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Diario di Viaggio nel Canada OrientaleLungo il San Lorenzo attraverso grandi metropoli e una natura suggestiva

PremessaIl mio scopo nello stendere un diario di viaggio è, in genere, quello non solo di riviverli, ma anche di accendere sentimenti ed emozioni, di far scorrere le parole senza intoppi, di far vedere un mondo senza filtri.

La memoria, in genere, non ha problemi, eppure il mio subconscio, quando magari è passato qualche anno, è quello di rivitalizzare un po’ le immagini che affiorano quando le esprimo in parole. Allora i momenti di difficoltà svaniscono e pur “nell’onor del vero”, i tempi migliori riemergono indisturbati e tutta l’atmosfera diventa più luminosa.. diventa quello che desidero sia: “poesia del turismo”.


Un bel giorno di Agosto, carico di sole e di speranze, con un tour organizzato, a dir ilvero un po’ troppo numeroso, sono arrivata a Montreal, una città particolare, raffinata,scintillante e cosmopolita, una città che pur essendo una grande metropoli tentacolare, ha conservato ancora un’atmosfera romantica e accogliente. Inoltre con la suaarchitettura d’epoca e d’avanguardia offre al turista sia la modernità nordamericana,avveniristica del centro città sia, nello stesso tempo, il fascino europeo della culturafrancese nei quartieri più vecchi.


È anche posta in una posizione suggestiva, su un’isola, interamente circondata dalleacque del San Lorenzo che qui si restringe e l’attraversa in più punti, tanto che ponti eporticcioli non si contano proprio.. e poi anche da altre isole che fanno parte integrantedel tessuto urbano, ma andiamo per gradi.


Come prima tappa, dopo un sanoriposo, siamo saliti, dato che la cittàsi evolve a strati e su una serie didislivelli e piccole alture, allacollina- parco di Monte Royal che quiabbiamo sentito chiamare conl’appellativo di “Montagne”, essadominava la città verso nord e aisuoi piedi sorgeva il santuarioricostruito dell’oratorio di SaintJoseph, un famoso luogo diPellegrinaggio.

La santa costruzione era postaanch’essa su un’altura a cui siaccedeva attraverso un largosentiero asfaltato e poi dei gradini,divisi in ben tre scalinate, di cui lacentrale riservata ai fedeli piùdevoti che la dovevano percorrerein ginocchio..


Dall’alto della collina di Mont Royal il panorama sul San Lorenzo, suigrattacieli del quartiere direzionalemi ha fatto pensare a quelli diNew York, ma poi, una volta arrivatain città, mi sono ricreduta ed hodimenticato questa primaimpressione… anche fuori dai vecchiquartieri francesi, costruiti insolida pietra grigia, come nellacaratteristica Place d’Armes con ilmonumento ai combattenti, il ritmodel traffico era molto più tranquillo,più “a dimensione umana”.


Ciò che mi ha colpito in questa

città è stato il numero

esorbitante di chiese

costruite sia dai francesi che

dagli inglesi in una specie di

gara.. già un secolo fa lo

scrittore Mark Twain notava

che “era impossibile lanciare

un sasso per strada senza

colpire una chiesa”!


Spesso però gli alti grattacieli

sembravano far loro ombra e il

passato ricco di storia e culto

contrastava con il moderno

pervaso di essenzialità.

Ho ammirato la grandiosa Notre

Dame del Montrèal...


...e poi mi sono spostata nel grazioso

caratteristico quartiere di Saint

Denis, abitato da artisti, artigiani,

ricco di negozietti, di bar con

terrazze e tavolini all’aperto,

ristoranti e locali notturni…

e allora mi sono soffermata sulla

strada lastricata e in quell’atmosfera

piacevole dagli alberi dei viali ho

sentito calare ombre di pigrizia, ed

ho avvertito la vita scorrere nel suo

sonnolento andirivieni quotidiano.


Quando poi mi sono allontanata dal pittoresco, un po’ vittoriano quartiere di SaintDenis, ha iniziato ad infiltrarsi tra le vie della città un forte vento, che però non harallentato la visita ai vari monumenti tra cui altre chiese ed infine la grande e sontuosacattedrale “Santa Maria Regina del Mondo”.


Il giorno dopo abbiamo lasciato Montreal e ci siamo diretti in pullman verso nord eprecisamente verso il lago Saint-Jean, il più grande della regione del Quebec. Abbiamoattraversato un paesaggio estremamente vario, prima verde, piatto, quasi disabitato,poi man mano si saliva pini, aceri, abeti e betulle arricchivano le colline con unsottobosco quasi impenetrabile...


...qua e là qualche casetta in legno dipinto estremamente pittoresca allietava ilpaesaggio che restava però solitario, un vero paradiso naturale dove tutto sembravaspennellato con una luce che saturava i colori.. e poi tanti piccoli laghi, fiumi,probabilmente affluenti del San Lorenzo, serpeggianti, che costeggiavano la strada, laquale a sua volta, penetrava quel verde intenso quasi violandolo, ma il senso di pace checi circondava, anche durante le soste, era sempre totale.


Un po’ meno caratteristica è stata la visita, il giorno dopo, allo Zoo Sauvage di Saint-Félicien famoso per essere più che uno zoo un “centro di conservazione della

biodiversità boreale”.


Caribù, alci, bisonti e mille altri animali vivevano liberamente in questo grande parconaturale di 335 ettari e in questa atmosfera di assoluta libertà e di esplosione dicolori.


Mi ha interessato osservarligrazie anche ad un trenino,protetto da griglie di ferroin un percorso di ben 7 Kmche attraversava prima laprateria, poi la foresta einfine la tundra.

Chiusa nel trenino, mentregli animali liberi ci osservavanocuriosi, avevo la sensazione diun’inversione di ruoli.. misembrava quasi di leggere nelloro sguardo domandeparticolari inespresse come:

“Chi sono questi buffi animaliin gabbia?”


In alcuni punti del parco erano state ricostruite persino le case dei primi coloni, ivillaggi amerindi, i ranch dell’est selvaggio, i campi dove lavoravano i taglialegna, letende degli indiani.. ogni tanto si prospettavano davanti a noi scene di vita del passatocon uomini e donne in costume, intenti nei loro lavori: tutto era finzione, ma in quelcontesto pareva realtà!


Nella zona chiamata “artica” abbiamo ammirato oltre agli orsi bruni mimetizzatinei boschi e tra le rocce...


...anche gli orsi bianchi che si tuffavano piacevolmente nell’acqua gelata. A vederlisembravano dei simpatici giocherelloni che si facevano i dispetti, pronti ad esserefotografati con la speranza di ricevere in cambio un gustoso pesciolino che ovviamentenon arrivava. Sembravano del tutto in sintonia con l’ambiente circostante.


Lasciato il parco nel pomeriggio ci aspettava un’altra visita un po’ “turistica”, ci siamoinfatti spostati al “villaggio fantasma” di Val-Jalbert, un villaggio ricostruito, nato allafine del XX secolo a causa dell’industria della carta, ricavata dagli alberi, che qui eramolto fiorente.


A quel tempo il villaggio eraprospero, vivo, finché nel 1927la fabbrica era fallita ed ilpaesino era stato lentamenteabbandonato. Alle poche case rimastesuccessero vari incidentiinspiegabili, alcune furonodistrutte dal fuoco e … nevedevamo con tristezza i resti,altre restarono a ricordo di untempo felice. La scuola religiosa con le stanzedelle suore, il refettorio e le aule,è stata, per esempio, ricostruitainsieme ad altre tipiche abitazionidel illaggio divenuto ormai un“fantasma”.


Mentre una fitta pioggerellainiziava a disturbare la nostrapasseggiata, ci siamo rallegrati

assistendo a piccole scene di vita quotidiana, di storia legataal passato del villaggio, scenein alcuni casi, anche spiritoseo addirittura comiche.


Per fortuna la Val-Jalbert oltrealla finzione un po’ troppoturistica ci ha riservato unarealtà a sorpresa legata allabellezza di uno spettacolonaturale che ci ha risollevato lo spirito: la cascata diOuiatchouan che scendendo daben 12 metri, serpeggiava in tante diramazioni creandostupendi arabeschi tra il verde.

Aveva iniziato a piovere, ma non ci importava, era più fortein tutti il “desiderio di vedere” eanche se nubi grigie turbinavanosopra le alte cime degli alberi equalche raffica di vento mi faceva barcollare e mi spingevaa chinare l’ombrello controvento,a mo’ di scudo per ripararmi,ero felice. Alcune gocce dipioggia mi bagnavano il visomentre mi dirigevo lungo ilsentiero che portava alla cascata.


Siamo anche saliti con una piccolateleferica sul versante collinare edall’alto il panorama, pur essendoavvolto da una leggera foschia acausa dell’umidità e della giornata

inclemente era bello, un paradisonaturale silenzioso, disabitato,immenso.. era bella persino lavista delle goccioline d’acqua, piùincantevoli di puri diamanti, sullefoglie, che scivolavano poi via

disperdendosi nel terreno…


...per cui la discesa, nonostante la pioggia, è stata fatta a piedi lungo gradini epasserelle di legno che offrivano ad ogni curva immagini di verde intenso e di piccolecascate che confluivano tutte nel pittoresco lago Saint-Jean..


Il giorno dopo il tempo era cambiato, a Tadoussac, sull’estuario del San Lorenzo, labella giornata ha iniziato a riscaldare i nostri cuori e in quel paesaggio ridente eluminoso davanti al grande fiume, un immenso nastro azzurro che proprio per questo,fiume non sembrava, abbiamo atteso, elettrizzati, il momento della crociera perl’avvistamento delle Balene.


Saliti a bordo di un battello, abbiamo iniziato ad aguzzare la vista. Queste acque, dovevano essere amate e frequentate dalle balene che le sceglievano proprio per riprodursi.. il panorama era favoloso.. oltre il fiume le pendici delle colline erano ricoperte da fitte foreste di aceri che ci hanno detto, cambiavano colore con le stagioni.. noi le vedevamo verdi, ma in autunno acquistavano una tonalità rossastra e in inverno diventavano bianche… guardavamo il panorama, ma a parte qualche delfino, non abbiamo avuto la fortuna di vedere balene, anche se ogni tanto qualcuno gridava di averle a portata di cannocchiale.


Poco male, la crociera è stata piacevole e sempre con gioia siamo sbarcati all’isola “AuxCoudres” dove avremmo pernottato.. prima di coricarmi ricordo che mi sono concessauna passeggiata in quell’oasi di verdi aceri attorno all’hotel: il cielo era di unalimpidezza disarmante.. la luna mi appariva come una perla barocca, un gingillo gettatolontano da noi, quasi per stuzzicare, con la sua bellezza che illuminava ogni cosa, ipoveri mortali e… sembrava porre loro infinite domande che non trovavano una risposta.


Il mattino dopo siamo ritornatisulla terraferma per andare avisitare il Canyon formato dalfiume Sainte-Anne.

Attraverso ponti sospesi sul

baratro del fiume, e sentieri di pietra, abbiamo seguito il circuito d’esplorazione del Canyon...


...e ci siamo stupiti di come ilpiccolo fiume fosse riuscitoa corrodere una roccia che cihanno detto avesse ben 900milioni di anni, con un percorsoe una gettata d’acqua che purnon essendo spettacolare eramolto pittoresca.


Guardandomi intorno ho pensato all’incommensurabile, incredibile ordine dell’Universo che mantiene i pianeti nella loro orbita, gli uccelli in volo, che impedisce alle torri di crollare, e che dà la possibilità ad un fiume di sgretolare le rocce per creare profonde vallate e baratri suggestivi.. tanto che data l’impossibilità di trovare parole di descrizione adeguate, mi sono ricordata di una bella poesia di Shelley legata ai “sospiri della natura” : “I boschi ondeggianti, la fonte silente, il rivo che gorgoglia, l’incupirsi della natura con le sue buie ombre.. esse parlavano con lei, come se lei e tutto ciò che la circondava formassero insieme, un tutto..”


Dopo il poetico percorsopaesaggistico nel verde dellanatura dove l’acqua, chiaracome il vetro zampillava tra le rocce, fresca come l’aria eleggera come un filo di vento..siamo arrivati per il pranzo aBeauprè, una graziosacittadina famosa soprattuttoper il maestoso santuariocattolico redentorista diSainte-Marie de Beauprè, ilpiù antico dell’America delnord .. ha infatti 350 anni,anche se non li dimostra datoche appare abbastanzamoderno.


Una piccola sosta nella cittadina ci è bastata perché ci aspettavano le fantastichecascate di Montmorency, più alte di 30 metri di quelle del Niagara.. cascate chetrovavano la loro conclusione pacifica nel San Lorenzo.

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Dopo averle ammirate dal bassoabbiamo sfruttato, anche quiuna teleferica per salire alponte superiore dove la vistadella massa d’acqua prorompenteera veramente spettacolare, unatremenda forza della natura e ilfrastuono, di conseguenza,assordante. Ma più che un frastuono devo direche il rumore scrosciantedell’acqua mi sembrava più similead un canto e in questo universo,tra getti roboanti, spruzzi evapori; io mi sentivo come uninsignificante granello di terra, un sassolino, visto da un’altamontagna.. potevo vivere,respirare, ma bastava un soffiopiù forte di vento, bastava ungetto della cascata per farmisparire, volare via..


Siamo poi scesi a piedi attraverso un piccolo sentiero che serpeggiava ripido.. intorno a noi aleggiava il profumo della resina dei pini, dell’erba bagnata, della terra umida. Camminavamo incuranti del freddo, dell’umidità e della stanchezza, immersi nella natura come in un sogno.

In quei magici momenti di contatto diretto con l’ambiente che ci circondava, ho pensato alla nostra vita sempre presa dalla preoccupazione di sopravvivere nel miglior modo possibile e in questa corsa con il tempo spesso abbiamo dimenticato il piacere di vedere, di viaggiare, di vivere nel senso pieno della parola…


Nel nostro viaggio lungo il San Lorenzo siamo poi arrivati alla bella, unica e ridentecittà di Quebec, di cui ho diffusamente parlato in una mia “destinazione”. Qui inquesto luogo a dimensione umana, abbiamo passeggiato piacevolmente a piedi perscoprire case, angoli caratteristici, vie..


...il tutto in un clima giovane, manello stesso tempo antico grazieai suoi 400 anni e più diesistenza, un record perl’America del nord… non vorreiripetermi, ma Quebec con le suevie vivaci ed affollate con il suobrio e la sua originalità ci haavvolti in un’atmosfera di festache qui chiamano “Joie de Vivre”tutta francese che iocompleterei con “Joie de Voir”..


Lasciata con un pizzico di nostalgia la bella città ci siamo concessi un breve soggiornotra i boschi e i boscaioli, alla “Cabane à Pierre”.. immersi nel fitto verde tra AceriSaccharium alti ben più di 40 metri e capanne abbiamo assaporato tutta la pace delluogo e..


...anche la festosaatmosfera con balli emusiche country.

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“La Cabane à Pierre” produceva anche succo d’acero, e il procedimento per l’estrazioneci è stato minuziosamente spiegato: all’interno del tronco dell’acero c’è un cuore dilinfa zuccherosa che viene estratta mediante incisioni sullo stesso tronco, al quale poisi collegano delle cannucce che fanno scorrere il liquido in tubicini di plastica collegatiad un centro di raccolta.


Il giorno dopo con un’altra funivia siamo saliti, dal piccolo e grazioso paese diTremblant, al Mont Tremblant, un pittoresco parco naturale protetto ovviamentedall’Unesco.


Dall’alto la visione sui boschi che arrivavano fino al lago a fondovalle era pittoresca,gli alberi parevano sfiorare quasi il cielo e tremavano con le foglie rossicce e verdi,scossi da un leggero vento.


Ma anche lo stesso paesino ai piedi del monte ed in riva al lago era delizioso,civettuolo, immerso nel verde.. un vero e proprio luogo di villeggiatura!


Ma il tempo volava e dovevamo arrivare ad Ottawa, la tranquilla capitale del Canada,molto british, posta ai confini tra il Quebec e l’Ontario, una città piccola, ma conmolte cose da vedere, prima tra tutte, la grande piazza con il Parlament Hill, unimponente complesso di arenaria in stile neogotico che ricordava tanto Westminster..


Il palazzo era composto da un corpo centrale con le aule parlamentari, e da torrilaterali destinate ai senatori.


Qui in questo esteso piazzale, sommerso da numerosi grandi edifici ottocenteschi,abbiamo assistito, tra la folla allo spettacolare “Changing the Guard” il cambio dellaguardia, il quale si effettua, solo in estate, dal 1982..


...le giubbe rosse, la “Royal Canadian Mounted Police” sfilavano impettite, severe conscedel fatto che erano nate solo per portare ordine e pace in tutte le regioni del paese edanche se ora la situazione politica era cambiata, mentre sfilavano circondate daquell’architettura da fine secolo, si avvertiva ancora l’ombra latente della regina Vittoria.


Il centro di Ottawa mi è apparso facile da visitare, anche a piedi, piccolo, ma moltobello anche se l’imponenza di tutti gli edifici governativi ci sovrastava con la suamaestosità.


Al di là del fiume ci siamospostati verso la sorellafrancofona di Ottawa, Hull, pervisitare il caratteristico MuséeCanadien des Civilisationsdedicato ai popoli nativi.La storia della colonizzazione diquesto paese veniva illustratacon vera perizia didatticaattraverso singolari ed originalireperti ed anche all’esterno,l’architettura del museo mi èpiaciuta: con le sue formeflessuose voleva ispirarsi agliimmensi spazi ed alle diversitàdel paesaggio canadese.


Poi dal terrazzamento del parco attorno al museo la vista sulla gemella Ottawa eraveramente eccezionale.


In questa bella città non potevamo non trascorrere qualche ora lungo il Rideau Canal, uno dei luoghi simbolo cittadini, un canale navigabile che ci ha portato, attraverso unaserie di oasi naturalistiche e paesaggi affascinanti, a vivere momenti di piacevolerelax nel verde.


Il giorno dopo altra crociera questa volta più impegnativa, lungo il San Lorenzo, versole famose mille isole dei miliardari americani…


...bisogna dire che l’opulenza delle ville, ciascuna posizionata sul proprio isolotto,grande o p iccolo a seconda della ricchezza del proprietario, la sovrabbondanza diqualche albergo di lusso un po’ eccessivo non hanno cancellato la bellezza del paesaggio.


...e quando ci siamo trovati vicino a quello che è stato definito il ponte più corto delmondo, che congiungeva due isolette e due nazioni, una canadese e l’altra degli StatiUniti.. non ho potuto trattenere delle grida di entusiasmo. Ovviamente era tuttoestremamente turistico, ma un “turistico” di una bellezza che difficilmente si puòdimenticare.


Il nostro viaggio nell’est non poteva tralasciare la visita della città di Toronto, chenell’idioma degli indiani Huron, i primi abitanti delle rive fangose del lago Ontario,significava “luogo dove ci si incontra”.


Questa città è la più dinamica metropoli canadese famosa per gli svettanti grattacielie gli avveniristici palazzoni di vetro e acciaio.


Per avere una visione globale diquesta ricca e ordinata città cheè stata definita “New Yorkgestita dagli svizzeri”, siamosaliti sulla C. N. Tower, la torredelle telecomunicazioni,costruita nel 1976, che dominaa città con la sua altezza di553,35 metri!Qui dallo Sky Pod, punto diosservazione a 447 metri la vista era straordinaria, losguardo poteva spaziare perben 120 km, dalle spettacolariToronto Islands, sotto di noi,fino alle lontane Cascate delNiagara.


Ci muovevamo attorno, a destra eda sinistra, per poter abbracciaretutto il panorama e avvertivamoanche l’immensità dello spazio in cui non eravamo che piccoli puntinisenza valore, che però eranoriusciti a creare una metropolimegagalattica, una selvaarchitettonica quasi aliena, unaserie di inferni di cristallo,avvertivamo dunque tutto il pulsare frenetico della vita checi circondava.


Per il resto la città non mi haparticolarmente colpito anche sedevo ammettere che io in generenon amo le grandi metropoli, per cui sono stata felice di lasciare ilcaos per andare a rivedere il piccolo gioiello turistico di Niagara on the Lake, unagraziosissima cittadina di soli13.000 abitanti, un tempobritannica poi distrutta dagliamericani e infine ricostruitarapidamente nel classico stileottocentesco.


Abbiamo camminato tra le vie immerse nel verde e tra i fiori che rallegravano leridenti case vittoriane, tra negozietti e piccoli alberghi che avevano il sapore ditranquille villette di campagna.


In questa atmosfera, come ho detto, di fine ottocento abbiamo progettato, comeultimo regalo di questo viaggio, l’escursione alle favolose cascate del Niagara, chegià conoscevamo ma che era sempre affascinante rivedere data la loro potenza ebellezza.


Poste a cavallo della frontiera che divide il Canada dagli Stati Uniti le cascate sono daentrambe le nazioni veramente spettacolari, quella americana è lineare e potente...


...ma l’altra nel versante canadese con la forma “a Ferro di Cavallo” e l’acqua che cadeda un’altezza di 57 metri è certamente più suggestiva.


Passerelle, piattaforme e scale permettono poi di accedere alla “Grande Gola”, mal’avventura che abbiamo vissuto con emozione è stata quella del battello stracolmo dituristi, tutti avvolti in una cerata blu, che è arrivato quasi ai piedi della cataratta…


...e allora anch’io, avvolta dallanebbia degli spruzzi,dall’umidità, dal fragoreassordante, con il cuore chesentivo battere sempre piùvelocemente, bagnata come un pulcino, ho avvertito, comenon mai, la forza della naturae l’impotenza di noi esseriumani.. eravamo tuttitotalmente immersi in un “bagno nella nebbia”, in cui non si vedeva nulla e solo quando ci siamo un po’allontanati abbiamo potutoammirare la bellezza che cicircondava.. ormai eravamo alsicuro!


Il viaggio praticamente erafinito con questa emozione…e in cuor mio ne stavo tirando le somme perché oltreall’esplosione di cemento dellegrandi città, ricorderò semprel’estensione cromatica deiboschi di pini ed aceri, i laghiazzurri, il cielo blu cobaltoquando splendeva il sole, ma anche le passeggiate sottola pioggia, il fantastico SanLorenzo, un fiume che parevanon finire mai, le escursioni inbattello.. un mondo diesperienze che avremmo volutoapprofondire, ma che ci hannougualmente lasciato bei ricordi.


E quindi anche se forse in piùpunti mi è apparso tutto un po’turistico, mi sento di esserecomunque soddisfatta e d’accordo con Claudio Magris il quale ha detto che “il viaggio,qualunque sia, è sempre uncammino verso quelle lontananzeche splendono rosse e viola nelcielo della sera, oltre la linea del mare e dei monti, nei paesi sui quali sorge il sole che da noitramonta…”

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