associazione, nata 18anni fa, ha costituito una capillare rete intutt’Italia a sostegno delle esigenze di tutela deiminori ed è pronta a condividere ulteriorimomenti di riflessione con i firmatari dellaCarta di Treviso, in vista di un suo aggiorna-mento. “Tuttavia -ha ricordato Russo- le tute-le attuali si sono dimostrate sin qui insuffi-cienti, i media hanno un ruolo sempre piùimportante nella crescita e nello sviluppo deiminori. Però, ci sono alcuni strumenti che sipossono utilizzare, come gli ascolti telefonici,tra cui il nostro numero di emergenza 114,dove si possono segnalare le violazioni”.Da questo punto di vista, si segnala la signifi-cativa mole di lavoro del Comitato “Tv eminori”, presieduto da Emilio Rossi e istituitosulla base del Codice di autoregolamentazione“Tv e minori” varato nel novembre 2002.Quel comitato ha accertato ben 67 violazionigiornalistiche in materia di minori, tutte resepubbliche attraverso lo strumento televisivo.Al convegno di Treviso del 5 ottobre scorso èintervenuto anche Mauro Paissan, componen-te dell’Autorità garante per la privacy, che haauspicato un limitato ampliamento della Cartadi 15 anni fa ed ha dato atto ai giornalisti diessere più responsabili che in passato perquanto riguarda il rispetto della privacy deiminori. “Per quanto riguarda internet -haaggiunto Paissan- l’Autorità ha esteso le sueprescrizioni alla rete, dove le violazioni nonsono mitigate né dallo spazio né dal tempo e

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quindi sono molto più pericolose. L’Ordinedecida in piena autonomia sull’aggiornamentodella Carta, dopo di che riprenderemo un serioe approfondito confronto su questi temi”.Ma per porre le basi di un’informazione real-mente al servizio delle nuove generazionibisogna partire dal mondo scolastico, prepa-rando le nuove leve alla lettura critica e corret-ta dei mezzi di informazione. E’ quanto si pro-pongono l’Associazione Carta di Treviso, pre-sieduta da Tiziano Toffolo, e Mediawatch,osservatorio giornalistico presieduto da MarioFurlan, che hanno presentato al convegno diTreviso il progetto “Media educational”, rivol-to inizialmente a scuole e licei della comunica-zione della provincia di Treviso e, in unaseconda fase, alle scuole di tutt’Italia.

Ruben Razzante

Roma - Quinto Rapporto Censis Ucsisulla Comunicazione in Italia

Acinque anni dal Primo Rapporto sullaComunicazione in Italia, diviene final-

mente possibile avviare una seria riflessioneper comprendere come sia cambiato l’utilizzodei media all’interno della società italiana.E’ stato proprio questo lo scopo dell’incontrodi giovedì 27 ottobre, tenutosi a Roma pressola Sala del Cenacolo della Camera deiDeputati, in cui sono stati presentati i primirisultati dello studio che porteranno alla realiz-zazione del Quinto Rapporto sullaComunicazione in Italia, “2001-2005. Cinqueanni di evoluzione e rivoluzione nell’uso deimedia”. Lanciata la proposta nel congressoUcsi di Bologna, dicembre 1993, dall’allorapresidente Paolo Scandaletti, il Rapporto èstato via via realizzato dal Censis, con la colla-borazione di Rai, Telecom Italia, Mediaset,Mondadori e Ordine dei Giornalisti, rappre-sentati al convegno rispettivamente da Benito

Benassi, Andrea Gavosto, Stefano Gnasso,Luisa Pogliana e Vittorio Roidi. Non potendoessere presente, anche il Presidente dellaFederazione Nazionale della Stampa Italiana(FNSI), Franco Siddi, ha voluto partecipareall’incontro inviando un messaggio ai relatoridella tavola rotonda, in cui ribadisce che “losviluppo dei vari Rapporti UCSI-Censis è digrande significato non solo per gli operatoridel settore ma anche per le classi dirigenti delPaese, del mondo della cultura e della scuola”.Un lavoro molto complesso ed impegnativoche, pur volendo dare una risposta di caratterequantitativo alla fruizione dei media nel nostroPaese, non dimentica l’importanza dell’aspettoqualitativo nella relazione che si instaura tra imezzi di comunicazione e la società civile.Emilio Rossi, Presidente del Comitato Tv eMinori, oltre che consigliere nazionale UCSI,definisce infatti il Rapporto “come una gran-de fotografia dinamica dell’attuale scenariomediatico, che risulterebbe però sterile se nonfosse accompagnata da domande importanti”.Giuseppe De Rita, segretario generale delCensis, apre il dibattito sottolineando comealla moltiplicazione degli strumenti non corri-sponda assolutamente un arricchimento disignificati e messaggi. “Non è una questione dipessimismo intellettuale” - continua De Rita -ma una constatazione. Non c’è coraggio didifferenziarsi dagli altri mezzi, non c’è nessunincremento di valore”.Eppure qualche segno positivo sembra emer-gere: pensiamo, come afferma Rossi, allanascita dei giornali di nicchia per la creazionedi un dibattito politico, che in Italia stenta adaffermarsi, allo sviluppo della free press cheavvicina il mondo dei giovani a quello dellacarta stampata, alla pubblicazione sui grandiquotidiani di saggi e documenti di ampiorespiro.A tracciare un panorama preciso e dettagliato

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dell’uso dei media dal 2001 al 2005 è RaffaelePastore, responsabile del settore Comunica-zione del Censis, il quale evidenzia come inquesti cinque anni il rapporto degli italianicon i media si sia fatto più consistente ediversificato. Aumenta infatti il numero dellepersone che usano anche solo occasional-mente un mezzo (stiamo sempre più diven-tando una popolo di “onnivori” e “pionieri”),mentre per molti di questi si registra un incre-mento degli utenti abituali (ci si riferiscesoprattutto al cellulare, ad internet, al com-puter e alla tv satellitare).Ma oltre a sottolineare l’aumento quantitativodell’utilizzo dei media, Pastore tiene a mette-re in risalto come l’evoluzione tecnologica, cheha toccato tutti mezzi, anche se in modi e pro-porzioni differenti, si leghi profondamenteall’aspetto qualitativo del fenomeno.L’evoluzione, come recita il titolo del QuintoRapporto, non può che accompagnarsi allarivoluzione, che riguarda sicuramente ilmondo mediatico, ma anche e soprattuttoquello sociale.Paolo Scandaletti, direttore responsabile dellarivista Desk, sostiene come questa esigenza difotografare la realtà in rapporto ai media rap-presenti un contributo determinante per queiprofessionisti dell’informazione che si pongo-no il problema di migliorare il proprio “pro-dotto”. “Aumenta per il cittadino medio lafatica di vivere anche per la proliferazione deimezzi di comunicazione” - continuaScandaletti - perché sempre più volgari, super-ficiali, interessati ad imporre il proprio puntodi vista e servili rispetto al potere”. In questocontesto manca, secondo il direttore di Desk,il contributo di molti soggetti importanti, tracui quello della FIEG (Federazione ItalianaEditori Giornali), non interessati a domandar-si se il livello qualitativo offerto sia realmenteadeguato ai bisogni e alle aspettative della

società civile.“Il quadro negativo per molti aspetti - affermaVittorio Roidi, segretario dell’OrdineNazionale dei Giornalisti - mostra anche segnidi vivacità”, fra i quali non deve essere trascu-rato lo stimolo a rispondere ed interpretare lanuova realtà mediatica di fronte ad un cittadi-no che diventa sempre più “multimediale”.L’incremento dell’uso abituale dei media digi-tali viene evidenziato inoltre da AndreaGavosto, responsabile Studi economiciTelecom Italia, anche se si tratta logicamentedi una fruizione sovrapposta e non alternativaa quella dei mezzi tradizionali.Benito Benassi e Stefano Gnasso, responsabi-li rispettivamente del Corporate Marketing Raie della Struttura Scenari RTI, sottolineano,infatti, come il ruolo della televisione generali-sta sia tutt’ora fondamentale all’interno dellasocietà italiana e come la sua funzione socia-lizzatrice, svolta principalmente attraverso ilgenere dell’intrattenimento, sia in costante cre-scita “per il bisogno di esorcizzare una realtàansiogena e di risolvere tutta una serie di tur-bamenti esistenziali”. A questo proposito,Luisa Pogliana, direttore Ricerche e Analisi diMercato Mondadori, sostiene che “il consumodei mezzi di comunicazione diventa sempremeno massificato consentendo un rovescia-mento tra domanda e offerta, ma soprattuttola possibilità di soddisfare necessità ed aspetta-tive individuali”.Conclude il dibattito Giuseppe Roma, diretto-re generale del Censis, sottolineando cometutti i Rapporti sulla Comunicazione in Italiaabbiano colmato una necessità di sintesi mani-festata non soltanto dai professionisti dell’in-formazione. Secondo Roma, inoltre, non è piùpossibile limitarsi a demonizzare il mondo deimedia, né a monitorarlo, ma diventa necessa-rio aprire una relazione, un dibattito fra azien-de ed utenti che vada anche oltre i confini

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nazionali.Il Sesto Rapporto sulla Comunicazione, non acaso, aprirà una serie di studi mirati al con-fronto europeo sull’uso dei media. Un’analisiimportante, quindi, che inevitabilmente per-metterà al dibattito italiano sul sistema media-tico di confrontarsi ed arricchirsi.

Camilla Rumi

Lavori in corso di Comunicazione.I curricula alla prova del mercato e lacomunicazione declinata al futuro

“Lavori in corso di comunicazione’ è loslogan, nonché titolo, del 3° IncontroNazionale degli studenti e dei docenti di

Scienze della comunicazione tenutosi lo scor-so 4 novembre presso il quartiere fieristico diBologna, all’interno della XII edizione delCOM-PA, il salone europeo della comunica-zione pubblica. Un convegno che laConferenza nazionale dei corsi e delle facoltàdi Scienze della comunicazione, ha dedicatoalle grandi potenzialità legate all’industria del-l’informazione e della comunicazione, in rela-zione al mondo della formazione universitaria.Momento importante di riflessione sul futurodella comunicazione e confronto vivo ed apertotra esperti del settore, mondo accademico, isti-tuzioni ed imprese, con l’intento di rispondere aquanti aspirano a diventare professionisti dellacomunicazione preparati e competenti, consa-pevoli della responsabilità del proprio ruolo edegli effetti sociali dell’agire professionale.L’urgenza e l’obbligo di affrontare tale tema èemerso dal quadro attuale di indebolimentodelle identità professionali, caratterizzato daun lato da una crescita esponenziale dei curri-cula formativi, e dall’altro da una prospettivadi flessibilità e precariato imposta dal settorestesso e dal mondo del lavoro più in generale.

Nella società attuale, infatti, caratterizzata daveloci cambiamenti nella domanda di profes-sionalità sempre più specializzate ed adattabilialla nuova economia, emerge la necessità difornire risposte adeguate e coraggiose attra-verso interventi strutturali e organizzativi chedebbono coinvolgere istituzioni, docenti edesperti del settore.L’incontro si è aperto con il saluto ai presentidi Alessandro Rovinetti, segretario generaledell’Associazione italiana comunicazione pub-blica e istituzionale, che ha affermato: “La miaassociazione ritiene gli studenti di comunica-zione non solo i protagonisti degli importantiprocessi in atto ma anche nostri importantialleati”. A seguire l’incontro è stato ufficial-mente aperto dalla lezione magistrale diGianfranco Bettetini, Università Cattolica delSacro Cuore di Milano, dal titolo “Comunicazionecon vista sul lavoro”, che ha definito il ruolodella comunicazione ribadendone l’importan-za e tracciandone il legame con il mondo dellavoro. Quattro i possibili approcci al mondodei media individuati: il lavoro nei media, suimedia, sollecitato dai media e rappresentatodai media.L’introduzione ai lavori è spettata al presiden-te della conferenze nazionale delle facoltà e deicorsi di laurea di Scienze della comunicazioneMario Morcellini. Il suo auspicio, definendo igiovani studenti ‘un capitale sociale’ sia per ilvalore delle loro tesi, sia per il loro impegnocome laureti, è stato quello di poter costituireuna reciproca alleanza tra docenti e studentiche offra la possibilità di affacciarsi con piùforza ed efficacia sul mercato del lavoro.La manifestazione si è articolata secondo duearee tematiche: “I curricula alla prova del mer-cato” e “La comunicazione declinata al futu-ro”. Sulla prima parte a confronto le idee diSergio Scamozzi, Università di Torino, e i datidi Andrea Cammelli, di Alma Laurea. Il primo

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individua nel concetto di innovazione (tecno-logica, sociale e nei mercati) la chiave per leg-gere il mondo della comunicazione: “Bisognadare spazio alla qualità e alle diversificazionidei percorsi formativi, aprendosi agli scenariinternazionali ed investire in quei settori in cuila comunicazione ha subito negli ultimi annil’impulso maggiore”. Il secondo ha fornito,invece, un quadro della situazione del mercatodel lavoro rispetto alle lauree in Scienze dellaComunicazione, prima e dopo la riforma.Emergono, a tale proposito, dati piuttostoconfortanti che dimostrano come i laureaticompletino il loro percorso di studi in tempibrevi e con ottimi risultati, e come possiedanocapacità tecniche e linguistiche utili all’inseri-mento nel mercato del lavoro. A un anno dallalaurea 72 ragazzi su 100 hanno un lavoro, a treanni sono 91 su 100. Dopo 5 anni solo il 5%è ancora senza lavoro. Lo sbocco privilegiato èla pubblicità (lavora il 15% dei 5.000 laureaticampione dell’indagine). Solo il 2,2% accedealla professione giornalistica.Coordinatori della seconda parte, “La comu-nicazione declinata al futuro”, LucioD’Alessandro, Università degli Studi SuorOrsola Benincasa di Napoli, e GiovanniBechelloni, dell’Università di Firenze. Tanti, aseguire, gli interventi di professori ed esperti delsettore, intervallati dalle testimonianze di giova-ni laureati che hanno sottolineato le difficoltàincontrate e gli obiettivi raggiunti.Tra gli ospiti ricordiamo: Antonio La Spina(Università di Palermo), Maurizio Ciaschini(Università di Macerata), Gustavo Guizzardi(Università di Padova), Pina Lalli (Università diBologna), Lella Mazzoli (Università di Urbino)e Vito Gallotta (Università di Bari - sede diTorino).Massimo Rossi della Enterprise DigitalArchitects, in rappresentanza delle imprese, hasottolineato l’importanza di “passare da una

comunicazione per le masse ad una comuni-cazione che arrivi alle masse”. PierluigiMagnaschi direttore dell’Ansa e AngeloGuerini, della Guerini e Associati Spa, le vociper l’editoria. Magnaschi ha evidenziato l’im-portanza della formazione all’estero e dellaconoscenza delle lingue, l’inglese prima ditutto, ormai conditio sine qua non per i pro-fessionisti della comunicazione, mentreGuerini ha esaltato il ruolo dell’editore non piùsolo come intermediario tra autore e pubblico,ma come selezionatore/programmatore dicontenuti, e come dispensatore di servizi daaffiancare al libro: libro+seminario, libro+lezio-ne. Per il settore pubblicitario la parola a MarcoMagnani della Magnani Pintér Galbiati s.r.l. chespiegato come il futuro della comunicazionepubblicitaria non risieda tanto nella creazione dinuovi linguaggi quanto piuttosto nella capacitàdi liberarsi dalla stretta dei format-media tradi-zionali che diventano sempre più costosi, piùaffollati e meno efficaci. Sulla prospettiva euro-pea la parola è stata affidata a Roberto Grandi(Università di Bologna) che ha ricordato come“oggi una presenza europea, sia nel campo delladidattica sia in quello della formazione, è possi-bile solo se si è all’interno di reti che costituisca-no una massa critica in grado di incidere sui pro-cessi decisionali”.Le conclusioni affidate a Mario Morcellini eMichele Mirabella (Università di Bari).Mirabella esprime le sue preoccupazioni per ilfuturo: “il compito che spetta all’Universitànon è quello di trovare occupazione ma quel-lo di abilitare e dare la techné necessaria perl’ingresso nel mondo del lavoro”. “Ricerca,sperimentazione, formazione. Sono le treparole chiave su cui intervenire per rinnovareil sistema educativo italiano” - sostieneMorcellini chiudendo la giornata di lavori -“La sfida, dunque, è quella di ridisegnare ilprocesso comunicativo approdando ad una

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scuola della modernità in grado di mettersi indiscussione attivando nuovi codici e segniespressivi e capace di fruire dei nuovi mezzi dicomunicazione utilizzati dai ragazzi”.

Ludovica Quattrocchi

Roma - Comunicazione, salute e terapiadel buon umore.

“E’ una sola moltitudine”. Con la celebrefrase dell’illustre poeta Fernando Pessoa,

Aldo Grasso, professore di Storia della radio edella televisione alla Cattolica di Milano, oltreche critico televisivo de Il Corriere della Sera,presenta Antonio Albanese ai ragazzi delprimo anno della Facoltà di Medicina eChirurgia dell’Università Cattolica del SacroCuore.Una presenza che, a prima vista, potrebbesembrare un po’ fuori luogo. Non troppo però,se la comicità del noto trasformista diventafunzionale alla spiegazione dei mali e delle con-traddizioni della società contemporanea.L’incontro, svoltosi lo scorso 10 novembrepresso l’aula Gemelli dell’Università Cattolicadel Sacro Cuore di Roma, rientra - spiegaPietro Bria, docente di Psichiatria nello stessoateneo - in un ciclo di seminari interdisciplina-ri diretti alla formazione filosofica degli stu-denti della Facoltà di Medicina. “Una iniziati-va di notevole spessore - sostiene LorenzoOrnaghi, Magnifico Rettore dell’Università -non solo per i contenuti, ma per come è statapensata e progettata. Riflettendo su come ilmedico debba rapportarsi diversamente aseconda della persona che ha di fronte, ci ren-diamo conto di come i problemi non richieda-no soluzioni univoche: ecco il perché di questiincontri”.Antonio Albanese, attualmente sui grandischermi con il film di Pupi Avati, “La seconda

notte di nozze”, e in giro per l’Italia con il suonuovo spettacolo teatrale, ricevuto dagli stu-denti con una ovazione, mostra subito la suavena umoristica “sono l’unico albanese adessere accolto con un applauso”. La prima ditutta una serie di pungenti battute e criticherivolte ad una società che vive, a suo parere,nel disagio e nella paura, tema principe delseminario.“Tutti i miei personaggi - continua il comico -da Pier Piero ad Epifanio, da Alex Drastico aPadre Perego, da Cettola Qualunque a Frengo,hanno paura, vivono un certo tipo di dispera-zione”. La solitudine, le preoccupazioni perquale futuro potrebbero avere le nuove gene-razioni, le difficoltà, materiali e non, nel creareuna famiglia diventano le angosce di unasocietà intera che ha perso la propria serenità,da intendersi come isolamento e chiusuramentale.“Manca la cultura dello stare bene - sostienel’attore di Olginate - una cultura che non sipuò apprendere e che, tanto meno, il vorticemediatico che ci circonda può pretendere ditrasmetterci”. I mezzi di comunicazione odier-ni vengono infatti visti come degli strumentiirresponsabili ed invasivi, “segnati dalla perdi-ta di gusto e di valore”. Un giudizio piuttostosevero, di cui vengono stemperati i toni quan-do i media, anziché porsi come panacea ditutti i mali, divengono la strada per acquisireuna maggiore serenità nella vita. “La comicitàè una delle forme d’arte più elevate perché èlibertà a 360°” - afferma Albanese - annove-rando la censura come una delle principalipaure della classe politica, non solo italiana.Non sorprendiamoci, quindi, se il protagoni-sta del nuovo spettacolo dell’attore lariano siaproprio “il Ministro della Paura”.Tanti altri ancora gli argomenti toccati dall’ex-comico di “Mai dire gol”: la crisi del teatro, laproblematica dell’immigrazione, del rapporto

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vitale con la terra d’origine, dell’omosessualitàe della mancanza di allegria, anche e soprattut-to negli ospedali, dove invece sarebbe essen-ziale per una totale guarigione del paziente.“Ho molto rispetto per il mestiere del clownin corsia - continua Albanese - pur non cono-scendolo bene, far sorridere i malati li aiutamolto più di quanto potrebbe sembrare aprima vista”.Un piacevole incontro in cui, grazie allasapiente conduzione di Aldo Grasso, AntonioAlbanese è riuscito non soltanto a divertirecon i suoi sketch i futuri medici della Cattolica,ma anche a spronarli a riflettere su moltepliciaspetti dell’era contemporanea, poco serenama sempre pronta a stupirci, proprio come isuoi personaggi.

Camilla Rumi

Mazaro del Vallo- AiartLa famiglia davanti e dentro la Tv

Promosso dall’ AIART, associazione spetta-tori, e sostenuto dall’Ufficio delle

Comunicazioni Sociali della CEI, si è tenuto aMazara del Vallo, nei giorni 30 e 31 ottobre e1 novembre, un interessante convegno nazio-nale rivolto a fornire elementi di riflessionesulla storia del rapporto “Famiglia e TV”, nelleimplicazioni etiche, educative e culturali che daesso discendono ed essere, nello stesso tempo,occasione per progettare iniziative e percorsiformativi. La Regione Siciliana, coinvolta nel-l’iniziativa, ha offerto il proprio patrocinio.Assai numerosa la partecipazione di educatorie di genitori richiamati dall’importanza delconvegno.All’apertura dei lavori hanno rivolto i saluti agliintervenuti il presidente nazionale dell’AIART Luca Borgomeo, il vescovo di Mazaradel Vallo Ecc. Calogero La Piana e il vice sin-

daco della cittadina Natale Russo con gli asses-sori alla Famiglia Salvino Sciacca e alla CulturaIsabella Marcellino. Ha dato anche testimo-nianza di presenza e solidarietà lo scriventenella qualità di presidente per la Regione Siciliadell’UCSI (Unione Cattolica della StampaItaliana) ma anche in rappresentanza della pre-sidenza nazionale.La relazione di introduzione al convegno èstata svolta sapientemente, con il sussidio didiapositive, dal vice presidente nazionaledell’AIART prof Giovanni Baggio. Quindisono state ascoltate, nei tre giorni, coinvolgen-ti esperienze e riflessioni offerte, rispettiva-mente, dal prof. Marcello Soprani (conduzio-ne di una serata di teleforum), dal prof LucaVenzi, dell’Università La Sapienza di Roma(fiction e telefilm sul tema “la famiglia”) e dal-l’ins. Sandra Costa (media education a SanDonà del Piave ).Il convegno, particolarmente positivo, si èconcluso con la relazione di sintesi del prof.Baggio e con il proponimento di prodigarsiancor più per far maturare idonei modelli eticidi riferimento nel rapporto TV- Famiglia.

Filippo Galatà

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LIBRI RICEVUTI:

Paolo Scandaletti, Etica e deontologie dei comuni-catori - Codici e norme nel CD allegato,Edizioni LUISS Press 2005, pp. 170, � 16,50

Carla Bertolo, L’interfaccia e il cittadino, Ed.Guerino, pp.186, � 18,50

Giacomo de Antonellis, Quid est veritas,Discorso su Pilato e sulla comunicazione, Ed. Clubdi autori Indipendenti, pp87, � 10,00

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Ci salveranno le vecchie zie? Leo LonganesiEd. Longanesi 2005, pp. 120 - � 12,00

Parliamo dell’elefante Ed. Longanesi 2005, pp. 198. - � 13,00

Sogni, delusioni e sconfitte nelle lettere inedite di Giuseppe Marotta Salvatore Maffei - Ed.. Emeroteca - BibliotecaTucci 2005 - 180 pag. - fuori commercio

Leo Longanesi e Giuseppe Marotta appar-tengono senza dubbio alla storia del gior-

nalismo sia pure per diverse ragioni. Delsecondo, napoletano, nato nel 1902 si è scor-dato di celebrare il centenario persino ilCorriere della Sera che ne aveva ospitato glielzeviri inimitabili per 21 anni; e la La Stampadalla quale proveniva. Se a Marotta è andatacosì male molta attenzione invece, con arti-colesse e convegni, ha avuto Longanesi;romagnolo nato a Bagnocavallo per l’appun-to nel 1905.Longanesi sta nelle nostre storie per averinventato il settimanale moderno:dall’Italiano, quindicinale 1926, derivano nel‘37 Omnibus per l’editore Rizzoli ed il Borghesenel ‘50, per la sua casa editrice appena fonda-ta. Ma anche Oggi, Tempo, il Mondo, L’Espressoche gli debbono pure l’idea della foto-infor-mazione- commento ed il ventaglio dellerubriche. Mattei per l’Eni gli chiese d’inven-tare la formula del Giorno, dopo aver ottenu-to il simbolo del cane a sei zampe per la suabenzina e i frutti della sua eleganza grafica.Sta nelle storie perché ha abbattuto la scrittu-ra ampollosa e auto-referenziale, a pro di unlinguaggio diretto ed ironico, aperto a tutti edaccattivante, ontologicamente democratico.La sua intelligenza fuor dell’ordinario lo fecemaestro di giornalismo e di giornalismo con-

tro i poteri dominanti, del fascismo e dell’an-tifascismo. Le sue battute fulminanti illumi-nano più dei saggi colti ed autoreferenziali:“cerco amici da consumare”; “il vero napole-tano non chiede l’elemosina, la suggerisce”;“Milano crede di essere Milano, Roma sa diessere Roma”; e di se “sono un carciofinosott’odio”.La terza ragione per la quale Longanesiappartiene alla storia del migliore giornalismoè questa: ha preso di petto l’identità italiana,analizzata e capita come pochi, scossa nellesue debolezze e viltà, spinta all’impossibileriscatto. E la sua classe dirigente, sprovvistadei valori fondanti la dignità, che naviga nel-l’opportunismo e nel consumismo: “una vitaspesa a far la spesa”. Generosamente aggiu-sta persino il timone a Vitaliano Brancati e fal’editing per Alberto Moravia.I due libri ora ripubblicati uscirono nel ‘47 enel ‘53; fatti di note e aforismi, in realtà sonoanche uno spaccato autobiografico e una rac-colta di istantanee della gente che girava perl’Italia in quel tempo: soprattutto del cetointellettuale, figlio della compromissione per-manente asservito al potente di turno, neces-sitato a parlar d’altro (l’elefante) per non cor-rere pericoli.Longanesi è vissuto tra bei nomi e relazionialtolocate, ma è rimasto sostanzialmente unuomo solo. Marotta, solo e abbandonato.Nato povero e cresciuto fra gli stenti, dicarattere triste ed ombroso, è stato un grandeuomo di penna. Partendo da letturista deicontatori del gas, fu giornalista, scrittore, sce-neggiatore. “L’Oro di Napoli”, tirato in 50edizioni e tradotto in 20 lingue, ha generatoanche un film che ha portato nel mondo lesplendide immagini di quel golfo e della suagente, aristocratica e plebea.Il biografo di Napoli è rievocato da Maffeigrazie ai suoi ricordi di cronista principe, a

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puntigliose ricerche e un grosso pacco di let-tere inedite: 16 scritte da Marotta all’amicoMario Capocaccia e a 6 critici letterari, 23 allamoglie e ai due figli e 11 ricevute da altri scrit-tori; alle quali si son poi aggiunte 7 più 7 indi-rizzate ai grandi amici Giovannino Guareschie Cesare Zavattini. Senza contare il carteggiodella Repubblichina di Salò: avendo scritto unappassionato e frizzante elogio della libertàdopo il ribaltone fascista del 25 luglio ‘43,Marotta venne indagato ed espulso dall’Albodei giornalisti, quindi immediatamente licen-ziato dal settimanale di cinema romano per ilquale lavorava. Lavorerà sempre e tanto, masenza alcuna stabilità rasserenante.Ha scritto infatti su tante riviste, sui due piùdiffusi quotidiani di allora; su l’Europeo tenneuna seguitissima rubrica di recensioni cine-matografiche. Nel 1954 la Fiera letteraria, gui-data da Vincenzo Cardarelli e Diego Fabbri,gli dedicò 4 pagine con articoli di EmilioCecchi, Giancarlo Vigorelli, GoffredoBellonci, Salvatore Quasimodo, EnricoEmanuelli, Mario Pomilio, Cesare Zavattini,Giuseppe Berto. Era la consacrazione delgran letterato e del giornalista “consiglierepubblico” come lo definì in morteFerdinando Palmieri.Ma questa storia di Giuseppe Marotta èanche una finestra aperta sulla vita di quelliche vivono di scrittura. Vita ammorbata puredi invidie e omissioni, gelosie e falsi vanti:come quello di Montanelli, d’averlo introdot-to al Corriere nel ‘47, quando c’era entrato,ben prima, chiamato dal direttore Borelli.Vita di valore, misconosciuta soprattutto dal-l’elite intellettuale di quella città che più ditutti aveva disgelato e fatto amare agli italiani.Perché c’era riuscito, lui, raccontandola con lasua inarrivabile pietas e arte letteraria.

Paolo Scandaletti

La conoscenza dei media nella prospet-tiva sociologica.Donatella PacelliEd. Studium, pp. 295, � 22,50

Il volume può essere interpretato come “unviaggio” nel complesso mondo delle comu-

nicazioni di massa e delle sue implicazioni sulrelativo contesto sociale e culturale.L’autrice, Donatella Pacelli, docente diSociologia presso la Libera Università MariaSS. Assunta (Lumsa) di Roma, con uno stilemolto chiaro e comprensibile (il volume èdifatti adottato come libro di testo all’internodel Corso di Laurea in Scienze dellaComunicazione), analizza le diverse forme delcomunicare, con i molteplici aspetti che lecaratterizzano, per soffermarsi sulla comunica-zione messa in atto dai mass media, indivi-duandone struttura, dinamiche e strategie.La centralità del fenomeno all’interno delmutamento sociale e culturale che ha investitoil secolo appena trascorso e quello odierno èindiscussa, ma si pone il problema di com-prendere quale sia la chiave di lettura miglioreper interpretarlo. La stretta interconnessioneesistente tra l’evoluzione sociale, culturale emassmediale rende, infatti, inaccettabile unalettura univoca della realtà creata dai mezzi dicomunicazione di massa. All’idea della dipen-denza si sostituisce quindi quella dell’interdi-pendenza, che considera i media prodotto eallo stesso tempo produttori del contesto in cuisi trovano ad operare. In presenza di una socie-tà a tal punto complessa e di una cultura sem-pre più polisemica è infatti impossibile, comeafferma l’autrice, “parlare di comunicazione dimassa disancorandosi da analisi sociali e cultu-rali del frame di riferimento, vera cartina torna-sole di caratteristiche e ricadute del fenome-no”. Ecco allora che, come recita il titolo delvolume, la riflessione sociologica diventa laprospettiva privilegiata attraverso cui compren-

dere, a livello teorico e pratico, che tipo dicomunicazione e quale cultura veicolino, inquesta postmodernità, i media.Dopo aver ripercorso la storia degli studimediologici dalla loro nascita all’epoca attuale,Donatella Pacelli dedica l’ultimo capitolo ariflessioni più generali che esulano completa-mente dall’ambito della CommunicationResearch.La disparità esistente, all’interno di uno stessocorpo sociale e tra i diversi Paesi del mondo,nella ripartizione del bene comunicazione nonpuò che suscitare inquietanti interrogativi.Anziché rendere universali le possibilità diincontro e scambio, le grandi comunicazionihanno contribuito ad incrementare il già preoc-cupante gap tra i popoli, dotati in manieraimpari di risorse economiche e tecnologiche.Una situazione che nel tempo non potrà cheacuirsi quando i new media espliciterannototalmente le proprie potenzialità.D’altronde la natura stessa dei media, in quan-to comunicazione di una minoranza organiz-zata ad una maggioranza fortemente disorga-nizzata senza, o quasi, possibilità di feedback,pone, in tutta la sua drammaticità, la questionedei rapporti di potere e controllo fra i diversiattori del processo. L’istituzione chiave dellamodernità non poteva di certo non rappresen-tare ed amplificare le ormai radicate contraddi-zioni, relative alla distribuzione del potere, chesi manifestano in tutte le dimensioni della vitaassociata delle società complesse.Questa tendenza alla globalizzazione, suppor-tata anche e soprattutto dai mezzi di comuni-cazione, sembra quindi non dare assolutamen-te i risultati sperati. La tesi di McLuhan secon-do cui alla diffusione su larga scala dei media,ed in particolare della televisione, sarebbe cor-risposta una solidarietà a carattere globale,appare ancora un miraggio.

Camilla Rumi

Comunicare l’innovazioneAndrea Granelli (a cura di) Il Sole 24 Ore, pp. 211, �24,00

Cosa significa essere innovatori? L’inno-vazione è una condizione legata esclusiva-

mente al progresso tecnologico o, piuttosto, lospecchio di un cambiamento sociale e cultura-le? E, si può essere autentici innovatori senzaessere efficaci comunicatori?A queste domande si propone di rispondere ilbel volume curato da Andrea Granelli, che siinserisce nell’ambito di un interessante proget-to, promosso dalla Fondazione Cotec in col-laborazione con Il Sole 24 Ore, il cui obiettivofinale è la diffusione di una cultura dell’inno-vazione.Alla base di questa iniziativa c’è infatti la convin-zione, generalmente condivisa dai pro-motori,che l’innovazione sia un fenomeno complesso,di cui il mero fatto tecnico (ossia l’in-venzione)costituisce solo una delle componenti: l’innova-zione va dunque considerata anche come fattoeconomico, sociale e culturale.Ma non solo. L’innovazione è infatti fine a sestessa se non viene comunicata: come so-stie-ne Andrea Granelli, “l’autentico innovatorenon è colui che ha le idee o possiede le tecni-che, ma chi le traduce in fatti concreti e utili esoprattutto le diffonde, e quindi in un certosen-so le comunica”.La comunicazione dell’innovazione non è dun-que separabile dall’innovazione stessa, ma necostituisce un aspetto assolutamente costituti-vo: su questo punto concordano i protagonistidel mondo dell’imprenditoria e della comuni-cazione, i cui contributi al volume costituisco-no una preziosa testimonianza della comuneesperienza di innovatori/comunicatori.Le interviste, che del volume costituisconoparte essenziale, sono articolate in diversi per-corsi tematici che vanno a toccare alcune pro-blematiche di grande attualità in relazione alla

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moderna gestione d’impresa: le strategie dicomunicazione dell’innovazione (la comunica-zio-ne è infatti un funzione strategica che deveessere integrata con le altre funzioni chiave del-l’a-zienda) e le relative tecniche (la comunica-zione dell’innovazione richiede innovazioneanche negli strumenti stessi del comunicare),l’innovazione percepita come rischio (comuni-care l’in-novazione è difficile perché la gente haspesso paura dell’innovazione) ed il ruolo delleIstitu-zioni (autorità locali, fondazioni ed entipossono svolgere anch’essi un ruolo importan-te per l’affermazione della cultura dell’innova-zione).Quanto ampiamente trattato nel volume trovala sua sintesi nella postfazione di AlbertoAbruzzese che, interrogandosi sul rapporto tratecnologia ed innovazione, sottolinea come leansie e le paure verso le innovazioni siano per-lopiù figlie di una tecnologia che costringe ilconsumatore ad adeguarsi alle sue regole. Diqui, quindi, la necessità di imparare a comuni-ca-re, ossia mettere in comune l’esperienza del-l’innovazione così da creare un ambiente più a-perto ed informato e dunque capace di recepi-re e negoziare le applicazioni che dell’innova-zio-ne stessa sono applicazioni.

(Monica Spalletta)

Megatrend, rischi e sicurezzaPer comprendere la società di oggi conla teoria del caosDi Augusto Leggio,Ed. Francoangeli, pp. 271, � 22,00

Augusto Leggio, uno dei maggiori espertiitaliani di tecnologie dell’informazione e

della comunicazione, che da alcuni anni si dedi-ca ad esplorare nei suoi libri gli scenari globali,cercando di prevedere le principali linee di ten-denza del prossimo futuro, sia a livello politico,che a livello economico e sociale, si avventurain un’ardua sfida: quella di studiare il mondo in

maniera sintetica, per farne emergere gli ele-menti e le contraddizioni più rilevanti per l’og-gi e per il domani. L’autore, di fronte al proflu-vio di notizie che i mezzi di comunicazione dimassa riversano su di noi, indaga e cerca diintegrare la comprensione dei fatti con unapproccio scientifico innovativo, derivato dal-l’osservazione di quanto accade naturalmentein fisica, chimica e biologia, noto agli addetti ailavori come “Teoria del caos” o Teoria dellacomplessità”. La teoria della complessità,secondo l’ipotesi di Augusto Leggio, si presen-ta come una possibilità in più per meglio com-prendere la realtà nel suo insieme, per non tra-scurare in maniera aprioristica tutti quei feno-meni che non possono essere incasellati e spie-gati secondo tesi precostituite. Ruolo crucialequello affidato ai media che trattano in manie-ra preponderante contenuti che intervengonosulle informazioni, sulle decisioni e sulla cono-scenza e che di conseguenza ci influenzanoprofondamente fino ad alterare la verità e adindurci in errore. In quanto “quarto potere” egaranzia per la salvaguardia del diritto ad unaconoscenza autonoma e consapevole i mediacostituiscono al contempo un fenomenosociale e culturale per la comprensione di ciòche essi rappresentano per la società. La diffu-sione, quindi, di una conoscenza quanto piùpossibile vicina alla verità, senza errori ed omis-sioni, in quanto testimonianza della veritàriscontrata, risulta essere il compito precipuoaffidato agli operatori della comunicazione. Iltesto di Augusto Leggio si compone di cinqueparti. Nella prima parte vengono definiti i prin-cipi della teoria della complessità, secondo cuiun sistema può essere creato da un disordineassoluto assimilabile al caos, può evolvere neltempo e nello spazio su una linea di confine traordine e caos incrementando la propria com-plessità, può ripiombare nel nulla o degenerarein una condizione di ordine assoluto priva difuturo, assimilabile alla morte. La teoria, dedot-

ta dall’esperienza evolutiva della natura, vieneapplicata nella valutazione delle esperienzeevolutive dei sistemi artificiali. La secondaparte del testo è dedicata alla descrizione deimaggiori fenomeni tendenziali. Moltissimi itemi affrontati: dal progressivo esaurimentodelle risorse naturali alla degradazione dell’am-biente, dallo sviluppo demografico ai fenome-ni migratori, dallo sviluppo della tecnologia alletrasformazioni dei soggetti politici, passandoper la salute pubblica e le biodiversità, la globa-lizzazione e l’attenuazione dei valori tradiziona-li. La terza parte del libro tratta invece i fattoriche inibiscono lo sviluppo o alimentano rischie minacce planetarie; la quarta parte, scenden-do nel concreto delle politiche perseguite dagliStati, ripercorre le linee guida adottate da StatiUniti, Unione europea e altri Paesi avanzati inmateria di sicurezza. La quinta parte del libro,infine, è dedicata all’analisi e alle previsioni deifuturi scenari globali, effettuate, ancora unavolta, secondo i principi della teoria della com-plessità. Tale studio porta l’autore a denunciarecomportamenti erronei, derivanti da ideologie,interessi e ignoranza, che possono condurrel’umanità ad una instabilità crescente e ad unainiqua e pericolosa esasperazione delle dis-uguaglianze. Egli indica una via stretta, che puòconsentire l’attenuazione delle minacce incom-benti e lo sviluppo di un futuro più sereno epiù equo. L’obiettivo finale di questo processo-si legge nel testo - sarà l’abbandono delle visio-ni più egoistiche del progresso, fondate sull’i-deologia e su interessi puramente individuali,per sostenere visioni di più ampio respiro,basate sulla scienza, sulla solidarietà e sul rispet-to delle diversità. Cooperazione e approcciomultilaterale, pluralismo dell’informazione edella comunicazione, promozione di un’eco-nomia che privilegi l’interesse collettivo e chenon attenti al capitale naturale del pianeta.Obiettivo utopistico? Forse. La via proposta inMegatrend, rischi e sicurezza si concretizza in

un libro ben costruito e arricchito di elementinuovi e diversi per riflettere sulla responsabili-tà di ciascuno di noi nella costruzione dell’av-venire di tutti coloro che ci seguiranno.

(Ludovica Quattrocchi)

Non solo soft. Attori, processi, sistemi:un approccio sociologicoPierfranco MaliziaFranco Angeli, pp. 296, � 22,00

Il volume vuole darci una interpretazionediversa della “realtà impresa” nel nostro

Paese, in cui a trovare posto non siano, almenoper una volta, soltanto concetti di carattereeconomico e tecnologico.Pierfranco Malizia, docente di Sociologia del-l’organizzazione presso la Libera UniversitàMaria SS. Assunta (Lumsa) di Roma, proponeinfatti una prospettiva di analisi, piuttosto com-plessa ed insolita, delle variabili costitutive delsistema sociale impresa. Quest’ultima non èpiù valutata per i fattori “hard” che la com-pongono (prodotti, mercato, tecnologia), maper quelli cosiddetti “soft”, che rappresentano,volendo usare una metafora, la parte sommer-sa dell’iceberg.La cultura, il clima e soprattutto la comunica-zione che si sviluppano all’interno di una orga-nizzazione complessa, a differenza di qualcheanno fa, non rappresentano più un optional,ma un elemento determinante, ciò che l’autorechiama “il vero e proprio differenziale di attrat-tività”.Dopo una breve rassegna delle teorie organiz-zative succedutesi nel tempo, Malizia denuncial’empasse della ricerca tradizionale, del tuttoinadeguata a far comprendere le nuove logicheche caratterizzano la realtà imprenditorialecontemporanea, proprio perché rigidamenteancorata a vecchi criteri di valutazione e ogget-ti di analisi. Nel momento in cui l’organizza-zione è considerata come sottosistema cultura-

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le del più ampio sistema sociale di riferimento,cambia necessariamente il modo di guardarealle strutture e alle dinamiche messe in motoall’interno e all’esterno dell’impresa, e risultafinalmente possibile arrivare ad una compren-sione di esse in profondità.Soltanto una cultura del lavoro volta a produr-re al suo interno conoscenza e cooperazione,che attiva molteplici risorse in una prospettivadi apprendimento continuo e che promuoveuna responsabilizzazione individuale e colletti-va secondo una logica partecipativa e non diobbedienza, può infatti rispondere positiva-mente ai cambiamenti e alle sfide dell’ambien-te circostante.L’autore, in maniera molto chiara, spiega comesia l’organization learning, l’organizzazione cheapprende, la carta vincente per far fronte alcomplesso scenario che si sta delineando.Creare un clima in cui si è stimolati a sviluppa-re il massimo potenziale ed aiutare a compren-dere i processi nelle proprietà fluide e circolariche li caratterizzano in relazione alla realtàesterna, non procura solo dei vantaggi all’inter-no dell’impresa, ma anche (ed è questa la novi-tà) all’esterno di quest’ultima, aumentandone lacompetitività.La comunicazione diventa allora la vera risorsastrategica di una organizzazione complessa,l’unica via per raggiungere “una soglia di com-plessità sostenibile”.

(Camilla Rumi)

Psicopatologia del cellulare.Dipendenza e possesso del telefoninoLuciano Di Gregorio Franco Angeli pp.176, � 15,00

Non ha i fili, ma le sue spire avvolgonotutti. Nessuno escluso. Tutti lo usano e la

sua diffusione è inarrestabile. Già, perché l’usodel cellulare - è del mitico oggetto tecnologicoche stiamo parlando - investe tutte le età e tutte

le categorie socio-culturali. E in ogni situazio-ne: in strada, a casa, in treno, al ristorante, dasoli, in compagnia.Dunque, nessuno sembra poterne fare a meno,e non solo per le sue indubbie qualità pratiche:in questo uso-abuso, c’è chi ha sottolineato, aldi là dell’aspetto consumistico del fenomeno,come il telefonino crei una sindrome da dipen-denza dagli esiti davvero preoccupanti.L’allarme viene dallo psicologo Luciano DiGregorio nel suo saggio Psicopatologia del cel-lulare. Dipendenza e possesso del telefonino,studio puntuale e approfondito sulle dinami-che del nuovo e seduttivo feticcio. Subito il ditonella piaga: siamo tutti prigionieri, seppure indiversa misura, del telefonino, dipendenti daquella “presenza sentita come rassicurante,mentre la sua assenza può determinare statiemotivi spiacevoli, innescare ansia e in certicasi provocare persino crisi d’angoscia panica”.Risultato, una solitudine psicologica, decisa-mente mal tollerata - investe indifferentementetutti, giovani e anziani -, che trova una rispostanel cellulare con quella sua possibilità di esserereperibili in ogni momento, in qualunqueluogo ci troviamo, qualunque cosa stiamofacendo. Ma per proteggerci da un vissuto disolitudine, più che per comunicare.E, poi, annullare con il telefonino le distanze dàun senso di onnipotenza. “Il telefonino - chio-sa Di Gregorio - sta all’adulto come il giocat-tolo preferito sta al bambino piccolo: sonoentrambi dei possessi che permettono un certocontrollo sugli eventi e sulla realtà, che offronouna padronanza sull’esperienza spiacevole, cheaiutano nell’immaginazione del dominio delmondo…”. Un dominio affidato ai cellularipiù sofisticati, con gli Mms, la fotocamera o lavideocamera, con quella sensazione gratifican-te quanto illusoria, di assoluto controllo: accen-di, spegni, viva voce, Sms. Strumento pericolo-so nelle mani dei telefonino-dipendenti, spessosospesi tra il chiamare l’altro o negarsi alla sua

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telefonata. E, ancora, “il cellulare - avverte DiGregorio - può divenire un mezzo non perentrare in contatto con gli altri, ma un mezzocon il quale sostituire il rapporto con gli altri”.Il tutto senza alcuna remora: ogni luogo pub-blico - e siamo nel quotidiano - diventa teatrodi esibizionismi e di voyeurismi, con personeche parlano a voce alta dei fatti loro, anche i piùprivati.Ed è in questa realtà-non realtà, dove il piacerespostato sull’oggetto feticcio, diventa “sostitu-to di realtà”, che si annida il rischio della psico-patologia. Lo corrono i telefonino-dipendenti“per tamponare una forma di disagio o placa-re l’ansia”.A questo punto dovremmo chiederci: perchétutta questa dipendenza, tutto questo bisognocompulsivo del continuo contatto io-tu? Ilconsiglio, saggio e semplice, allo psicologo:“Noi possiamo usarlo meglio, limitarne l’in-fluenza e la portata psicologica, possiamo volu-tamente lasciarlo a casa qualche volta, e regge-re l’ansia che avvertiamo già dentro di noi, unsecondo dopo che abbiamo chiuso la porta dicasa. Noi possiamo intenzionalmente perderlodi vista, dimenticarlo in qualche angolo,nasconderlo e cercare di non pensarci piùalmeno per una mezza giornata, evitare di chia-mare qualcuno se proprio non è necessario. E,per non impoverirsi, sforzarsi di comunicare dipersona”.Consigli preziosi. Difficili da seguire? Non saràpiù facile smettere di fumare?

(Laura Di Iorio)

Incantesimi Alice nel Paese della Fiction Luisella Bolla, Vallecchi, pp. 270, �19,00

“I media - scriveva Zygmunt Bauman - for-niscono extraterritorialità virtuale, regalano

il sogno di vivere esperienze che non sonoconcesse alla gente comune, impossibilitata a

sce-gliersi un’identità reale”. Tra i diversi gene-ri televisivi, la fiction è quello che, più di tutti,rende possibile questo “transfert”: essa è infat-ti in grado di catapultare il telespettatore inreal-tà virtuali lontane nel tempo e nello spazioe, così facendo, riesce a saziare il desiderio -pro-prio dell’essere umano - di rendersi prota-gonista di situazioni e stati d’animo totalmenteo parzialmente legati ad una dimensioneimmaginifica.Il libro di Luisella Bolla prende spunto da que-sta considerazione e, attraverso un affasci-nante ed originale viaggio nella fiction televisi-va - dall’epoca dei primi sceneggiati fino allepiù moderne forme di serialità -, ne mette inluce i risvolti sociali e culturali: “la fiction - scri-ve infatti l’autrice - è diventata un centro diinteresse e di focalizzazione di immagini dellarealtà sempre più totalizzante. Un codice diriferimento linguistico, culturale e socialequoti-dianamente citato, preso a prestito,riconvertito nella comunicazione pubblicaoltre che nella conversazione privata e nellechiacchiera”.L’universo rappresentato nella fiction è uninsieme assai variegato di personaggi, situa-zioni, emozioni. Da una parte c’è la rappresen-tazione della quotidianità: marescialli, commis-sari, medici, sacerdoti, avvocati, giornalisti, pro-fessori, commesse sono infatti solo alcuni dei“ruoli sociali” che la fiction assume come pro-tagonisti di una “autobiografia della nazione”,e cui conferisce un’esistenza che spesso va al dilà della storia narrata. Dall’altra parte, c’è il ten-tativo di contestualizzare nella realtà contem-poranea personaggi cui la storia ha già confe-rito il crisma dell’immortalità: di imperatori,condottieri, santi e missionari la fiction narrain-fatti le esperienze ed i trionfi, ma soprattut-to evidenzia il lato umano, le tensioni spiritua-li, i conflitti interiori ed i compromessi che delsuccesso sono spesso un elemento fondante.Di questa realtà complessa e variegata l’Autrice

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si propone di offrire al lettore una possi-bilechiave di lettura, utile ad aprire quelli che ellastessa definisce come “i cancelli delle sto-rietelevisive”. Nel farlo, rilegge ed attualizza ciòche Edgar Morin affermava alcuni anni orsono, allorquando scriveva che la culturamediatica è “una sorta di sistema neurovegeta-tivo in cui la vita reale dell’immaginario e l’im-maginario della vita reale traggono linfa, secon-do un duplice moto di proiezione ed identifi-cazione”. Considerati in questa prospettiva, ipersonaggi della fiction (e dunque la fictionstessa) diventano modelli di condotta, di vita edi cultura che “concentrano in sé i poteri mito-logici ed i poteri pratici della cultura di massa”:incantesimi che, secondo l’Autrice, possonoassurgere al ruolo di “chiavi di lettura del pre-sente, della no-stra domesticità perennementein bilico tra dentro e fuori lo schermo”.

(Monica Spalletta)

Guida alle etiche della comunicazioneAdriano Fabris (a cura) con CD ROM allegatoEdizioni ETS, pp.209, � 14,00

E’ un volume scritto a più mani, piuttostoagile (meno di 200 pagine) che affronta

una serie di temi attuali, quelli legati alle etichedella comunicazione, di cui si parla molto, mase ne fa poco.Lo stesso fabris dichiara che “il volume è pen-sato per venire incontro a un interesse semprepiù urgente, anche nel nostro Paese, per lequestioni di etica della comunicazione: sia perquelle che riguardano gli operatori del settore,sia per quelle che coinvolgono i fruitori deimass-media”.Il libro mira ad illustrare vari problemi con-nessi con i codici deontologici e le forme dinormativa riguardante gli operatori dellacomunicazione fornendo un quadro prelimi-

nare di diversi settori, uno per capitolo.Nell’ordine troviamo l’etica del giornalismo(di Barbara Grossi), l’etica della televisione(Claudia Mantellassi), l’etica di internet(Adriano Fabris), l’etica della comunicazionepubblicitaria (Giovanni Scibilia), l’etica dellacomunicazione pubblica (Antonio Iossa), l’eti-ca della comunicazione biomedica nella rela-zione medico-paziente (Sergio Bartolommei),l’etica della comunicazione interculturale(Flavia Moceneri) e la comunicazione eresponsabilità sociale d’impresa (FulvioMazzola).Tutti gli autori naturalmente nel poco spazioa disposizione non possono esaurire i temiche trattano. Emilio Rossi, presidente delComitato di vigilanza sul Codice tv e mino-ri, già direttore del Tg1 della Rai, nella prefa-zione al volume, riconosce il merito di averdedicato un capitolo specifico alla comuni-cazione tra medico e malato ma sottolinea illimite dell’ “inevitabilmente compressocapitolo dedicato al giornalismo”. “Si trattadi aree così vaste - sottolinea Rossi - e al lorointerno così differenziate che meriteranno,in future riedizioni, di essere segmentate epartitamente esplorate”.Emilio Rossi propone per il futuro una “meri-toria elaborazione sull’etica del servizio pub-blico radiotelevisivo ben al di là, o al di qua,dello slogan sbrigativo “Privatizzazione!”. Enaturalemnte sui suoi rapporti con il sitemapolitico”.Codici, carte e statuti ci sono, così come chi lipresidia. Bisogna - conclude Rossi - “eviden-ziare le dimensioni oggettivamente educativeche la comunicazione massmediale ha inevita-bilmente e anche se non lo volesse”.Conclude il volume un’utile bibliografia divisaper temi che permette agli interessati una dis-creta ricognizione sulla letteratura esistente inmateria.

(Rosa Maria Serrao)

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