dibattiti - emanuele severino · 2019. 6. 13. · già dal titolo, autobiografia di un artista...

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Foà, il sentimento dell’attore E sistono situazioni nelle quali i gover- nanti di uno Stato costituzionale e de- mocratico sono costretti, per difen- derlo e assicurarne la sopravvivenza, ad agire contro la Costituzione e la democra- zia, ossia contro ciò alla cui tutela essi sono preposti. È quanto è accaduto alle democrazie occidentali per circa mezzo secolo, durante la «guerra fredda» con l’Unione Sovietica. Anco- ra oggi, in queste democrazie — la cosa è visi- bile soprattutto in Italia — , si vivono le conse- guenze di tale fenomeno apparentemente pa- radossale. Riguardano il rapporto tra politica e giustizia. Ma — diciamolo subito — come è possibile avanzare tesi di questa portata senza disporre di quella documentazione che non è disponi- bile nemmeno alle classi dirigenti e alla magi- stratura? Ora, l’apologia dei «fatti» è compren- sibile e auspicabile. Sennonché i grandi eventi storici sono ben di più di un insieme di fatti. Non possono quindi diventare oggetto di inda- gine giudiziaria, che appunto sui fatti si basa. A loro volta le classi dirigenti hanno a disposi- zione, intorno a quegli eventi, più «informa- zioni» di chiunque altro; ma il senso globale dei grandi eventi devono desumerlo da tali in- formazioni (che non sono i fatti a cui esse si riferiscono). Un fatto è qualcosa che si vede, si tocca, non qualcosa di desunto. Di un evento storico può capire di più chi desume meglio, pur avendo meno informazioni, di chi — uo- mo di potere, o magistrato o storico — pur di- sponendo di interi archivi desuma in modo va- cillante. Orbene, tutti siamo convinti che la «guerra fredda» è stata una lotta all’ultimo sangue, do- ve ognuno dei due mondi in lotta vedeva nel- l’altro «il Male» assoluto da cui ci si doveva difendere con ogni mezzo. Per quanto illegale e malvagio, qualsiasi mezzo sarebbe stato in- fatti un male ben minore del Male assoluto. Siamo tutti convinti che questa situazione sia esistita, anche se non è un fatto che ci stia da- vanti come casa nostra. E se qualcuno dicesse di non credere che quella lotta all’ultimo san- gue ci sia mai stata, lo considereremmo un uo- mo fuori del mondo. Ma, se abbiamo queste convinzioni, certe conseguenze si impongono. Altre volte ho ri- cordato una dichiarazione emblematica del- l’ex direttore della Cia Wiliam Colby, intervi- stato da questo giornale agli inizi degli anni Novanta. L’intervistatore gli chiedeva se fosse stato proprio necessario, durante la «guerra fredda», mettere all’Italia la «camicia di forza anticomunista». La risposta fu: «Sì. Meglio i ladri dei dittatori». E con queste parole egli di- chiarava nel modo più esplicito (anche se for- se inconsapevolmente) che i «ladri» erano ap- punto la «camicia di forza» dell’Italia. Una ca- micia che si mette ai matti pericolosi — ossia alle forze di sinistra, Pci in testa — che avreb- bero voluto rendere comunista l’Italia. I «la- dri», poi, erano la criminalità internazionale, mafia in testa. Ineccepibile, la risposta del direttore della Cia, portavoce della strategia globale del siste- ma democratico-capitalistico e della sua vo- lontà di sopravvivenza. Se i ladri sono utili a salvare la vita della democrazia e del capitali- smo — e la mafia è stata un anticomunismo doc —, perché non farne de- gli alleati e servirsene? Chi è in pericolo di vita fa di tutto per salvarsi ed è fuori luogo scandalizzarsi se fa anche co- se sconvenienti. Certo, quell’alleanza con l’il- legalità e la criminalità richie- deva l’instaurazione di tutto un insieme di rapporti tra la legalità statuale e l’illegalità criminale, e richiedeva anche sostanziose concessioni a quest’ultima da parte dello Stato, visto che nessuno fa qualcosa per niente. E quell’al- leanza, quei rapporti, quelle concessioni richiedevano trat- tative condotte da uomini, non da puri spiriti, contatti personali tra i rap- presentanti dello Stato e quelli della criminali- tà. E affinché l’alleanza funzionasse bisognava che i due gruppi si mettessero d’accordo e ma- gari si creasse un clima di compiacimento per l’accordo raggiunto e il buon funzionamento della collaborazione. Chi abbia mantenuto questi rapporti con la criminalità nazionale e internazionale non è, in relazione al tipo di di- scorso che stiamo facendo, di primaria impor- tanza. Ma qualcuno deve esserci stato, se e poi- ché crediamo che la «guerra fredda» abbia coinvolto anche l’Italia. E anche qui lo scanda- lo è fuori luogo. Fenomeno analogo è stato il finanziamento illegale dei partiti. In Italia si è presentata a quel tempo la concreta possibilità che i comu- nisti andassero al governo in seguito a libere elezioni. Affinché ciò non accadesse, era ne- cessario che il sistema capitalistico, per so- pravvivere, sostenesse i partiti anticomunisti, gratificasse economicamente in modo più o meno diretto l’elettorato perché non votasse il Pci, a sua volta finanziato dall’Unione Sovieti- ca. In questi giorni si è ricordato che Bettino Craxi ha raddoppiato il debito pubblico dello Stato italiano. Ma vale, per il raddoppio del de- bito, quello che vale per i ladri: se è servito a salvare dal comunismo la società italiana, il raddoppio era inevitabile come l’alleanza con i ladri. Questo, anche se il finanziamento del Pci era pagato dall’Unione Sovietica, mentre quello dei partiti anticomunisti era sostenuto dagli italiani (lo Stato italiano, avendo contrat- to la maggior parte del pro- prio debito con i propri citta- dini). Dopo la fine dell’Unione So- vietica, a certi esponenti della società democratico-capitali- stica italiana l’alleanza — o, se si preferisce, il matrimonio — della legalità statale con la criminalità è apparsa indecen- te; ad altri meno; altri inten- dono perpetuarla. E se l’abitu- dine fa l’uomo ladro, l’esser la- dri che han fatto un buon col- po favorisce la propensione a ripeterlo. La quale — dato il sottofondo, diciamo così, «cattolico» della criminalità mafiosa — è anche propensio- ne a ritenere indissolubili i matrimoni. La soluzione del problema della giustizia in Italia è lontana. L’alleanza tra legalità statuale e criminalità-illegalità c’è stata, era inevitabile che ci fosse e che oltre a chi ha operato illegal- mente per combattere il comunismo ci fosse stato anche chi ha combattuto il comunismo per accrescere il proprio patrimonio (o ha fat- to l’uno e l’altro). D’altra parte, la magistratura non può portare la storia in tribunale. Se lo fa, si propone quanto essa stessa non può non ri- tenere impossibile: l’incriminazione del mon- do democratico-capitalistico italiano (che in qualche modo ha vinto anche lui il comuni- smo) e di quanto rimane di quel mondo — che non è poco. Se, ciò nonostante, la magistratura si impe- gna in quella incriminazione, è a parole che lo fa in nome della giustizia, perché di fatto si schiera politicamente. E nemmeno di questo c’è da scandalizzarsi, perché, dal punto di vi- sta dell’opposizione, rivendicare la giustizia è una delle armi efficaci di cui essa dispone per indebolire il proprio avversario. In questa configurazione della lotta politica si dimenticano i «problemi reali» del Paese? Non precisamente. Accade in sostanza quel che è sempre e ovunque accaduto: che non si combatte l’avversario per risolvere i problemi reali, ma, del tutto all’opposto, ci si impegna a risolverli per indebolire l’avversario e rafforza- re se stessi. Ed è già qualcosa — sebbene oggi in Italia (ma non solo) si perda qualche volta di vista che per indebolire l’avversario e raffor- zare se stessi qualche problema reale bisogna pur risolverlo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Già dal titolo, Autobiografia di un artista burbero (Sellerio, pp. 202, e 13), desumi significati controcorrente nei tempi che corrono. Anzitutto l’autore, Arnoldo Foà, si definisce genericamente artista: in parte, certo, perché ha praticato la scrittura ma soprattutto — si intuisce — per essersi mantenuto lontano da quella «volontà di potenza» teorizzata da Nietzsche: «L’attore non prova il sentimento che esprime, sarebbe perduto, se lo provasse». Beh, Foà lo prova, tanto più in queste pagine. In secondo luogo, ricorrendo all’autobiografia (mai autoelogio, ma analisi della propria vita anche spirituale) l’artista non scade in un’abitudine editoriale ormai soffocante, praticata da personaggi che, vantando qualche dato segnaletico, si buttano a sfornare (più che a scrivere) racconti celebrativi delle proprie vicende. L’aggettivo «burbero» infine: può intendersi come difesa del fondo buono dell’animo. A riprova la testimonianza, bellissima, offerta da Foà alla sua attuale compagna di vita, con la confessione: «Vorrei essere così bravo e così importante da imporre il suo nome alla storia d’Italia». © RIPRODUZIONE RISERVATA Corruzione e patti con la mafia, il prezzo per battere il comunismo Palazzo Grassi, a Venezia, diventa oggi la cornice ideale per la presentazione del libro di Umberto Eco La vertigine della lista (Bompiani), giunto in breve tempo alla seconda edizione. L’incontro, che comincia alle ore 17 (ingresso libero fino a esaurimento posti), è organizzato dalla François Pinault Foundation. di ALBERTO BEVILACQUA Cultura IN PAGINA Democrazia e denaro La vittoria giustifica i mezzi Umberto Eco protagonista a Venezia Il simbolo Il capo della Cia di EMANUELE SEVERINO Il Pci si finanziava con i contributi dell’Urss e i partiti anticomunisti con il debito pubblico Il filosofo Emanuele Severino, nato a Brescia nel 1929, ha dedicato vari studi ai problemi della modernità e della tecnica William Colby difese le scelte di Washington dichiarando: «I ladri sono meglio dei dittatori» Il Muro di Berlino venne costruito dalle autorità comuniste della Germania Est nell’agosto del 1961, per impedire ai loro cittadini di passare all’Ovest. Cadde di fatto il 9 novembre 1989, quando i dirigenti di Berlino Est accettarono il libero transito verso Occidente. Nella foto (Archivio Corsera): alcuni bambini giocano sul Muro negli anni Ottanta William Colby (1920-1996) e Leonid Breznev (1906-1982) Dibattiti In Italia lo scontro interminabile tra magistratura e politica affonda le sue radici nei tragici eventi della guerra fredda 26 Lunedì 25 Gennaio 2010 Corriere della Sera

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Page 1: Dibattiti - Emanuele Severino · 2019. 6. 13. · Già dal titolo, Autobiografia di un artista burbero (Sellerio, pp. 202, e 13), desumi significati controcorrente nei tempi che corrono

Foà, il sentimento dell’attore

E sistono situazioni nelle quali i gover-nanti di uno Stato costituzionale e de-mocratico sono costretti, per difen-derlo e assicurarne la sopravvivenza,

ad agire contro la Costituzione e la democra-zia, ossia contro ciò alla cui tutela essi sonopreposti. È quanto è accaduto alle democrazieoccidentali per circa mezzo secolo, durante la«guerra fredda» con l’Unione Sovietica. Anco-ra oggi, in queste democrazie — la cosa è visi-bile soprattutto in Italia — , si vivono le conse-guenze di tale fenomeno apparentemente pa-radossale. Riguardano il rapporto tra politicae giustizia.

Ma — diciamolo subito — come è possibileavanzare tesi di questa portata senza disporredi quella documentazione che non è disponi-bile nemmeno alle classi dirigenti e alla magi-stratura? Ora, l’apologia dei «fatti» è compren-sibile e auspicabile. Sennonché i grandi eventistorici sono ben di più di un insieme di fatti.Non possono quindi diventare oggetto di inda-gine giudiziaria, che appunto sui fatti si basa.A loro volta le classi dirigenti hanno a disposi-zione, intorno a quegli eventi, più «informa-zioni» di chiunque altro; ma il senso globaledei grandi eventi devono desumerlo da tali in-formazioni (che non sono i fatti a cui esse siriferiscono). Un fatto è qualcosa che si vede, sitocca, non qualcosa di desunto. Di un eventostorico può capire di più chi desume meglio,pur avendo meno informazioni, di chi — uo-mo di potere, o magistrato o storico — pur di-sponendo di interi archivi desuma in modo va-cillante.

Orbene, tutti siamo convinti che la «guerrafredda» è stata una lotta all’ultimo sangue, do-ve ognuno dei due mondi in lotta vedeva nel-l’altro «il Male» assoluto da cui ci si dovevadifendere con ogni mezzo. Per quanto illegalee malvagio, qualsiasi mezzo sarebbe stato in-fatti un male ben minore del Male assoluto.Siamo tutti convinti che questa situazione siaesistita, anche se non è un fatto che ci stia da-vanti come casa nostra. E se qualcuno dicessedi non credere che quella lotta all’ultimo san-gue ci sia mai stata, lo considereremmo un uo-mo fuori del mondo.

Ma, se abbiamo queste convinzioni, certeconseguenze si impongono. Altre volte ho ri-cordato una dichiarazione emblematica del-l’ex direttore della Cia Wiliam Colby, intervi-stato da questo giornale agli inizi degli anniNovanta. L’intervistatore gli chiedeva se fossestato proprio necessario, durante la «guerra

fredda», mettere all’Italia la «camicia di forzaanticomunista». La risposta fu: «Sì. Meglio iladri dei dittatori». E con queste parole egli di-chiarava nel modo più esplicito (anche se for-se inconsapevolmente) che i «ladri» erano ap-punto la «camicia di forza» dell’Italia. Una ca-micia che si mette ai matti pericolosi — ossiaalle forze di sinistra, Pci in testa — che avreb-bero voluto rendere comunista l’Italia. I «la-dri», poi, erano la criminalità internazionale,mafia in testa.

Ineccepibile, la risposta del direttore dellaCia, portavoce della strategia globale del siste-ma democratico-capitalistico e della sua vo-lontà di sopravvivenza. Se i ladri sono utili asalvare la vita della democrazia e del capitali-smo — e la mafia è stata un anticomunismodoc —, perché non farne de-gli alleati e servirsene? Chi èin pericolo di vita fa di tuttoper salvarsi ed è fuori luogoscandalizzarsi se fa anche co-se sconvenienti.

Certo, quell’alleanza con l’il-legalità e la criminalità richie-deva l’instaurazione di tuttoun insieme di rapporti tra lalegalità statuale e l’illegalitàcriminale, e richiedeva anchesostanziose concessioni aquest’ultima da parte delloStato, visto che nessuno faqualcosa per niente. E quell’al-leanza, quei rapporti, quelleconcessioni richiedevano trat-tative condotte da uomini,non da puri spiriti, contatti personali tra i rap-presentanti dello Stato e quelli della criminali-tà. E affinché l’alleanza funzionasse bisognavache i due gruppi si mettessero d’accordo e ma-gari si creasse un clima di compiacimento perl’accordo raggiunto e il buon funzionamentodella collaborazione. Chi abbia mantenutoquesti rapporti con la criminalità nazionale einternazionale non è, in relazione al tipo di di-scorso che stiamo facendo, di primaria impor-tanza. Ma qualcuno deve esserci stato, se e poi-ché crediamo che la «guerra fredda» abbiacoinvolto anche l’Italia. E anche qui lo scanda-lo è fuori luogo.

Fenomeno analogo è stato il finanziamentoillegale dei partiti. In Italia si è presentata aquel tempo la concreta possibilità che i comu-

nisti andassero al governo in seguito a libereelezioni. Affinché ciò non accadesse, era ne-cessario che il sistema capitalistico, per so-pravvivere, sostenesse i partiti anticomunisti,gratificasse economicamente in modo più omeno diretto l’elettorato perché non votasse ilPci, a sua volta finanziato dall’Unione Sovieti-ca. In questi giorni si è ricordato che BettinoCraxi ha raddoppiato il debito pubblico delloStato italiano. Ma vale, per il raddoppio del de-bito, quello che vale per i ladri: se è servito asalvare dal comunismo la società italiana, ilraddoppio era inevitabile come l’alleanza coni ladri. Questo, anche se il finanziamento delPci era pagato dall’Unione Sovietica, mentrequello dei partiti anticomunisti era sostenutodagli italiani (lo Stato italiano, avendo contrat-

to la maggior parte del pro-prio debito con i propri citta-dini).

Dopo la fine dell’Unione So-vietica, a certi esponenti dellasocietà democratico-capitali-stica italiana l’alleanza — o,se si preferisce, il matrimonio— della legalità statale con lacriminalità è apparsa indecen-te; ad altri meno; altri inten-dono perpetuarla. E se l’abitu-dine fa l’uomo ladro, l’esser la-dri che han fatto un buon col-po favorisce la propensione aripeterlo. La quale — dato ilsottofondo, diciamo così,«cattolico» della criminalitàmafiosa — è anche propensio-

ne a ritenere indissolubili i matrimoni.La soluzione del problema della giustizia in

Italia è lontana. L’alleanza tra legalità statualee criminalità-illegalità c’è stata, era inevitabileche ci fosse e che oltre a chi ha operato illegal-mente per combattere il comunismo ci fossestato anche chi ha combattuto il comunismoper accrescere il proprio patrimonio (o ha fat-to l’uno e l’altro). D’altra parte, la magistraturanon può portare la storia in tribunale. Se lo fa,si propone quanto essa stessa non può non ri-tenere impossibile: l’incriminazione del mon-do democratico-capitalistico italiano (che inqualche modo ha vinto anche lui il comuni-smo) e di quanto rimane di quel mondo —che non è poco.

Se, ciò nonostante, la magistratura si impe-

gna in quella incriminazione, è a parole che lofa in nome della giustizia, perché di fatto sischiera politicamente. E nemmeno di questoc’è da scandalizzarsi, perché, dal punto di vi-sta dell’opposizione, rivendicare la giustizia èuna delle armi efficaci di cui essa dispone perindebolire il proprio avversario.

In questa configurazione della lotta politicasi dimenticano i «problemi reali» del Paese?Non precisamente. Accade in sostanza quelche è sempre e ovunque accaduto: che non sicombatte l’avversario per risolvere i problemireali, ma, del tutto all’opposto, ci si impegna arisolverli per indebolire l’avversario e rafforza-re se stessi. Ed è già qualcosa — sebbene oggiin Italia (ma non solo) si perda qualche voltadi vista che per indebolire l’avversario e raffor-zare se stessi qualche problema reale bisognapur risolverlo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Già dal titolo, Autobiografia di un artista burbero (Sellerio, pp. 202, e13), desumi significati controcorrente nei tempi che corrono. Anzituttol’autore, Arnoldo Foà, si definisce genericamente artista: in parte,

certo, perché ha praticato la scrittura ma soprattutto — si intuisce —per essersi mantenuto lontano da quella «volontà di potenza»teorizzata da Nietzsche: «L’attore non prova il sentimento che esprime,sarebbe perduto, se lo provasse». Beh, Foà lo prova, tanto più in questepagine. In secondo luogo, ricorrendo all’autobiografia (mai autoelogio,ma analisi della propria vita anche spirituale) l’artista non scade inun’abitudine editoriale ormai soffocante, praticata da personaggi che,

vantando qualche dato segnaletico, si buttano a sfornare (più che ascrivere) racconti celebrativi delle proprie vicende. L’aggettivo«burbero» infine: può intendersi come difesa del fondo buonodell’animo. A riprova la testimonianza, bellissima, offerta da Foà allasua attuale compagna di vita, con la confessione: «Vorrei essere cosìbravo e così importante da imporre il suo nome alla storia d’Italia».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Corruzione e patti con la mafia, il prezzo per battere il comunismo

Palazzo Grassi, a Venezia, diventa oggi la cornice idealeper la presentazione del libro di Umberto Eco La vertiginedella lista (Bompiani), giunto in breve tempo alla secondaedizione. L’incontro, che comincia alle ore 17 (ingressolibero fino a esaurimento posti), è organizzato dallaFrançois Pinault Foundation.

di ALBERTO BEVILACQUA

Cultura

IN PAGINA

Democrazia e denaro

La vittoria giustifica i mezzi

Umberto Eco protagonista a Venezia

Il simbolo

Il capo della Cia

di EMANUELE SEVERINO

Il Pci si finanziavacon i contributi dell’Ursse i partiti anticomunisticon il debito pubblico

Il filosofoEmanueleSeverino,nato aBrescia nel1929, hadedicato varistudi aiproblemi dellamodernità edella tecnica

William Colby difesele scelte di Washingtondichiarando: «I ladri sonomeglio dei dittatori»

Il Muro di Berlinovenne costruitodalle autoritàcomunistedella Germania Estnell’agosto del1961, per impedireai loro cittadini dipassare all’Ovest.Cadde di fattoil 9 novembre1989, quando idirigenti di BerlinoEst accettaronoil libero transitoverso Occidente.Nella foto(Archivio Corsera):alcuni bambinigiocano sul Muronegli anni Ottanta

William Colby(1920-1996) eLeonid Breznev(1906-1982)

Dibattiti In Italia lo scontro interminabile tra magistratura e politica affonda le sue radici nei tragici eventi della guerra fredda

26 Lunedì 25 Gennaio 2010 Corriere della Sera

Page 2: Dibattiti - Emanuele Severino · 2019. 6. 13. · Già dal titolo, Autobiografia di un artista burbero (Sellerio, pp. 202, e 13), desumi significati controcorrente nei tempi che corrono

Due sono i maggiorimali dell’Italia dioggi: larassegnazione e ilfatto che, senza che

ce ne rendiamo conto, ci stannotagliando, ad uno ad uno, tutti ilegami con l’Europa.Per avere un esempio delsecondo fenomeno, bastaprendere in considerazione laConvenzione delle Alpi, untrattato internazionale in vigoredal 1995 che unisce gli otto Paesidell’arco alpino e l’Unioneeuropea e che ha l’obiettivo diguidare insieme uno svilupposostenibile del territorio alpino,nonché la tutela degli interessieconomici, sociali, culturali edambientali della popolazione. Trail 1994 ed il 2000 sono statisottoscritti otto protocollitematici, in vigore in Germania,Austria, Liechtenstein, Slovenia eFrancia. Quattro protocolli sonostati ratificati direttamentedall’Ue. I protocolli sono pattiderivanti dalla Convenzione, cheregolano materie specifiche.In Italia il processo di ratifica deiprotocolli è stato iniziato piùvolte ma non è mai statocompletato a causa dei cambi dilegislatura. All’inizio del 2009l’attuale governo ha proposto laratifica di tutti i protocolli. Ilrelativo disegno di legge è statoapprovato dal Senato nel maggio2009 ed è ora al vaglio dellaCamera. Andando contro la lineadel governo, la Lega Nord, supressione delle associazioni degliautotrasportatori, ha bloccato laratifica del protocollo trasporti.Alla Commissione esteri dellaCamera ne è stato votato lostralcio, festeggiato dal Carrocciocome una grande vittoria. Ma c’èpoco da festeggiare: perché,ammesso che rappresenti unavittoria degli autotrasportatori(ma vedremo che neanchequesto sta in piedi), si tratta diuna sconfitta del governo esoprattutto delle popolazionialpine.Gli ostacoli sollevati dalla Legaalla Camera hanno riguardato inun primo momento la presuntaincompatibilità del protocollotrasporti con il dirittocomunitario. Ma la stessaCommissione Ue ha smentitol’esistenza di qualsivogliaproblema.Il protocollo prende le mosse

dall’impatto ambientale deltrasporto su strada, nelle Alpiparticolarmente grave. Laconformazione delle vallateimpedisce la dispersione degliinquinanti, che si concentranosui fondovalle, dove vive lamaggior parte della popolazione.In montagna la stessa massa diinquinante è distribuita in unvolume d’aria minore rispetto alterreno pianeggiante (poiché lemontagne riducono il volumed’aria complessivo). L’emissionedi ossidi di azoto lungo unastrada con il 5% di pendenza èdoppia rispetto a una stradapianeggiante. Infine, per quantoriguarda il rumore, le vallatecreano un effetto «anfiteatro»,impedendone la dispersione.Il protocollo dei trasporti è larisposta che i Paesi alpini hannodato a questa emergenza, conl’obiettivo politico di perseguire,per il traffico attraverso le Alpi,«un più consistentetrasferimento su rotaia deitrasporti ed in particolare deltrasporto merci», mediante lacreazione di strutture adeguate edi incentivi conformi al mercato,senza discriminazione sulla basedella nazionalità. Le parti siimpegnano ad astenersi dalla

costruzione di nuove strade digrande comunicazione per iltrasporto transalpino (cioè chetocchi due o più Paesiattraversando le Alpi). I progettistradali di grande comunicazioneper il trasporto intralpino (cioèche interessano un solo Paese)possono essere, invece,liberamente realizzati ma devonorispettare delle condizioni diprecauzione, sostenibilitàambientale ed economicità.La Lega, facendosi portavocedella Federazione degliautotrasportatori sostiene che,ratificando il protocollo, comehanno fatto altri Paesi, sifinirebbe per subordinare delledecisioni nazionali a unaregolamentazione europea.Qualcuno dovrebbe spiegare chequesta è l’essenza dell’essereparte di una Comunitàsovranazionale. Più inparticolare, la Lega sostiene cheil protocollo non permetterebbedi realizzare l’autostrada«Alemania», tra Venezia eMonaco attraverso il Cadore. Ciòè vero, ma questa autostrada nonpotrebbe comunque mai essererealizzata poiché Austria eGermania applicano già ilprotocollo. Al contrario, il

protocollo trasporti non ostaaffatto a che vengano realizzateinfrastrutture stradali permigliorare le reti di trasporto interritorio nazionale, purché sirispettino elementari principi dibuon governo. La verità è cheemarginandosi dalle scelte deglialtri Paesi alpini non solo il PaeseItalia ma i suoi autotrasportatoriverranno emarginati edanneggiati e perderanno lapossibilità di misure di sostegno.

Un altro imbroglio della Lega èsostenere che la Svizzera nonratifica i protocolli dellaConvenzione delle Alpi e che noidovremmo comportarci nellostesso modo. La notizia ècorretta. Ma non si dice che laSvizzera non è parte della Ue eche facendo come la Svizzera cicomporteremmo, appunto, comeun non membro dell’Unione. Ma,ancor più, la Svizzera non èinteressata al protocollo trasportisemplicemente perché la sualegislazione in materia è giàmolto più rigida, tanto che nellaCostituzione elvetica si stabilisceche il traffico merci transalpinoattraverso la Svizzera deveavvenire per ferrovia. La Legasostiene anche che il Protocollotrasporti farebbe gli interessi deiPaesi a Nord delle Alpi. Si trattadi un’altra sciocchezza, come èdimostrato dalla posizionefavorevole di Francia e Slovenia.

Che cosa resta dunque? Unpreclaro esempio di come l’Italiastia tagliando i legami conl’Europa, e venga, diconseguenza, gradualmente masistematicamente emarginatasenza che la gente se ne accorga.Ma resta anche un preclaroesempio della legge aurea dellastupidità umana di Carlo MariaCipolla: quella esercitata da chidanneggia gli altri senzavantaggio per se stesso. Che aquesto si presti la Lega perraccattare voti dagliautotrasportatori ècomprensibile ancorchéingiustificabile, soprattutto sottoil profilo dell’interesse dellepopolazioni alpine. Che questocomportamento, che va controtutte le direttive del governoitaliano, sia avallato, con ilsilenzio, da una personadignitosa e competente come ilnostro ministro degli Esteri, ècausa di profonda tristezza.

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Quando la Tecnica si arrende alla Natura

Quel localismo irragionevoleche ci taglia fuori dall’Europa

Corriere della Sera SMS

✒ Pare che Claudio Burlando ab-bia serie difficoltà a formare la

giunta della Liguria. Il motivo è che i futu-ri assessori non accettano di dimettersidal consiglio regionale, così come vorreb-be il governatore. Banalmente, per unaquestione di denaro: lo stipendio di un as-sessore esterno è molto più basso di quel-lo del consigliere regionale, il quale ha di-ritto anche al vitalizio a finemandato. Burlando non in-tende cedere a una soluzio-ne che lo costringerebbe adaumentare le retribuzionidegli esterni. Imitando in so-stanza quello che fece nel1999 il governo D’Alema con-cedendo anche ai ministrinon parlamentari l’indenni-tà di deputati e senatori. Lalegge regionale che limita lo stipendio de-gli assessori l’ha voluta il governatore euna retromarcia sarebbe impopolare.

Tenga quindi duro, Burlando. E gli as-sessori si mettano una mano sulla coscien-za. Ma il caso Liguria segnala un’altra pro-fonda anomalia tutta italiana. La separa-zione fra organi di governo e assembleeelettive è un sacrosanto principio: mini-stri e assessori amministrano, Parlamen-

to e consigli hanno il compito di controlla-re. Il ministro parlamentare o l’assessoreconsigliere si trovano nella classica situa-zione del controllore controllato. Il fatto èche in Italia questa separazione non è pre-vista dalle norme. La prassi è anzi contra-ria. Basta guardare il governo nazionale:l’unico caso in cui un esecutivo (quello diRomano Prodi) ha costretto i propri com-

ponenti a dimettersi dal Se-nato è stato perché altrimen-ti non avrebbe avuto la mag-gioranza. E nei casi in cui in-vece la prassi considera in-compatibili l’incarico eletti-vo e quello di governo, que-sto avviene formalmenteper evitare il conflitto d’inte-ressi, in realtà per avere piùpoltrone a disposizione. Co-

me accadrebbe anche in Liguria.Ecco perché su questo argomento, per

evitare situazioni analoghe, servirebbechiarezza. Magari una regola generale, sulmodello francese, che stabilisca l’incom-patibilità. Il problema è: chi l’approvereb-be mai, nel Paese dei doppi e tripli incari-chi? Figuriamoci…

Sergio Rizzo© RIPRODUZIONE RISERVATA

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di MARCO VITALE

GLI AMBASCIATORI A STELLE E STRISCECONTRO I GRAFFITI DI TRASTEVERE

✒ Tutta la Polonia ha pianto. Sonocertamente impressionanti le

immagini delle manifestazioni di cordo-glio che hanno mobilitato la popolazionedopo la sciagura aerea che è costata la vitaal presidente Lech Kaczynski, a sua mo-glie, e alle oltre 90 persone che lo accom-pagnavano in un già doloroso pellegrinag-gio della memoria. Una catastrofe spaven-tosa, avvenuta, per un gioco oscuro del de-stino, non lontano dalla foresta di Katyn,il luogo dove 22.000 militari polacchi furo-no assassinati nel 1940 dai sovietici.

Ma il futuro di una nazione non può es-sere affidato ai simboli e alle coincidenze,seppur diaboliche, che vengono prodottedalla Storia. «Talvolta temo che il mio po-polo si possa unire solo a fianco dei corpidelle vittime, vicino alle bare e nei cimite-ri», ha osservato la scrittrice Olga Tokar-czuk. Per la Polonia è ora il momento diuscire da questa sorta di incubo collettivoe di guardare avanti. E l’ora di ricostruire,dopo che un’intera classe dirigente è statadecapitata. Superando le divisioni, comeè stato fatto in questa settimana in cui èstato giustamente onorato come il leader

di tutti un presidente che, ricorda il costi-tuzionalista e studioso dei diritti umaniWiktor Osiatynski, aveva un tasso di con-senso inferiore al 30%. E’ tempo di riparti-re, contando sulle forze nuove di un Paesegiovane.

Se questo è vero, non sembra andarenella giusta direzione l’autocandidatura al-la presidenza della Repubblica di Lech Wa-lesa, perché anche i grandi leader storicihanno le loro stagioni. Come non sembradestinata a creare un clima politico oppor-tuno una campagna elettorale per il votopresidenziale radicalizzata attorno alla fi-gura del fratello gemello di Lech Kaczyn-ski, Jaroslaw. Il capo dello Stato ad inte-rim Bronislaw Komorowski, che è ancheil candidato alla presidenza della Piattafor-ma civica (il partito del premier DonaldTusk), è ottimista e non sembra spaventa-to da questa prospettiva. Speriamo che ab-bia ragione. Perché, per dirla con il polito-logo francese Jacques Rupnik, è necessa-rio che la Polonia «giochi la carta europeafino in fondo». Senza tornare indietro.

Paolo Lepri© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Secondo la scienza l'Universo è inco-minciato con un'immane catastrofe,il big bang che ha squarciato i «sovru-mani silenzi», e terminerà con un'al-tra non meno gigantesca catastrofe,

l'entropia, la degradazione dell'energia, che aquei silenzi riconduce. Nel frattempo altre cata-strofi devastano l'Universo e la Terra. Tra l'unae l'altra, intervalli che all'uomo sembrano lun-ghissimi e nei quali, d'altra parte, e frequenti,altre «minori» catastrofi si producono, quelleche uccidono migliaia di persone e di cui dan-no notizia i mass media. Il potenziale tecnicodell'uomo non è ancora in grado di fronteggiar-le. Come sta accadendo con l'eruzione del vul-cano islandese. Quel potenziale è invece in gra-do di gareggiare con la distruttività del fenome-no entropico: se scoppiasse un conflitto nuclea-re tra Stati Uniti e Russia la terra sarebbe di-strutta tanto quanto potrebbe esser distruttadalla «Natura». Sul piano della distruttività Tec-nica e Natura si combattono alla pari.

Noi viviamo in uno di quegli intervalli tra ca-tastrofi «minori», di cui si diceva. E' in relazio-

ne ad esso che ha senso parlare di destinazionedella Tecnica al dominio del mondo e della suacapacità di tener testa alla Natura. Certo, oggila Tecnica è impreparata di fonte a sconvolgi-menti come quelli che in queste ore stannomettendo fuori uso le opportunità offerte dallasocietà europea. Ma accade così in tutti i pro-cessi di una certa durata: nella quotazione deititoli in Borsa come in quei sentieri di monta-gna che salgono sì verso la cima, ma che in cer-ti tratti sono in discesa o procedono pianeg-gianti. La Tecnica è uno di quei sentieri.

E dire che la Natura «si ribella» ha senso so-lo in relazione ai progetti dell'uomo. La sua ri-bellione, inoltre, può essere ben più radicale di

quelle a cui ci è dato di assistere. A volte ci sitrova di fronte ad affermazioni che sembranoinoffensive. Ad esempio questa, che le leggidella scienza (da cui la Tecnica è guidata) sonoipotetiche, cioè non sono verità assolute. Spes-so gli scienziati se ne dimenticano. Mal'ipoteticità delle leggi scientifiche significa adesempio che un corpo, abbandonato a sé stes-so, da un momento all'altro, invece di cadereverso il basso potrebbe andare verso l'alto. Quila ribellione possibile della Natura è ben più ra-dicale. La provvisorietà della destinazione del-la Tecnica al dominio del mondo è ancora piùmarcata.

Si fa avanti, in tutta la sua gravità, il proble-ma della salvezza dell'uomo. Chi ci pensa? Quel-li che si danno da fare per uscire dalle crisi eco-nomiche e politiche? Sì, a quel problema le reli-gioni si rivolgono. Ma con la fede. E la fede èipotetica come le leggi della scienza. Ma l'uo-mo è destinato ad aver a che fare soltanto conipotesi e a soppesare soltanto con ipotesi il pe-ricolo da cui è circondato?

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RIFLESSIONI SULLA NUBE ISLANDESE

LA LEGA E IL PROTOCOLLO TRASPORTI

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IL CASO LIGURIA E LA CONFUSIONETRA CONTROLLORI E CONTROLLATI

SEGUE DALLA PRIMA

C’è voluta la base del volontariato(l’associazione «Retake Rome», gli ame-ricani residenti a Roma, la FondazioneGaribaldi e l’associazione «Vivere Traste-vere») per attivare una macchina che hacoinvolto David Thorne (ambasciatorein Italia), Miguel Diaz (Santa Sede) e Er-tharin Cousin (Onu) nonché il sindacoGianni Alemanno. Per la cronaca, è sta-to ripulito un muro in via Benedetta, aun passo da Ponte Sisto.

Da anni e anni Roma combatte unabattaglia durissima contro un degradogeneralizzato nel centro storico (Traste-vere in testa) e soprattutto contro lescritte sui muri. I danni sono devastanti.Parliamo di una città monumentale(quindi marmi e mattoni antichi, mate-riali estremamente porosi che assorbo-no fatalmente la vernice). Chi usa lospray talvolta imita con clamoroso ritar-do (parliamo di una corrente nata neiprimi anni ’70) ciò che negli Stati Unitiormai viene insegnato nelle accademied’arte come un dato storicizzato. Nulladi male, in fondo, se i guasti non fosse-ro spesso irreparabili. E se il fenomeno

non degenerasse in autentici assalti amonumenti, fontane, stabili privati ap-pena restaurati con filologica attenzio-ne, addirittura a insegne storiche. Cioèvero e proprio vandalismo, per definirechiaramente i fenomeni col proprio no-me. Ma in questo caso la fantasia dei vo-lontari ha superato i writers nostraniben poco coscienti delle ferite procura-te. Rebecca Spitzmiller della Fondazio-ne Garibaldi ha scoperto che basta unasoluzione a base di quei semplici prodot-ti in commercio usati per pulire i forni:la sostanza batte la vernice, ovviamentesui muri e sui marmi non monumentali(lì entra in gioco la soprintendenza...)

Il gesto dei tre ambasciatori america-ni e di Rebecca Spitzmiller rinvia agliStati Uniti di oggi, allo spirito di Obama,all’ottimismo di chi si sente cittadinoconsapevole, al desiderio di non subire ifenomeni. Roma ha molto da imparare.Fatalista com’è, rischia spesso di atten-dere gli interventi dall’alto. Stavolta laspinta viene dal basso. Da tre ambascia-tori e un sindaco per strada. Adesso ba-sta imitarli.

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A VOLTE RITORNANO: LECH WALESAE LA TENTAZIONE DEL PASSATO

❜❜Il nostro dominio del mondoappare sempre più provvisorioe governato da leggi ipotetiche

di EMANUELE SEVERINO

44 Domenica 18 Aprile 2010 Corriere della Sera

Page 3: Dibattiti - Emanuele Severino · 2019. 6. 13. · Già dal titolo, Autobiografia di un artista burbero (Sellerio, pp. 202, e 13), desumi significati controcorrente nei tempi che corrono

Davanti alla filosofia molti scien-ziati alzano le spalle. Dato ilmodo in cui essa, per lo più, èloro presente, hanno ragione.Soprattutto se non sa essere al-tro che una riflessione sui risul-tati della scienza o ha la prete-sa di insegnarle che cosa deb-ba fare. Ma i concetti fonda-mentali della scienza sono ine-

vitabilmente filosofici: in un senso ben più radicale di quel-lo a cui si allude quando ad esempio, per la profondità del-le categorie filosofiche coinvolte, si paragona il dibattitotra Einstein e Niels Bohr a quello tra Leibniz e Newton (M.Jammer, The Philosophy of Quantum Mechanics, Wiley,1974). E se il fisico Leonard Susskind, nel suo libro La guer-ra dei buchi neri (Adelphi), scrive di non essere «molto in-teressato a quel che dicono i filosofi su come funziona lascienza», tuttavia la sua «guerra», combattuta contro il col-lega Stephen Hawking, riguarda il tema a cui la filosofia siè rivolta sin dagli inizi e che sta al fondamento di tutti glialtri. Per Hawking i «buchi neri» presenti nell’universo so-no voragini in cui vanno definitivamente distrutte le coseche vi precipitano. Susskind vede in questa tesi la violazio-ne del primo principio della termodinamica, per il quale laquantità totale di energia dell’universo rimane costantenella trasformazione delle sue forme. Ora la «costanza»dell’energia è il suo continuare a «essere»; e l’«incostanza»delle sue forme è il loro venire a «essere» e il loro ridiventa-re «non essere», «nulla». Certo, il fisico si disinteressa delsenso dell’«essere» e del «nulla», ma il primo principiodella termodinamica non può disinteressarsene: lo ha den-tro di sé, ne è animato. All’interno di quest’anima, a cui lafilosofia si rivolge sin dall’inizio, cresce la scienza.

Si ritiene che la teoria generale della relatività di Ein-stein e la fisica quantistica di Heisenberg siano incompati-bili. Ma si contrappongono mantenendosi entrambe all’in-terno del senso greco dell’«essere» e del «nulla»: per il «de-

terminismo» di Einstein le forme di energia escono dalproprio esser nulla e vi ritornano seguendo un percorsoinevitabile («determinato») e quindi prevedibile; per Hei-senberg tale percorso non è né inevitabile né prevedibile;ma anche per lui le forme di energia escono e rientranonel proprio nulla. Non è un caso che egli riconduca il con-cetto di «onde di probabilità» al concetto aristotelico didynamis, «potenza» (cioè alla possibilità reale che uno sta-to del mondo sia seguito da un cert’altro stato). Freud scris-se di Einstein, col quale ebbe peraltro rapporti cordiali:«Capisce di psicologia quanto io capisco di fisica». Eppuresi capiscono benissimo sul fondamento ultimo, cioè sullacaducità delle cose del mondo. (Ovviamente, anche le re-centi polemiche su Freud e la validità delle sue scoperte,sul «Corriere» a firma di Dario Fertilio, Bernard-Henri Lévye Michel Onfray, pur guardando altrove, quel fondamentolo danno per scontato. Ma chi fa eccezione?).

La filosofia sostiene spesso la tesi del carattere contro-vertibile della scienza. Anche al tema dell’incon-trovertibilità la filosofia si rivolge da sempre. Per il mate-matico David Hilbert «il rigore nelle dimostrazioni, condi-zione oggigiorno d’una importanza proverbiale in matema-tica, corrisponde a un bisogno filosofico generale della no-stra ragione». E Il più grande spettacolo della terra, di Ri-chard Dawkins (Mondadori), eminente biologo evolutivoinglese, incomincia così: «Le prove a favore dell’evoluzio-ne aumentano di giorno in giorno e non sono mai statepiù solide». Esse «dimostrano come la "teoria" dell’evolu-zione sia un fatto scientifico e in quanto tale incontroverti-bile». Ma quel che rimane oscillante e alla fine oscuro inqueste pagine è proprio il concetto di «prova», di «fattoscientifico», di «incontrovertibilità», cioè la loro filosofia.Sono un buon paradigma di quanto tende ad accadere inmolti scritti scientifici del nostro tempo. D’altra parte, l’evo-luzione è un processo in cui le specie escono dal proprionon essere e vi ritornano, così come accade per le formeincostanti della costante quantità totale dell’energia. El’evoluzione della vita può essere o «naturale» o «cultura-

Le grandi scoperte della biologia,della fisica e della psicoanalisi sonomosse dalla falsa convinzione che sipossa tracciare un percorso con uninizio e una fine, dal nulla al nulla.Eppure, proprio sbagliando, hannoaperto la via alla scienza

LA

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Oltreimiti

di MARIANGELA GUALTIERI

LeonardSusskind,fisicostatunitense

RichardDawkins,biologoinglese

❜❜

E ci innamoriamo / ancorauna volta e ancora / scatta

la molla del cuore / el’intesa fra regni / con musi

con pietre con ali /sappiamo la melodia

sottesa / come l’idiota cheride / al centro della festa

anche noi / fatti notariverberante. Fra tante /

Fra tante

da «Bestia di gioia»,Einaudi, pagine 138, e 12

E ci innamoriamo...

di EMANUELE SEVERINO

❜❜

PERCHÉNESSUNATEORIAÈ UN DOGMA

In versi

Il filosofo EmanueleSeverino, natoa Brescia nel 1929,ha insegnatoall’UniversitàCattolica, a Veneziae al San Raffaeledi Milano.Fra i suoi libri:«Ritornarea Parmenide»,«La strutturaoriginaria»,«Essenzadel nichilismo»,«L’anellodel ritorno», «Oltreil linguaggio»

L’autore

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Darwin Einstein FreudChe errori grandiosi

Nella teoria dei buchi neri vedeuna violazione del primo principiodella termodinamica,per il quale la quantità totale di energiadell’universo rimane costante nellatrasformazione delle sue forme

Secondo lui l’evoluzione è un fatto, oltreogni ragionevole dubbio, con la certezzaassoluta che non ci sarà smentita.Eppure sa bene che, come la deriva deicontinenti, non può essere oggetto diosservazione diretta, la quale è inaffidabile

Modernità

38 Domenica 23 Maggio 2010 Corriere della Sera

Page 4: Dibattiti - Emanuele Severino · 2019. 6. 13. · Già dal titolo, Autobiografia di un artista burbero (Sellerio, pp. 202, e 13), desumi significati controcorrente nei tempi che corrono

le» come nella produzione tecnica, (di cui si parla in questeore) di una cellula vivente secondo il metodo di Craig Ven-ter.

L’evoluzione è un fatto «oltre ogni ragionevole dubbio»,con la «certezza assoluta che non ci sarà smentita». Come lacertezza, intende Dawkins, che il sole è molto più grandedella terra e che l’antica Roma è esistita. Il punto sul qualeva richiamata l’attenzione è il senso dell’«inoppugnabilità»e «incontrovertibilità» di tutte le teorie di questo tipo. Chein loro favore esista una valanga di prove nessuno lo nega.La questione è se tali prove e la loro abbondanza consenta-no di dire che le teorie così provate godano della «certezzaassoluta» che di esse «non ci sarà smentita». A meno cheDawkins non si proponga altro che allineare la teoria del-l’evoluzione alle altre teorie dello stesso tipo e per dare risal-to al suo discorso si serva di un linguaggio enfatico che pe-rò, tirate le somme, risulta inoffensivo. (Egli sottoscrive ilvecchio principio che «a rigor di logica solo i matematicisono in grado di dimostrare davvero qualcosa». Ma scriveanche: «Nel resto del libro dimostrerò che l’evoluzione è unfatto inconfutabile». Infatti se «solo i matematici sono ingrado di dimostrare davvero qualcosa», allora il suo libronon matematico non dimostra «davvero» che l’evoluzionesia un fatto inconfutabile. Capisco che queste gli possanosembrare considerazioni da «pedanti» e da «sofisti», però èdifficile sostenere che non siano «a rigor di logica»).

Ora, che cosa intende Dawkins affermando che il suo li-bro «dimostra» che l’evoluzione darwiniana è un fatto? Eglisa bene che essa, come la deriva dei continenti, non puòessere oggetto di osservazione diretta la quale è inaffidabile.La sua «dimostrazione» vuol essere un’«inferenza» che dal-le «tracce» lasciate dal processo evolutivo risale all’esisten-za di esso, al suo essere, appunto, un «fatto». Egli sa cheanche «l’inferenza si deve basare, in ultima analisi, sull’os-servazione». Sostiene però che l’osservazione diretta di unevento come un omicidio è meno affidabile dell’osservazio-ne indiretta delle «conseguenze» di esso: «È più facile cheincorra in un errore di identificazione un testimone oculare

piuttosto che un sistema di inferenza indiretta come il testdel Dna». Sì, posto che sia «più facile», non è però impossi-bile il contrario. Nemmeno per Dawkins. Ma essere «più fa-cile» non vuol dire essere incontrovertibile, ossia è un’ipote-si (plausibile, se si vuole). Ma da questa ipotesi dipende, nelsuo libro, la validità dell’«inferenza» con cui intende dimo-strare che l’evoluzione è un «fatto» incontrovertibile. Ciò si-gnifica che anche questa «inferenza» e pertanto l’esistenzadell’evoluzione sono soltanto «ipotesi». (Rileva inoltre che icambiamenti evolutivi sono «troppo lenti» per poter essereosservati da un individuo nell’arco della vita. Ma chi si pro-pone di dimostrare che l’evoluzione è un fatto non può pre-supporre l’esistenza di tale fatto e delle sue caratteristiche. Einvece Dawkins fa proprio questo: invece di dimostrare chel’evoluzione è un processo lentissimo, afferma arbitraria-mente che non può essere direttamente osservabile perchéè un processo lentissimo).

Deludente anche il modo in cui egli si sbarazza di unanota ipotesi di Bertrand Russell, la quale, sino a quando nonsi mostri che nemmeno come ipotesi è accettabile, lasciaaperta la possibilità che l’evoluzione, come viene intesa daibiologi, sia qualcosa di inesistente. Dice dunque Russell:«Può anche darsi che abbiamo cominciato tutti ad esisterecinque minuti fa, completi di ricordi preconfezionati, calzi-ni bucati e capelli incolti». A parte lo stile di molti filosofianglosassoni, che preferiscono parlare di calzini bucati piut-tosto che della Passione secondo San Matteo di Bach e, que-sto, per far sapere che l’esistenza non è da prendere tropposul serio — a parte cioè il senso che all’esistenza viene confe-rito dall’intero pensiero occidentale, che la ritiene caduca epreda del nulla (dunque degna di esser cominciata cinqueminuti fa) anche quando e appunto perché la si pensa nellemani di Dio — come risponde Dawkins a Russell? Rispondescrivendo che sì, «è possibile, a voler esser pedanti, che stru-menti di misurazione e organi di senso che li interpretanosiano rimasti vittime di un colossale inganno», cosicché,«se l’evoluzione non fosse un fatto, sarebbe un colossale in-ganno del creatore, ipotesi a cui pochissimi teisti sarebberodisposti a dare credito». Risposta deludente. Innanzituttoperché la verità incontrovertibile dell’evoluzione sussiste-rebbe solo se non si fosse pedanti — ma nemmeno perDawkins la pedanteria è qualcosa di scientificamente inac-cettabile. In secondo luogo perché dal fatto che i teisti nondarebbero alcun credito al «colossale inganno» non segueche tale inganno non possa esser perpetrato e che quindil’ipotesi di Russell sia da respingere.

Queste osservazioni non hanno l’intento di affermareche, dunque, i negatori dell’evoluzione «abbiano ragione».Entrambi gli avversari si muovono nel campo delle ipotesi.Oggi, ciò che decide dove stia la «verità» non è il costruttoconcettuale delle teorie contrapposte, non è la loroincontrovertibilità ma la loro maggiore o minore capacità ditrasformare il mondo conformemente ai progetti che l’appa-rato scientifico-tecnologico planetario si propone. Unascienza che si affanni a dimostrare la «verità incontrovertibi-le» dei propri contenuti combatte una battaglia di retroguar-dia. E quanto si sta dicendo delle scienze della natura valeanche per quelle logico-matematiche. L’esistenza delle geo-metrie non euclidee, ad esempio, implica che la geometriaeuclidea sia una verità incontrovertibile solo in relazione aipostulati e agli assiomi su cui essa si fonda, e dunque nonsia assolutamente ma relativamente incontrovertibile. Da

quando nasce, la filosofia pensa la verità come in-con-tro-vertibilità, ossia come ciò contro cui non ci si può rivol-tare (vertere), ma che non intende essere una costrizionetranseunte e quindi violabile. La connessione tra la verità el’inviolabile «principio di non contraddizione» attraversatutta la storia della cultura. Per Hilbert la questione «più im-portante» è dimostrare che basandosi sugli assiomi dellamatematica «non si potrà mai arrivare a dei risultati con-traddittori». Ma Gödel dimostrerà che questa dimostrazio-ne è impossibile. Cioè la matematica si sviluppa ammetten-do la possibilità di essere un sistema concettuale contraddit-torio e quindi controvertibile. Se lo dimentica Dawkins,quando afferma che «solo i matematici sono in grado di di-mostrare davvero qualcosa». Infatti, «dimostrare davvero»,cioè incontrovertibilmente, significa essere in grado diescludere quella possibilità.

Il primo grande libro di Darwin è intitolato L’origine dellespecie. «Origine», che rinvia al latino orior («provengoda…», «sorgo») corrisponde all’antico greco arché, la paro-la con cui, all’inizio della filosofia, Anassimandro indica il«principio» da cui tutte le cose provengono e in cui tutteritornano. La filosofia ha voluto giungere in modo incontro-vertibile all’affermazione dell’esistenza del «principio», mainsieme ha reso estrema la fede che è radicata nell’uomopiù antico: la fede che le cose e l’uomo abbiano bisogno di

qualcosa d’Altro da esse, che le spinga sulla terra e le rendadisponibili. Qualcosa d’Altro che è il mondo degli antenati edei fondatori della stirpe, il demonico, il divino e poi, quan-do la filosofia appare, l’arché, appunto. L’immenso e tremen-do sottinteso di questa fede è la convinzione che le cose, diper sé, sono incapaci di stare sulla terra, di per sé incapacidi «essere» sono preda del «nulla». Cose morte. La morte eil nulla sono la loro culla naturale. Perché si alzino dal sepol-cro occorre dar loro un’origine. Anche la scienza si muoveall’interno della fede nell’origine (ormai divenuta fede filo-sofica). Dell’antica origine demonico-divina la concezionefilosofica e scientifica sono trascrizioni mondane che diquell’origine conservano l’essenziale. Così accade per l’ar-ché e l’origine della specie, per il big bang come origine del-l’universo, per l’inconscio freudiano come origine della co-scienza. E ancora: per il lavoro, la storia, il linguaggio, il cer-vello, come origini della mente e della cultura. In generale,per le «cause» prossime e remote degli eventi. E perfino ilnulla è un succedaneo dei vecchi e nuovi dei — il nulla dacui i più oggi pensano, più o meno consapevolmente, chel’esistenza abbia l’origine ultima.

Sì, in queste forme dell’origine è presente l’intera sapien-za dell’uomo. Ma, proprio perché la fede nell’origine portasulle proprie spalle un fardello così gravoso, siamo sicuriche non le si debba chiedere se sia in grado di reggerlo?

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di ARMANDO TORNO

La tentazione della «verità»

Copernico, un funerale lungo quattro secoli e mezzo

Conta ormai solo la capacità ditrasformare il mondo secondo iprogetti dell’apparato tecnologico

Quel preoccupante bisogno di fedidi FRANÇOIS FEJTO

N iccolò Copernico, nome ita-lianizzato di Nikolaj Koper-nik (o Koppernigk), attende-

va dall’anno della sua morte, il1543, una sepoltura con la benedi-zione della Chiesa. La bara, con i re-sti umani del celebre astronomoche cambiò radicalmente la conce-zione del cosmo mettendo al cen-tro del nostro sistema il Sole, è sta-ta posta in un sarcofago sotto l’alta-re della basilica di Frombork, nelNord della Polonia, dopo una solen-ne cerimonia presieduta dal prima-te, arcivescovo Jozef Kowalczyk. Nelsuo discorso l’alto prelato ha, tra lemolte cose, evocato la condannadel 1616 di papa Paolo V, deploran-do gli «eccessi di zelo dei difensoridella Chiesa».

Va altresì detto che l’identificazio-

ne delle spoglie dell’autore del De re-volutionibus orbium coelestium èstata possibile grazie all’analisi delDna di un capello trovato a Uppsala,in Svezia, all’interno di un libro chefaceva parte della sua biblioteca eche egli aveva sicuramente consulta-to in più occasioni. Dopo che cin-que anni or sono furono rinvenuti isuoi resti, anche i criminologi, ba-sandosi sul cranio, ne hanno rico-struito la faccia, la quale non contra-stava con i dipinti d’epoca che lo raf-figuravano. Non si deve dimentica-

re che Copernico fu sepolto, pur es-sendo canonico di Frombork, inuna tomba priva di iscrizione.

Questi funerali, quasi sbrigati al-lora in silenzio e con massimo riser-bo, sono in sostanza durati quattrosecoli e mezzo. Si sarebbero potuticelebrare a suo tempo, ma le ideeche lo scienziato professava puzza-vano di zolfo sin dal 1530, allorchéegli decise di mettere in circolazio-ne un estratto delle sue teorie, il Co-mentariolus, che causò perplessitàe fece arricciare il naso anche a Lute-ro e Melantone, ormai lontani dallaChiesa cattolica. L’astronomo, a direil vero, non vedeva tutte quelle im-plicazioni contrarie alla Bibbia che iteologi denunciavano e per le qualiminacciavano l’inferno, giacché egliscrisse il De revolutionibus in un la-tino che sembrava quello dei com-mentatori bigotti di Aristotele e

l’aveva addirittura dedicato al Papa.Non è esagerato scrivere che Coper-nico era meno copernicano di moltialtri. Le sue fonti non si conosconocon precisione nemmeno oggi, maè certo che egli prese le mosse dalleconcezioni eliocentriche già presen-ti nella filosofia greca, in particolarenei pitagorici e in Aristarco da Sa-mo, prima di giungere a formulareil triplice moto della Terra (attornoal proprio asse, intorno al Sole, ri-spetto al piano dell’eclittica).

Le procedure per questa secondae riabilitante sepoltura sono comin-ciate in febbraio, allorché le spogliedell’astronomo vennero portate a To-run, in Pomerania, la città dove nac-que nel 1473. Poi la bara fu ospitatanel castello di Olsztyn dove lo stessoCopernico, tra il 1520 e il 1521, guidòla difesa contro i cavalieri dell’Ordi-ne Teutonico; quindi il corteo fune-

bre ha attraversato diverse localitàdella regione di Warmia, legate all’at-tività dello scienziato, prima di giun-gere a Frombork. La Chiesa final-mente lo accoglie senza riserve. I re-sti sono stati inumati ieri in una tom-ba di granito nero, sulla quale è sta-ta incisa una rappresentazione delsuo modello di sistema solare.

Certo, oggi tutto finisce nel mi-gliore dei modi. Ma Copernico persecoli ha causato paure e condanne.Giordano Bruno, il primo a trarre leconseguenze filosofiche dalle sue te-orie, vedendo in esse un riferimen-to sicuro per la tesi dell’infinità deimondi, chiuse i suoi giorni sul rogo.E Galileo Galilei, che con le sue os-servazioni astronomiche provò la va-lidità dell’ipotesi eliocentrica, fu co-stretto ad abiurare in ginocchio. Ep-pure il suo Dialogo sopra i due mas-simi sistemi aveva addirittura undoppio imprimatur. Ma non bastò.Occorreva far dimenticare in ognimodo quella dannata ipotesi di Co-pernico.

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❜❜Tutte le ipotesisull’argomento

C iò che distingue la «verità difede» dalla semplice verità è

la sua maggiore vulnerabilità aldubbio. La paura del dubbio,dell’incertezza, che grava su ciòche crediamo rende spessofacilmente intolleranti. Colui chedichiara «io credo» è meno sicurodi colui che può tranquillamentedire «io so», ecco perché egliafferma la sua ragione con tantoastio e accanimento. Lo

psicanalistaunghereseAndré Haynalha conprecisionedefinito«pulsioneistintiva»

quella che ci induce a considerareuna minaccia per la nostrasicurezza personale ognicontraddizione contraria alle

nostre convinzioni. La difesa diuna verità scientifica suscita avolte la medesima passione diquella di un articolo di fede, cometestimoniano la storia deldarwinismo, della psicoanalisifreudiana o della teoria dellarelatività di Einstein. È il caso diriconoscere che ogni uomo è unselvaggio potenziale.

da «Dio, l’uomo e il diavolo»Sellerio, 2007

Il rischio del fanatismodogmatico sempre in agguatofra i sostenitori dei grandi ingegnimoderni (come Darwin, Freud oEinstein) è affrontato dallo storicoungherese François Fejtöin «Dio, l’uomo e il diavolo»(tradotto nel 2007 da Sellerio).Sui temi della fisica è importante,«La segreta geometria delcosmo» di Jean-Pierre Luminet,tradotto in italiano per RaffaelloCortina Editore, 2004.Nel campo del metodoscientifico: Jules-Henri Poincaré,«La scienza e l'ipotesi»,traduzione italiana per Bompiani,2003. Per una riflessione sullabiologia è utile il saggio di PaulDavies, «Da dove viene la vita»,tradotto in italiano da Mondadorinel 2000. Sui problemi scientificiin genere: Ernst Mach,«Conoscenza ed errore»,traduzione italiana Einaudi, 1982;e anche Adolf Grünbaum«Psicoanalisi. Obiezioni erisposte», traduzione italiana diArmando Editore, 1988.Per una contestazione delneodarwinismo: Jerry Fodor eMassimo Piattelli Palmarini, «Glierrori di Darwin», Feltrinelli 2010

Fede e Scienza La Chiesa ha concesso ieri un’onorata sepoltura ai resti del padre dell’eliocentrismo, morto nel 1543 in odore di eresia

Il riconoscimento

Disegno diPaulSchulenburg(Corbis)

Le spoglie del genio polaccosono state identificateattraverso la prova del Dnaeseguita su un capello La cerimonia di tumulazione di

Copernico (foto Ansa)

39Corriere della Sera Domenica 23 Maggio 2010

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❜❜❜❜OrigineConfronti

Una lungatradizionedi pensieroda Aristoteleallo psicologoBrentano

Torna l’Orfeo in paradiso di Luigi Santucci (1918-1999),l’occasione è perfetta per riprendere a parlare di un grande autore.Oggi a Milano (Casa del Manzoni - via Morone 1, 0re 18) darannoil loro contributo Daniele Piccini, Armando Torno, GiovanniUngarelli, Alessandro Zaccuri. Coordina Arturo Colombo.Nell’occasione si inaugurerà una mostra dedicata allo scrittore.

Se nonavessil’animanon potreinemmenodire io

«L’ anima è in certo modogli enti»: He psiche taonta pos estin. Questoafferma Aristotele nel

De anima. «Gli enti» (ta onta) non signifi-ca «una certa parte degli enti, ma non lealtre parti». Significa: «tutti gli enti» (pan-ta ta onta). L’anima è «in certo modo»(pos) la totalità degli enti. Dalla tradizionearistotelico-scolastica a Brentano e alla fe-nomenologia l’espressione «in certo mo-do» è intesa come già Aristotele sostan-zialmente la intende: l’anima è gli enti,ma non nel senso che essa sia simpliciter— «fisicamente», dicono gli scolastici —gli animali, le piante, le case, la terra, ilcielo e la totalità degli enti, bensì nel sen-so che è la loro rappresentazione, ossia illoro presentarsi, manifestarsi, apparire.

Si interpreta che l’anima è «intenzional-mente» tutti gli enti, è il riferirsi a essi.Ma riferimento e intenzionalità sono in-nanzitutto l’apparire, il manifestarsi deglienti. E il pensiero greco chiama phaine-sthai tale apparire. D’altra parte, la totali-tà degli enti non appare tutta insieme,compiutamente. Aristotele, quindi, nonintende affermare che l’anima sia onni-sciente, ma che essa è tutti gli enti chevanno via via manifestandosi — cioè dicui essa è la manifestazione — e, insieme,che essa è sì la manifestazione della totali-tà degli enti, ma la totalità si manifesta co-me processo, sviluppo, «generazione» de-gli enti del mondo. E tuttavia, in quantoapparire della totalità degli enti via via ma-nifestantisi, l’anima non è un ente partico-lare appartenente a tale totalità. Ciò nonsignifica che non possa apparire. In Ari-stotele questo aspetto del discorso sul-l’anima rimane implicito.

L’apparire degli enti è il fondamento diogni ricerca, problema, conoscenza, scien-za, opinione, fede, e di ogni progetto, deli-berazione, decisione, azione: è il fondamen-to di ogni aspetto della vita dell’uomo, an-che di quelle convinzioni e indagini che sirivolgono all’«anima» («coscienza», «men-te», «spirito»), intesa, questa volta, comeparte della totalità degli enti. Filosofia — elo stesso pensiero aristotelico —, religione,scienza, arte hanno imboccato questa stra-da, dove l’«anima» è uno degli enti partico-lari che appaiono. Per esempio, per millen-ni — e, dopo la parentesi idealistica, tutto-ra — quelle forme culturali guidate da unsapere filosofico, che a sua volta si fa guida-re dal senso comune credono che, al di làdel loro apparire, gli enti esistano in se stes-si, cioè indipendentemente dal loro appari-re e, dunque, dall’anima in quanto sia inte-sa come il loro apparire. Solo sul fondamen-to di questa credenza possono farsi innanziteorie come quella evoluzionistica, che con-cepisce i fatti mentali come risultato di unlunghissimo sviluppo delle specie viventi; ocome quella in cui consiste la «psichiatria»,dove la psiche, intesa come oggetto di unaiatreia, è circondata dalla «cura» comeogni altro ente particolare curabile, e dovela cura è a sua volta inscritta in un contestosociale rinviante al mondo intero.

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Cultura

di LUIGI MARIA VERZÉdi EMANUELE SEVERINO

Luigi Santucci, l’omaggio di Milano

Il sacerdote

dell’anima

Anteprima Pubblichiamo due brani tratti dal nuovo numero della rivista «Kos» dedicato al rapporto tra spirito e ragione

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Ai confini

Il filosofo

È contraddittorio dire che anima spi-rituale e corpo carnale sono ununum? Nient’affatto! Vale per direche l’anima è spirituale, è il mio es-

sere, il mio sapere d’essere, l’essere comesono, non uno qualsiasi, ma io, fossi ancheil solo nel creabile, benché abbia fortunata-mente anche il mio corpo. Ma, se non aves-si l’anima, non potrei dire «io». La mia ani-ma, dunque, è integra in sé, ma il suo esse-re è essere con il corpo, avvaloramento pergustare più saporosamente lo spettacolodella terra, tutta armonia e risonanza delmio grande essere in Dio con tutti gli uomi-ni e donne componenti con me dell’essere,essere in Dio, nostro spettacolo e spettaco-lo suo perché sua opera, sua felicità che innoi trova la sua gloria.

Il mio corpo può essere piccolo, grande,mutevole. La mia intelligenza può essereacuta, modesta, interiorizzata, espansiva.La mia anima è quello che è. È il mio esiste-re, in sé immutabile, perciò è eterna. Dicosubito, per non sconcertare, che l’anima esi-ste per essere in uno con il corpo, o sensi, econ l’intelligenza. Il corpo da solo non fa uo-mo né l’intelligenza da sola fa uomo, comepure non fa uomo l’anima senza intelligen-za o senza corpo.

Allora, una domanda impertinente: piùesercizio dell’intelligenza fa più uomo? Nel-la sostanza, no. Neppure più salute corpora-le fa più uomo. Perche la sostanza anima èontologicamente immutabile. Posso ancheaffermare che l’uomo infermo è meno uo-mo e che l’uomo scarso di doti intellettualiè meno uomo. Quel «meno» è sempre rela-tivo e recuperabile, perche l’uomo uscitodalle mani del Creatore non poteva essereche perfetto, così come il mondo e l’univer-so sono perfetti nell’armonia del loro esse-re, del quale l’uomo gradualmente sta im-possessandosi, mediante l’intelligenza, perprevedere e dominare tsunami, terremoti,malattie. L’anima, però, è sempre sublime euguale a se stessa, non avendo parti degra-dabili.

Dice la Bibbia che il Creatore, purissimospirito, quando pensò l’uomo, decise di far-lo a sua immagine e somiglianza, pur asso-ciandogli un corpo. In greco eikon è ugualea immagine fotografica; omoiotes a somi-

glianza o uguaglianza. E l’anima che ci fa es-sere a Dio simili, traendo con sé il corpo el’intelligenza con tutti i loro componenti or-ganici e attributi cognitivi. Quando dico«meno uomo», non intendo meno valore;intendo meno realizzazione perfettiva ri-spetto al modello antropologico.

Il punto essenziale della somiglianza è,però, l’anima, spirito somigliante a Dio, an-che se non a Dio uguale. L’anima, dunque,è perfettibile? Ontologicamente no, merite-volmente sì. Il corpo e l’intelligenza influen-zano non l’essere, ma il merito dell’anima,anche se in modo non quantizzabile dal si-stema di misure che ha l’uomo. Una compo-nente, l’anima, che non può essere natural-mente generata perché è spirito e, quindi, èvolta a volta creativamente insufflata, comeall’origine del primo uomo, così all’originezigotica di ogni uomo.

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Quell’unica entità con il corpoche ci rende più simili a Dio

Sull’anima si discute da oltre due millenni e mezzo. Anche noi,come gli antichi greci, ci poniamo domande che non possonoavere una risposta definitiva. Eraclito, uno dei primi filosofidell’Occidente, in un frammento fulminante ricordava: «I confinidell’anima, andando, non li potrai mai trovare, per quanto tupercorra le sue vie, così profondo è il suo logos». Dove logos èragione e, al tempo stesso, anche qualcosa di divino, come nelprologo del Vangelo di Giovanni. Le parole di quell’antico sapienteogni contemporaneo potrebbe ripeterle senza correre il rischio diessere inattuale. Per questi e altri motivi, non ultimi quelli legatialle scoperte sulla «vita artificiale», il nuovo numero della rivistabimestrale «Kos» del San Raffaele di Milano (in libreria da oggi,pp. 64, e 10) è dedicato, appunto, all’anima. Ospita quattrointerventi: di Luigi Maria Verzé, Piero Coda, Giuseppe Scotti,Emanuele Severino. Del primo e dell’ultimo di essi diamo inquesta pagina, in anteprima, un estratto: con essi è possibileaccostarsi agli scenari della filosofia e alle considerazioniteologiche di don Verzé, il quale riflette sull’abbraccio infinito cheunisce anima e corpo e sull’origine divina che alimenta questosoffio che è in noi e nell’universo in egual misura.

È la sostanza di tutte le cosee fondamento della conoscenza

37Corriere della Sera Giovedì 27 Maggio 2010

Page 6: Dibattiti - Emanuele Severino · 2019. 6. 13. · Già dal titolo, Autobiografia di un artista burbero (Sellerio, pp. 202, e 13), desumi significati controcorrente nei tempi che corrono

Alle radici di un conflitto

di EMANUELE SEVERINO

Le fedi, follia dell’Occidente

Ogni dottrina vuole che il mondo abbia un sensopiuttosto che un altro e quindi ognuna si trovaessenzialmente in contrasto con le altre perchévuole che il mondo abbia un senso tutto suo

Accordo tra la Pinacoteca di Brera e il Louvre per unoscambio di opere. Il primo prestito proveniente d’Oltralpesarà un ritratto femminile di Piero della Francesca. Nel2011 arriverà il «Ritratto di dama» di Leonardo, noto comela «Belle Ferronière» (nella foto). Poi anche la «Madonnacol Bambino e San Giovannino» di Raffaello.

EmanueleSeverinonasce nel1929 aBrescia, silaurea nel1950 e nel1951 vince laliberadocenza.

Nel 1970lascia laCattolica diMilano efonda l’Istitutodi Filosofia aVenezia

È Accademiconazionale deiLincei,

Cava-liere di GranCroce. Tra lesue opere: Lastrutturaoriginaria(1958),Essenza delnichilismo(1972), LaGloria (2001),Oltrepassare(2007).Adelphi hadedicato unacollana aisuoi scritti eMorcellianasta perripubblicare lesue lezionialla Cattolicadel 1968.

La loro opposizione è apparente, non risolvono i problemi del mondo

L’ ultimo libro di Emanuele Severino, pubblicato da Adel-phi e del quale anticipiamo in questa pagina un brano,

si intitola L’intima mano. Europa, filosofia, cristianesimo edestino (pp. 188, e 26). Cosa significa «intima mano?». Permeglio comprendere tale locuzione occorre ritornare algiorno di Natale del 1784, quando Herder visitando Goethegli donò gli Opera postuma di Spinoza. E proferì questeparole: «Rechi oggi il santo Cristo in dono di amicizia ilsanto Spinoza». Il gesto era carico di significati, ancheperché il filosofo ebreo odiato e dimenticato per oltre unsecolo stava per essere riscoperto dall’idealismo tedesco, acominciare da Jacobi, Fichte, Schelling, Hegel, in uncrescendo che porterà decenni più tardi Nietzsche a vederein lui il pensatore «più vicino». Herder aggiunse: «Qualeintima mano congiunge i due in uno?».

In questa raccolta di scritti «molto organizzati», Severinosi propone di «andare più a fondo della risposta a cuiHerder può aver pensato»; ovvero rilevare che il legame traCristo e Spinoza accomuna anche tutte le grandi opposizionidell’Occidente (illuminismo e coscienza religiosa, Cristo edemonio nel dialogo del Grande Inquisitore dei FratelliKaramazov eccetera). Sottolinea che non si può distruggere

nulla senza crearequalcosa, e che ilprodurre distruggendo èanche alla radice dellateologia di Cristo,«creatore e distruttore».Questo ultimo libro escenel primo anniversariodella scomparsa diEsterina, la moglie di

Severino, che cade il 5 settembre. Ma a lei il filosofodedicherà un saggio a cui sta lavorando da quattro anni, chesarà ultimato entro la fine del 2010, nel quale svilupperà lalinea primaria del suo discorso, accanto a Destino dellanecessità (1980), La gloria (2001), Oltrepassare (2007).Intanto si registra una incessante pubblicazione di studi sulsuo pensiero, mentre la Morcelliana in ottobre riproporrà lelezioni universitarie tenute alla Cattolica di Milano nel 1968.Severino confessa di sentirsi in debito rispetto a moltiinterlocutori, soprattutto con Carlo Scilironi (Università diPadova) e Andrea Tagliapietra (San Raffaele). E ora invita ariflettere su questa «intima mano» che unisce le molteopposizioni dando loro un’unità. Il libro — al quale haatteso anche in ospedale, durante gli ultimi giorni dellamoglie Esterina — è un tentativo di configurare la strutturadi fondo degli antagonisti. Dio crea Adamo e Adamo vuoledistruggere Dio mangiando la mela: creazione distruttiva;Dio è d’accordo con Adamo e il serpente. Del resto, negliscritti di Severino «l’intima mano» è anche la Follia estremache oggi domina l’intero pianeta.

Armando Torno© RIPRODUZIONE RISERVATA

Accordo Brera-Louvre per Leonardo

O rmai sulla terra ogni conoscenza èdiventata una fede; anche ogni cono-scenza che guida la volontà, e cheguida pertanto anche la volontà di

pace; una fede: più o meno complessa, coeren-te, potente, consapevole di sé, ma pur sempreuna fede. Anche la scienza moderna è fede.

Tuttavia il senso di ciò che viene chiamato«fede» si mostra solo in relazione al senso del-la «non-fede», cioè al senso portato alla lucedalla filosofia, in Grecia. La filosofia si rivolgea ciò che si mostra in modo così pieno e inelu-dibile da non poter esser negato – da «non po-ter essere altrimenti», dice Aristotele. «Dio» èil contenuto centrale di ciò che si mostra all’in-terno dell’epistéme della verità.

Tutto ciò che non si mostra nell’epistémedella verità può essere altrimenti, è controverti-bile, lo si afferma perché si vuole che ad essocompeta ciò che di esso si afferma. Tutto il re-sto è, appunto, fede, mito. In quanto sapereipotetico, anche la scienza è fede e mito. La vo-lontà stessa, in quanto tale, è fede: innanzitut-to è fede di ottenere ciò che essa vuole.

Ormai sulla terra ogni volontà – anche la vo-lontà di pace – è guidata dalle contrapposte

forme della fede e del mito. L’epistéme dellaverità è tramontata. Dato il modo in cui hacompiuto il suo primo passo, il suo tramontoè inevitabile.

Il grande problema da affrontare è che vole-re la «pace» facendosi guidare dalla fede signi-fica volere la «pace» collocandosi nella dimen-sione della guerra. Ogni fede vuole che il mon-do abbia un senso piuttosto che un altro equindi ogni fede si trova essenzialmente incontrasto con le altre forme di fede, che inve-ce vogliono che il mondo abbia un senso diver-so. Dialogando tra loro, o le fedi rinunciano ase stesse in favore di una fede prevaricante,oppure non effettuano questa rinuncia, ma al-lora è inevitabile che alla fine si scontrino nonsolo sul piano del dialogo, ma anche su quellodell’agire effettivo dei popoli e che alla fineprevalga la fede più potente.

Relativamente alla «ragione», cristianesi-mo e islam sono in apparenza molto divergen-ti; ma al di là delle apparenze e delle loro in-tenzioni esplicite essi sono sostanzialmentesolidali (anche se la cristianità si è allontanataben di più dell’islam reale, storico, dalla bruta-lità del mondo arcaico). Ma non è forse del tut-to esplicita la sentenza di Gesù, su quel che sideve a Cesare e a Dio? Non è forse, questa sen-tenza, la prova più evidente dell’autonomiache la Chiesa riconosce a Cesare, cioè allo Sta-to, e, da ultimo, alla «ragione»? Indubbiamen-te, Gesù conduce la coscienza religiosa in unadimensione dove l’islam si rifiuta di entrare.Per l’islam è quel che è di Dio, ossia è la leggedi Dio, ad avere il diritto di configurare la strut-tura e le leggi dello Stato e della «ragione»:date a Cesare quel che è di Dio; rendete Diopadrone di Cesare.

Ma chiediamoci ancora una volta: quandoGesù afferma di dare a Cesare quel che è diCesare e a Dio quel che è di Dio, pensa forseche a Cesare si possa dare qualcosa che sia con-tro Dio? Certamente no! La Chiesa cattolica in-fatti rifiuta quella «libertà senza verità» (cioèsenza verità cristiana) che caratterizza la de-mocrazia semplicemente procedurale del no-stro tempo. Ma allora Gesù e la Chiesa pensa-no che Cesare debba essere cristiano e cioèche le leggi dello Stato debbano essere cristia-ne. E poiché non possono esistere leggi delloStato la violazione delle quali non implichiuna sanzione, ne viene che la violazione delleleggi cristiane dello Stato richiede una sanzio-ne terrena, ossia già qui sulla terra, prima an-cora che nell’aldilà.

La teoria, sostanzialmente comune ad Avi-cenna e a Tommaso, che una filosofia che

smentisca la fede è una falsa filosofiaè la traduzione, sul più ampio pia-

no della ragione, del modo in cui,per Gesù, ci si deve porre in rap-porto a Cesare e a Dio. Infatti, sea Cesare non si deve dare quelche è contro Dio, allora, quandoCesare è contro Dio, esso è un Ce-

sare falso, uno Stato che è in con-trasto col vero Stato: è un Cesare fal-

so, così come una filosofia che sia incontrasto con la «Rivelazione» è una falsa

filosofia. Anche alla filosofia si deve dare quelche è della filosofia e alla fede quel che è dellafede – purché alla filosofia non si dia quel cheè contro la fede (o che è indifferente alla fe-de). Anche la filosofia, e in generale la ragio-ne, come lo Stato, deve essere filosofia cristia-na, o islamica; ragione cristiana, o islamica.Cristianesimo e islam non sono dunque sem-plicemente due forme diverse e contrastantidi civiltà (non danno luogo a uno «scontro diciviltà»), ma affondano le loro radici nellostesso terreno, cioè appartengono entrambial grande passato dell’Occidente, cioè dellastessa civiltà. Cristianesimo e islam sono cer-tamente in contrasto; ma questo loro contra-sto è la superficie di un contrasto radicalmen-te più profondo, dove cristianesimo e islamstanno dalla stessa parte, si trovano a combat-tere il comune nemico mortale, cioè l’Europamoderna, sebbene, a un livello ancora più pro-fondo, un’«intima mano» unisca l’Europa mo-derna al cristianesimo e all’islam.

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Cultura

Perché in quei contrastisi nasconde una unità

La ricerca filosofica Gesù (sull’asina) e Maometto (sul cammello) in cammino verso Abramo. Miniatura araba del XIV secolo

Anteprima L’ultimo libro di Emanuele Severino affronta i grandi antagonismi su cui si fonda la civiltà

L’autore tenta diconfigurare la struttura difondo di illuminismo ereligione, Cristo e demonio

Autore

48 Venerdì 3 Settembre 2010 Corriere della Sera

Page 7: Dibattiti - Emanuele Severino · 2019. 6. 13. · Già dal titolo, Autobiografia di un artista burbero (Sellerio, pp. 202, e 13), desumi significati controcorrente nei tempi che corrono

U lisse ha più di ses-sant’anni e sta scon-tando gli ultimi set-te giorni di deten-

zione. Ha ucciso due guardieper difendersi, ha svaligiatobanche, ma ha affidato i suoibottini a un fratello che se neè fuggito in Costa Rica. Nonha prospettive per il futuro, sadi avere un figlia che gli è per-fettamente sconosciuta. Maproprio dalla ragazza in questigiorni riceve una lettera. Leinon vuole rinfacciargli niente:ha solo bisogno di lui «per fa-re una cosa» quando uscirà,ma preferisce parlargli di per-sona. La ragazza ha venticin-que anni ed è affetta da unamalattia «non curabile», chepuò ammazzarla quando le pa-re: porta a una «degenerazio-ne muscolare» che prima ne-

ga i movimenti e poi sgretola«pian piano il cervello fino alcollasso». Il male dà qualcheavvisaglia, creando «disordinidi parola». Perciò Gretel recitaogni mattina il Cinque maggiodi Manzoni come una sorta di«scongiuro».

Nel parlatorio Gretel si tro-va davanti un uomo vecchio«ma non imbolsito»: «Nientepancetta e niente pelata. I ca-pelli biondastri, ben pettina-ti». Ulisse le pare «un uomo ve-nuto a un appuntamento». Siparlano o meglio parla lei. Di-ce della malattia con voce «fer-ma» e chiede al padre di se-guirla in un progetto. Non vuo-le risposte subito: lo aspetteràtra due giorni all’uscita dal car-cere. Ulisse ha avuto soloun’espressione «prima di sor-presa, poi di incredulità». Ac-

cetterà la proposta della figlia,per quanto gli sembri strampa-lata: quella di partire da Tori-no per raggiungere Maratea,dove c’è un santuario dedicatoa San Biagio che fa «miracoli».

Partono i due su una FiatPanda. Ulisse nel «lavoro» eraabituato a ben altre auto. Han-no pochi quattrini: anche per-ché l’uomo nella propria car-riera non ha mai badato ai sol-di, se non per goderseli. Senzaconfessarselo l’uno all’altro, idue s’accontentano di vivereun «presente illimitato». Siscrutano durante il viaggio, siraccontano pian piano il loropassato sconosciuto. Teneris-sime sono le titubanze nellosfiorarsi nel profondo, con iltimore di farsi del male invo-lontariamente: l’accostamen-to diventa così graduale e dol-ce. Per Gretel è importante at-traversare il mondo con legge-rezza, «nel tempo che gli è da-to». Non vuole per ora altro.Ulisse, insieme «alla voglia dipiangere», viene preso «dauna specie di sentimento maiprovato». Nasce in lui l’impul-so (trattenuto) di «stringere»la figlia, «non dico di abbrac-ciarla».

Gretel sa benissimo qualera lo scopo del viaggio: quel-lo di stare con Ulisse in mac-china da soli il più lungo tem-po possibile, perché sentiva ilbisogno irresistibile, nella suasconfinata solitudine di «ap-partenere a qualcuno» e alla fi-ne del viaggio il miracolo èproprio questo di sentire di ap-partenere al padre, appena ilpadre le offre la sua totale de-dizione. Davide Ferrario hascritto con questo Sangue mio(Feltrinelli, pp. 191, e 16) unastoria straordinaria, per lievitàe leggerezza, anche quandoappare nella sua esteriore du-rezza: nessuna impennata in-ventiva di linguaggio, ma unadagio che accompagna dolce-mente il lettore.

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A lla fine del Vangelo di Marco(16,16-17) Gesù dice: «Chi cre-derà sarà salvo, chi non cre-derà sarà condannato». Ma,

prima di questa sentenza, il testo rac-conta come Gesù abbia unito stretta-mente e sorprendentemente il temadel credere a quello della preghiera. Inquanto inseparabile dalla fede, la pre-ghiera sta, dunque, al centro di ciò chepiù conta: la salvezza eterna. In quel te-sto Gesù dice: «Abbiate fede in Dio. Inverità vi dico che se qualcuno dirà aquesta montagna: "Togliti di lì e gettatinel mare" e non avrà alcun dubbio nelsuo cuore, ma crederà che quel che di-ce s’abbia a compiere, questo gli acca-drà. Perciò vi dico: tutte le cose chechiederete nella preghiera abbiate fe-de di ottenerle e le otterrete. E quandovi accingete a pregare, perdonate, seavete qualcosa contro qualcuno, affin-ché il Padre vostro che è nei cieli perdo-ni i vostri peccati».

Chiedere a Dio qualcosa è pregare.Se si prega Dio di avere da lui qualcosache egli non vuol dare, non si potràmai essere esauditi. A Dio si può chie-dere, dunque, solo quel che egli vuoldare. Si può volere solo quel che eglivuole. Se Gesù dice che chi crede saràsalvo, egli vuole la salvezza dell’uomo.Quel suo dire è, cioè, un comandare al-l’uomo di credere. Non lo lascia solo,dunque, a trovare la forza che lo portia credere. Vuole che creda. E quindi,pregando, l’uomo deve innanzituttochiedere, senza aver dubbi, di crederee otterrà di essere un credente, cioè sal-vo. E nemmeno spezza in due il Padrenostro, come se nella prima parte vo-lesse che sia fatta la volontà di Dio, manella seconda gli dicesse quel che vuo-le lui, il pane quotidiano, la liberazio-ne dal male ecc. Infatti, se Gesù gli co-manda di chiedere il pane, è perché sache il Padre vuole che l’uomo abbia ilpane. Lo stesso si dica per gli altri donirichiesti. Anche per quello espressodalle parole: «e perdona a noi i nostridebiti, come anche noi li rimettiamo ainostri debitori». Infatti nella preghieraautentica l’uomo può chiedere di esse-re perdonato solo se sa che Dio vuoleperdonarlo. La preghiera di Gesù con-tiene dunque anche l’implicazione, vin-colante e compromettente, tra il perdo-no per i propri debiti, che un uomo

chiede a Dio, e il perdono, da parte diquest’uomo, dei debiti che gli altri han-no nei suoi confronti. Perdonami co-me io perdono, dice quell’uomo. Eglichiede perdono perché sa che Dio vuo-le perdonarlo.

Ma il suo perdonare i debiti che glialtri hanno contratto nei suoi confron-ti? Non può essere un gesto che riguar-di soltanto lui, cioè dove Dio lo lasci so-lo a compierlo!

Tutto questo significa che, quando,nella preghiera di Gesù, l’uomo chiedea Dio di perdonare i propri debiti co-

me egli perdona quelli dei propri debi-tori, è necessario che l’uomo creda cheDio vuole che egli abbia la forza di per-donarli. Anche il perdono delle offeseè, dunque, qualcosa che l’uomo chiedea Dio, sapendo che anche questa suacapacità di perdonare è voluta da Dio eche, quindi, egli la otterrà. L’uomo èsalvo solo se ha fede nel Figlio di Dio.Ma la fede è inseparabile dalla volontàche vuole quello che è voluto da Dio ela preghiera è quel mettersi in rappor-to con Dio, dove non solo si dice di vo-lere quel che Dio vuole, ma lo si vuoleeffettivamente, cioè si perdona il pros-simo, lo si ama e si fa tutto ciò che Dioprescrive. E, volendo tutto questo, si èconvinti di ottenerlo, giacché chi cre-de di volere quel che è voluto da Dionon può pensare che Dio non sia capa-ce di ottenere quel che vuole.

Ma è anche necessario che chi vuoleche sia fatta la volontà di Dio, sia con-vinto di essere il giusto, il buono, il san-to perché, se fosse incerto di esserlo,sarebbe in dubbio anche sul propriostar volendo quel che Dio vuole. Con-vinto di essere il giusto che perdona leoffese e ama il suo prossimo, chi preganel modo dovuto agisce nel mondo esi imbatte in situazioni via via diverse,portando sempre con sé quella convin-zione. Agisce nel mondo, cioè nella po-lis. La «politica» è appunto questo suoagire tra gli individui, le istituzioni, i

gruppi sociali. Per Gesù la politica è in-nanzitutto perdonare le offese e ama-re. Ma che una certa azione sia un’offe-sa, una cert’altra sia un perdono o unaforma di amore è chi agisce nel mon-do a doverlo decidere! A questo puntochi presta ascolto alla parola di Gesù sitrova davanti a due strade. O rinuncia acredere che il modo in cui egli decidedi considerare offesa, perdono, amorecerte azioni sia esso stesso un volereciò che Dio vuole; oppure non compiequesta rinuncia e crede che tutto quel-lo che egli vuole e fa sia voluto da Dio.Nel primo caso, non può più credere— in relazione alle valutazioni e deci-sioni che egli, da solo, deve adottarenel mondo — nell’identità tra la volon-tà propria e quella di Dio: rinuncia acredere e, quindi, a pregare nel modoautentico; rinuncia, pertanto, alla pro-pria salvezza. Nel secondo caso, credeche ogni sua azione privata o pubblicasia la volontà di Dio e che, quindi, eglisia il giusto, il buono, il santo che sacapire quando un’azione è offesa, per-dono, amore e, dunque, sa realizzare ilregno di Dio in terra.

Certo, il cristiano si ritrae da entram-be queste strade, anche se entrambesono una tentazione costante. Tenteràdi andare un po’ sull’una e un po’ sul-l’altra. Ma proprio per questo non tra-dirà forse la propria fede e coerenza?

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«Sangue mio» di Davide Ferrario

di ANTONIO CARIOTI

O pera ponderosa, minuzio-sa, specialistica, realizzatacon il contributo di 116 stu-

diosi accademici, il Dizionario delsapere storico-religioso del Nove-cento (il Mulino, pp. 1.848, € 140),curato da Alberto Melloni, nonsembra prestarsi alle polemichegiornalistiche. E tuttavia controquesti due volumi densi di voci(da «Apocalittica» a «Zoroastri-smo», passando per «Confuciane-simo», «Papi e papato», «Religio-ni precolombiane», «Teologiaislamica della liberazione») è par-tita una campagna di stampa piut-tosto aspra.

Ha aperto il fuoco Lucetta Sca-raffia, editorialista dell’«Osserva-tore Romano», che domenicascorsa è intervenuta sul-l’inserto culturale del«Sole 24 Ore», imputan-do al Dizionario gravimancanze in fatto di«completezza e obiettivi-tà» per quanto concer-ne la storia e la culturadel cattolicesimo. Poi ilsuo attacco è stato ripreso marte-dì dal «Giornale». Quindi MarcoBurini, sul «Foglio» di ieri, ha ag-giunto le sue note critiche sul Di-zionario, per la verità più sfumatedelle precedenti.

Diversi i capi d’accusa cui Mello-ni, preso direttamente di mira, ri-

sponde innanzitutto con alcuneconsiderazioni generali: «Vorreifar notare che al Dizionario han-no contribuito studiosi scelti daun comitato di persone autorevo-lissime, tra cui il rettore del Ponti-ficio Istituto Biblico e il decanodella facoltà teologica di Leuven.Gli autori bersagliati dall’articolouscito sul "Sole" sono a loro voltaaccademici delle più importantiistituzioni culturali cattoliche. Èdel tutto legittimo dissentire daloro, ma andrebbero citati per no-me discutendo le tesi di ciascuno,invece di trattare l’opera come un

tutto unico, di cui io sarei l’onni-potente demiurgo».

Al curatore viene rimproveratodi non aver dedicato una voce allabioetica, dando invece uno spazioeccessivo, con un lemma curatoda Lucia Ceci, alla «ormai supera-ta» teologia della liberazione.«Anche l’Unione Sovietica non c’èpiù — ribatte Melloni — ma la sipotrebbe forse ignorare in unastoria del Novecento? Quanto allabioetica, ne parla ampiamente lavoce sulla teologia morale scrittada Giannino Piana».

L’accusa più grave però è quella

di aver ignorato gli studi teologicidi Benedetto XVI. «Un rilievo —nota Melloni — che si basa suuna lettura assai distratta del Di-zionario, visto che Joseph Ratzin-ger è citato come teologo in 44punti. C’è anche un paragrafo de-dicato specificamente a lui nellavoce sull’ermeneutica biblica rea-lizzata da Pier Cesare Bori».

Anche il teologo Giuseppe Rug-gieri ritiene infondata la polemi-ca di Lucetta Scaraffia: «Non vedocome si possa definire "priva di ca-rattere informativo" la voce sullateologia femminista curata daJeannine Hill Fletcher, che ho tro-vato invece molto ben fatta, ap-profondita ed esauriente. Franca-mente mi sfuggono i motivi diuna stroncatura del genere».

Il punto più dolente è comun-que la voce sulla Shoah: fa scanda-lo la connessione tra Olocausto ecristianesimo indicata da DonaldDietrich. «L’autore — ricorda Mel-loni — è un valido studioso dellaShoah che insegna al Boston Col-lege, istituzione legata alla Com-pagnia di Gesù. Ha le sue opinio-ni e le ha espresse apertamente,come era suo diritto: mi si chiede-va di censurarlo? D’altronde losterminio è avvenuto in Europa,continente cristiano, ed è statocompiuto da carnefici quasi tuttibattezzati. Si può negare che ciòcostituisca un problema?».

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Dove finisce la volontà dell’uomo di fronte alla volontà di Dio

Indagine di «Kos»sul cristianesimo

Elzeviro

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Storia

Il caso Accuse di lacune e faziosità all’opera sulle religioni curata da Melloni. Che ribatte punto su punto

di EMANUELE SEVERINOdi GIORGIO DE RIENZO

Ulisse e Greteluniti nella vogliadi ritrovarsi

Benedetto XVI.In alto: GustavMetzger:«La liquidazionedel ghettodi Varsavia»

Ratzinger, bioetica, Shoah: disputa sul Dizionario

Il dilemma della preghiera

La rivista del San Raffaele

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L’ULTIMO VIAGGIODI PADRE E FIGLIA

Confini Il filosofo esplora il rapporto tra fede e salvezza. E la sua dimensione «politica»

Dal numero 21 di «Kos», larivista del San Raffaele direttada don Luigi Maria Verzé oggi inlibreria, diamo in anteprima unostralcio del saggio dedicato allapreghiera di Emanuele Severino.Il numero, che ha come titolo«Perché il cristianesimo?»,ospita anche interventi dellostesso Verzé, di Claudio Rugarlie un dialogo tra Giulio Giorello eArmando Torno.

A sinistra:il CristoRedentoredavanti al Pontedel 25 aprileche attraversail fiume Tagoa Lisbona (Sea).Sopra: il filosofoEmanueleSeverino(foto A2 Alabiso)

41Terza PaginaCorriere della Sera Giovedì 30 Settembre 2010

Page 8: Dibattiti - Emanuele Severino · 2019. 6. 13. · Già dal titolo, Autobiografia di un artista burbero (Sellerio, pp. 202, e 13), desumi significati controcorrente nei tempi che corrono

C i si meraviglia per le notizie disponibi-li sul sito Wikileaks, relative ai retro-scena dei rapporti oggi intercorrentitra gli Stati del Pianeta. Tempo fa si

dava ascolto a ciò che poi venne chiamato «die-trologia». Che spesso era solo fantasia arbitra-ria: per forza doveva esserci sempre qualcosa diocculto, inconfessabile o pericoloso, dietroqualsiasi evento di carattere pubblico, qual è,appunto, un fatto politico. Si reagì, andando al-l’estremo opposto. Niente «dietrologia» — dun-que grande meraviglia quando si constata chela politica non va come sembra andare davantiagli occhi. Non si tenne cioè presente che ogniconoscenza autentica del mondo — ad esem-pio il sapere scientifico — è sempre un andareal di là, cioè dietro il modo in cui i fatti si pre-sentano a prima vista. Certo, bisogna saperlo fa-re.

Che la politica sia inganno — consapevole ono — lo si sa da qualche migliaio di anni: daquando in Europa si è fatto avanti il cosiddetto«spirito critico» (cioè la filosofia). Il tiranno, an-tico o moderno, non dice di agire per il benedei suoi sudditi, anche se fa credere (e per lopiù crede) che essi andrebbero in rovina se luinon ci fosse. Come il tiranno, il politico demo-cratico è un uomo. Ora, se il suo scopo primariofosse il «bene comune» — come egli continua-mente ripete — piuttosto che un uomo sarebbeun santo, perché subordinerebbe e sacrifiche-rebbe il proprio vantaggio personale al vantag-gio della comunità che egli intende guidare.L’uomo, invece, promuove un progetto volto aprocurare certi benefici alla comunità, solo senella realizzazione di tale progetto scorge untornaconto personale. Non vuole il proprio be-ne allo scopo di realizzare il bene comune, mavuole il bene comune allo scopo di realizzare ilproprio bene. Altrimenti è, appunto, un santo,ossia qualcosa che facciamo fatica a dire che èanche uomo. E un politico che dice, come dicesempre: «In cima ai miei pensieri c’è il bene co-mune» sta dicendo: «Io sono un santo».

Si dirà: ma no, il politico democratico ha co-me scopo primario sia il proprio bene sia quel-lo comune — che possono stare tutti e due sul-lo stesso piano. Fuori luogo, quindi, il riferimen-to alla santità. Ma, così, la torta è spartita tra idue beni. Cioè al bene comune il politico dà lametà delle proprie energie, nel migliore dei ca-

si tale bene è la metà di ciò che il politico vuole.Nel migliore dei casi; perché l’uomo si fa senti-re, e tende a rendere sempre più piccola la por-zione destinata a quel bene. Di solito, in cima aisuoi pensieri sta il suo tornaconto. Che d’altraparte deve avere una qualche utilità pubblica —così come in cima ai pensieri dell’imprenditoresta il profitto, ma bisogna che le merci da luivendute siano beni appetibili dagli acquirenti.

In ogni caso, il politico democratico non puòdire agli elettori quello che stafacendo. Non può dire: «Loscopo primario della mia attivi-tà politica — o della metà di es-sa — la dedico ai miei torna-conti». Non avrebbe più voti.Quindi è costretto a mentire.Non una volta tanto, ma di con-tinuo. Per lo stesso motivonon può dire quello che, adesempio, dice lo scienziato o ilfilosofo, cioè: «Quel che sto fa-cendo potrebbe essere sbaglia-to». Deve dire: «Quel che sto fa-cendo è indiscutibilmente giu-sto». Niente voti, altrimenti.La gente si fida di chi si fida disé. Queste considerazioni nonhanno nulla a che vedere conuna critica al politico democra-tico. Egli non può essere diver-so da come è. Proprio perché èun uomo. Non gli si può chie-dere di essere un santo. Il tiran-no può non mentire e chiede-re ai sudditi di morire per lui;il politico democratico nonpuò non mentire.

Anche nei rapporti interna-zionali le dittature e le demo-crazie sono costrette a menti-re. Sia in quanto sono Stati, siain quanto sono formazioni so-ciali guidate da individui che,essendo appunto uomini, o siservono dello Stato tutt’interoper i loro vantaggi privati, o,anche qui (e nel migliore deicasi), dividono la torta a metàe assumono come scopo pri-mario sia il bene dello Statosia il proprio — cioè si servo-no, per il proprio vantaggio, di

una parte dello Stato. E gli Stati, dittatoriali odemocratici, sempre e tuttora in conflitto tra lo-ro, furono e sono costretti a mentire per soprav-vivere. Non solo non possono comunicare ai ne-mici attuali o potenziali le proprie procedure didifesa e di sopravvivenza, ma non possono nem-meno renderle pubbliche ai propri cittadini.

D’altra parte, che l’uomo politico ponga co-me scopo primario o come parte di esso il pro-prio vantaggio non significa che le cose vadano

come egli vuole. L’uomo pro-pone e Dio dispone, si dice. E«Dio» significa come va ilmondo o una sua parte indi-pendentemente dalle decisio-ni umane: Hegel parlava, ap-punto, di «astuzia della ragio-ne». «Dio» è astuto perché siserve degli egoismi umani perrealizzare ciò che gli uomini,decidendo, nemmeno si so-gnano di voler avere. Più recen-temente, si è parlato di «etero-genesi dei fini». Significa chegran parte di quanto accadenon è ciò che l’uomo si propo-neva di far accadere. Il rappor-to tra Italia e Russia, qualeemerge dai dati forniti dal sitoWikileaks, è un esempio, o unsintomo significativo di «etero-genesi dei fini». È della stessanatura del rapporto Germa-nia-Russia, e anzi di quello traEuropa e Russia. Provo a chiari-re.

È ormai da quasi quarant’an-n i c h e v a d o m o s t r a n d ol’inevitabilità del tramonto delmarxismo, e quindi dell’Unio-ne Sovietica; e, insieme — eper le stesse ragioni (che quinon posso richiamare) —l’inevitabilità del tramonto del-le altre grandi forze dell’Occi-dente, quali il capitalismo, lademocrazia, il cristianesimostesso e la coscienza religiosain generale. Tramonta la lorovolontà di porsi come scopiprimari della società. In que-sto periodo ho anche più volterichiamato i motivi per i quali

l’Europa è destinata a unirsi sempre più stretta-mente alla Russia non più sovietica. Uno dei piùimportanti è che durante la guerra fredda l’arse-nale nucleare Usa ha protetto l’Europa dal comu-nismo sovietico e dalla pressione dei popoli po-veri guidati dall’Urss. Dopo la fine di quest’ulti-ma, i rapporti economici tra Europa e Russia ac-quistano un senso diverso e una diversa consi-stenza, perché la protezione nucleare america-na dell’Europa contro la pressione dei popolipoveri ma sempre più pericolosi può essere so-stituita da quella russa. Il fattore nucleare è de-cisivo perché solo Stati Uniti e Russia possonodistruggersi a vicenda e distruggere la Terra; egli Stati possono assicurare la propria sopravvi-venza solo schierandosi con l’uno o l’altro deidue leader mondiali. Sto dicendo che sta diven-tando sempre più realistica la possibilità di unoschieramento che veda Europa e Russia dallastessa parte. Ed è per ridurre questa possibilitàche gli Usa intendono smantellare la dipenden-za energetica dell’Europa dalla Russia. La Ostpo-litik ha anticipato la possibilità di quel nuovoschieramento. In risposta, già nel 1992 Nixon af-ferma che, cessato il pericolo Urss e venendo inprimo piano i problemi economici, «l’appoggiodegli Stati Uniti all’unità europea non può conti-nuare a essere né scontato, né a qualsiasi co-sto». Meglio cioè che l’Europa resti divisa (e,pensava Nixon, che gli Usa puntino a «un soli-do rapporto con la Germania») piuttosto che inblocco se ne vada dall’altra parte.

Il processo di avvicinamento tra Europa eRussia è gestito da individui umani, che inevita-bilmente, come prima ho rilevato, pensano in-nanzitutto al proprio tornaconto personale, o(nel migliore dei casi) lo pongono tra i loro finiprioritari. Che Gazprom sia orientato dagli inte-ressi personali di Putin, e l’Eni da quelli di Berlu-sconi, è cioè uno degli aspetti del processo og-gettivo in cui va producendosi la progressiva in-tegrazione tra Russia e Europa. Che l’ex cancel-liere tedesco Gerard Schröeder abbia accettatola presidenza del Nord Stream, il gasdotto cheporterà il gas russo in Germania, è un altro diquegli aspetti significativi. Sembra che l’Europacompri il gas russo, che costa di più, e non quel-lo americano, che costa di meno. Può darsi checiò accada perché in questo modo qualcuno siarricchisce, ma resta il fatto che attraverso l’ille-galità viene rafforzata la convergenza tra Euro-pa e Russia, e cioè che l’«astuzia» della «ragio-ne» si serve di tale illegalità per raggiungere ilproprio scopo. Dove la «ragione» è da intender-si — si diceva — come ciò che accade attraver-so ciò che gli uomini si propongono, ma è diver-so da ciò che essi si propongono.

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Se la mente crea la religione

Pascal Boyer, professore di Individual and Collective Memoryall’Università di St. Louis (Missouri), nel saggio E l’uomo creò glidei (Odoya, pp. 416, e 22) riduce le ricerche sull’origine della

religione a queste ipotesi: la mente dell’uomo è sempre in cerca diuna spiegazione, il nostro cuore necessita di continue consolazioni,l’intelletto ama illudersi. L’opera, che non esclude il dialogo con tesiopposte, offre analisi sulla nascita dei concetti soprannaturali ecerca di compendiare le risposte alla cruciale domanda: «Perché sicrede?». Boyer non è caustico come Henry Louis Mencken nelTrattato sugli dei, non è d’accordo con il biologo Richard Dawkins

per il quale un gene sostiene la fede, ma pensa che l’attivazione diuna panoplia mentale, ovvero una serie completa di componentidiverse, possa spiegare «sia l’esistenza dei concetti religiosi sia illoro successo culturale sia il fatto che la gente li trovi plausibili siail modo in cui la religione è apparsa nella storia dell’umanità sia lasua persistenza nell’ambito della scienza moderna».

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Ma il tornaconto personale, alla base della democrazia, deve avere un’utilità pubblica

«Marlene, mia bellissima, mia dolce, mia carissima, io ti abbraccio,ti bacio e di te sogno con il mio povero cuore che ti ama sempre»:così Jean Cocteau, da Cap Ferrat, si rivolge a Marlene Dietrich in unbiglietto (inedito) scritto il 10 settembre 1953 (arricchito daldisegno ad inchiostro di un profilo femminile) e venduto all’astada Sotheby’s a New York per 3.750 dollari (2.800 euro).

di ARMANDO TORNO

Cultura✒IN PAGINA

Governi

Nichilismo,tecnicae individuo

Hegel

Cocteau e Marlene: inedito all’asta

Gli statinon possonocomunicarele proprieproceduredi difesanemmeno aipropricittadini

La bibliografia

L’«astuziadellaragione»:gran partedi quantoaccade nonè ciò chel’uomo siproponeva

L’uomo politico è costretto a mentiredi EMANUELE SEVERINO

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Emanuele Severino hapubblicato tra l’altro: Lastruttura originaria(1958, seconda edizioneAdelphi 1981), Essenzadel nichilismo (1972,seconda edizioneAdelphi 1982), Destinodella necessità (Adelphi1980), La Gloria(Adelphi 2001),Oltrepassare (Adelphi2007). In relazione altema qui trattato: Ildeclino del capitalismo(Rizzoli 1993),Dall’Islam a Prometeo(Rizzoli 2003),Democrazia, tecnica,capitalismo (Morcelliana2009), Macigni e spiritodi gravità (Rizzoli 2010).

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Analisi Il caso Wikileaks non svela nulla di nuovo. Ogni conoscenza autentica del mondo è andare al di là di come si presentano i fatti

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56 Sabato 18 Dicembre 2010 Corriere della Sera

Page 9: Dibattiti - Emanuele Severino · 2019. 6. 13. · Già dal titolo, Autobiografia di un artista burbero (Sellerio, pp. 202, e 13), desumi significati controcorrente nei tempi che corrono

Pubblicate le ultime lezioni tenute dal filosofo nel 1968-69

La coscienza prima di tuttoE Severino lasciò la Cattolica

CulturaIl brano

C’è anche «Ritratto di donna», l’unica litografia di Picasso stampatain Italia, alla mostra «Le arti del XX secolo. Carlo LudovicoRagghianti e i segni della modernità» che si apre mercoledì a Pisa.La mostra è un omaggio a Ragghianti, grande storico e criticod’arte, in occasione del centenario della nascita. (M. Ga.)

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M ilano, Università Cattoli-ca, anno accademico1968-69. Emanuele Seve-rino è ordinario di Filo-

sofia morale, corso che frequentanogli studenti del terzo anno. Tiene an-che le lezioni di Istituzioni di filoso-fia, dedicate alle matricole. È un mo-mento di grande dibattito sul suopensiero e i giornali riportano notiziesul nuovo «caso». Severino, allievo diGustavo Bontadini, era diventato no-to ai più per il saggio Ritornare a Par-menide (che Sofia Vanni Rovighi pub-blicò sulla «Rivista di filosofia neosco-lastica» nel 1964 con una sua premes-sa); nel 1967 vide la luce Il sentierodel Giorno e nel 1968 — anno simbo-lo della contestazione — La terra el’essenza dell’uomo, oltre alla Rispo-sta ai critici, estremamente significa-tiva già nel titolo.

In quei giorni vivaci discussioni al-l’interno dell’Università Cattolica e al-la Congregazione per la dottrina dellafede (l’ex Sant’Uffizio) si chiedono sel’opposizione tra il pensiero di Severi-no e il cristianesimo sia insanabile. Ein effetti è riconosciuto tale dallaChiesa, perché per il filosofo il cristia-nesimo appartiene alla follia estremain cui consiste il mortale e l’esser uo-mo dell’Occidente. Intanto, però, con-tinua a tenere i corsi. Le sue lezionisono molto frequentate, gli studenti— tra essi non mancò Mario Capan-na, che poi passerà alla Statale diven-tando uno dei leader del Movimentostudentesco — non esitano a conside-rarlo un maestro, anche se non ha an-cora quarant’anni. Sovente non rie-sce a rispondere alle numerose do-mande che i frequentatori delle lezio-ni vorrebbero sottoporgli e allora liprega di scriverle su foglietti: repli-cherà la prossima volta.

I corsi di quegli anni non sarannotutti raccolti da Severino. I titoli ricor-dati formeranno nel 1972, insieme adaltri, il volume Essenza del nichili-smo (Paideia, poi Adelphi), ma le pa-gine delle Istituzioni si perderanno.Ora Morcelliana le ripropone, utiliz-zando la dispensa del 1968. Nella bre-vissima prefazione si ricorda un giudi-zio di Salvatore Natoli, allora assisten-te di Severino: «Mi ha costretto a da-re consistenza alle mie argomentazio-ni filosofiche, a fornire giustificazio-

ni adeguate alle mie tesi e direi chemi ha definitivamente vaccinato daivizi delle mode». Quelle lezioni esco-no proprio con il titolo Istituzioni difilosofia (Morcelliana, pp. 232, e 18).Sono tra le ultime che tenne alla Cat-tolica.

Cosa sosteneva in esse Severino? Ilfilosofo ha così riassunto il suo per-corso: oggi la scienza considera lamente (o coscienza) come «una cosatra le cose», senza avvedersi che «lecose tutte sono contenuto della for-ma originaria e superiore della co-scienza», ossia di quella forma che lafilosofia moderna chiama «coscienzatrascendentale», di cui la scienza nonpuò fare a meno; inoltre: la coscienzache interessa al sapere scientifico

non è la forma originaria, trascenden-tale della coscienza.

Anche se le Istituzioni di filosofiasi presentavano come un testo piùsemplice rispetto alle altre lezioni diSeverino, riflettono in talune pagine(come quella qui riportata su Pascal)le tensioni del momento e i chiari-menti che il loro autore presentava. Icondizionamenti della coscienza —per Marx è determinata da come silavora, per Nietzsche dagli impulsi,per altri dalla storia o dalla società,dal linguaggio o dal cervello o dallareligione e altro ancora — si credeche rappresentino una punta autono-ma della coscienza stessa, vista comeuna specie di iceberg, rispetto allasua parte immersa. Ma in tal caso ilpensiero filosofico s’inganna: perquesto è necessario mostrare quali si-ano le ragioni della coscienza stessanella sua interezza. Oggi se ne critical’autonomia, ma senza conoscere co-sa sia, ovvero per quali motivi la filo-sofia ritiene indipendente la coscien-za (soprattutto come coscienza filoso-fica). Un ulteriore elemento affronta-

to nelle lezioni: si usa con eccessivadisinvoltura il concetto di condizio-namento, dimenticandosi tutta la cri-tica che nella filosofia moderna è sta-ta fatta al principio di causalità. So-vente «sia la filosofia analitica siaquella del linguaggio, nonché molticapitoli della filosofia della mentescoprono l’acqua calda», confida Se-verino. Inoltre, le Istituzioni di quellontano corso gettano luce sullo svi-luppo che porta la filosofia da una fa-se iniziale in cui si crede che il pen-siero colga la realtà a una intermedia— che comincia con Cartesio — nel-la quale si dubita proprio della capa-cità della coscienza di cogliere la real-tà, a un terzo momento in cui si eli-mina quella realtà esterna alla co-

scienza che viene presupposta dog-maticamente da tutta la filosofia edalla cultura in genere fino all’ideali-smo. Era un esercizio critico che av-viava un dibattito vero e che in queltempo, ma anche oggi, ha trovato etrova difficoltà.

Le lezioni di Severino vengono oraraccolte, come prova il volume appe-na edito da Rosenberg & Sellier Vo-lontà, destino, linguaggio, nel qualesi leggono quelle tenute a Torino nelmarzo di quest’anno al sesto ciclo se-minariale della Scuola di alta forma-zione filosofica diretta da Ugo Perone(tra l’altro, è stato il primo italiano in-vitato). La dispensa delle Istituzionidella Cattolica, invece, è una riscoper-ta e restituisce pagine dense e affasci-nanti di un maestro. Il merito va allaMorcelliana: a Ilario Bertoletti, già di-rettore editoriale ora a La Scuola, e aSara Bignotti, l’attuale responsabile,poco più che trentenne. Dimostrano,con questo e con altri libri ben sele-zionati, come sia possibile fare gli edi-tori senza rinunciare alla dignità.

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Picasso, la litografia «italiana»

Perché Pascalviene rimossodalla moralebenpensante

Visioni Il confronto con l’exSant’Uffizio e il corso di «Istituzioni»

per le matricole: in quelle pagineil dibattito sul cristianesimo

Sotto osservazione

di EMANUELE SEVERINOdi ARMANDO TORNO

Anni irrequietiLa Congregazione della fedediscuteva la compatibilitàtra il suo insegnamentoe la dottrina della Chiesa

Dal volume «Istituzioni difilosofia» (Morcelliana),che ripropone il corso tenu-to da Severino alla Cattoli-ca di Milano nel 1968-69, ri-portiamo uno stralcio dalcapitolo IV.

O rmai, già lo osservava Nietz-sche, il cristianesimo comedrammaticità, quale venivapensato da Pascal, nella

nostra società borghese è diventatoun tranquillante che deve averel’effetto di placare la coscienza. PerPascal il discorso era un altro: sequesta cosa terribile che è ilcristianesimo fosse vera? Che cosadevo fare, in vista di questapossibilità? L’atteggiamento di Pascalnon era accomodante, macorrispondeva a questa cosa terribile;a questa cosa che, se presa sul serio,porterebbe a un modo di viveresostanzialmente diverso da quello cherealizziamo, e che realizziamo proprioperché siamo noi i primi a nonprendere sul serio il cristianesimo.Noi oggi abbiamo rovesciatocompletamente la posizionepascaliana, non ci preoccupiamo piùdi vivere come se questa cosa terribilefosse vera, ma diciamo che, se fossefalsa, è comodo, dà tranquillità viverecristianamente. Non comprendiamoniente di ciò che è l’essenza delcristianesimo. Pascal dice: proviamo avivere come se questa cosa terribilefosse vera; oggi si dice: viviamocristianamente anche se ilcristianesimo è una cosa falsa. Infattiè utile vivere cristianamente. Si dàprova di buon senso, credendo nelcristianesimo. Invece il cristianesimonon è mai stato una faccenda di buonsenso, a cominciare da quella cosacosì talmente priva di buon senso cheè stata la morte di Cristo, una cosache il benpensante contemporaneo diCristo certamente considerava unapazzia. Infatti i Greci, che erano ibenpensanti del tempo, quandosentivano parlare di un uomo chediceva di essere Dio e che si era fattouccidere da uomini che non glicredevano, gli davano del pazzo.Questa era la reazione delbenpensante rispetto a quella vicendadrammatica che è il cristianesimo.

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Frequentavano il suo corsoanche accesi contestatoricome Mario Capanna:per molti era già un maestro

Sopra: EmanueleSeverino. A destra:Bill Viola, «Stanza diCaterina», rassegna

«The Passion»,presentata alla National

Gallery di Londra

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25Corriere della Sera Lunedì 27 Dicembre 2010