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Consulta il sito della FP-CGIL di Bergamo – www.fpcgilbergamo.it 1 Diffondilo tramite intranet ed affiggilo in bacheca MARZO 2013 - formato elettronico Questo numero è diffuso solo in formato elettronico Sommario : IL FONDO PERSEO E I PROVENTI DELLE MULTE Pag. 2 LA NULLITA’ DEL CONTRATTO INDIVIDUALE DI LAVORO Pag. 8 PATTO DI STABILITA’ E GESTIONE ASSOCIATA DELLE FUNZIONI FONDAMENTALI Pag. 14 IL CONTO ANNUALE ED IL CENSIMENTO DEL PERSONALE DEL PUBBLICO IMPIEGO – ANNO 2011 Pag. 18 CORTE DEI CONTI – LA FONDAZIONE STRUMENTO INADATTO PER GESTIRE SERVIZI Pag 22 __________________________________________________________________________

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Diffondilo tramite intranet ed affiggilo in bacheca

MARZO 2013 - formato elettronico

Questo numero è diffuso solo in formato elettronico

Sommario:

IL FONDO PERSEO E I PROVENTI DELLE MULTE Pag. 2 LA NULLITA’ DEL CONTRATTO INDIVIDUALE DI LAVORO Pag. 8 PATTO DI STABILITA’ E GESTIONE ASSOCIATA DELLE FUNZIONI FONDAMENTALI Pag. 14 IL CONTO ANNUALE ED IL CENSIMENTO DEL PERSONALE DEL PUBBLICO IMPIEGO – ANNO 2011 Pag. 18 CORTE DEI CONTI – LA FONDAZIONE STRUMENTO INADATTO PER GESTIRE SERVIZI Pag 22

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IL FONDO PERSEO E I PROVENTI DELLE MULTE

Nonostante le interpretazioni restrittive della Corte dei Conti, in questi anni si sono susseguiti gli

accordi che hanno permesso di destinare i proventi delle sanzioni amministrative alla

previdenza complementare per il personale appartenente alla Polizia Locale. Con la nascita di

Perseo, il fondo per i dipendenti delle autonomie locali e della sanità, si è posto il problema della

possibilità di far confluire le somme previste dall’art. 208 del codice della strada al fondo stesso.

La COVIP, commissione di vigilanza sulla previdenza complementare, ha dato una prima apertura

a seguito di un quesito posto dagli organi del Fondo Perseo. La Commissione infatti sostiene che,

avendo la contrattazione nazionale individuato il Fondo Perseo come forma pensionistica di

settore, lo stesso potrebbe essere “la sede naturale di confluenza delle risorse che, a vario titolo,

sono destinate a previdenza complementare” e quindi anche le somme dei proventi delle multe

anche se le stesse non sono “espressamente previste tra le forme di finanziamento”.

La commissione stessa rimanda ai firmatari del Contratto nazionale la possibilità di dirimere la

questione pur rimanendo aperta la possibilità di destinare le somme sopracitate alla previdenza

per tramite dei fondi aperti, quelli gestiti dalle banche o dalle compagnie assicurative, come era

avvenuto finora.

L’apertura della COVIP non risolve i problemi contrattuali ancora esistenti e proprio per questo

motivo risulta sorprendente che, a seguito della circolare, gli organismi provvisori del fondo

abbiano deciso di inviare alle Organizzazioni Sindacali e agli Enti un modulo di adesione

individuale col quale gli aderenti possono richiedere, se ne hanno diritto in virtù di un accordo

di ente ovviamente, di conferire le somme passate e future finanziate dai proventi delle multe.

La problematica riguarda essenzialmente come considerare il contributo finanziato attraverso le

somme previste dall’art.208 del codice della strada: l’Agenzia delle Entrate dell’Emilia Romagna,

con una nota del 10 giugno 2011, ha affermato infatti che le somme sono da considerarsi come

versate direttamente dal datore di lavoro e di conseguenza spetterebbero solamente a chi

aderisce al fondo. Ma come è noto gli accordi tuttora esistenti riguardano tutto il personale della

polizia locale destinatario degli accordi di ente.

Di conseguenza, in assenza di una interpretazione contrattuale certa, chi non aderisce al fondo

potrà continuare a vedere accreditata la propria contribuzione ai fondi contrattuali aperti tuttora in

essere? Oltre al fatto che questa scelta aumenta di fatto il contributo datoriale previsto dall’art. 11

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dell’Accordo Nazionale del 14/05/2007 che ha istituito la previdenza complementare per il

personale delle autonomie locali e della sanità.

L’unica cosa certa è il regime fiscale di tale contribuzione: un parere del 22 giugno 2010

dell’agenzia delle entrate dichiara che tali contributi, essendo versati dal datore del lavoro, non

aumentano il reddito complessivo del lavoratore e possono inoltre essere dedotti, come i

contributi versati direttamente dal lavoratore, attraverso il proprio 730.

Un ulteriore problema riguarda l’assegnazione delle sole somme dei proventi delle multe senza

prevedere per questo gli effetti derivanti dall’adesione al Fondo Perseo, come il passaggio al

regime del TFR e l’obbligo della contribuzione a carico del datore di lavoro. Anche su questo

punto la COVIP rimanda ai soggetti firmatari del contratto il coordinamento delle norme

contrattuali che regolano l’art. 208 del codice della strada e la previdenza complementare.

Occorre ricordare che possono essere destinati alla previdenza complementare fino ad ¼ dei

proventi delle multe nell’ammontare determinato annualmente dalla Giunta Comunale: tali

somme possono essere gestite, con le finalità descritte, dagli organismi formati dai rappresentanti

dei dipendenti.

Le somme destinate alla previdenza complementare e finanziate dalle sanzioni, come ribadito più

volte da varie sezioni regionali della Corte dei Conti, devono essere considerate come spese di

personale ai fini dei vincoli imposti dalla normativa (Art. 1, comma 557, L. 296/2006 per gli enti

sottoposti al patto di stabilità) ma non devono essere considerate ai fini del rispetto del vincolo

individuale della retribuzione previsto dall’art. 9 comma 1 D.L. 78/2010 in quanto non hanno

natura retributiva ma di contributo del datore di lavoro, come abbiamo già avuto modo di

sottolineare. Questa interpretazione è avvalorata dalla Corte del Conti della Toscana nella

deliberazione n° 456 del 12 dicembre 2012.

Al contrario i fondi che le amministrazioni devono prevedere per il finanziamento della quota a

proprio carico destinata alla previdenza complementare così come previsto dall’accordo del

14/05/2007 non deve essere considerata ai fini del rispetto della spesa del personale. L’articolo 76,

comma 1, della legge 133/2008 infatti prevede che gli aumenti contrattuali devono essere

considerati neutri ai fini del predetto limite: ovviamente le amministrazioni dovranno prevedere

nel bilancio dell’ente le risorse sufficienti per far fronte all’adesione dei lavoratori.

I contributi del datore di lavoro infatti, per effetto della Direttiva 80/987/CE, sono equiparati ai

contributi previdenziali e pertanto l’ente è obbligato al versamento degli stessi.

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Bergamo, 26 marzo 2013

Per la FP-CGIL di Bergamo

F.to Dino Pusceddu

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DA “GUIDA AGLI ENTI LOCALI RISPONDE” La domanda

Funzionario enti locali Funzionario d3 giuridico ed economico d4 responsabile di area e con posizione

organizzativa. La nuova amministrazione decide di ridurre le aree e principalmente la

mia area, spalmandola nelle aree che si vogliono creare. Essendo responsabile dell'area

personale ,tributi e Servizi sociali. Visto che hanno deliberato la soppressione della mia

area, vorrei sapere se conservo la posizione organizzativa ed eventualmente quale

incarico posso avere in una delle aree già coperte con le posizioni organizzative.

La risposta dell'esperto Se l’ente sopprime un’area il responsabile della stessa decade dall’incarico di posizione

organizzativa. In questo senso vanno le previsioni di cui al CCNL 1.4.1999. Se l’ente vuole, ma

siamo nell’ambito della discrezionalità, potrà provvedere al conferimento di un incarico di

posizione organizzativa in sostituzione di uno degli altri responsabili. Altrimenti il

dipendente ritorna a fare semplicemente il funzionario, senza avere alcuna titolarità

di posizione organizzativa.

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LA NULLITA’ DEL CONTRATTO INDIVIDUALE

DI LAVORO

Di recente, soprattutto a seguito del nuovo art. 40 del D.Lgs 165/2001 come modificato dalla

“riforma Brunetta”, ci sono state rivolte domande in merito al ricorrere di casi di nullità, anche

parziale, dei contratti collettivi di lavoro.

Tuttavia e, ancor prima, di trattare delle condizioni di nullità dei contratti collettivi di lavoro nel

pubblico impiego “contrattualizzato”, è forse il caso di affrontare brevemente la questione della

possibile nullità del contratto individuale di lavoro e di quali sono, comunque, i vizi che possono

mettere in discussione l’esistenza dello stesso rapporto di lavoro.

In primo luogo occorre ricordare che, in generale un contratto è nullo quando, in applicazione

dell’art.1418 del cod. civ.:

è contrario a norme imperative;

difetta di uno dei suoi requisiti, vale a dire a) l'accordo delle parti, b) la causa, c) l'oggetto, d) la

forma, se prescritta sotto pena di nullità;

la causa è illecita o lo sono i motivi;

l'oggetto del contratto è impossibile, illecito, indeterminato o indeterminabile;

negli altri casi stabiliti dalla legge.

Inoltre, è necessario ricordare, che la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole

clausole comporta la nullità dell'intero contratto se le parti, sapendolo, non lo avrebbero concluso,

e che, tuttavia, la nullità di singole clausole non comporta la nullità del contratto, quando le stesse

sono sostituite di diritto da norme imperative.

Infine occorre tenere presente che, salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta

valere da chiunque vi ha interesse o può essere rilevata d'ufficio dal giudice, mentre l’azione per

far dichiarare la nullità di un contratto non è, normalmente, soggetta a prescrizione,

Orbene la condizione per la quale dottrina e giurisprudenza hanno rilevato la nullità del contratto

di lavoro nel pubblico impiego privatizzato, posto che nella pubblica amministrazione la forma

scritta del contratto è prevista ad substantiam, riguarda prevalentemente se non esclusivamente

il contrasto con disposizioni imperative di legge, in particolare per ciò che attiene alla

regolarità della procedura concorsuale che ne sta a monte (ad esempio: totale assenza di una

selezione pubblica, mancanza dei requisiti previsti dalla legge per partecipare al concorso,

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dichiarazioni false in merito al possesso di determinati requisiti, assenza di forma scritta, ecc.).

Nei casi di instaurazione di un rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione in violazione

di norme imperative di legge il giudice ha dichiarato nullo il contratto pur salvaguardando il

trattamento economico percepito e maturato in relazione alla prestazione lavorativa data in

applicazione dell’art, 2126 cod. civ., (C.d S. 3464/2011 — 5362/2007 — 4620/2007 — Trib. Firenze

27.1.2011)

Pur senza fare riferimento alla nullità del contratto di lavoro tale principio è esplicitamente

contenuto nel comma 5 del D.lgs 165/2001 che dispone :

“ In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di

lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di

rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma

restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del

danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le

amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei

dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che

operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi

dell'articolo 21 del presente decreto….”

Tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro, inoltre, sia dell’area dirigenziale che dei

“livelli”specificano che il contratto individuale di lavoro: “è regolato dai contratti collettivi nel

tempo vigenti anche per le cause di risoluzione del contratto di lavoro e per i termini di preavviso.

E', in ogni modo, condizione risolutiva del contratto, senza obbligo di preavviso, l'annullamento

della procedura di reclutamento che ne costituisce il presupposto.”

Che sia dichiarato nullo il contratto individuale di lavoro o annullata la procedura di reclutamento

con la conseguenza della possibile risoluzione senza preavviso del contratto di lavoro gli effetti

sul rapporto di lavoro sono sostanzialmente gli stessi.

Infine occorre ricordare che, anche se la conseguenza non è la nullità del contratto individuale di

lavoro o il divieto di instaurare rapporti di lavoro a tempo indeterminato

o la possibile rescissione immediata del contratto di lavoro, l’adozione di atti di gestione da parte

del datore di lavoro o la presenza di clausole del contratto collettivo decentrato integrativo in

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contrasto con norme imperative di legge possono portare alla dichiarazione di nullità di

attribuzioni effettuate in favore di alcuni dipendenti.

In tal senso Cassazione Sez. Un. Civili , 14 ottobre 2009, n. 21744 In materia di pubblico impiego contrattualizzato, il datore di lavoro pubblico non ha il potere di

attribuire inquadramenti in violazione del contratto collettivo, ma ha solo la possibilità di adattare i

profili professionali, indicati a titolo esemplificativo nel contratto collettivo, alle sue esigenze organizzative,

senza modificare la posizione giuridica ed economica stabilita dalle norme pattizie, in quanto il

rapporto è regolato esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato.

È conseguentemente nullo l'atto in deroga, anche "in melius", alle disposizioni del contratto

collettivo, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto

amministrativo, perché viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi dell'art. 21-septies della

legge 7 agosto 1990, n. 241, dovendosi escludere che la P.A. possa intervenire con atti autoritativi nelle

materie demandate alla contrattazione collettiva. (massima ufficiale)

Bergamo, 25 marzo 2012

Per la FP-CGIL di Bergamo

F.to Gian Marco Brumana

__________________________________________________________________________ DA “GUIDA AGLI ENTI LOCALI RISPONDE”

La domanda Turn over in enti soggetti al patto

Ai fini delle facoltà assunzionali negli enti soggetti al patto, la percentuale del 40% si applica

sull'importo stipendiale, compreso di oneri riflessi, corrispondente alla categoria giuridica (es.

C1) oppure alla categoria economica (es. C4) posseduta dal personale cessato dal servizio

nell'anno precedente?

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La risposta dell'esperto Il calcolo deve essere fatto con riferimento all’importo stipendiale, compreso di oneri

riflessi, corrispondente alla categoria giuridica (es. C1) iniziale. Si ricorda che le differenze di

progressione economica sono finanziate dal fondo e ritornano nello stesso all’atto

della cessazione del dipendente, per cui sono neutre ai fini del risparmio. Ad integrazione, si

ricorda che la FFPP e la RGS consentono di aumentare la spesa dei cessati delle risorse che

l’ente toglie dal fondo per la diminuzione del numero dei dipendenti in servizio.

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PATTO DI STABILITA’ E GESTIONE ASSOCIATA DELLE FUNZIONI

FONDAMENTALI

In applicazione del comma 1 dell’art. 31 della legge 183 del 2011 dal 1° gennaio 2013 anche i

comuni con una popolazione compresa tra 1001 e 5000 abitanti sono soggetti alle regole del patto

di stabilità interno.

Il superamento della soglia dei 1000 abitanti e, quindi, della soggezione o meno alle regole del

patto di stabilità interno è calcolato, in applicazione del disposto dell’art 156 del D.Lgs 267/2000,

prendendo in esame la popolazione residente alla fine del penultimo anno precedente a quello

di riferimento, secondo i dati forniti dall’ISTAT.

Sono, quindi, soggetti alle regole del patto di stabilità per il 2013 i comuni la cui popolazione sia

risultata superiore a 1.000 abitanti alla data del 31.12.2011.

Secondo la circolare del 7 febbraio scorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze ad

oggetto: “Circolare concernente il patto di stabilità interno per il triennio 2013-2015 per le province

e i comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti (articoli 30, 31 e 32 della legge 12 novembre

2011, n. 183, come modificati dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228). “ la soggezione al patto di

stabilità interno comporta, peraltro, che dal 1° gennaio 2013 sia esteso agli enti compresi tra 1001

e 5000 abitanti, calcolati secondo le regole sopra indicate: “il regime in materia di spese di

personale vigente per tutti gli enti già sottoposti al patto di stabilità interno. In particolare si

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applicano a tali enti anche i vincoli di cui all’articolo 76, comma 7, del decreto legge 25 giugno

2008, n. 112, con riferimento alle assunzioni a tempo indeterminato, e quelli di cui all’articolo 1,

comma 557, della legge n. 296 del 2006, connessi al contenimento delle dinamiche retributive e

occupazionali.”

Quindi oltre al rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno gli enti con più di mille

abitanti dovranno sottostare ai vincoli in materia di spesa del personale. Inutile dire che tali

vincoli sono più stringenti di quelli previsti dal comma 562 dell’art.1 della legge 296 del 2006 e che

l’effetto congiunto dei limiti imposti alla spesa del personale, di quelli in materia di assunzioni a

tempo indeterminato e del blocco dl salario accessorio previsto dall’art. 9, comma 2bis del D.L.

78/2010, corrono il rischio di complicare non poco le future scelte degli enti con popolazione

compresa tra 1001 e 5000 abitanti, soprattutto in materia di gestione associata di funzioni e

servizi.

E’ forse utile ricordare che il comma 557 dell’art. 1 della legge 296 del 2006 dispone che:

“Ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza

pubblica, gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di

personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, con esclusione

degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, garantendo il contenimento della dinamica retributiva

e occupazionale, con azioni da modulare nell'ambito della propria autonomia e rivolte, in termini

di principio, ai seguenti ambiti prioritari di intervento:

a) riduzione dell'incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese

correnti, attraverso parziale reintegrazione dei cessati e contenimento della spesa per il lavoro

flessibile;

b) razionalizzazione e snellimento delle strutture burocratico-amministrative, anche attraverso

accorpamenti di uffici con l'obiettivo di ridurre l'incidenza percentuale delle posizioni dirigenziali

in organico;

c) contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa, tenuto anche conto

delle corrispondenti disposizioni dettate per le amministrazioni statali”.

La riduzione delle spese del personale, peraltro, è da assicurare progressivamente, di anno in

anno, come hanno più volte chiarito le Sezioni regionali e le Sezioni riunite della Corte dei Conti,

in particolare relativamente alle Sezioni riunite vedasi i pareri 3/2011, 4/2012 e 26/2012 in cui si

afferma la prevalenza del cogente principio di riduzione della spesa del personale.

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“La riduzione della spesa di personale — si legge nel citato parere n. 26/2012 della Sezioni

Riunite della Corte dei Conti— rispetto a quella degli esercizi precedenti rappresenta dunque

uno specifico obiettivo di finanza pubblica al cui rispetto devono concorrere sia gli enti

sottoposti al Patto di stabilità che quelli esclusi, con la conseguenza che le disposizioni che tale

obiettivo declinano assumono carattere cogente e non derogabile.”

Considerato che con lo strumento della convenzione non viene costituito un nuovo ente, ma

semmai si ripartiscono i costi per l’esercizio delle funzioni fondamentali associate tra gli enti

convenzionati anche in modo eventualmente difforme rispetto alla dotazione di

personale di ciascuno, (attraverso l’utilizzo di personale in “distacco funzionale” a tempo parziale

presso altro ente), pare evidente che l’associazione di una funzione piuttosto che un’altra può dar

luogo alla diminuzione delle spese del personale per un comune e all’incremento per un altro.

Nel caso d’incremento delle spese di personale rispetto all’anno precedente si verificherebbe una

violazione del disposto del citato comma 557 dell’art. 1, della legge 296/2006 che prevede la

riduzione progressiva delle spese del personale.

L’esatto rovescio potrebbe verificarsi in caso di scioglimento della convenzione, con una

diminuzione della spesa del personale del comune che in precedenza le aveva aumentate e

l’aumento delle suddette spese per il comune che prima le aveva diminuite con violazione del

limite di spesa.

Queste situazioni potrebbero presentarsi, anche se la spesa del personale calcolata

complessivamente per tutti i comuni appartenenti alla convenzione dovesse diminuire.

Occorre, dunque, che vengano riviste, per gli enti locali, le disposizioni in materia di personale

rendendole certamente meno rigide, ma anche meno contraddittorie nella loro applicazione ed

al contempo sollecitare interpretazioni che non accentuino tale rigidità come pare avvenire

attualmente.

Il problema è che certe disposizioni ed interpretazioni corrono il rischio di produrre i paradossi,

peraltro evidenziati proprio dalla Corte dei Conti.

“ La rigida applicazione di tali disposizioni — sottolineano le Sezioni riunite della Corte dei

Conti nel parere n. 26/2012 - pone seri limiti agli enti locali nella scelta organizzativa più idonea

nella gestione dei servizi e delle attività connesse alle attività istituzionali, atteso che – come

sottolineato dalla Sezione remittente – la possibilità di reinternalizzare un servizio

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precedentemente affidato all’esterno, pur se più economica, efficiente ed efficace, è destinata

comunque ad incidere sulla complessiva voce di spesa per il personale se questa non può essere

rapportata anche alla spesa sostenuta allo stesso titolo nell’altra forma organizzativa.

Tale criticità, inoltre, emerge proprio nell’ambito degli enti locali più virtuosi che, oltre a

presentare parametri contabili ottimali, hanno correttamente trasferito personale, risorse e beni

strumentali alla società affidataria, provvedendo nel contempo alla necessaria riduzione delle

spese per il personale e alla rideterminazione delle piante organiche.

A fronte di una dotazione organica fortemente ridimensionata sotto il profilo numerico e

finanziario, la necessità di rispettare i vincoli di finanza pubblica potrebbe, pertanto, condizionare

la stessa gestione diretta del servizio pur essendo tale forma suscettibile di realizzare una minor

spesa.”

L’esempio è riferito alla possibilità di reinternalizzare un servizio affidato ad una società

interamente controllata, ma pare ben potersi estendere anche alle convenzioni per la gestione

obbligatoria delle funzioni fondamentali qualora il principio della progressiva riduzione della

spesa del personale venga assunto come presupposto imprescindibile di ogni politica del

personale.

Bergamo, 20 marzo 2012

Per la FP-CGIL di Bergamo

F.to Gian Marco Brumana

__________________________________________________________________________ DA “GUIDA AGLI ENTI LOCALI RISPONDE” La domanda

Maggiorazione retribuzione di posizione

In un Comune inferiore ai 3000 abitanti, il Sindaco ha richiesto l'attribuzione della maggiorazione

della retribuzione di posizione nella misura del 50% prevista dal CCNL dei segretari

comunali e provinciali del 16/05/2001 ai sensi dell'art. 41, comma 4 di cui all'allegato A dello

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stesso accordo. Al Segretario comunale, sono affidate varie funzioni tra cui Presidente

del Nucleo di Valutazione e Presidente del Cug. Il Segretario Comunale è titolare di sede al

100%. Non è responsabile di alcuna area di servizio ed è di fascia B. Vorremmo sapere se la misura

da riconoscere, nell'ambito comunque delle risorse disponibili e nel rispetto delle capacità di spesa,

possa essere determinata nei limiti del 50 % della retribuzione di posizione oppure nella misura

massima del 5% essendo comune inferiore ai 3000 abitanti ai sensi dell'art. 2 dell'accordo del

22/12/2003.

La risposta dell'esperto

La norma del contratto collettivo decentrato del 22.12.2003 prevede la maggiorazione fino al 5%

della retribuzione di posizione dei segretari nei comuni fino a 3.000 abitanti,

maggiorazione che può essere incrementata nel caso in cui lo stesso sia responsabile di una

articolazione organizzativa. Per cui l’ente deve rimanere ancorato a tali tetti. Occorre peraltro

considerare il tetto al trattamento economico in godimento di cui al DL n. 78/2010,

rispetto a quello in godimento nel 2010, tetto che può essere superato solo nel caso di

variazione dei compiti assegnati.

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IL CONTO ANNUALE ED IL CENSIMENTO DEL PERSONALE DEL

PUBBLICO IMPIEGO— ANNO 2011

Si riporta di seguito l’articolo di Arturo Bianco, consulente enti locali, apparso sul numero di

marzo 2013 della rivista “Guida al Pubblico Impiego” in cui l’autore commenta i dati forniti dal

Ministero dell’Economia e delle Finanze relativi al conto annuale del personale del pubblico

impiego ed al censimento degli organici degli enti locali dell’anno 2011 (gli ultimi disponibili).

Dall’articolo emergono con evidenza la diminuzione del numero dei dipendenti pubblici, il calo

della spesa per il personale anche in termini assoluti, in particolare quella per la contrattazione

collettiva, ed il blocco del trattamento economico nel pubblico impiego.

In fondo nulla di nuovo, tranne il fatto che a certificalo sono i dati forniti dal MEF, come del resto

lo erano quelli del 2010 commentati dalla la nota relazione della Corte dei Conti contenuta nella

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deliberazione n. 13 del 2012, con quale la stessa Corte ben ci spiegava che i in Italia la spesa del

personale pubblico non solo risultava in linea con quella media degli altri paesi europei, ma si

collocava ai livelli più bassi prendendo in esame i singoli stati.

Le risultanze del 2011, inoltre, sono ancor più significative ove si tenga presente che, sempre

secondo il MEF grazie alle anticipazioni fornite trimestralmente da amministrazioni campione,

trovano conferma anche per il 2012 e, probabilmente, in forma ancor più accentuata.

Uno sguardo, infine, occorre rivolgerlo all’ISTAT secondo cui l’inflazione in Italia nel 2011 è stata

pari al 2,8% e nel 2012 esattamente pari al 3%.

Difficile fare salti di gioia, ma, si dice, “al peggio non c’è mai fine”, almeno sul versante del lavoro,

anche quello pubblico. Mentre i posti di lavoro si perdono ogni giorno con continuità, Mario

Draghi, visto che in Italia la produttività è al palo da tempo suggerisce di “riformare i contratti nei

Paesi con pressanti problemi di competitività” e “rivisitare i mercati dei prodotti e del lavoro per

vedere se sono compatibili con la partecipazione all’unione monetaria”.

Bergamo, 16 marzo 2013 Per la FP-CGIL di Bergamo

F.to Gian Marco Brumana

Dipendenti pubblici ‘in posa’:

la Ragioneria scatta la fotografia

Via XX Settembre ha pubblicato i dati del conto annuale del personale del pubblico impiego e il

censimento degli organici degli enti locali

di Arturo Bianco Consulente Enti locali

Diminuzione del numero dei dipendenti pubblici e di quelli degli enti locali; calo

della spesa per il personale e, in particolare, di quella per la contrattazione collettiva ed

invarianza del trattamento economico in godimento. Sono questi i principali elementi che

si ricavano, con riferimento all’anno 2011, dal conto annuale del personale del pubblico impiego e

dal censimento del personale degli enti locali. Gli altri elementi di rilievo da sottolineare sono la

diminuzione delle assunzioni flessibili, con la sostanziale quasi scomparsa del contratto di

formazione e lavoro; la diminuzione della spesa per gli incarichi a soggetti esterni, sia

nella forma di collaborazioni coordinate e continuative che occasionali, l’aumento

dell’incidenza percentuale delle donne e la permanenza di una forbice negativa nel

trattamento economico dei dipendenti del comparto regioni ed enti locali (nonché di

quello dei ministeri) rispetto al complesso del personale delle PA.

Ricordiamo che le due rilevazioni, conto annuale e censimento del personale degli enti locali del

ministero dell’Interno, da alcuni anni sono state unificate: le informazioni per il censimento sono

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contenute nel conto annuale che, come è noto, è svolto dalla Ragioneria generale dello Stato.

Le informazioni si riferiscono per ambedue i documenti alla condizione del 2011 e sono state

trasmesse dalle singole amministrazioni di norma entro il 31 maggio del 2012. Il conto annuale del

personale fornisce nello stesso elaborato informazioni sull’andamento dall’anno 2007 in poi. Siamo

in presenza di documenti assai affidabili per l’ampiezza del campione coinvolto. Nel censimento del

personale degli enti locali hanno risposto ben 8.842 enti, per una percentuale che si conferma al

99%. Percentuali analoghe si registrano per il conto annuale: per la prima volta nel 2011 sono state

acquisite le informazioni di altre amministrazioni per un totale di circa 22.000 dipendenti, tra cui

la regione Sicilia e l’ente foreste della regione Sardegna.

Per dare l’idea del peso del comparto regioni ed enti locali, è opportuno evidenziare che esso incide

sul complesso del pubblico impiego, con riferimento al numero degli occupati, per il 17%. Come

rilievo esso è il terzo, essendo preceduto dalla Scuola (28%) e dalla Sanità (22%). È seguito dai

corpi di Polizia (10%), dai Ministeri (6%), dall’Università e dalle Forze armate (ambedue al 4%),

mentre gli altri comparti pesano nel loro insieme per il 5%. Da sottolineare che invece la spesa per

il personale del comparto regioni ed enti locali pesa per il 12,9% del totale della spesa pubblica per

il personale. Elemento che, in parte, si deve spiegare con la permanenza di un differenziale

negativo tra trattamento economico del complesso dei dipendenti pubblici e del personale degli

enti locali.

Il personale in servizio

Il numero dei dipendenti in servizio nelle PA era nel 2011 pari al 13,4% del totale

degli occupati nel nostro paese, percentuale che è in costante calo: nel 2007 era del 14,3% e nel

2010 del 13,8%.

Analizziamo il personale a tempo indeterminato. Nel complesso delle pubbliche

amministrazioni era di 3.080.081 nel 2011, mentre era di 3.064.978 nel 2010 ed in precedenza di

3.125.144 nel 2007. Abbiamo quindi un calo dell’1,4% nel periodo 2011/2007 ed un aumento dello

0,5% nel confronto tra il 2011 ed il 2010. Aumento che, annota il conto annuale, è solo apparente,

essendo dovuto all’inserimento per la prima volta di alcune nuove amministrazioni.

Per il comparto regioni ed autonomie locali avevamo come dipendenti a tempo indeterminato, nel

2011, 495.344 dipendenti a tempo indeterminato, mentre essi erano 508.316 nel 2007 e 508.108

nel 2010. Per cui le variazioni sono di un calo del 2,6% nel periodo 2011/2007 e del 2,5% nel

confronto tra il 2011 ed il precedente 2010.

In controtendenza sono i dati sulla Polizia locale: nel 2011 il loro numero era nei comuni di

57.728, a fronte dei 55.992 del 2010, quindi in aumento. Si conferma che la categoria più numerosa

nel comparto regioni ed autonomie locali è la C (191.379), seguita dalla B (124.570), dalla D

(105.177) e dalla A (22.694). In calo anche il numero dei dirigenti del comparto regioni ed enti

locali: compresi quelli a tempo determinato assunti per la copertura di posti vacanti in dotazione

organica, si tocca la cifra di 5.885 unità.

Da segnalare anche il lieve calo nel numero complessivo dei posti previsti nelle

dotazioni organiche degli enti locali: si passa da 567.221 al 31 dicembre 2010 a 566.977 al 31

dicembre 2012.

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Passiamo adesso al totale del personale in servizio. Nel complesso delle pubbliche

amministrazioni, nel 2011 era di 3.282.999, a fronte di 3.492.271 nel 2007 e di 3.315.238 del 2010.

Tra il 2011 ed il 2010 abbiamo avuto un calo dell’1%, mentre il confronto tra il 2011 ed il

2007 mette in evidenza un calo del 4,3%. L’analisi della Ragioneria generale dello Stato

mette in evidenza che il calo in effetti è ancora maggiore, alla luce delle ‘new entry’ nella

rilevazione: “A parità di enti la riduzione sarebbe quindi più ampia e pari all’1,6%. Si

può affermare che per il terzo anno consecutivo la riduzione del personale pubblico è proseguita

con un tasso pressoché costante, che ha portato alla fine del 2011 ad avere una consistenza in

termini assoluti più bassa di quasi il 5% rispetto a quella registrata alla fine del 2007,

sempre considerando che a parità di enti il risultato è più ampio di quello presentato in tabella”.

Nel comparto regioni ed autonomie locali abbiano nel 2011 in servizio complessivamente 502.453

dipendenti, mentre nel 2007 erano 515.741 e nel 2010 erano 513.434. Registriamo quindi un calo

del 3,4% nel periodo 2007/2011 e del 2,5% nel confronto tra il 2011 e il 2010.

Da sottolineare che prosegue la crescita delle donne: nel 2011 esse erano nel comparto

regioni ed enti locali il 51,1%, nel 2010 il 50,7%, mentre nel 2007 erano il 48,6%. Da

sottolineare che nel complesso del pubblico impiego la percentuale di donne occupate è ancora

maggiore: nel 2011 era del 55%. Nel comparto regioni ed autonomie locali il titolo di studio più

diffuso (246.102 unità) è il diploma di scuola media superiore. Tale numero è in aumento rispetto

all’anno precedente.

Le assunzioni negli enti locali

Pressoché tutte le amministrazioni locali hanno risposto positivamente alla domanda sul rispetto

dei vincoli dettati alle assunzioni di personale dalla normativa (commi 557 e 562 della legge

Finanziaria 2007). I vincoli introdotti dalla normativa degli ultimi anni hanno determinato un vero

e proprio tracollo del numero delle assunzioni effettuate tramite concorsi pubblici nel comparto

regioni ed enti locali: appena 3.505 nell’anno 2011 rispetto a 9.971 del 2010. Quindi un calo

di poco meno di 2/3.

Negli enti locali abbiamo avuto le seguenti stabilizzazioni: anno 2007: 6.257 unità; anno 2008:

7.072 (di cui 2.758 lsu); anno 2009: 4.156 (di cui 2.408 lsu); anno 2010: 2.499 (di cui 1.415 lsu);

anno 2011: 652 (di cui 344 lsu).

La spesa

Il costo del lavoro nelle PA era il 10,36% del Pil nel 2011; tale cifra è in aumento rispetto

al 2007, anno in cui si attestava al 10,15%, mentre è in calo rispetto al 2010, anno in

cui era pari al 10,74% La spesa complessiva per il personale delle amministrazioni pubbliche è

stata di 163.594 milioni di euro nel 2011 (a fronte di 166.773 del 2010 e di 157.811 del

2007). Abbiamo quindi una diminuzione del 3,3% rispetto al 2010 ed un aumento del

3,7% rispetto al 2007. Nel comparto regioni ed enti locali nel 2011 sono stati spesi 21.124

milioni di euro, a fronte di 22.909 del 2010 e di 21.737 del 2007. Quindi il calo è del

9,3% rispetto al 2010 e del 2,8% rispetto al 2007. Come si vede un contributo di gran

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lunga maggiore della media complessiva al contenimento di questa componente della

spesa pubblica.

Per le assunzioni a tempo determinato nel pubblico impiego la spesa del 2011 è stata di 2.993

milioni di euro, a fronte di 3.032 del 2010 e di 3.301 del 2007: un calo del 9% tra il 2011 ed il 2007

e dell’1% tra il 2011 ed il 2010.

Nel comparto regioni ed autonomie locali la tendenza è molto più marcata: 624,23 milioni di euro

nel 2011, mentre nel 2010 era di 604,69 e nel 2007 di 856,16: il calo è del 27% tra il

2011 ed il 2007 e del 10% tra il 2011 ed il 2010.

Per i contratti di somministrazione la spesa degli enti locali è stata di 87,02 milioni di euro nel

2011, con un calo del 34% nel periodo 2011/2007 e dell’11% nel confronto tra il 2011 ed il 2010.

Per i lavoratori socialmente utili la spesa degli enti locali è stata di 49,86 milioni di euro nel 2011.

Nonostante la diminuzione del numero si è registrato un forte aumento degli oneri per gli enti

locali, dovuto al frequente e massiccio ricorso ad integrazioni:

44% nel periodo 2011/2007 e 10% nel confronto tra il 2011 ed il 2010.

La spesa del personale del comparto regioni ed autonomie locali diminuisce lievemente rispetto al

totale di quella corrente: si passa infatti dal 31,84% del 2010 al 31,73%, dato ancora più

significativo se consideriamo la contrazione della spesa complessiva.

Si deve comunque sottolineare quanto sia ampio il numero di enti che si presentano comunque in

condizioni di difficoltà: ben nel 19,4% degli enti locali si è superata nel 2011 la soglia del 40% in tale

rapporto.

Il trattamento economico

La retribuzione media nel pubblico impiego era di 34.851 euro nel 2011, con un

aumento dell’ 1% rispetto al 2010 e del 10% rispetto al 2007. Nel comparto regioni ed

autonomie locali essa era di 29.728 nel 2011, a fronte di 29.833 nel 2010 e di 27.177 nel

2007. Quindi sostanziale invarianza rispetto all’anno precedente ed aumento del 9,4% rispetto al

2007. Da sottolineare che nel 2011 solo la retribuzione media del personale dei Ministeri (29.420

milioni di euro) era lievemente inferiore.

Gli oneri contrattuali nel comparto regioni ed enti locali hanno visto il 4,85% di aumento con

l’applicazione del Ccnl 11 aprile 2008 (biennio 2006-2007) ed il 3,20% con quello del 31 luglio

2009 (biennio 2008-2009). Per i dirigenti le cifre di aumento percentuale sono state le stesse: 4.85% Ccnl 22 febbraio 2010 e 3,2% Ccnl 3 agosto 2010. Anche per i segretari gli aumenti dei Ccnl

14 dicembre 2010 e 1° marzo 2011 sono stati gli stessi in valore percentuale.

Il lavoro flessibile

Complessivamente le varie forme di lavoro flessibile assorbivano nel pubblico impiego, nel 2011,

301.075 dipendenti, cifra pari al 10% del totale dei dipendenti. Il comparto regioni

edautonomie locali nello stesso anno assorbiva 50.082 unità; anche in questo caso

l’incidenza percentuale sul complesso dei dipendenti è di circa il 10%.

Il conto annuale mette in evidenza che nel pubblico impiego si deve registrare “l’estinzione della

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tipologia contrattuale della formazione e lavoro che è ancora presente con poco più di 2 centinaia

di unità annue impiegate nel comparto nazionale delle regioni e autonomie locali e con meno di

100 nelle Agenzie fiscali”.

Le assunzioni a tempo determinato e con contratto di formazione e lavoro nel complesso del

pubblico impiego erano 86.467 nel 2011: si registra il calo del 6% rispetto al 2010 e di ben il 26,6%

rispetto al 2007. Nel comparto regioni ed autonomie locali il numero nel 2011 era di 30.370, a

fronte di 32.975 del 2010 e di 45.611 del 2007. Il calo è quindi ancora più marcato del complesso

delle PA: il confronto tra il 2011 ed il 2010 mette in evidenza la diminuzione del 7,9% e quello tra il

2011 ed il 2007 del 33,4%.

Assai marcato anche il calo dei contratti di somministrazione e dei lavoratori

socialmente utili, lavoratori che sono presenti soprattutto negli enti locali. Per contratti di

somministrazione registriamo 3.270 assunzioni nel 2011, a fronte di 5.406 del 2007, con una

diminuzione del 40%.

Per i lavoratori socialmente utili si passa da 23.861 del 2007 a 16.442 del 2011, con una

diminuzione del 31%. Per ambedue queste tipologie di rapporto le diminuzioni si registrano in

ognuno degli anni considerati, cioè dal 2007 in poi.

Il part time

Aumenta il numero dei dipendenti in part time nel comparto regioni ed autonomie

locali, mentre diminuisce nell’insieme delle pubbliche amministrazioni.

Nel primo avevamo nel 2011 il 9,8%, a fronte del 9,6% del 2010 e del 7,7% del 2007: da sottolineare

che la crescita di oltre 2 punti percentuali avviene nel corso di tutto questo arco di tempo.

Nell’insieme delle pubbliche amministrazioni abbiamo avuto un aumento nella fase iniziale: nel

2007 i dipendenti in part time erano il 4,5%, nel 2010 il 5,3%, mentre nel 2011 erano il 5%.

Per la Ragioneria generale dello Stato alla base di questo fenomeno vi è “probabilmente il recente

cambio della normativa di riferimento secondo cui l’amministrazione non è più obbligata a

concedere il part time richiesto del dipendente, ma valuta l’accoglimento della domanda in

funzione delle proprie esigenze organizzative; in periodi come quello attuale in cui c’è una grande

pressione tendente al contenimento della forza lavoro è possibile che la domanda di nuovo part

time non venga completamente soddisfatta”. Altra possibile causa è la rinuncia da parte dei

dipendenti per ragioni legate alla contrazione dei redditi. Probabilmente negli enti locali, che si

pongono come il comparto in cui questo rapporto è più diffuso, si deve registrare invece un

aumento delle nuove assunzioni in part time. Si conferma che il ricorso al part time avviene in

misura ampiamente maggioritaria tra le donne.

Le collaborazioni

Per le collaborazioni coordinate e continuative abbiamo un calo significativo del

numero. Nel 2011 nel complesso del pubblico impiego erano 42.409, con una diminuzione del

48% rispetto al 2007 ed un aumento dell’1% rispetto al 2010. La spesa 2011 era di 436,81 milioni di

euro, con un calo del 67,8% rispetto al 2007 e del 15,1% rispetto al 2010. Come si vede la spesa è

diminuita in misura maggiore della riduzione del numero di rapporti.

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Nel comparto regioni ed enti locali le co.co.co. sono state 12.349 nel 2011, mentre erano 13.214 nel

2010 e ben 34.464 nel 2007. La diminuzione è stata, quindi, del 64% nel confronto tra il 2011 ed il

2007 e del 7% tra il 2011 ed il 2010. Come spesa abbiamo avuto nel 2011 il dato di 131,51 milioni di

euro, a fronte di 154,89 del 2010 e 408,46 del 2007: il calo è quindi del 67,8% rispetto al 2007 e del

15,1% rispetto al 2010.

Gli incarichi professionali, di studio, ricerca e consulenza nel pubblico impiego sono

stati 75.306 nel 2011, a fronte di 74.652 del 2010 e di 45.747 del 2007, quindi con un

aumento del 65% rispetto al 2007 e dell’ 1% rispetto al 2010. La spesa 2011 è stata di

554,04 milioni di euro con un aumento del 13,8% rispetto al 2007 ed un calo del 4,5% rispetto al

2007. Come si vede un andamento assai differente tra spesa e numero dei rapporti.

Nel comparto regioni ed autonomie locali abbiamo avuto 38.594 rapporti nel 2011, a fronte

di 37.924 del 2010 e di 21.712 nel 2007. Quindi registriamo un aumento maggiore rispetto al

complesso del pubblico impiego: più 78% tra 2011 e 2007 e più 2% rispetto al 2010. La spesa 2011 è

stata di 184,29 milioni di euro, mentre nel 2007 era di 203,28 milioni di euro e nel 2010 di 198,28:

si registra la diminuzione del 12,5% nel periodo compreso tra il 2011 ed il 2007 ed un calo del 7,1%

nel confronto tra il 2011 ed il 2010.

Altri dati sugli enti locali

Si deve registrare la marcata diminuzione del numero delle posizioni organizzative: nel

2011 esse erano 95.577, mentre nel precedente anno 2010 erano 97.492. È questo un segnale della

spinta crescente delle amministrazioni alla razionalizzazione del proprio modello organizzativo. Da

sottolineare il significativo calo dei dipendenti degli uffici di staff degli organi politici

assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato: si passa da 2.387 del 2010 a

1.740 del 2011. Le progressioni orizzontali realizzate nel 2011 sono state appena 16.275,

mentre nel 2010 erano state 83.641. Tale calo dipende, con tutta evidenza, dal blocco degli effetti

economici per il triennio 2011/2013 contenuto nel Dl n. 78/2010. l

_________________________________________________________________________

DA “GUIDA AGLI ENTI LOCALI RISPONDE” La domanda

Assegno ad personam

Un ente locale ha l'esigenza di disporre una proroga di un contratto a t.d. e p.t. ex 110

TUEL.al fine di dare completare le attività in itinere . La giunta comunale ha intenzione di

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riconoscere al suddetto dipendente un assegno ad personam in ragiorne della

professionalità dimostrata. Tanto premesso si vuol sapere se è possibile riconoscere tale

indennità atteso che tale possibilità non era stata prevista nell'avviso di selezione per

l'assunzione ex 110 al quale il funzionario aveva partecipato.

La risposta dell'esperto Il legislatore si limita a dire che ai dipendenti assunti ai sensi dell’articolo 110 TUEL può

essere motivatamente attribuito dalla giunta un assegno ad personam. Non dice se lo stesso

può essere riconosciuto solo successivamente in sede di proroga. Non risultano allo scrivente pareri

di sezioni della Corte dei Conti o della FFPP o del Ministero dell’Interno. A parere di chi scrive ciò è

possibile solo in presenza di ragioni che si sono manifestate successivamente, quali il

conferimento di incarichi ulteriori. Si tenga inoltre presente che sulla base del DL n. 78/2010

non si può nel triennio 2011/2013 superare il trattamento economico in godimento nel 2010, salvo

che –tra l’altro- nel caso di conferimento di incarichi aggiuntivi.

_________________________________________________________________________

CORTE DEI CONTI — LA FONDAZIONE STRUMENTO INADATTO

PER GESTIRE SERVIZI

Con il parere n. 25 del 10 gennaio 2013 la Corte dei Conti, Sezione regionale della Lombardia ha di

fatto effettuato una sintesi della posizione assunta in diversi altri pareri circa la possibilità per un

ente locale di costituire, “partecipare” o ampliare l’attività di una fondazione, quale strumento

di gestione di servizi pubblici locali.

Il citato parere è stato formulato in risposta al quesito posto dal Sindaco di Sondalo circa la

possibilità:

1) di partecipare ad una fondazione già esistente per la gestione del servizio di RSA;

2) di partecipare ad una fondazione, “organismo di diritto pubblico” senza scopo di lucro,

“interamente partecipata” da Comuni e frutto della trasformazione di una fondazione già

esistente.

La richiesta del Sindaco di Sondalo, inoltre, era rivolta anche a capire quale fosse il destino del

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Il Foglio della Funzione Pubblica CGIL

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personale della RSA, al momento dipendente comunale, in caso di trasferimento alla fondazione

e se la relativa spesa dovesse essere computata quale spesa del personale del comune ai fini della

determinazione dei vincoli assunzionali dello stesso ente, tuttavia la risposta a tali quesiti il

Sindaco dovrà cercarla o altrove o in altri specifici pareri forniti dalla Corte dei Conti lombarda per

i motivi di seguito riportati.

In merito alla questione relativa alla fondazione quale “organismo di diritto pubblico”

interamente partecipata da comuni, la Corte dei Conti della Lombardia, avendo peraltro precisato

che “organismo di diritto pubblico” è termine utilizzato ai fini degli appalti pubblici in

applicazione D.Lgs 163/2006, ha avuto modo di sottolineare che:

“Appare opportuno richiamare, in via preliminare, quanto evidenziato dalla Sezione Piemonte nel parere n.

24/2012 circa la natura e le caratteristiche di una fondazione, sia che risulti costituita da soggetti

privati che da amministrazioni o enti pubblici.

La fondazione è un ente dotato di personalità giuridica, disciplinato dal codice civile, che ha quale elemento

costitutivo essenziale l'esistenza di un “patrimonio” destinato alla soddisfazione di uno “scopo” (artt.

14 e segg.). Il “patrimonio” non è solo elemento costitutivo, ma è la caratteristica che distingue e

differenzia questo istituto dall’associazione, che ha quale elemento essenziale la personalità della

partecipazione di una pluralità di soggetti, finalizzata al raggiungimento di uno scopo.

Le fondazioni, come riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale, hanno natura privata e sono

espressione organizzativa delle libertà sociali, costituendo i cosiddetti corpi intermedi, collocati fra Stato e

mercato, che trovano nel principio di sussidiarietà orizzontale, di cui all’ultimo comma dell’art. 118 della

Costituzione, un preciso presidio rispetto all’intervento pubblico (Corte costituzionale 28 settembre 2003, n.

300 e n. 301).”

Per ciò che attiene le fondazioni in partecipazione, inoltre, fermo restando quanto affermato in

merito alla natura privata della fondazione ed all’elemento costitutivo essenziale determinato dal

patrimonio la sezione lombarda della Corte dei Conti afferma che: “Tale modello sorge dalla

constatata limitatezza dello schema classico previsto dal codice civile, trattandosi di fondazioni non più

istituite da un singolo soggetto, sia esso persona fisica ovvero giuridica, ma da una pluralità di soggetti

(privati e/o pubblici), che condividono una medesima finalità. Nella prassi, rappresenta lo strumento

attraverso il quale un ente pubblico persegue uno scopo di utilità generale, nel tentativo di creare una

partnership pubblico-privato e consentire di usufruire di maggiori disponibilità finanziarie e di

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Il Foglio della Funzione Pubblica CGIL

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attività di management nella gestione dei servizi sociali, venendosi così a ridurre il rischio

associato all’attività di produzione di servizi. … Pertanto, per individuare la disciplina applicabile,

occorre avere riguardo alla fattispecie concreta e, in particolare, alle clausole statutarie.”.

Quanto al più generale quesito relativo al possibile utilizzo di una fondazione per la gestione di

una RSA, la sezione lombarda della Corte dei Conti si esprime ritenendo non sussistente la

possibilità di costituire ex novo una fondazione visto il divieto di cui all’art. 9, comma 6, del D.L.

85/2012 (spending review) che dispone che: “… è fatto divieto agli enti locali di istituire enti,

agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o

più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell'articolo 118

della Costituzione”, facendo propria un’interpretazione assai ampia di funzioni fondamentali e

funzioni amministrative, comprendenti, se non la vera e propria gestione dei servizi, quantomeno

la parte amministrativa e che ne sta a monte e la controlla (in tal senso vedasi anche il parere n. 460

del 2012 della Corte dei Conti, sezione regionale della Toscana, per ciò che attiene ai servizi

culturali).

Ma anche sotto il profilo della “partecipazione” ad una fondazione già esistente che ne

incrementi il patrimonio o ne estenda le finalità statutarie la Corte dei Conti lombarda pare

piuttosto scettica, in particolare se il patrimonio da conferire alla fondazione comprenda anche

servizi in precedenza gestiti direttamente dal comune, tanto da affermare:

“Va pure precisato che, ai sensi del comma 1-bis, introdotto dalla legge di conversione n. 135/2012, la

disposizione di razionalizzione sopra indicata (comma 1) non si applica alle aziende speciali, agli enti

ed alle istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali (attività in cui ricade la gestione di una

RSA per anziani). L’eccezione, è bene precisarlo, esclude dall’obbligo di razionalizzazione/riduzione

solo le aziende speciali, gli enti o le istituzioni già costituite, ed espletanti una delle attività elencate (servizi

socio-assistenziali, educativi e culturali), fattispecie che non ricorre nel caso prospettato dal Comune di

Sondalo che, fino ad ora, ha gestito direttamente, tramite i propri uffici, la RSA indicata.

In sostanza, alla luce del combinato disposto del comma 6 (che prevede un divieto di istituzione di nuovi

enti) e del comma 1 (che impone un obbligo di razionalizzazione/riduzione, pari almeno al 20 per cento, di

quelli già esistenti) dell’art. 9 del d.l. n. 95/2012, nonché della ratio complessiva del provvedimento

legislativo in discorso (quale emerge, per esempio, dall’art. 4), appare vietata, da parte del Comune, non

solo l’istituzione di un nuovo ente o organismo comunque denominato (nel caso di specie, una

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Il Foglio della Funzione Pubblica CGIL

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fondazione), ma anche una nuova partecipazione, contrastando anche questa seconda ipotesi con la

volontà del legislatore non solo di non incrementare la presenza degli enti locali in enti e organismi

(comma 6), ma, altresì, di ridurla sensibilmente (comma 1).”

Infine occorre sottolineare che la Sezione regionale della Lombardia della Corte dei Conti pare non

ritenere la fondazione lo strumento più idoneo per la gestione di servizi pubblici di rilevanza

economica (ma a ben vedere anche per quelli privi di tale rilevanza), considerato che la fondazione

per la sua natura e per l’elemento patrimoniale che la caratterizza male si concilia con il requisito

del “controllo analogo” a quello esercitato sui propri organi/uffici previsto dalla disciplina

comunitaria per l’affidamento in house dei servizi.

Mancando tuttavia la possibilità di esercitare uno stringente controllo sulla fondazione,

quest’ultima pare inidonea alla gestione di qualsiasi servizio ove questo faccia riferimento

all’esercizio di una funzione fondamentale o una funzione amministrativa (almeno per ciò che

riguarda, secondo diverse sezioni regionali della Corte dei Conti, sia i servizi sociali che le attività

culturali).

Tale aspetto ripreso molto sinteticamente nel citato parere n. 25 del 2013, risulta certamente più

motivato nel parere n. 350 del 26 luglio 2012 della stessa sezione lombarda della Corte dei Conti;

parere espresso in risposta ad un quesito formulato dal Sindaco del comune di Rivolta d’Adda.

In tale parere la sezione lombarda della Corte dei Conti così si esprime:

“Da ultimo, deve opinarsi sulla possibilità che la fondazione, in pectore destinataria della sopra riferita

attribuzione patrimoniale, possa essere configurata come un soggetto in house, con conseguente

insussistenza della stessa dualità di soggetti e, quindi, dell’obbligo di selezione concorsuale.

E’ ormai notissima la parabola giurisprudenziale della Corte di giustizia europea sull’in house

providing, che ha portato ad escludere la dualità soggettiva rispetto all’amministrazione laddove l’ente:

i) sia a partecipazione totalitariamente pubblicistica; ii) svolga la parte più importante della

propria attività in favore dell’amministrazione; iii) subisca da detta amministrazione un

“controllo analogo” rispetto a quello esercitato sugli organi della stessa, in altre parole si presenti come

un mero strumento della medesima.

Nel caso della fondazione in esame, non sembrano però che detti caratteri sussistano. A tacere,

infatti, che nella struttura fondazionale, connotata come noto dal carattere prettamente patrimoniale,

la circostanza della partecipazione pubblica totalitaria risulterebbe di difficile individuazione, in quanto a

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Il Foglio della Funzione Pubblica CGIL

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seguito dell’atto di fondazione il patrimonio del conferente assume soggettività distinta; nella

fattispecie scrutinata non sembrano sussistere quantomeno i requisiti attinenti al controllo analogo, se

si considera che dalla prospettazione del comune istante non è dato desumere alcun elemento che possa

assimilare il regime del controllo sulla fondazione a quello proprio degli organi del comune.

E’ evidente, al riguardo, che né il mero potere di nomina né la devoluzione del patrimonio

surrogano i requisiti anzi descritti, e per contro rafforzano l’apparenza di dualità soggettiva tra

comune e fondazione.”

Orbene, le valutazioni formulate dalla Sezione regionale della Lombardia (ma non solo)della

Corte dei Conti in merito ai limiti legali che incontra attualmente una fondazione in materia di

gestione di servizi pubblici ed a maggior ragione in relazione all’esercizio di funzioni

fondamentali e funzioni amministrative proprie degli enti locali, possono essere tranquillamente

condivise.

Tuttavia, se: “…. l’ampia dizione letterale, usata per individuare le finalità istituzionali di tali enti e

organismi (“funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell'articolo 118, della

Costituzione”), pare abbracciare tutto lo spettro delle competenze attribuite agli Enti locali dalla

legge, sia quelle qualificate dal legislatore come “fondamentali” (per la cui elencazione si rinvia

all’art. 14, comma 27, d.l. n. 78/2010, come modificato dall’art. 19 del d.l. n. 95/2012) sia le altre

funzioni amministrative aventi fonte nell’articolo 118 della Costituzione e, a livello di legislazione

ordinaria, negli articoli 3 e 13 del TUEL, d.lgs. n. 267/2000.” e tale norma costituisce: “evidente

espressione … dell’intenzione del legislatore di ridurre la presenza di enti e organismi, comunque

denominati, facenti capo a Comuni e Province, sollecitando questi ultimi alla gestione diretta delle

funzioni amministrative e fondamentali loro attribuite dalla legge…” è legittimo chiedersi come

possa avvenire questa gestione diretta (in certi casi “reinternalizzazione”) se, da un lato,

permangono gli attuali limiti assunzionali imposti agli enti locali, e dall’altro la stessa Corte dei

Conti a Sezioni riunite sostenga che debba prevalere il principio di riduzione della spesa

rispetto alla possibile reinternalizzazione di personale comunale a suo tempo “esternalizzato”?

Bergamo, 9 marzo 2013

Per la FP-CGIL di Bergamo

F.to Gian Marco Brumana

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DA “GUIDA AGLI ENTI LOCALI RISPONDE” La domanda

sottoscrizione contrattazione decentrata

Si chiede di sapere se é possibile sottoscrivere accordi decentrati integrativi solo da una

parte della rappresentanza sindacale minoritaria rispetto al complesso dei soggetti

delegati al tavolo negoziale causa le diverse posizioni di merito.

La risposta dell'esperto Per la validità della sottoscrizione dei contratti nazionali vi sono specifiche norme: le sigle

firmatarie devono essere almeno la metà più uno dei lavoratori come rappresentatività.

Regole certe non ve ne sono per la contrattazione decentrata. La giurisprudenza ha sottolineato

come necessaria la ricerca del massimo consenso. Il contratto deve essere sottoscritto da

soggetti che rappresentino la maggioranza dei lavoratori, il che va apprezzato da parte

dell’ente in modo discrezionale, ma nel rispetto del principio della buona fede ed in

modo da evitare censure per condotta antisindacale. Si ricorda che la RSU deve essere

considerata come un soggetto unitario, per cui la sua maggioranza la impegna totalmente. Per le

organizzazioni sindacali si può fare riferimento agli iscritti nell’ente.